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Erving Goffman – Introduzione e cura e più Appunti in PDF di Sociologia solo su Docsity! STIGMA Note sulla gestione dell’identità degradata Erving Goffman – Introduzione e cura di Marco Bontempi CAPITOLO 1: Stigma e identità sociale Il termine STIGMA veniva utilizzato dai Greci per indicare un segno inciso a fuoco sul corpo che mostrava qualcosa di negativo nella condizione morale del portatore (schiavo, criminale, traditore, …). In epoca cristiana gli si aggiungono due livelli metaforici: segni corporei della grazia divina o di un disordine fisico. Oggi è usato con un significato simile all’originario, ma viene applicato più alla disgrazia stessa che alla sua manifestazione corporea. Concetti introduttivi La società stabilisce i modi per dividere le persone in categorie e gli attributi per ciascuna di esse. I setting sociali indicano quali categorie è più facile incontrare. Le routine dei rapporti sociali in setting definiti ci permettono di avere a che fare con persone del tipo che ci aspettiamo. Quindi, quando vediamo un estraneo è facile che il suo aspetto ci consenta di stabilire a che categoria appartiene, i suoi attributi, la sua identità sociale. Inoltre, ci fidiamo delle supposizioni che facciamo, non ci rendiamo neanche conto spesso di farle finché non le mettiamo in dubbio. All’inizio, quindi, facciamo supposizioni/ipotesi (=identità sociale virtuale) e la categoria e gli attributi che si dimostreranno realmente in suo possesso formeranno l’identità sociale effettiva. Tra le due può esserci un enorme divario. Quindi, STIGMA sarà utilizzato per riferirci ad un attributo che è profondamente discreditante [dispregiativo], ma va tenuto presente che ciò che conta davvero è il linguaggio delle relazioni, non quello degli attributi. Un attributo che stigmatizza un tipo di portatore può confermare la regolarità di un altro, e dunque, in quanto tale, non è in sé né screditante, né meritorio. Uno Stigma, dunque, è un tipo di rapporto tra attributo e stereotipo, ma va definito con una duplice prospettiva: - La condizione di SCREDITATO l’individuo stigmatizzato presuppone che la sua diversità sia già conosciuta o a prima vista evidente - La condizione di SCREDITABILE presuppone che la sua diversità non sia conosciuta né immediatamente percepibile È inoltre probabile che l’individuo stigmatizzato abbia esperienza di entrambe le condizioni. Tre tipi di Stigma: -gli abomini del corpo: cioè le deformazioni fisiche -i difetti del carattere: dedotti da documentazione come patologie mentali, condanne penali, alcolismo o tossicodipendenza (es. debolezza di volontà, disonestà, passioni innaturali o sfrenate) -stigmi tribali della razza, della nazione o della religione: trasmessi attraverso la discendenza, contaminano tutti i membri della famiglia Tutti i tipi di Sigma hanno la stessa caratteristica sociologica: un individuo possiede un tratto che si può imporre all’attenzione, rovinando il credito che gli altri attributi ci spingerebbero a riconoscergli. Questo perché, appunto, ha uno Stigma, una diversità non desiderata rispetto alle aspettative. “NORMALI”: noi e coloro che non si discostano per qualche caratteristica negativa dalle aspettative che, nel caso specifico, abbiamo verso di loro. Noi normali riteniamo che una persona con uno stigma non sia del tutto umana e da questa premessa mettiamo in atto discriminazioni che, per quanto spesso inconsapevolmente, gli riducono le possibilità di vita. Tendiamo inoltre ad elaborare una teoria dello stigma, un’ideologia per spiegare la sua inferiorità. Ogni giorno, nelle conversazioni, usiamo termini stigmatizzanti, generalmente senza pensare al significato originario: storpio, bastardo, ritardato, … che diventano fonte di metafore e immagino. Nello stigmatizzato, possiamo percepire la sua reazione difensiva rispetto alla propria condizione come diretta espressione del suo difetto e da questo ricavarne una giustificazione del modo in cui noi lo trattiamo. Il problema dello Stigma nasce dove esiste un’aspettativa diffusa che chi appartiene a una determinata categoria non debba soltanto sostenere una data norma, ma anche applicarla. Un individuo, inoltre, potrebbe non essere all’altezza delle aspettative, ma allo stesso tempo non sentirsi toccato da questo. Egli, infatti, si considera un essere umano normale e ritiene che siamo noi a non essere del tutto umani; porta uno Stigma, ma non sembra esserne toccato. Le sue convinzioni riguardo a ciò che è possono, inoltre, costituire il suo senso di essere una persona normale che merita le stesse opportunità e gli stessi diritti degli altri. VERGOGNA: deriva dal fatto che l’individuo percepisce qualche suo attributo come umiliante quando è in relazione con gli altri. Ma il disprezzo di sé può manifestarsi anche quando è da solo. Sono diverse le situazioni in cui viene a trovarsi, nella vita, lo STIGMATIZZATO. Spesso la situazione è quella di “accettazione”: chi ha contatti con lui cessa di accordargli stima/considerazione che gli avevano concesso in base ai tratti non compromessi della sua identità sociale, lui fa eco a questo diniego considerando che alcuni suoi attributi lo giustificano. Come risponde lo stigmatizzato a questa situazione? In alcuni casi cerca di correggere direttamente ciò che ritiene alla base della sua inadeguatezza (es. persona deforme si sottopone a chirurgia plastica, analfabeta a corsi di recupero), ma bisogna fare attenzione “all’inclinazione a diventare vittima di truffe”: ciarlatani che vendono rimedi impossibili/inesistenti a “malattie incurabili”. Però bisogna considerare che la ricerca di una soluzione indica gli estremi a cui uno stigmatizzato è disposto ad arrivare e alla sofferenza che lo porta a tali estremi. Lo stigmatizzato può anche cercare di correggere la sua condizione indirettamente, cercando di impadronirsi di quelle attività che di solito sono inaccessibili a chi ha, come lui, quelle menomazioni. La persona con una diversità mortificante, alla fine, può rompere con ciò che chiamiamo realtà e cercare un’interpretazione non convenzionale della propria identità sociale. D’altra parte, lo stigmatizzato può ricorrere al proprio stigma per ottenere “piccoli vantaggi”, come alibi per gli scarsi risultati ottenuti, “gancio” cui affida tutta la sua inadeguatezza. E quando viene rimosso ciò che creava il “gancio”, la persona si troverà alla deriva perché viene come sganciata da quella che per lei era una protezione emotiva e si dovrà riconfrontare con la realtà. Altro punto di vista è quello di considerare le vicende che lo mettono alla prova come una benedizione, cioè con l’idea che la sofferenza può insegnare qualcosa sulla vita delle persone. Analogamente, può arrivare a riconsiderare i limiti dei normali: i normali possono vedere e sentire, ma questo non significa che stiano vedendo e ascoltando, perché possono essere ciechi di fronte a ciò che rovina la loro felicità. Questo libro si occupa di Contatti Misti, dei momenti in cui normali e stigmatizzati si trovano nella medesima “situazione sociale”, cioè nella reciproca immediata presenza fisica. L’anticipazione di questi contatti può portare normali e stigmatizzati a organizzarsi in modo da evirarli e spesso ciò ha più conseguenze per gli stigmatizzati, perché generalmente sono loro a dovesi adeguare di più. interrotte dalle persone “esterne” a causa della tendenza dello stigma a diffondersi dallo stigmatizzato a coloro che sono in stretta relazione con lui. Questi saggi devono si abituano a portare un fardello che non è realmente loro. È bene distinguere la Normalizzazione dalla “Normificazione”. La prima riguarda il processo mediante il quale i normali arrivano a trattare lo stigmatizzato come se questo non lo fosse, la seconda riguarda lo sforzo dello stigmatizzato di presentarsi come una