Scarica Sociologia delle migrazioni, Ambrosini e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Sociologia delle Migrazioni solo su Docsity! SOCIOLOGIA DELLE MIGRAZIONI M. Ambrosini Migrazioni e migranti cap. 1 L’oggetto di studio e le sue caratteristiche Le migrazioni sono un fenomeno antico come l’umanità, prima di divenire sedentaria, l’umanità è stata nomade e impegnata in incessanti spostamenti. Si può individuare nello sviluppo dell’essere umano una consistente propensione alla mobilità geografica, contenente l’idea del miglioramento delle condizioni di vita e delle prospettive per il futuro. Le migrazioni possono essere viste come una forma di mobilità territoriale delle specie umana, soprattutto volontaria. Gli spostamenti dei rifugiati sono un tipo particolare di migrazione, attestano che l’insediamento di popolazioni straniere, può dare vita alla formazione di minoranze linguistiche e culturali. La storia delle colonizzazioni illustra un movimento di direzione opposta: l’immigrazione forzata di schiavi. Questi esempi mostrano che se i trasferimenti da un territorio all’altro di singoli individui, di gruppi o di intere popolazioni sono fenomeni ricorrenti nella storia dell’uomo, non è agevole definire con precisione chi siano gli immigrati -> consapevolezza dell’eterogeneità dei processi etichettabili come migrazioni. Definizione di migrante: una persona che si è spostata da un paese diverso da quello di residenza abituale e che vive in quel paese da più di un anno. La definizione include 3 elementi: l’attraversamento di un confine nazionale e lo spostamento in un altro paese; il fatto che questo paese sia diverso da quello in cui il soggetto è nato o ha vissuto abitualmente nel periodo prima del trasferimento; una permanenza prolungata nel nuovo paese. questa definizione non tiene conto delle migrazioni interne né degli spostamenti di durata inferiore ad un anno. Gli immigrati sono dunque gli stranieri provenienti da paesi che classifichiamo come poveri, non quelli originari di paesi sviluppati con un’evidente valenza peggiorativa. L’impiego del concetto di immigrato allude alla percezione di una doppia alterità: una nazionalità straniera e una condizione di povertà, generalmente quando un individuo riesce a liberarsi di uno di questi due stigmi smette di essere considerato un immigrato. Questo problema mostra che le migrazioni vanno inquadrate come processi in quanto dotate di una dinamica evolutiva che comporta una serie di adattamenti e modificazioni nel tempo, e come sistemi di relazioni che riguardano le aree di partenza, di transito e di destinazione. Possiamo distinguere il movimento dell’emigrazione (uscita dal paese di origine) rispetto al movimento dell’immigrazione (ingresso nel paese ricevente) e chiamiamo emigranti e immigrati i soggetti che compiono questi spostamenti; migrazione e migranti sono termini più generici che abbracciano le diverse direzioni della mobilità geografica seguita da un insediamento. Le migrazioni interne sono spostamenti da una regione all’altra dello stesso paese, gli immigrati interni sono cittadini, hanno diritto di voto, ecc… ma possono essere percepiti come diversi, discriminati all’accesso al lavoro o abitazione. Le migrazioni sono costruzioni sociali complesse in cui agiscono tre principali gruppi di attori: - la società di origine con la capacità di offrire benessere, libertà e diritti ai propri cittadini con politiche più o meno favorevoli all’espatrio - migranti attuali e potenziali con aspirazioni, progetti e legami sociali - le società riceventi sotto il duplice profilo della domanda di lavoro e delle modalità di accoglienza, istituzionale e no, dei nuovi arrivati. La formazione di minoranze etniche riflette l’interazione tra dinamiche autopropulsive delle popolazioni immigrate e dei processi di inclusione da parte delle società riceventi; il concetto ha a che fare con l’insediamento stabile di immigrati stranieri che dà vita a nuove generazioni che nascono e crescono in un paese diverso da quello dei genitori con il rifiuto di considerarli pienamente membri della società in cui vivono. Ne derivano le seguenti caratteristiche: - gruppi subordinati all’interno di società complesse - presentano aspetti fisici o culturali soggetti a valutazione negativa da parte dei gruppi dominanti - acquisiscono un’autocoscienza di gruppo essendo legati dalle medesime condizioni storiche, linguistiche e posizione sociale - possono trasmettere alle generazioni successive l’identità minoritaria Il concetto implica sempre qualche grado di marginalità e di esclusione che inducono a situazioni di conflitto sociale. I diversi tipi di migranti Un aspetto rilevante delle migrazioni contemporanee è il superamento dell’identificazione dell’immigrato con una sola figura sociale, quella di un lavoratore manuale poco qualificato, maschio e solo. Si sono differenziate le porte d’ingresso nelle società riceventi per cui entrano sia immigrati con motivazioni diverse da quelle lavorative sia lavoratori con maggiore qualifica professionale. Si possono distinguere diversi tipi di immigrati: - immigrati per lavoro: non sono più prevalentemente maschi, non sono poco istruiti e poveri di esperienze professionali, ma trovano lavoro nelle occupazioni meno ambite con contratti irregolari. Vi sono anche le donne come primomigranti e sono sempre più protagoniste, si inseriscono nelle famiglie con possibilità di miglioramento - gli immigrati stagionali o lavoratori a contratto: in diversi paesi sono sottoposti a regolamentazione specifica che ne autorizza l’ingresso per periodi limitati; in Europa si assiste ad un incremento di questo tipo di immigrazione che viene definita migrazione circolare - gli immigrati qualificati e gli imprenditori: ancora sconosciuti in Italia ma rappresentano una quota crescente dei flussi migratori e si parla di internazionalizzazione delle professioni. Si sta sviluppando anche il fenomeno del lavoro indipendente e dell’imprenditorialità etnica, è importante perché tende a modificare l’immagine dell’immigrato come lavoratore subalterno e dequalificato - i familiari al seguito: aumenta la quota di popolazione immigrata che non partecipa al mercato del lavoro di pari passo con la domanda di abitazione e servizi sociali. Il profilo anagrafico tende a normalizzarsi diventando simile a quello della popolazione nativa, riequilibrando uomini e donne - i rifugiati e i richiedenti asilo: il rifugiato è definito come una persona che risiede al di fuori del suo paese di origine e che non può o non vuole tornare a casa sulla base di un timore fondato di persecuzioni per motivi di razza, religione, opinione politica. Il richiedente asilo è colui che si sposa attraverso le frontiere chiedendo protezione ma che non sempre rientra nei criteri stabiliti dalla Convenzione di Ginevra. Si parla di migrazioni forzate includendo persone che sono obbligate a trasferirsi per effetto di catastrofi naturali - migrazioni irregolari e non volute: l’immigrato in condizione irregolare è colui che dopo essere entrato in maniera regolare, rimane dopo la scadenza del titolo che gli aveva consentito l’ingresso; il clandestino è colui che è entrato in maniera fraudolenta, senza documenti; la vittima del traffico è colui che viene coinvolto in un attraversamento delle frontiere con la forza o con l’inganno e costretto a svolgere attività che procurano profitto alle società che hanno organizzato il suo ingresso - migranti di seconda generazione: comprende i figli di immigrati nati nel paese ricevente e quelli arrivati dopo la nascita; si tratta di immigrati senza immigrazione nati e cresciuti al di fuori del paese di origine e possono accedere alla cittadinanza tramite il diritto di suolo in alcuni paesi, in altri esiste il diritto di sangue quindi sono ritenuti stranieri, in altri ancora possono richiedere la cittadinanza al raggiungimento della maggiore età - migranti di ritorno: sono coloro che rientrano nei luoghi di origine dopo aver trascorso un periodo in un altro paese, questo fenomeno è considerato positivamente anche dai paesi di origine perché apportano capitali e competenze utili I contesti e le tendenze Si possono suddividere le migrazioni in vari periodi: - periodo dello sviluppo industriale e della grande emigrazione (1830-1914): contraddistinto dai fenomeni di migrazioni di massa in particolare in direzione delle Americhe, si assiste alla realizzazione di grandi opere pubbliche che richiedono manodopera e l’impoverimento delle aree rurali di provenienza; ingressi scarsamente regolati - periodo tra le due guerre: espulsioni, esodo di profughi e deportazioni; a partire dagli anni ’20 si afferma l’idea della regolamentazione delle migrazioni attraverso trattati internazionali e con un primo riconoscimento dei diritti dei migranti sul lavoro sotto forma di parità e con misure di welfare - periodo della ricostruzione (1945): ripresa economica e bisogno di manodopera; sviluppo delle migrazioni interne - periodo del decollo economico: accordi intergovernativi per la fornitura di forza lavoro e della rapida regolarizzazione dei lavoratori, cresce il volume delle migrazioni e delle aree di reclutamento - Teoria dualistica del mercato del lavoro (Piore): collegato il fabbisogno di manodopera immigrata con il funzionamento dei sistemi economici in cui si produce una divaricazione tra la richiesta di stabilità, buone retribuzioni, ecc… espressa dai lavoratori in posizione di forza e l’instabilità, la scarsa reddittività, la bassa considerazione sociale. La necessità politico-sociale di porre una parte della popolazione lavorativa al riparo delle fluttuazioni del sistema capitalistico impone l’esigenza di scaricare su un’altra componente del sistema il peso delle incertezze. Si produce così una suddivisione del mercato del lavoro: o Mercato del lavoro primario, composto da posti di lavoro sicuri, retribuiti ed è appannaggio dei lavoratori con maggiore forza contrattuale (maschi adulti nativi) o Mercato del lavoro secondario, posti di lavoro precari, poco tutelati e mal retribuiti, appannaggio dei lavoratori più deboli e disinteressati ad un posto fisso e a tempo pieno - Teoria delle città globali: l’accento è posto sulla ripresa delle metropoli come nodi strategici dell’economia internazionale. I grandi poli urbani, dopo il declino dell’industria manifatturiera, si sono trasformati in sedi di centri direzionali delle imprese determinando una polarizzazione della popolazione urbana. Crescono le componenti privilegiate mentre declina la classe media Critiche: il problema è nuovamente quello di trattare gli individui come soggetti passivi, strappati dalla loro terra e collocati in un contesto alieno delle forze del mercato o della dominanza capitalistica; si pone anche il problema della difficile integrazione nello schema della domanda del quadro normativo, il principale effetto della restrizione degli ingressi è quello del lavoro irregolare. Spiegazioni microsociologiche: dalle scelte individuali alle strategie familiari - Teoria economica neoclassica: i fenomeni migratori sono considerati come scelte individuali, spontanee e volontarie -> approccio dell’economia neoclassica, secondo cui i differenziali salariali e di opportunità occupazionali sono la cornice strutturale che fa da sfondo alle scelte dei singoli. I flussi migratori sono l’effetto aggregato delle scelte soggettive: la possibilità che il trasferimento all’estero aumenti la redditività del capitale umano posseduto (capacità di lavoro derivante dall’età, salute e istruzione) è il fattore fondamentale che produce i processi migratori. Queste teorie sono state le più a lungo accreditate grazie all’influenza del paradigma teorico da cui discendono Critiche: le migrazioni sono collegate alle differenze nei livelli di redditi e occupazioni ma non sono una ragione sufficiente per spingere alla partenza; la teoria inoltre tende a ridurre le motivazioni umane alla sola dimensione economica e ad analizzare i migranti solo in quanto lavoratori; non è in grado di spiegare perché gli immigrati non partono in assoluto dai paesi più poveri e non si dirigono in massa verso quelli più ricchi. - Nuova economia delle migrazioni: tenta di ricostruire uno scenario più complesso in cui si colloca la maturazione della scelta di emigrare in quanto opzione familiare orientate alla massimizzazione dei redditi e alla diversificazione dei rischi. Le famiglie dei paesi di origine sono la vera unità decisionale Critiche: la sostituzione del concetto di individuo razionale e calcolatore con un concetto di famiglia ugualmente razionale e calcolatrice in cui non si tiene conto delle differenze di potere e di status all’interno di essa (es. donne da parte di padri e mariti). Un altro problema è quello di collegare il livello micro con quello macro, specificando come le opportunità strutturali si traducano in azioni individuali; è carente anche la considerazione della regolarizzazione politica delle migrazioni (ruolo dei governi). Nello spazio intermedio: reti sociali e istituzioni migratorie Teorie dei network: migrazioni viste come un effetto dell’azione delle reti di relazioni interpersonali tra immigrati e potenziali migranti. Network migratori: complessi di legami interpersonali che collegano migranti, migranti precedenti e non migranti nelle aree di origine e di destinazione attraverso vincoli di parentela, amicizia e origine. Movimento di convergenza teorica (Faist): sul ruolo dei network si è registrato nel tempo un movimento di convergenza sia sul versante macro sia su quello micro; le teorie della scelta razionale hanno cominciato a considerare le unità sociali come le famiglie, mentre le teorie dei sistemi hanno incorporato nelle loro analisi i network (legami interpersonali). I network spiegano perché gli immigrati si indirizzano verso determinati paesi o località, non necessariamente in dipendenza di maggiori opportunità economiche, ma di punti di riferimento creati dall'insediamento di parenti e amici. Le relazioni sociali istituiscono rapporti che rappresentano la base per la continuazione delle migrazioni nel tempo e per il cambiamento della loro composizione, attraverso il mantenimento dei legami le migrazioni per lavoro hanno la possibilità di trasformarsi in migrazioni familiari. Grazie al fenomeno delle rimesse, i migranti svolgono un ruolo attivo nelle società di provenienza. Le teorie dei network percepiscono le migrazioni come incorporate in reti sociali, le decisioni individuali si inseriscono all’interno dei gruppi sociali che si frappongono e mediano tra le condizioni sociali ed economiche -> le migrazioni non possono essere considerate come un semplice esito di decisioni