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storia della filosofia I, Appunti di Storia della filosofia antica

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Scarica storia della filosofia I e più Appunti in PDF di Storia della filosofia antica solo su Docsity! STORIA DELLA FILOSOFIA I Il taglio sarà antropologico, cioè vediamo cosa i filosofi dicono e pensano di ciò che è umano. Decidere quando inizia la filosofia è una questione teoretica (ha a che fare con i contenuti) e una questione storico-filosofica (fa i conti con gli inizi). La storia della filosofia non è solo una disciplina di erudizione, di costruzione storica, ma è una maniera di fare filosofia. Siamo nell’Atene del V secolo, 25 secoli fa: usciamo dall’idea di definire l’essere umano con idee riduzionistiche. Entrare nella storia della filosofia antica significa fare demitizzazione: dalla scienza che diventa mito e dal mito che affida la verità alla narrazione. La filosofia è una scienza perché la si affronta con il logos (pensiero), scienza nella misura in cui ammette la possibilità che si possa cogliere e spiegare l’intero e coglierlo sia legato con la ricerca delle cause prime e ciò non può ridursi ad una formula. Pensiero e anima non possono stare in contraddizione così come anima e corpo. COS’E LA FILOSOFIA? La filosofia è indicata come una creazione del genio greco, nasce tra i VII-VI sec a.C nell’Asia minore, attuale Turchia e da subito diventa la domanda sul principio. La maggior parte degli autori di cui ci occuperemo si trovano nei territori dell’Asia Minore. La zona del mediterraneo conosce la civiltà egizia, si sviluppa molto dal punto di vista matematico e geometrico e i greci stessi presero spunto. In questi territori inizia una riflessione che diversamente dagli egizi, rispetto a matematica e geometria, guardavano le conoscenze per un fine pratico, il pensiero greco nasce dentro una prospettiva diversa, cioè non risponde a finalità pratiche e particolari, ma si configura per il tratto di originalità: NON SERVE A NIENTE E NON SERVE NESSUNO. Si configura come scienza perché non ha finalità pratiche, operative e operazionali. La parola “speculazione” la usiamo per definire operazioni che strumentalizzano azioni o cose per un fine preciso, specifico, corretto e giusto. La speculazione per i greci è invece la riflessione inutile su ciò che è. La filosofia si interroga SUL PERCHE’ DEL TUTTO, DELL’UNIVERSALE SENZA PARTICOLARI BISOGNI, non mossa da bisogni. L’originalità dei greci sta nella capacità di trovare uno spazio nuovo di conoscenza certa che non si limita ad ambiti particolari e non nasce per finalità pratiche ma è una scienza dell’universale e del tutto disinteressata. La filosofia nasce dalla necessità di sapere dell’essere umano, ma non un sapere finalizzato, è un pensiero estremamente libero (libero non nell’accezione dell’autonomia, ma che non è figlio di bisogni). La filosofia è scienza perché: - ha una forma logica che si dà al sapere, non è opinione, si struttura attraverso un’argomentazione razionale e dimostrativa, non nasce da una necessità (es. dare da mangiare a qualcuno). La filosofia è essenziale perché coltiva la possibilità di uno sguardo razionale sul tutto senza che esso sia schiavo di una necessità o debba rispondere a un’impellenza. Per i greci lo speculare ha una dimensione rivelativa di noi e della realtà e il fatto che speculare non serva a niente non lo rende meno costitutivo. - ha conoscenze pratiche, per esempio con Pitagora, divennero elementi per una teoria generale capace di spiegare la totalità degli eventi. - è una nuova forma di sapere: espressione di un popolo, che comprende alcuni elementi tratti da altre culture ma trasformati strutturalmente attraverso una forma logica. 2 coordinate: La filosofia vuole spiegare la totalità (1) delle cose distinguendosi dalle scienze particolari, cerca l’archè e connota da subito alcune caratteristiche del pensare filosofico e vuole essere razionale. Essa nasce come rottura rispetto al mitos. Si abbandona uno sguardo di immaginazione e si inizia a pensare che quella totalità possa essere ricondotta a un principio e che di quel principio si possa dare una spiegazione razionale. Il pensiero filosofico non nasce dentro a una cornice di funzionalizzazione dei suoi contenuti, non nasce per servire a qualcosa o qualcuno= gratuità (2). Ciò significa che essa ha un carattere teoretico, diverso da teorico (teoria di spiegazione). Teoretico = contemplativo, pensiero che si dedica a un suo oggetto “semplicemente” per ricercare la verità per se stessa. Così la filosofia si lega alla meraviglia, Aristotele dice che la filo nasce da una consapevolezza, ovvero qualcosa che sfugge alla mia conoscenza e questo desta meraviglia perché mi stupisce e ciò che è oggetto della mia meraviglia mi tiene dentro ad una delle dimensioni più proprie dell’umano e cioè il sapere che dice che ciò che primariamente ci interessa è il sapere per il sapere, il problema della verità. La filosofia nasce dallo stupore davanti a cose che si davano per scontante, nasce dal desiderio di chiedersi che cosa origina ciò che genera la mia meraviglia. La filo è una costruzione continua di ponti (metacsiù) tra l’uno e i molti, per poter stare in relazione con la verità. Come si costruisce un ponte, qual è la natura di questo ponte, se c’è un ponte tra uno e molti = problema della filosofia. Per i greci la filosofia è la dimensione più propria dell’umano. Le nozioni pratiche diventano per i greci qualcosa che ha valore solo se contestualizzato in qualcosa di razionale, perché per loro la filosofia non risponde a bisogni. La logica per i Greci è l’aggettivo del logos: è logico ciò che è proprio del logos, cioè ciò che ha a che fare con il pensiero. Per costruzione razionale si intende la capacità di elaborare correlazione tra il principio e il tutto. Il dono, il gratuito è una delle radici di molta socialità e di esperienze arcaiche. 