persona comune, anche se non necessariamente cerca di nascondere la propria mancanza. La carriera morale Le persone con uno stigma tendono ad avere simili esperienze di apprendimento per ciò che riguarda la loro difficile condizione, i cambiamenti che devono affrontare e le fasi di adattamento (N.B.: la storia naturale di una categoria di stigmatizzati va distinta da quella dello stigma in sé). Una fase di socializzazione è quella nella quale lo stigmatizzato apprende e interiorizza il punto di vista dei normali, facendosi un’idea di cosa implica a livello sociale avere uno stigma; l’altra fase è quella in cui lo stigmatizzato apprende di avere uno stigma e quali possono essere le conseguenze. Queste due fasi costituiscono i MODELLI fondamentali su cui si basano gli sviluppi successivi e questi modelli forniscono uno strumento per differenziare le carriere morali che si aprono allo stigmatizzato. Modelli fondamentali: - Coloro che nascono con uno stigma Sono socializzati nella loro condizione svantaggiosa, compresa la fase nella quale apprendono e interiorizzano gli standard di normalità che non possono soddisfare (es. orfano apprende che è normale che i bambini abbiano i genitori). - Modello determinato dalla capacità della famiglia di creare una campana protettiva per il loro piccolo C’è un controllo dell’informazione in modo tale che nessuna definizione che possa umiliare il bambino entri in questa campana e si cerca di fare in modo che consideri sé stesso come un essere umano normale. Arriva però il momento in cui la famiglia non riesce più a proteggerlo (es. scuola, lavoro) e questo costituirà un’esperienza morale, spesso brusca, che il bambino dovrà vivere. Oltretutto, più grave è il “deficit”, più è probabile che il bambino venga iscritto in scuole speciali per ragazzi della sua condizione e più brutto sarà il confronto con il mondo esterno. A volte, inoltre, la possibilità di scoprire di non essere normale avviene in modo del tutto causale e inaspettato. - Chi diventa stigmatizzato in una fase avanzata della propria vita o apprende tardi di essere sempre stato uno screditabile Il primo caso non comporta una radicale riorganizzazione del modo di guardare al proprio passato, nel secondo sì. Una persona di questo tipo sapeva già molte cose riguardanti i normali e gli stigmatizzati prima di dover considerare anche sé stesso un minorato. Gli sarà però molto difficile ritrovare una sua identità e sarà portato all’autodisapprovazione. Il caso più diffuso è quello degli handicap fisici che colpiscono una persona già matura (“ero diventata un’estranea più per me stessa che per chiunque altro”) e sarà in questo caso compito spesso del medico informare la persona sulla sua identità futura. - Coloro che all’inizio sono socializzati in una società straniera (sia all’interno che all’esterno dei confini della società dei normali) e successivamente devono imparare un secondo modo di essere che venga percepito dalle persone del lore ambiente come quello reale e valido Quando un individuo acquisisce un nuovo self stigmatizzato, spesso il disagio che prova nei confronti dei nuovi compagni può cedere il passo a quello avvertito nei confronti dei vecchi compagni. Nel caso in cui abbia subìto da poco una menomazione fisica, è probabile che i suoi compagni di sofferenza più esperti lo istruiscano su come gestire sé stesso fisicamente e mentalmente. Quando invece la stigmatizzazione è data dall’inserimento in un’istituzione di custodia (carcere, sanatorio, orfanotrofio,…) quello che apprenderà sul proprio stigma sarà trasmesso dal contatto con coloro che stanno per diventare i suoi compagni di sofferenza. Quindi, quando l’individuo apprende per la prima volta chi sono quelli che ora deve accettare come i suoi, è probabile che provi almeno una certa ambivalenza, poiché queste persone non solo saranno apertamente stigmatizzate e quindi diverse dalla persona normale che credono di essere, ma possono avere anche altri attributi per loro difficile da accettare. È inoltre comprensibile che lo stigmatizzato abbia dei tentennamenti nel sostenere i propri simili, nell’identificarsi con loro e nel condividere esperienze. Il rapporto dell’individuo stigmatizzato con la comunità informale e le organizzazioni formali di persone nelle sue stesse condizioni è quindi di importanza cruciale. E, in ogni caso, è in relazione al gruppo stigmatizzato di suoi simili che si può individuare la storia naturale e la carriera morale dello stigmatizzato. Un evento biografico, inoltre, può avere due conseguenze sulla carriera morale: può essere una base oggettiva immediata per un vero e proprio punto di svolta, ma anche può essere anche una risorsa per motivare un atteggiamento assunto nel presente. L’individuo può anche ritrovarsi, però, a dover ricordare un’altra circostanza, cioè quando gli amici del periodo precedente al suo stigma attribuivano caratteri non umani a coloro che egli ora considera persone a tutti gli effetti, come sé stesso. Un altro punto di svolta (più in senso retrospettivo) è un’esperienza di isolamento (spesso ospedalizzazione) che verrà poi considerato come il momento in cui l’individuo ha riflettuto sulla sua condizione, sarà diventato consapevole di sé e avrà raggiunto una nuova comprensione di cosa è importante e vale la pena di cercare nella vita. Retrospettivamente, sono considerate svolte decisive non solo le esperienze personali, ma anche quelle che in passato furono rimosse (es. lettura di opere riguardanti il gruppo stigmatizzato). CAPITOLO 2: Controllo dell’informazione e identità personale Lo screditato e lo screditabile SCREDITATO quando c’è discrepanza tra l’identità sociale effettiva e quella virtuale, è possibile che il normale ne sia a conoscenza già prima di entrare in contatto con lui o che gli sia evidente appena lo vede. È probabile che non riconosciamo subito ciò che lo discredita e questo processo di voluta disattenzione può rendere la situazione tesa, incerta e ambigua sia per il normale che, soprattutto, per lo stigmatizzato. Una possibilità fondamentale per una persona stigmatizzata è quella di cooperare con i normali interagendo come se la sua conosciuta diversità non fosse rilevante. SCREDITATO quando il suo essere diverso non risulta immediatamente apparente e non è conosciuto. Qui emerge la seconda possibilità, con il problema, però, della gestione dell’informazione relativa all’attributo screditante, cioè se mostrare o non mostrare, dire o non dire, far capire o non far capire, mentire o non mentire, a chi, come, quando e dove. Esempio: quando il paziente psichiatrico è ancora all’ospedale, c’è ancora dubbio e quindi può venire trattato con tatto, come se fosse sano; ma l’ex paziente psichiatrico non si trova a fronteggiare un pregiudizio, bensì un’ignara accettazione da parte di individui prevenuti proprio nei confronti di quella categoria di persone di cui lui potrebbe rivelare di far parte. L’ex paziente psichiatrico nasconde informazioni sulla sua reale identità sociale, ricevendo ed accettando un trattamento basato su falsi assunti nei suoi confronti. È proprio di questo problema generale, cioè della Gestione delle informazioni riguardanti la propria persona, segrete e screditanti, che si occuperà questo capitolo ovvero del “PASSING” (esiste anche il “passing alla rovescia”, cioè il nascondere fatti meritevoli, ma non è di questo che parleremo). L’informazione sociale Nello studio dello stigma, l’informazione di maggiore importanza ha alcune caratteristiche: riguarda un individuo e le sue caratteristiche più o meno stabili, in opposizione agli stati d’animo, ai sentimenti e alle interazioni che egli può avere in un determinato momento; è riflessa e iscritta nel corpo (così come il segno con cui viene trasmessa), cioè è trasmessa dalla stessa persona attraverso l’espressione corporea, nell’immediata