Scarica Sintesi Manuale di Diritto Amministrativo - Marcello Clarich e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Amministrativo solo su Docsity! lOMoARcPSD|11503188 Esame Diritto Amministrativo Università degli Studi della Tuscia DEIM – Scienze politiche delle relazioni internazionali L-36 Anno 2022 Alice Carrazza Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 MANUALE DI DIRITTO AMMINISTRATIVO – Quinta edizione – Marcello Clarich PARTE PRIMA. IL DIRITTO AMMINISTRATIVO E LE SUE FONTI CAPITOLO 1 INTRODUZIONE 1.Premessa Il diritto amministrativo può essere definito come quella branca del diritto pubblico interno che ha per oggetto l’organizzazione e l’attività della pubblica amministrazione. In particolare riguarda i rapporti che quest’ultima (P.A.) instaura con i soggetti privati (nell’esercizio dei poteri ad essa conferiti dalla legge per la cura degli interessi della collettività). 2.Modelli di Stato e nascita del Diritto Amministrativo 2.1. Stato Amministrativo Prendendo in esame il caso francese, la nascita dello stato moderno (con l’unificazione del potere politico del re), andò di pari passo con la formazione di apparati amministrativi stabili, al centro e in periferia, posti alle dirette dipendenze del sovrano e contrapposti a poteri locali. Nell’esperienza francese, lo stato si definiva già come stato amministrativo. Era, inoltre, uno stato che estendeva il suo raggio di azione in numerosi campi: nel corso del XVIII secolo, ad esempio, lo stato assoluto assunse i caratteri dell’assolutismo illuminato, cioè dello stato di polizia, offrendo ai propri sudditi provvidenze di vario genere. L’espansione dei compiti dello stato e la contestuale attribuzione dei poteri amministrativi ai propri funzionari delegati del sovrano e agli apparati burocratici stabili, portarono poco a poco all’emersione della funzione amministrativa vista come funzione autonoma e non più compresa in quella giudiziaria. La rivoluzione francese del 1789 e le costituzioni liberali approvate dei decenni successivi portarono alla nascita del modello di stato di diritto o stato costituzionale. 2.2 Stato di Diritto e Stato a Regime di Diritto Amministrativo Oggi lo stato di diritto è uno dei principali fondamenti dell’Unione Europea insieme a quelli della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza e del rispetto dei diritti umani (citati dall’art. 2 del Trattato sull’Unione europea). Lo stato di diritto si basa su alcuni elementi strutturali: 1) prevede il trasferimento della titolarità della sovranità dal Re al Parlamento (eletto da un corpo elettorale prima ristretto e poi a suffragio universale); 2) si fonda sul principio della separazione dei poteri (per togliere il monopolio al sovrano assoluto oltre per evitare abusi a danno dei cittadini). Secondo la tripartizione teorizzata da Montesquieu, il potere legislativo spetta a un parlamento elettivo, il potere esecutivo al sovrano ed il potere giudiziario ad un magistratura indipendente. Il potere esecutivo, in questo modo, viene ad essere soggetto alla legge e cioè alla supremazia del parlamento, che è espressione della volontà popolare. 3) inserimento nelle Costituzioni delle “riserve di legge”, che sono una “garanzia” in quanto con esse si vuol assicurare che su materie particolarmente delicate (come, ad esempio, nei diritti fondamentali del cittadino), le decisioni vengano prese dal Parlamento, ovvero dall’organo più rappresentativo del potere sovrano, come previsto dall’art.70 Costituzione. Le riserve di legge, quindi, escludono o limitano anzitutto il potere normativo del Governo: infatti il potere regolamentare dell’esecutivo è ammesso esclusivamente nelle materie non sottoposte a riserva di legge assoluta. Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 3.3. Le scienze politiche ed economiche. Fallimenti del mercato e “regulation” Le scienze politiche ed economiche analizzano le situazioni nelle quali è giustificato l'intervento dei pubblici poteri sotto forma di regolazione. Soprattutto nel mondo anglosassone ha avuto impulso la teoria della regolazione pubblica (“regulation”), che ha vari significati, riferita all'intervento dei poteri pubblici in campo sociale e economico. Si distinguono 2 modelli di regolazione pubblica, la prima volta a promuovere scopi sociali (“social regulation” – per es. la tutela della salute); la seconda indirizzata a massimizzare l'efficienza economica e il benessere dei consumatori (“economic regulation”) La regolazione economica considera l'istituzione di apparati pubblici come rimedio per le situazioni di insuccesso o di “fallimento del mercato” (market failures). I principali casi di fallimento del mercato che giustificano l'intervento dei poteri pubblici sono: 1. I monopoli naturali, come le infrastrutture non facilmente duplicabili (es. le reti di trasporto ferroviarie). Esse pongono chi gestisce l'attività in una situazione di “potere di mercato” che impedisce o altera lo sviluppo di un mercato concorrenziale e che consentono extraprofitti dovuti alla rendita di posizione. I rimedi più frequenti consistono nel sottoporre l'impresa monopolista a una serie di vincoli, come il controllo dei prezzi etc. 2. I cosiddetti beni pubblici, come la difesa esterna o l'ordine pubblico, dei quali beneficia l'intera collettività, inclusi coloro che non sarebbero disponibili a farsi carico di una quota proporzionale di costi (freeriders). 3. Le esternalità negative dovute per esempio a produzioni industriali inquinanti i cui benefici vanno a vantaggio dell'impresa, ma i cui costi gravano sull'intera collettività. 4. Le asimmetrie informative tra chi offre e chi acquista beni e servizi circa le caratteristiche qualitative essenziali di questi ultimi, come nei rapporti tra istituzioni finanziarie o imprese quotate in borsa e piccoli risparmiatori non in grado di valutare i rischi degli investimenti proposti. 5. Le esigenze di coordinamento per esempio relative al sistema dei pesi e misure o al traffico stradale che richiedono la fissazione di standard uniformi e di regole di comportamento al cui rispetto sono proposte autorità pubbliche. 3.4 Cenni agli indirizzi della “public choise” e al modello “principal agent” Sempre nell’ambito delle scienze economiche, va menzionato l’indirizzo della cosiddetta “Public Choise”, affermatosi negli USA nella seconda metà del secolo scorso. Per spiegare il funzionamento effettivo degli apparati pubblici è errato muovere dall’ipotesi che gli apparati pubblici (e i burocrati ad essa preposti) agiscano sempre e necessariamente per il perseguimento di obiettivi di interesse pubblico: è più realistico, invece, muovere dall’ipotesi che anche il loro comportamento è animato, al pari degli attori privati, da self-interest (potere, livello retributivo, reputazione etc.). Gli apparati pubblici agiscono, cioè, come attori in un’arena pubblica nella quale le decisioni sono il frutto di scambi e di negoziazioni tra i vari gruppi politici e sociali e i rappresentanti degli interessi organizzati (political exchange), che mimano in qualche modo il mercato (market exchange). In base a questo tipo di approccio, si tende a porre in evidenza, accanto alle situazioni di market failures, quelle di government failures (o regulatory failures), cioè le inefficienze strutturali e gli effetti negativi dell’azione dei poteri pubblici. Anche gli apparati amministrativi, al pari degli agenti politici (Parlamento e Governo) tendono a essere influenzati nelle loro decisioni da interessi soprattutto economici (varie lobby), deviando così dalla loro missione di cura dell’ interesse pubblico generale. Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 Teoria del Principal-Agent (Principale-Agente): teoria che studia i meccanismi e gli incentivi per far sì che l’attività dell’agente, delegato dal principale a compiere una certa attività, venga posta in essere nell’interesse di quest’ultimo e non venga piegata all’interesse egoistico dell’agente (spesso l’agente ha a disposizione una mole di informazioni superiori a quella del principale circa le caratteristiche concrete dell’attività da svolgere , la cd. “asimmetria informativa”). In questo caso l’agente è tentato di avere un comportamento opportunistico sul quale il principale non è in grado di esercitare un controllo efficace. Anche gli apparati burocratici possono essere considerati agenti del Parlamento. Gli interessi e gli incentivi dei dirigenti pubblici, peraltro, non coincidono sempre con quelli dei vertici politici: da qui la perenne tensione tra politica e amministrazione. A loro volta i vertici politici, scelti in base al metodo elettorale, sono in qualche misura agenti dei cittadini elettori e occorre individuare strumenti di responsabilizzazione in modo da evitare l’auto referenzialità della classe politica. La regolazione pubblica (“regulation”), in generale, dovrebbe individuare gli strumenti (regole, incentivi, sanzioni) per allineare gli interessi dell’agente a quelli del principale. La scienza dell’amministrazione risale al XIX secolo; in Italia il padre fondatore è Gian Domenico Romagnosi (in Germania il padre fondatore fu Stein). Si ricollega al filone di studi di finanza pubblica, ragionieristici e aziendalisti avviati già nel XVIII secolo. Tuttavia la scienza dell’amministrazione, in auge soprattutto nella metà del secolo scorso, non ha mai assunto statuto ben definito all’interno delle scienze non giuridiche (sociologia, scienza politica, economia aziendale etc.). Oggi è in declino. 3.6 La scienza del Diritto Amministrativo Con l’evolversi dei rapporti politici e sociali e con l’espandersi della legislazione amministrativa (soprattutto a partire dagli anni trenta del XX secolo), la scienza del diritto amministrativo estese il proprio campo di indagine a fenomeni nascenti come l’ordinamento di credito, gli enti pubblici, l’impresa pubblica. Verso la fine del secolo scorso emerse una prospettiva volta a operare un riequilibrio nel rapporto tra stato e cittadino con 2 modalità principali: - potenziamento delle garanzie formali e sostanziali a favore di quest’ultimo; - impegno di nuovi moduli consensuali di regolamentazione dei rapporti tra privati e pubblica amministrazione. Gli anni ‘90 del secolo scorso, segnati dall’introduzione della legge 241/90 sul procedimento amministrativo e dall’influenza del diritto europeo in particolare nel settore dei servizi pubblici, costituirono idealmente una rottura tra la concezione più autoritaria del diritto amministrativo per privilegiare il punto di vista dell’amministrazione e porre l’accento sui poteri unilaterali attribuiti a quest’ultima. Questo valorizza la posizione del cittadino, titolare oramai di diversi diritti e garanzie all’interno del rapporto procedimentale, ed enfatizza la sottoposizione del potere al principio di legalità, inteso in senso più rigoroso. Il diritto amministrativo resta sempre il diritto dell’autorità del potere pubblico per la cura degli interessi collettivi ma ha perso i connotati di diritto autoritario. Il Diritto Amministrativo e i suoi Rapporti con le altre Branche del Diritto. 4.1 Il Diritto Costituzionale I due diritti sono strettamente collegati tra di loro anche se trattano due differenti settori. I legami sono due: - in primis, il diritto amministrativo, riprendendo una espressione di Werner, non è altro che il “diritto costituzionale reso concreto”, ossia nella sua effettiva realizzazione nella legislazione e nella vita dell’ordinamento (ad esempio, il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, con lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione, è condizionato dalla legislazione amministrativa sul sistema radiotelevisivo e sulla stampa). Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 - un secondo legame tra diritto costituzionale e amministrativo è riassunto dall’affermazione di un giurista tedesco, Otto Mayer, secondo il quale il “diritto costituzionale passa mentre il diritto amministrativo resta”. Questo ci fa capire il disallineamento temporale dei mutamenti costituzionali rispetto alle riforme amministrative. 4.2 Il Diritto Europeo Il diritto amministrativo italiano ha acquisito una dimensione europea sotto 5 profili principali: ossia la legislazione amministrativa, l’attività amministrativa, l’organizzazione amministrativa, la finanza, la tutela giurisdizionale. 1) Legislazione amministrativa: l’art. 117 della Costituzione (comma 1) sancisce che “la potestà legislativa appartiene allo Stato ed alle Regioni”. Essa deve essere esercitata nel rispetto, oltre che della Costituzione, anche dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario. 2) Attività amministrativa: l’art. 1 della legge 241/90 include tra i principi generali della attività amministrativa (economicità, efficacia, imparzialità, pubblicità, trasparenza - EEIPT), anche i principi generali dell’ordinamento comunitario. Questi si ricavano dai Trattati e dalle altre fonti del diritto europeo e dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea. La pubblica amministrazione è citata anche nella carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, inserita nel protocollo allegato al Trattato di Lisbona e che ha valore giuridico simile al trattato stesso. 3) Organizzazione amministrativa: il diritto europeo condiziona l'assetto organizzativo e funzionale degli apparati pubblici. Infatti in Italia sono state istituite molte agenzie e autorità indipendenti grazie alle direttive europee. Per esempio, il sistema europeo delle banche centrali del quale fanno parte in modo organico le banche nazionali. 4) Finanza: il diritto europeo impone poi, agli stati membri, vincoli sempre più pressanti alla finanza pubblica che condizionano l’operatività delle pubbliche amministrazioni e le attuazioni dei loro programmi di intervento. 5) Tutela giurisdizionale: il diritto europeo esercita un’influenza anche sul diritto processuale amministrativo. Il codice del processo amministrativo, adottato con d. lgs. del 2 luglio 2010, stabilisce che la giurisdizione amministrativa assicura una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del Diritto Europeo. Il Diritto amministrativo è sempre aperto, non soltanto in chiave europea, ma sta assumendo anche una dimensione globale. Essa è legata allo sviluppo a livello mondiale di una serie di organizzazioni internazionali (Banca Mondiale) che creano regole e standard che condizionano direttamente e indirettamente i diritti nazionali. 4.3 Il Diritto Privato I legami tra Diritto Privato e Diritto Amministrativo possono venir fuori analizzando 3 concetti principali: 1) il diritto amministrativo è un diritto autonomo dal diritto privato: deriva da un istituto disciplinato dalla legge 241/90 e cioè dagli accordi stipulati tra amministrazione e soggetti privati e che è disciplinato dall’esercizio dei poteri discrezionali. In generale, il diritto amministrativo è un diritto in sé completo e autosufficiente: esso può attingere, a volte, dal diritto privato, ma in modo indiretto e selettivo. La nascita del diritto amministrativo come disciplina autonoma si fa risalire al celebre Arret Blanco 1873. 2) il dir. amm.vo non esaurisce tutta la disciplina dell’attività e dell’organizzazione della pubblica amministrazione, che attinge sempre più a moduli privatistici: l’attività delle Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 atti di regolazione aventi natura non normativa (come atti di pianificazione e programmazione, atti amministrativi generali, direttive, circolari etc). Esse danno sostanza alla funzione di regolazione propria delle pubbliche amministrazioni. 2. La Costituzione Entrata in vigore nel 1948, può essere classificata costituzione rigida (necessita di un procedimento di modificazione aggravato a maggioranza qualificata iac art. 138 Cost) e costituzione lunga (per le varie materie regolate, dai diritti sulle libertà all'assetto dello Stato). La Costituzione indica anche una serie di materie di cui lo Stato (e quindi la P.A.) deve farsi carico per il benessere della collettività (es. salute, istruzione scolastica, previdenza sociale etc.). Non tratta dell'assetto della P.A., ma anzi vi sono enunciati pochi principi costituzionali al riguardo dell'organizzazione (della P.A.). Tra questi: • art. 95 Cost: principio della strumentalità dell'amministrazione rispetto alla politica generale del Governo e il principio della responsabilità politica dei Ministri in relazione all'attività amministrativa; • art. 97 Cost: imparzialità e buon andamento; • art. 118 Cost: principio di sussidiarietà come criterio generale di riparto delle funzioni Amministrative. 3. Fonti dell’Unione Europea Con la legge costituzionale 3/2001 (di modifica del Titolo V della Parte II della Cost → art. 117) sono state ridefinite le competenze legislative tra Stato e Regioni esercitate in rispetto della Costituzione e dei trattati comunitari. La potestà legislativa dello Stato e delle Regioni è sottoposta ai vincoli derivanti dal diritto comunitario. Nella gerarchia delle fonti, l’Unione Europea si pone su un livello più elevato rispetto alla legge ordinaria: vige il principio secondo il quale “le norme nazionali contastanti con il diritto comunitario devono essere disapplicate”. Tale principio deve essere utilizzato sia dai giudici in sede di controversie che dalla pubblica amministrazione (quando esercita il potere di emanare un provvedimento). Infatti il Diritto Europeo vieta ad una pubblica amministrazione di dare esecuzione ad un provvedimento illeggittimo e contrario ad una sentenza della Corte Europea. Le fonti europee sono sostanzialmente formate da Trattati: nel corso degli anni sono stati modificati e integrati, fino ad arrivare al Trattato di Lisbona (ultimo, in vigore dal 2009). Il Trattato di Lisbona è frutto dell’unione dei due Trattati precedenti (trattato sull’Unione Europea, il TUE, approvato nel 1992 e il trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, il TFUE, del 2004). In aggiunta ai Trattati, altre fonti sono la Carta dei diritti fondamentali dell’UE e la convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (CEDU). Altra fonte di Diritto Europeo sono i Regolamenti: disciplinati art. 288 TFUE, hanno portata generale e sono direttamente vincolanti per gli Stati Membri ed i loro cittadini, non richiedono alcun recepimento e non possono essere derogati dagli Stati. Devono essere motivati (a differenza degli atti normativi nazionali); costituiscono, inoltre, un parametro diretto per sindacare la legittimità degli atti amministrativi (molti regolamenti disciplinano materie che fanno parte del diritto amministrativo speciale). Altra fonte del diritto europeo sono le Direttive (emanate dal Consiglio e dalla Commissione UE), hanno per destinatari gli Stati e sono vincolanti per quanto riguarda il risultato da raggiungere, restando salva la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi iac. art. 288 TFUE. Di regola, non sono direttamente applicabili ed, al pari dei regolamenti, devono essere corredate anch’esse da una motivazione (art. 296 TFUE). Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 In base ai principi di sussidiarietà e proporzionalità, le Direttive sono da preferire ai Regolamenti (mentre le Direttive Quadro vanno preferite alle Direttive Dettagliate. Tra gli atti dell’Unione Europea si collocano per ultimo le Decisioni: hanno contenuto puntuale (art.288 TFUE) e applicano a fattispecie concrete norme generali ed astratte previste da fonti comunitarie. Sono vincolanti per gli Stati membri, ma non hanno un’efficacia diretta. Possono assumere una duplice forma (Decisioni quadro adottate dal Consiglio e Regolamenti degli stati membri). Il recepimento delle norme europee (anche delle sentenze della Corte di Giustizia) è disciplinato nel nostro ordinamento dalle leggi 11/2005 e 234/2012. Lo strumento specifico è costituito da 2 leggi annuali (di iniziativa governativa): - la legge europea: modifica o abroga le disposizioni statali vigenti contrastanti con il diritto europeo; - la legge di delegazione europea: essa attribuisce deleghe legislative al Governo per il recepimento delle direttive europee. Prevede che nelle materie non coperte da riserva di legge, il recepimento possa avvenire in via regolamentare (e individua i principi fondamentali ai quali le Regioni si devono attenere per dare attuazione alle direttive europee nelle materie attribuite alla loro competenza legislativa concorrente). 4. Fonti normative statali, riserva di legge, principio di legalità. Come già accennato, la Costituzione elenca tutte le fonti legislative statali di rango primario che sono: - la legge ordinaria: approvata dal Parlamento e promulgata dal Presidente della Repubblica (artt.71-74); - il decreto legge: emesso dal Governo in particolari condizioni di urgenza, che dovrà essere tramutato in legge entro 60 giorni (art.77); - il decreto legislativo (art.76): emesso dal Governo su delega del Parlamento, che ne determina i principi generali. Ricordiamo, inoltre, che le leggi ordinarie dello stato potranno essere emesse solo nelle materie dettate dall’art. 117 Cost: in base a questo articolo, lo Stato ha potestà legislativa esclusiva in alcune materie (politica estera, rapporti con gli altri paesi, immigrazione, Difesa, Sicurezza etc..) mentre sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni; commercio con l'estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione etc. . Riserve di Legge: costituiscono uno degli elementi costitutivi dello Stato di diritto e sono individuate nella Costituzione. Concorrono a definire i rapporti tra Parlamento e potere esecutivo (Governo): si tratta di una riserva di competenza a disciplinare determinate materie (dettate da Cost.) riservata al Parlamento (con legge o atti aventi forza di legge); ovvero si esclude, pertanto, il possibile ricorso a fonti secondarie e in particolare a regolamenti governativi. Tre tipi (ARR): • assoluta (es. materia penale) → richiede che la legge ponga una disciplina completa ed esaustiva della materia ed esclude l'intervento di fonti sub-legislative. Sono ammessi soltanto i regolamenti di mera e stretta esecuzione, cioè di mero svolgimento dei precetti legislativi (es. “nei soli casi e modi previsti dalla legge”); • rinforzata (es. diritti di libertà) → aggiunge al carattere assolutezza il fatto che la Cost. stabilisca direttamente taluni principi materiali o procedurali relativi alla disciplina della materia (che costituiscono un vincolo per il legislatore ordinario); • relativa (es. materia tributaria o organizzazione dei pubblici uffici) → prevede che la legge ponga prescrizioni di principio e consente l'emanazione di regolamenti di tipo esecutivo contenenti le norme più di dettaglio che completano la disciplina della materia. (es. “in base alla legge” o “secondo disposizioni di legge”). Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 La qualificazione di una riserva di legge come assoluta o relativa dipende, nei singoli casi, da un’interpretazione letterale e sistematica delle disposizioni costituzionali che la pongono (per es. la formula “nei soli casi e nei modi previsti dalla legge” sta ad indicare una riserva di legge assoluta….). La riserva di legge va distinta (anche se ha in comune la funzione di garanzia dei soggetti privati nei confronti dell’amm.ne) dal principio di legalità. Il principio di legalità: costituisce uno dei principi fondamentali del diritto amministrativo (dell'attività amministrativa) → richiamato dall'art. 1 della legge 241/90, secondo il quale “l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge”. Il principio di legalità si ricava, indirettamente, da disposizioni contenute nella Costituzione (art.113 Cost.“Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa. Tale tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti. La legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa”) e riceve un riconoscimento implicito anche dai Trattati Comunitari (Art.19 TUE e art. 262 TFUE). Assolve una duplice funzione: • legalità-garanzia → garanzia delle situazioni giuridiche soggettive dei privati, che possono essere incise dal potere amministrativo; • legalità-indirizzo → la legge funge da fattore di legittimazione e di guida dell'attività amministrativa, perchè espressione della sovranità/volontà popolare. Il principio di legalità può essere inteso in 2 accezioni: 1) coincide con il principio delle preferenza della legge, ossia che gli atti emanati dalla P.A. non possono porsi in contrasto con la legge (la legge come limite negativo all'attività della P.A.). Art. 4 D.P.C.C: “I regolamenti non possono contenere norme contrarie alle disposizioni di legge” 2) il principio di legalità richiede che il potere amministrativo trovi riferimento in una norma di legge (aspetto oggi più rilevante). Legge come limite positivo all'attività della P.A. . Quest’ultima (legge) costituisce il fondamento esclusivo dei poteri dell’amministrazione, essa dovrà attribuire in modo espresso alla pubblica amministrazione la titolarietà del potere disciplinandone le modalità e i contenuti. La pubblica amministrazione non gode di una legittimazione propria ma i poteri a lei assegnati dovranno pervenire dal circuito politico rappresentativo, cioè la legge. In assenza di una norma di riferimento che dia potere all’amministrazione, gli atti emessi potranno essere dichiarati nulli. Duplice funzione del principio di legalità inteso nel secondo senso (legge come limite positivo): • legalità formale → per soddisfarla è sufficiente la semplice indicazione nella legge (da parte di una norma in bianco) dell'apparato pubblico competente a esercitare un potere normativo secondario o amministrativo, che risulta indeterminato nei suoi contenuti. • legalità sostanziale → per soddisfarla si esige che la legge ponga, sia pur in termini generali, una disciplina materiale del potere amministrativo, definendone i presupposti per l'esercizio, le modalità procedurali e le altre caratteristiche essenziali. Riserva di legge e principio di legalità hanno alcuni elementi in comune: infatti la riserva di legge stabilisce condizioni e limiti del potere regolamentare del governo ed esige che la legge disciplini almeno una parte della materia. Altrettanto per il principio di legalità, che prescrive che il potere dell’amministrazione si esplichi attraverso l’emissione di norme secondarie ma sempre in ottemperanza alla legge. Ecco la sovrapposizione con la riserva di legge relativa. Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 Gli statuti sono approvati dal consiglio dell'ente locale a maggioranza di 2/3: devono contenere le norme fondamentali sull'organizzazione dell'ente, le forme di garanzia e di partecipazione delle minoranze. Lo statuto ha rango sub-primario perchè si pone al di sotto delle leggi statali. I regolamenti degli enti locali sono emanati nelle materie di competenza degli enti locali nel rispetto dei principi fissati dalla legge e dallo statuto. Disciplinano l'organizzazione e il funzionamento degli organi e degli uffici e l'esercizio delle funzioni. Molti altri enti pubblici hanno acquistato rilievo negli ultimi anni come le Università e le camere di Commercio e possono dotarsi di propri statuti. Gli atti normativi → gli atti normativi hanno il carattere dell'astrattezza, generalità e della novità (intensa come capacità di modificare, sostituire o integrare norme preesistenti). Sono atti giuridici che hanno come effetto la creazione, modificazione o abrogazione di norme generali ed astratte di un determinato ordinamento giuridico in base alle norme sulla produzione giuridica vigenti nello stesso ordinamento. La giurisprudenza tende a qualificare come atti normativi atipici quelli che dettano regole di comportamento a soggetti esterni all'amministrazione. In realtà nell'ambito del diritto amministrativo la distinzione tra atti normativi e non, riferita sopratutto agli atti amministrativi generali (v. dopo), ha scarsa rilevanza, poiché il loro regime è quasi identico, indicato dalla l. 241/90. In sede di teoria generale, si ritiene che dalla qualificazione di un atto come normativo, derivino 3 conseguenze principali: 1. si applica il principio jura novit curia, le parti possono limitarsi ad allegare e provare i fatti costituenti il diritto affermato in giudizio, ma non hanno l'onere di allegazione e di prova delle norme applicabile al caso concreto. 2. è consentito il ricorso per Cassazione per “violazione o falsa applicazione di norme di diritto”; 3. valgono i criteri d'interpretazione posti dall'art. 12 delle Preleggi. Queste particolarità sfumano , invece, in gran parte nel contesto del diritto amministrativo se si considera il regime sostanziale e processuale degli atti amministrativi, specie di quelli a contenuto generale. 1. Infatti, per quel che concerne il principio jura novit curia, nel processo amministrativo il ricorrente deve specificare i motivi di ricorso, cioè i profili specifici di vizio sottoposti all'esame del giudice e deve indicare quindi gli articoli di legge e di regolamento che si ritengono violati. Il giudice quindi non può agire d'ufficio per individuare il parametro normativo in base al quale operare il proprio sindacato. 2. Ricorribilità in Cassazione avverso sentenze del giudice amministrativo per i “soli motivi inerenti alla giurisdizione” (art.111 Cost). Pertanto non rileva se il provvedimento amministrativo impugnato sia illegittimo per violazione di una norma giuridica in senso proprio o per violazione di una prescrizione contenuta in atto amministrativo generale o circolare. La tutela offerta è infatti in entrambi i casi identica perchè è comunque esclusa la ricorribilità avverso la sentenza del giudice amministrativo che offra un'interpretazione errata della norma giuridica invocata come parametro di legittimità del procedimento impugnato. 3. Per l'interpretazione valgono le norme sui contratti civili ma ad esclusione di es. interpretazione del contratto in modo meno gravoso per l'obbligato e simili; in questo modo il regime dell'interpretazione degli atti amministrativi finisce per coincidere in gran parte con quello delle fonti normative di cui alle preleggi. Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 Provvedimento amministrativo: tra gli atti unilaterali, la figura principale è quella dei provvedimenti amministrativi. È l’ atto emanato a conclusione del procedimento amministrativo, con il quale l’ amministrazioni esercita potere a lei conferito (dalle norme) per la cura degli interessi pubblici, producendo effetti giuridici anche nei confronti di altri soggetti. I provvedimenti (atti unilaterali) vanno distinti dagli “atti strumentali”, ovvero gli altri atti che si collocano all’interno dei procedimenti (pareri, proposte, richieste d’informazione etc.). I vizi del provvedimento amministrativo sono 3: 1. violazione di legge; 2. eccesso di potere; 3. incompetenza. Ciascuno dei 3 assume un’identica rilevanza ai fini dell’annullabilità del provvedimento: così, ad es., il mancato rispetto di una disposizione contenuta in un regolamento o in un bando di concorso (tipico atto amm.vo generale) determina in entrambi i casi l’illegittimità del provvedimento applicativo. Gli atti amministrativi generali Un atto amministrativo generale è un provvedimento amministrativo che contiene norme generali ma non astratte, quindi: • generale → l'atto generale si rivolge ad una pluralità di destinatari, non determinati o determinabili a priori ma soltanto a posteriori, ossia al momento dell'applicazione; • non astratto → non è applicabile ad una pluralità indeterminata di casi. Cosa distingue un atto amministrativo generale da un atto normativo?La mancanza dell'astrattezza!!! Pertanto, l'atto (amm.vo) generale, a differenza dell'atto normativo, non può essere considerato fonte del diritto, proprio perchè manca questo carattere dell'astrattezza. Il potere di emanare atti normativi deve essere espressamente conferito dalla legge, mentre si ritiene che nella competenza amministrativa attribuita ad un organo sia implicitamente incluso il potere di emanare atti amministrativi generali. • A livello statale la competenza è attribuita: - al Governo: al quale spetta il compito di mantenere l'unità d'indirizzo politico- amministrativo e di coordinare l'attività dei Ministri, - ai Ministri: che definiscono piani, programmi e direttive generali che trovano poi svolgimento nell'attività dei dirigenti generali. • A livello locale spetta ai consigli comunali o provinciali che approvano programmi, piani territoriali etc. Il regime giuridico degli atti amministrativi generali deroga alla l. 241/90 sul regime degli atti amministrativi in senso stretto, ricalcando quello degli atti normativi: - non è richiesta la motivazione (art. 3 l. 241/90); - il procedimento non prevede la partecipazione dei privati (art. 13 l. 241/90); - l'attività di amministrazione diretta alla loro emanazione è esclusa dal diritto di accesso (art. 24 l. 241/90); - per molti atti generali è richiesto l'obbligo di pubblicazione e ciò accentua la loro valenza regolatoria. Tipi di atti amministrativi generali: 1. bandi di concorso e avvisi di gara; 2. atti di pianificazione e di programmazione (piani e programmi); 3. ordinanze contingibili e urgenti; 4. direttive e atti di indirizzo; 5. “norme” interne – circolari. 1.Bandi di concorso e avvisi di gara Le P.A. organizzano concorsi sia per assumere personale sia per assegnare appalti/contratti di fornitura. I bandi e avvisi di gara sono atti che disciplinano nel dettaglio le regole del Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 concorso (es. quanti e quali posti ci sono, specificano i requisiti per parteciparvi, indicano quali sono i documenti da presentare etc.). Sono atti amministrativi generali perchè si rivolgono a persone indeterminate che non si conoscono e il bando disciplina solo quella disciplina: quando si esaurisce il concorso, il bando termina i suoi effetti. Quando una P.A. viola una disposizione del bando, il risultato del concorso è illegittimo perchè l’atto a monte è viziato. 2.Atti di pianificazione e di programmazione (piani e programmi) Una delle esigenze che presiedono all’esercizio dei poteri amministrativi è che esso avvenga in modo ordinato e coerente con una stretegia complessiva. In molte materie, pertanto, la legge prevede un’attività di pianificazione o programmazione con la quale si prefigurano obiettivi, limiti contingenti, priorità e altri criteri che presiedono all'esercizio dei poteri amministrativi e all'attività degli uffici pubblici (es. rilascio dei permessi di costruzione nel rispetto dei piani regolatori comunali etc.). L'attività di pianificazione serve anche a creare i raccordi tra i diversi livelli di governo (Stato, Regioni e Comuni) secondo il metodo della “pianificazione a cascata” (es. in materia sanitaria, l'attività di programmazione si articola nel piano sanitario nazionale e, a livello regionale, nei piani sanitari regionali). Il piano regolatore è lo strumento principale di governo del territorio da parte dei comuni. Suddivide: • zonizzazione → divisione in zone omogenee, con l'indicazione per ciascuna di esse delle attività insediabili in base a criteri e a parametri definiti in modo uniforme a livello nazionale (attività edificatoria, agricola, industriale etc.) • localizzazione → divisione in zone destinate a edifici - infrastrutture pubbliche o ad uso pubblico. Se la localizzazione riguarda terreni di proprietà privata, essa determina un vincolo di inedificabilità della durata di 5 anni (salvaguardia e misure di salvaguardia → si preclude la possibilità di rilasciare permessi a costruire non compatibili con le nuove prescrizioni, fin dalla adozione formale del piano), che decade se nel frattempo non interviene l'espropriazione. Il piano regolatore è approvato all'esito di un procedimento aperto alla partecipazione dei privati. Infatti, il piano viene adottato dal comune e pubblicato per 30 gg. al fine di consentire agli interessati di prenderne visione e di presentare osservazioni. Il piano adottato deve essere poi approvato dalla Regione (pubbl. in Gazzetta della Regione). In definitiva, il piano regolatore si qualifica come un atto complesso che prevede il coinvolgimento del Comune e della Regione con poteri propri. Natura mista del piano (si discute se il piano sia un atto normativo o atto amministrativo generale): → da un lato, dispongono in via generale ed astratta in ordine al governo ed all'utilizzazione dell'intero territorio comunale; → dall'altro, contengono istruzioni, norme e prescrizioni di concreta definizione, destinazione e sistemazione di singole parti del comprensorio urbano. 3. Ordinanze contingibili e urgenti Servono ad affrontare una situazione d'emergenza ed imprevedibile, quando tale situazione sia tale da mettere a rischio interessi collettivi nazionali come incolumità, sicurezza pubblica o dell'ambiente. In tal caso si attribuisce ad un organo (solitamente monocratico), il potere di adottare misure per affrontare queste situazioni, di solito non precisate proprio perchè imprevedibili, ovvero si possono tipizzare solo dopo che si sono realizzate (ex post): questo potere lo hanno il Prefetto, il Sindaco (in ambito locale) e il Ministro. L'autorità competente è dotata di ampia discrezionalità sia nel momento in cui apprezza in concreto se la situazione di fatto giustifichi l'esercizio del potere di ordinanza, sia nel momento in cui essa individua le misure specifiche da adottare. È richiesta comunque una motivazione adeguata. Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 per l’applicazione di esse) per farle assumere valenza esterna (gli obblighi di pubblicità sono stati confermati anche per finalità di prevenzione della corruzione iac d.lsg. 33/2013). Inoltre se una norma interna è violata da un provvedimento amministrativo, il giudice amministrativo può censurarlo per eccesso di potere. • Una specie sui generis di norma interna è costituita dalla prassi amministrativa, cioè dalla condotta uniforme assunta dal tempo dagli uffici (da non confondersi con la consuetudine, che invece è fonte di diritto perché si forma un convincimento generalizzato della sua obbligatorietà). Circolare → lo strumento di orientamento e di guida principale dell'attività amministrativa. Secondo la definizione classica, la circolare è “un atto di un'autorità superiore che stabilisce in via generale ed astratta regole di condotta di autorità inferiori nel disbrigo degli affari d'ufficio”(Cammeo). Nella vita quotidiana sono considerate uno strumento di orientamento e di guida degli uffici amministrativi che, di fatto, ha per questi un grado di cogenza, superiore alle norme giuridiche anche di rango primario. Siccome il contenuto delle circolari può essere il più vario (possono contenere ordini, direttive, interpretazioni di legge e altri atti normativi) perdono così il carattere di atto amministrativo tipico e conservano soltanto il significato di strumento di comunicazione di atti, ciascuno dei quali aventi una propria configurazione tipica. Esistono tre tipologie di circolari: 1. interpretative → servono a rendere omogenea l'applicazione di nuove normative da parte della P.A. L'inferiore a livello gerarchico si deve attenere all'interpretazione indicata dal superiore gerarchico negli stessi limiti entro i quali deve ottemperare alle istruzioni e agli ordini emanati da quest'ultimo. L'interpretazione non è vincolante. 2. normative → funzione di orientare l'esercizio del potere discrezionale degli organi titolari di poteri amministrativi. Esse non hanno per oggetto l’interpretazione delle norme da applicare, bensì gli spazi di valutazione discrezionale rimessi dalla legge all'autorità amministrativa. 3. informative → vengono diffuse all'interno dell'organizzazione notizie , informazioni e messaggi di varia natura e in questo senso possono essere assimilate a bollettini e newsletter specializzate e a diffusione limitata previste in molti contesti anche privati. 6. Testo Unico e Codice: data la necessità (emersa intorno agli anni ’90) di riorganizzare la legislazione in determinate materie più importanti, si è avuta un’ evoluzione dello strumento dei testi unici, ovvero l’ unificazione di norme già esistenti, per farne un coordinamento formale. Si distinguono in testi unici innovativi e quelli di mera compilazione: - innovativi: sono emanati su autorizzazione legislativa→ sono fonti di diritto in senso proprio di rango primario o secondario a seconda del tipo di autorizzazione legislativa (determinano l'abrogazione delle leggi precedenti). - mera compilazione: sono invece emanati su iniziativa autonoma del Governo e hanno la funzione pratica di unificare in un unico testo le disposizioni di una materia. Il Codice invece è più ambizioso perché ha un intento sistematico e avrebbe valenza di fonte primaria. Sviluppi recenti: la funzione di regolazione dello stato si sta sempre più evolvendo e mette in crisi le tradizionali classificazioni in tema di fonti normative e di atti amministativi. - Una prima linea direttrice di evoluzione è rappresentata dalla cosidetta Soft Law: tale evoluzione, proveniente dai paesi anglosassoni, prevede che alcune autorità di regolazione (Consob, Banca d’Italia ecc.) pubblichino nei loro bollettini o nei loro siti atti e note informative (ovvero strumenti informali), denominati (variamente) inviti, segnalazioni, messaggi, volti a influenzare i comportamenti delle autorità amministrative e degli amministrati. Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 La soft law mette in discussione il principio di tipicità delle fonti e degli atti amministrativi con valenza regolatoria, che costituisce un’esplicazione del principio di legalità. Il grado di effettività della soft law dipende essenzialmente dall’autorevolezza dell’organo da cui essa promana (es. la moral suasion esercitata in via informale dalla Banca d’Italia nei confronti degli istituti di credito…). Altra forma evolutiva si verifica con la cosidetta Comply or Explain, dove il regolatore non impone regole uguali per tutti ma propone una soluzione ritenuta ottimale, non vincolante, per il singolo destinatario che, se non accetta, dovrà motivare e accollarsi le responsabilita del caso. Questo sistema è applicato in molti paesi a livello europeo nei codici di “Corporate Governance” che individuano l’assetto organizzativo di vertice delle società, incluso il sistema dei controlli interni. Più flessibile appare una corrente di pensiero ispirata al cosiddetto Paternalismo Libertario: in questo caso lo stato, anziché obbligare i soggetti (magari minacciando sanzioni), individua una opzione preferibile per la tutela dei reali interessi dei soggetti privati, senza però eliminare la loro possibilità di scelta. L’opzione proposta dai poteri pubblici si applica, per così dire, di default, ovvero in mancanza di una diversa manifestazione di volontà esplicita del soggetto interessato (i sistemi opt out sono preferibili rispetto agli opt in in quanto producono risultati migliori dal punto di vista dell’interesse dello stesso soggetto privato e, in definitiva, dell’interesse pubblico). - Una seconda linea direttrice dell’evoluzione consiste nell’emergere di ipotesi nelle quali la funzione di regolazione è cogestita dal regolatore pubblico e da soggetti privati. Ultimamente, leggi recenti di derivazione europea hanno reso obbligatorio attribuire ad autorità amministrative indipendenti il potere di regolazione nei procedimenti di interesse. Altro modello di coregolazione moderna emerso in Italia è quello della Autoregolazione Monitorata, prevista per l’organizzazione e la gestione dei mercati regolamentati di strumenti finanziari, che può essere svolta da società di gestione del mercato, cioè da soggetti privati. Questi hanno, tra l’altro, il compito di predisporre un regolamento di disciplina del mercato (il regolamento approvato è poi sottoposto a controllo pubblicistico da parte della Consob). Altri modelli di coregolazione sono rapresentati dai codici di rete per la definzione delle condizioni tecniche di accesso alle reti elettriche e del gas: l’Aurotità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico definisce in modo più o meno dettagliato il modello, che spetta poi ai titolari di rete ulteriormente specificare, sottoponendo la relativa proposta di codice all’esame dell’Autorità. I procedimenti sanzionatori, volti all’accertamento di un illecito, spesso si chiudono con l’emissione di una sanzione. Tuttavia, a volte, la P.A. (in casi meno gravi), accetta un impegno da parte di un privato che possiede un carattere obbligatorio (qualora non onorato si tramuta in procedimento sanzionatorio). - Una terza linea direttrice dell’evoluzione recente consiste nell’attenuarsi della distinzione (o nell’emergere di una qualche fungibilità) tra procedimenti normativi (in senso lato) e procedimenti amministrativi, che sfociano in provvedimenti individuali. Così, ad esempio, l’autorizzazione definita come atto amministrativo che consente l’esercizio di un’attività rimuovendo un limite all’esercizio di un diritto e che è emanata su istanza della parte interessata, acquista una dimensione regolatoria nei casi in cui la legge preveda l’emanazione da parte dell’autorità amministrativa delle cosiddette autorizzazioni generali. In materia di tutela della riservatezza, il Garante per la protezione dei dati personali può emanare autorizzazioni generali che si considerano rilasciate anche senza un’istanza di parte a categorie di destinatari predeterminate. Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 Altra linea direttrice consiste nell’introduzione di strumenti volti a promuovere la qualità della regolazione (Better Regulation), per il perseguimento di una pluralità di obiettivi: - contenere l’iperregolazione (regulatory inflation); - ridurre gli oneri finanziari e organizzativi; - evitare che una quantità eccessiva di regole comprometta la competitività del sistema economico etc. L’analisi di impatto della regolazione (AIR) obbliga le P.A., prima di approvare un atto di regolazione, a individuare tutte le soluzioni possibili, inclusa la cosiddetta “opzione zero”, cioè non introdurre nuove norme, valutando costi e benefici di ciascuna di esse e a esplicitarle in un documento che correda la proposta di atto normativo. Una volta approvate, le norme devono essere sottoposte anche a una verifica ex post che valuti, in particolare, i loro costi, le eventuali difficoltà applicative e i risultati conseguiti rispetto alle attese. A questo fine interviene la VIR (verifica impatto della regolamentazione), che consiste in una valutazione che può sfociare nella proposta di perfezionare, modificare o abrogare le norme emanate. Parte II – Profili funzionali Cap. III: Il rapporto giuridico amministrativo Nel capitolo precedente si è esposta la funzione di regolazione, costituita dall'insieme delle fonti normative e non normative a disposizione dell'amministrazione per regolare i rapporti con i privati e la propria organizzazione (fonti dell'amministrazione). Ora, invece, si andrà ad analizzare la funzione di amministrazione “attiva”, ovvero l'esercizio dei poteri amministrativi attribuiti dalla legge ad apparati pubblici al fine di curare, nella concretezza dei rapporti giuridici con soggetti privati, l'interesse pubblico. Alcune nozioni per capire il tema: • funzione amministrativa: sono i compiti che la legge individua come propri di un determinato apparato amministrativo, in coerenza con la finalità ad esso affidata. L'apparato è tenuto a esercitarle per la cura in concreto dell'interesse pubblico. In relazione ad essa la legge conferisce agli apparati amministrativi i poteri necessari (attribuzioni) e distribuisce la titolarità di questi ultimi tra gli organi che compongono l'apparato (competenze). • l'attività amministrativa: l'esercizio delle funzioni amministrative comporta lo svolgimento da parte dell'apparato pubblico di una varietà di attività materiali e giuridiche. L’attività amministrativa consiste, pertanto, nell'insieme delle operazioni, comportamenti e decisioni posti in essere o assunti da una P.A. nell'esercizio di funzioni affidate ad essa dalla legge. L'attività è rivolta a uno scopo o a un fine pubblico, cioè alla cura di un interesse pubblico. È dotata quindi del carattere della doverosità: il mancato esercizio dell'attività può essere fonte di responsabilità (a differenza di quanto accade nell’ambito dei rapporti di diritto comune, nei quali l’esercizio della capacità giuridica da parte dei soggetti privati è di regola libera). All’attività amministrativa fa riferimento l’Art.1 - l. 241/90, secondo il quale “l'attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, efficacia, imparzialità, pubblicità e trasparenza (EEIPT)”. Sotto il profilo giuridico, la nozione di attività amministrativa va tenuta distinta da quella di atto o provvedimento amministrativo. Essa si presta a qualificazioni che consentono di valutare in modo complessivo e unitario l’operato delle singole amministrazioni in termini sia di legalità, sia di efficienza, efficacia ed economicità (si pensi agli organi di controllo come la Corte dei Conti, preposta al controllo degli enti pubblici). L’atto amministrativo, invece, si presta a essere valutato soprattutto sotto il profilo della conformità o meno all’ordinamento (legittimità) e dell’attitudine a soddisfare nel caso Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 In definitiva si può affermare che il procedimento svolge una pluralità di funzioni che sono spesso compresenti nella singola fattispecie: di volta in volta, a seconda del tipo di procedimento, può prevalere l’una o l’altra funzione. Il procedimento costituisce, in realtà, la modalità ordinaria di esercizio di tutte le funzioni pubbliche corrispondenti ai 3 poteri dello stato, in considerazione delle esigenze di accentuare la trasparenza e di garantire meglio la tutela dei soggetti interessati di fronte ad atti che sono espressione diretta dell’autorità dello Stato: - la funzione legislativa assume la forma del procedimento legislativo (disciplinato dalla Costituzione dai regolamenti parlamentari e finalizzato all’emenazione di atti con “forza o valore di legge”); - la funzione giurisdizionale assume quella del processo, improntato al principio del contraddittorio e disciplinato dai vari codici processuali e si conclude con una sentenza dotata dell’autorità del giudicato; - la funzione amministrativa si manifesta nel procedimento amministrativo, che si conclude con un provvedimento dotato di autoritarietà o imperatività. Nel diritto privato, invece, l’attività che precede l’adozione di atti negoziali è tendenzialmente irrilevante per il diritto e resta relegata alla sfera interna del soggetto, sia esso persona fisica o persona giuridica. Il rapporto giuridico amministrativo: la funzione di amministrazione attiva pone la P.A. titolare di un potere in una situazione di tipo relazionale con i soggetti privati destinatari del provvedimento emanato. Solo nella giurisprudenza recente ha trovato il suo spazio il rapporto giuridico amministrativo, ovvero il rapporto tra P.A. (che esercita un potere) e un privato (titolare di un interesse legittimo). Quali sono i caratteri di tale rapporto (potere amministrativo vs. interesse legittimo)? Prima di vederlo, bisogna partire da alcuni concetti base di diritto privato (cenni). I rapporti giuridici interprivati vengono ricostruiti partendo dalla coppia diritto soggettivo- obbligo, i cui termini si imputano, rispettivamente, al soggetto attivo e passivo del rapporto. Diritto soggettivo-obbligo: il diritto soggettivo consiste in un potere di agire (riconosciuto e garantito dall'ordinamento giuridico), per soddisfare un proprio interesse. Alla titolarità corrisponde in capo al soggetto passivo un obbligo: es. un dovere generico e negativo di astensione, ovvero non interferire o turbare l’esercizio del diritto (diritti assoluti, come i diritti reali e della personalità). Rapporto paritario tra soggetti che agiscono nell’esercizio della loro capacità negoziale. Potestà: situazione giuridica soggettiva attiva che, a differenza di quanto accade per il diritto soggettivo attivo, è attribuita al singolo soggetto per il soddisfacimento di un interesse altrui. Si tratta, cioè, di un potere-dovere, nel senso che il soggetto è tenuto a esercitarla secondo criteri “non già di pieno” ma di “prudente arbitrio” e nel farlo deve perseguire la finalità della cura dell’interesse altrui (nel diritto di famiglia, tipicamente, la potestà genitoriale). Una particolare categoria di diritti soggettivi è costituita dal diritto potestativo: esso consiste nel potere di produrre un effetto giuridico, con una propria manifestazione unilaterale di volontà. Ciò sul presupposto di una prevalenza attribuita dalla norma all'interesse del titolare del potere rispetto a quello del soggetto che subisce una modificazione nella propria sfera giuridica: quest’ultimo si trova in uno stato, definito, di soggezione, ovvero nella posizione di colui sul quale ricadono, ineluttabilmente (ovvero indipendentemente dalla propria volontà e senza che gli sia richiesta alcuna attività), le conseguenze della dichiarazione di volontà altrui. I casi più tipici di diritto potestativo nei rapporti interpretativi sono il diritto di prelazione (art.732 cod.civ), diritto di riscatto nella compravendita (art.1500 cod.civ.), diritto di recesso (art.1373), revoca del mandato (art. 1723) etc. Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 Rapporto non paritario, molto simile al diritto amministrativo, che anch'esso può produrre un effetto costitutivo, modificativo o estintivo di una situazione giuridica in modo unilaterale. Il diritto potestativo può essere suddiviso in: 1. diritto potestativo stragiudiziale → l'effetto giuridico discende direttamente dalla manifestazione di volontà del titolare del potere (es. licenziamento di un lavoratore: anche in questo caso vi può essere intervento giudiziale ma ex-post rispetto alla produzione dell'effetto giuridico). 2. diritto potestativo a necessario esercizio giudiziale → l'effetto giuridico discende da un previo accertamento giudiziale, in aggiunta alla dichiarazione di volontà del titolare del potere (es. separazione giudiziale tra coniugi). Il potere amministrativo rientra nello schema del diritto potestativo del primo tipo (stragiudiziale). La produzione dell'effetto giuridico discende in modo immediato dalla dichiarazione di volontà della P.A. che emana il provvedimento. L'accertamento giudiziale può avvenire solo ex-post innanzi al giudice amministrativo su iniziativa del soggetto privato nella cui sfera giuridica l'atto impugnato ha prodotto l'effetto. Perchè si sceglie il primo tipo? Per garantire l'immediata realizzazione dell'interesse pubblico, la cui cura è affidata all'amministrazione. Specificità del potere amministrativo rispetto al diritto potestativo stragiudiziale. Rapporti interpretativi: • Il diritto potestativo stragiudiziale trova un fondamento consensuale di tipo pattizio (es. contratto di lavoro). • La fattispecie descritta dal diritto potestativo è vincolata e non trova spazio discrezionalità. Il solo ambito di scelta riconosciuto al titolare del diritto attiene al se esercitarlo. Rapporto amministrativo: • L'atto amministrativo trova fondamento nella legge, cioè nella norma di conferimento del potere. • Il potere conferito dalla legge alla PA non è sempre integralmente vincolato ma può esser lasciato spazio alla discrezionalità. Potere Amministrativo: la legge attribuisce tale potere ad una amministrazione dello stato. 4. La norma attributiva del potere Come abbiamo gia avuto modo di vedere, la legge attribuisce all’amministrazione (potere amministrativo) un potere di emanare provvedimenti (manifestazioni unilaterali di volontà) capaci di determinare variazioni nella sfera giuridica di un soggetto. Secondo la classificazione tradizionale le norme riferite alla pubblica amministrazione sono di 2 tipi: 1) norme di azione: disciplinano il potere aministrativo nell’interesse della pubblica amministrazione; hanno come scopo assicurare che l’emanazione degli atti sia conforme a parametri predeterminati. Non hanno una funzione di protezione degli interessi dei privati (interessi legittimi). 2) norme di regolazione: sono quelle norme volte a regolare i rapporti intercorrenti tra amministrazione e soggetti privati, a garanzia anche di questi ultimi, definendo direttamente l’assetto degli interessi e dirimendo i conflitti insorgenti tra cittadino e P.A. . Emerge la differenza tra interesse legittimo (correlato alle norme di azione) e diritto soggettivo (correlato alle norme di regolazione). In realtà, anche alle norme che disciplinano l’attività amministrativa va riconosciuta ormai una valenza relazionale e una funzione di tutela dell’interesse del soggetto privato, oltre che dell’interesse pubblico. Appare dunque preferibile utilizzare la forma più generica di norma attributiva (o di conferimento) del potere. Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 In attuazione del principio di legalità, la norma attributiva del potere individua gli elementi caratterizzanti il potere in astratto (particolare potere attribuito a un apparato pubblico): - il soggetto competente; - il fine pubblico; - i presupposti e i requisiti; - le modalità di esercizio del potere e i requisiti di forma; - gli effetti giuridici. 5. Il Potere Discrezionale e la Discrezionalità La discrezionalità, che può essere riferita oltre che al potere, anche all’attività ed al provvedimento amministrativo, costituisce la nozione più caratteristica del diritto amministrativo. Essa si rinviene, in realtà, anche in altri ambiti del diritto pubblico (si parla infatti di discrezionalità del legislatore, del giudice etc.). Nel diritto amministrativo, la discrezionalità connota l’essenza dell’amministrare, cioè della cura (in concreto) degli interessi pubblici. Tale attività presuppone che l’apparato titolare del potere abbia la discrezione di scegliere la soluzione migliore per ogni caso concreto. Sembra una contraddizione in termini, poichè fin ora abbiamo sempre affermato che le amministrazioni sono vincolate a ciò che sancisce la norma di riferimento. Tuttavia dobbiamo anche ricordare che le situazioni soggettive possono anche essere diverse da quelle menzionate nella fattispecie tipica e quindi è a quel punto che entra in gioco la discrezionalità dell’apparato,che dovrà dare conto sempre al principio della legalità ma con qualche spazio di manovra. Tale principio è menzionato nell’art 19 della legge 241/90 che ha introdotto per molte autorizzazioni vincolate un regime di liberalizzazioni (art. 19 – “Segnalazione certificata di inizio attività” - Scia). Il privato ora autovaluta se ha titolo per svolgere una certa attività, la intraprende sulla base di una semplice comunicazione all’amm.ne (corredata da un’autocertificazione): il controllo dell’amm.ne sulla conformità dell’attività alla legge avviene a posteriori. La discrezionalità amministrativa non ha una sua definizione ma i principi generali sono enunciati nell’ art 11 della l. 241/90 e nell’art 21-octies della medesima legge (relativamente ai vincoli dettati dalla legge), ma volendo porre una definizione possiamo affermare che “la discrezionalità amministrativa consiste nel margine di scelta che la norma rimette all’amministrazione affinchè essa possa individuare, tra quelle consentite, la soluzione migliore per curare nel caso concreto l’interesse pubblico”. Tale scelta dovrà essere fatta in modalità comparativa analizzando la migliore soluzione per il conseguimento dell’interesse pubblico primario senza tralasciare gli interessi pubblici secondari”. Per questi motivi possiamo affermare che la discrezionalità amministrativa incide su 4 elementi distinti: 1) sull’an, se esercitare il potere ed emanare un provvedimento in una determinata situazione concreta; 2) sul quid, ovvero sul contenuto del provvedimento; 3) sul quomodo, sulle modalità da seguire per l’adozione di un provvedimento al di là della disciplina dettata dalla legge; 4) sul quando, ovvero sul momento più opportuno per esercitare tale potere ed avviare il procedimento. In base alla norma di conferimento, un potere può essere discrezionale o vincolato in relazione a uno o più di questi elementi. Occorre ora porre la distinzione tra discrezionalità in astratto e vincolatezza in concreto. Nel corso del procedimento, la discrezionalità può ridursi via via fino ad annullarsi del tutto. Una riduzione del vincolo della discrezionalità può avvenire anche per un’altra via, attraverso il cosiddetto “autovincolo alla discrezionalità”. Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 2)distinzione tra potere vincolato e potere discrezionale: nei confronti di un’attività vincolata, il privato vanterà un diritto soggettivo; al contrario, nel caso di attività discrezionale, il cittadino potrà vantare solo un interesse legittimo. 3)carenza di potere o cattivo esercizio del potere: tutte le volte in cui si lamenti un cattivo uso del potere, si farà valere un interesse legittimo. Mentre nel caso in cui si voglia contestare l’esistenza stessa del potere in capo all’amministrazione, si farà valere un diritto soggettivo. 9. Il diritto di accesso ai documenti amministrativi: il diritto di accesso è disciplinato dall'art. 22 della legge n. 241/90, come modificata dalla legge n. 15/2005. Esso è lo strumento attraverso il quale sono stati attuati i principi fondamentali della P.A. come quello della trasparenza e dell'imparzialità. Il diritto in questione rileva in due ambiti: - accesso procedimentale: si instaura cioè un legame funzionale tra principio di trasparenza (sotto forma di accesso al fascicolo procedimentale) e diritto di partecipazione; colui che è coinvolto nel procedimento amministrativo può accedere agli atti per tutelare meglio la propria posizione, avendo cognizione degli stessi; - accesso non procedimentale: diritto auonomo che può essere esercitato anche fuori dal procedimento da chi ha interesse ad esaminare documenti detenuti stabilmente da una P.A. . L’accesso non è consentito a chiunque: non basta la semplice curiosità. È necessario che la richiesta di accesso abbia alla base un interesse in qualche modo differenziato e la titolarità di una posizione giuridicamente rilevante (non necessariamente di un diritto soggettivo o un interesse legittimo in senso proprio, ma anche una situazione giuridica allo stato potenziale). Si tratta, peraltro, di un criterio che presenta margini di opinabilità e che l’art. 7 l. 124/2015 mira a rimuovere allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo di risorse pubbliche (un’eccezione si ha in materia ambientale, nella quale l’accesso alle info è consentito a chiunque ne faccia richiesta senza necessità di dichiarare un proprio interesse – iac art.3 d.lgs 195/2005 di attuazione della direttiva 2003/4/CE). Un’altra eccezione è costituita dal cosiddetto “accesso civico”(art. 5 d.lgs.33/2013), in base al quale chiunque può chiedere l’accesso alle informazioni di dati che le amm.ni avrebbero cmq l’obbligo di pubblicare sui propri siti o con altre modalità (in sostanza, l’accesso civico serve a rendere effettiva l’osservanza degli obblighi di pubblicità e trasparenza, al fine di prevenire fenomeni corruttivi). Sotto il profilo oggettivo, l’accesso è escluso in alcune materie (documenti coperti da segreto di stato, quelli relativi a procedimenti tributari, procedimenti per l’adozione di atti amm.vi generali, documenti contenenti info di carattere psico-attitudinale di terzi). Altri casi di esclusione possono essere individuati tramite regolamento di delegificazione, laddove sussista il rischio di una lesione di interessi pubblici quali la sicurezza/difesa nazionale, politica monetaria e valutaria, riservatezza di persone fisiche, gruppi, imprese e associazioni (art. 24 l.241/90). Accesso e riservatezza: allorchè siano presenti esigenze di tutela della riservatezza, l’amm.ne deve compiere una duplice operazione: - deve comparare l’interesse all’accesso e il contrapposto interesse alla riservatezza di terzi; - deve valutare se l’accesso ha il carattere della necessarietà (da distinguersi dalla semplice utilità). Il bilanciamento tra esigenza di pubblicità e tutela della riservatezza riguarda le info che le P.A. sono tenute a pubblicare sui siti istituzionali ai sensi del d.lg. 33/2013 nei casi in cui si tratti dei cosiddetti dati sensibili (linee guida – provv. 243/2014). Potere di differimento: la l. 241/90 ha inoltre attribuito all’amm.ne il cosiddetto “potere di differimento”, che consiste nella posticipazione del momento in cui l’accesso può essere esercitato. Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 Le questioni in materia vengono rimesse alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Si discute sulla natura giuridica del diritto di accesso: la posizione espressa dal CdS nel 2006 è nel senso che si tratti di un diritto soggettivo poiché la P.A., valutata l'esistenza dei presupposti per l'esercizio del diritto di accesso, sarà obbligata a consentirlo: di recente, invece, si è diffusa l’idea che non si tratti di un diritto soggettivo in senso proprio, ma che esso vada inquadrato nell’esercizio dell’interesse legittimo (da ciò è stata tratta che il diniego di accesso costituisce un provvedimento impugnabile nel termine di decadenza di 60 gg. piuttosto che nel termine dei diritti soggettivi). Tutela: in caso di rigetto della P.A. (di consentire l'accesso o nel caso in cui la P.A. non provveda nel termine di 30 gg.) l'interessato potrà, nei 30 gg successivi: - agire dinanzi al TAR con rito accelerato (in cui il TAR decide in Camera di Consiglio); - rivolgersi al difensore civico (se trattasi di atti di un'amministrazione comunale, provinciale o regionale); - rivolgersi alla Commissione per l'accesso agli atti (nel caso di accesso ad atti di una PA statale). Questi potranno accertare l'illegittimità del comportamento omissivo (diniego della PA) e obbligare la PA a consentire l'accesso nel termine di 30 gg. successivi. Nel giudizio la parte potrà non ha necessità di farsi assistere; la P.A. potrà intervenire a mezzo di un suo dirigente. Nel caso in cui la P.A. non proceda ugualmente l'interessato potrà agire in ottemperanza. I limiti al diritto di accesso: 1) documenti coperti dal segreto di Stato; 2) procedimenti tributari; 3) nei confronti dell'attività della P.A. diretta all'emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione; d) nei procedimenti selettivi, nei confronti dei documenti amministrativi contenenti informazioni di carattere psicoattitudinale relativi a terzi. In aggiunta a quanto detto, la P.A., sulla scorta dell'art. 24 rinnovato con legge n. 15/2005, può individuare le tipologie di documenti propri o di cui è in possesso da sottrarre all'accesso. In buona sostanza, si è voluto riconoscere ai Ministeri la facoltà di individuare, con appositi regolamenti, quegli atti che per la loro natura e il loro contenuto contengano informazioni in grado di pregiudicare la riservatezza. Si stabilisce, inoltre, che la istanza di accesso agli atti amministrativi non può essere vanificata quando basti differire il potere stesso ad una data successiva a quella della richiesta. Ricorrendo questa ipotesi, il provvedimento di differimento deve indicare a partire da quale data l'istante è autorizzato all'accesso degli atti. Va comunque tutelato il diritto dell'istanza la cui richiesta di accesso è motivata dalla necessità di dovere curare e difendere i propri interessi giuridici. La P.A. non è autorizzata a valutare la fondatezza o la ammissibilità della domanda che l'istante intende proporre all'Autorità Giudiziaria, ma deve solo esaminare la richiesta e valutarne la corrispondenza con i principi fissati dalla normativa. Il diritto alla riservatezza (privacy): una regola particolare vale per quel che concerne i dati cd. "sensibilissimi" cioè tali da contenere informazioni sullo stato di salute o sulla vita sessuale di un soggetto. In questo caso il diritto di accesso può prevalere solo se abbia la finalità di tutelare un diritto di almeno pari rango. La comparazione degli interessi non deve essere fatta in astratto, bensì con riferimento al caso concreto. Con particolare riguardo ai soggetti legittimati, l’art. 22 L. 241/90 definisce interessati “tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso". Dalla definizione riportata emerge come il legislatore abbia esteso la qualifica di “interessati” ai soggetti privati “portatori di interessi diffusi”. Il legislatore non ha fatto altro che recepire pronunce giurisprudenziali adottate nel corso degli ultimi anni, ed inoltre ha stabilito di dovere negare l'accesso tutte le volte in cui la istanza era finalizzata a svolgere un controllo sull'operato della P.A., controllo puro e semplice avulso da un interesse specifico del richiedente. Un’ eccezione a quanto sopra esplicitato è stata introdotta dalla normativa in materia ambientale che ha esteso sia il numero degli istanti - legittimati all'accesso - sia il numero dei documenti visibili. A fronte di una richiesta di accesso, quindi, possono apparire dei soggetti contro-interessati all'accesso stesso: sono definiti controinteressati "tutti i soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall'esercizio dell'accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza”. La attribuzione ad un soggetto della qualifica di controinteressato è subordinata alla esistenza di un interesse collegato e derivante dalla sopravvivenza dell'atto impugnato, così come il controinteressato deve essere un soggetto ben individuato o, comunque, individuabile. Il controinteressato deve essere, quindi, un soggetto le cui generalità si desumono, direttamente o indirettamente, dagli atti di cui si chiede l'accesso. Da notare che il controinteressato può esercitare un opposizione all'accesso solo in determinate materie: epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale. In altre parole il controinteressato è il soggetto titolare del diritto alla riservatezza che verrebbe compromessa dando seguito alla istanza di accesso; va però sottolineato che il diritto alla informazione non ha come contraltare il diritto alla riservatezza e, quindi, allorché viene espressa una decisione negativa all'accesso, questa ha un valore in quanto tale e non quale riconoscimento del diritto alla tutela dei dati personali. I controinteressati devono essere avvisati dell'avvio del procedimento - ai sensi dell'art. 7 - al fine di consentire loro di parteciparvi: il controinteressato diventa parte necessaria del giudizio amministrativo. L'art. 22, comma 6, prevede un limite di tipo oggettivo all'esercizio del diritto di accesso che può essere esercitato "fino a quando la pubblica amministrazione ha l'obbligo di detenere i documenti amministrativi ai quali si chiede di accedere". Una precisazione deve essere fatta per chiarire i rapporti tra il diritto alla riservatezza e il diritto alla informazione. La problematica inerente i rapporti tra il diritto di accesso e la riservatezza ha avuto inizio con la legge 142/90 e, successivamente, con la legge 241/90 e la recente legge 15/2005 - per quanto concerne il diritto alla informazione - e con la legge 675/96, il decreto legislativo n. 135/99 e, con l'attuale Testo unico in materia di riservatezza dei dati personali, il decreto legislativo n. 196/2003 - per quanto attiene a diritto alla riservatezza. Trattasi di due diritti entrambi di rango costituzionale: quello sull'accesso discendente dagli articoli 97 e 98 mentre quello sulla riservatezza derivante dall'art. 2 . In merito alla definizione di “dati personali” e alla conseguente possibilità di una sua ostensione, era sorta una controversia tra il Garante della Privacy e il Tribunale di Roma: sul punto è intervenuta successivamente la Corte di Cassazione per affermare che la nozione di dato personale si estende anche alle perizie medico-legali di una compagna di assicurazioni e che in merito a tali dati l'interessato ha il diritto ad accedervi. Nel caso in cui la richiesta di accesso sia in contrasto con la tutela della riservatezza dei dati sensibili, così come disciplinata dall'art. 60 del Decreto Legislativo n. 196/03, la comunicazione del dato è consentita se l'interesse che sottende la richiesta di accesso è di rango pari o superiore ai diritti del soggetto interessato o consiste in un diritto della personalità, ex art. 2 della Costituzione, o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile. Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 Proporzionalità: anche tale principio è enunciato in varie disposizioni legislative europee e sul Trattato dellUnione Europea. Questo principio afferma che il contenuto e le forme dell’azione dell’Unione non devono eccedere quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei Trattati (commisurazione agli obiettivi). 2) Principi sull’attività: nell’art. 1 della l. 241/90 sono enunciati i criteri generale della pubblica amministrazione che sono (oltre la legittimità): l’economicità, l’efficienza, l’imparzialità, la pubblicità e la trasparenza. Tutto sommato tali criteri possono essere riferiti anche all’atto e al procedimento amministrativo per il fatto che questi due istituti fanno parte integrante della vita dell’amministrazione. A tali criteri sono da sommare altri criteri costituzionalmente garantiti come il criterio del buon andamento. Buon Andamento: è sancito all’art. 97 Cost. e consiste nel conseguimento di risultati più o meno positivi effettivamente conseguiti mediante l’uso efficiente delle risorse disponibili. Efficienza: tale principio è sancito dall’art. 1 della legge 241/90. Una amministrazione si può definire efficiente qualora abbia raggiunto considerevoli risultati, utilizzando in maniera oculata le risorse disponibili e scegliendo tra le alternative possibili quella che produce il massimo dei risultati con il minor impegno di mezzi. Efficacia: mette invece in relazione i risultati ottenuti con gli obiettivi prefissati in un piano o programma. I due principi (efficienza ed efficacia) sono totalmente indipendenti in quanto si può raggiungere un elevato grado di efficacia con un inefficiente apporto di risorse. Economicità: tale principio è considerato la risultanza degli altri due in quanto è la capacità di utilizzare in modo efficiente le risorse disponibili per conseguire, in modo efficace, i propri obiettivi. 3) Principi sull’esercizio del potere discrezionale: sono da considerare le linee guida delle amministrazioni dello stato nel caso la norma attribuisca scelte tra molteplici soluzioni. Essi sono: principio di imparzialità, proporzionalità, ragionevolezza, legittimo affidamento, certezza del diritto e precauzione. Imparzialità: richiamato dall’art. 97 Cost. e dall’art. 41 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione, esso si riferisce all’esercizio della discrezionalità della P. A. e al divieto di favoritismi (o influenza) effettuata sia dalla politica che dai privati. Tale principio è posto a garanzia della Par Condicio tra tutti i cittadini della Comunità di fronte all’amministrazione. Proporzionalità: tale principio è di derivazione costituzionale tedesca e fatto proprio dalla Corte di Giustizia Europea (soprattutto in materia di sanzioni, aiuti di stato etc.). Esso richiede all’amm.ne che opera una valutazione discrezionale un giudizio guidato, in sequenza, da 3 criteri: - idoneità: mette in relazione il mezzo adoperato con l’obiettivo da perseguire; - necessarietà: mette a confronto le misure ritenute idonee e orienta la scelta su quella che comporta il minor sacrificio possibile; - adeguatezza: consiste nella valutazione della scelta finale in termini di tollerabilità. Ragionevolezza: principio di carattere generale che raccoglie, anche in parte, il principio di proporzionalità. Infatti il fondamento di tale principio è la logicità intesa come oculata scelta dei mezzi e delle decisioni (da parte dell’amm.ne), che non dovranno eccedere per dimensioni o intensità a quello strettamente necessario per il conseguimento di un obiettivo. Legittimo Affidamento: anche tale principio è di provenienza tedesca e presiede anch’esso all’esercizio della discrezionalità. Esso mira a tutelare le aspettative ingenerate dalla pubblica amministrazione con un proprio atto o comportamento (in Europa esso trova applicazione negli aiuti di stato). Nel diritto interno, il principio del legittimo affidamento interviene, ad esempio, a proposito del potere di annullamento d’ufficio del provvedimento illegittimo, per l’esercizio del quale è richiesta all’amm.ne una valutazione degli interessi dei destinatari del provvedimento e una considerazione del tempo ormai trascorso. Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 Certezza del diritto: principio fondamentale per il legislatore, il quale dovrà essere più chiaro possibile quando trascrive una norma; altrettanto sarà il comportamento dell’amministrazione nello svolgimento della sua opera. Ovvero: le situazioni giuridiche soggettive nonché i rapporti devono essere conoscibili e prevedibili. Precauzione: enunciato all’art. 191 del TUE in materia di ambiente, è stato adottato poi come principio generale. In Italia è utilizzato sopratutto in giurisprudenza in materie di coltivazioni OGM: quando esistono gravi risschi per la salute delle persone, le autorità possono adottare misure protettive in maniera precauzionale senza dover attendere. 4) Principi sul provvedimento: i principi generali sul provvedimento sono 2: principio sulla motivazione e sulla sindacabilità degli atti (MS). Motivazione: tale principio sancisce l’obbligo per l’ amministazione di motivare per iscritto la decisione alla base dell’emissione del provvedimento ai sensi dell’art. 1 L. 241/90 poiché, attraverso la motivazione, il destinatario potrà ricostruire le ragioni poste a fondamento del provvedimento. Sindacabilità: il principio della sindacabilità degli atti amministrativi è sancito dagli artt. 24 e 113 Cost.: nell’art. 113 si afferma che gli atti che legano i diritti soggettivi e gli interessi legittimi sono sottoposti a controllo giurisdizionale del giudice amministrativo e ordinario. 5) Principi sul procedimento: i principi relativi al procedimento sono il principio del contraddittorio, il principo di pubblicità e il principio di trasparenza (CPT). Contraddittorio: tale principio è richiamato nella Carta Dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea ed acquisita forza nel nostro ordinamento all’art. 7 della L. 241/90, nel quale si sancisce il diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga sollevato un provvedimeto che gli rechi pregiudizio. Pubblicità e trasparenza: anch’esso enunciato nella Carta Dei Diritti Fondamentali Dell’unione Europea, sancisce il diritto di ogni individuo di accedere al proprio fascicolo nel rispetto dei legittimi interessi della riservatezza e del segreto professionale. CAPITOLO 4 - IL PROVVEDIMENTO Provvedimento amministrativo Il provvedimento è l'atto tipico di esercizio dell'attività di amministrazione attiva; in particolare esso è la manifestazione del potere amministrativo cui è affidata la cura concreta dell'interesse pubblico primario assegnato all'amministrazione agente. Le caratteristiche principali del provvedimemento amministrativo sono (UIIEENT): 1. Unilateralità: il provvedimento amministrativo è frutto dell'autonoma ed esclusiva determinazione dell'amministrazione agente. 