economiche governate dalla domanda e dall’offerta poiché si tratta di fenomeni di natura sociale. - Approccio transazionale: variazione della teoria dei network che costituisce la principale innovazione teorica. L’accento cade sui processi mediante i quali gli immigrati costruiscono relazioni sociali composite che connettono la loro società di origine coinvolgendo i non migranti; l’approccio tenta di considerare i due versanti dei flussi migratori nelle loro relazioni reciproche e negli effetti di retroazione che le migrazioni comportano. I movimenti migratori formano campi sociali attraverso le frontiere nazionali, producendo diversi fenomeni sia nel luogo di origine sia in quello ospitante. Identità culturali fluide: i concetti di immigrato ed emigrante sono obsoleti in quanto molti hanno la capacità di sviluppare reti sociali e stili di vita che riflettono sia le caratteristiche della società ospitante sia quelle della società di origine. Anche se questa prospettiva non ha come oggetto lo studio delle cause delle migrazioni, offre spunti interessanti come la proposta del migrante come attore sociale il grado di ridurre le distanze ed evidenziando la tendenza a stare insieme. Critiche: l’idea di una fluidità nell’attraversamento dei confini risulta eccessiva e fuorviante se confrontata con i comportamenti effettivi della maggioranza delle popolazioni migranti. La realtà è quella della progressiva integrazione nelle società riceventi (anche se marginale e tormentata). Queste teorie sembrano fornire vari spunti per spiegare la continuità delle migrazioni, ma non il loro inizio, né lo spostamento verso nuove destinazioni -> problema delle cause iniziali. Danno poi per scontate condizioni di ingresso e contesti istituzionali che hanno un rilievo importante nel dare un’impronta ai flussi migratori. Un altro limite è il funzionamento implicito, le teorie dei network tendono a enfatizzare le valenze positive delle reti sociali, trascurando la possibilità che esse producano condizioni di attività marginale o devianti. - Teoria delle istituzioni migratorie: comprende le diverse strutture che mediano tra le aspirazioni individuali all’emigrazione e la possibilità di trasferirsi all’estero per inserirsi nel sistema socioeconomico della società ricevente. Si possono individuare dei processi di strutturazione delle migrazioni, in cui le azioni individuali si incontrano con le risorse fornite dalle istituzioni migratorie, condizionandone il funzionamento (es. il ruolo delle istituzioni solidaristiche e umanitarie). Incidenza e conseguenze inattese della regolazione normativa Tra le scelte individuali e le grandi determinanti strutturali occorre collocare la regolazione statuale delle migrazioni che esercita una specifica influenza selettiva sui flussi. Possiamo parlare di un livello meso-macro la cui scala coincide con il livello nazionale in cui si producono le decisioni più importanti sull’ingresso e sul soggiorno degli immigrati. La regolazione normativa ha influito sulla densità, sulla composizione e sulla destinazione dei flussi migratori. I fenomeni rilevanti sono: - Inasprimento della contrapposizione tra cittadini dei paesi membri e cittadini esterni - Passaggio alle skilled migrations, ovvero migrazioni di lavoratori istruiti e professionalmente qualificati - Sono stati favoriti flussi migratori non collegati ai fabbisogni del mercato del lavoro (es. ricongiungimenti familiari, richieste di asilo), provocando travasi e sovrapposizioni da una all’altra categoria di immigrati - Le migrazioni temporanee sono diventate permanenti - I migranti sono andati alla ricerca di nuove destinazioni - Diffusione dell’immigrazione irregolare - Le sanatorie esercitano effetti di retroazione sui flussi migratori, generando l’idea che una volta entrati nel paese sviluppato sarà possibile regolarizzare il proprio status giuridico Critiche: la regolazione normativa ostacola e limita i processi migratori che sono iniziati per altre ragioni, tanto che quando manca l’accesso regolare, i migranti cercano altri canali secondari (rifugio o ricongiungimento), oppure scelgono la strada dell’irregolarità. La regolazione nazionale è una variabile influente nel mediare tra aspirazioni dei potenziali migranti e concrete possibilità di insediamento dei paesi sviluppati; ma i suoi effetti non sono lineari e prevedibili. Per spiegare adeguatamente le migrazioni è necessario adottare un approccio multi-causale (intreccio di fattori), in alcuni ambiti sono adeguati quei contesti, ma non come teorie generali. Maggiore enfasi è posta sui migranti come agenti attivi, studiando l’interazione tra struttura socioeconomica, strategie familiari e decisioni individuali. Perché ne abbiamo bisogno: l’inserimento nel mercato del lavoro cap. 3 Tre prospettive teoriche Il fabbisogno di manodopera è stato un fattore determinante per la promozione e per l’accettazione della migrazione; la figura centrale dei fenomeni migratori è stata storicamente (e rimane) quella del lavoratore che attraversa le frontiere per cercare lavoro all’estero. Tre visioni: - Approccio liberale e assimilazionista: sviluppato in America a partire dagli anni 20, gli autori adottano un punto di vista ottimistico -> gli immigrati al loro arrivo si trovano sui gradini più bassi della scala sociale, accollandosi i lavori più sgraditi; con il tempo riescono a inserirsi nella nuova società (apprendono lingua e cultura), abbandonando retaggi del paese di origine e assimilandosi alla nuova cultura, fino a diventare difficilmente distinguibili dalla popolazione nativa. Salgono gradualmente nella scala sociale, ma questo apre dei vuoti alla base della piramide occupazionale, e vengono colmati dai nuovi ingressi. L’itinerario tipico vede attraverso le generazioni un’evoluzione dalla condizione di peddler (venditore ambulante) a quella di plumber (operaio) fino alla fila dei professionals -> deriva un’attenzione focalizzata verso le forme e gli esiti delle popolazioni immigrate nella società ricevente. L’assimilazione può essere definita con la formulazione di Parks e Burgess, cioè un processo di interpenetrazione e fusione in cui persone e gruppi acquisiscono le memorie, i sentimenti e gli atteggiamenti di altre persone e gruppi e, condividendo esperienze e storie, sono incorporati con essi in una vita culturale comune. I capisaldi della teoria sono tre: o l’assimilazione è un processo inevitabile e auspicabile, prima gli immigrati perdono i tratti culturali, più rapidamente riusciranno a farsi accettare e progredire nella scala sociale o è un fatto individuale rispetto al quale le appartenenze etniche e identità sono ostacoli da rimuovere o l’assimilazione culturale rappresenta la precondizione che rende possibile l’avanzamento nel mercato del lavoro e dunque nella stratificazione sociale - Visione strutturalista: è caratterizzata da varie correnti di pensiero e confuta l’ottimismo dell’approccio liberale perché le società riceventi hanno bisogno di immigrati, ma non per questo sono disposte a trattarli in modo paritario; anzi, hanno interesse a confinarli in ambiti svantaggiati e subalterni del mercato del lavoro. Priore parla di un settore secondario del mercato del lavoro, in un’economia capitalistica occorre scaricare l’incertezza del mercato su altri lavoratori più deboli per tutelare l’occupazione e le buone condizioni di impiego. Per gli immigrati il lavoro è spogliato di connotazioni sociali, non conferisce identità e stima, è solo un modo per guadagnarsi da vivere, per questo sono i soggetti che assomigliano maggiormente alla visione dell’homo oeconomicus della teoria economica convenzionale. Gli autori di questo filone denunciano le pratiche discriminatorie delle società riceventi e le condizioni di svantaggio che continuano a colpire gli immigrati. La segmentazione del mercato del lavoro è una visione aggiornata dell’impostazione dualistica di Priore, la formazione di un sistema occupazionale e articolato in nicchie in cui nativi e immigrati tendono a trovare lavoro in ambiti differenti; le posizioni degli immigrati si differenziano internamente ma sono largamente concentrate sui livelli inferiori. Un dato è la biforcazione dell’impiego dei lavoratori stranieri che tendono ad addentrarsi nei due poli estremi del mercato: una minoranza nelle operazioni ad alta qualificazione e la maggioranza nei lavori più poveri ed instabili -> questo secondo processo contribuisce alla formazione di minoranze etniche escluse e marginalizzate in cui gli immigrati sono vittime di un doppio svantaggio: l’esclusione dalla società e vengono visti come la causa dei problemi. - Nuova sociologia economica: alcuni fenomeni hanno messo in questione entrambe le prospettive: uno di essi è rappresentato dall’esplicita richiesta di migranti istruiti e qualificati; l’altro è la anni. La ricerca sulla partecipazione degli immigrati all'economia sommersa fornisce spunti anche agli studiosi che adottano un approccio interattivo e costruzionista, per spiegare il fenomeno in cui si pongono in rilievo le convergenze di interessi tra le logiche della domanda e alcuni segmenti dell'offerta di lavoro nell'area del sommerso. Per contro le rigidità delle politiche di ingresso e di concessione di permessi idonei alla ricerca di occupazione, comportano una divaricazione tra domanda di manodopera e popolazione immigrata nelle economie riceventi -> si formano sacche di immigrati lavoratori che rimangono per periodi più o meno lunghi al di fuori della regolamentazione normativa e contrattuale. Nel tempo sta avvenendo un aumento del ricorso al lavoro irregolare, un fenomeno sfuggente carico di ambivalenze; si possono rilevare anche forme di lavoro grigio: la regolare assunzione per un numero minimo di ore a cui se ne aggiungono altre pagate in nero. L'economia sommersa e i lavori irregolari sono fenomeni differenziati, articolati secondo variabili che comprendono il grado di volontarietà dei partecipanti, la natura dipendente o indipendente dell'attività svolta, le convivenze rispettive, la continuità nel tempo, le possibilità di evoluzione verso forme regolari di lavoro. Questo tende a cogliere l'interazione di alcune fra queste variabili distinguendo tre grandi ambiti: - lavoro irregolare dipendente o lavoro occasionale stagionale: comporta un'elevata mobilità e transitorietà dell'inserimento, lavoro bracciantile non regolarizzato; implica la mobilità territoriale per coloro che provengono da paesi non troppo lontani e tentativi di composizione con altri lavori ugualmente occasionali marginali o lavoro semi continuativo: comporta una certa continuità di rapporto con il medesimo datore di lavoro, ma viene utilizzato per coprire picchi di domanda e fabbisogni periodici (edilizia, pulizie) o lavoro stabile e continuativo: pur non essendo formalizzato presenta caratteristiche di continuità che lo fanno assomigliare a un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Si possono distinguere due sottospecie: l'occupazione aziendale (basso terziario, artigianato, edilizia; l'immigrato ha una vita esterna all'azienda e deve risolvere altrove i problemi abitativi e della vita quotidiana) e l'occupazione domestica assistenziale (il più delle volte è una donna che risiede presso il datore di lavoro e si inserisce in un rapporto di familiarità che mescola protezione sfruttamento) - lavoro irregolare indipendente o autoimpiego di rifugio: lavoro indipendente marginale svolto senza regolari licenze e autorizzazioni (es. commercio ambulante abusivo); anch'esso ha rapporti con alcuni pezzi del sistema economico italiano e consente la commercializzazione di prodotti di seconda scelta dell'economia o inserimento promozionale: finalizzato a un progetto di attività autonoma in cui la situazione irregolare è concepita come una fase provvisoria (es. occupazione in imprese etniche gestite da familiari) - lavoro coatto o lavoro coatto in azienda: prestazioni di lavoro dipendente a cui gli immigrati sono costretti, a causa dei debiti contratti e garantite dal ritiro del passaporto o da altre forme di pressione e ricatto; il rapporto assomiglia di più alla schiavitù che ad un lavoro, i lavoratori sono alla mercé dei datori di lavoro o lavoro coatto nella prostituzione: la coazione può assumere varie forme, dall'inganno al momento della partenza, alla sottomissione psicologica, alle minacce di ritorsione nei confronti dei familiari, alla manipolazione del bisogno di affetto e di protezione o alla violenza fisica. Il funzionamento del mercato del lavoro immigrato Istituzioni solidaristiche: l'incontro tra sistema economico italiano e il lavoro immigrato è stato in vario modo favorito da attori sociali, iniziative solidaristiche e servizi locali come i diversi sportelli e uffici per l'immigrazione; un complesso di soggetti intermediari, positivamente orientati verso l'inclusione degli immigrati nella società italiana. Regolazione microsociale (Reyneri): un mercato del lavoro in cui la domanda è rappresentata in prevalenza da piccolissime imprese, con un peso crescente delle attività di servizio, tende a privilegiare reti di relazioni personalistiche e familiari; il capitale sociale degli individui sotto forma di appartenenze e legami interpersonali ha un peso cospicuo nella ricerca di un'occupazione -> ne consegue che il reclutamento avviene attraverso conoscenze personali a cui l'imprenditore si affida nella ricerca dei requisiti professionali (affidabilità, responsabilità, dedizione). Per molte occupazioni questo modo di operare del mercato del lavoro penalizza gli immigrati poiché esclusi dalle reti sociali della società ospitante. Sul versante dei migranti: le funzioni delle reti sociali cap.4 Un fenomeno facilmente osservabile: le specializzazioni entiche Rete sociale (network): formazione di contatti e conoscenze che inducono a colonizzare determinate nicchie occupazionali; lavori associati alla presenza di immigrati tende a svalorizzarli e accelera l'esodo della popolazione autoctona. - Reti migratorie (due definizioni): o complessi di legami interpersonali che collegano migranti, migranti precedenti e non migranti nelle aree di origine e di destinazione, attraverso vincoli di parentela, amicizia e comunanza di origine (Massey) o raggruppamenti di individui che mantengono contatti ricorrenti gli uni con gli altri attraverso legami occupazionali, familiari, culturali o affettivi; sono complesse formazioni che incanalano, filtrano e interpretano informazioni, articolano significati, allocano risorse e controllano i comportamenti - Reti etniche: reti di persone che condividono una comune origine nazionale (sinonimo di rete migratoria). - Specializzazioni etniche: le reti di connazionali si