presenza di coloro che la ricevono. L’informazione che possiede queste caratteristiche è l’informazione SOCIALE. SIMBOLI i segni che trasmettono l’informazione sociale, spesso accessibili in modo continuativo, ricercati e ricevuti in modo abituale. - “Simbolo di status”: es. fede al dito di un uomo, costituisce una specifica pretesa di prestigio, onore o appartenenza ad una classe sociale desiderabile. - “Simbolo di stigma”: quelli efficaci nell’attirare l’attenzione verso qualche discrepanza che svaluta l’identità, con una conseguente valutazione negativa di quell’individuo. - “Disidentificatori”: segno che tende a spezzare un quadro altrimenti coerente, ma nella direzione positiva desiderata dal soggetto, quindi non per fare una nuova richiesta ma per mettere in dubbio la fondatezza dell’identità virtuale. Tali segni, che trasmettono le informazioni sociali, devono essere distinti dai segni occasionali che non sono ancora stati istituzionalizzati come mezzi per trasmettere informazioni. Quando i segni trasmettono prestigio vengono chiamati PUNTI; quando screditano sono detti LAPSUS. Esistono anche altri segni che trasmettono informazioni ma hanno soltanto una patina di funzione informativa perché sono presenti specie per altre ragioni (es. polsi ammanettati di un detenuto che viene trasferito, chiazze sull’avambraccio tipiche dei tossicodipendenti). Il significato del supporto materiale di un segno può venire ridotto nel tempo, diventando semplicemente una traccia, anche se la funzione informativa dell’attività rimane costante o addirittura aumenta di importanza. I segni che trasmettono informazioni sociali variano anche in base al fatto che siano o meno congeniti e, quando non lo sono, se diventano parte permanente o meno della persona (es. colore della pelle è congenito, mutilazione non è congenita ma permanente, testa rasata di un detenuto non è né congenita né permanente). I segni permanenti possono essere usati o meno contro la volontà dell’informatore e quando lo sono tendono ad essere simboli di stigma. Inoltre, è importante tenere a mente che i segni possono significare una cosa per un gruppo e un’altra per un altro gruppo (es. spalline imposte ai detenuti a rischio di fuga hanno significato negativo per le guardie, ma marchio di orgoglio per i prigionieri nei confronti degli altri). L’identità personale riguarda le prime due segno assertivo o supporto per l’identità e combinazione unica degli elementi della sua storia di vita attribuiti all’individuo con l’aiuto di questi supporti per l’identità. L’identità personale ha quindi a che fare con il presupposto che l’individuo possa essere distinto da tutti gli altri e che attorno a questi mezzi di differenziazione si possa aggrovigliare un’unica e ininterrotta sequenza a cui si attaccano gli altri fatti biografici. Resta però sempre difficile comprendere che in realtà l’identità personale gioca un ruolo strutturato, standardizzato nell’organizzazione sociale, proprio in forza della sua “unicità”. È oggi una pratica standard dell’organizzazione statale che vengano ufficialmente registrati i mezzi di accertamento dell’identità di ogni persona, cioè ci si serve dell’insieme di segni che distinguono la persona da tutte le altre. Quindi la scelta del segno è abbastanza standard: attributi biologici immutabili come la calligrafia, documenti fotografici, dati anagrafici registrabili permanentemente. È inoltre altrettanto diffuso l’interesse per lo sforzo fatto per acquistare un’identità personale diversa da quella originaria, come cambiare il proprio nome. Per farlo in modo onesto e legale occorre un atto documentato la cui registrazione è reperibile in ogni archivio pubblico. In questo modo, nonostante l’apparente diversità, viene conservata una continuità individuale. Un nome, quindi, è un modo molto comune, ma non molto affidabile, di fissare l’identità. Per quanto riguarda i segni sul corpo prima considerati, sono anch’essi relativi all’identità sociale e chiaramente devono essere distinti dalla documentazione che le persone potano con sé per provare la loro identità personale. Lo scopo di questi vari strumenti di identificazione è di non consentire errori in buona fede, né ambiguità, trasformando così quello che sarebbe semplicemente un uso discutibile di simboli informativi sociali in una lampante contraffazione o possesso illecito. Di conseguenza, “documento di identità” potrebbe essere detto in modo più appropriato “simbolo di identità”. Inoltre, poiché spesso l’informazione riguardante l’identità personale è di natura tale da poter essere documentata rigorosamente, può essere usata come tutela nei confronti di potenziali rappresentazioni ingannevoli dell’identità sociale. Si può notare quindi come un frammento della biografia di una persona può anche essere usato per un’attribuzione categoriale. In generale, dunque, i fattori biografici connessi alla documentazione dell’identità possono porre precise limitazioni al modo in cui un individuo può scegliere di presentare sé stesso. Una volta chiarita la differenza tra simboli sociali e documenti di identità, si può procedere oltre e considerare la peculiare posizione delle testimonianze VERBALI che attestano in modo linguistico, e non semplicemente espressivo, l’identità sociale e personale. Quando un individuo avrà una documentazione errata (es. per ricevere un servizio desiderato) cercherà infatti di far ricordo ad attestati orali in sostituzione di questa. Naturalmente, i diversi gruppi e le diverse società valutano in modo diverso, a parità di situazioni sociali, quanto una testimonianza di identità sia appropriata. Biografia Ogni individuo è un’entità sulla quale è possibile creare una documentazione: egli viene così determinato come oggetto di biografia. Su ogni individuo si presume che possa avere un’unica biografia e assumiamo a priori che qualsiasi cosa un individuo abbia fatto o possa fare sia contenibile in essa. Bisogna però osservare che questa unicità che comprende la vita intera è in netto contrasto con la molteplicità dei self che si riscontrano in un individuo quando lo si considera dal punto di vista del ruolo sociale, l’individuo può abbastanza facilmente sostenere diversi self (e rivendicare di non essere più quello di prima). Un fattore importante per l’analisi è il grado di “connettività informativa”: dato l’insieme dei fatti sociali importanti che riguardano l’individuo, in che misura coloro che ne conoscono alcuni ne conoscono molti? Che si tratti di identità sociale o personale, si può comunque distinguere la messa in scena che mira a dimostrare che uno è quello che non è da quella rivolta a mostrare che uno non è quello che è. Le norme riguardanti l’identità personale non riguardano solo le combinazioni ammissibili degli attributi sociali, ma piuttosto il tipo di controllo dell’informazione che l’individuo può adeguatamente praticare (se un individuo ha avuto un passato oscuro, questo è un problema che riguarda la sua identità sociale, ma il modo in cui gestisce le informazioni che si riferiscono a quel passato è un problema di identificazione personale). Oggi, negli ambienti di classe media, quanto più un individuo devia in una direzione indesiderabile rispetto a quella che si riteneva fosse la sua vera natura, tanto più è tenuto a dare volontariamente informazioni riguardo a sé stesso. Sembra anche che, per gestire la propria identità personale, l’individuo dovrà saper distinguere a chi deve molte informazioni e a chi poche e, di conseguenza, dovrà avere memoria, cioè una pronta classificazione mentale dei fatti del suo presente e del suo passato che potrebbe dover dire agli altri. C’è inoltre da considerare l’influenza reciproca tra identificazione personale e sociale. Nel comporre l’identificazione personale di un individuo ci serviamo di aspetti della sia identità