05/10 La questione dell’inizio della filosofia è già una questione filosofica in sé. Non si attribuisce l’inizio a un filosofo specifico, anche se si considera Talete. La filo non nasce da zero: - Rapporto tra mito e logos: il pensiero della totalità implica che il logos si sostituisca al mitos. La parola “μυθοσ” significa racconto, ma i Greci non definiscono un racconto qualsiasi, ma la narrazione di avvenimenti che hanno come protagonisti il mondo divino e umano e sono la prima forma di interpretazione della realtà. Esso è la maniera con cui gli umani provano a dirsi la realtà in un altro linguaggio rispetto a quello razionale. Tutte le grandi tradizioni poggiano su miti fondativi. Il logos è la parola che i Greci coniano con una specificità unica per definire la nostra capacità di pensare la realtà in modo razionale, dando ragione di essa. I Greci interpretano logos come pensiero e parola. - L’acqua cosa ha a che fare con il divino? E se ha a che fare con il divino perché resta una questione di logos? Talete crede che tutto è pervaso e pieno di Dio e ciò non è contraddittorio né ricade in tono negativo sul carattere filosofico del pensiero di Talete. Dire che tutto è pieno di dei significa dire che tutto è pervaso dal principio di acqua. Il principio acqua non è solo la scaturigine di tutte le cose ma anche ciò di cui e ciò in cui tutte le cose sussistono. ANASSIMANDRO Riconosce che l’acqua non può essere il principio primo perché non è ovunque, è contenuta. All’origine di tutto ci deve essere qualcosa che non può essere delimitato. Arriva a dire che ci deve essere per forza qualcosa di materiale e che attraversa tutto. Siamo nel 610-510 a.C. (come Talete). Principio delle cose che sono è l’à-peiron: - À-peiron è l’infinito, l’illimitato. Significa ciò che è privo di peras, ovvero limiti non solo esterni, ma anche interni. À-peiron è l’infinito spaziale senza limiti. Significa anche l’indefinito secondo le qualità. Ciò che qualitativamente è indeterminato, cioè è principio in virtù del fatto che abbraccia tutte le determinazioni. È ingenerato (non ha genesi) e imperituro (non ha fine). - Definisce cosa intende per principio primo (archè), realtà prima ma al tempo stesso ultima delle cose (l’eterno ritorno). Da questo principio si distaccano i contrari. Egli vede che tutta la realtà quando è dinamica è toglimento di spazio da parte di qlcn\qlcs a qlcn\qlcs. Ciò che è delimitato è la conseguenza di una sopraffazione. - 1. Il manifestarsi del contrario è la prima ingiustizia (il mondo nasce dalla scissione dei contrari), questa rompe. Quando si rompe l’equilibrio, 2. la seconda ingiustizia porta avanti quello che si è rotto secondo un tentativo di affermazione di uno dei poli di queste coppie contrarie sul suo opposto (vince solo uno dei due contrari). Il tempo è forma di espiazione non autoinflitta, ma in senso metaforico, cioè nel ciclo dell’essere la modalità della sopraffazione di un opposto rispetto all’altro non è la forma definitiva dell’essere. Ogni lotta degli opposti si spegne in un ritorno nell’indeterminato, questo passo lui lo considera come una forma di espiazione e cioè il determinarsi di qualcosa si spegne, smette di essere sopraffazione. ANASSIMENE Per lui l’elemento primo è diverso da Talete in virtù di essere un discepolo di Anassimandro (principio di tutto= à- peiron, elemento quantitativo, ma infinito, illimitato). Il principio è infinito (illimitato, si riproduce continuamente) per grandezza e quantità, ma non è indeterminato (ovvero non ha un proprium, specificità, perciò si contrappone al suo maestro, Anassimandro). Per lui il principio è l’aria poiché è infinita, essenziale alla vita dei viventi e per tutto ciò che è (cosmo). L’aria secondo lui svolge il logos ed è manifestazione di un co-filosofare, perché questo suo riconoscimento dell’aria come principio primo è figlio di un confronto di discepolanza, figlio di un movimento di un pensiero che si fa in virtù di un pensiero precedente (Talete e Anassimandro). L’aria è archè perché dà origine alle cose attraverso i processi di rarefazione (fuoco) e condensazione (acqua e terra). Essa è assolutamente determinata, ma infinita, a renderla visibile è il freddo o il caldo, l’umidità o il movimento. Essa è molto vicina all’incorporeo (è, ma è invisibile), è da lui concepita mobilissima. Nella sua invisibilità resta, permane e fa divenire le sue manifestazioni. I PLURALISTI (Empedocle e Anassagora) Autori che hanno intravisto nella realtà la possibilità che il principio stesso sia plurale. Hanno immaginato che l’essere sia costitutivamente e originariamente molteplice. Siamo nel 400 a.C. essi sono autori che fanno i conti con l’aporia eleatica, ovvero dover render conto della diversità dovendo sostenere che il non essere non è. Se l’essere è da sempre e per sempre, che cos’è tutto ciò che non è da sempre e per sempre? Empedocle è il primo pensatore che cerca di affrontare questo tema tentando di cucire insieme due principi: - nulla nasce e nulla perisce - l’essere che sempre permane e i fenomeni plurali che la nostra esperienza ci attesta. Il nascere e il morire che cosa sono? Il nascere non è un venire dal nulla e il morire non è un andare nel nulla, perché l’essere è. Nascere e morire hanno una loro realtà e plausibilità: mescolanza e dissoluzione di sostanze che non sono nate e che sono indistruttibili. Sono 4: FUOCO, ACQUA, ARIA E TERRA. Essi sono definiti le radici di tutte le cose. Empedocle sta facendo storia della filosofia perché tiene conto di chi l’ha preceduto (suvfilosofein), ma fa anche tesoro del fatto che la sua posizione può aggiungere qualcosa a chi l’ha preceduto e che non esiste senza chi l’ha preceduto e quindi accoglie l’acqua di Talete, l’aria di Anassimene e il fuoco di Eraclito. Il principio cambia, non è più unico che si trasforma qualitativamente diventando tutte le cose e le loro determinazioni. I 4 elementi diventano inalterabili e intrasformabili. La relazione avviene nella maniera in cui si mescolano o si dissolvono. Nasce con lui la nozione di elemento come qualcosa di originario e qualitativamente immutabile, capace di dar forma molteplice e generare in virtù del modo in cui si unisce e si separa spazialmente e meccanicamente dagli altri. La radice non è unica ma sono più elementi. Perché proprio questi 4? Questi elementi sono uniti tra loro: Empedocle usa delle categorie di Eraclito, AMORE E ODIO. Ci sono questi 4 elementi e due forze cosmiche, realtà naturali: AMORE che unisce e ODIO che separa. Sono delle forze che consentono la separazione e l’unione, sono cooeterne e ugualmente potenti, quindi perché non si annullano a vicenda? Empedocle ci dice che c’è un alterno predominio di una forza sull’altra a cicli costanti: per avere nascita serve il predominio di amore, per avere separazione predominio di odio. Predominando l’amore gli elementi si raccolgono in unità, predominando l’odio gli elementi si disgregano e intrecciandosi le cose ci creano (cosmo). A muovere il mondo è ODIO, per Anassagora è l’OPPOSIZIONE. Perché il prevalere di amore è il prevalere dello Sfero o Uno, quando prevale invece odio gli elementi sono separati, quindi il cosmo e le cose nascono nel momento di passaggio dal predominio di uno a quello dell’altro. Amore e odio non fanno solo nascere o perire, ma amore quando è assoluto conduce a un’indifferenziazione, al fatto che la pluralità del cosmo è assunta dentro all’unità dello sfero, mentre quando prevale odio abbiamo le ragioni della pluralità del cosmo. Il prevalere di amore coincide con la dimensione di una totalità indeterminata, il prevalere di odio con lo sconvolgimento delle determinazioni. Empedocle nel frammento 22 afferma di aver dato l’alfabeto, le basi, ma c’è bisogno che si usi quello e niente di meno e nessuna lettera cessi di esistere perché se si distruggessero che cosa sarebbe se non il nulla? Il ciclo è identico, dentro le forze non cessano mai di mutarsi. Empedocle compone un carme lustrale nel quale introduce delle considerazioni antropologiche rispetto alla