insediano in maniera significativa in una determinata nicchia del mercato del lavoro, determinando l'associazione tra provenienza e lavoro svolto. - Enclave etnica (America): indica una peculiare concentrazione residenziale di popolazione immigrata in grado di dar vita imprese, istituzioni proprie (scuole, chiese, banche); è un fenomeno non nuovo e abbastanza diffuso, tipico dei paesi con storie di immigrazioni più antiche, cioè esperienze di ghettizzazione e isolamento sociale Un caso di costruzione sociale dei processi economici La diffusa frammentazione del mercato del lavoro italiano si incontra con la regolazione costruita dal basso attraverso le reti migratorie; questo processo dimostra quanto il funzionamento del mercato del lavoro sia tributario di fenomeni sociali, che spaziano da rapporti di parentela a forme moderne di patrocinio e scambio di favori. Guanxi (Light e Gold): l'abilità nel costruire relazioni sociali vantaggiose, nel conservarle e nel richiamarle per avere aiuto nella propria attività. Nei contesti economici contemporanei l'influenza delle reti sociali si rivela maggiore, pervadendo il reclutamento della forza lavoro nell'economia dei servizi, delle piccole imprese e delle attività basate sulla conoscenza. Tilly osserva che le assunzioni operate attraverso le reti di contatti sociali riducono l'efficienza del mercato nel realizzare l'incontro tra domanda e offerta di lavoro, abbassando quindi la probabilità che le imprese trovino i lavoratori più adatti e che i lavoratori trovino l'occupazione che meglio corrisponde alle loro capacità e aspirazioni. Ogni mercato del lavoro reale è radicalmente segmentato ed ogni impresa ha un effettivo accesso soltanto ad una frazione di lavoratori che potrebbero occupare i posti di lavoro offerti, come ogni potenziale lavoratore ha l’accesso effettivo solo ad una frazione di posti di lavoro che potrebbe occupare. L'occupazione straniera illustra come l'autorganizzazione dell'offerta del lavoro influenza i meccanismi di reclutamento e le modalità concrete di incontro tra domanda e offerta. Le azioni delle reti sociali costruite dai migranti sono state studiate come una delle più notevoli forme di costruzione sociale dei processi economici (Portes). Porre in rilievo il ruolo delle reti significa uscire da una visione economicista e unidimensionale del mercato del lavoro, una prospettiva in cui la variabile determinante è la domanda dei datori di lavoro rispetto alla quale l'offerta non farebbe che adeguarsi, per assumere un approccio interattivo e dinamico sensibile nei confronti dell'autonomia degli attori sociali. Tre ipotesi: - l'azione delle reti migratorie e di altre istituzioni sociali volte a favorire l'inserimento al lavoro e l'insediamento sul territorio degli immigrati è più importante quanto meno incide la regolazione pubblica e statuale - allargando lo sguardo alla prospettiva storica e alla comparazione internazionale, l'intervento di questi fattori sociali segue una specie di curva ad U - il processo di inclusione degli immigrati affidato all'azione delle forze di mercato e delle risorse delle reti ha aspetti positivi come la solidarietà tra parenti e connazionali, consente un rapido inserimento di soggetti arrivati da poco e con scarse competenze linguistiche; tuttavia, presenta rischi di ghettizzazione e confinamento degli immigrati Per gli immigrati, le reti di relazione tra persone che condividono la medesima origine rappresentano la principale agenzia di supporto nei percorsi di insediamento e il punto di riferimento più prossimo, si sono dimostrate efficaci anche se relative a determinate nicchie occupazionali. Le reti si strutturano e operano a un livello semisommerso, particolaristico e frammentario; le ricerche osservano che non si può parlare in senso proprio di comunità (o etnia) perché gli immigrati si ritrovano e si aiutano su basi più ristrette, riconducibili a clan familiari (più o meno ampi). Reti migratorie e reti autoctone: elementi distintivi I tratti specifici delle reti migratorie sono riconducibili a due aspetti: - si tratta di reti più concentrate ed esclusive di quelle della popolazione autoctona, tanto che si può affermare che l'identità individuale si definisce grazie alle collocazioni multiple in più reti di relazione. Per gli immigrati è molto più probabile che queste cerchie si sovrappongano e tendano a coincidere per ragioni di difficoltà linguistiche e di mantenimento di legami con la madrepatria; la cerchia familiare intrattiene rapporti con le altre reti familiari immigrate contraddistinte dalla comune origine, formando network a base etnica. La percezione di diversità e discriminazione più o meno esplicita, concorrono a rinforzare i confini di appartenenza - gli immigrati colonizzano determinati settori economici formando nicchie sotto controllo di un certo gruppo nazionale nelle pubbliche amministrazioni, ma si sono formate comunità occupazionali a base etnica in cui la provenienza e l'occupazione tendono a legarsi strettamente. Per gli immigrati sono preponderanti legami forti, basati su vincoli familiari o di stretta amicizia, mentre sono più tenui i legami deboli basati sulla semplice conoscenza o su frequentazioni occasionali. Il capitale sociale a disposizione dei reticolati a base familiare e specializzato, ossia utilizzabile in ambiti ristretti per trovare lavoro nelle nicchie colonizzate dal gruppo di appartenenza; il capitale sociale di solidarietà che produce molto sostegno e in molti casi cospicuo, mentre il capitale sociale di reciprocità è carente. Le reti migratorie mettono a disposizione degli individui il capitale sociale etnico, la cui utilizzabilità dipende dall'esistenza di una comunità etnica insediata nella società ricevente o di un network transazionale; secondo Esser risulta meno efficiente del capitale generalizzato perché soffre della carenza di abilità e conoscenze che possano essere impiegate nel nuovo ambiente, in alcune circostanze però, l'impiego del capitale sociale etnico e l'impegno a migliorarne la produttività possono diventare un'opzione ragionevole. Le reti sociali degli immigrati sono una combinazione di fragilità e di forza: si tratta di reti deboli perché sono formate da soggetti che nelle gerarchie sociali occupano una posizione subalterna e hanno poche risorse (la migrazione tende a schiacciare verso il basso le caratteristiche individuali dei soggetti coinvolti, appiattendosi sull'immagine collettivizzata del gruppo nazionale di appartenenza), le specializzazioni etniche sono effetto e causa di questi processi, derivano dall'azione delle reti e allo stesso tempo sembrano confermare le associazioni tra nazionalità e occupazione; ma allo stesso tempo si tratta di reti forti. Portes ha definito solidarietà vincolata: i partecipanti sanno di non avere molte altre possibilità a disposizione oltre quella di darsi aiuto reciproco e di difendere la buona reputazione del gruppo. Le funzioni svolte dalle reti migratorie: come si declina il sostegno reciproco Funzioni svolte dalle reti etniche: - accoglienza e sistemazione logistica: la parentela, la comune origine e lingua sono la stazione di appoggio per i nuovi arrivati ed è la risorsa su cui contare - ricerca del lavoro: le reti etniche esplicano una delle più visibili forme di sponsorizzazione, fino a generare le forme di specializzazione etnica; l'azione delle reti si salda con le categorizzazioni cognitive dei datori di lavoro e della popolazione autoctona, dando luogo alla percezione del possesso di particolari attitudini e predisposizioni culturali per svolgere determinate occupazioni ricevente. In questo caso le reti svolgono una funzione di mediazione che contribuisce a rielaborare e a rendere tollerabili i rapporti di lavoro culturalmente inaccettabili Limiti e risorse delle reti migratorie Segregazione occupazionale: le reti tendono a rafforzarla perché la sponsorizzazione di parenti e connazionali si riferisce alle nicchie di mercato in cui un gruppo è riuscito a insediarsi. Ambivalenza del controllo sociale: le reti coese producono forme di controllo sociale che tengono a freno comportamenti devianti o socialmente disapprovati, ma esercitano anche una pressione di conformità che può condizionare la libertà individuale. Aiuti interessati: l'aiuto verso i connazionali non è sempre disinteressato o remunerato soltanto in termini simbolici di riconoscimento o prestito sociale; in alcuni casi ogni azione di sostegno si paga. All'interno delle reti si incontrano persone specializzate nello svolgimento di cruciali funzioni di mediazione tra i bisogni dei migranti e la società ricevente, traendo profitto da questa esigenza. Il caso più grave è quello della formazione di reti devianti che recluta connazionali come manovalanza per traffici illeciti o reati a scopo di lucro. Sostegno identitario: il contributo delle reti migratorie nel mantenimento di riferimenti identitari, nell'alimentazione della diversità culturale, nell'organizzazione collettiva rivolta alla lotta contro la discriminazione alla tutela dei diritti degli immigrati; il passaggio a forme più sviluppate e trasparenti di rappresentanza è auspicabile ma nessuna associazione formale potrebbe prosperare se non potesse contare su un senso di appartenenza e un investimento affettivo da parte dei membri. Compensazione di carenze istituzionali: alcuni effetti negativi vanno attribuiti alla carenza di interventi istituzionali, compensativi dei limiti delle reti di mutuo sostegno tra parenti e connazionali. se un immigrato istruito non riesce a trovare lavoro al di fuori della nicchia occupazionale in cui i suoi contatti sono in grado di collocarlo, la colpa non è della rete, ma delle carenze di politiche e servizi per l'impiego capaci di sostenerlo nella ricerca di un'occupazione migliore. Il passaggio al lavoro indipendente cap. 5 Il versante dell’offerta di lavoro autonomo Il ruolo storico delle minoranze intermediarie (gruppi etnici o religiosi che si sono affermati come agenti di connessione commerciali o creditizi) può essere visto come una cerniera tra l'imprenditoria straniera in azione contemporanea di molteplici forme di iniziative economica ad opera di soggetti immigrati; infatti, il tasso del lavoro autonomo degli immigrati è cresciuto più di quello degli autoctoni. Ipotesi che hanno privilegiato il versante dell’offerta: - Spiegazioni di tipo culturale: basate sulla formazione psicologica, religiosa, professionale, socioculturale di alcuni gruppi etnici che li renderebbe più propensi di altri alle attività commerciali, al lavoro autonomo grazie all'adesione a valori come indipendenza, autodisciplina e applicazione sul lavoro. L'enfasi è posta sui vantaggi etnici rappresentati dalla disponibilità di lavoro poco costoso, dalle norme morali interne alle collettività immigrate che plasmano i rapporti tra imprenditori e dipendenti, alle forme di supporto e assistenza che i connazionali possono fornire. È sempre più condivisa l'idea che l’etnicità sia fabbricata a contatto con la società ricevente, più che importata e trapiantata integralmente dall'estero, dunque prodotta e riprodotta nell'interazione, allo scopo di sfruttare i vantaggi che può fornire. - Teoria dello svantaggio (anni Sessanta): la scelta del lavoro autonomo costituisce una risposta alle difficoltà di inserimento sociale e alla disoccupazione; le minoranze sono svantaggiate per la scarsa padronanza della lingua e sono vere e proprie forme di discriminazione nell'accesso al lavoro, gli immigrati tendono a rifugiarsi in attività indipendenti che richiedono investimenti ridotti in termini di capitale e tecnologia. Le tradizionali nicchie di insediamento degli operatori immigrati sono sempre più minacciate dall'estensione della distribuzione moderna; dunque, sia dal versante dell'offerta sia da quello della domanda provengono pressioni che conducono alla contrazione del fenomeno dell'ethnic business. o Mobilità bloccata: è una variante meno pessimistica della teoria dello svantaggio secondo cui gli immigrati tenderebbero a passare al lavoro indipendente perché nel mercato del lavoro dipendente e nelle organizzazioni gerarchiche non riescono ad avanzare in misura corrispondente alle loro credenziali educative, capacità e aspirazioni; l'intraprendenza è la risposta alla discriminazione incontrata negli sviluppi successivi. La differenza tra le due teorie è che, per la prima l'autoimpiego è un’alternativa estrema alla disoccupazione, è meno ambita e manifesta una correlazione inversa con l'istruzione; per la seconda si tratta di una risposta alla discriminazione delle carriere organizzative e quindi un passo avanti rispetto all'occupazione salariata e ha una correlazione positiva con l'istruzione e con l'esperienza professionale accumulata. - Middleman minorities (Bonacich): è un'interpretazione dell'attivismo imprenditoriale degli immigrati vicina alla teoria culturale ma più sensibile ai fattori strutturali. Si tratta di gruppi etnici che attraverso il mondo hanno ricoperto (e rivestono) il ruolo di minoranze e di intermediari tra produttore e consumatore; questi gruppi condividono alcune caratteristiche essenziali: sono migranti che non intendono insediarsi in maniera permanente e mostrano un attaccamento inusuale alla patria ancestrale, si concentrano in determinate occupazioni (commerciali) che non li vincolano per lunghi periodi privilegiando la liquidità del capitale, manifestano la tendenza alla parsimonia e una diffusa pratica di lunghi orari di lavoro. La solidarietà interna svolge un ruolo importante sul versante economico, garantendo un'efficiente distribuzione delle risorse e contribuendo a controllare la competizione nell'ambito del gruppo (-> comunità minoritarie coese). Tuttavia, l’enfasi su questa ipotesi è troppo restrittiva e risulta necessario passare al più ampio concetto di imprenditoria immigrata, tipica di quei gruppi in cui il tasso di lavoratori autonomi supera quello della media della popolazione; a sua volta l'imprenditoria immigrata si traduce in imprenditoria etnica quando la seconda generazione continua la specializzazione nel lavoro autonomo dei genitori. - Successione ecologica (Aldrich): la piccola borghesia impegnata in attività indipendenti non è in grado di autoriprodursi in misura sufficiente e sopravvive mediante il reclutamento di piccoli imprenditori da classi sociali più basse; quindi, quando in un determinato quartiere i più anziani operatori cominciano ad uscire dall'attività e non trovano successori, nuovi lavoratori indipendenti tendono a prendere il loro posto. Questo avviene nelle attività più pesanti e rischiose e nei quartieri socialmente più problematici. - Economie di enclave (Portes): in aree in cui si realizza un'elevata concentrazione di imprese fondate e dirette da stranieri. L'intento è quello di contrastare le interpretazioni deterministiche dell'insediamento del mercato del lavoro in termini assimilazionisti e strutturalisti. Si tratta di gruppi immigrati che si concentrano in una determinata dislocazione spaziale e organizzano una varietà di imprese; l'elemento basilare è il fatto che una quota significativa della forza lavoro immigrata sia occupata in imprese di proprietà di altri immigrati. La prima caratteristica è infatti l'uso di un comune legame culturale per la sopravvivenza economica e l'avanzamento sociale; la nascita di queste imprese è ricondotta all'arrivo di immigrati già introdotti nel paese in attività commerciali e affaristiche; per l'avvio di un'impresa è necessario avere il capitale ed è decisivo il sostegno garantito dalla rete di amicizie e dal gruppo di appartenenza; il terzo fattore è il lavoro grazie al flusso inesauribile di parenti e amici. L'elemento rilevante è la volontarietà della segregazione occupazionale degli immigrati e la concentrazione delle imprese etniche in aree ristrette e caratterizzate contribuisce a rafforzare la solidarietà etnica, la cooperazione e consente ai lavoratori di sperare in un avanzamento di carriera. La speranza di mobilità è la chiave di volta della cooperazione tra lavoratori e imprenditori, che riveste tanta importanza nella competitività dell'impresa etniche. - Teoria delle risorse (Light), è un’integrazione tra la teoria culturale e quella dello svantaggio: o Risorse etniche collettive: comprendono quelle caratteristiche del gruppo che risultano vantaggiose per le iniziative imprenditoriali e possono essere ricondotte a quattro categorie: dotazioni culturali ortodosse (coerenti con le norme vigenti nella società di origine); soddisfazione relativa per l'esperienza migratoria; solidarietà interna reattiva nei confronti della società esterna e orientamento a una permanenza limitata nel tempo. La tendenza all'autoimpiego si collega in una posizione di debolezza sul mercato del lavoro perché i gruppi socialmente discriminati soffrono di una sottoccupazione cronica che spinge alcuni individui a indirizzarsi al lavoro autonomo come via di uscita dalla situazione di emarginazione. Per intraprendere è necessario disporre di risorse quindi ciò che distingue le minoranze imprenditive dai gruppi svantaggiati è la disponibilità di risorse collettive che permettono agli individui di convertire un bisogno di reddito in una piccola attività che genera reddito. o Risorse di classe: si assiste al riavvicinamento alle tradizionali posizioni degli economisti e ad un arretramento dell'enfasi posta sulle risorse etniche. Una ricerca relativa a un campione nazionale di imprese di proprietà di immigrati asiatici ha evidenziato il fatto che il successo delle imprese è derivato da cospicui investimenti finanziari e dalle elevate credenziali educative dei proprietari; al contrario il sostegno dei network etnici caratterizza le piccole imprese, meno capaci di generare profitti e più esposte al fallimento. Il capitale umano, quindi, prevale nettamente sul capitale sociale fornito dalle reti etniche. Il versante della domanda e i tentativi di integrazione Obiezione alle precedenti teorie: anche se con accentuazioni diverse enfatizzano il versante dell'offerta, analizzando le motivazioni delle minoranze immigrate; da alcuni anni si rileva invece una maggiore consapevolezza delle connessioni tra imprenditoria immigrata e sistemi economici delle società ospitanti, ponendo un'enfasi sulle dinamiche dell'offerta imprenditoriale immigrata e sui fattori culturali predisponenti. Le analisi di Sassen aiutano a comprendere come la trasformazione dei modelli di consumo e i cambiamenti dell'economia urbana incoraggiano la proliferazione di piccole imprese; la penetrazione degli immigrati in questi ambiti è favorita dalla diminuzione di offerta imprenditoriale da parte dei nativi, attratti da occupazioni più sicure e gratificanti. Ipotesi della tripartizione dell'economie metropolitane: - Area centrale: composta da industrie ad alta intensità di capitale e servizi professionali basati sulla conoscenza - Semiperiferia: composta da economie etniche promosse da gruppi specifici di immigrati - Periferia: altri gruppi etnici (i più deboli e nuovi arrivati) competono alla ricerca di occupazioni dipendenti Il dato interessante consiste nell'individuazione di uno strato sociale a sé stante di operatori economici immigrati che svolgono vitali compiti di connessione e fornitura di servizi essenziali per la vita delle metropoli. Economie mercificate e demercificate (Engelen): economie nazionali in cui è maggiore l'affidamento allo scambio di mercato per la regolazione dell'economia e la fornitura di servizi, offrono maggiori opportunità per l'ingresso di nuovi imprenditori di economie più regolate dalle istituzioni pubbliche; più alto è il grado di demercificazione di un'economia più piccolo è il numero di mercati disponibili, più piccolo è il numero di mercati disponibili, più i mercati disponibili saranno di alto livello, alta remunerazione e alta soglia d'ingresso. Dunque, le chance di penetrazione saranno più alte nell'economie mercificate e più basse in quelle demercificate. Alcuni contributi si sono prefissati di collegare in modo organico i tre aspetti dell’offerta dell’imprenditoria etnica, delle esigenze dei sistemi economici avanzati e della regolazione normativa: - Modello interattivo (Waldinger): enfatizza la struttura delle opportunità che stanno a fronte degli immigrati, così come la distribuzione delle risorse e le modalità con cui sono rese disponibili alle minoranze etniche; l'attività economica degli immigrati viene studiata come la conseguenza interattiva del perseguimento di opportunità attraverso la mobilitazione di risorse mediate dai reticoli etnici in condizioni storiche uniche. Allo stesso tempo può essere vista come un modo in cui gli immigrati e le minoranze possono rispondere all'attuale ristrutturazione dell'economie occidentali; le analisi insistono sugli spazi di mercato in cui le imprese etniche si inseriscono: il primo mercato si svilupperebbe all'interno della comunità immigrata, con le sue necessità, i suoi gusti e i bisogni che possono essere coperti soltanto da altri che li conoscono e condividono (membri della stessa comunità). L'emergere dei nuovi arrivati come gruppo di rimpiazzo viene ricondotto a fattori socioculturali come l'auto selezione alla partenza, la predisposizione al commercio e le risorse informali assicurate dal gruppo etnico; un particolare accento viene posto sulla mobilità bloccata che incanala verso il nuovo lavoro autonomo le speranze di ascesa sociale. Le risorse informali del gruppo sono di fondamentale importanza per garantire la sopravvivenza e la competitività dell'impresa. Il punto chiave, ovvero quello dell'interazione tra opportunità offerte dai mercati e offerta di imprenditorialità da parte degli immigrati, è stato successivamente ripreso e ampliato da Light che distingue tra risorse etniche specifiche e risorse di utilità generale. Punti deboli: assicurato dal network dei connazionali. Questo ha consentito di sviluppare carriere che sono approdate al lavoro indipendente e alla costruzione di attività che danno lavoro a familiari e condizionali. Caso cinese: l'immigrazione cinese è inserita in uno dei più antichi operosi distretti industriali italiani (Prato), si tratta di laboratori che operano in qualità di terzisti per imprese italiane nella produzione di confezioni e maglieria. Il fenomeno ha provocato un conflitto politico-economico tra i più rilevanti nella storia dell'Italia come paese di immigrazione, a causa della versatilità non comune delle attività cinesi che hanno infatti preso la strada della diversificazione e dell'insediamento. Tipologie dell’imprenditoria immigrata Si distinguono imprese che offrono prodotti servizi alla popolazione immigrata, da quelle che competono sul mercato più ampio dell'economia locale, così come vengono distinti prodotti i servizi che esibiscono un riferimento etnico. Tipi di imprese: - imprese tipicamente etniche: rispondono alle esigenze peculiari della comunità immigrata ormai sufficientemente installata in terra straniera, fornendo prodotti e servizi specifici, non reperibili nel mercato normale - imprese intermediarie: specializzate nell'offrire alla popolazione immigrata prodotti e servizi non tipicamente etnici, ma che necessitano di essere mediati e tradotti attraverso rapporti fiduciari - imprese etniche allargate: il prodotto offerto risponde alle peculiarità culturali di un gruppo immigrato, ma la clientela è mista - imprese prossime: specializzate in servizi per una clientela immigrata, ma possono risultare attraenti anche per una clientela italiana - imprese esotiche: offrono prodotti derivanti dalle tradizioni culturali del paese di origine per un pubblico di consumatori sempre più eterogeneo - impresa convenzionale: meno si identificano con le radici etniche, tendono a non esibirle all'esterno e a competere sui mercati concorrenziali, soprattutto nelle grandi aree metropolitane - impresa rifugio: difficilmente identificabile con una collocazione precisa rispetto al prodotto del mercato, vi appartengono imprese marginali di diversi settori Un'altra classificazione delle imprese riguarda le dimensioni e il grado di strutturazione dell'attività (stratificazione): operatori informali, nuovi entranti, operatori indipendenti, imprenditori relativamente autonomi, leader economici. Una terza tipologia di classificazione è stata proposta da una ricerca sulle iniziative economiche a carattere transazionale: - transnazionalismo circolatorio: rappresentato dalle attività che comportano uno spostamento fisico frequente attraverso i confini, con viaggi ripetuti tra madrepatria e luoghi di insediamento - transnazionalismo connettivo: consiste nelle attività economiche che non implicano uno spostamento fisico degli operatori, ma fanno viaggiare denaro e messaggi comunicativi - transnazionalismo mercantile: l'attività economica può passare attraverso le merci comprate e vendute, i legami consentono di realizzare in modo efficiente e vantaggioso le transazioni che riguardano prodotti richiesti dagli immigrati per sentirsi meno lontani da casa - transnazionalismo simbolico: gli scambi si incontrano con le domande dei consumatori postmoderni e contribuiscono a forgiare nuove pratiche sociali, nuove modalità di identificazione e nuovi sincretismi culturali; le merci, infatti, non vengono importate o lo si fa soltanto in modo accessorio per ricostruire atmosfere e ambienti Immigrati e lavoro autonomo: un fenomeno che scompagina gli schemi Riflessioni: la necessità di considerare continuamente la domanda, l'offerta e le condizioni istituzionali per comprendere lo sviluppo di attività indipendenti nelle popolazioni immigrate. Gli approcci più innovativi e promettenti appaiono quelli che connettono le peculiarità dell'offerta di lavoro autonomo degli immigrati con la domanda di piccola imprenditorialità che attraversa i sistemi socioeconomici dei paesi sviluppati; il settore dei servizi di tipo tradizionale e i grandi contesti urbani appaiono gli ambienti più favorevoli allo sviluppo di tali esperienze. Un altro rischio è dato dall'enfasi sulle etnicità delle iniziative imprenditoriali prodotte da immigrati, è possibile sottolineare che il passaggio al lavoro autonomo non necessariamente avviene nell'ambito di comunità (o di enclave) perché il ricorso alle risorse garantite dal gruppo di appartenenza avviene in misura variabile, lungo una sorta di continuum. Le ricerche sul caso italiano rilevano che la maggioranza degli immigrati che aprono attività autonome dispongono di una consistente anzianità di soggiorno, hanno accumulato esperienze professionali e conoscono l'italiano. Parecchie esperienze imprenditoriali rappresentano casi di ibridazione e ricomposizione tra retaggi culturali e pratiche sociali tradizionali. Donne migranti e famiglie transazionali cap. 6 L’approccio di genere nello studio delle migrazioni Aumento del numero di donne che emigrano da sole per cercare lavoro; si assumono questa responsabilità procurandosi le risorse economiche, danno vita a catene migratorie e ricongiungimenti familiari. La femminilizzazione è un tratto saliente dei fenomeni migratori e ha aperto nuove prospettive di ricerca. Doppia discriminazione: le donne migranti sono discriminate sia in quanto donne sia in quanto immigrate, sono svantaggiate da stereotipi di genere e da stereotipi etnici, mirati ad etichettare gli immigrati in senso collettivo e svalorizzante (si aggiunge anche la discriminazione di classe). Razza, genere e classe formano un insieme di caratteri che definiscono il ruolo delle donne immigrate nella società ricevente. Esiste una gerarchizzazione delle donne, influenzata dall’apparenza fisica, tale per cui le famiglie autoctone preferiscono come collaboratrici donne originarie di determinati paesi, mentre rifiutano di assumere altre per il colore della pelle o per la provenienza geografica. La collocazione di classe è una caratteristica acquisita, molte donne provengono dalla classe media, hanno un’istruzione e hanno svolto occupazioni, è l’esperienza migratoria che schiaccia verso il basso e le identifica adatte a svolgere solo determinate occupazioni. Il lavoro di cura: profili professionali e compiti richiesti L’impiego di donne immigrate in attività domestiche è sempre più comune nel mondo sviluppato e rappresenta il più importante serbatoio di opportunità occupazionali, in condizione regolare o irregolare. Il fenomeno ha dimensioni mondiali e rispecchia la tendenza all’importazione e all’accudimento dai paesi poveri verso quelli ricchi. Cliché iperfunzionalistico: le donne immigrate appaiono come la parte più accettata dell’universo dei migranti, quella che suscita meno timori e resistenze (anche se irregolare), trovano lavoro più facilmente e incontrano meno difficoltà sul versante abitativo; ma la società stenta ad offrire alle donne immigrate occupazioni differenti da quelle di collaboratrici familiari. Una domanda di lavoro così caratterizzata in campo domestico-assistenziale si rivela congruente con il modello familistico di welfare (tipico dei paesi mediterranei). L’impiego di collaboratrici serve a puntellare le difficoltà delle famiglie nel reggere carichi domestici crescenti; l’emancipazione delle donne è stata ottenuta in molti casi delegando ad altre i compiti di cura di persone e abitazioni. La categoria di genere non è neutra dal punto di vista dei rapporti di potere, nel