sociale, insieme a tutto ciò che può essergli associato. Inoltre, l’essere in grado di identificare personalmente un individuo ci fornisce un dispositivo di memorizzazione in base al quale organizzare e consolidare le informazioni riguardanti la sua identità sociale. Oltre a questo, tenere nascosta una carenza screditabile assume un significato più profondo quando le persone a cui la si nasconde non sono estranei ma amici: la scoperta pregiudica sia la situazione sociale del momento che le relazioni consolidate (non solo l’immagine effettiva, ma anche quella che avranno in futuro, non solo le apparenze, ma anche la reputazione). Anche lo stigma e lo sforzo di nasconderlo diventano, quindi, fattori “fissi”, parte dell’identità personale. Da questo deriva la propensione ad assumere comportamenti impropri quando “si indossa una maschera”. Gli Altri biografici L’identità personale e quella sociale articolano l’idea dell’individuo e del suo mondo che hanno coloro che entrano in rapporto con lui. Va fatta però la distinzione tra quelli che sanno e quelli che non sanno. I primi sono coloro che hanno un’identificazione personale dell’individuo e sono subito in grado di fornire informazioni su di lui, mentre ai secondi l’individuo è del tutto estraneo e non hanno ancora iniziato a stilare alcuna biografia su di lui. L’individuo di cui gli altri sanno può sapere o non sapere che essi sanno di lui, ma se egli sa che essi sanno di lui deve, almeno in una certa misura, sapere di loro; ma se non sa che essi sanno di lui, può darsi che non sappia di loro nulla. Tutto questo è molto importante perché il problema che l’individuo ha nel gestire la propria identità sociale e personale varia moltissimo a seconda che quelli in sua presenza sappiano o meno e, se sanno di lui, se lui è informato o meno che loro sanno di lui. Quando uno si trova con persone per le quali è uno sconosciuto, la sua incertezza sarà se queste persone cominceranno a costruire un’identificazione personale di lui o se eviteranno di accumulare e organizzare ciò che sanno di lui per giungere a un’identificazione personale. Per quanto riguarda l’identità sociale, una condizione di completo anonimato non esiste. Inoltre, ogni volta che un individuo entra a far parte di un’organizzazione/comunità si verifica un netto cambiamento nella struttura delle conoscenze che lo riguardano e c’è dunque un mutamento nelle possibilità di controllo dell’informazione. RICONOSCIMENTO SOCIALE l’atto percettivo di collocare un individuo, come detentore di una specifica identità sociale o di una particolare identità personale. Sono notoriamente detentori di questo compito es. guardiani o portieri. Meno noto è il fatto che questo riconoscimento delle identità personali è un’attività funzionale normale in alcune organizzazioni (es. banche). Tra le persone che dispongono di informazioni biografiche di un individuo, ci saranno sempre quelle che fanno parte di una cerchia più ristretta in cui lui è conosciuto socialmente in forma più o meno intima: non solo “sanno di” o “a proposito” di lui, ma lo conoscono anche “personalmente” e avranno perciò il diritto e l’obbligo di scambiare con lui un saluto o due chiacchiere. Questo è il Riconoscimento Sociale. Mentre il riconoscimento sociale ha a che fare con il ruolo di un individuo in un rituale comunicativo, il RICONOSCIMENTO COGNITIVO è semplicemente un atto di percezione. Il trattamento accordato a un individuo in base alla sua identità sociale si accompagna a un ulteriore rispetto e indulgenza quando si tratta di una persona famosa per la sua identità personale. Questa persona tenderà spesso ad andare in posti dove è riconosciuta perché questo le porterà soddisfazione. Questa popolarità va distinta però dalla FAMA. Quando infatti si raggiunge la fama, talvolta ci si nasconde per scampare al fastidio che possono dare giornalisti e cacciatori di autografi, ma anche perché una vasta gamma di azioni viene inclusa nel racconto biografico come eventi che fanno notizia. La biografia si può dividere tra ATTIVA (quella all’interno della quale si esplicitano i fatti della vita, e nella vita di una persona media ci saranno molti fatti che resteranno nel silenzio finché non risulteranno degni di essere ricordati, quindi inseriti nella biografia) o INATTIVA (per le persone celebri, che hanno biografie della dimensione di un libro, saranno pochi i periodi della loro vita nella quale è consentita l’immobilità, cioè che qualche fatto non venga alla luce e non entri nella biografia). Nello studiare la fama, è importante anche considerare la CATTIVA FAMA o infamia, che nasce quando una cerchia di persone ha una cattiva opinione di qualcuno senza averlo incontrato personalmente. L’evidente funzione della cattiva fama è il Controllo Sociale, che ha due distinte possibilità. La prima è il controllo sociale formale. Ci sono funzionari che hanno il compito di scandagliare vari ambienti per individuare individui la cui storia o reputazione li ha resi sospetti o addirittura ricercati per l’arresto (es. paziente con precedenti di molestie lasciato libero sulla parola, quando entra in un cinema viene invitato ad uscire: lo stesso accade con molti “avanzi di galera” in diverse situazioni). È possibili anche che le persone che conoscono un individuo, ma non conosciute da lui, includa anche il pubblico più vasto: in questi casi, sono i mezzi di comunicazione di massa ad avere un ruolo fondamentale, perché rendono possibile la trasformazione di una persona da “privata” a “pubblica”. Si può quindi dire che l’immagine pubblica di un individuo, cioè quella accessibile a chi non lo conosce, può essere e spesso sarà diversa da quella che egli proietta nelle relazioni con coloro che conosce personalmente. Si può quindi parlare di un genere particolare di Stigmatizzazione: la figura che l’individuo si ritaglia nella vita quotidiana nei confronti delle persone con le quali ha rapporti abituali può essere sminuita e distorta da richieste specifiche, favorevoli o sfavorevoli, determinate dalla sua immagine pubblica, specie quando l’individuo non è più coinvolto in eventi che fanno notizia e, quindi, deve fare i conti con l’essere accolto ovunque come chi non è più quello di un tempo. Conseguenza sia il famoso che il malfamato possono avere in comune più di quanto ciascuno di loro abbia con quelli che i camerieri e i cronisti di gossip chiamano “signor nessuno”. Infatti, sia che una folla voglia mostrare amore o odio per qualcuno, gli spostamenti quotidiani di costui potranno subire gli stessi scombussolamenti (a questo tipo mancanza di anonimato si contrappone quella basata sull’identità sociale). Nelle biografie/autobiografie di personaggi famosi o malfamati, è facile trovare informazioni su come essi gestiscono la propria identità. Un individuo, dunque, può essere considerato come il centro focale di una serie di persone che sanno poco di lui, o che lo conoscono personalmente, ciascuna delle quali dispone in misura diversa di informazioni che lo riguardano. Sebbene le faccende quotidiane portino l’individuo a contatto con persone che lo conoscono in modo diverso, tali differenze non saranno normalmente incompatibili, anzi sarà riconosciuta una sorta di biografia unitaria. I contatti apparentemente casuali della vita quotidiana possono costituire una sorta di struttura che sostiene l’individuo in una biografia, nonostante la molteplicità dei sé. Grazie all’identità sociale, chi ha una diversità segreta potrà trovarsi, nella vita quotidiana, in tre diversi luoghi: 1)Luoghi vietati o inaccessibili le persone del tipo al quale appartiene lo stigmatizzato non possono entrare e se lo fanno vengono espulsi 2) Luoghi civili le persone dello stesso tipo dello stigmatizzato, conosciute come tali, vengono trattate con cura come se non avessero impedimenti anche se ne hanno 3) Luoghi riservati