questione dell’ANIMA. L’anima dell’essere umano è una specie di demone gettato in un corpo e legato al ciclo delle nascite, gli uomini sono chiamati a purificarsi in questo ciclo fino a che non raggiungeranno la vita beata. Comincia ad essere chiaro come l’anima sia meno legata alla dimensione corporea, ma legata alla verità di noi. RICAPITOLO: - Al cospetto di un autore che non parla più di un principio unico. - Non per primo, ma lega il divenire dell’essere a due forze, amore e odio, ad una questione di lotta tra opposti, di conflitto. La determinazione implica una differenziazione che implica conflittualità, la quale anima la dimensione caduta, imperfetta della pluralità degli esseri. - Comincia a formalizzare questo tema di purificazione per l’anima, che è altro rispetto al corpo in cui vive. La fisica Empedoclea non è quella moderna e il naturalismo idem. ANASSAGORA Siamo nella seconda metà del 400 a.C. e vive la stessa sfida di Empedocle, si tratta di provare a mantenere fecondo la disputa tra il principio eleatico della permanenza dell’essere e la questione della pluralità dei fenomeni. Come possiamo sostenere che vi è una permanenza dell’essere al cospetto della pluralità dei fenomeni? Nessuna cosa nasce e muore, nascere è un comporsi e morire è un dividersi. L’originalità sta che in ciò che si compone e si divide non sono più i 4 elementi, ma degli elementi infiniti per quantità e numero, che lui chiama SEMI (SPERMATA). Semi aventi forme, colori e gusti di ogni genere. Lui sta scommettendo sul fatto che ci sia un originario qualitativo eleaticamente immobile (seme) che è all’origine di tutti i generi, forme e cose. Egli diceva: “del piccolo non vi è il minimo, ma vi è sempre un minore ma anche del grande non vi è un sommo ma sempre un maggiore”. Se prendiamo le realtà di cui facciamo esperienza noi possiamo sempre dividerle in qualcosa di minore, ma quando vengono suddivise danno come risultato parti o cose qualitativamente identiche. Le parti infinite e infinitamente divisibili di una realtà sono omeomerie, simili, della stessa realtà. Le cose sono generate da un movimento, nascono da una mescolanza a causa di un movimento, ma alle spalle del movimento c’era un ulteriore principio. - Aristotele riconosce ad Anassagora il merito di aver esplicitato un principio a monte dei principi, IL NOUS (intelligenza), che non ha nulla in comune con ciò che è. Non è della stessa natura dei semi, delle omeomerie, ma è nella sua solitudine, è altro da tutto il resto. - Molti interpretano il nous come essere incorporeo, ma probabilmente Anassagora non possiede il concetto dell’immateriale, ma neanche quello del materiale in quanto tale. dispari. Ogni numero dispari incontra l’arresto di qualcosa, mentre il pari resta un campo aperto, senza determinazioni. Perché? Perché pari e dispari sono a loro volta l’espressione di quello che per i pitagorici diventa principio supremo di tute le cose e cioè la convivenza di illimitato e limitato (indeterminato e determinato). Il numero è l’accordo di elementi limitanti e illimitati. PARMENIDE “L’ESSERE è E NON PUO’ NON ESSERE, IL NON ESSERE NON è E NON PUO’ ESSERE” Per Aristotele è una follia questa affermazione, mentre per Hegel è esatta. Per Hegel la filosofia inizia quando iniziamo a pensare la sola necessità, l’essere, il vero. Quest’affermazione segna la storia del pensiero occidentale in senso fisico, si basa sul chiederci e dimostrare se esiste il NON ESSERE: gli atomisti danno una prima risposta ovvero il non essere esiste ed è il vuoto. L’essere è (esiste), il non essere non è. 3 vie conducono alla verità: - Una all’assoluta verità. Il pensiero ci porta ad avere a che fare con l’essere nella modalità dell’impossibilità di pensare altrimenti, cioè nella modalità della necessità logica. Solo quando si raggiunge questa pensiero ed essere diventano la stessa cosa. Ci porta ad avere come oggetto del pensiero qualcosa che non può essere pensato altrimenti. Pensando l’essere arriviamo a pensarlo nell’impossibilità di pensarlo altrimenti: si è raggiunta l’assoluta verità. L’assoluta verità ha a sua volta due facce: la verità dell’essere e la verità del non essere. - Una alle opinioni fallaci dei mortali - Una alle assolute falsità, opinioni plausibili: negare l’essere e affermare il non essere è un’assoluta verità. Pensare ed essere sono esattamente la stessa cosa. Il piano dei mortali, cioè della conoscenza attingibile attraverso le opinioni dei mortali riguarda le ultime due vie. Le vie della conoscenza di Parmenide sono formalmente sono 2 (via dell’opinione e via della verità), ma in realtà la via dell’opinione può ramificarsi in via dell’assoluta verità e dell’opinione plausibile (diventano quindi 3). L’essere è ingenerato e incorruttibile, perché se dovesse venire da un altro dovrebbe venire dal non essere e se non dovesse venire da un non essere, verrebbe da un essere e quindi non nascerebbe ma sarebbe già. L’essere non ha passato né futuro, è immutabile. ERACLITO 504-501. Al centro c’è il problema filosofico del divenire. Essere che non può divenire altro se non sé stesso. E’ importante la questione del divenire perché il punto di osservazione a partire dal quale i filosofi di Mileto guardano la realtà, è la sua dinamicità. La dinamicità delle cose che nascono e periscono. Eraclito rimase colpito dalla perenne mobilità di tutte le cose, nulla rimane immobile, nulla rimane in uno stato di fissabilità. Lui ricorre all’immagine del fiume che scorre. Siamo altro, rispetto a quello che eravamo un minuto fa. Il fiume apparentemente è lo stesso mentre tutto trascorre e si trasforma. Noi stessi mutiamo, non solo l’acqua del fiume e siamo diventati diversi da quando ci siamo immersi in esso. Per essere ciò che siamo in un dato momento dobbiamo non essere più ciò che eravamo in un determinato momento. Questo divenire non è disordinato, caotico e disperso, ma è contenuto da alcuni argini: la legge dei contrari, che è il principio che porta armonia a quel divenire, è la chiave per spiegare il divenire cosmico, l’unità degli opposti. Guerra (POLEMOS) è madre di tutte le cose. Tutte le cose diventano secondo contesa. Il divenire è un continuo conflitto tra contrari. Questa guerra è insieme armonia. Lo scorrere perenne delle cose si attiva per polemos ma si rivela come armonia, come sintesi dei contrari. Chi non si rende conto che ciò che è differente concordo con sé medesimo, è un dormiente ed occorre svegliarlo. Ciò che è, è in continuo divenire, è attivo nel conflitto tra opposti e arriva ad una forma unitaria e armonica. Eraclito vede nel fuoco il principio di tutto. Elemento fisico messo a principio. Il fuoco è il principio perché esprime le caratteristiche di questo perenne divenire e perenne contrasto, il fuoco vive della morte del combustibile, il fuoco è la manifestazione del conflitto dei contrari, ovvero la fiamma. Il fuoco ha un’intelligenza che lui chiama LOGOS. Il fuoco non è solo una forza naturale, ma è un fuoco vivente, metafora di una