2. Imperatività: indica la particolare forza giuridica del provvedimento amministrativo perfetto ed efficace, che consiste nella realizzazione automatica ed immediata degli effetti giuridici, senza necessità di collaborazione da parte del destinatario. 3. Inoppugnabilità: il provvedimento amministrativo imperativo, scaduti i termini per la sua contestazione da parte dei soggetti legittimati, diviene stabile. Ne deriva che ai destinatari eventualmente lesi dal provvedimento è preclusa ogni forma di contestazione dell'efficacia della statuizione provvedimentale, sia essa valida o invalida. Ciò non significa che il provvedimento è anche intangibile: infatti, quantunque inoppugnabile, tale atto resta soggetto ai poteri di annullamento e revoca dell'amministrazione pubblica. 4. Esecutività: idoneità del provvedimento a produrre effetti giuridici in modo autonomo ed immediato una volta divenuto efficace. 5. Esecutorietà: nei casi e con le modalità previsti dalla legge il provvedimento può essere portato ad esecuzione coattivamente dalla P.A. senza la necessità dell'intervento giurisdizionale (ad eccezione degli atti non autoritativi). L'esecutorietà è dettata da esigenze di certezza e di celerità dell'esercizio del potere della P.A. . Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 6. Nominatività: ad ogni interesse pubblico corrisponde un determinato provvedimento definito e disciplinato dalla legge. 7. Tipicità: la legge determina la funzione e il contenuto del provvedimento. Ne consegue che ogni provvedimento risponde ad una causa prevista dalla legge che ne definisce il contenuto. 8. Obbligo della motivazione: l'art. 3 della legge 241/90, in applicazione del principio della trasparenza, ha introdotto l'obbligo di motivazione del provvedimento amministrativo. La motivazione è lo strumento attraverso cui la P.A. esterna i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche posti a fondamento di un determinato provvedimento. L'art. 3 individua alcuni atti che non hanno bisogno di motivazione e cioè: questi sono gli atti normativi e gli atti a contenuto generale (il legislatore ha positivizzato il principio per il quale si tratta di atti ampiamente discrezionali, detti "a motivo libero" e non immediatamente lesivi di posizioni private). A questi la dottrina aggiunge altri atti che non necessitano di motivazione e precisamente: atti ampliativi della sfera giuridica del privato; atti vincolati nei quali non c'è spazio per la scelta della P.A. ed atti oggettivamente non amministrativi (pur provenendo dalla P.A.). Il comma III dell'art. 3 disciplina la motivazione per relationem, nel senso che essa può essere espressa anche con riferimento ad atti del procedimento amministrativo come, ad esempio, pareri o valutazioni tecniche. In tal caso, però, per la legittimità dell'atto amministrativo, è necessario che l'atto indicato per relationem sia reso disponibile. Al riguardo parte della giurisprudenza ha rilevato la sufficienza dell'indicazione dell'atto e la non necessarietà della materiale allegazione stante l'accessibilità dell'atto. Secondo altra giurisprudenza, la motivazione per relationem, costituendo un'eccezione al generale obbligo di motivazione, implicherebbe sempre l'obbligo di allegazione dell'atto oggetto della relatio. Secondo una posizione mediana, l'allegazione sarebbe necessaria solo in caso di provvedimenti discrezionali. Prima dell'art. 3 si riteneva che la mancanza della motivazione determinasse una delle figure sintomatiche di eccesso di potere: oggi la mancanza di motivazione integra una violazione di legge. Resta un vizio di eccesso di potere nel caso di motivazione carente o incongrua. 9. I provvedimenti ablatori reali, i provvedimenti ordinatori e le sanzioni amministrative. L‘art. 21 della l. 241/90 sancisce l’esistenza dei cd. provvedimenti limitativi, che sono quegli atti che limitano la sfera giuridica del destinatario e che acquistano la loro efficacia con la comunicazione a questi ultimi (qualificandoli come “atti recettizi”). Le principali categorie degli atti limitativi sono i provvedimenti ablatori, gli ordini e le diffide e i provvedimenti sanzionatori (sanzioni). Provvedimenti ablatori reali: tra i provvedimenti ablatori rientrano una vastissima gamma di atti autoritativi che restringono o modificano la sfera giuridica di un individuo (attraverso l’imposizione di prestazioni o obblighi di fare e di non fare). Tra i provvedimenti ablatori reali più in voga ricordiamo, ad esempio, le espropriazioni per pubblica utilità: con tale provvedimento si trasferisce coattivamente il diritto di proprietà da un privato all’amministrazione (a prescindere dal volere del privato) per fini pubblici. Di conseguenza il privato ha diritto ad un indennizzo costituzionalmente garantito: tale indennizzo non coincide con il valore di mercato del bene espropriato, ma non può essere neanche irrisorio. Tra i provvedimenti ablatori reali rientrano anche l’occupazione temporanea preordinata, la requisizione (di uso di beni mobili e immobili per periodi temporanei), le servitù pubbliche. I provvedimenti ordinatori (provvedimenti ablatori personali): si distinguono in ordini amministativi e provvedimenti di imposizione, i quali obbligano il destinatario a fare o non fare (divieto). Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 Le concessioni costitutive sono quelle concessioni che attribuiscono al soggetto privato un nuovo diritto. In riferimento all’oggetto, vi sono molteplici categorie di concessioni come ad esempio le concessioni di beni pubblici (estrazioni di cave), la concessione di servizi pubblici (le trasmissioni e distribuzione di energia elettrica, giochi e scommesse), concessione di lavori. Quest’ultima categoria è cosa diversa dai contratti di appalto, in quanto viene concessa la gestione di un’opera e non la sua costruzione (es. pedaggio autostradale). In diritto europeo non esiste la differenza tra concessione ed autorizzazione in quanto il dirito europeo prevede che il controllo sia fatto in modalità preventiva prima del rilascio del provvedimento di autorizzazione (in quanto contrario al principio della discrezionalità). 12. Gli atti dichiarativi. Dopo l’analisi dei provvedimenti restrittivi e ampliativi proseguiamo con i provvedimenti dichiarativi: di tale categoria fanno parte le certificazioni, gli atti paritetici, le verbalizzazioni e le valutazioni tecniche o pareri. Le Certificazioni: sono provvedimenti amministrativi di uso frequente riguardanti spesso dichiarazioni rilasciate da una P.A. in relazione ad atti, fatti, qualità e stati personali soggettivi. L’art. 18 della legge 241/90 prevede due modalità di certificazione: la prima è il diretto scambio di informazione di un determinato individuo direttamente tra le P.A. (esonerando lo stesso dalla presentazione di tale documento); la seconda è l’autocertificazione, cioè un dichiarazione dell’individuo al possedimento di determinati requisiti richiesti. Resta inteso che le autocertificazioni mendaci (false), sono perseguibili penalmente. Gli atti paritetici: sono atti ricognitivi di un assetto già definito in tutti i suoi elementi da un norma che attribuisce un diritto soggettivo. Le verbalizzazioni: sono atti che definiscono la narrazione dell’accaduto. Tale atto è molto utilizzato nei giorni nostri sopratutto dalla polizia municipale quando emette un verbale di constatazione di infrazione al codice della strada (es. divieto di sosta). Quindi si procederà alla trascrizione del verbale e la contestuale emissione della sanzione. Valutazioni tecniche e pareri: tali atti si annoverano nella categoria degli atti non provvedimentali e consistono nella manifestazione di un giudizio rilasciato da un organo amministrativo competente, contenente delle valutazioni in ordine a interessi pubblici che dovranno essere presi in considerazione da parte dell’ente che ne ha fatto richiesta. 13. Altre classificazioni di atti: collettivi, plurimi, di alta amministrazione, collegiali. Dagli atti generali vanno tenuti distinti gli atti collettivi e gli atti plurimi. Atti collettivi: si indirizzano a categorie, ristrette, di soggetti considerati in modo unitario precedentemente individuati con precisione (ad esempio allo scioglimento di un consiglio comunale). Atti plurimi: sono anch’essi rivolti ad una pluralità di soggetti, ma prevedono la scindibilità dei destinatari (ad esempio la trascrizione di una graduatoria dei vincitori di un concorso pubblico). La distinzione rispetto ad un atto collettivo si vede sopratutto in sede di tutela giurisdizionale, in quanto un singolo elemento della graduatoria potrà appellare un fatto personale senza che tale situazioni rientri nella sfera giuridica degli altri componenti della stessa graduatoria. Atti di alta amministazione: questa tipologia di atti è emersa per distinguerli dagli atti politici. Infatti tali atti sono eseguiti dal Governo ma, a differenza degli atti politici, possono essere sottoposti a tutela giurisdizionale amministrativa e spesso hanno funzioni organizzative e di raccordo interno tra il potere politico e la pubblica amministrazione (tra uffici di ministri e presidenti con nomina e revoca di prefetti etc.etc.). Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 Atti complessi: accanto alla possibilità che l’emanazione di un provvedimento amministrativo avvenga per mano di un organo monocratico, vi è la possibilità che il provvedimento venga emesso da un organo collegiale (ad esempio un provvedimento interministeriale). Atti collegiali: differenti rispetto agli atti complessi in quanto l’atto collegiale viene emanato congiuntamente da più organi di differenti categorie (ad es. una delibera di organizzazioni di categorie). 14. L’invalidità dell’atto amministrativo: il provvedimento amministrativo è invalido quando è difforme dalla norma che lo disciplina. In base alla gravità della violazione si configurano 2 concetti: nullità e annullabilità. Le due forme di invalidità sono determinate dall'inosservanza delle norme giuridiche, con la differenza che l'atto nullo (art.21 L.241/90 septies) è, in quanto invalido, inefficace di diritto e viene considerato tamquam non esset, mentre l'atto annullabile è comunque idoneo a produrre i suoi effetti che permangono nell'ordinamento giuridico fino a quando e solo se, su istanza di parte, non venga dichiarata, in via giudiziale, l'illegittimità dell'atto stesso. L'art. 21 octies L. 241/90 prevede che “è annullabile il provvedimento amm.vo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza" . L'atto illegittimo è idoneo a produrre effetti fino a che non intervenga una pronuncia giurisdizionale che ne determina la caducazione retroattiva o fino a che sono sia annullato d'ufficio dalla stessa amministrazione nell'esercizio dei propri poteri di autotutela. Invero, con la riforma della L. 241/90 (avvenuta ad opera della legge n. 15/2005) sono state introdotte importanti novità, tra cui la codificazione dell'istituto della nullità del provvedimento amministrativo (art. 21-septies) e l'introduzione dei c.d. vizi non invalidanti del provvedimento, cioè quelle illegittimità formali o procedimentali, che possono non condurre all'annullamento dell'atto ai sensi dell'art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241/90. Tali disposizioni sono state inserite nel nuovo capo IV-bis della legge n. 241/90, intitolato: « Efficacia ed invalidità del provvedimento amministrativo. Ricapitolando: Per quanto concerne la nullità, nel diritto amministrativo essa costituisce una forma speciale di invalidità, che si ha nei soli casi, in cui sia specificamente sancita dalla legge (vds in basso), mentre l'annullabilità del provvedimento costituisce la regola generale di invalidità del provvedimento, a differenza di quanto avviene nel diritto civile dove la regola generale è quella della nullità. Una delle novità contenute introdotte dalla riforma della legge n. 241/90 (ovvero dalla L. 15/2005) è costituita dalla codificazione dell'istituto della nullità del provvedimento amministrativo (art. 21septies). L'art. 21-septies della (rinnovata) legge 241/1990 prevede che il provvedimento amministrativo è nullo quando: - manchi degli elementi essenziali; - sia viziato da difetto assoluto di attribuzione; - sia stato adottato in violazione o elusione del giudicato;- in tutti gli altri casi espressamente previsti dalla legge. Con riguardo all'inesistenza, resta quindi priva di definizione normativa la categoria dell'inesistenza, che costituisce esclusivamente il frutto di quell'elaborazione dottrinale, secondo cui l'atto inesistente è un quid facti, giuridicamente irrilevante. Mentre il provvedimento nullo è un provvedimento potenzialmente capace di produrre effetti, il provvedimento inesistente è invece un'entità giuridicamente irrilevante, incapace in radice di produrre alcun effetto materiale. Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 In epoca meno recente, dottrina e giurisprudenza hanno sovente considerato le due forme di invalidità assoluta della nullità e dell'inesistenza come un fenomeno unitario, utilizzando la generale e onnicomprensiva definizione di "nullità-inesistenza" dell'atto amministrativo. A seguito dell'entrata in vigore dell'art. 21-septies della legge n. 241/90 alcune delle ipotesi, che parte della dottrina aveva in passato inquadrato nella categoria dell'inesistenza, sono state ricomprese dal legislatore nel concetto di nullità del provvedimento amministrativo (difetto assoluto di attribuzione, mancanza degli elementi essenziali dell'atto) e deve quindi ritenersi che la categoria dell'inesistenza sia oggi limitata a quei casi in la c.d. "inqualificazione giuridica" dell'atto sia evidente. 15. Annullabilità del provvedimento amministrativo. L’atto amministativo affetto da: - incompetenza; - eccesso di potere;- violazione di legge è illegittimo, pertanto suscettibile di annullamento ai sensi del art. 21 L. 241/90. Tale dichiarazione di annllamento elimina l’atto e i suoi effetti in modo retroattivo e grava sull’amministrazione l’obbligo di porre in essere tutte le attività necessarie per il ripristino delle situazioni antecedenti alla emanazione dell’atto annullato (“effetto ripristinatorio”). In realtà annullabilità e illegittimità sono vocaboli usati in modo intercambiabile. I vizi di annullamento possono essere: 1) vizi formali o procedurali, ossia di natura procedurale (“error in procedendo”): in questo caso l’amministrazione potrà ripresentare tale provvedimento in modo corretto. 2) vizi sostanziali, ossia di natura sostanziale come ad esempio la mancanza di un presupposto o di un requisito (“error in judicando”): in questo caso l’amministrazione non potrà reiterare in nessun modo il provvedimento simile. La retroattività dell’annullamento, sin ora, era un principio consolidato in giurisprudenza amministativa. Sul versante processuale l’art. 29 del processo amministrativo prevede appunto l’annullabilità dell’atto per le motivazione di incompetenza, eccesso di potere e illeggittimità dinnanzi al giudice amministrativo nei termini perentori di 60 giorni dall’emissione. Tale annullabilità dell’atto non potrà essere rilevata d’ufficio dal giudice ma potrà essere sollevata solo dalla controparte e potrebbe dare seguito anche ad un risarcimento del danno. 16. L’incompetenza è un vizio del provvedimento adottato da un organo o da un soggetto diverso da quello indicato dalla norma attributiva del potere: si tratta, cioè, di un vizio che attiene all’elemento soggettivo dell’atto. Le incompetenze possono essere: - relative, ossia quando il provvedimento viene emanato da un organo che appartiene alla stessa branca, settore dell’organo titolare del potere assegnato dalla norma. - assolute, che determini nullità o carenza di potere (difetto di attribuzione), si ha allorchè esiste assoluta estraneità soggettiva e funzionale tra l’organo che ha emanato l’atto e quello competente. In realtà la differenza tra questi 2 è molto sottile: il vizio viene qualificato usualmente come incompetenza relativa, mentre l’incompetenza assoluta è rara. Sul piano meramente descrittivo, il vizio dell’incompetenza si articola in 3 ipotesi principali: 1) incompetenza per materia, che attiene alla titolarità della funzione; 2) incompetenza per grado, attiene all’articolazione interna degli organi (il provvedimento viene emesso da un organo senza tener conto della gerarchia). 3) incopetenza per territorio, ossia il provvedimento viene emesso da un organo che non ha competenza di operare sul quel territorio. 17. La violazione di legge: è considerata una categoria residuale composta dai vizi non compresi tra l’ecceso di potere e incompetenza. Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 Funzioni. Il procedimento amministrativo assolve a diverse funzioni: 1) La prima è quella di consentire un controllo sull’esercizio del potere (attraverso l’operato del giudice amministrativo) che verifica la sequenza degli atti e operazioni. 2) La seconda è quella di far emergere tutti gli interessi posti a fondamento del provvedimento sia per la pubblica amministrazione sia per il privato. 3) La terza funzione è quella del contraddittorio a favore dei soggetti incisi negativamente dal provvedimento. Essa connota soprattutto i procedimenti di tipo individuale, nei quali la P.A. esercita un potere che determina effetti restrittivi delle sfera giuridica del destinatario. Secondo il procedimento amministrativo esistono 2 forme di contraddittorio (verticale ed orizzontale). Contraddittorio verticale: si riferisce ai casi in cui il rapporto giuridico ha carattere bilaterale, da un lato la pubblica amministrazione e dall’altro il destinatario diretto del provvedimento. Qui l’amm.ne deve cmq essere “parte imparziale”, deve cioè a un tempo curare l’interesse pubblico (di cui essa è portatrice) e garantire la posizione della parte privata, portatrice di un interesse contrapposto. Contraddittorio orizzontale: in questo caso i portatori di interessi sono due o più privati e l’organo della pubblica amministazione fa da garante. Contradddittorio (orizzontale) di tipo paritario: si ha, ad esempio, nei procedimenti di tipo contenzioso attribuiti alla competenza delle autorità di regolazione, chiamate a pronunciarsi su controversie tra consumatori e imprese (che erogano il servizio). Contraddittorio (orizzontale) non paritario: nei procedimenti sanzionatori di tipo antitrust nei quali, all’impresa sospettata di aver compiuto un illecito anticoncorrenziale (abuso di posizione dominante) si contrappone l’impresa che ha denunciato all’Autorità Garante della concorrenza o del mercato (alla Commissione UE) il comportamento illecito. 4) La quarta funzione del procedimento è quella di operare da fattore di legittimazione del potere dell’amm.ne e di promuovere, pertanto, la democraticità dell’ordinamento amministrativo (democrazia procedimentale): in tal modo il procedimento diviene un modo di accesso alla giustizia amministrativa per tutti ed diviene la sede dove individuare la regola per il caso concreto. 5) La quinta funzione è quella di coordinamento tra tutte le amministrazioni, nel caso in cui il provvedimento vada a incidere su una pluralità di interessi pubblici. In un modello di organizzazione amm.va improntato al pluralismo (amm.ni statali, regionali, locali, agenzie, autorità indipendenti etc.) questa funzione ha assunto un peso crescente. Coordinamento debole e forte: accanto a modelli di coordinamento debole ( il parere obbligatorio non vincolante), la legislazione amm.va prevede modelli di coordinamento più forte (parere vincolante, intesa, decreto interministeriale). In definitiva si può affermare che il procedimento ha una pluralità di funzioni che sono spesso compresenti nella singola fattispecie: di volta in volta, a seconda del tipo di procedimento, può prevalere l’una o l’altra funzione. 2. Le leggi generali sul procedimento e la 241/90: il procedimento amministrativo è al centro del sistema del diritto amministrativo in molti ordinamenti e ha trovato una disciplina organica in leggi generali, dalle quali ha tratto ispirazione la legge 241/90. Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 In Austria nel 1875 fu istituito il tribunale amministrativo con particolari poteri di annullare atti amministrativi. Negli Stati Uniti negli anni ‘30 venivano attribuite alle agenzie federali i poteri regolatori dell’amministrazione: questo potere determinò un conflitto istituzionale tra Presidente e Corte Suprema che fu superato nel 1946 con l’Administrative Procedure Act (che legittimò il ruolo delle agenzie federali, ma le sottopose a regole e controlli stringenti). In altri ordinamenti, come quello tedesco (1976) e in quello spagnolo (1958), questi Paesi si dotarono di leggi speciali in materia amministrativa e in particolare in procedimenti amministrativi. In Italia il primo tentativo di creare una legge amministrativa fu effettuata nel 1944, affidando i lavori a Ugo Forti. Tale progetto non fu mai approvato. Agli inizi degli anni ‘80 fu intapreso un nuovo progetto redatto da Mario Nigro, il quale diede le basi per la elaborazione della 241/90. Tale legge è stata negli anni rimaneggiata più volte fino all’ultima modifica strutturale del 2005, quando fu inserito il provvedimento amministrativo. La legge 241/90 non contiene una definizione generale del procedimento, tantomeno una disciplina generale delle fasi, ma bensì una serie di principi e di istituti come il termine, la figura del responsabile del procedimento, la partecipazione, la semplificazione, il diritto di accesso ad atti amministrativi. La 241/90 si applica sia a profili soggettivi che oggettivi. Profili soggettivi: vuol dire che le disposizioni in essa contenuta si aapplicano a tutte le amministrazioni dello stato, agli enti pubblici nazionali e anche alle società a parziale e/o totale capitale pubblico. Le disposizioni di accesso hanno un campo di applicazione ancor più esteso che include anche i gestori dei pubblici servizi (art.23). Inoltre le Regioni e gli enti locali possono dotarsi di una propria disciplina sulla bse dei principi stabiliti dalla l. 241/90. Profili oggettivo: la 241/90 si applica nella sua interezza ai procedimenti di tipo individuale. Le disposizioni sull’obbligo di motivazione, sulla partecipazione al procedimento e sul diritti di accesso non si applicano, invece, agli atti amministrativi generali ed agli atti normativi (i procedimenti tributari neanche sono sottoposti alla L.241/90 ma ad essi si applicano discipline speciali). Altra importante considerazione da fare è il rapporto tra P.A. e cittadino (destinatario del provvedimento) che si è instaurato a seguito della l. 241/90. 1) La l. 241/90 ha definitivamente colmato la distanza e la separazione tradizionale esistente tra P.A. e soggetto privato. Oggi con l’ingresso del privato nel procedimento si possono eventualmente ricercare anche delle eventuali soluzioni consensuali prima impossibili. La partecipazione del privato è utile anche alla stessa amm.ne in una visione di tipo collaborativo. 2) La l. 241/90 ha ridotto anche le distanze tra le stesse amministrazioni titolari di poteri diversi: infatti, grazie ad essa, molte aministrazioni collaborano per il raggiungimento di interessi pubblici comuni o analoghi (sono privilegiati strumenti consensuali di collaborazione paritaria per lo svolgimento di attività di interesse comune come gli accordi e di coordinamento tra procedimenti paralleli come la conferenza dei servizi). Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 3) Viene attenuata la concezione individualistica e atomicistica dei rapporti tra Stato e cittadino propria della concezione liberale ottocentesca: infatti oltre al singolo privato potranno partecipare al procedimento anche associazioni di categorie o altre forme di associazioni portatrici di interessi diffusi. L’amm.ne si apre, cioè, alle espressioni della società civile. 4) La l. 241/90 supera in gran parte il principio del segreto di ufficio sulle attività interne all’amm.ne, che rendeva imperscrutabile l’operato dell’amm.ne (in quanto la legge intima la trasparenza degli atti compiuti dalla pubblica amministrazione). 5) La l. 241/90 fa cadere il velo dell’anonimato che si frapponeva tra il cittadino e gli apparati amm.vi, vistidall’esterno come un tutto indistinto spersonalizzato. Infatti la legge prevede che venga reso publico il responsabile del procedimento che in questo modo umanizza il provvedimento ed il cittadino sa a chi rivolgersi. In definitiva possiamo affermare che la 241/90 è annoverata tra le leggi più avanzate ed in linea con i valori espressi dalla Costituzione: essa ha segnato il superamento del modello autoritario dei rapporti tra stato e cittadino favore di un modello che pone l’accento sulle garanzie e sui diritti del cittadino, che entra in contatto con l’amm.ne. Essa ha operato un cambio di paradigma interpretativo: può essere infatti considerata come una legge attributiva di nuovi diritti di cittadinanza amministrativa e può essere annoverata tra quele più avanzate e più in linea con la visione contemporanea di una società aperta. 