le persone di quel tipo non hanno bisogno di nascondere il proprio stigma né di preoccuparsi di dover distogliere l’attenzione da questo (spesso luoghi in cui si sta insieme tra portatori dello stesso stigma o simili) Questa ripartizione determina il costo di ogni rivelazione o occultamento, nonché il significato di essere riconosciuti come stigmatizzati, indipendentemente dalle strategie informative scelte. Il mondo dell’individuo, oltre ad essere diviso spazialmente in questo modo in base alla sua identità sociale, lo è anche in base alla sua identità personale, perché ci sono luoghi nei quali è conosciuto personalmente. Ci sono poi anche posti in cui può essere abbastanza sicuro di non imbattersi in nessuno che conosce e dove può rimanere anonimo. Possiamo ora proseguire nell’analisi dei problemi e delle conseguenze del passing. Colui che compie il passing si trova inevitabilmente a dover rivelare informazioni screditanti su sé stesso. Chi fa il passing soffre di “sprofondismo”, cioè l’impulso di dire bugie sempre più complesse per evitare di rivelare qualcosa, ma il suo sforzo di nascondere dei limiti può portarlo a svelarne altri o a dare l’impressione di farlo. Inoltre, chi compie il passing è disposto a conoscere ciò che gli altri davvero pensano delle persone del suo tipo, sia quando non sanno di avere a che fare con qualcuno come lui, sia quando capiscono qualcosa e improvvisamente cambiano atteggiamento. Poi, come già detto, può diventare oggetto di ricatto di vario genere da parte di chi conosce il segreto. Chi compie il passing può anche trovarsi, durante l’interazione faccia a faccia, a doversi esporre, tradito dalla stessa debolezza che sta cercando di nascondere (es. balbuziente, riescono a nasconderlo anche agli amici intimi finché per disattenzione non balbettano). Infine, chi compie il passing si trova a dover dare spiegazioni a chi ha appena saputo del suo segreto e sta per rinfacciargli le sue falsità. Anche la presenza di compagni di sofferenza (o saggi) induce un particolare insieme di situazioni continenti connesse al passing, perché le tecniche usate per nascondere i vari tipi di stigma possono essere smascherate da qualcuno che conosce i trucchi del mestiere. Queste contingenze aiutano a spiegare l’ambivalenza tra “ansia di rischiare di essere smascherato” e “senso di colpa per mentire”. Oltre a questo, come già detto i rapporti obbligano allo scambio di informazioni intime come prova di reciproca fiducia: le relazioni che l’individuo aveva prima di dover nascondere un difetto saranno quindi compromesse, carenti di informazioni condivise. Il problema del passing ha sempre sollevato anche una serie di problemi sullo stato psichico di chi lo compie: - egli deve pagare un elevato prezzo psicologico, ansia per vivere una vira che può collassare in qualsiasi momento - chi lo fa si sente combattuto nell’appartenenza a due mondi differenti, si sente lontano dal suo nuovo gruppo, e prova una sensazione di tradimento e disprezzo verso di sé quando non può fare niente contro le osservazioni offensive dei membri della categoria all’interno della quale sta compiendo il passing - deve fare attenzione anche agli aspetti della situazione sociale che gli altri considerano non preisti e trascurabili, si sente estraneo a quel mondo più semplice che abitano le persone che non hanno il suo stigma Es. omosessuale spesso diventa intollerabile la fatica di ingannare la mia famiglia e gli amici, devo controllare ogni parola e ogni gesto, per paura di tradirmi. È così che un individuo screditabile arriva a “vivere al guinzaglio”, cioè resta vicino al luogo in cui può rinnovare il proprio travestimento e dove può prendersi una pausa dall’obbligo di indossarlo, e si allontana dal suo “centro di manutenzione” solo quanto basta per poter tornare indietro senza perdere il controllo delle informazioni che lo riguardano. Un bambino con uno stigma può compiere il passing in modo particolare. I genitori, consapevoli della condizione, possono proteggerlo in una bolla di accettazione domestica e nell’ignoranza di quello che sarà, ma quando si avventura all’aperto lo fa quindi come uno che inconsapevolmente fa il passing. Qui i genitori si trovano di fronte a un dilemma sulla gestione delle informazioni. Se il bambino viene a conoscenza della sua situazione in età scolare, si pensa non sia in grado psicologicamente di sopportarlo; ma se è tenuto all’oscuro troppo a lungo non sarà preparato a quello che gli accadrà e gli potrà capitare di essere informato sulla sua condizione da estranei. Tecniche di controllo delle informazioni Abbiamo quindi visto che l’identità sociale dell’individuo suddivide il mondo delle persone e dei luoghi che sono in relazione con lui e che lo stesso, anche se in modo diverso, viene fatto anche dalla sua identità personale. Questi sono i contesti di riferimento che si devono applicare nello studio della routine quotidiana di una persona stigmatizzata. La ROUTINE QUOTIDIANA è un concetto chiave, perché collega l’individuo alle sue situazioni sociali. Il suo studio richiede una particolare prospettiva: nella misura in cui l’individuo è stigmatizzato, si cerca quel ciclo abitudinario di limitazioni che egli deve affrontare per gestire per essere accettato socialmente; nella misura in cui la persona è screditabile, si cercano le situazioni impreviste che deve affrontare per gestire le informazioni che lo riguardano. Ora consideriamo alcune tecniche usate da chi ha una carenza segreta per gestire le informazioni. Una strategia è quella di nascondere o eliminare i segni che sono diventati simboli dello stigma, tenendo presente, però, che quando il mezzo impiegato per attenuare la menomazione “primaria” diventa un chiaro simbolo di stigma, allora si cercherà di non usarlo (es. miopia progressiva, evitare di usare le lenti bifocali perché evocano alla vecchiaia). Quando un individuo, dopo la permanenza in un’istituzione, ha acquistato in modo stabile lo stigma, e quando l’istituzione, dopo la sua uscita, mantiene nei suoi confronti un controllo che lo scredita per un determinato periodo, il passing avverrà in modo particolare (es. per coloro costretti a trovare lavoro tramite uffici di collocamento o AS, almeno il datore di lavoro deve sapere del suo stigma, ma questo crea insicurezza nel sapere che qualcuno sa e altri no; infatti, questi, dopo i 6 mesi “obbligatori” cambiavano luogo di lavoro in modo da essere tranquilli che nessuno sapeva del loro stigma). Un’altra strategia di coloro che fanno il passing è quella di presentare i segni della loro carenza stigmatizzata come segni di un altro attributo, di uno stigma meno grave (es. persona sorda, far credere di essere solo distratta). Una strategia che lo screditabile impiega spesso per affrontare i rischi consiste nel dividere il mondo in due gruppi: uno vasto al quale non dice nulla e uno ristretto al quale dice tutto e sul cui aiuto poi conta. Nel caso di relazioni intime già in corso nel momento in cui acquisisce lo stigma, può immediatamente “mettere al corrente il partner”: da quel momento in può essere accettato o respinto, ma conserva la sua dignità di chi sa essere onesto con gli altri. Nel caso di relazioni post-stigma nelle quali si era superato il momento in cui lo stigmatizzato avrebbe dovuto rivelare la sua condizione, questi può inscenare una confessione con tanta emotività quanta ne richiede la slealtà del suo passato silenzio, e poi implorare il perdono. La tendenza di chi nasconde il proprio stigma a sondare se la rivelazione sarà ricevuta dalla persona ignara senza produrre una rottura completa del loro rapporto è una variabile che influisce sulla riuscita di queste confessioni. Bisogna ricordare, però, che l’individuo stigmatizzato è praticamente destinato a vivere situazioni come queste, specie con le nuove relazioni: queste, non