forza cosmica, principio fisico di un logos che muove tutto e che tutto fa muovere attraverso il conflitto dei contrari che porta armonia. E’ il combustibile dell’universo. Eraclito affida al pensiero greco 2 sua categorie decisive: il logos e la psiche (anima). Lui guarda all’anima come anch’essa fuoco, e dice che è più saggia l’anima più secca, più asciutta. Il logos per Eraclito è la legge profonda dell’essere e del pensiero. E’ la legge da cui tutte le cose partono e a cui tutte le cose tornano. E’ il punto di stabilità e immutabilità che governa la terra insieme al continuo mutamento. Il divenire non è principio ultimo, il divenire dei eventi a sua volta si deve ad una legge cosmica, ad un principio di stabilità, che Eraclito chiama LOGOS. Ciò che muove tutto è polemos, ciò che consente che polemos sia armonia, è il logos, unità degli opposti. La legge dei contrari è sottoposta a quell’unità che al logos gli permette di essere l’unità degli opposti. Legge della vita che è il logos e vi è una dinamicità che è il polemos. L’elemento comune è la necessità di un passaggio dall’apparenza alla verità. Servono occhi diversi, serve ciò che ci consente di cogliere la verità del mondo delle idee. Serve la seconda navigazione. I confini dell’anima non si possono mai trovare per quanto tu percorra le sue vie, perché così profondo è il proprio logos. Questo perché Eraclito concepisce l’anima come luogo di profondità e lo considera come l’unico luogo che appartiene agli essere umani che può avere quella profondità. Non c’è nessun organo che abbia una profondità del genere. Questo suo non avere confini, rende l’anima l’unica cosa che si può estendere all’infinito e questo perché dentro essa, c’è il lo stesso logos che c’è nelle cose. L’anima è partecipe del logos. LA GRECIA E LA SCOPERTA DELL’UOMO: JAEGER E LA PAIDEIA GRECA (rivedere questa parte) -Jaeger sosteneva che i greci hanno scoperto l’idea di uomo, il concetto universale di essere umano, scoprendo la Paideia (ciò che ci consente di essere umani), cioè l’educazione dei fanciulli (paides) a diventare uomini/umani -la formazione dell’uomo è un’ideale che deve essere seguito: nei poemi omerici questo modello è l’Eroe, che si distingue per la sua eccellenza e virtù -la condizione umana è una condizione di libertà, a tal punto che gli schiavi non sono uomiini, bensì utensili (mentre in Grecia si sviluppa questo pensiero, in Oriente l’unico uomo libero era il despota e il resto erano tutti schiavi). V A.C -diventa centrale per la filosofia I SOFISTI Fenomeno culturale, non una scuola, che si sviluppa in un clima in cui: -Atene diventa il centro della filosofia -nelle città inizia ad emergere la classe mercantile e non più solo quella aristocratica Caratteristiche generali dei sofisti Vengono definiti i primi illuministi. Affermano che non c’è l’assoluto, ma la parola è efficace per persuadere, i sofisti sono capace di rendere virtuoso il linguaggio, che non si concentra su una verità assoluta ma su verità parziali. Il logos non è più qualcosa che ci avvicina alla verità assoluta, perché essa non esiste. Il linguaggio rappresenta le verità relative, parziali, la verità diventa un prodotto del linguaggio Con i sofisti il logos verrà messo al servizio degli utili, la filosofia si connota quindi di una finalità pratica, non più teoretica. La filosofia diventa una risposta a un problema di crescita. I sofisti non nascono come professionisti della comunicazione, ma nascono da una condizione dove la filosofia deve rispondere ad esigenze educative. I sofisti esigevano un compenso per la loro opera, per loro è come un mestiere -il sapere è la massima espressione: natura dell’uomo e autentica aretè (virtù): tutti posso guadagnare sapere -l’esperienza è il fondamento per i sofisti Sofismo= quasi una prima forma di umanesimo: l’uomo è posto al centro dell’attenzione, che significa riconoscere una parzialità della conoscenza, significa rinunciare a un principio primo da cui si deduce tutta la realtà, non si può + arrivare a una lettura assoluta della realtà PROTAGORA (visione relativista)  FENOMENISMO: l’uomo è giudice L’anima è prossima e tende al divino, all’uniforme, all’intellegibile, all’indissolubile. Il corpo tende al multiforme, all’umano, al mortale. La distinzione anima-corpo prepara una definizione che sarà operata dal cristianesimo. Nel Fedone l’anima è quella affine alle idee, il corpo si allontana. L’anima combatte il corpo e domina sulle passioni e sugli impulsi. Nella Republica c’è un nesso tra anima (tripartizione: razionale, concupiscibile e irascibile) e città. L’anima è il luogo dove vado a ricercare. La tripartizione dell’anima non è banale. L’esercizio di ciò che mi fa dire che nell’anima ci sono 3 parti è perchè Platone in un altro dialogo, il Timeo, parla dell’armonia come a dire che in ciascuno di noi esiste una parte predominante ma ci vuole armonia anche con le altre. L’anima si rivolge al mondo delle idee: da nessuna parte nei dialoghi di Platone si trova la dottrina delle idee, quindi significa che lui stesso ha elaborato questo pensiero a mano a mano. Platone in modo più organico presenta i temi con una strutta solida, creando una vera e propria metafisica e questo segnerà l’Occidente. L’idea platonica non è un concetto, ma la forma delle cose (bicchiere dentro l’acqua: il bicchiere è l’idea). Essa sottende alle cose, dà la forma alle cose, è universale, immateriale, ma reale (es. nella molteplicità della realtà degli alberi Platone dice che da qualche parte deve esistere l’idea perfetta dell’albero. Il mondo intellegibile è quel mondo in cui l’idea dell’albero esiste nella sua perfezione; il mondo sensibile è il ondo della molteplicità dove esistono tanti alberi e tutti tendono all’idea dell’albero). L’idea è il fondamento ontologico della realtà, costituisce il motivo che permette al mondo di essere. È la causa che ci permette di pensare il mondo e quindi conoscere. Nell’idea c’è unione tra essere e pensiero (diverso da Parmenide), ma manca il LEGAME(metacsiù) tra le due. Il demiurgo è colui che plasma il mondo guardando l’idea: per fare l’albero ha presente l’idea dell’albero. L’idea che ordina tutte le altre idee è quella del BENE. L’anima che tende all’idea del bene è quella che compie la purificazione di se stessa praticando l’aretè (virtù). Virtù: mezzo utilizzato dall’anima per tendere al bene. Attraverso cosa l’uomo arriva dalla molteplicità all’idea? La struttura teoretica che ci permette di cogliere l’idea è il non sapere socratico. A noi è dato di cogliere l’idea. Partecipazione, comunanza: tra il mondo sensibile e quello delle idee ci sono queste due. Per i Greci l’idea è l’atto del vedere (eidos). L’atto conoscitivo è una possibilità data al soggetto; il mio vedere presuppone che non sono io da solo che posso conoscere l’idea dell’albero, ma anche l’albero deve rivelarmi qualcosa di sé. 9 ottobre Dialettica: Platone e Aristotele Platone dice che la dialettica è una tecnica e che coincide con tutta la sua