senso che il lavoro domestico diventa il luogo in cui alcune donne esercitano potere su altre donne. Queste occupazioni comportano anche una richiesta di coinvolgimento affettivo, di sostituzione relazionale e di mobilitazione, diventando una persona di famiglia. Il coinvolgimento è olistico, la richiesta di partecipazione emotiva è un tratto caratteristico di tutti i servizi di cura, anche a causa della convivenza tra lavoratrici e datori di lavoro. Si distinguono tre profili professionali: - assistente a domicilio: è il più faticoso ed esigente, con anziani, le prestazioni sono di tipo assistenziale e parasanitario; è richiesta compagnia e sostegno emotivo. C’è una domanda di coresidenza e l’impegno ad accudire le persone sia di notte sia nei giorni festivi. La maggior parte sono donne in condizione irregolare - collaboratrice familiare fissa: coresidente, è richiesto il compito di conciliare gestione della casa e cure familiari. Anche qui ci sono parecchie donne prive di permesso di soggiorno e sottopagate, ma tante sono regolarmente assunte. Il lavoro è meno pesante ma ugualmente costrittivo per l’autonomia personale e la vita privata - colf a ore: è un’evoluzione dei primi due, il vantaggio è lo svincolo dalla convivenza con i datori di lavoro e questo implica una buona capacità di muoversi nella società ricevente, di interazione e di gestione dei tempi e degli spostamenti. Rappresenta una sorta di promozione orizzontale, un passo avanti nella conciliazione di lavoro e vita privata; la maggior parte delle donne hanno un regolare permesso di soggiorno e sono insediate in maniera stabile nella società ricevente Altre tipologie di profili: - esplorativo: donne molto giovani senza carichi familiari, occupate nel settore in modo abbastanza casuale, interessate a sondare le opportunità - utilitaristico: donne dai 45 in su, provenienti dall’Europa orientale che hanno lasciato in patria figli non intenzionati a raggiungerle, sono poco interessate alla stabilizzazione, hanno praticato forme di migrazione pendolare e tornano abbastanza spesso nel loro paese - familista: immagine delle madri transazionali, giovani donne adulte provenienti dall’America latina con figli minori lasciati in patria che aspirano al ricongiungimento e alla messa in regola - promozionale: donne della medesima fascia di età ma provenienti da vari paesi, dotate di alti livelli di istruzione e di esperienze professionali, mirano ad elevare il proprio status e sperimentano sentimenti di frustrazione per l’attuale collocazione occupazionale Caratteri e problemi del lavoro nell’ambito domestico Le prestazioni che vengono richieste derivano dalla loro identità femminile tradizionale che le predispone positivamente a prendersi cura della casa e delle persone in condizione di debolezza, la relativa facilità nel trovare tali occupazioni ha come contrappunto una drammatica difficoltà ad uscirne per inserirsi in attività più qualificate. Ne derivano alcune conseguenze: - saldatura tra uno stereotipo etnico e uno di genere: serie di assunti circa le attitudini di certe popolazioni a occupare posizioni di servizio, attribuendo caratteristiche soltanto in base alla provenienza - scelte e prospettive delle donne immigrate: molte donne si adattano alle situazioni, rinunciando a perseguire ambizioni di miglioramento sociale (adattamento al ribasso) - estesa violazione degli obblighi contrattuali: abusi, prepotenze, isolamento sociale, inosservanza degli orari di lavoro e dei gironi festivi, forme di lavoro servile Queste situazioni comportano diverse implicazioni micro-sociali sottoforma di imprevedibili alleanze tra famiglie italiane e “i loro” immigrati; l’alterità culturale consente di trattarli diversamente dai lavoratori nazionali e si dà per scontato che ad essi si possano richiedere prestazioni e imporre condizioni di lavoro che non si oserebbe pretendere da italiani. Processo di stratificazione internazionale dell’accudimento: numero crescente di famiglie dai paesi occidentali riesce a far fronte ai compiti di cura, in cui l’offerta è rappresentata da donne migranti, a loro volta madri e con famiglie da accudire. Care drain: il drenaggio riguarda le risorse di cura, sottratte alle famiglie nei paesi di origine con la partenza delle madri per andare a svolgere compiti di cura altrove, obbligando i figli a fronteggiare il fenomeno del care shortage (impoverimento di accudimento e cura). Nelle aspirazioni delle donne primomigranti si riscontrano aspirazioni ad una vita più libera e dignitosa, svincolata dal controllo di strutture sociali maschiliste, l’indipendenza diventa una forma di promozione sociale. Il protagonismo femminile Introdurre in modo diverso la condizione delle donne migranti, ponendo in luce il protagonismo, lo spirito di iniziativa e la capacità strategica, nonostante i vincoli imposti dai condizionamenti strutturali. Esse dimostrano di essere capaci di autonomia e identità che non corrisponde al loro passato e nemmeno all’idea ricercata e voluta dalle donne occidentali. Il protagonismo femminile si esplica a diversi livelli: - secondo una prospettiva storica, le migrazioni maschili comportavano una maggiore autonomia delle donne che assumevano la guida della famiglia e sostituivano le attività svolte dai mariti - la scelta di partire è mediata dal contesto familiare e questo comporta aspetti ambivalenti, le donne si sentono più legate alla famiglia e sono educate ad esserlo, le migrazioni femminili esprime legami affettivi e obbligazioni morali persistenti; sono più dipendenti da ragioni familiari. Nel legame si possono riflettere relazioni improntate a visioni patriarcali e, proprio il fato di procurare risorse che servono al gruppo familiare, innalza lo status delle donne migranti e ne aumenta il potere decisionale. Le donne diventano il perno delle strategie di mobilità sociale o di difesa dello status familiare - percorso delle famiglie miste: partner di origine diversa in cui le scelte educative per i figli possono portare conflitti a causa di differenze culturali e religiose - nuova unione: l’esperienza migratoria provoca una crisi del legame coniugale e l’immigrato allaccia una nuova relazione nel paese ricevente Il ricongiungimento è un fattore di normalizzazione della presenza di immigrati, il cui profilo sociale tende ad avvicinarsi a quello della popolazione autoctona delle stesse fasce d’età. Il paradosso è che l’immigrazione più accettata (quella familiare) è più costosa per le società riceventi rispetto a quella dei soli lavoratori adulti; ma l’immigrazione più conveniente (quella di soli adulti) è meno accettata socialmente, in particolare se declinata al maschile. La produzione di nuove identità familiari: matrimoni e coppie miste Matrimoni e coppie miste: queste unioni sono state viste come veicolo di integrazione e come il simbolo della fusione tra i vecchi residenti e i nuovi arrivati. Esiste anche il fenomeno dell’acquisto di mogli dall’estero che riguarda soprattutto i paesi più poveri in cui operano agenzie specializzate nella gestione delle spose ordinate per posta; il fenomeno rivela uno squilibrio di potere che si estende dal mercato del lavoro alla sfera dei rapporti personali e sentimentali. Le giovani si collocano in una categoria intermedia tra colf e prostituta. La mixité (matrimoni interetnici) è un concetto relativo, influenzato dalle reazioni del contesto che ospita la coppia (in cui emergono le diversità di religione e provenienza in modo simultaneo); perché si parli di mixité bisogna che sia sentita la differenza tra i partner, le cui connotazioni si sono modificate nel tempo. La mescolanza sentimentale è una strategia di integrazione molto selettiva perché si porta in dote un grado di istruzione più elevato per entrare nel sistema dei matrimoni; la maggior parte delle ricerche ha rilevato le difficoltà, i conflitti e i fallimenti in quanto la coppia deve farsi carico anche di mediare differenze e disuguaglianze. I figli dell’immigrazione cap. 7 La socializzazione dei figli dei migranti La formazione di una nuova generazione scaturita dall’immigrazione rappresenta un nodo cruciale dei fenomeni migratori, una sfida per la coesione sociale e un fattore di trasformazione per le società riceventi. Un problema è quello del passaggio da immigrazioni temporanee a insediamenti durevoli, definiti in molti casi, con la trasformazione delle migrazioni per lavoro in immigrazioni di popolamento. La nascita della seconda generazione ha sconvolto i taciti meccanismi dell’accettazione dell’immigrazione, basati sul presupposto della provvisorietà (Sayad). La nascita e la socializzazione dei figli dei migranti producono uno sviluppo delle interazioni, degli scambi, dei conflitti tra immigrato e società ospitante, sono un punto di svolta dei rapporti interetnici, obbligando alla presa di coscienza delle trasformazioni irreversibili della geografia umana e sociale. Rappresenta inoltre, un momento decisivo per la presa di coscienza del proprio status di minoranze insediate in un contesto diverso da quello della società di origine. Nella categoria delle seconde generazioni confluiscono casistiche assai diverse, che spaziano da figli nati e cresciuti nella società ricevente a adolescenti ricongiunti. Applicare un’etichetta ad un gruppo sociale, definendolo a partire dalle sue origini, è una costruzione di una categoria sociologica, i soggetti interessati infatti, obiettano che queste origini sono solo un tratto della loro personalità. Concezione decimale di Rumbaut: ha introdotto una visione graduata, decimale della seconda generazione e ha proposto il concetto di generazione 1,5, ossia quella che ha cominciato il processo di socializzazione e la scuola primaria nel paese di origine, ma ha poi completato gli studi nel paese ricevente. Vi è una sorta di continuum scandito da situazioni socioculturali e problematiche educative diverse tra il soggetto nato nel paese ricevente da genitori stranieri e quello che arriva intorno alla maggiore età, dopo aver avuto un processo di socializzazione nel paese di origine. Si distinguono varie tipologie di casi: - minori nati in Italia - minori ricongiunti - minori giunti soli - minori rifugiati - minori arrivati per adozione - figli di coppie miste Seconde generazioni, coesione sociale e processi di integrazione Ansietà di assimilazione: il rapporto tra il destino delle seconde generazioni immigrate e la riproduzione della società, traspare anche dal fatto che si proietta su di esse il timore della società adulta nei confronti dei giovani, che non accettino di introiettare e riprodurre l’ordine sociale preesistente, sottoponendo a critica l’idealizzazione del melting pot del passato. Il caso delle seconde generazioni rimanda alla tensione tra l’immagine sociale marginale e collegata ad occupazioni umili, e l’acculturazione agli stili di vita e alle rappresentazioni delle gerarchie occupazionali acquisite con la socializzazione nelle società riceventi. Il problema si pone perché i giovani di origine immigrata hanno assimilato gusti e modelli di consumo dei coetanei autoctoni. Piore parla della seconda generazione socializzata dalla strada, poco incline a riconoscere l’autorità genitoriale e portatrici di atteggiamenti più simili a quelli dei coetanei nativi; se non hanno successo nella scuola, rischiano di alimentare un serbatoio di esclusione sociale, devianza e opposizione alla società ricevente. Touraine parla di una situazione in cui l’assimilazione culturale si coniuga con una forte dose di non integrazione sociale. Roy parla di etnia inventata e di islam immaginario, osservando che nelle comunità arabe la lingua parlata non è l’arabo e la religione serve come mezzo di identificazione simbolica più che per la pratica reale; i giovani arabi delle periferie, si definiscono così perché questa identità simbolica assume un valore aggregante e una carica positiva nei confronti di una società escludente. Le accresciute difficoltà dell’integrazione portano a parlare di declino delle seconde generazioni, sottolineando l’incidenza di due fattori: - pesano le trasformazioni dell’economia americana verso una struttura socioeconomica a clessidra in cui stanno declinando le occupazioni industriali stabili e i gradini delle carriere gerarchiche tradizionali - incide la differenza razziale, come viene percepita e stigmatizzata dalla società ricevente, attraverso processi di etichettatura su differenze fisiche facilmente distinguibili. La categorizzazione razziale si trasmette alle seconde generazioni e continua ad influire sui loro destini anche quando l’assimilazione linguistica e culturale ha raggiunto livelli avanzati. Una posizione diversa è sostenuta da Perlmann e Waldinger che hanno ridimensionato la tendenza verso l’affermazione di una struttura economica polarizzata, con il declino delle classi medie, ritenendo le economie etniche un importante serbatoio di opportunità. Le definizioni delle differenze razziali non sono il punto di partenza per l’analisi delle forme di discriminazione, ma gli esiti di processi di costruzione sociale, uno status acquisito e non ascritto. L’integrazione delle seconde generazioni: visioni a confronto - Visione strutturalista: anche i figli degli immigrati sono svantaggiati e condannati all’esclusione dalle occupazioni migliori. Questa posizione è molto diffusa tra gli studiosi europei e riflette un contesto meno ricettivo sull’insediamento permanente degli immigrati -> effetto del paradosso dell’integrazione, secondo cui, mentre i genitori rimangono invisibili, i figli si proiettano verso un arco più ampio di opportunità; le canoniche osservazioni vengono respinte: non solo a un pari livello di istruzione non corrisponde ad un’eguaglianza di opportunità, ma la percezione di un trattamento discriminatorio incide sulla motivazione allo studio e sulla disponibilità verso la formazione. Da questo discende un’etnicizzazione della povertà, con il rischio di formazione di una underclass esclusa dal mercato del lavoro. - Visione neo-assimilazionista: corrente di pensiero americana che sostiene che l’assimilazione continua ad avvenire, i figli degli immigrati apprendono la lingua del paese in cui si trovano, procedono gli studi e abbandonano le nicchie di specializzazioni etniche. Brubaker distingue due significati del concetto di assimilazione: o generale e astratto: l'aspetto centrale è la crescente similarità (somiglianza), assimilare significa diventare simili, rendere simili o trattare come simili o specifico e organico: qui assimilare significa assorbire, incorporare, trasformare in una sostanza della propria natura, implicando un completo assorbimento egli sottolinea altri due aspetti