ancora stabili, sono quelle che più facilmente non lasciano speranze poiché rendono onerosa l’onestà tempestiva, che di conseguenza viene spesso evitata. Inoltre, chi è in grado di ricattare è spesso anche in grado di aiutare l’individuo esposto al biasimo a mantenere il suo segreto. Gli INTIMI non solo aiutano la persona screditabile nella sua dissimilazione, ma possono anche farlo al di là della consapevolezza del beneficiario, specie perché possono agire come rete di protezione consentendogli di pensare di essere pienamente accettato come una persona normale. Pertanto, gli intimi saranno più consapevoli della sua diversità e dei suoi problemi di quanto non lo sia lui. È quindi indubbiamente inadeguata l’idea che la gestione dello stigma riguardi soltanto l’individuo stigmatizzato e gli estranei. È anche interessante notare che coloro che condividono uno stigma possono contare sul reciproco aiuto nel compiere il passing (es. omosessuale può adocchiarne un altro senza far notare ai normali che sta accadendo qualcosa fuori dall’ordinario). Lo stesso tipo di collaborazione si trova anche tra le cerchie di persone stigmatizzate che si conoscono personalmente (es. ex pazienti psichiatrici che si conoscono, quando sono fuori con persone normali e si vedono possono lanciarsi dei segnali in modo da fare finta di non conoscersi). Bisogna inoltre aspettarsi che ci compie il passing gestisca la DISTANZA in modo strategico e volontariamente. Lo screditabile ricorrerà per lo più agli stessi espedienti dello screditato, ma per ragioni leggermente diverse. Rifiutando o evitando situazioni di intimità, l’individuo può evitare il conseguente obbligo di rivelare informazioni. Mantenendo una cera distanza nelle relazioni ci si assicura di non dover trascorrere del tempo con l’altro, perché più tempo viene trascorso con altri, maggiore è la possibilità che il segreto venga messo in luce. Mantenendo una distanza fisica, l’individuo può anche limitare la tendenza degli altri a costruire un’identificazione personale di lui. Restando in casa e non rispondendo al telefono, l’individuo screditabile può cancellare sé stesso dalla maggior parte di quei contatti attraverso i quali la sua menomazione può essere definita come parte della sua biografia agli occhi degli altri. L’ultima possibilità, infine, permette all’individuo di rinunciare a tutte le altre: può volontariamente rivelarsi, trasformando così in modo radicale la sua situazione da quella di un individuo con informazioni da gestire a quella di un individuo con situazioni sociali difficili da gestire, da quella di una persona screditabile a quella di una persona screditata. Una volta che l’individuo ha dato informazioni su di sé, è possibile che si impegni nelle azioni di adattamento prima citate, accessibili a chi si sa che è stigmatizzato. Un modo per rendere palese il proprio stigma è quello di portare volontariamente un simbolo, un segno chiaramente visibile che renda nota la sua carenza ovunque egli vada. Questo espediente può essere usato da chiunque, perché l’individuo che si contrassegna con un simbolo dichiara espressamente di essere escluso dalla società dei normali. I simboli dello stigma hanno la caratteristica di essere percepibili in qualsiasi momento, ma vengono usati anche metodi di rivelazione meno palesi. Indizi fugaci dello stigma possono essere messi in evidenza come Lapsus Intenzionali (es. quando un cieco commette volontariamente un’azione maldestra); c’è anche un’Etichetta della rivelazione, grazie alla quale l’individuo ammette in modo naturale la propria carenza sostenendo l’ipotesi che i presenti siano al di sopra di tali pregiudizi, evitando così a loro di rimanere impantanati nel dimostrare che non lo sono. Quindi, imparare a compiere il passing è una fase della socializzazione della persona stigmatizzata e un punto di svolta nella sua carriera morale. L’individuo stigmatizzato, però, può inoltre giungere a rendersi conto che dovrebbe essere al di sopra del passing, che se accetta sé stesso e si rispetta non sentirà il bisogno di nascondere la propria carenza. Dopo aver faticosamente imparato a occultare, può darsi che l’individuo debba disimparare tutto ciò: è a questo punto che la rivelazione volontaria entra nella carriera morale come segno di una delle sue fasi. Inoltre, nelle autobiografie di stigmatizzati, questa fase della carriera morale è tipicamente descritta come l’ultima, quella della maturità e del completo adattamento. - In primo luogo, i consigli riguardanti il comportamento personale talvolta stimolano lo stigmatizzato a diventare un critico della scena sociale, un osservatore delle relazioni umane. Potrebbe essere spinto a raggruppare interazioni informali per esaminarne la trama generale. Può diventare “consapevole della situazione”, mentre persone normali presenti sono spontaneamente coinvolte nella situazione, che per loro è semplicemente lo sfondo di questioni di cui sono ignari. Questa dilatazione di conoscenza delle persone stigmatizzate è rafforzata dal loro particolare fiuto per le incognite dell’accettazione e dalla rivelazione, verso le quali le persone normali sono meno sensibili - In secondo luogo, i consigli dati allo stigmatizzato riguardano spesso quella parte della sua vita che egli ritiene intima e vergognosa, le sue ferite più nascoste vengono esaminate con atteggiamento clinico: ciò che è più intimo e delicato diventa qui ciò che è più collettivo, proprio perché i sentimenti più profondi dello stigmatizzato diventano quelli più descritti dagli stessi stigmatizzati più colti e in grado di esprimersi in pubblico. Queste presentazioni sollevano il problema dell’esposizione e del tradimento, anche se, in ultima analisi, finiscono per essergli di aiuto Allineamenti al gruppo di appartenenza Queste ricette esistenziali, che sembrano tratte dal punto di vista dello stigmatizzato, traggono in realtà origine dai GRUPPI, cioè individui che si trovano in condizioni simili. Uno di questi gruppi è l’aggregato formato dai compagni di sofferenza, e i portavoce sostengono che questo è il vero gruppo dell’individuo, quello a cui appartiene naturalmente. Tutti gli altri gruppi ai quali appartiene vengono considerati come non suoi, nei quali egli non è veramente uno di loro. Quindi, il vero gruppo è quello formato da persone con le quali può soffrire le stesse privazioni perché hanno lo stesso stigma. Il carattere che viene attribuito all’individuo dipende dal rapporto che ha con i compagni di gruppo: è leale e autentico se si rivolge al suo gruppo, vigliacco e pazzo se invece se ne allontana. Un tema fondamentale della sociologia è infatti la natura di un individuo che deriva dalla natura delle sue appartenenze di gruppo. Adottando questa linea, nei contatti misti lo stigmatizzato esalterà le qualità e i contributi dati dai compagni di stigma, arrivando anche ad ostentare alcuni attributi stereotipati che altrimenti potrebbero tenere nascosti. L’individuo stigmatizzato può anche contestare la malcelata disapprovazione con cui i normali lo trattano, e aspettare di coglierli in fallo quando si autonominano saggi ma in realtà l’accettazione è solo una finzione. Quando l’obiettivo è togliere uno stigma alla diversità, l’individuo può accorgersi che sono proprio i suoi sforzi a politicizzare la sua vita, rendendola ancora più diversa dalla vita normale che gli è stata negata. Inoltre, richiamare l’attenzione sulla situazione del suo gruppo, ha come effetto il rafforzare l’immagine pubblica della sua diversità. In breve, a meno che non abbia una cultura diversa alle spalle su cui ripiegare, più si separa strutturalmente dai normali e più è probabile che finisca per essere culturalmente come loro. Allineamenti al gruppo cui non si appartiene Il gruppo proprio dell’individuo può quindi influenzare il codice di condotta che gli esperti gli