filosofia. Il termine significa un termine discorsivo, fondato su concetti in cui le idee vengono spiegate mentendole in relazioni tra loro. La dialettica è una dimostrazione della verità, è l’arte che tramite la confutazione divide le parti tra loro. Platone attraverso la dialettica ci “obbliga” a fare filosofia. La dialettica la definisce come la scienza degli uomini liberi. Ci sono 2 personaggi distinti tra loro messi in relazione... all’inizio è evidente la distinzione ma dopo, tramite confutazione, domande... arrivano a qualcosa di comune. La dialettica è capace di sgretolare le solide convinzione facendo leva unicamente sul non sapere. La dialettica ha a che fare con l’unificazione e la divisione. La dialettica Platonica ha delle fasi: - PRIMA FASE: porre delle cose, un campo, avere 2 apparentemente distanti... attraverso la confutazione si va a sgretolare questa iniziale differenza e si cercano delle idee comuni. - SECONDA FASE: cercare di ricollegare le idee tra loro. La domanda dialettica per esistere ha bisogno di alternative... contraddittorie a quelle che bisogna scegliere. Devi avere 2 termini su qui lavorare. La dialettica per funzionare ha bisogno di 2 persone, di 2 realtà. Le domande di Platone non erano dialettiche perché queste domande devono abbracciano il sì e il no... perché la dialettica non può chiedere “che cos’è l’albero?” ma “l’albero ha le radici?”. E’ dalla domanda non dialettica che poi arriviamo ad essere spinti alla risposta dialettica. La domanda dialettica può porsi dopo aver precisato distinto l’oggetto. In paltone la dialettica diventa una pratica esistenziale perché combacia con la sua filosofia. Si esercita tra 2 polarità e vengono messe in evidenza sulla scrivania del pensiero. Viene dimostrata la differenza e dopo si vanno a destrutturare per cercare ciò che li lega, la relazione tra queste. In Platone la domanda dialettica e non... vengono tenute insieme nel discorso dialettico. Aristotele dice che si deve distinguere queste, perché la domanda non dialettica ha delle caratteristiche particolari... lui la tiene ben distinta. Come fa funzionare Platone questa dialettica? Lui prende 2 concetti (credenza e verità) PRIMA DIFFERENZA: credenza (pistis) per Platone ha a che fare con l’opinione (doxa) e si contrappone alla scienza, alla verità.. perché la scienza ha un carattere di solidità e deve essere sempre vera, mentre l’opinione può essere falsa. La proprietà di ognuna è che deve essere vera. La ragione consiste in: alla scienza aspetta l’intimità con la verità... la credenza ne rimane esclusa... perché l’opinione può essere falsa. Il dialogo si ferma... e poi riparte con la domanda “possiamo dire che sono assolutamente diverse credenza e verità?” Per scegliere una credenza... non è una totale non sapere, perché ho saputo scegliere una credenza... ma non è nemmeno una totale sapere sennò era una scienza. Scienza è un cimento del sapere... allora la credenza diventa il campo dove la scienza esercita il suo lavoro. La struttura del sapere che domanda come campo... di porre 2 elementi, ciò che può essere vero e ciò che può essere falso. E’ stato fatto un discorso come se fosse stato vero. Platone ci dice che se troverà qualcosa di più solito, è pronto ad abbandonare la credenza per trovare qualcosa di più vero. Dovremmo essere in grado di coltivare un’attitudine individuale di essere pronti di abbandonare le opinioni dopo un cammino. La filosofia è un volgersi da un girono bello a un giorno tenebroso. Il filosofo era colui che prendeva il mantello e lo gettava via con la mano destra... perché lui non ha niente da difendere... se non la sua totale ignoranza. Il linguaggio della dialettica non è un linguaggio della necessità, ma è un linguaggio che abilità la probabilità... io pongo dei contrari, mostro i legami... e quindi inizio a usare parole come “forse, chissà, probabile”. La fede non è estranea alla verità. La fede interviene alla fine di una battaglia, di un processo, di un dialogo. Che significato ha una fede che si accompagna a una criticità filosofica, che si nutre di essa ? Dialettica è solo conoscendo, che l’intelligenza attua il maggior atto critico. Per Platone la verità di qualcosa non esaurisce mai, infatti quando si parla di idea del bene, aggiunge alla fine più volte “non abbiamo del bene un’adeguata conoscenza”. Platone ci mostra che al fondo c’è una perfettibilità della razionalità stessa e quindi alla mia conoscenza c’è un movimento perenne che mi porta alla necessità di trascendermi. Nel tentativo di determinare questa pienezza, continua perfettibilità, secondo Socrate platonico, l’anima è nella fede. La fede si cimenta nella relazione con la scienza e la scienza si cimenta nella relazione con la fede. Cosa hanno in comune la scienza e la fede? Ciò che hanno in comune è che entrambe desiderano conoscere tutto. L’avventura è bella... dice Platone. Platone afferma che le idee inducono alla fede. La fede fondamentale è quella della relazione. La ragione può indicare i limiti. La conoscenza più bella è quella delle idee. Questa conoscenza si ritrova nei limiti dell’umana conoscenza. Il modo più corretto di fare un discorso è quello di fare un discorso su un limite. La filosofia si presenta come custode del limite dell’umana conoscenza. Inquietudine che si trascende e denuncia la contraddittorietà di ogni definizione di presentarsi come esaustiva. Platone dice che dove la struttura del tutto si presuma esaurita in un unico significato fondamentale, è proprio il logos che cade nell’insignificanza. In tutti i suoi dialoghi vediamo la battaglia tra logos che difende a propria dialettica, trova il suo punto focale nel dimostrare impossibilità del genere che possa individuare la struttura del tutto... non si può assolutizzare una delle parti. Individuare l’errore degli uomini dotti del nostro tempo i quali unificano come capita e così moltiplicano. Il dialettico è colui che dissolve gli estremi dall’assoluta ignoranza e dall’assoluta sapienza. Questa dissoluzione è trascendersi in atto di ogni definizione che si presenta esaustiva. Non si tengono in considerazione la totalità ma solo una parte ed è esattamente lo spazio che il filosofo è chiamato ad abitare. Il filosofo una volta che ha scoperto la dialettica, deve praticare una parte che deve essere messa in relazione. Nel caso in cui destrutturiamo un polo o mettiamo insieme poli diversi facciamo l’esperienza d trascendersi in atto. Distruzione del logos. Assolutizzare una parte comporta per l’intelligenza, il cadere nella pretesa. Tutte le volte che affermiamo una cosa, per non assolutizzare, dobbiamo metterla in relazione. Immagini, definizioni… sono tutte cose che hanno forma della stabilità, ci delineano qualcosa di solido ed è su questa stabilità che Platone crea il suo discorso dialettico. L’esercizio individuale è anche collettivo. Alla base dell’esercizio dialettico lui pone l’amicizia. Capacità di non assolutizzare dice che si ha bisogno dell’altro. La struttura del discorso