dell’assimilazione: o processo sociale che avviene a livello aggregato è largamente inintenzionale e invisibile, rappresenta la conseguenza di azioni e scelte individuali o va perseguita normativamente non in campo culturale, ma a livello socioeconomico, si oppone alla segregazione, alla ghettizzazione e all’emarginazione Transizioni trionfanti (Boyd, Grieco): analisi dei risultati ottenuti sulle seconde generazioni in Canada; con il conseguimento di alti livelli di istruzione e status occupazionale, il successo non è uniformemente diffuso e si distinguono esiti differenti in relazione alle origini dei genitori. Le seconde generazioni sperimentano alti livelli di istruzione con un vantaggio consistente; i progressi della seconda generazione sono più marcati di quelli delle generazioni successive. - Posizione intermedia: una prima variante consiste nel problematizzare un generico concetto di assimilazione nella società ricevente. o Downward assimilation: assimilazione dei giovani nell’ambito di comunità marginali, nei ghetti urbani in cui si trovano a crescere insieme alle minoranze interne più svantaggiate, introiettando la convinzione di una discriminazione insuperabile da parte della maggioranza autoctona e l’idea dell’inutilità di ogni sforzo di miglioramento. Isolamento sociale e deprivazione alimentano una cultura oppositiva che comporta il rifiuto di norme e valori della società maggioritaria. o Assimilazione segmentata (Portes): intende cogliere la diversità dei traguardi raggiunti delle varie minoranze immigrate e sottolineare che la rapida integrazione e accettazione della società americana rappresentano solo una delle possibili alternative. o Acculturazione selettiva: le minoranze interessate assorbono dalla cultura maggioritaria gli aspetti che considerano positivi, come il valore dell’istruzione e l’idea della promozione sociale come risultato dell’impegno individuale, mentre tendono a difendersi da altri influssi che reputano minacciosi. Le reti etniche possono essere una forma di capitale sociale che influenza l’interazione dei figli nella società ricevente con azioni di sostegno e controllo. La ricerca suggerisce la centralità dell’istruzione dei genitori come principale fattore esplicativo. Il tradizionale modello di assimilazione non sembra molto utile nel descrivere l’attuale processo ed i probabili esiti. Molte minoranze incoraggiano l’acculturazione selettiva (inglese fluente pur mantenendo la lingua dei genitori e continuando a rispettare norme, valori e legami dei contesti di provenienza), e questo non conduce alla frammentazione ma ad un’integrazione più efficace. Tipi di acculturazione: ▪ acculturazione consonante: migranti che abbandonano la lingua e le abitudini del paese di origine per abbracciare quelli della società ricevente ▪ resistenza consonante: caso opposto, chiusura nella cerchia dei connazionali senza integrarsi nella società ricevente ▪ acculturazione dissonante I: conflitto intergenerazionale dell’emigrazione, determinato alla rapida acculturazione dei figli e dal loro rifiuto di mantenere legami e retaggi culturali che richiamino le origini dei genitori, a cui questi ultimi rimangono attaccati con esiti di divaricazione ▪ acculturazione dissonante II: i genitori perdono i legami e il sostegno della cerchia di connazionali, rimanendo indietro nel processo di assimilazione, vedendo scalzata la loro autorità sui figli ▪ acculturazione selettiva: apprendimento delle abitudini per inserirsi nel nuovo contesto non entra in contrasto con il mantenimento di legami e riferimenti identitari, riducendo il rischio di conflitti, salvaguardando l’autorità genitoriale e un perfetto bilinguismo Differenze con il contesto europeo: o enfasi posta sul bilinguismo come simbolo del mantenimento del codice culturale in funzione del richiamo alla patria ancestrale o valore attribuito alla condivisione di riferimenti comuni tra genitori e figli, al mantenimento dell’autorevolezze e del controllo educativo Le istituzioni mediatrici: la famiglia Il destino delle seconde generazioni è mediato dalle istituzioni sociali che entrano nei processi di socializzazione, la prima è la famiglia, in cui i processi educativi sono intrisi dall’ambivalenza tra - severa regolamentazione dell’immigrazione (anni ‘70): inizia con il blocco dell’immigrazione e propone regolamenti severi Si tratta di costruzioni politiche e sociali, frutto delle esperienze storiche, dei sentimenti prevalenti nell’opinione pubblica e della mediazione tra i diversi interessati. A livello europeo è stato definito il soggiorno illegale come la presenza sul territorio di uno Stato membro di un cittadino di un paese terzo che non soddisfa, o non soddisfa più, le condizioni di ingresso stabilite dall’accordo di Schengen o altre condizioni per l’ingresso, il soggiorno o la residenza in quello Stato. L’intreccio tra ingresso, soggiorno, documentazione, autorizzazione al lavoro e natura dell’occupazione, comporta una casistica dell’immigrazione irregolare molto articolata, complicata e soggetta a trattamenti disomogenei. Le spiegazioni teoriche: attori e interessi in gioco Principali tendenze: - ipotesi della convergenza: si verifica una crescente similarità tra i paesi sviluppati e importatori di manodopera sotto quattro aspetti o gli strumenti politici adottati per controllare l’immigrazione, specialmente quella non autorizzata e i crescenti flussi di rifugiati o i risultati delle misure di controllo dell’immigrazione, ritenute inadeguate o le politiche di integrazione sociale che tendono ad arricchire la dotazione di diritti degli immigrati regolari o le reazioni dell’opinione pubblica nei confronti dei movimenti migratori e le valutazioni degli sforzi dei governi per controllarli - ipotesi del divario: consiste nell’idea che tutti in maggiori paesi industrializzati si stia allargando la forbice tra gli scopi delle politiche migratorie e i risultati ottenuti, provocando una crescente ostilità verso gli immigrati e un’intensa pressione verso le forze politiche perché attuino misure più restrittive Classificazione delle politiche del controllo dell’immigrazione, distinte in due filoni di pensiero (Sciortino): - il primo situa le politiche migratorie attuate dagli stati nel contesto del sistema politico internazionale, in relazione alla loro collocazione nella mappa geopolitica del mondo. Le politiche di controllo sono considerate il luogo di mediazione tra forze di mercato (che spingono nella logica dell’apertura delle frontiere), e logiche politiche (che tendono a chiudere i confini, limitando i diritti ai soli cittadini) - il secondo studia le differenze tra i paesi nel mediare tra queste spinte divergenti poiché le politiche di controllo assumono profili ed equilibri differenti a seconda della nazione Si possono distinguere vari modelli interpretativi (Meyers): - approccio marxista e neomarxista: i fattori economici e i processi politici determinano le politiche migratorie, gli immigrati sono un esercito industriale di riserva, una forza lavoro debole pronta ad accettare qualsiasi cosa; il capitalismo influenza l’azione dei governi, richiama e ridimensiona gli immigrati a seconda degli andamenti economici - approccio dell’identità nazionale: la storia peculiare di ciascun paese, la sua concezione della cittadinanza e della nazionalità, plasmano le politiche migratorie; i paesi europei tendono a respingere la diversità etnica e a vedere l’immigrazione come una minaccia per l’unità nazionale e il bene comune - approccio centrato sulla società o sulla politica interna: assume che lo Stato sia l’arena neutrale per il confronto tra gruppi di interesse e partiti, le scelte politiche sono il risultato di negoziazioni e compromessi tra questi interessi. Questi gruppi sono rappresentati da imprenditori e gruppi etnici che tendono a favorire l’immigrazione e gruppi nazionalisti che tentano di fermarla - prospettiva istituzionale: questa prospettiva considera lo Stato come attore e viene posto in rilievo il ruolo dell’amministrazione nell’elaborazione delle politiche nei confronti di immigrati e rifugiati - approccio realistico: tipico degli studi sulle relazioni internazionali, è articolato in realismo classico e neorealismo e vede lo Stato come attore principale, unitario e razionale, preoccupato per la sicurezza nazionale. I conflitti internazionali hanno influito sulle politiche migratorie sia in direzione restrittiva sia in senso liberalizzante - approccio liberale o neoliberale: visione ottimistica della crescente interdipendenza internazionale e dello sviluppo di istituzioni sovranazionali che vede come veicoli per la diffusione della democrazia e della cooperazione economica o teoria della globalizzazione: la sovranità degli stati e la loro autonomia stanno indebolendosi a causa delle varie pressioni economiche, dei diritti umani, delle organizzazioni internazionali e tendono a erodere gli spazi d’azione dei governi nazionali nel definire le politiche migratorie Un’altra classificazione riguarda l’organizzazione dei controlli applicata ai migranti (Brochmann): - controlli esterni espliciti: visti, permessi di soggiorno - controlli esterni impliciti: forme di regolazione non dichiarata o indiretta in materia di ingresso e soggiorno di cittadini stranieri - controlli interni espliciti: si sviluppano come conseguenza delle imperfezioni dei controlli esterni - controlli interni impliciti: processi di chiusura sociale che assumono la forma di barriere non dichiarate nei confronti dell’accesso degli immigrati a determinati ambiti Gli sforzi di chiusura delle frontiere e i loro limiti Nella lotta contro l’immigrazione illegale e l’uso improprio del diritto d’asilo sono stati impiegati notevoli sforzi con la chiamata in causa dei paesi di transito e con la responsabilizzazione dei paesi di primo ingresso dei rifugiati. La lotta all’immigrazione irregolare può essere vista come un esempio di transnazionalizzazione delle politiche migratorie, con la progressiva convergenza dei paesi che nel passato seguivano approcci diversi, distinguendo un primo gruppo che fa uso dei controlli esterni e un secondo gruppo di iniziative che fa uso dei controlli interni (esclusione da una gamma di servizi pubblici, controlli di polizia, misure di identificazione, detenzione ed espulsione, controlli sul mercato del lavoro). Le tendenze verso la deregolazione del mercato del lavoro e il ricorso ad appalti e subappalti, favoriscono l’informalizzazione dei rapporti di lavoro, che contraddicono le politiche dichiaratesi contro l’immigrazione irregolare. Limiti degli sforzi di chiusura: i governi appaiono più deboli, condizionati e contraddittori, soprattutto nell’attuazione delle decisioni politiche. Fattori che incidono sull’efficacia della regolazione: - solo eccezionalmente i governi dei paesi riceventi intervengono sul complesso di variabili che operano nei paesi di origine, favorendo l’emigrazione - la regolazione è una risposta a breve termine, formulata sotto alla pressione dell’opinione pubblica - gli strumenti politici si focalizzano solo su una parte dei movimenti migratori e su un numero limitato di variabili - le regole scontano una tensione tra il riconoscimento dei diritti individuali e la gestione dei flussi migratori - le popolazioni immigrate insediate stabilmente rappresentano un importante fattore nei processi migratori complessivi, contribuendo a produrre nuova immigrazione Fra frontiere sempre più chiuse contro interconnessioni sempre più fitte e pressioni di vario genere a favore di nuovi ingressi, si inserisce il fenomeno dell’immigrazione irregolare. Le politiche di controllo comportano che non tutti i migranti che si trovano su un dato territorio possiedono un’autorizzazione al soggiorno e vengono distinti in immigrati irregolari e clandestini. La distinzione ha valore analitico, da una parte persone che desiderano esercitare un diritto alla mobilità territoriale e cercare condizioni di vita migliori; dall’altra parte le società riceventi che intendono limitare l’esercizio di questo diritto. Mobilità globale contro ortodossia restrittiva, ovvero le ragioni delle sanatorie Si manifesta l’esigenza di varare provvedimenti istituzionali volti a riavvicinare l’inquadramento del fenomeno migratorio con la sua effettiva presenza sul territorio, consentendo di far emergere varie situazioni confinate in un limbo di invisibilità istituzionale e precarietà sociale, riallineando le cifre ufficiali dell’immigrazione con la realtà demografica. Possiamo distinguere due principali classi di dispositivi di sanatoria della condizione di soggiorno irregolare: - programmi di regolarizzazione: specifiche procedure a carattere straordinario, valide per periodi di tempo limitati e mirati su specifiche categorie di stranieri in condizione irregolare - meccanismi di regolarizzazione: definiti come le altre procedure attraverso cui gli Stati garantiscono uno status legale agli stranieri irregolarmente presenti sul territorio, sulla base di una permanenza prolungata sul territorio, configurandosi come politiche più a lungo termine Le spiegazioni della tendenza a incorporare ingenti flussi di immigrati irregolari sono riconducibili a 5 fattori: - convenienza economica: sono una risorsa appetibile perché la mancanza di diritti li rende flessibili e ridotti a pura merce - attivismo delle reti migratorie: l’arrivo e l’insediamento degli immigrati irregolari sono favoriti dall’azione di teste di ponte rappresentati dai congiunti già insediati e dal loro inserimento in una rete fitta e coesa di relazioni con altri connazionali - vincolo liberale: condiziona l’azione delle istituzioni politiche e amministrative; i vincoli impediscono di attuare provvedimenti drastici di deportazione ed espulsioni di massa - costi economici di politiche repressive più efficienti: difficoltà pratica di attuare procedimenti di espulsione verso immigrati provenienti da paesi con i quali non sono stati siglati accordi per la riammissione degli espulsi - produzione istituzionale dell’illegalità: si incentiva indirettamente il fenomeno dei ricongiungimenti non autorizzati, anche norme più restrittive favoriscono la ricaduta nell’illegalità. Zincone ha sostenuto che l’Italia è molto generosa nei confronti dell’immigrato irregolare, attribuendone la ragione alla pressione della lobby pro-immigrati formata da sindacati, organizzazioni religiose e volontari per formare un’associazione attiva nella tutela degli interessi della parte più emarginata della popolazione immigrata Caratteri delle sanatorie italiane: - collettivo e di massa: provvedimenti rigidi, concepiti e organizzati in modo tale da produrre code agli sportelli e difficoltà di esame