consigliano. Allo stigmatizzato si chiede, però, di considerare sé stesso anche dal punto di vista di un secondo raggruppamento: quello dei normali e della società nel suo insieme che lo formano. Il linguaggio di questo orientamento ispirato dai normali non è tanto politico come nel caso precedente, quanto psichiatrico: è il registro retorico di immagini connesse alla salute mentale che viene usato. Chi aderisce alla linea proposta viene definito maturo e con un buon livello di adattamento, chi non aderisce incapace e mancante di adeguate risposte psicologiche. Questo naturalmente porta conseguenze. Allo stigmatizzato si consiglia di considerarsi essere umano come chiunque altro, al quale, al massimo, può accadere di essere escluso da una sfera della vita sociale. Non è un tipo o una categoria, ma un essere umano (“perché gli storpi sono sfortunati? Chi lo dice? Solo perché non possono ballare? Tanto la musica prima o poi deve fermarsi. […]”). Poiché ciò che lo affligge non è niente di per sé, non se ne dovrebbe vergognare e, con un duro lavoro e una continua auto-formazione, dovrebbe rispondere, arrestandosi solo davanti alla normificazione. E poiché anche i normali hanno i loro problemi, lo stigmatizzato non dovrebbe amareggiarsi, provare risentimento o autocommiserazione, ma cercare di essere allegro e socievole. Ne segue una serie di istruzioni su come trattare i normali, perché le competenze che lo stigmatizzato acquisisce nell’affrontare situazioni sociali miste dovrebbero essere usate per aiutare gli altri. I normali non vogliono fare del male e se lo fanno è perché non sanno fare di meglio; quindi, dovrebbero essere aiutati a comportarsi bene. Lo stigmatizzato dovrebbe impegnarsi in una benevola rieducazione del normale, mostrandogli che, nonostante le apparenze, l’individuo stigmatizzato è un essere pienamente umano. Quando la persona stigmatizzata si accorge che è difficile per i normali ignorare le sue carenze, dovrebbe cercare di aiutarli e di modificare la situazione sociale con uno sforzo consapevole rivolto a ridurre la tensione. Ad esempio, lo stigmatizzato può cercare di rompere il ghiaccio mostrando di essere in grado di accettare la sua condizione con disinvoltura. La persona stigmatizzata quando si trova in compagnia mista può trovare utile riferirsi alla sua disabilità come quando è con i suoi; è invece solita usare il linguaggio dei normali quando si trova in una situazione in cui questi sono tra di loro. In altri momenti può conformarsi all’etichetta della rivelazione e presentare la sua carenza come argomento di seria conversazione (es. sensazione dell’invalido di non essere compreso come persona + normale imbarazzato in sua presenza, genera relazione tesa. Per alleviare la tensione, l’invalido può mostrarsi disposto a soddisfare le curiosità e/o iniziare egli stesso il discorso). Si raccomanda, inoltre, di attendere un po’ prima di un incontro in modo che i partecipanti possano dominare le loro reazioni e non avere “la botta” di vedere direttamente lo stigmatizzato (es. sfregio facciale, mi faccio vedere ma attendo un po’ lontano prima di avvicinarmi e iniziare la conversazione). Oltretutto, allo stigmatizzato viene chiesto di comportarsi come se gli sforzi dei normali per facilitargli le cose fossero davvero apprezzati ed efficaci. Le offerte di aiuto, anche se percepite come intromissioni, devono essere accettate dallo stigmatizzato. L’aiuto non è solo un problema per coloro che lo danno: se lo stigmatizzato vuole rompere il ghiaccio, deve ammettere il valore dell’aiuto e consentire alla persona di darglielo. Sebbene accettare offerte di aiuto possa già essere un peso per lo stigmatizzato, se si sente a suo agio con la sua diversità questa accettazione avrà un effetto immediato sui normali, rendendo loro più facile essere a proprio agio con lui. Si consiglia allo stigmatizzato di accettarsi come persona normale per i vantaggi che gli altri, e lui di conseguenza, possono ricavarne nell’interazione. Dato che spesso i normali usano la cortesia di considerare il suo difetto come non importante, ci si può aspettare che a volte lo stigmatizzato si lasci ingannare e creda di essere più accettato di quanto non lo sia in realtà, cercando poi di farsi accettare socialmente anche in situazioni inappropriate. Che lo stigmatizzato possa prendere troppo sul serio di essere accettato indica che l’accettazione è condizionata, è legata al fatto che i normali non devono essere spinti oltre al limite in cui possono accettare lo stigmatizzato senza fatica. Dagli stigmatizzati ci si aspetta che non cerchino di forzare i limiti dell’accettazione che viene loro concessa, né di considerarla il punto di partenza per ulteriori richieste. La natura di un BUON ADATTAMENTO richiede che l’individuo stigmatizzato si accetti gioiosamente e senza imbarazzo come essenzialmente uguale ai normali e, allo stesso tempo, si sottragga volontariamente da quelle situazioni nelle quali i normali dichiarerebbero solo a denti stretti di accettarlo come simile. La linea di condotta per un buon adattamento è indicata da coloro che assumono il punto di vista della società in generale: quindi cosa significa per i normali il fatto che lo stigmatizzato la segua? Significa che la difficoltà e il dolore di doversi portare uno stigma non saranno loro mai resi palesi, che le persone normali non dovranno mai ammettere a sé stesse quanto siano limitanti il loro tatto e la loro tolleranza e che possono restare incontaminati da un contatto intimo con lo stigmatizzato. È da questi significati che deriva il principio del buon adattamento. Quando lo stigmatizzato adotta questa politica del buon adattamento, si dice spesso che ha un carattere forte o una profonda filosofia di vita, forse perché in fondo noi normali vogliamo trovare una spiegazione della sua volontà e capacità di agire in questo modo. La formula generale è chiara: allo stigmatizzato si chiede di agire come se il suo fardello non fosse pesante, né che il fatto di portarlo lo abbia reso diverso da noi; allo stesso modo deve mantenersi a una certa distanza da noi, in modo di consentirci di non confermare, senza dolore, le nostre convinzioni su di lui. Gli si consiglia quindi di ricambiare l’accettazione di lui che noi per primi gli abbiamo dato. In questo modo, un’accettazione fantasma fa da fondamento ad una normalità fantasma (può addirittura essere portato ad appoggiare i normali nel sostenere, di fronte a quelli scontenti tra i suoi, che i soprusi che avvertono sono puramente immaginari. L’ironia di queste raccomandazioni non consiste nel fatto che allo stigmatizzato si richieda di avere con gli altri quell’atteggiamento paziente che loro rifiutano di riconoscergli, ma che proprio questa mancanza di reciprocità possa essere il miglior compenso per il suo comportamento. Infatti, in molti casi, lo stigmatizzato può portare al massimo grado la sua accettazione condizionata dai normali agendo in modo spontaneo e naturale, come se l’accettazione condizionata fosse un’accettazione piena. La politica dell’identità Allo stigmatizzato, dunque, sia il gruppo dei noi sia il gruppo dei loro presentano un’identità dell’ego: il primo in termini politici, il secondo in termini psichiatrici. Se l’individuo adotta la linea giusta, si riconcilierà con sé stesso e sarà un essere umano completo, un adulto con dignità e rispetto di sé. In realtà, egli avrà accettato un self per sé stesso, ma questo self è un estraneo interno, una voce del gruppo che parla per e attraverso di lui. Ma, secondo la sociologia, tutti noi parliamo dal punto di vista di un gruppo. La peculiarità della situazione dello stigmatizzato è che la società gli dice, allo stesso tempo, sia che è un essere umano normale, sia che è diverso in una certa misura. Questa differenza deriva naturalmente dalla società, perché prima che una