filosofico di Platone è necessariamente dialogica. Affermare è Causa efficiente: ciò che dà origine a qualcosa, origina un agire o un muovere (ex. il colpo che imprimo a una palla…) Causa finale: il telos, lo scopo, il fine, ciò in vista di cui quella cosa è, il BENE di quella cosa (ex. contemplare una statua) Le prime due fondano e strutturano, danno conto in senso universale di ciò che avviene, sono le cause del farsi; le seconde due sono i principi dell’origine della fine. 2. Che cos’è metafisica? La scienza dell’essere in quanto essere. Per questo non è solo eziologia, ma anche ontologia. La metafisica si occupa dell’essere, cioè di dire cosa esso sia. Dire cos’è l’essere significa riconoscere l’originaria molteplicità dell’essere, che ha un significato polivoco (non fu colto da Platone e i suoi seguaci, perché hanno fatto dell’essere un genere trascendente). Per Aristotele l’essere non può dirsi in un solo modo, ma molteplice sempre in riferimento a un’unità o realtà determinata. Esso non è univoco, ma non vuol dire che sia equivoco. L’essere non potrà mai essere un genere nè una specie. Definisce i molti modi in cui si dice l’essere, le CATEGORIE e codifica la terza definizione della metafisica. Le categorie sono: - sostanza (Socrate è uomo, la sostanza è l’essere uomo) - qualità (Socrate è bello) - quantità - relazione - azione - passione - luogo - tempo - stato - situazione La sostanza è prima di tutto l’individuo concreto-il soggetto. Essa è la maniera con cui ognuno e ogni cosa è questa cosa qui essendo un riferimento specifico dell’essere. La sostanza è potenza e atto, materia e forma, vero e non falso, è sia accidente che essere per sé. 16 NOVEMBRE politica, etica, astronomia e medicina: scienze pratico-empiriche fisica, matematica, logica e metafisica: scienze teoretiche lo studio della sostanza è la terza delle definizioni della metafisica. Perchè essa gode del primato rispetto alle altre categorie? LA SOSTANZA è CIO’ CHE è PRIMARIAMENTE, SEMPLICEMENTE, MA NON è L’ESSERE STESSO. La metafisica è scienza della sostanza perché la sostanza è uno dei modi dell’essere, qualcosa di primario. Il primato dell’essere è sia un primato ontologico (naturale, proprietà della sua natura, condizione di possibilità di tutte le altre categorie), sia logico (condizione di pensabilità di tutte le altre categorie). Nessuna delle altre categorie può esistere senza la sostanza né può essere pensata, compresa senza la sostanza. La sostanza consente ad Aristotele di esplicitare un principio della storia occidentale, ovvero IL PRINCIPIO DI NON CONTRADDIZIONE, cioè l’idea che la nostra intelligenza sia in grado di cogliere dei principi che hanno validità necessaria. È un principio di ordine logico che ci dà la definizione dell’essenza dell’essere. “E’ IMPOSSIBILE CHE LA STESSA COSA CONVENGA E INSIEME NON CONVENGA ALLA MEDESIMA COSA E SECONDO IL MEDESIMO RISPETTO”. (libro IV metafisica cap.3) L’essere non può al tempo stesso essere e non essere. È un principio indimostrabile, ma assolutamente necessario. Non c’è essere né sostanza fuori da questo principio. Poi lo riformulerà insieme al principio d’identità… La sostanza non è il genere sommo, non è l’universale essere. Ci sono altre caratteristiche: potenza e atto, materia e forma. Aristotele rende conto di una molteplicità che appartiene alla scienza prima, che a sua volta ha 4 livelli: cause prime, l’essere in quanto essere, la sostanza e Dio. Il movimento è il passaggio dalla potenza all’atto. Ex. Uovo e pulcino: da ogni uovo fecondato nasce un pulcino, ma non uno qualsiasi, QUEL determinato pulcino, da QUEL determinato uovo. Se non avessimo già nascere dei pulcini da alcune uova, non sapremmo cosa succederebbe poiché l’uovo è diverso dal pulcino. Quindi, l’uovo è potenza del pulcino. Potenza è possibilità, privazione e corrisponde alla materia; atto è realizzazione, assunzione di una determinata cosa, corrispondenza alla forma. La forma è ciò che ad una materia indistinta consente di divenire attualmente questa cosa qui. Informare significa dare forma a qualcosa che potenzialmente può essere qualsiasi cosa determinata. La potenza è la materia nella misura stessa in cui un panetto di pongo, lavorabile, lo è (pasta lievitata che ancora non ha una sua forma). L’atto e la potenza, come la forma e la materia, si estendono a tutte le categorie e si applicano dunque a tutte perché sono caratteristiche della sostanza che è a monte di tutte le categorie. Non esiste forma sganciata dalla materia nè potenza senza atto. Così Ari concepisce la sostanza stessa come qualcosa di relazionale, perché essa è SINOLO, composto di materia e forma. SINOLON è l’espressione più propria per indicare la sostanza. Il sinolo è un tode ti (questo qui). Ciò che diviene è la sostanza che è sinolo di materia-forma che diviene mutando accidenti, cioè qualità che la sostanza può avere o non avere, mutando elementi transitori. La quarta definizione di metafisica è strettamente legata alla prima: tutto ciò che è in moto è mosso da altro, e questo a sua volta mosso da altro; ma non è possibile andare all’infinito; perciò ci deve essere per forza un principio assolutamente primo e immobile, causa di ogni possibile movimento: - dio è motore immobile, poiché tutto ciò che ha movimento non può generarsi all’infinito da qualcosa in movimento, ma ci deve esser e un principio DI MOVIMENTO, in quanto tale quindi immobile. - dio è atto puro, poiché non ha nulla di potenziale. Se lo avesse dovrebbe rinviare a una causa anteriore - dio è sostanza incorporea, poiché priva di materialità, la materia porta in sé la sua attualizzazione. - dio è causa finale - dio è essere eterno, poiché se eterno è il movimento eterna deve esserne la causa. - dio è pensiero del pensiero Dio scaturisce in seguito alla necessità di riconoscere una causa ulteriore. Dio è una realtà sovrasensibile. È al tempo stesso motore e causa finale: Ari parla di un Dio che genera, produce, causa e laddove causa lo fa volontariamente o necessariamente oppure di qualcosa verso cui tutte le sostanze muovono, come una calamita, qualcosa che attira a sé, che è causa finale? Non abbiamo a che fare con un soggetto dotato di volontà, in cui l’atto volontario sia mosso da amore, ma abbiamo a che fare con la forma perfetta di vita. Deve esserci una realtà sovra sensibile che deve poter render conto e avere in sé la perfezione di tutto ciò che caratterizza il sensibile nella sua molteplicità e nel suo divenire. Dio pensa la cosa più eccellente, cioè SE STESSO IN QUANTO PENSIERO, dunque DIO è pensiero di pensiero, attività contemplativa di se stesso. Dio è motore perché in realtà il mondo fisico (la natura è motore) in cui abitiamo è fatto da una serie di motori che sono quelle sostanze perfette e immateriali che sono i pianeti e le forze cosmiche, la sfera delle stelle fisse, il primo dei motori. Dio è incorporeo, ma comunque vita nella sua massima espressione. Dio è pensiero di pensiero, contemplazione di sé. Questa potenza