approfondito delle istanze, con l’inevitabile ricerca di escamotage - ricorrenza periodica a scadenza ravvicinata: una sanatoria ogni tre anni e mezzo - grandi dimensioni raggiunte - elevati livelli di discrezionalità lasciati alla macchina burocratica e ai funzionari che esaminano le istanze Un insegnamento che deriva dall’analisi di questi processi riguarda l’offuscamento dei confini rigidi tra immigrazione regolare e irregolare; la visione del senso comune dell’argomento si stempera perché i confini sono porosi e i passaggi da una condizione all’altra avvengono con frequenza, dipendono dalle scelte regolative della società di accoglienza, che alterna periodi di apertura a periodi di chiusura. Le politiche per gli immigrati cap. 9 Tre modelli di inclusione - temporaneo: esemplificato dal caso tedesco e rintracciabile nella maggior parte delle esperienze europee del dopoguerra; l’immigrazione è vista come un fenomeno contingente di lavoratori che venivano chiamati in quanto necessari per rispondere a certe esigenze del mercato del lavoro, ma senza dover mettere radici. In alcuni casi si è tentato di imporre forme di rotazione della manodopera immigrata, negando il rinnovo del permesso di soggiorno (lavoratori ospiti); un modello di questo genere risponde ad una concezione funzionalistica dell’immigrazione, subordinata alle convenienze del paese ricevente, nella quale l’integrazione dei lavoratori è ridotta al minimo. Non è ammesso o viene ostacolato il ricongiungimento familiare -> esclusione differenziale, gli immigrati sono incorporati in certe aree della società ma viene negato loro l’accesso ad altre. Tipica di questo modello è una concezione chiusa, etnica della cittadinanza, attribuita in base al principio dello ius sanguinis, rendendo impossibile la naturalizzazione degli immigrati - assimilativo: ha avuto come principale espressione storica il modello americano del passato; l’orientamento delle politiche è quello della rapida omologazione culturale dei nuovi arrivati, vige una concezione repubblicana della nazione come unità politica, aperta all’arrivo degli immigrati a patto che aderiscano e adottino la cultura della nazione, intesa come ethos civico condiviso. È un modello che punta all’integrazione degli individui, intesi come soggetti sprovvisti di radici. La naturalizzazione è agevole, non comporta tempi lunghi e richiede condizioni minimali; le seconde generazioni accedono alla cittadinanza direttamente attraverso lo ius soli - socioeconomico: si collocano le misure relative all'inclusione nel mercato del lavoro nei servizi scolastici - culturale e religioso: riferito ai rapporti con le istituzioni religiose delle minoranze - spaziale: relativo alle politiche abitative e al trattamento delle enclave etniche Ci sono due elementi fondamentali che accomunano i modelli di intervento locale, si riferiscono all'ottica emergenziale e alla preoccupazione di rendere poco visibili gli interventi stessi, l'invisibilità infatti sembra essere il criterio fondamentale di decisione delle politiche specifiche e di erogazione dei servizi. Campomori ha sottolineato l'importanza delle modalità di rappresentazione e di definizione dell'oggetto delle politiche da parte dei decisori pubblici. Emerge il ruolo delle burocrazie di strada, ossia degli operatori di servizi che interagiscono direttamente con i beneficiari dei servizi stessi e dispongono di margini di potere discrezionale nel considerare ammissibile o no una richiesta; questi processi producono uno scarto tra la dimensione delle politiche dichiarate e quella delle politiche in uso (riferita ai comportamenti effettivi). La questione dell'immigrazione ha rappresentato allo stesso tempo un campo di tensioni e un banco di prova per la sperimentazione di nuovi rapporti tra amministrazioni locali ed espressioni della solidarietà organizzata. Il ruolo delle iniziative solidaristiche Un approccio alla classificazione delle attività svolta dal settore solidaristico a sostegno degli immigrati può essere elaborato a partire dalle tre classi di organizzazioni no profit identificate da Douglas: le organizzazioni propriamente caritative, i gruppi di pressione e le organizzazioni di mutuo aiuto (reti e associazionismo etnico). Queste classi di organizzazioni si affiancano ai gruppi che svolgono attività antirazzista e di tutela dei diritti degli immigrati, le modalità di azione dell'associazionismo nei confronti degli immigrati possono essere suddivise in almeno quattro tipi: - associazionismo caritativo: è il più diffuso anche se comprende al suo interno esperienze diverse, sono sempre più frequentati da una popolazione straniera in condizioni precarie (parrocchie, mense). Innovazioni delle attività caritative: o tendenza ad ampliare il pacchetto dei servizi offerti, in nome di una presa in carico più globale dei bisogni delle persone o attivazione dei processi di specializzazione, concentrazione e professionalizzazione dei servizi o riposizionamento dei servizi in risposta all'evoluzione e alle nuove esigenze delle popolazioni immigrate o maggiore responsabilizzazione e coinvolgimento dei beneficiari, in alcuni casi anche persone immigrate svolgono attività di volontariato a favore di altri immigrati - associazionismo rivendicativo: rientrano le iniziative antirazziste e di rivendicazione politica, hanno un ruolo attivo soprattutto nella spinta all'innovazione legislativa - associazionismo imprenditivo: fornisce servizi con una logica più professionale, di impresa sociale che assume solitamente la figura giuridica della cooperativa (centri di accoglienza) - associazionismo promosso dagli immigrati: nel nostro paese è ancora debole e poco attrezzato per fornire servizi, esiste tuttavia un profondo divario tra associazionismo formale e reti informali a base etnico-nazionale. L'associazionismo formale rappresenta un fenomeno diffuso ma molto fragile e soggetto a un elevato turnover; le reti etniche sono indubbiamente molto vitali, anche se differenziate a seconda dei gruppi nazionali e non sempre disinteressate, ma capaci di sostenere in vari modi l'inserimento sociale e lavorativo dei membri Devianti e vittime, trafficanti e trafficati cap. 10 Il coinvolgimento in attività devianti Il tasso di delittuosità per gli immigrati regolari è leggermente superiore a quello degli italiani, ed è molto più elevato per gli immigrati in condizione irregolare; i giovani sono mediamente più coinvolti in attività devianti degli anziani e gli uomini più delle donne; ancora più grave appare il quadro della popolazione carceraria. Caratteristiche della devianza degli immigrati: - si realizza una concentrazione prevalente degli immigrati in alcune categorie di reati come furti in abitazione o in esercizi commerciali, reati legati allo spaccio o alla prostituzione - gli immigrati rappresentano un target specifico per l'azione penale quando sono individuati come soggiornanti irregolari sul territorio - fattori ambientali legati alla specificità delle regioni d'inserimento e al grado di integrazione nella società, influenzano l'incidenza nelle statistiche giudiziarie degli immigrati - gli immigrati commettono reati ad alta visibilità a differenza dei reati in cui sono maggiormente coinvolti gli italiani - spesso si contestano forme di specializzazione di alcune nazionalità nella realizzazione di certe forme di illecito Le reti migratorie, talvolta, concorrono a produrre l'inserimento dei connazionali in attività devianti (reti viziose). Molto influente appare la variabile relativa al genere, nel complesso, le componenti femminili dell'immigrazione manifestano un basso grado di coinvolgimento in attività devianti, ma si presentano alcune eccezioni: nell'est Europa la quota delle donne denunciate per reati di borseggi e furti in appartamento raggiunge valori elevati oppure, tra le nigeriane si osserva un elevato coinvolgimento di donne nello sfruttamento della prostituzione. Si può affermare che complessivamente le donne emigrate sono vittime di reati piuttosto che soggetti attivi, ed è un problema che rientra nella questione più generale della vittimizzazione degli immigrati in quanto componenti socialmente deboli, dunque più esposti ad abusi e sfruttamento. Immigrati e devianza: le interpretazioni Possiamo distinguere due scuole di pensiero sulla devianza degli immigrati: - scuola classica: assume i dati statistici sul fenomeno come un punto di riferimento obiettivo e veritiero, osserva che gli immigrati sono prevalenti tra i denunciati, i condannati e i carcerati. Gli immigrati restano un gruppo sociale più coinvolto della media in varie attività illegali e l'analisi dei dati statistici mostra che i tassi di devianza degli immigrati sono variabili nello spazio e nel tempo. Tuttavia, dalla fine degli anni ’70, è avvenuta un'inversione di tendenza in diversi paesi, e questo si spiega perché sono aumentati i reati commessi da persone prive di un titolo di soggiorno valido, ma è anche cresciuta la devianza degli immigrati regolari, specialmente nelle seconde generazioni; in entrambi i casi l'aumento della devianza riflette un contesto migratorio in cui sono diventati prevalenti i fattori di spinta rispetto a quelli di attrazione, e sono peggiorate le condizioni e le prospettive degli stessi immigrati. Per altri invece è soprattutto l'impossibilità di guadagnarsi onestamente da vivere e la conseguente precarietà delle condizioni dell'esistenza, a provocare la concentrazione della devianza tra gli immigrati in condizioni irregolare - prospettiva critica: considera la devianza degli immigrati come l'effetto di una costruzione sociale della realtà che assume le caratteristiche di una profezia che si auto adempie, poiché gli immigrati sono oggetto di chiusure sociali e pregiudizi, le società riceventi sbarrano la strada di un'integrazione paritaria e rafforza i controlli repressivi nei loro confronti. La caduta nella devianza è la conseguenza dell'emarginazione dalla società, ne deriva un inasprimento dei controlli di polizia e delle sanzioni, poiché gli immigrati sono catalogati a priori come potenziali devianti La produzione e la riproduzione di comportamenti devianti tra gli immigrati si correla con tre fattori macro- sociali: - il degrado delle società di origine e la diffusione di modelli devianti - le politiche migratorie proibizioniste che hanno reso impossibile immigrare regolarmente - l'affermazione di un modello sociale che produce esclusione e criminalizzazione Pesano poi i processi di etichettatura secondo i quali l'immigrato che commette un reato è più facilmente riconoscibile di un autoctono, questa visibilità risulta rafforzata dal fatto che si tratta di reati di strada. Produzione istituzionale della devianza: una parte dei reati attribuiti agli immigrati derivano dalla loro condizione di stranieri e in special modo dall'irregolarità del soggiorno che li conduce a violare le leggi sull'immigrazione, a declinare false generalità e a cercare di sottrarsi alla cattura. Le critiche alla criminalizzazione degli immigrati sono ancora più radicali, la stessa raccolta analisi di dati sulla devianza degli immigrati è già l'esito di un processo di stigmatizzazione attuato dalla società ricevente, che individua gli immigrati come una categoria sociale minacciosa e da tenere sotto controllo. Concetto di struttura di opportunità differenziale: non ogni componente dell'immigrazione irregolare costituisce un problema criminale perché gli immigrati senza documenti occupano un ventaglio ampio di posizioni sociali, che spaziano dal lavoro stabile e un'integrazione avanzata nella società, alla marginalità sociale ed economica; la struttura di opportunità degli immigrati irregolari può essere suddivisa in tre assi istituzionali: - il grado di accessibilità delle istituzioni formali del welfare state - il grado di accessibilità delle istituzioni informali - la possibilità di accesso e circuiti criminali Queste diverse istituzioni svolgono un ruolo nell'integrazione degli immigrati irregolari perché dove l'appoggio delle reti etniche è efficace e orientato alla legalità, è più probabile che gli immigrati riescano a sottrarsi ai circuiti devianti; invece, dove l'appoggio non funziona o è inquinato da componenti malavitose, è più probabile che i nuovi arrivati ne vengano coinvolti. L’industria del passaggio delle frontiere: passatori e trafficanti Un aspetto rilevante della devianza consiste nella violazione delle norme che i paesi riceventi fissano rispetto alla possibilità di soggiornare legalmente e di lavorare sul proprio territorio, perché la condizione di illegalità e precarietà influisce sul coinvolgimento in attività criminose. Migranti trafficati: persone che vengono persuase o costrette a emigrare da altri, interessati a trarne profitto, sfruttarle e trattenerle contro la loro volontà, costringendole a sottostare alla volontà dei loro padroni. Il divario crescente tra la domanda di mobilità e la possibilità di ingresso legale, ha prodotto la formazione di una consistente industria del passaggio irregolare dei confini, arrivando a parlare di economia della frontiera e degli attraversamenti non autorizzati; la frontiera è diventata una risorsa per il transito di esseri umani e il viaggio sta diventando per un numero crescente di migranti un'esperienza rischiosa. Si distinguono, a livello di istituzioni internazionali, smuggling e trafficking, il primo termine si riferisce all'aggiornamento dei vincoli di ingresso, al favoreggiamento dell'ingresso irregolare e identifica colui che dietro compenso aiuta clienti consenzienti a varcare illegalmente una frontiera; il secondo termine identifica il più grave fenomeno della tratta di esseri umani e il trafficante è colui che fa entrare delle persone in un altro paese con l'inganno o con la violenza per poterle sfruttare in diversi modi, oppure rivendendole ad altri trafficanti. I due fenomeni sono spesso intrecciati e difficili da discriminare sul piano del funzionamento operativo, possono infatti presentare una notevole sovrapposizione ed essere attuati dai medesimi soggetti, tanto da essere inquadrabili come due estremi di un'unica attività. Nella visione del business delle migrazioni (Salt, Stein), il trafficking ingloba lo smuggling, e vengono concepiti come un sistema di reti che comprende un insieme di istituzioni; si distinguono tre stadi: la mobilitazione ed il reclutamento degli immigrati nei paesi di origine, il viaggio attraverso i confini e l'inserimento nel mercato del lavoro e nelle società riceventi. Dinamiche evolutive del traffico di migranti: - apertura di un canale o di una rotta d'ingresso che beneficia dell'appoggio di soggetti già dotati di esperienza specifica - la seconda