3. Le fasi del procedimento amministrativo. Il procedimento amministativo si suddivide in tre fasi specifiche che sono: l’iniziativa, l’istruttoria e la conclusione. - L’iniziativa: è la fase iniziale del procedimento, l’avvio formale del procedimento destinato a sfociare nel provvedimento finale produttivo degli effetti giuridici nella sfera del destinatario. Una prima distinzione è tra obbligo di procedere o obbligo di provvedere (art. 2 della l. 241/90). Nel primo obbligo (procedere), l’amministazione è tenuta ad aprire il procedimento; nel secondo obbligo (provvedere) la stessa amministrazione è tenuta a portare il procedimento a termine con la emamazione del provvedimento risultante. Nei procedimenti su istanza di parte, l’atto iniziale è una domanda o una istanza presentata da un soggetto privato, interessato al rilascio di un provvedimento favorevole. Ma non ogni istanza del privato fa sorgere l’obbligo di procedere: quest’ultimo sorge in relazione a sequenze procedimentali tipiche (procedimenti amm.vi disciplinati da leggi amm.ve di settore). In altri casi il procedimento è aperto su impulso della P.A., che formula istanze alle altre amministrazioni competenti. In altri casi ancora il procedimento è “aperto d’ufficio”, ossia l’impulso iniziale è data dalla stessa amministrazione competente a emanare il provvedimento finale. Vi sono delle attività preistruttorie da effettuare nella fase procedimentale: la più importante di tali operazioni è senza dubbio l’ispezione. Infatti vi sono degli organi dotati di potere ispettivo (autorità di vigilanza quali Banca d’Italia, Consob, Soprintendenze Beni Culturali etc.) nei confronti di soggetti allo scopo di verificare il rispetto delle normative. L’ispezione può concludersi con la constatazione che l’attività è conforme alle norme, oppure può far emergere ftti suscettibili di integrare una o più violazioni. In quest’ultimo caso, sorge in capo all’amm.ne Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 Il potere sostitutivo è disciplinato dall’art.2 l.241/90, rafforzato dall’art. 4 l.142/2015. In primo luogo, l’organo di governo di ciascuna amm.ne individua tra le figure apicali il soggetto titolare del potere sostitutivo. In secondo luogo, il privato può rivolgersi in caso di ritardo, al titolare del potere sostitutivo (che deve concludere il procedimento entro un termine pari alla metà di quello originariamente previsto). In terzo luogo, entro il 30 gennaio di ogni anno il titolare del potere sostitutivo comunica all’organo di governo i procedimenti nei quali non è stato rispettato il termine: ciò al fine di sensibilizzarlo e indurlo a intraprendere le iniziative necessarie per risolvere il problema. Risarcimento del danno: l’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, può far sorgere l’obbligo di risarcimento del danno in favore del privato (“danno da ritardo”ex art.2 bis l.241/90). Tale responsabilità va fatta valere innanzi ad un giudice amm.vo. La l. 98/2013 prevede, anche a prescindere della sussistenza dei presupposti per il risarcimento, il riconoscimento di un indennizzo automatico per il ritardo alle condizioni e con le modalità stabilite da un regolamento. Può accadere, quindi, che l’amm.ne non concluda il procedimento entro il termine fissato per legge o stabilito dall’amm.ne e la situazione di inerzia si protragga nel tempo. Si pone così la questione del silenzio della pubblica amm.ne. Silenzio-diniego (rigetto) e silenzio-assenso (accoglimento) sono i rimedi introdotti dalla legge 241/90 per risolvere tale problema. In entrambi i casi il procedimento si conclude con un provvedimento tacito. Il silenzio-diniego: le fattispecie sono tassatiavamente stabilite dalle legge. Ad esempio la richiesta di accesso ad atti amministrativi contemplata nell’art. 25 della 241/90 prevede il termine di 30 gg. dalla richiesta, decorsi i quali la richiesta si intende respinta). Il silenzio-assenso: tali fattispecie sono molto più numerose, in linea con la tendenza a rimuovere gli ostacoli alle attività dei privati. La disciplina è contenuta all’art.20 l. 241/90, in base ad alcuni criteri di tipo negativo. Il campo di applicazione del silenzio assenso definito dall’art.20 è individuato in base ad alcuni criteri di tipo negativo: il regime non vale nei casi di provvedimenti autorizzatori (di tipo vincolato), sostituiti dalla segnalazione certificata di inizio attività di cui all’art. 19 l.241/90. Non vale per i procedimenti che riguardano un elenco piuttosto lungo di ineteressi pubblici (comma 4): patrimonio culturale e paesaggistico, ambiente, difesa nazionale, pubblica sicurezza etc,. Non vale, in terzo luogo, neppure nei casi in cui la normativa europea impone l’adozione di un provvedimento formale. Non vale, infine, neanche per i procedimenti individuati con decreto Presidente Consiglio dei Ministri. L’art.4 l.124/2015 reintroduce il criterio dell’elenco dei casi di silenzio-assenso e di segnalazione certificata di inizio di attività, delegando il governo a emanare un regolamento di delegificazione al fine di individuarli con precisione. Il silenzio assenso ha valore provvedimentale. Comporta due conseguenze specifiche: 1)Può essere oggetto di provvedimenti di autotutela sottoforma di revoca o annullamento d’ufficio. Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 2)Può essere oggetto di impugnazioni da parte di un terzo dinnanzi al giudice amministrativo. Lo stesso silenzio assenso comporta alcuni difetti come: 1)è applicabile a provvedimenti discrezionali 2)il privato non può sapere se il provvedimento è rilasciato per inerzia o per un esito negativo o positivo della istanza. Il regime del silenzio-assenso non fa venire meno l’obbligo di provvedere in capo all’amm.ne, non altera la struttura del procedimento, ma incide solo sulla fase decisionale, introducendo un incentivo al rispetto del termine. In conclusione: il silenzio-assenso è una scorciatoia che non giova né all’interesse pubblico né a quello privato e dunque non risolve il problema dei ritardi nella conclusione dei procedimenti amministrativi. Non a caso, la Corte Costituzionale ha individuato limiti di ammissibilità, specia in materia urbanistica, allo scopo di contenerne l’ambito di applicazione. Gli accordi: esistono due forme di accordi, gli accordi integrativi o sostitutivi. Esiste una modalità alternativa di conclusione del procedimento che la l.241/90 tende a favorire e cioè l’accordo integrativo o sostitutivo del provvedimento. Infatti nell’accordo è evidente la riduzione drastica del contenzioso tra la P.A. ed il privato posti entrambe su di un piano paritario, facendo salvi i diritti di entrambe le parti. Resta inteso che l’amministrazione dello Stato non è obbligata a concludere accordi obbligatoriamente con privati, potendo sempre scegliere di intraprendere la via del procedimento unilaterale. Gli accordi rappresentano una forma contrattuale e per questo motivo dovranno possedere la forma scritta ed essere motivati pena la nullità. -Integrativi: sono quegli accordi che servono solo a concordare il contenuto del provvedimento finale, che viene emanato successivamente alla stipula dell’accordo e in attuazione di quest’ultimo. Sul piano formale il provvedimento manitiene la sua configurazione di atto unilaterale produttivo di effetti giuridici. -Sostitutivi: sono quegli accordi che producono direttamente effetti giuridici e che non necessitano dell’emanazione di un altro atto formale di recepimento. Tuttavia gli accordi sostitutivi dovranno essere precedeuti da una determina dell’organo che autorizzi tale operazione. Il recesso: è paragonabile alla revoca per sopravvenute motivazioni di pubblico interesse, a cui è applicabile eventuale liquidazione di un indennizzo per eventuali danni (che tale revoca possa cagionare ad un privato). Da non confondere con il recesso dei contratti, disciplinato dall’art.21 sexies l.241/90. Procedimenti semplici, complessi, collegati. Il subprocedimento. -Semplici: sono quei procedimenti in cui vi è solo un’istanza da parte dell’interessato, una istuttoria limitata a poche verifiche ed una conseguente decisione della P.A. -Complessi: sono quei procedimenti articolati in sub procedimenti sequenziali, ciscuno avente una funzione autonoma e specifica. -Collegati: sono tutti quei procedimenti singoli ma che sono finalizzati tutti ad un unico risultato. -Di primo grado: sono finalizzati all’emanazione di provvedimenti amministrativi con effetti esterni alla cura dell’interesse pubblico. -Di secondo grado: hanno per oggetto la verifica e la leggittimità di provvedimenti amministrativi già emanati nonchè la loro compatibilità con gli interessi pubblici Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 (es. controllo sugli atti amministrativi di legittimità o di merito affidati ad organi esterni). -Finali: sono quei procedimenti funzionali alla cura di un interesse pubblico nei rapporti con un privato. -Strumentali: hanno funzione organizzativa e riguardano principalmente la gestione di risorse umane e finanziarie. La conferenza dei servizi e altre forme di coordinamento: nei procedimenti complessi e collegati si pone il problema del coordinamento degli adempimenti e delle tempistiche relative all’adozione di vari atti riferibili a una pluralità uffici o amministrazioni ciascuna titolare di una competenza specifica. Lo strumento principale per il coordinamento di tali operazioni è la conferenza di servizi, disciplinata nel capo IV rubricato Semplificazione Amministrativa, con una serie di disposizioni più volte modificate della legge 241/90 (da art.14 a art.14 quinques): essa rappresenta una o più riunioni di uffici e di organi chiamati a confrontarsi ed a esprimere il proprio parere ed far confluire il tutto in una decisione unanime. In sede di conferenza i partecipanti dovranno operare una valutazione dell’interesse pubblico e la cura di ciascuna Publica Amministrazione in connessione con tutti gli altri interessi pubblici. Esistono 3 tipi di conferenza di servizi: la conferenza di servizi istruttoria, la conferenza di servizi decisoria e la conferenza di servizi preliminare. La conferenza di servizi istruttoria: tale conferenza è facolatativa e ha la funzione di promuovere un esame dei vari interessi pubblici coinvolti in un singolo procedimento. In sostanza tale conferenza ha lo scopo di raccogliere in un unico contesto tutti gli elementi istruttori utili alla decisione finale adottata dall’organo competente ad emanare il provvedimento. Nel caso di vari procedimenti connessi riguardanti la medesima attività ed medesimo risultato si avrà la conferenza di servizi interprocedimentale. La conferenza di servizi decisoria: essa si adotta e sostituisce tutti gli atti volitivi delle singole amministrazioni quali intese, concerti, nulla oste, assensi,acquisiti per legge facendoli confluire in un unico provvedimento emanato dall’amministrazione competente. La conferenza è convocata obbligatoriamente dall’amministrazione procedente se non riceve tale documentazione entro 30 giorni dalla richiesta dei singoli atti oppure quando una delle amm.vi esprime il proprio dissenso. La conferenza è convocata dall’amm.ne competente ad adottare il provvedimento finale, anche su richiesta del sogegtto privato interessato (nel caso in cui la conferenza abbia per oggetto atti di tipo autorizzativo che condizionano l’avvio di un’attività). La conferenza dei servizi è soprattutto uno strumento di coordinamento tra pubbliche amministrazioni, ma in alcuni casi anche i soggetti privati pssono partecipare, senza diritto di voto. Esistono degli aspetti rilevanti in tale forma di conferenza di servizi quali: 1) La partecipazione obbligatoria delle amministrazioni invitate, i cui rappresentanti devono essere muniti dei poteri necessari per assumere determinazioni vincolanti. Nel caso di assenza determina l’effetto di silenzio assenso. 2) Il secondo attiene al dissenso manifestato da una o più amm.ni partecipanti alla conferenza: a partire dalle modifiche introdotte dalla l.15/2005 è venuto meno il principio dell’unanimità dei consensi (prevista nella formulazione originaria l.241/90, dati i suoi effetti paralizzanti). Si è optato per la regola attuale in base alla Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 La retrocessione dei beni espropriati: consiste nel diritto del soggetto espropriato di riacquistare la proprietà del bene nei casi in cui l’opera pubblica non è stata realizzata nel termine di 10 anni dall’esecuzione del decreto di espropriazione. In tal caso gli immobili espropriati potranno essere messi in vendita dall’espropriante ed i vecchi propriatari hanno il diritto di prelazione. Le sanzioni pecuniarie e disciplinari: tra i provvedimenti restrittivi della sfera giuridica dei destinatari rientrano i provvedimenti sanzionatori. Il procedimento pe l’irrogazione di una sanzione pecuniaria, disciplinato dalla legge 689/1981, si distingue in più fasi: 1) L’accertamento della violazione consiste nell’attività di raccolta e di prima valutazione degli elementi di fatto suscettibili di integrare una fattispecie di illecito amministrativo. 2) La contestazione degli addebiti: se l’accertamento (fase 1) fa emergere la violazione di norme amministrative, l’amministrazione procede alla contestazione dell’illecito nel comunicare al trasgressore. Ove possibile la contestazione dovrà essere immediata o notificata entro 90 giorni dall’accertamento. Questo termine ha natura perentoria poiché il suo decorso determina l’estinzione dell’obbligazione di pagamento della somma dovuta. La controparte, entro 30 giorni dalla contestazione notificata, può produrre scritti difensivi e documenti. Entro 60 giorni il soggetto interessato può procedere all’oblazione della somma ridotta, che estingue l’obbligazione pecuniaria senza che si proceda ad un accertamento definitivo dell’illecito. 3) Ordinanza/Ingiunzione: una volta comprovata la violazione all’esito delle valutazioni di tutti gli elementi istruttori, la Pubblica Amministrazione emette l’ordinanza o l’ingiunzione, ossia un provvedimento motivato che determina l’ammontare della sanzione pecuniaria e ingiunge al trasgressore il pagamento della medesima, oltre le spese, entro 30 giorni. Il pagamento dovrà essere effettuato entro 30 giorni dalla notifica del provvedimento. L’ordinanza/ingiunzione può irrogare, a seconda dei casi, anche sanzioni accessorie come la confisca di cose il cui uso, porto, detenzione o alienazione costituisce violazione amministrativa. 4) Giudizio di opposizione: contro l’ordinanza/ingiunzione può essere proposta opposizione innanzi al giudice ordinario (di pace/tribunale) entro un termine di 30 giorni dalla notificazione del provvedimento. La l. 689/81 si pone in una relazione di specialità rispetto alla l.241/90: essa contiene, cioè, un sistema organico e compiuto di norme sostanziali e procedurali che è autosufficiente, tale da non richiedere integrazioni esterne da parte della l. 241/90. In aggiunta, la l.689/81 costituisce una legge generale in tema di sanzioni amministrative: essa , tuttavia, subisce di frequente deroghe nelle discipline di settore (es. discipline di settore riguardanti autorità indipendenti, specie nel settore finanziario, che si richiamano all’Administrative Procedure Act): sono tutte tese a sottolineare il principio del contraddittorio. Altre norme speciali relative ai procedimenti sanzionatori di competenza dell’autorità garante della concorrenza e del mercato e di altre autorità di regolazione prevedono che il procedimenti sanzionatorio possa concludersi, anziché con l’accertamento dell’illecito e l’erogazione di una sanzione, con l’approvazione di impegni proposti dall’impresa alla quale è stato contestato l’illecito. Le sanzioni disciplinari: una specie di sanzioni amministrative è costituita dalle sanzioni disciplinari, previste per i dipendenti delle P.A. e per tutti i soggetti sottoposti a regimi speciali e di vigilanza attribuiti da apparati pubblici (es. promotori finanziari vigilati dalla Consob). Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 Il procedimento si conclude con l’archiviazione o con l’irrogazione della sanzione (rimprovero scritto, sospensione tmporanea dal servizio, licenziamento) entro 60 giorni dalla contestazione disciplinare dell’addebito (che deve essere per iscritto), da contestare senza indugio (per un dipendente pubblico di cui si viene a conoscenza che abbia commesso comportamenti illeciti) e comunque non oltre 20 gg. . Il dipendente è convocato con un preavviso di 10 gg. per esercitare il proprio diritto di difesa, con l’eventuale assistenza di un procuratore o di un rappresentante di un’associazione sindacale. Le sanzioni disciplinari possono essere impugnate dal dipendente davanti al giudice ordinario previo esperimento di un tentativo di conciliazione presso un collegio di conciliazione istituito presso la Direzione provinciale del lavoro (o attraverso altre procedure previste nei contratti collettivi nazionali). Nel caso di sanzioni irrogate a dipendenti esclusi dal regime di privatizzazione, la giurisdizione è del giudice amministrativo. Le autorizzazioni: il permesso a costruire.Consideriamo adesso i procedimenti che si consludono con provvedimenti che producono effetti ampliativi della sfera giuridica del destinatario. La direttiva europea nr. 2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato interno, dispone di una disciplina generale in materia di autorizzazioni. Le modalità di accesso ad un’attività di servizi devono essere sufficientemente semplici e gli Stati Membri devono istituire degli sportelli unici presso i quali, gli interessati, potranno espletare tutte le procedure e acquisire informazioni. La Commissione europea può anche stabilire formulari armonizzati a livello comunitario. La domanda di autorizzazione deve essere trattata con la massima sollecitudine e comunque entro un termine di risposta ragionevole congruo, prestabilito e reso pubblico preventivamente: le procedure devono essere chiare e tali da garantire ai richiedenti che la loro domanda sarà trattata con obiettività e imparzialità (art.13). Nell’ambito di questa cornice europea, le leggi nazionali, prevedono sequenze procedimentali simili. Un esempio di procedimento autorizzativo disciplinato dal diritto interno è quello relativo al rilascio del permesso a costruire disciplinato dal testo unico in materia edilizia, approvato con D.P.R. 380/2001. Il procedimento si apre con la presentazione presso lo sportello unico dell’ediliza del comune di una istanza sottoscritta dal proprietario del fondo. La domanda dovrà essere corredata da un’attestazione concernente il titolo di proprietà, elaborati progettuali di ciò che si vuole realizzare ed altra documentazione tecnica (relazione relativa alle strutture in cemento armato, ad esempio). Entro 10 giorni, lo sportello comunica al richiedente il nominativo del responsabile del procedimento che cura l’istuttoria, acquisendo i pareri dagli uffici comunali, nocnhè altri pareri (ASL-VVFF). All’esito di questa (istruttoria), entro 60 giorni dalla data di presentazione della domanda, il responsabile del procedimento convoca, valutata la conformità del progetto alla normativa applicabile, formula una proposta al dirigente del servizio, il quale nei successivi 15 giorni rilascia il permesso a costruire. Decorsi i termini sopra riportati, si intende formato il “silenzio-rifiuto”. L’inteerssato può, a questo punto, proporre un ricorso in sede giurisdizionale: in alternativa può richiedere, mediante istanza formale (avente valreo di diffida), che il dirigente si pronunci entro 15 gg. Decorso inutilmente anche questo termine, l’interessato può Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 richiedere alla regione di esercitare il potere sostitutivo con la nomina di un commissario ad acta, che provvede nel termine di 60 gg. In materia edilizia, molti interventi di minor impatto sono sottoposti a regimi semplificati di segnalazione certificata di inzio attività. I procedimenti concorsuali: le Publiche Amministrazioni risultano essere sempre di più enti erogatori di danaro pubblico o di altre utilità, messe a disposizione del privato (ad esempio assegnazioni di alloggi di edilizia residenziale popolare o concessioni di beni demaniali in esclusiva). Si pone allora il problema di come scegliere tra più aspiranti allo stesso bene o utilità. Alcune indicazioni sono date dalla direttiva europea 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno dispone che quando il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata autorità sia limitato (a causa della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili), gli stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali che presenti garanzie di imparzialità e trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento. L’autorizzazione così rilasciata deve avere una durata limitata e deve escludere il rinnovo automatico. Alla stessa maniera, le Direttive 2004/177CE e 2004/18/CE sui contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, il codice dei contrattti pubblici approvato con D.lgs. 163/2006, include tra i principi generali quello secondo il quale le procedure per l’affidamento dei contratti devono rispettare i principi di libera concorrenza, parità di trattament, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, pubblicità. I procedimenti di tipo competitivo o concorsuale hanno la funzione specifica di selezionare gli aspiranti ad una risorsa in base ai principi di pubblicità, parità di trattamento,, trasparenza, oggettività dei criteri etc. L’accesso a documenti amministrativi: il procedimento di accesso agli atti amministrativi si apre con una istanza da parte di un privato alla amministrazione interessata. È disciplinato, oltre che dalla l.241/90, dalla regolamento attuativo approvato con D.P.R. 184/2006. La richiesta è a iniziativa privata e si apre con la richiesta presentata dal soggetto interessato. Va rivolta a una P.A., intendendo con questo termine sia soggetti di diritto pubblico che privati (limitatamente all’attività di pubblico interesse). La richiesta effettuarsi solo per alcuni documenti determinati non per tutti. Secondo il D.P.R. 184/2006 si potranno effettuare solo 2 tipi di richieste di accesso: 1) Accesso informale: quando la richiesta è fatta in modo verbale e non vi sono soggetti controinteressati per il quale si pone un problema di riservatezza. 2) Accesso formale: è obligatoria quando vi sono dei soggetti controinteressati o quando vi sono dubbi sulla legittimazione del richiedente sotto il profilo dell’interesse. Il procedimento dovrà concludersi entro 30 giorni dalla istanza ed e previsto sia il rifiuto che il differimento il quale si potrà agire con espresso ricorso entro 30 giorni dinnanzi al giudice amministrativo: decorso il termine la richiesta si inetende respinta. Il provvedimento che rifiuta, limita o differisce l’accesso deve essere motivato. L’atto di accoglimento della richiesta indica l’ufficio e il periodo di tempo (almeno 15 gg.) concesso per prendere visione o ottenere copia dei documenti. Si è già accenato all’accesso civico disciplinato dal d.lsg.33/2013 (art.5), che ha funzione sollecitatoria nei confronti delle P.A. che omettono di pubblicare dati e informazioni in violazione degli obblighi legislativi. La richiesta d’accesso è gratuita e non va motivata: deve essere presentata al reposabile della trasparenza Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 l’impostazione automatistica dell’ordinamento attuale, il quale valorizza il principio dell’autoresponsabilità. Peraltro il controllo preventivo di legittimità costituiva un appesantimento e rallentamento all’attività amm.va. Lo stesso controllo sugli atti, inolte, ha subito un ripensamento con l’affermarsi del principio della amministrazione di risultato. Per questo motivo, nella riforma del 2001 del titolo V della Costituzione, il controllo preventivo di legittimità è venuto in gran parte meno e sono subentrate altre forme di contollo di tipo finanziario e gestionale. Il controllo sulle attività ha per oggetto la gestione di un apparato nel suo complesso e mira a valutare i risultati globali denominati ex post. A livello centrale e regionale, la Corte dei Conti svolge il controllo successivo sulla gestione del bilancio e del patrimonio delle amministrazioni pubbliche; inoltre può avere ad oggetto il controllo della finanza publica e consiste nell’esame del rendiconto generale dello Stato, presentato alla corte entro il 31 magggio sucessivo a quello di chisura dell’anno finanziario. I Controlli Gestionali: i controlli gestionali costituiscono essenzialmente la specie principale dei controlli interni della pubblica amministrazione. Questi hanno acquistato un peso crescente in parallelo al declino del controllo preventivo sugli atti. Esistono 4 tipi di controlli gestionali interni (ai sensi del d.lgs 286/1999, legge di attuazione della legge 59/97 o Bassanini I) che devono essere introdotti in tutte le amm.ni statali e non statali e sono: - controllo di regolarità amministrativa e contabile: è volto a garantire la legittimità, regolarità e correttezza dell’azione amm.va. Questo controllo è affidato agli ffici di ragioneria (ministeri), agli organi di revisione (enti locali), ai servizi ispettivi di finanza. - controllo di gestione: è volto a verificare l’efficacia, l’efficienza ed economicità dell’azione amm.va al fine di ottimizzare il rapporto tra costi e risultati. È effettuato da un organismo istituito a supporto dei dirigenti. - valutazione della dirigenza pubblica: è operata con periodicità annuale e consiste nella valutazione delle prestazioni dei dirigenti pubblici e delle competenze organizzative, anche sulla base dei risultati del controllo di gestione. Questo tipo di controllo è volto, inoltre, a far valere la responsabilità di tipo dirigenziale (tipo particolare di responsabilità). - valutazione e controllo strategico: sono preordinati a valutare l’adeguaezza delle scelte compiute in sede di attuazione dei piani, programmi ed altri strumenti di determinazione dell’indirizzo politico, in termini di congruenza tra risultati conseguiti e obiettivi predefiniti. Il controllo mira a verificare l’effettiva attuazione delle scelte indicate in questo tipo di atti e si concretizza nell’analisi della congruenza. I controllo interni tendono a migliorare l’azone amm.va e hanno prevalentemente una funzione collaborativa (costituiscono il tentaivo di introdurre all’interno delle P.A. una visione aziendalistica della gestione dei poteri pubblici). CAPITOLO 7 - LA RESPONSABILITÀ Art. 28 della Costituzione e gli sviluppi successivi. Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 La responsabilità della P.A. trova fondamento nell’art. 28 Cost., che sancisce il principio secondo il quale “i funzionari e i dipendenti dello stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili secondo le leggi penali, civili e amministative degli atti compiuti in violazione di diritti”. In tali casi la responsabilità civile si estende allo stato e agli enti pubblici. Il richiamo alle leggi civili rinvia alle norme codicistiche sulla responsabilità contrattuale, extra contrattuale e precontrattuale. A prima vista sembra che l’art. 28 voglia porre in primo piano la responsabilità personale del dipendente e solo in via subordinata (per estensione) quella dell’apparato, ma una corretta interpretazione pone a carico di entambi la responsabilità di tipo solidale e non necessariamente parallela. Tale indicazione è però in contrasto con la giurisprudenza ultima che riconoscerebbe la responsabilità alla sola amministazione. Già prima della Costituzione, infatti, la responsabilità degli apparati pubblici derivanti da comportamenti illeciti veniva riconosciuta come responsabilità diretta che sorgeva in base al rapporto organico intercorrente tra l’agente e l’amministrazione di appartenenza: la responsabilità ricade, quindi, sulla Pubblica Amministrazione, la quale potrà poi rivalersi sul dipendente in base alla responsabilità amministrativa (di tipo interno). La giurisprudenza ha via via superato interpretazioni volte a riconoscere alla P.A. aree di immunità. Anche la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionali varie leggi (che riconoscevano esenzioni dalla responsabilità a favore dell’amministrazione): in definitiva, cioè, l’evoluzione normativa e giurisprudenziale nel nostro ordinamento è stata nella direzione di far confluire sempre di più la responsabilità della P.A. nel diritto comune. La responsabilita civile da comportamento illecito. La responsabilità della pubblica amministrazione e dei suoi agenti riferita ai meri comportamenti, ovvero a condotte non ricollegabili all’esercizio di un potere o all’emanazione di un provvedimento, va analizzata tenendo distinti 3 rapporti: 1) Rapporto tra il terzo danneggiato e il dipendente pubblico (che ha posto in essere il comportamento illecito): la responsabilità del funzionario e dell’amministrazione per i danni provocati a terzi è una responsabilità diretta e solidale. Il danneggiato può scegliere se agire contro una o l’altra o per entrambi (art.22 Testo Unico sugli impiegati civili dello Stato - “Responsabilità verso i terzi”). Spesso preferisce agire solo contro l’Amm.ne (economicamente più forte), salvo che non nura astio o rancore personale nei confronti del funzionario o dipendente. 2) Rapporto tra il terzo danneggiato e la Publica Amministrazione (nella quale è inquadrato il dipendente pubblico): qui il perimetro della responsabilità della Pubblica Amministrazione è più ampio di quello della responsabilità del dipendente. Infatti le responsabilità personali del dipendente, per danni provocati nell’esercizio della sua funzione alle quali è proposto, è limitata ai casi di dolo o colpa grave. In caso di colpa lieve, l’azione risarcitoria può essere proposta soo nei confronti dell’amministrazione (e viene dunque meno il principio del parallelismo). 3) Rapporto tra pubblica amministrazione e il funzionario dipendente: l’amministrazione che abbia Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 risarcito il terzo del danno cagionato dal dipendente, può esercitare un’azione di regresso contro quest’ultimo secondo i principi della responsabilità amministrativa (art. 22 Testo Unico). Ai sensi dell’art. 2043 del c.c. bisognerà distinguere le 2 forme di illecito civile trasportabile al diritto amministrativo: 1) Illecito causato da meri comportamenti degli agenti della pubblica amministrazione; 2) Ilecito conseguente all’emanazione di un provvedimento aministrativo illeggittimo. Un esempio del primo caso può essere quello di un danno subito da uno scolaro non sorvegliato adeguatamente da un insegnante o il danno di un veicolo dovuto alla mala manutenzione della strada. In estrema sintesi, il base all’art. 2043 del c.c. per essere risarcibile il danno deve essere: - riconducibile ad una condotta colposa o dolosa dell’agente; - deve essere qualificato come “ingiusto”; - deve sussistere un nesso di causalità tra condotta ed evento pregiudizievole. Per quanto riguarda la condotta, in conformità ai principi generali, la responsabilità del dipendente e della P.A. può sorgere sia quando consegua al compimento di atti o operazioni, sia quando l’illecito consista nell’omissione e nel ritardo ingiustificato di atti o operazioni al cui compimento l’impiegato è obbligato per legge o per regolamento.In questo caso l’azione risarcitoria deve essere preceduta da una “diffida”. In caso che tali caratteristiche siano in capo ad un organo collegiale, tutti i memri del l organo saranno ‟ reponsabili, in solido, dell illecito tanne quelli che avevano dimostrato il loro dissenso. ‟ Passando ad analizzare il requisito della colpa, un aspetto particolare riguarda il rapporto tra colpa e discrezionalità. La giurisprudenza afferma il principio secondo il quale il potere discrezionale della pubblica amministrazione incontra un limite non soltanto nelle disposizioni di legge che descrivono determinate modalità ma anche alle comuni regole di diligenza e prudenza (in poche parole l’amministrazione, nell’operare le scelte discrezionali, è tenuta al rispetto del principio generale del “neminem laedere”). Quanto al requisito dell’ingiustizia del danno, prima della sentenza n.500/99 della Corte di Cassazione, la Giurisprudenza riteneva che potesse essere definito come ingiusto (ai sensi dell’art. 2043 c.c.) il danno conseguente alla lesione di un diritto soggettivo e non anche quello conseguente alla lesione di un interesse legittimo (veniva così esclusa la risarcibilità dei danni causati da provvedimenti amm.vi illegittimi). Una nuova interpretazione ai sensi dell’art. 2043 del cc. in materia di danno ingiusto è stata operata dalla corte di cassazione. La quale pone direttamente il criterio di stabilire se il danno possa essere qualificato ingiusto e non richiede che si rinvenghino altre norme primarie recanti divieti. Non ha piu rilievo determinare la situazione giuridica del privato (diritto soggettivo o interesse legittimo). A questo punto diventa fondamentale stabilire in quali casi un interesse è giuridicamente rilevante. In base al criterio sopracitato non tutti gli interessi legittimi violati sono risarcibili. Nel caso di interessi legittimi pretensivi (la sentenza 500/99 ha introdotto le maggiori novità), la cui lesione può derivare sia dal diniego illegittimo del provvedimento favorevole richiesto sia nel ritardo ingiustificato nell’adozione di quest’ultimo, il collegamento con il bene della vita non è così scontato o automatico e richiede una valutazione piu complessa. È richiesto, infatti, avviare Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 pregiudizio, deve dimostrare di aver agito con ragionevole diligenza onde limitare l’entità del danno. Responsabilità degli Stati Membri: questo secondo profilo trova origine nella giurisprudenza e più precisamente in una sentenza capostipite ossia la sentenza Francovich del 1991, che, seondo alcuni segna una tappa fondamentale nella costruzione del sistema europeo come ordinamento autonomo. In tale sentenza si scaturisce che il mancato recepimento da parte di uno stato membro (IT) di una direttiva europea entro un termine prescritto, essendo questo un obbligo., La sentenza enuncia 3 presupposti in presenza dei quali può sorgere la responsabilità: 1)che la direttiva attribuisca diritti a favore dei singoli; 2)che il contenuto di tali diritti sia individuato sulla base della direttiva stessa; 3)che esista un nesso di causalità tra la violazione dell’obbligo a carico dello stato e il danno subito dai soggetti lesi. La Corte di Giustizia ha poi affermato che la responsabilità dello Stato membro può nascere anche da un atto amministrativo adottato in violazione del diritto europeo, qualunque sia lorgano di quest’ultimo (la cui azione o omissione ha dato origine alla trasgressione) e da pronunce giurisdizionali. La responsabilità amministrativa: come abbiamo già accennato tale circostanza riguarda in particolare il danno provocato da un dipendente della pubblica amministrazione, danno che può essere un danno patrimoniale o un danno erariale. In caso di danno erariale indiretto (somma corrisposta al terzo) la Pubblica Amministrazione potrà poi rivalersi sul proprio funzionario. La responsabilità amministrativa riguarda qualsisi tipo di danno causato all’amministrazione da parte del proprio dipendente, anche nel caso di danno erariale diretto (che si ha quando il danno causato all’amm.ne da parte del proprio dipendente comporta un decremento patrimoniale o un mancato introito per l’Amm.ne). Il regime della responsabilità amministrativa è molto diverso da quello del diritto comune e si caratterizza per avere un carattere ibrido, a metà strada tra responsabilità contattuale ed extracontrattuale ma riconducibile ad una responsabilità esistente nel rapporto di lavoro: ha una finalità essenzialmente risarcitoria, ma in alcune fattispecie emerge una finalità sanziaonatoria. Per quanto concerne il campo di applicazione, sotto il profilo soggettivo questo tipo di responsabilità vale per tutte le figure di dipendenti e amministratori di società a controllo totale o parziale dello stato (funzionari, impiegati, agenti pubblici, amministratori etc.). Per tali danni possono essere chiamati a risponderne anche soggetti esterni alla amministrazione che comunque sono legati all’organo da un rapporto di servizio (es. in caso di lavori pubblici finanziati con fondi erariali). La Giuriprudenza della Corte dei Conti ha affermato che le società pubbliche, in linea di principio, non rientrano nel perimetro della responsabilità amm.va: fanno eccezione solo le società pubbliche (come la RAI) che, in virtù delle numerose deroghe legislative all’assetto di diritto comune sono assimilabili a P.A. e rientrano pienamente nel regime della responsabilità amm.va. La responsabilità ha natura personale: quando il fatto dannoso è causato da più persone, ciascuna risponde solo per la parte di sua competenza. Tuttavia in caso di Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 dolo o quando le persone coinvolte hanno conseguito un illecito arricchimento, la responsabilità è solidale (nelle deliberazioni degli oragni collegiali, la responsabilità si imputa solamente a coloro che hanno espresso voto favorevole). Sotto il profilo oggettivo, la responsabilità sorge in relazione ai fatti ed alle omissioni commessi con dolo e copa grave. Danno obliquo: danno provocato anche ad altre amministrazioni o enti diversi da quello di appartenenza (presso le quali il dipendente pubblico è distaccato o comandato), prescrivibile in 5 anni (dalla data in cui il fatto si è verificato), ovvero, in caso di occultamento doloso del danno, dalla data della sua scoperta. In questo caso il giudizio si instaura dinnanzi alla Corte dei Conti per la quantificazione del danno erariale e vanno valutati il decremento patimoniale o la mancata entrata da parte dell’amministrazione. Una particolarità del regime della responsabilità amm.va consiste nel cosiddetto potere riduttivo, in base al quale la Corte può porre a carico dei responsabili tutto o parte del danno accertato o del valore perduto: questo potere consente di modulare la somma a carico delle finanze personali del dipendente. PARTE TERZA I PROFILI ORGANIZZATIVI CAPITOLO 8 - L’ORGANIZZAZIONE L’organizzazione si definisce come quell’insieme di persone strutturate e gestite su base continuativa allo scopo di perseguire interessi e obiettivi comuni che i singoli non sarebbero in grado di raggiungere individualmente. Ogni organizazione ha una propria strutura gestionale (managment), che stabilisce le relazioni tra funzioni e ruoli e attribuisce compiti e responsabilità ai singoli appartenenti. Una distinzione elementare è tra organizzazioni informali o di fatto (can, gruppo,banda etc) e organizzazioni formali o di diritto (partito politico, fondazion e etc.). L’organizzazione pubblica è disciplimata nel nostro ordinamento da una pluralità di fonti normative: 1) La Costituzione: nella nostra costituzione i principi generali sono enunciati nell’art. 97 ( nel quale è trascritta una riserva di legge attinente all’organizzazione degli uffici pubblici), nel quale sono sanciti i principi dell’imparzialità e del buon andamento (sopratutto in materia di concorsi pubblici per l’accesso all’impiego). A questi principi deve ispirarsi sia l’attività sia l’organizzazione degli apparati pubblici ed il principio autonomistico (art.5). Altro articolo fondamentale è l’art. 5, dove si enuncia il principio autonomistico che ispira i rapporti tra stato ed Enti territoriali (si supera la visione centralistica amministrativa dello stato). L’ art. 114 individua i livelli di governo, chiarendo che la Repubblica è costituita da comuni, province, città metropolitane, regioni e dallo Stato. Prevede, in particolare, come organizzazioni fondamentali dello stato i ministeri, demandando alla legge statale il compito di individuare gli organi di governo e le funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane. La Costituzione stabilisce ancora in termini generali che nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità dei funzionari (art. 97 comma 2). In atuazione della Costituzione, numerose fonti legislative primarie disciplinano l’organizzaizone dei ministeri e della Presidenza del Consiglio dei Ministri (d.lgs 300 e 303 del 1999), degli enti locali (d lgs. 267/2000) e legge 56/2014 in tema di province e città metropolitane) e dei numerosi apparati ed enti pubblici di più antica o recente istituzione. In particolare, l’istituto degli enti pubblici richiede un fondamento legislativo espresso. Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 In attuazione delle disposizioni di rango legislativo, l’organizzazione ed il funzionamento delle amm.ni pubbliche è rimessa sia a fonti normative sub- legislative, sia a fonti aventi natura non normativa. Fonti legislative primarie: tali fonti disciplinano l’organizzazione dei Ministeri della Presidenza del Consiglio dei Ministri, degli enti locali e altri apparati pubblici (d. lsg. 300/99). Fonti sub legislative: a tali categorie di fonti appartengono i regolamenti governativi di organizzazione che individuano gli uffici di livello dirigenziale, centrali e periferici e definiscono la consistenza delle piante organiche (l.400/88). I decreti ministeriali di natura non regolamentare definiscono i compiti delle unità dirigenziali nell’ambito degli uffici dirigenziali generali. A livello regionale, gli statuti e le leggi regioanli contengono una disciplina dell’organizzazione della Regione e degli apparati regionali. Per effetto di questo complesso di fonti normative, l’organizzazione delle P.A. è disciplinata da una trama molto stretta di regole giuridiche etero imposte. Ciò a differenza di quanto accade per le persone giuridiche private, per le quali l’org. interna è rimessa in gran parte a determinazioni assunte dagli organi amm.vi (statuti, organigrammi) nel rispetto di una cornice minima di norme contenute nel codice civile. Dal complesso delle fonti (sopr. costituzionali e legislative), si possono ricavare alcuni principi generali in tema di organizzazione: - principio del buon andamento: ha risvolti sia in tema di P.A. che di organizzazione (questa seconda emerge in disposizioni legislative come quelle che prevedono il reclutamento del personale in base a concorso, cioè in base al merito); - principio di imparzialità: riferibile all’organizzazione oltre che all’attività (principio organizzativo della distinzione tra funzioni i indirizzo e di controllo proprie dei vertici politici delle P.A.); - principio di pubblicità e trasparenza (riferito al procedimento amm.vo): la recente legge anticorruzione la legge 190/2012 ed il d.lgs. 33/2013 sviluppano anche una dimensione organizzativa del principio di trasparenza. Essa era già presente nella l. 241/90 (che prevedeva la pubblicazione di tutti gli atti inerenti all’organizzazione degli apparati pubblici). Il d.lgs. 33/2013 impone alle P.A. di pubblicare sui propri siti e di aggiornare le info concernenti la propria organizzazione. La Costituzione pone anche il principio autonomistico (art. 5) che ispira i rapporti tra Stato ed enti territoriali (supera la visione tradizionale del centralinismo amm.vo e della preminenza dello stato su ogni altro apparato amm.vo). - Il principio autonomistico trova anche un bilanciamento nel principio di leale collaborazione tra i diversi livelli di governo, dal quale derivano obblighi di consultazione e informazione reciproci, doveri di coordinamento etc. Inoltre, in seguito alle modifiche all’art. 97 Cost. introdotte nel 2012, le P.A. devono assicurare, in coerenza con l’ordinamento europeo, l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico. Le persone giuridiche pubbliche: hanno la medesima capacità giuridica delle persone giuridiche private e dei concetti eleborati (per le persone giuridiche private) disciplinate dal codice civile, salvo il principio derogatorio che può derivare da norme speciali. L’art. 11 codice civile stabilisce in termini generali che province, comuni ed enti pubblici (riconosciute come persone giuridiche) godono dei diritti secondo le leggi e Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 elementi comuni che vi sono all’interno delle leggi speciali che regolano i vari apparati e considerarli generali. I regimi speciali da considerare sono: 1) Un primo insieme di norme speciali pubblicistiche è contenuto nel citato D.lgs 165/2001, che pone la disciplina generale degli uffici pubblici e dei rapporti di lavoro. L’art. 1 comma 2 definisce, inoltre, l’ambito di applicazione delle norme formulando un elenco tassativo di enti che include tutte le amministrazioni e agenzie dello stato, gli enti territoriali (regioni provincie comuni) e una serie di enti pubblici citati come Università, aziende ed enti del servizio sanitario nazionale. Tale nozione è meno generica di quella definita dalla comunita Europea che appunto genericamente definisce la Pubblica Amministrazione come “quell’insieme ristretto di apparati che partecipano in modo diretto o indiretto all’esercizio dei poteri pubblici e alla tutela degli interessi generali dello Stato”. 2) Un secondo insieme di norme pubblicistiche è costituito dalla disciplina disciplina del procedimento amm.vo contenuta nella Legge 241/90: tale legge disciplina il procedimento amministrativo e nomina le amministrazioni statali, enti pubblici nazionali, regioni ed enti locali e soggetti privati preposti all’esercizio di attività commerciali. 3) Codice dei contratti pubblici (D.lgs.163/2006): in questo codice si disciplinano i contratti per l’acquisto di beni e servizi applicabile alle amministrazioni dello stato, enti pubblici territoriali ed enti pubblici economici. 4) Patto di stabilità europeo (concordato nel Consiglio Europeo di Amsterdam del 1997): un tale patto tutti gli stati membri si impegnano a porsi obiettivi di pareggio di bilancio nel medio termine. A questo fine in Italia è stato approvato il Patto di stabilità interno (legge 448/1998), che attribuisce al Governo strumenti per vincolare al rispetto degli obiettivi di finanza pubblica anche le regioni e gli enti locali. I criteri principali adotati per individuare le Pubbliche Amministrazioni (da parte dell’ISTAT) e per distinguerle dal settore delle imprese sono: a)deve trattarsi di enti che producono beni e servizi che non siano destinati alla vendita del libero mercato; b)i beni e servizi devono essere messi a disposizione della collettività gratuitamente; c) l’attività dell’ente deve essere finanziata in prevalenza a carico delle finanze pubbliche; in definitiva la loro funzione principale deve essere quella di ridistribuzione del reddito e della ricchezza del Paese. L’elenco dell’ISTAT, formato sulla base di questi criteri, pubblicato in G.U., suddivide le amministrazioni pubbliche per tipologie ossia: a)enti di regolazione dell’attività di mercato b)agenzie c)enti a stuttura associativa d)autorità aministrative indipendenti e)enti produttori di servizi assistenziali, ricreativi e culturali f) enti di ricerca g) amministrazioni locali etc. L’elenco fornisce una ricognizione tendenzialmente completa delle Pubbliche Amministrazioni, che risulta utile per la ricostruzione della nozione generale della stessa. Quindi la nozione generale della P.A. è che si collocano al di fuori dal Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 mercato, nel senso che esse non producono beni e servizi resi sulla base di prezzi che consentano di realizzare i ricavi atti a coprire i costi (e a produrre utili). In positivo, le P.A. producono beni pubblici materiali o immateriali, quelli cioè che il mercato non potrebbe garantire in modo adeguato. Il finanziamento di tali attività è a carico della collettività. Lo Stato: è l’amministrazione per eccellenza. Fin dalla riforma di Cavour, la struttura amm.va portante è costituita da Ministeri, Agenzie e Aziende Statali. Il modello ministeriale era composto dal vertice, appunto il ministro, che fungeva da punto di raccordo tra politica e amministrazione e si connotava per la sua unitarietà, secondo il principio gerachico. In base all’art. 95 comma 4 Cost. spetta alla legge determinare il numero, le attribuzioni e l’organizzazione dei ministeri. La disciplina generale dei ministeri è contenuta nel D.lgs. 300/99: alcune funzioni sono sono state delegate alle regioni ed enti locali (“Federalismo amministrativo”). La loro organizzazione è divenuta, nel tempo, meno compatta ed omogenea e sono aumentati numericamente. Lo stesso D.lgs. (300/99) contiene l’elenco completo dei ministeri: pone una disciplina generale della loro organizzazione centarle e periferica (incluse le agenzie); specifica le attribuzioni e le principali aree funzionali. Ciascun ministero, poi, è disciplinato da un regolamento governativo. Il principio gerarchico è stato sostituito dal principio di distinzione tra politica e amministrazione, in base al quale i dirigenti sono titolari di competenze proprie, mentre ai ministri spettano solo funzioni di indirizzo politico e di controllo. Vi sono anche Ministri detti senza portafoglio, ossia singoli uffici o dipartimenti della presidenza del consiglio dei ministri. L’organizzazione dei ministeri è suddivisa in due tipi, a seconda che le strutture di primo livello siano formate da dipartimento o direzioni generali: 1) Il modello tipo Dipartimentale: tale modello è previsto per i ministeri con una pluralità di ambiti di intervento. Essi assicurano l esercizio organico e integrato di funzioni e compiti finali riguardanti grandi ‟ aree di materie omogenee. 2) Il modello per Direzioni Generali: tale modello riguarda ministeri con competenze più circoscritte. Questa tipologia prevede figure di coordinamento come un segretario generale (nominato con D.P.R. su proposta del Mi nistro competente). In ogni ministero sono istituiti ufficio di diretta collaborazione con il ministro come il gabinetto, la segreteria tecnica, ufficio legislativo. Alcuni compiti dei ministri possono essere delegati ai sottosegretari di Stato (alcuni dei qali con il titolo di viceministro), usualmente nominati all’atto di insediamento di un nuovo governo. Decentramento burocratico: in aggiunta a quelle centrali, fanno parte dell’organizzazione di alcuni ministeri anche strutture periferiche, di regola a livello provinciale. La principale struttura periferica di tutti i ministeri è la Prefettura/Ufficio territoriale del Governo. A livello regionale, inceve, il raccordo con lo stato è assicurato dal commissario del governo, che dipende funzionalmente dalla presidenza del Consiglio dei Ministri. Agenzie: il d.lgs. 300/99 le definisce (art.8) come quelle “strutture preposte allo svolgimento di attività a carattere tecnico-operativo di interesse nazionale”. Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 Esse sono delle organizzazioni con funzioni operative e dotate di una propria autonomia nell’ambito della pubblica amministrazione. Tuttavia esse sono sottoposte al potere di indirizzo e di vigilanza da parte del ministero (di appartenenza). Lo stesso d.lgs. prevede, ad esempio, la formazione dell’agenzia per i trasporti terrestri e delle infrastutture ch resta sotto la vigilanza del ministero dei trasporti. Oppure l’agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici, che resta sotto la vigilanza diretta del ministero dell’ambiente. Sono presenti anche alte forme di agenzie particolari, dotate di personalità giuridica di diritto pubblico e con una disciplina parzialmente differenziata come, ad esempio, le agenzie fiscali (agenzia delle entrate, agenzie delle dogane, agenzia del territorio e agenzia del demanio), tutte sotto la vigilanza del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Le agenzie hanno piena aurtonomia nei limiti stabiliti dalla legge e sono sottoposte al controllo della Corte dei Conti: godono, in particolare, di autonoma di bilancio, nei limiti dei fondi stanziati a tale scopo da parte del ministero competente. Ogni agenzia ha un proprio statuto, adottato con regolamento governativo emanato su proposta del Presidente del Consiglio e dei ministri competenti. Il modello dell’agenzia con deroghe più o meno mancate rispetto a quello generale del d.lgs 300/1999 è stato utilizzato anche per organismi di natura e funzioni diverse come ad es. l’agenzia nazionale per la sicurezza del volo ASI , ARAN (l’agenzia per la rappresentanza negoziale), l’AIFA (agenzia italiana per il farmaco). Aziende Statali: tali aziende derivano dallo scorporo di una serie di funzioni precedentemente assegnate ai ministeri: queste sono dotate di una propria autonomia operativa e preposte all’esercizio di attività di erogazione di servizi pubblici come ad esempio l’ANAS. Oramai quasi tutte le aziende esistenti furono trasformate in enti economici pubblici (Ente Poste, Ente Ferrovie dello Stato), o a seguito di privatizzazione in società per azioni. Un cenno a parte va fatto alle stutture afferenti la Presidenza del Consiglio dei Ministri, disciplinata dal d.lgs 303/1999, la cui struttura può essere assimilata solo in parte a quella dei ministeri, in quanto dotata di autonomia e flessibilità organizzativa più accentuata. Essa si compone di una serie di dipartimenti e uffici posti alle dipendenze di un segretario generale preposto alla gestione delle risorse umane e strumentali. Il compito di tali uffici è curare i rapporti conn il parlamento e gli organi costituzionali. Alla Presidenza del Consiglio dei ministri e in particolare, al Segretariato generale afferisce, per gli aspetti organizzativi, l’Avvocatura di Stato. Si tratta di un organo ausiliario di rango non costituzionale che ha un duplice funzione: - consulenza generale (in taluni casi obbligatoria); - rappresentanza legale in giudizio delle amministrazioni statali. Sul piano funzionale l’avvocatura dello Stato opera in modo indipendente e a questo fine è istituito, come organo di autogoverno, un consiglio. Gli enti territoriali: i Comuni, le Provincie, le Regioni. Ai sensi dell’art. 114 Cost. ed a seguito della legge di modifica costituzionale 3/2001 (come sviluppo del principio autonomistico art. 5 Cost), la Repubblica è costituita dallo Stato, dai Comuni, dalle Province, dalle città metropolitane e dalle Regioni, Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 provinciale ed il presidente dlla provincia, eletto direttamente dal corpo elettorale provinciale. Altri organi che operano sul settore provinciale sono : la camera di commercio (CCIAA). Le Città Metropolitane: la loro istituzione è di recente creazione (a seguito di un riordino delle province ai sensi della legge 135/2012 e 56/2014). Gli organi previsti sono il sindaco metropolitano, il consiglio metropolitano e la giunta metropolitana. Le funzioni generali sono quelle utilizzate dai comuni (oltre quelle assegnate dalla legge speciale per la gestione di grandi conurbazioni). La Regione: sono state introdotte a seguito referendum 1948. La loro organizzazione (delle Regioni) ricalca in qualche misura quella degli enti locali. La Costituzione (art. 121) individua come organi principali di governo delle regioni: la Giunta regionale, il Presidente ed il Consiglio regionale. Le Regioni possono disciplinare, con legge regionale, il sistema di elezione nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge statale (art.122) e individuare nello statuto la forma di governo ed i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento (art.123). Prima della legge costituzionale 3/2001, a livello regionale valeva, da un lato, il principio del parallelismo tra funzioni amm.ve e funzioni legislative (art.118), in virtù del quale le prime (amm.ve) riguardavano esclusivamente le materie atribuite dalla Costituzione alla competenza legislativa regionale; dall’altro, il principio della delega agli enti locali con legge statale delle funzioni di interesse locale; dall’altro, il principio secondo il quale la regione sercita le proprie funzioni, di regola, delegandole agli enti locali o valendosi dei loro uffici (amministrazione indiretta). In attuazione di questo disegno, lo Stato trasferì numerose funzioni amm.ve di intersse locale direttamente agli enti locali, in occasione dellle 2 principali operazioni sistematiche di devoluzione di funzioni statali alle Regioni (d.p.r. 616/1977 e d.lgs. 112/1998). Il riparto delle funzioni amm.ve tra i vari livelli di Governo è stato reimpostato in base ai principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza (art.118) tra Stato e Regione. Un controllo sugli organi è previsto dalla Costituzione (art.126) ed è previsto anche un potere sostitutivo del governo se la regione non rispetta i vincoli internazionali. Conferenza Stato-Regioni e Conferenza Stato-città-autonomie locali: sono strumenti di raccordo istituzionale tra i vari livelli. I due organi si riuniscono in conferenza unificata in relazione a materie di interesse comune (d. lgs. l281/1997). In molti casi le leggi amm.ve affidano a questi organi, presieduti dal Presidene del Consiglio (o da un suo delegato), il compito di esprimere un parere o addirittura un’intesa, quest’ultima rilevante soprattutto nei rapporti tra Stato e Regione. Gli Enti Pubblici: a partire dal XX secolo furono istituiti numerosi enti pubblici, proprio con lo scopo di superare la rigidità e la pesantezza delle ammnisistrazioni statali (le csd “amm.ni parallele”). L’ente pubblico, secondo il nostro ordinamento, è una persona giuridica creata secondo norme di diritto publico, attraverso la quale, la pubblica amministrazione svolge la sua funzione amministrativa per il perseguimento di un interesse pubblico. Occorre distinguere le principali categorie di Enti Pubblici. Enti pubblici di tipo generale e singolare: la prima distinzione è quella che differenzia un ente pubblico disciplinato da leggi generali (che ne definiscono i caratteri comuni), da uno creato con una legge ad hoc (ente pubblico di tipo singolare). Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 Nei primi rientrano le camere di comercio e nei secondi le agenzie per la protezione dell’ambiente. Enti pubblici Nazionali e Regionali: gli enti regionali sono quegli enti che operano in una determinata circostanza territoriale per perseguire un’interesse pubblico proprio di tale circostanza (es. ASL). Sono invece sono enti nazionali tutti gli altri, compreso quelli destinati a operare su ambito territoriale limitato ma per il perseguimento di un interesse nazionale. Enti associativi e non associativi. Gli enti associativi sono quegli enti di categorie o di gruppi (ordini e collegi prefessionali) i quali si caratterizzano per la presenza di organi di tipo rappresentativo. Gli organi non associativi (categoria prevalente) hanno una natura patrimoniale e sono amministrati, generalmente, da un consiglio di amministrazione con componenti nominati, a secondo dei casi, da ministeri e da altri enti di riferimento individuati dalla legge o dagli statuti. Ento pubblici non economici o economici. Alla categoria degli enti pubblici non economici appartengono ad esempio, gli enti previdenziali ed assistenziali: in termini generali sono quegli enti che si connotano per realizzare uno scopo specifico (l. 70/1975): in questo si differenziano dagli enti territoriali. Inoltre, sono sottoposti a poteri di vigilanza e di indirizzo più o meno penetranti da parte dei ministeri o delle regioni. Sono detti enti pubblici economici quegli enti che operano nel campo della produzione e dello scambio di beni e servizi e che svolgono attività prevalentemente o esclusivamente economiche, in situazioni di parità o di concorrenza, con altre imprese private. L’ente publico economico è un istituto di cui si avvale lo stato per intervenire nel sistema economico e si caratterizza per il fatto che, mentre la loro organizzazione segue moduli pubblicistici, la loro attività è espressione, in prevalenza, della loro capacità di diritto privato (enti misti). Teli enti si pongono, infatti, in concorrenza con i soggetti privati ma realizzano fini pubblici. Lo scopo di lucro non è un elemento essenziale, tuttavia è necessario che l’ente pubblico economico agisca secondo un criterio di economicità, ossia di correlazione di costi e ricavi, nel senso che l’impresa venga esercitata in modo tale che da essa si ricavi almeno quanto occorre per la copertura dei costi di gestione. L’ente publico economico, pertanto, deve coprire i propri costi di produzione e gestione attraverso quelle che sono le tariffe applicate per le prestazioni erogate. Tali enti hanno la finalità di assolvere anche altri funzioni come, ad esempio, quelle di operare interventi economici di contollo, proponendosi come calmiere dei prezzi di una determinata merce ddi mercato, producendola e vendendola ad un costo inferiore a quello dei beni analoghi prodotti da alti. Fino al 1993 tutti gli enti pubblici economici facevano capo ad appositi enti di gestione delle partecipazioni statali (IRI, ENI,ENEL,EFIM), posti sotto il diretto controllo del ministero delle partecipazioni statali. In seguito ai processi di liberalizzazione e privatizzazione, molti enti pubblici economici sono stati soppressi o trasformati in società per azioni. Questi enti che hanno per oggetto esclusivo o principale una attività economica, perseguono un fine pubblico attraverso l esercizio di una attività imprenditoriale. La ‟ disciplina applicabile al rapporto di lavoro dei dipendenti degli enti pubblici economici è quella stabilita dalle norme del codice dcivile. Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 La categoria degli enti pubblici economici è composta principalmente da enti che svolgono direttamente un’attività ecomonica di produzione di beni e servizi come ad esempio L’Enel , Ferrovie dello Stato, Poste Italiane. Questi enti erano numerosissimi fino agli anni ’70 (“Stato imprenditore”): essa annoverava i grandi gestori di servizi pubblici nazionali, come quelli summenzionati. In seguito ai processi di liberalizzazione e privatizzazione, quasi tutti gli enti pubblici economici sono stati trasformati in SPA. Enti privati di interesse pubblico: gli enti privati di interessi pubbblici sono quegli enti che pur avendo natura privatistica, esplicano funzioni o attività di particolare rilievo sociale, e proprio in virtù di questo presupposto, viene adottata una disciplina giuridica di particolare favore, attaverso il riconoscimento di sovvenzioni, esenzioni di carattere tributario. Una recente tendenza giurisprudenziale tende a qualificare come enti pubblici anche talune società per azioni in mano pubblica, soprattutto al fine di stabilire se gli atti da esse emanati ricadano nella giurisdizione del giudice amm.vo. Ciò è accaduto per società che svolgono attvità di rilevante interesse pubblico, istituite e disciplinate da leggi speciali. Queste ultime prevedono deroghe marcate rispetto al regime delle società di diritto comune e sono legate alle strutture mnisteriali da rapporti di dipendenza così stretti da attrarle in qualche modo nell’orbita pubblicistica, nonostante la veste formale privatistica (Poste italiane, ENEL etc.). Del resto, lo stesso legislatore, sia pur sporadicamente, nell’sitituire alcune società a statuto singolare le ha definite SPA con personalità giuridica di diritto pubblico. Per definire se un ente appartenga al pubblico o al privato, recentemente è stata eleborata una teoria (denominata “teoria degli indici della pubblicità”), secondo la quale l’ente si definisce pubblico se possiede i tratti somatici coincidenti con la Pubblica Amministrazione (istituzione per legge, fine pubblico, rapporto di strumentalità etc.). Le autorità indipendenti: le autorità amministrative indipendenti costituiscono una tipologia recente di ente publico. Esse hanno avuto diffusione crescente a partire dagli anni 90 del secolo scorso (“Stato Regolatore”), e si ispirano al modello anglosassone delle authorities o indipendent regulatory agencies. Esse sono caratterizzate da un elevato grado di tecnicità e professionalita nel settore di riferimento e si connotano per un elevato grado di indipendenza dal potere esecutivo. Essi si sottraggono dall’indirizzo politico e amministrativo del governo e proprio per questo si è dubitato della loro compatibilità con la Costituzione. Il loro ruolo, con la indipendenza e terzietà, è quello di tutelare gli interessi publici e della collettività, in diversi settori di rilevanza sociale. Oltre che dal potere politico, l’indipendenza delle autorità è garantita anche nei confronti degli interessi privati. I quattro aspetti fondamentali di tali autorità indipendenti sono: 1) le ragioni dell’indipendenza, che sono considerate come degli elementi moderatori interni al sistema politico, nei quali prevalgono sulle contrapposizioni politiche. Isolare questo setore dall’influenza politica assicura maggiore stabilità e coerenza alle regole dei singoli mercati. 2) gli strumenti atti a garantire la loro indipendenza: gli strumenti si desumono dalle leggi che hanno istituito tali autorità, in primo luogo esse hanno un rapporto Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 - banca centrale preposta al governo della moneta (ai fini di garantirne la stabilità); - autorità di vigilanza sugli istituti di credito al fine di garantirne la solvibilità. La prima funzione è oggi attratta a livello europeo nel SEBC (sistema europeo banche cantrali), istituito nel 1992. Al SEBC il TFUE devolve le funzioni di definire e attuare la politica monetaria, con l’obiettivo primario del mantenimento della stabilità dei prezzi e con il potere in via esclusiva di autorizzare l’emissione di banconote all’interno della Comunità. Le banche centrali costituiscono parte integrante del SEBC e agiscono secondo gli indirizzi e le istruzioni della BCE. Alla BCE, invece, così come alle banche centrali nazionali, il Trattato garantisce invece l’indipendenza dai governi nazionali, che non possono impartire istruzioni o influenzare le loro decisioni. Per quel che concerne la seconda funzione (vigilanza sulle banche.. aggiungo anche sugli intermediari finanziari sugli istituti di moneta elettronica, sugli istituti di pagamento e, d’intesa con la Consob, emana regolamenti, impartendo istuzioni e assumendo provvedimenti), è disciplinata dal d.lgs. 385/1993 e da un corpo di norme europee. Il testo unico attribuisce alla Banca d’Italia, ma anche in parte al Ministero dell’Economia e al Comitato Interministeriale per il credito e per il risparmio, un’amplissima gamma di poteri (normativi, prescrittivi, sanzionatori). Nel 2013 i governi dei paesi dell’area euro, a seguito della crisi, hanno avviato un processo normativo (“Banking Union”), che ha portato, nel 2014, all’attribuzione alla BCE di poteri di vigilanza sui principali gruppi bancari nazionali (“Regolamento UE 1024/2013”) e all’introduzione di regole comuni per la prevenzione e la risoluzione delle crisi bancarie (direttiva 2014/59/UE). Il csd, meccanismo di vigilanza unico costituisce la punta più avanzata di integrazione tra apparati pubblici nazionali ed europei e di cogesione di poteri amm.vi (molti poteri amm.vi della Banca d’Italia sono cogestiti o trasferiti alla BCE). La CONSOB (“Commissione Nazionale per le società e la Borsa”): istituita con la l. 216/1974, svolge funzioni di vigilanza e regolazione e di controllo sulla trasparenza e correttezza dei comportamenti degli intermediari, sui mercati e sui prodotti finanziari. Nel tempo ha visto accrescere i propri poteri notevolmente, ora disciplinati in gran parte dal Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (TUF) (d.lgs. 58/1998). Anche la Consob è titolare di poteri normativi e amministrativi (atomizzatori, prescrittivi, sanzionatori, ispettivi, di aacquisizone dati) molto estesi: questi ultimi includono anche forme di soft law e moral suasion. La Consob opera in coordinamento stretto con le autorità finanziarie dei Paesi europei e in particolare partecipa ai processi di regolaione comunitaria del CERS e dell’ESC, del quale fanno parte rappresentanti dei ministeri delle Finanze. L’IVASS (Istituto di Vigilanza sulle Assicurazioni) è un istituto di vigilanza sorto nel 2012 sulle ceneri del vecchio ISVAP, presieduto dal direttore generale della Banca d’Italia ed ha come organo di indirizzo il direttorio della Banca d’Italia, integrato da 2 componenti del consiglio dell’istituto, esperti in materia assicurativa e previdenziale. L’istituto opera sulla base di principi di autonomia organizzativa finanziaria e contabile, oltre che di trasparenza ed economicità per garantire la stabilità e il buon funzionamento del sistema assicurativo e la tutela dei consumatori. Le funzioni principali dell’IVASS sono: Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 1)Controlla la gestione tecnica, finanziaria patrimoniale e contabile delle imprese di assicurazione; 2)Vigila sull’osservanza delle leggi e dei regolamenti in materia assicurativa da parte delle imprese e degli agenti. Anche l’IVASS opera in coordinamento con l’Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali. Le società pubbliche: un’impresa pubblica è un’impresa il cui capitale o patrimonio è conferito in parte o esclusivamente da uno o più soggetti pubblici, ossia dallo stato o da altro ente pubblico. Molte società pubbliche ricadono in tutto (o in parte) nel campo di applicazione di alcune leggi amministrative. Storicamente il fenomeno delle società pubbliche si lega a 3 cause principali: 1) Affermazione dello stato imprenditore (a partire dagli anni 30 del secolo scorso). Lo stato acquisì i caratteri di stato imprenditore atraverso la costituzione o l’acquisizione di imprese anche in settori deregolamentati e aperti alla concorrenza. La giustificazione all’espansione dello stato imprenditore (forte negli anni ‘60/’70) fu quella di intervenire con l’obiettivo di salvare imprese (aziende) in crisi al fine di garantire l’occupazione e di promuovere politiche di pianificazione e di programmazione economica in funzione di sostegno delle aree economiche piu svantaggiate del paese. Nel secodno dopoguerra, le imprese pubbliche vennero inserite nel sistema di delle partecipazioni statali organizzato in modo piramidale, con al vertice i 2 comitati interministeriali. Il sistema delle partecipazioni statali venne poi smantellato verso la fine degli anni ’80, in quanto troppo oneroso per le finanze pubbliche. 2) La privatizzazione formale di enti pubblici, in connessione con processi di liberalizzazione dei mercati negli anni ’90, in seguito al recepimento di direttive europee (telecomunicazioni, energia, etc). Gli enti pubblici economici (che operavano in regime di monopolio legale), vennero trasformati per legge in società per azioni (privatizzazione “fredda”), con l’attribuzione della titolarietà delle azioni allo stato. In molti casi, queste vennero cedute (in tutto o in parte) ad azionisti privati (privatizzazione “calda”) e talvolta quotate in borsa (ENI, ENEL). 3) La terza causa si ricollega ai processi di razionalizzazione degli apparati pubblici. In molti casi, molte P.A. hanno ritenuto preferibile “esternalizzare” attività svolte da apparati amministrativi (es. SOGEI). Le tipologie di società pubbliche più utilizzate sono: - Società pubbliche regolate dal diritto comune: il solo collegamento con lo stato e gli enti pubblici è rappresentato dalla titolarietà dell’intero pacchetto (o di un quantitativo rilevante di azioni) e si manifesta attraverso l’esercizio dei diritti dell’azionista in assemlee. Svolgono attività d’impresa spesso in mercati non regolamentati in concorrenza con imprese private. Le società pubbliche di diritto comune non rientrano però nel perimetro della Pubblica Amministrazione. - Società pubbliche regolate da leggi speciali: in tali leggi speciali sono preventivamente gia stabilite tutte le regole basilari come il capitale sociale, la composizione della compagine sociale e l’oggetto sociale e tanto altro. A tale categoria di società pubbliche apartengono anche le società definite “SemiAmministrazioni”, proprio per stigmatizzare un uso improprio dello strumento societario (quelle che perseguono finalità diverse da quelle di esercizio dell’attività di impresa con scopo lucrativo). Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 Esse sono caratterizzate da leggi speciali che le disciplinano, introducendo deroghe rispetto alla disciplina codicistica (come ad esempio ENAV, alla quale viene attribuita funzione pubblica in senso proprio). Rientrano tra le categoria delle semi- amministrazioni anche le cosiddette “società in-house”, le quali sono così strettamente legate, sul piano organizzativo e operativo, a una P.A., da poter essere equiparate, in definitiva, a un ufficio intero (in-house) della medesima. Si avrà una gestione in-house allorchè le pubbliche amministrazioni realizzano le attività di loro competenza attraverso propri organismi, senza quindi ricorrere al mercato per procurarsi (mediante appalti) i lavori, i servi e forniture ad esse occorrenti o per erogare alla collettività (mediante affidamenti interni) prestazioni di pubblico servizio. Gli organismi in-house, pur essendo parte del sistema amministrativo facente capo alla pubblica amministrazione, non devono necessariamente costituire un’articolazione interna dell’amministrazione stessa, priva di soggettività giuridica. Pertanto è ben possibile che gli organismi in-house siano dotati di una propria personalità giuridica distinta da quell’amministrazione appartenente. Trattasi, tuttavia, di una distinzione che rileva sul piano formale, ma non su quello sostanziale. Gli organismi in house, infatti, anche se non formalmente distinti dall’amministrazione pubblica, non hanno alcuna autonomia decisionale, in quanto essi rappresentano solo un modulo amministrativo di cui l’amministrazione stessa si avvale per soddisfare proprie esigenze e si caratterizzano anche per essere soggette ad un controllo di tipo analogo ossia un rapporto strettissimo tra la Pubblica amministrazione e la società che la fa somigliare alla prima. Le società in-house devono avere due caratteristiche: - “controllo analogo”: questo requisito tende ad assicurare che tra P.A. e società in- house intercorra uno stretto rapporto, tale da sssimilare quest’ultima ad un organo interno della prima; per ottemperare a questo requisito (controllo analogo), la partecipazione deve esere totalitaria (nel senso che la presenza anche minoritaria nel capitale sociale di soggetti privati “inquina” la partecipazione pubblica - “svolgimento della parte più rilevante delle loro attività a favore delle amministrazioni pubbliche”. Controllo analogo congiuntivo: nel caso più amministrazioni affidino a un’unica società partecipata la gestione unitaria di un servizio pubblico, ma anche in questo caso ogni amm.ne partecipante deve essere in grado di poter influire sulle decisioni strategiche della società. Controllo analogo indiretto: si avrà quando un’amministrazione detiene la partecipazione totalitaria di una società che, a sua volta, detiene a cascata la partecipazione totalitaria di un società. Ai fini della tutela della concorrenza è stato introdotto il divieto per la pubblica amministrazione di costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi non stettamente necessari per il persegumiento delle proprie finalità istituzionali. Golden share: la rimozione di regole anticoncorrenziali è stata imposta dalla corte di giustizia dell’Unione europea, con riguardo alla csd. “golden share”. Con questa espressione ci si riferisce ad un complesso di poteri speciali riservati dalla legge allo Stato in occasione della privatizzazione formale delle grandi imprese pubbliche statali operanti in settori strategici, allo scopo di tutelare l’interesse nazionale (d.ls.332/1994, convertito in legge 474/1994). Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 Una seconda definizione è tra servizi a fruizione collettiva necessaria e servizi a fruizione individuale (i primi si riferiscono ai beni non escludibili, nei secondi, a fruizione individuale, il gestore del servizio intrattiene una relazione giuridica sulla base di un contratto). I servizi di interesse generale nel diritto europeo: la prospettiva eurpea in materia di servizi pubblici ha due direttive principali: 1) secondo la prima, i servizi di interesse generale costituiscono elementi essenziali per garantire la coesione sociale e territoriale e salvaguardare la competitività dell’economia eurpea. Per i cittadini sono una componente essenziale della cittadinanza europea, indispensabile per beneficiare appieno dei diritti fondamentali. Per le imprese, invece, servizi di alta qualità a prezzi accessibili sono le condizioni per un contesto imprenditoriale competititvo. 2) la seconda è scolpita nel Trattato che contiene una disposizione secondo la quale le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale sono sottoposte alle norme di trattati e, in particolare, alle regole di concorrenza. Così le imprese incaricate di svolgere un servizio pubblico possono ricevere finanziamenti pubblici, derogando la disciplina degli aiuti di stato, in relazione alla necessità di coprire costi correlati all’adempimento degli obblighi di servizi publici. Al di là di questi principi generali, gli Stati membri sono liberi di individuare le attività da annoverare tra i servizi pubblici e le modalità di erogazione dei medesimi. Come già accennato, il diritto europeo pone una distinzione tra servizi di interesse economico generale, che riguardao beni o servizi offerti in un determinato mercato (trasporti, eergia elettrica, poste etc.) e servizi non economici di interesse generale, che si collocano fuori dal mercato (servizi sociali, istruzione, sanità) e ai quali non si apllicano le regole della concorrenza. I servizi di interesse economico generale rientrano nei servizi definiti come “prestazioni fornite dietro retribuzione” (art. 57 TFUE), inclusi nel campo di applicazione della direttiva europea 2006/123/CE volta a promuovere la libertà di stabilimento dei prestatori e la libera circolzione dei servizi. I servizi non economici di interesse pubblico, invece, si collocano fuori dal mercato (es. i servizi sociali, l’istruzione, la sanità). Sono esclusiva del campo d’applicazione della direttiva, perchè vengono svolti di regola in forma non imprenditoriale con finanziameto di tipo pubblico. Vi sono state direttive europee volte a liberalizzare i servizi di interesse economico generale: tali direttive hanno cioè aperto il mercato alla concorrenza tra più operatori, smantellando la prima caratteristica del modello originario, la “riserva originaria di attività” (nel linguaggio europeo, i csd. “diritti speciali o di esclusiva”). Esse tendono ad assicurare che il raggiungimento degli obiettivi del servizio pubblico avvenga nel rispetto dei principi del mercato aperto alla libera concorrenza (principio della regolazione pro-concorrenziale). Le direttive operano una differenzazione tra: 1) concorrenza “nel mercato”: riguarda i servizi pubblici che potrebbero essere svolte da una pluralità di operatori, in concorrenza tra di loro (esempio trasporto aereo o telefonia). 2) concorrenza “per il mercato”: si addice alle situazioni nelle quali, per ragioni di tipo tecnico o economico (monopolio naturale, costi eccessivi etc.) , il servizio pubblico si presta a essere svolto in modo efficiente da un unico gestore. Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 L’attribuzione del servizio, come richiede anche la direttiva 2006/123/CE, avviene in seguito a una procedura competitiva di affidamento della concessione (cioè di un diritto speciale o di esclusiva), alla quale possono partecipare, su un piano di parità, tutti i potenziali interessati. La regolazione e le forme di gestione dei servizi pubblici: dal punto di vista analitico, i servizi pubblici presentano tre momenti logici e giuridici, ossia l’assunzione, la regolazione e la gestione. L’assunzione del servizio è il frutto di una decisione politica e dei pubblici poteri (assegnato con legge o con atti amministrativi) che mette in opera interventi di regolazione volti a garantire livelli minimi qualitativi e quantitativi delle prestazioni. L’atto di assunzione è responsabilità esclusiva dello stato o degli enti locali. Rilevano a questo riguardo due caratteri della nozione di sevizio pubblico, che rendono difficile offrirne una definizione precisa: a) la storicità: beni e servizi essenziali per il benessere della collettività da considerare come servizi pubblici. Essi variano nel tempo in base alle esigenze della società e alla situazione di mercato concreta. b) la relatività: il perimetro del servizio pubblico muta da contesto e contesto. Non esiste dunque un criteriocerto per delimitare la nozione di servizio pubblico, che varia a secondo del periodo storico e del contesto. La regolazione del servizio: è la funzione necessaria per il raggiungimento di una serie di obiettivi e all’attuazione, in concreto, dei principi giuridici in materia di servizi pubblici (si tratta di principi generali come la doverosità, la continuita, la parità di trattamento, la universalità, la economicità, l’abbordabilità, principi che si ricavano dalla legge 481/1995). Le principali forme di gestione dei servizi pubblici aventi rilevanza economica sono: - Dirette (dall’ente titolare del servizio) - Indirette (affidate ad un ente pubblico incaricato dello svolgimento del servizio) - Società in-house: societa miste a partecipazione pubblica che opera una prima esternalizzazione, ancora parziale caratterizzate da una collaborazione stabile e duratura tra pubblico e privato attraverso la costituzione di un partenariato. - Società mista (a partecipazione pubblica e privata): opera una prima esternalizzazione, ancora parziale, del servizio. La società mista è una forma di partenariato pubblico-privato istituzionale, che realizza una collaborazione stabile e di lunga durata attraverso l’istituzione di un’organizzazione comune (si parla a livello europeo di partenariato di tipo istituzionale o contrattuale). Il contratto di servizio: regola i rapporti tra amm.ne (tiolare del servizio) e gestore. I gestori del servizio devono dotarsi di carte dei servizi, che specificano i livelli qualitativi e quantitativi dei servizi, prevedendo sistemi di indennizzo a favore dell’utente in caso di inadempimenti da parte del gestore. Tali carte fanno sorgere, in capo al gestore, obblighi unilaterali nei confronti dell’utente e vanno a integrare dall’esterno i contratti di utenza. I contratti di utenza: rapporti tra gestore e utenti sono disciplinati su base privatistica per mezzo dei contratti di utenza, stipulati, spesso, in conformità a contratti tipo stabiliti dal regolatore (concorrenza nel mercato). Le autorità di regolazione: nel passaggio dal regime di monopolio a quello della concorrenza, emerge il problema della regolazione e quello di individuare a chi affidare questo compito. Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 In un contesto di liberalizzazione dei mercati, l’architettura delle regolazioni è necessariamente più complessa su vari versanti che appresso analizzeremo: 1) Rapporti tra gestori di servizi e autorità di regolazione: per disciplinare tale rapporto si deve essere in possesso di una cornice di regole tali da consentire sia lo sviluppo di un mercato concorrenziale in un ambiente dominato da elementi di monopolio naturale, sia il raggiungimento di un obiettivo proprio del servizio. La regolazione volta a creare in modo artificiale i presupposti del mercato concorrenziale ha caratteri di una regolazione ex ante. Le autorità devono assicurare l osservanza puntuale delle regole da ‟ parte dei gestori del servizio, instaurando con queste, rapporti giuridici di tipo bilaterale. 2) Rapporti reciproci tra gestori e concorrenza: i gestori sono sottoposti a obblighi reciproci e dispongono di strumenti negoziali o, in caso di impossibilità di accordo, a provvedimenti unilaterali delle autorità si settore. 3) Rapporto tra gestori e utenti: disciplinato da un complesso di regole poste dalle autorità di settore. Le principali autorità di regolazione settoriale istituite a livello nazionale sono: l’Autorità per l’energia elettrica, il gas ed il sistema idrico, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, l’Autorità per la regolazione dei trasporti. Le disposizioni comuni che regolano queste Autorità sono inserite nella l. 481/1995 che, all’art.1, individua le finalità della regolazione (promozione della concorrenza e dell’efficienza nei settore dei servizi di pubblica utilità, raggiungimento di livelli di qualità, fruibilità e diffusione dei servizi etc.). La legge 481/1995 pone, inoltre, alcune regole organizzative volte a garantire l’indipendenza della autorità in linea con quelle proprie del modello delle autorità indipendenti: delinea, inoltre, funzioni e poteri delle autorità, specificati poi nella disciplina di settore quali: formulare osservazioni e proposte al governo e al parlamento in modo da migliorare l’assetto della regolazione (funzione di advocacy), controllare condizioni e modalità di accesso ai servizi etc. - l’Autorità per l’energia elettrica, il gas ed il sistema idrico (AEEGSI): è preposta alla regolazione dei settori di competenza ed è stata istituita in seguito alla regolazione delle attività di produzione, acquisto, vendita, importazione ed esportazione dell’energia elettrica (d.lgs. 79/1999). Opera in maniera integrata con le corrispondenti autorità europee. - l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM): istituita con la l. 249/1997, è reposta sia al setore delle comunicazioni elettroniche, sia ai media, sia al settore postale. Opera, inoltre, allo scopo di garantire il pluralismo dell’informazione, la tutela dei minori e la par condicio nella campagne elettorali. - l’Autorità per i trasporti: istituita nel 2012 (l.27/2012), è preposta ai settori ferroviario, portuale, aeroportuale e autostradale. Ha il potere di stabilire i crietri per la fissazione di tariffe, pedaggi, canoni applicati agli utenti, regolare l’accesso alle infrastrutture di rete da parte dei gestori in concorrenza, definire i diritti degli utenti, definire gli schemi dei bandi delle gare etc. Ha poteri di intervento anche nel campo del servizio taxi (compreso quello di impugnare i provv. dei comuni davanti al Tar del Lazio per la regolazione delle licenze dii questi.) I servizi pubblici locali: la disciplina è contenuta nel Testo Unico degli enti locali (d. lgs. 267/2000) e in leggi settoriali (statali ma anche regionali). I servizi pubblici locali sono definiti con una formulazione normativa molto ampia: si definiscono tali “tutti quei servizi che abbiano per oggetto la produzione di beni ed Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 Storicamente il rapporto di lavoro della pubblica amministrazione ha sempre oscillato tra una concezione privatistica e una pubblicistica (diffusa verso la fine del XIX secolo). Inizialmente era retto da normali principi del diritto privato e le controversie che da esso derivavano rientravano nelle competenze del giudice ordinario. Allora perchè si passò alla concezione pubblicistica? 1) Emerse la consapevolezza che ai dipendenti pubblici dovessero essere riconosciute alcune garanzie di stato, soprattutto allo scopo di arginare le ingerenze della politica nell’amm.ne e e di assicurare una maggior imparzialità all’attività amm.va. Inoltre uno statuto speciale dei dipendenti pubblici poteva giustificare limiti a diritto di sciopero e alla sindacalizzazione del settore, nel tentativo di isolare il pubblico impiego dalle tendenze in atto, specie nel lavoro privato. 2) Attaverso ail provvedimento amministrativo unilaterale di nomina, il dipendente pubblico acquista uno status che lo differenzia da quello del comune cittadino. L’atto di accettazione della nomina non instaura però la relazione contrattuale paritaria con l’amministrazione, ma vale come riconoscimento del dovere di prestare il servizio richiesto. 3) Il dipendente pubblico è sottoposto a un rapporto di supremazia speciale rispetto all’amministrazione di appartenenza, connotato da particolari doveri (fedeltà, obbedienza, segreto d’ufficio) e da limiti all’esercizio di taluni diritti (appartenenza a organizzazioni politiche e sidacali). Lo stipendio non costituisce un corrispettivo, ma un credito di diritto pubblico assimilabile a una prestazione alimentare. Una regolamentazione minuziosa disciplina lo svolgimento del rapporto (aspettative, congedi, comandi, retribuzioni e indennità, progressione nella carriere, sanzioni disciplinari etc.). La concezione pubblicistica esclude che il rapporto di impiego possa essere disciplinato con strumenti contrattuali (come, ad esempio, un contratto collettivo o individuale). Esso invece, è regolato da due tipi di attti per gli aspetti generali, da atti normativi e provvedimenti amministativi unilaterali e per gli aspetti relativi alla posizione del singolo dipendente. I principi costituzionali riguardanti il personale pubblico sono: 1) I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. 2) Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari. 3) Agli impieghi nelle publiche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo nei casi stabiliti dalla legge. In epoca successiva alla Costituzione, la concezione pubblicistica entrò in crisi. L’affermarsi anche nel pubblico impiego della pretesa a un riconoscimento più pieno di diritti sindacali e all’introduzione di meccanismi di contrattazione collettiva. L’esigenza di rendere meno rigido il sistema, in modo da promuovere flessibilità ed efficienza nella gestione degli apparati amministrativi in coerenza con una visione più aziendalistica della pubblica amministrazione. Viene intodotta la contrattazione collettiva, che cerca di conciliare il momento privatistico della negoziazione del contenuto dell’accordo tra le rappresentanze sindacali e le amministrazioni con il momento pubblicistico del recepimento formale dell’accordo in fonti normative unilaterali. Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 2. Le fonti di disciplina del rapporto di lavoro: il regime privatistico del rapporto di lavoro vale per la maggior parte dei dipendenti della pubblica amministazione. Alcune categorie di personale restano sottoposte al regime di diritto pubblico (le FF.OO., FF.AA. Magistrati, Avvocati di stato etc). Per alcune di queste categorie il regime è completamente pubblicistico (ad esempio i magistrati); per altri, invece, è previsto l’accordo collettivo (personale diplomatico o i Prefetti). In entambi i casi la disciplina viene adottata con provvedimento unilaterale e le contoversie sono di competenza del giudice amministrativo. Le specialità del regime privatistico: l’esercizio di fatto di mansioni superiori alla qualifica di appartenenza non da diritto di inquadramento del lavoratore nella qualifica superiore (come accade nel diritto privato). Questo per salvaguardare il principio del concorso pubblico. Il rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici è regolato da due tipi di strumenti privatistici: 1) Contrattazione collettiva: la contattazione collettiva determina i diritti e gli obblighi direttamente pertinenti al rapporto di lavoro, nonchè le materie relative alle relazioni sindacali. 2) Contratto individuale: con esso si instaura il rapporto di lavoro tra dipendente e amministazione a seguito di superamentto di un concorso pubblico. Devono garantire la parità di trattamento (specialmente p.q.r. gli aspetti retributivi, previsti nei contratti collettivi). In virtù di questa previsione, i contratti collettivi assumono efficacia erga omnes (ovvero anche nei confronti dei dipendenti non iscritti ad alcun sindacato). Per quel che riguarda la contrattazione colelttiva, occorre approfondire due temi: - l’ambito in cui essa opera; - le modalità organizzative e procedurali per la conclusione del contratto collettivo. Per quanto riguarda gli ambiti di applicazione, la contrattazione è ammessa entro uno spazio rigoroso dal d.lgs. 165/2001 (modificato dal d.lgs. 165/2001). Sono escluse dalla contrattazione collettiva le materie attinenti l’organizzazione degli uffici (disciplinate da ciuascuna amm.ne con atti organizzativi di tipo pubblicistico, come regolamenti, atti amministrativi etc) e le materie che vanno a limitare il potere manageriale della dirigenza. Sono escluse anche le materie relative al conferimento ed alla revoca degli incarichi dirigenziali., determinazione dei ruoli e degli organici etc. Possiamo affermare che esiste una tendenza a ridurre il campo di applicazione della contrattazione collettiva. Passando ad analizzare le modalità organizzative e procedurali, vi sono altri due aspetti da valutare: - i livelli della contrattazione collettiva; - i soggetti della contrattazione. Primo aspetto: la legislazione vigente delinea un sistema a cascata flessibile: spetta alla contrattazione collettiva disciplinare, in coerenza con il settore privato, la struttura contrattuale, i rapporti tra i diversi livelli e la durata dei contratti collettivi nazionali e integrativi. In accordo al d.lgs. 165/2001, vi sono tre livelli di contrattazione: a)serva a individuare i comparti (non più di 4) che includono caregorie di personale dipendente da amministrazioni tendenzialmente omogenee; Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 b)contratti collettivi nazionali (per ciascun comparto); c)contratti colletivi integrativi, che riguardano personale di una singola amministrazione. In tutti e tre i casi la contrattazione è attribuita la finalità di assicurarre adeguati livelli di efficienza e produttività e di valorizzazione, sotto il profilo del trattamento economico accessorio, della performance individuale. I soggetti della contrattazione: 1) l’ARAN (Agenzia per la rappresentanza negoziale delle P.A.) rappresenta la pubblica amministazione in sede si contrattazione collettiva nazionale e può assistere le singole amministrazioni in sede di contrattazione integrativa. L’agenzia ha personalità giuridica di diritto pubblico. È formata da un presidente e un colelgio di indirizzo e controllo (costituito da 4 esperti in materia di relazioni sindacali). In sede di contrattazione, l’agenzia deve rispettare il vincolo delle finanze stanziate per il rinnovo dei contratti nell’ambito dei procedimenti di programmazioen della spesa pubblica. L’ARAN sottopone l’ipotesi di accordo al parere dei comitati di settore ed al governo : una volta acquisito il parere, trasmette la quantificazioen dei costi alla Corte dei Conti (procede alla sottoscrizione del contratto solo se la certificazioen ha esito positivo). La controparte è costituita dalle organizzazioni sindacali dei dipendenti pubblici. Importante: l’ARAN può sottoscrivere i contratti colelttivi solo se le organizzazioni sindacali che aderiscono all’ipotesi di accordo rappresentano nel loro complesso il 51% (o il 6’% del dato elettorale). La costituzione e lo svolgimento del rapporto di lavoro: i procedimenti di selezione e di avviamento al lavoro nella pubblica amministrazione propedeutici alla costituzione del rapporto sono regolati esclusivamente dalla legge o con atti normativi o amministrativi. Il concorso pubblico costituisce la regola generale (eccezioni valgono per il personale scelto all’interno delle liste di collocamento e per gli invalidi civili), volta a favorire il merito ed a contrastare il Political Patronage. Il concorso pubblico costituisce l’accesso anche per l’accesso alla qualifica di dirigente di prima o seconda fascia. Per i dirigenti di seconda fascia (livello meno elevato) , in alternativa al concorso, è previsto un corsoconcorso selettivo di formazione (bandito dalla scuola superiore della P.A.). Il procedimento concorsuale si suddivide in 4 fasi: 1)L’avvio della procedura avviene a cura di ciascuna amministrazione attraverso un provvedimento di indizione del concorso e di pubblicazione del bando. Il bando è pubblicato di regola in G.U. 2)Le domande di partecipazione devono essere inviate o presentate ento 30 giorni dalla pubblicazione del bando di concorso. La mancata ammissione alla procedura concorsuale costituisce provvedimento inpugnabile dal singolo candidato innanzi al giudice amministrativo. 3)Allo scopo di garantire imparzialità e competenza, l’amministrazione affida la fase istruttoria-valutativa ad una commissione esaminatrice composta da tecnici esperti nelle materie oggetto del concorso, scelti tra funzionari, esperti ed estranei alle medesime. Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 b) I dirigenti di primo livello curano l’attenzione dei progetti e degli obiettivi assegnati dai dirigenti generali, svolgono compiti da questi delegati, coordinano e contollano l’attività degli uffici, provvedono alla gestione del personale etc. 2) attribuzione degli incarichi dirigenziali: attualmente la durata degli incarichi non può essere inferiore ai 3 anni e non può eccedere i 5 anni. Gli incarichi di rango più elevato sono conferiti con la massima solennità con D.P.R., mentre per quelli generali con Decreto del Consiglio dei Ministri. La responsabilità dirigenziale può sorgere per il mancato raggiungimento degli obiettivi, oppure in caso di inosservanza delle direttive impartite dal vertice politico o violazione dei diritti doveri sul rispetto da parte del personale sottoposto a standard qualitativi di performance fissati dalla pubblica amministrazione. Essa è accertata in contraddittorio con l’interessato, previa contestazione degli addebiti e previa acquisizione di un parere di un comitato di garanti nominato dal Presidente del Consiglio: può comportare il mancato rinnovo dell’incarico dirigenziale, la decurtazione della retribuzione di risultato, la revoca dall’incarico con conseguente collocazione dello stesso nei ruoli a disposizione, il recesso dal rapporto di lavoro. La cessazione degli incarichi di segretario generale di Ministeri e di direzione delle strutture articolate al loro interno in uffici dirigenziali opera in modo automatico in ocacsione dell’insediamento di un nuovo Governo (al 90° giorno dal voto di Fiducia).Questo spoil system (sistema del bottino) deriva dal sistema statunitense invalso nel XIX secolo: questo sistema, tuttavia, accentua il carattere fiduciario dell’alta dirigenza, favorendo Patronage e clientelismo ed andando in contrasto con i principi di imparzialità e buon andamento (principio ribadito dalla Corte Costituzionale in numerose pronunce). CAPITOLO 11 - I BENI La disciplina pubblicistica dei beni: anche le P.A., per realizzare i propri scopi, devono procurarsi immobili (edifici da adibire a uffici) e beni mobili (arredi). A differenza dei privati, però, le P.A. sono titolari e gestiscono beni non per necessità proprie, bensì per metterli a disposizione dell’intera collettività. Si parla di beni patrimoniali disponibili proprio perché, per essi, vige il regime interamente privatistico. Regime particolare della proprietà pubblica: esso è sancito in dall’art. 42 Cost., dove si afferma che la proprietà può essere pubblica o privata (regime speciale della prima). In secondo luogo, la Cost. afferma che “i beni economici appartengono allo Stato, ad Enti o a privati”, legittimando i pubblici poteri ad avere la veste di gestore dei medesimi. Anche i beni privati, tuttavia, possono essere oggetto talvolta di un regime pubblicistico (il codice civile nonchè la Carta dei diritti fondamentali dell’UE garantiscono il diritto di proprietà, ma prevedono allo stesso tempo che “l’uso dei beni può essere regolato dalla legge nei limiti imposti dall’interesse generale”). I beni di interesse privato e i beni di interesse pubblico: i beni possono essere classificati in base alla specificità del regime. 1) Beni privati: sono disciplinati dal codice civile. I proprietari dei beni privati hanno il diritto di godere e di disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo sia pure entro i limiti e con l osservanza degli obblighi ‟ stabiliti dell ordinamentoo giuridico. Ma anche a questi beni possono essere applicate regole pubblicistiche‟ come ad esempio la discipliina dell ambiente o quella edilizia. Questa regolamentazione va a garantire ‟ interessi che sono estanei ai beni stessi. In Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 questa categoria rientrano i beni patrimoniali disponibili regolati dal diritto comune, sono beni che non sono adibiti ne ad uffici privati ne a fruizione pubblica ma la pubblica amministrazione limita a ritirare reddito. 2) Beni di interesse pubblico: sono beni di interesse publico tutti quei beni dove l’interesse è interno al bene (come ad esempio i beni culturali). In questo caso la regolamentazione serve garantire gli interessi incorporati nel bene stesso. L’art. 9 Cost. sancisce che l’ordinamento attribuisce alla Repubblica la funzione di tutela e di valorizzazione dei beni culturali. Infatti sono posti dei limiti nei vincoli nel restauro, limitazione alla distruzione o deterioramento. La circolazione dei beni culturali è gravata da vincoli, alcuni beni classificati come demaniali sono inalienabili e per altri è previsto un regime di autorizzazione preventiva. Un’altra tipologia di beni di interesse pubblico sono le aree naturali protette, aree particolarmente sensibili che non possono essere alterate: anche in questo caso il bene è interno in quanto queste aree sono sottoposte a vincoli di utilizzo come parchi, specie animali, riserve naturali. I beni demaniali: regime vincolistico sancito in codice civile, ma anche in leggi specili come il codice dell’ambiente o il codice culturale. Si distinguono due forme di bene demaniale: necessario e accidentale (o eventuale). Alla prima categoria appartengono tutti quei beni di proprietà dello stato trascritti e previsti da un elenco tassativo; alla seconda categoria appartengono quei beni di proprietà dello Stato, Regioni o enti territoriali. Un bene definito demaniale non potrà essere a disposizione di tutti nonchè sottoposto a diritto di terzi (usucacapione). La tutela di tali beni viene effettuata attraverso un potere di autorità della pubblica ammministrazione (senza che passare dinnanzi ad un giudice come succede per i beni privati). La demanialità si può perdere con la perdita di una caratteristica fisica e quando la pubblica amminisrazione ritiene che tale bene non sia più demaniale attraverso emissione di un atto di convalida (es. fiume in secca). Come abbiamo gia accennato , i beni demaniali sono inalienabili, tuttavia esiste una deroga a tale principio che si attua come è successo nel caso dell’ANAS che ha ceduto tratti di autostrada (bene demaniale) a società pubbliche. I beni patrimoniali indisponibili: i beni appartenenti a tale categoria sono vincolati in quanto destinati alla pubblica funzione ma non esagerata, perchè il legislatore non punta ad una incommercialibità piena di tali beni ma pone il principio della alienabilità a patto che non vi sia un’alterazione della destinazione. Tendenzialmente commerciabile, non può essere sottratto dalla sua destinazione: conseguenza di ciò è impossibilità di espropriazione forzata (altrimenti si creerebbe un’alterazione della destinazione). CAPITOLO 12 - I CONTRATTI Le amministrazioni publiche godono di una capacità generale di diritto privato. Esse possono stipulare, con fornitori privati, contratti per l’acquisto di beni e servizi necessari all’esecuzione di lavori di cui esse hanno la necessità e per il proseguimento delle finalità di interesse pubblico. Le fasi della formazione del vincolo contrattuale sono più specifiche e particolari del procedimento normale, in quanto si deve assicurare la par condicio tra i possibili fornitori dei servizi/beni/lavoro. Il codice del contatto pubblico prevede una fase di Written by Alice Carrazza (
[email protected]) lOMoARcPSD|11503188 formazione retta da regole di diritto pubblico e la fase di esecuzione del contratto retta da diritto privato (a differenza del passato quando la procedura e il contratto prevedevano rilevanza pubblica che trovava fondamento nel garantire una corretta ed efficiente gestione del danaro publico e non la par condicio). Oggi invece vi è un’impostazione proconcorrenziale della disciplina, volta a garantire in primis la par condicio e aprire il mercato degli appalti pubblici alla concorrenza a livello nazionale ed europeo. Le fonti dei contratti publici sono: a) Il codice dei contatti pubblici istitutito con decreto legislativo 163/2012, oltre il regolamento di attuazione emanato con decreto del presidente della repubblica nr. 207/2010 per la disciplina dela progettazione, aggiudicazione e realizzazione di opere pubbliche. b) Le leggi regionali: che però hanno spazi molto limitati c) I capitolati generali e speciali di appalto: creati dalle stazioni appaltanti le quali possono adottare anche capitolati generali adattati alle proprie esigenze. Le fonti esterne al codice sono: - la legge anticorruzione 190/2012 che obbliga le stazioni appaltanti a pubblicare una serie di - informazioni relative ai bandi pubblicati, all’aggiudicatario etc. - il codice penale: contiene disposizioni che individuano alcune figure specifiche di reato (es.turbativa d’asta). Le imprese che partecipano alle gare di appalto devono rispettare le normative antimafia e sono soggette a obblighi di tracciabilità dei flussi finanziari derivanti dalle commmesse pubbliche; - il codice del processo amministrativo dedica alcuni articoli al processo in materia di contratti pubblici. Esiste anche un’autorità indipendente per la vigilanza sui contratti pubblici. Il campo di applicazione del codice dei contratti pubblici e i principi generali: sulla scorta di direttive europee il codice modula le procedure per l’affidamento in funzione del livello di rischio di distorsione della concorrenza dal lato della domanda di beni, servizi e lavori. Quanto più i soggetti committenti operano in contesti non concorrenti, possono dunque essere influenzati nel loro agire da ragioni extaeconomiche, allora più è elevato il rischio che la scelta dei fornitori ricada a favore di determinate aziende. Il codice dei contratti pubblici si attiene a due ambiti specifici per l’affidamento degli stessi contratti una ambito soggettivo ed un oggettivo. 1) Ambito di applicazione soggettivo del codice dei contratti pubblici. a) i committenti, che per definizione operano fuori da ogni mercato denominate amministrazioni aggiudicatrici, ovvero le amministrazioni dello stato, gli enti pubblici territoriali o gli altri enti pubblici non economici ai quali si applica il regime più garantista e formalizzato previsto per la scelta del contraente, perche questi soggetti non esercitino la loro funzione in base a logica economica e non subiscono alcuna pressione concorrenziale; b) le imprese pubbliche sottoposte a regole meno stringenti in quanto si presuppone la loro finalita economica; c) alcune imprese private a cui si possono applicare le regole del codice e che operano in virtù di diritto speciale o esclusivo (come ad esempio poste, gas acqua tutte rientranti nella nozione di servizio pubblico). Tuttavia una volta che in uno stato l’attività posta in essere nell’ambito dei settori speciali in seguito a processi di liberalizzazione è direttamente esposta alla concorrenza su mercati liberamente Written by Alice Carrazza (
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