di Dio così inteso è sia motore che causa finale. È ciò che genera, che fa essere, ma fa essere gli individui? Gli enti? NO, ne innerva tutta la dinamicità. Questo Dio non vuole ogni sua creatura, ma innerva di dinamicità tutto ciò che è e che esiste nella sua molteplicità. Dio è essere, ma essere sovrasensibile; è il non essere sostanza. Come si lega etica e politica all’impianto metafisico? Scienze teoretiche: filosofia prima (metafisica), filosofia seconda, matematica: il loro fine è la conoscenza, non c’è finalità pratica. Scienze pratiche: l'agire è un fare autotelico (il principio è nel soggetto agente, ma il fine è lo stesso agire, quindi inseparabile da chi agisce) tipo la politica e l'etica. Il fare è un agire. Etica e politica sono le scienze dell’agire e quindi l’oggetto è l’agire e l’obiettivo è riflettere su chi agisce e sul suo agire. Scienze poietiche: il produrre è un fare eterotelico (il principio è nel soggetto che fa, ma il fine è diverso dal fare stesso, di conseguenza è anche separato da chi produce) arti belle, arti tecniche. Il fare è un produrre, si occupano del produrre. L’obiettivo è la realizzazione di qualcosa che prima non c’era ed è ulteriore al fare. L'etica L'etica ha per oggetto quelle realtà che possono essere diversamente da quelle che sono. L'etica non si occupa della necessità, ma si occupa di ciò che è contingente, di ciò che può essere e non essere, di ciò che può essere diversamente da come è. Ma la definisce comunque una scienza, perchè l'etica non è solo una casistica, non è solo la dimensione della nostra riflessione che ci spiega come si produce un'azione, ma si occupa dell'azione moralmente buona. Aristotele non interpreta mai l'etica come un freno a mano, come l'insieme delle cose che non si devono fare, ma è lo spazio mutevole di tutto ciò che ha a che fare con la nostra idea di bene. L’etica non si occupa di COME avviene un’azione ma del PERCHE’ quell’azione dovrebbe essere buona. La politica è lo spazio in cui la legge morale deve diventare "legge di stato", perchè si occupa di quelle azioni che sono necessarie nella città. Se la riflessione etica si occupa dell'agire, se questo agire ci deve portare ad occuparci dell'agire bene e non del come avviene un'azione, e se l'agire etico è autotelico (non produce qualcosa di diverso da sè), Aristotele dice che: il proprium di ogni azione umana è il fatto che tende naturalmente al bene; questo bene non è un prodotto esterno, rinforza per come siamo in quell’amicizia e questo la rende duratura. Quest’amicizia dura finché siamo buoni. L'amicizia è il legame che si stringe a motivo della virtù. L'amicizia ha una portata più ampia dell'interpersonale, perchè tra varie amicizie c'è un elemento comune: la virtù, il bene. È un tratto comune quindi pubblico, civile. Senza ciò non c'è politica. La vera forma di amicizia è il legame tra esseri umani secondo il valore stesso del suo essere umano. L'amicizia per Aristotele non è: -usare l'altro
-darmi totalmente all'altro ma è uno spazio terzo in cui vivo la relazione con il bene che è l'altro in sè, vivo la relazione con la virtù e quindi sono felice. Amando l'amico io amo la felicità che quella relazione mi dà. Amo il proprio bene, la persona buona diventa un bene per colui al quale è amica. Amando l'amico amo il mio bene. Amando l'amico si arriva al proprio bene, ma senza farlo per il bene proprio. L'amicizia è sperimentare attraverso la relazione con il bene che è l'amico e quindi realizzare il proprio compimento, che vuol dire amarsi. Non si cerca l'amico per diventare buono, ma scopro che amando l'amico divento buono Per costruire il comune non devo dissolvere il mio proprio. L'amicizia non è il sacrificio di me per l'altro. Non è sfruttamento della relazione per il proprio bene, né la perdita di sé per il bene dell’altro. Attraverso l’amicizia entro in relazione con il bene dell’altro ed è quella relazione con il bene dell’altro che genera quella fioritura in me. 18 novembre CLASSIFICO TUTTO CIO’ CHE E’, INCLUSO L’ESSERE: Ogni volta che si chiede che cos’è un certo ente, si cerca di definirne i tratti essenziali. Sta qui lo sguardo d’indagine di Aristotele, si definiscono i tratti invarianti di quegli enti, cioè poter arrivare a raggruppare alcuni enti attorno a una specie. Ogni specie appartiene ad un genere, cioè classe più ampia di enti che possiedono ulteriori caratteristiche comuni a varie specie. Oltre l’essere non ci sono altri generi e l’essere si predica in molti modi. Quando arriviamo a chiederci CHE COS’E’, dobbiamo indicare il genere e la sua differenza specifica rispetto ad altre specie dello stesso genere. Ci aiuta a capire che nel momento in cui domandiamo che cos’è, ricorrendo a ente, genere e specie, contemporaneamente dobbiamo trovare ciò che vi è di essenziale tra più enti e più specie e ciò su cui c’è un terreno comune e si evidenzia la differenza.se si applica ciò alla domanda sull’essere umano: che cos’è l’essere umano, bisogna indicare il genere a cui la specie essere umano appartiene e cioè quali enti equali caratteristiche sono essenziali da consentirci di farne una specie e quale specie essere umano si può distinguere da altre specie. L’essere umano è un ESSERE VIVENTE, ANIMALE (ANIMATO, DOTATO DI NAIMA) ED è DOTATO DI LOGOS (PENSA E PARLA), così trova l’elemento essenziale che consente di fare della specie animale un livello ulteriore che rende l’essere umano un genere, cioè una realtà ulteriore a quella animale. Il logos rende l’animale un genere. “Che cos’è un certo ente” porta all’universalità, che consente di poter distinguere ciò che è comune e ciò che è diverso. Questa domanda significa poter tratteggiare l’essenzialità, cioè tratti invarianti che appartengono al numero X di quegli enti che consentono di ricondurli a un'unica specie e farne una classe generale di enti. Da un lato bisogna indicare il genere cui la specie appartiene, ossia ciò che essa ha in comune con altre specie, all’altro occorre evidenziare la sua differenza specifica, ovvero ciò che la distingue dalle altre specie dello stesso genere. Per Aristotele: anche le piante sono viventi, ma non sono “animali”, cioè dotati di anima (“animale” deriva da animal latino che a sua volta deriva da anima). Il vivere nella maniera del nutrirsi e riprodursi, rende le piante viventi, essere viventi; il vivere nella forma del nutrirsi e riprodursi con più sentire e muoversi rende gli animali essere viventi animali; l’essere dotato di logos rende l’essere umano un essere vivente animale razionale. Il vivere inteso come nel significato latino equivale all’essenza degli animali che non sono più tali se morti, stessa cosa l’essere umano, che è tale finché vive. Al genere dei viventi Aristotele riconosce una caratteristica: tutti gli esseri che vivono si possono definire esseri viventi, e dunque per i viventi l’essere è il vivere. EX. Un animale morto lo chiamiamo animale per omonimia, ma non è un vero animale. Possiamo considerare vivente solo ciò che è in grado di svolgere attivamente ciò per cui vive. Qual è la differenza specifica dell’essere umano? Cosa è proprio dell’essere umano rispetto agli altri viventi e agli animali? Aristotele ne indica più di una, ma l’essenza dell’uomo è il fatto di possedere il LOGOS, ovvero la parola, discorso, pensiero e ragione. 