fase è l'acquisizione di una piena autonomia da parte dell'organizzazione di trafficanti stranieri - l'azione di contrasto ha prodotto un innalzamento dei livelli di organizzazione criminale del trasporto e, in un secondo tempo, una diversificazione sempre più accentuata delle attività illecite - il declino della rotta adriatica ha prodotto un effetto domino sui trasporti illegali di migranti nel bacino del Mediterraneo, rilanciando le rotte che partono dalla costa turca e dal Nordafrica Traffico di esseri umani e sfruttamento della prostituzione Il terzo stadio del trafficking prende in esame il caso più noto e inquietante di sfruttamento di immigrati, fatti entrare illegalmente nel nostro paese: l'ingresso di giovani donne straniere da immettere nel mercato della prostituzione. La questione rivela analogie con alcuni aspetti dei fenomeni migratori: - l’ingresso e la rapida espansione di un’offerta straniera in questo ambito di scambi economici trovano evidente riscontro in una domanda interna molto ampia e insoddisfatta. Gli operatori stranieri si sono imposti come protagonisti autonomi del mercato, stimolando anche una domanda aggiuntiva grazie a prezzi competitivi, fascino dell'esotico, offerta di ragazze molto giovani e visibilità della merce in vendita - rapporto tra l'emancipazione delle donne italiane e la loro sostituzione con donne straniere I processi discriminatori La discriminazione razziale consiste in comportamenti concreti che penalizzano i singoli e i gruppi in ragione di fattori come la nazionalità, la religione e l'apparenza fisica; la discriminazione può essere definita come il trattamento differenziale e ineguale delle persone a causa delle loro origini, delle loro appartenenze e delle loro opinioni, comportando l'esclusione di certi individui dalla condivisione di determinati beni sociali. Forme di discriminazione razziale: - forme esplicite o dirette di discriminazione: annunci che propongono abitazioni in affitto con la precisazione che non si desiderano inquilini immigrati; il problema diventa serio quando non si tratta di una forma isolata di idiosincrasia individuale, ma di una serie di scelte che generano una chiusura collettiva, tale da emarginare gli immigrati del mercato delle abitazioni. Nelle procedure di selezione del personale e negli sviluppi di una carriera si evocano i fattori che vengono definiti come le tre A (accento, ascendenza, apparenza) - discriminazione istituzionale: è insita nelle norme giuridiche e consiste in limitazioni della possibilità di accedere a determinate occupazioni, diritti, benefici, è attuata dalle istituzioni pubbliche della società ricevente sulla base della cittadinanza o norme sulla reciprocità: certe facoltà sono concesse ai cittadini stranieri a patto che nel paese da cui provengono, le medesime opportunità siano riconosciute ai cittadini italiani. È di difficile applicazione sul piano burocratico perché richiede la verifica del trattamento riservato agli italiani in ogni singolo paese da cui provengono gli stranieri e rischia di impedire al nostro paese di fruire dell'apporto economico professionale di talenti stranieri, subordinando l'autonomia dello Stato alla volontà politica degli altri o impiego pubblico: può accedervi soltanto chi gode della nazionalità italiana, è una forma di chiusura del mercato del lavoro a favore dei cittadini e pertanto viene legittimata, tanto da essere impiegata anche per l'affidamento di incarichi di prestazioni professionali o titoli di studio: ritrosia nel riconoscerli poiché rilasciati da paesi esterni al sistema occidentale, la convalida è soggetta a procedure complicate e costose, che portano soltanto un riconoscimento parziale o politiche locali di esclusione: gli immigrati sono esclusi da determinati benefici oppure dal varo di regolamentazioni volte a inasprire i controlli, o tendenti a limitare le loro opportunità di insediamento e promozione - discriminazione implicita o indiretta: è intrecciata a quella istituzionale tanto da essere identificata con essa, ma ricorre a pratiche sociali apparentemente neutre, giustificate e dotate di fondamenti razionali, penalizzando o favorendo alcuni gruppi etnici. Si parla in questo caso anche di discriminazione oggettiva che può operare senza la volontà di discriminare, si può desumere in base all’enorme sproporzione tra aventi diritto o aspiranti a una certa posizione, appartenenti a un gruppo minoritario; può anche essere l'effetto involontario di atteggiamenti o disposizioni che intenderebbero favorire gli immigrati - discriminazione statistica: attribuzione a un intero gruppo sociale di atteggiamenti, caratteristiche e comportamenti osservabili in alcuni soggetti appartenenti al gruppo; ne deriva un trattamento sfavorevole per le persone appartenenti al gruppo in questione o classificate come tali. Banton distingue la discriminazione statistica da quella categoriale, che consiste nel trattamento sfavorevole di tutte le persone socialmente assegnate a una particolare categoria, perché quest'ultima è per definizione rigida, mentre la prima è sensibile all'esperienza contraria e può essere corretta sulla base del riscontro fattuale. La discriminazione sui luoghi di lavoro L'ambito dei rapporti di lavoro costituisce un luogo cruciale ed emblematico dei processi di discriminazione, Rathzel ha individuato quattro forme di discriminazione sui luoghi di lavoro: - discriminazione nella gerarchia occupazionale esistente: si riferisce al fatto che i lavori meno attraenti e più pericolosi sono attribuiti in larga misura a lavoratori di origine immigrata - discriminazione al di fuori della gerarchia occupazionale: pratiche tese a collocare i lavoratori immigrati al di fuori della struttura organizzativa con contratti a breve termine - discriminazione attraverso il trattamento egualitario: applicazione di regole universalistiche a casi e situazioni che meriterebbero una maggiore flessibilità e considerazione delle diversità etnico- culturali - discriminazione nelle relazioni di lavoro quotidiane: vessazioni informali ricorrenti inflitte da compagni o da superiori, spesso sotto forma di battuta Esistono poi sei tipi di discriminazione collegati al lavoro che tengono conto di un'ampia gamma di comportamenti discriminatori: nell'accesso all'impiego, nelle modalità di assunzione, nella concentrazione settoriale occupazionale, nell'opportunità di carriera, nell'esposizione a rischi e malattie e nella possibilità di accedere al lavoro autonomo. Un’ipoteca sul futuro Lotta alla discriminazione: - ruolo delle istituzioni pubbliche: si riferisce al superamento delle forme ingiustificate discriminazioni istituzionale ed esclusione degli immigrati stranieri da opportunità e benefici; il ricorso a questo criterio richiede grande vigilanza e continua verifica sull'effettiva ragionevolezza delle disuguaglianze di trattamento e una visione dinamica dei confini dell'appartenenza. Un risvolto più controverso della questione riguarda la discriminazione positiva, in certi ambiti della società, in alcuni paesi, sono stati introdotti dei correttivi come quote di posti riservati o punteggi aggiuntivi nelle valutazioni per i candidati provenienti dalle minoranze - interazioni sociali quotidiane: è riferito ai processi di inclusione ed esclusione, le azioni antidiscriminatorie possono erigere barriere contro le forme più esplicite di discriminazione (es. quelle riferite al linguaggio), ma non si possono obbligare i cittadini nazionali a sviluppare relazioni di buon vicinato o amicizia Rifugiati, migranti forzati, minoranze rom e sinti cap. 12 I rifugiati: una categoria sempre più eterogenea e sempre più stigmatizzata L'obbligo di accoglienza è un elemento cardine della nostra civiltà giuridica e dell'autorappresentazione di società democratiche che fanno dei diritti umani una bandiera; la tensione tra il riconoscimento della crescita di forme diverse di migrazioni forzate e tentativi istituzionali di ridefinire limitare il diritto di asilo, è visibile nella produzione normativa degli ultimi anni. Il rifugiato in senso stretto: è una persona che risiede al di fuori del suo paese di origine e che non può (o non vuole) ritornare a causa di un ben fondato timore di persecuzioni per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o opinione politica. Negli anni ‘90 è stata istituita la figura della protezione temporanea per i profughi di guerre e violenze etniche, prevedendo una durata di tre anni (o fino alla cessazione del conflitto) e un successivo ritorno in patria; è stata poi introdotta la figura della protezione umanitaria, riferita agli sfollati ad altre persone in condizioni di pericolo, è simile a quella dei rifugiati, ma dà accesso a una tutela di grado inferiore ed è di durata incerta; la protezione sussidiaria viene concessa su basi strettamente individuali, caso per caso, tenendo in considerazione le conseguenze di un'eventuale rimpatrio. Una questione spinosa riguarda le situazioni di rifugio protratte, parecchi rifugiati sperimentano molti anni di esilio senza speranza di ritorno o di integrazione in un paese ospitante, questa nuova categoria viene introdotta per identificare le persone sradicate da 5 o più anni; altri parlano di rifugiati dimenticati, ovvero di persone che si trovano prigionieri in uno stato di limbo, impossibilitate a liberarsi dalla dipendenza dell'assistenza loro fornita; in modo analogo si può individuare la categoria dei rifugiati di ritorno, che vede il rientro in patria in condizioni di sicurezza e dignità come la soluzione da privilegiare nella maggior parte delle situazioni di esodo forzato, ma il rientro è tutt'altro che agevole perché non è automatico restaurare le condizioni per una vita normale. Le politiche di accoglienza e di gestione dei rifugiati Le democrazie occidentali hanno allestito un ampio armamentario di misure di contenimento della mobilità dei rifugiati, cercando di camuffarlo con motivazioni umanitarie, oppure di ricomprenderlo nella lotta contro l'immigrazione clandestina. Vi rientrano diverse strategie che Schiavone riconduce a tre assi centrali: - una progressiva precarietà della protezione offerta che approda sul territorio europeo - il ricorso a forme di internamento - i tentativi di esternalizzare le procedure di accoglienza e di esame delle domande di asilo al di fuori dei confini dell'UE La maggior parte dei rifugiati provocano la formazione di una popolazione dallo status precario, incerto e reversibile, soggetta all'eventualità del rimpatrio forzato, oppure del passaggio ad una condizione di permanenza irregolare; le misure di confinamento nei campi li separano dalle società ospitanti, li trasformano in assistiti, li lasciano in una condizione di sospensione e di incertezza sul futuro. Korac giunge alla conclusione che i rifugiati accolti nei campi e lasciati per anni in una condizione di inattività, rimuginano rancori e sofferenze per i torti e le violenze subite. Si possono distinguere tre modalità prevalenti delle politiche volte a fronteggiare la questione dei migranti forzati: - la chiusura senza alternative: una sorta di opzione zero in materia di rifugiati, è la bandiera dei movimenti xenofobi europei e rischia di rappresentare anche la deriva verso cui scivolando i sistemi di protezione dei paesi più sviluppati - l'accoglienza senza integrazione: si sta profilando come la scelta più praticabile quando non è possibile respingere i richiedenti o confinarli in zone vicine a quelle di origine - l'integrazione senza accoglienza: ha costituito per anni il percorso riservato ai migranti forzati - saldatura tra accoglienza umanitaria e percorsi di integrazione nella società ricevente: posizione che si trova a metà tra una percezione passivizzante e una pseudo-tolleranza, traducibile in deresponsabilizzazione istituzionale e abbandono sociale, accompagnando la proposta verso l'autonomia. Il successo dei percorsi di questo tipo si gioca su due presupposti: il primo consiste nell'attivazione delle energie positive del territorio, sia sul versante pubblico e istituzionale, sia nell'ambito delle società civili locali; il secondo riguarda il rapporto con i beneficiari del progetto e l'equilibrio da conseguire tra accompagnamento e promozione dell'autonomia delle persone accolte Rom e sinti: minoranze senza territorio Il caso estremo di estranei rifiutati, posti ai margini della società e assuefatti a vivere in un rapporto di reciproca diffidenza, è quello delle popolazioni rom e sinti, un mosaico di gruppi sociali tra loro diversi per nazionalità, religione, data di arrivo e pratiche insediative. Grazie alle ricerche dei linguisti, si ritiene che queste popolazioni siano originarie dell'India e che siano migrate verso Occidente a partire dal V sec. d.C.; nei Balcani, rom e sinti divennero stanziali, ma furono ridotti in schiavitù dai locali; queste vessazioni furono le ragioni che li spinsero a mettersi nuovamente in marcia verso Occidente. I rom rappresentano il caso estremo dell’alterità percepita come minacciosa da parte delle comunità locali che si autodefiniscono ordinate, pacifiche e rispettose delle leggi; le persone identificate come rom restano al di fuori del perimetro, interamente consegnate ad una visione patologica del loro rapporto con la società maggioritaria. Per loro entra in azione qualsiasi meccanismo di pregiudizio, senza considerare il fatto che la maggior parte dei rom preferirebbe abitare in alloggi normali, e non sono desiderosi di vivere in campi e margini della città, affollati e sprovvisti di molti servizi. Conclusioni: rinegoziare i confini Quando si tratta di rifugiati e minoranze, il senso dell'alterità e della minaccia raggiunge punte particolarmente elevate, nei confronti dei primi, il motivo del sospetto è l’indebito accaparramento di risorse derivanti dal welfare pubblico; e per i secondi un'accentuazione delle paure legate alla sicurezza urbana e alla criminalità. La loro presenza comporta la necessità di individuare regole e processi di inclusione pacifica delle minoranze etniche, comprese quelle percepite come problematiche. Zoll direbbe che si tratta di passare da una solidarietà meccanica, basata sulla somiglianza, ad una solidarietà organica, in grado di tenere insieme le diversità; si tratta quindi di riuscire a metabolizzare quei processi di cosmopolitizzazione. L'ethnos, ossia la popolazione storicamente insediata, che si sente accomunata dalla condivisione di una memoria, di un'appartenenza condivisa dalla nascita, non può coincidere con il demos, ossia l'insieme dei cittadini atti alla democrazia perché i confini del demos richiedono di essere rinegoziati per far posto ai nuovi residenti che domandano di farne parte.