differenza possa essere significativa deve essere concettualizzata collettivamente dalla società nel suo insieme. Anche là dove la scienza medica deve ritirarsi, la società può continuare ad agire in modo più determinante. Perciò, anche quando si dice allo stigmatizzato che è un essere umano come tutti gli altri, gli si suggerisce che sarebbe incauto fare il passing o tradire il gruppo dei suoi. In breve, gli si dice che è come chiunque altro ma che allo stesso tempo non lo è. Questa contraddizione è il suo destino ineluttabile e costituisce una sfida permanente per chi rappresenta gli stigmatizzati. Lo stigmatizzato si trova così in un’arena di elaborate discussioni e controversie su ciò che dovrebbe pensare di sé stesso, cioè sulla sua identità dell’ego. Agli altri suoi problemi si aggiunge così quello di essere spinto contemporaneamente in più direzioni da esperti che gli dicono che cosa dovrebbe fare e sentire. CAPITOLO 4: Il self e il suo altro Questo saggio affronta il problema della persona stigmatizzata e i modi in cui risponde alla difficile condizione in cui si trova. Sarà quindi anche utile considerare da diversi punti di vista il concetto di DEVIAZIONE, ponte che collega lo studio dello stigma allo studio del resto del mondo sociale. Deviazione e norme Oltre a questo, c’è l’arte molto meno gentile di prendere in giro l’altro, per cui i membri dei gruppi svantaggiati inventano una storia su sé stessi e su quello che provano davanti ai normali che goffamente esprimono la loro solidarietà, finché la storia arriva a un punto in cui risulta chiaramente che è stata congegnata in modo da apparite come una pura e semplice invenzione. In conclusione, è opportuno ripetere che lo stigma non riguarda tanto un insieme di individui concreti che possono essere separati in due gruppi (stigmatizzati e normali), quanto piuttosto un pervasivo processo sociale a due ruoli in cui ogni individuo partecipa ad entrambi i ruoli, almeno in alcune relazioni e in alcune fasi della vita. I normali e gli stigmatizzati sono punti di vista che vengono generati in situazioni sociali durante i contatti misti in virtù di norme di cui non si è consapevoli. Gli attributi che permangono per tutta la vita possono costringere il soggetto a svolgere sempre lo stesso ruolo; tuttavia, i suoi particolari attributi stigmatizzanti non determinano la natura dei due ruoli, ma solo la frequenza con cui si assume uno dei due. E poiché stiamo parlando di ruoli di interazione, non dovrebbe sorprendere che in molti casi chi è stigmatizzato per certi aspetti dimostri tutti i normali pregiudizi nei confronti di coloro che sono stigmatizzati per altri aspetti. Sembra anche che le discrepanze tra identità virtuale ed effettiva rimarranno sempre e che sempre susciteranno la necessità di gestire la tensione e di controllare le informazioni. Tuttavia, sia il fatto di ritenere indesiderabile una particolare caratteristica personale che la conseguente capacità di innescare questi processi tra i ruoli di stigmatizzato e normale hanno una storia, una storia che viene regolarmente modificata dalle azioni sociali internazionali. CAPITOLO 5: Deviazioni e devianza Considerato come le dinamiche della diversità screditante siano una caratteristica generale della vita sociale, possiamo proseguire rivolgendo l’attenzione al rapporto tra lo studio di queste dinamiche e quello di problemi affini al termine “devianza”. DEVIATORE: un singolo membro che non rispetta le norme; DEVIAZIONE: la sua particolarità. I deviatori differiscono tra di loro più di quanto non siano simili. In alcuni piccoli gruppi molto uniti, ricoprire un’influente posizione equivale all’autorizzazione a deviare: il rapporto che il deviatore ha con il gruppo, e la concezione che i membri hanno di lui, sono tali da impedire ogni alterazione alla struttura del gruppo. Il membro definito come fisicamente sofferente è in qualche modo nella stessa situazione: se gestisce correttamente la sua condizione, può allontanarsi dagli standard di prestazione senza che ciò si rifletta su di lui o sul suo rapporto con il gruppo. In molti gruppi e comunità molto uniti ci sono casi di un membro che devia e di conseguenza arriva a svolgere un ruolo speciale, perfino quando gli viene negato il rispetto che invece è accordato ai membri a pieno titolo. Un aspetto tipico è che può avvicinare ed essere avvicinato da tutti, smette di fare il gioco della distanza sociale; è spesso al centro dell’attenzione, fa da mascotte (es. lo scemo del villaggio, l’ubriacone del paese). Potrebbe essere chiamato “deviante integrato” per ricordare che è deviante rispetto a un gruppo concreto e non solo a delle norme, e che la sua forte inclusione nel gruppo lo distingue da un altro tipo ben noto di deviatore: l’ISOLATO. Tutti i tipi di deviatori fin qui considerati fanno parte di una cerchia nella quale sono condivise molte informazioni biografiche che li riguardano, c’è una completa identificazione personale. Passando dai piccoli gruppi familiari a quelli che sostengono una maggiore specializzazione dei ruoli, emergono quello del pastore o parroco (obbligato a rappresentare la vita retta e a viverla più di una persona normale) e quello del tutore della legge (deve vivere la propria routine tra le infrazioni degli altri). Se si sposta ancora il “sistema di riferimento” al più vasto mondo degli insediamenti metropolitani, si riscontra un corrispondente cambiamento nella varietà e nel significato delle deviazioni. Una di queste è rappresentata da chi volontariamente e apertamente rifiuta di accettare il posto sociale che gli è stato assegnato e si comporta in modo irregolare e ribelle nei confronti delle istituzioni fondamentali questi sono i DISSOCIATI. Coloro che prendono questa posizione autonomamente e a titolo personale possono essere definiti ECCENTRICI o “personaggi”; sono SETTARI coloro la cui attività è collettiva e focalizzata all’interno di qualche edificio. Coloro che si riuniscono in una sotto-comunità possono essere definiti DEVIANTI SOCIALI, e la loro vita collettiva una Comunità Deviante. Se esiste un gruppo di indagine chiamato “devianza”, allora il suo nucleo dovrebbe essere costituito dai devianti sociali come li abbiamo qui definiti: tossicodipendenti, criminali, vagabondi, lavoratori dei circhi, omosessuali,… Si tratta di persone che si pensa siano impegnate in una sorte di rifiuto collettivo dell’ordine sociale, persone che manifestano apertamente disprezzo per i loro superiori, che non hanno rispetto per nulla, simbolo vivente del fallimento del modello motivazionale della società. I devianti sociali ostentano il proprio rifiuto di accettare il posto che viene loro assegnato e, temporaneamente, i loro gesti di ribellione vengono tollerati, purché rimangano confinati all’interno delle loro comunità. Oltre a ciò, questi devianti spesso si sentono migliori dei normali e ritengono che conducono una vita migliore di quella delle persone che avrebbero potuto essere. Accenniamo ora a due tipi contigui di categorie sociali: - I gruppi etnici e raziali minoritari hanno una loro storia e cultura comuni, trasmettono la loro appartenenza a un luogo lungo linee di discendenza, si trovano a dover chiedere prove di lealtà da parte di alcuni membri e si trovano in una situazione svantaggiata nella società - Alcuni membri delle classi inferiori che mostrano chiaramente il marchio del loro status e che, nelle relazioni con le istituzioni pubbliche, scoprono di essere cittadini di seconda categoria Ora è evidente che devianti integrati, devianti sociale, membri delle minoranze e persone di classe inferiore possono occasionalmente ritrovarsi ad agire nel ruolo di stigmatizzati, insicuri dell’accoglienza che li attende e nell’interazione faccia a faccia e profondamente preoccupati delle varie risposte da dare a questa condizione di svantaggio.