1. Il logos non è solo VOCE, altrimenti anche gli animali la avrebbero (verso), cioè sono capaci di esprimere quel che provano e sono capaci di comunicarlo tra loro in maniera specifica. 2. Il logos non è la voce, la parola non è il verso, perché da questo punto di vista negli esseri umani, questo elemento è connesso con il pensiero, il logos ha immediatamente una portata riflessiva, cioè aggiunge la riflessione alla comunicazione. 3. Il logos non è solo parola e ragione, ma è il possesso comune del logos che costruisce comunanza e vita comunitaria (famiglia e poi città). L’uomo è zoon politikon, ANIMALE SOCIALE, che ha come istinto l’aggregarsi. 4. Solo l’uomo ha la percezione del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto; il possesso di questo costituisce la città. L’essere umano è insieme parlante e pensante e quindi SIMBOLICO, nel senso che è in grado di parlare e le parole sono simboli dell’affezione dell’anima. È anche animale SEMANTICO, perché le parole sono voci semantiche, dotate di significato. La definizione dell’uomo come animale dotato di logos si applica come tutte le definizioni alla specie, a tutti gli individui che hanno la stesa natura o essenza (specie in greco si dice eidos, termine che in Aristotele indica la FORMA, cioè l’essenza di una cosa). Ma la specie non è una realtà separata e a sè stante come le idee di Paltone, bensì esiste solo NEGLI INDIVIDUI, cioè nei singoli uomini. Il genere e la specie sono predicati universali di quella sostanza prima per la quale l’individuo è, cioè senza sostanza non ci sarebbero genere e specie (sostanze seconde). Una sostanza è prima quando diventa condizione di pensabilità e possibilità delle seconde. Le sostanze seconde non esistono separate dagli enti grazie ai quali sono. Il singolo essere umano, uomo o donna che sia, Socrate o Callicle, è per Aristotele sostanza prima perché si dà in questo qui. Proprio perché essi sono sostanze prime, cioè individui che sono appartenenti alla specie umana, i singoli esseri viventi hanno tutti la tessa essenza, sono tutti animali politici. La sostanza sembra non accogliere il più o il meno. Quando Ari afferma che “tutti gli esseri umani desiderano sapere”, egli intende proprio tutti: uomini, donne, liberi, schiavi. Questo non vuol dire che Ari non ammetterà differenze tra esseri umani: lo farà risultando a volte anche incoerente con la sua dottrina delle sostanze prime. In lui c’è distinzione di valore tra schiavi e liberi, tra uomini e donne. Come entra il discorso dell’anima in tutto ciò? L’anima non è un’entità composta da elementi materiali, come per i primi filosofi e non è un demone, ovvero un’entità a sè stante. Dà ragione ad alcuni pre socratici nel vedere l’anima unita al corpo, ma non materiale e poi anche e con Platone, anche se la considera un’entità a sé stante cioè non intrinsecamente unita al corpo, ma solo accidentalmente. La definirà ENTELECHIA. Qual è la differenza tra sostanze viventi e non? Le prime vivono e quindi muoiono, nel mezzo si articolano, ma hanno in sé il moto, movimento in cui consiste la loro vita. Hanno in sé il principio dei loro moti vitali. Le sostanze non viventi (astri, pietre…) non hanno in sé questo movimento. Ogni sostanza corporea ha un proprio luogo naturale, ma le sostanze corporee non viventi sono legata a una spinta esterna; appena la spinta cessa, il moto si arresta. Le sostanze viventi, invece, hanno il fine dentro di sé, cioè dotate di ENTELECHIA, hanno cioè la vita in potenza, posseggono un movimento più complesso e perfetto= vita, che le consente di non aver bisogno di un’origine del proprio movimento fuori da sé. Quindi viventi si distinguono da non viventi perché hanno in sé il principio del proprio moto e quel muoversi le rende viventi perché esso appartiene loro. Il principio di quel movimento si chiama ANIMA, principio della vita. Ciò che vive, si muove e diviene in funzione della sua vita ed ha i sé il fine del proprio divenire, ma poiché quello che vive è un corpo materiale, la vita non è atto puro e l’anima è allora la forma di un corpo, cioè l’entelechia di un corpo che ha la vita in potenza. Quindi la vita può consistere in un semplice vegetare o andare in cerca di alimenti (animali) o essere pensiero (umano). Dunque anche le piante hanno un’anima perché essa può essere VEGETATIVA, VEGETATIVA E SENSITIVA, OPPURE VEGETATIVA, SENSISITVA E INTELLETTIVA (esseri umani). L’ANIMA è PRINCIPIO DELLA VITA E UNA SOLA E MEDESIMA, ma negli umani si articola in virtù del fatto che ne abbiamo tutte e tre le sue funzioni. Non esiste anima svincolata dal corpo, secondo Ari. L’anima è la proprietà essenziale dei viventi, poiché legata alla capacità che i viventi hanno dimettere in atto la loro vita in potenza, cioè essere movimento. Sono esseri capaci di svolgere le proprie funzioni nella modalità in cui consiste il loro specifico essere viventi. Perché l’anima è la forma di un corpo che ha vita in potenza? La forma di un corpo è il modo in cui esso è strutturato e funziona. Il corpo è materia e la forma lo informa. L’atto primo è il possesso attuale della forma, che si distingue dall’atto secondo: esercizio qui e ora di quella capacità. L’anima è atto primo perché è possesso attuale della forma, capacità di fare qualcosa. Ex. Il fendere è la forma della scure. L’anima è l’atto primo di quei corpi viventi che hanno la vita in potenza e anima anche quando non la esercitano, cioè durante il sonno; mentre l’atto secondo è l’esercizio di questa capacità: il pensare, il sentire e il nutrirsi. L’anima è atto primo perché possesso attuale della capacità di vivere che esiste anche quando non si esercitano le funzioni vitali. Il vedere è l’atto primo del corpo, anche quando è chiuso; quando lo apro e lo esercito hic et nunc, diventa atto secondo. Quando noi dormiamo, e cioè la nostra vitalità tiene sospesa la sua dinamicità, non è che non siamo viventi. Ma perché siamo viventi? Perché abbiamo l’anima come atto primo, anche se non esercitiamo atti secondi. Ciò che è vivente è anima e corpo, nel senso che esso è un corpo che possiede in atto la sua capacità di vivere, cioè non è un corpo morto, non è un cadavere. Tutti i viventi hanno la vita in potenza, la potenza è la capacità di svolgere da sé le funzioni in cui consiste il vivere. La forma di Se noi ci liberiamo da tutte le opere che svolgiamo in virtù di un ruolo e che hanno a che fare con le nostre azioni poietiche, possiamo arrivare a dire che vi è un’azione propria dell’umano in quanto umano e il cui valore non consiste in ciò che produce? La felicità ha a che fare con la virtù, con la realizzazione di una vita buona e questa è legata alla polis, poiché non si realizza vita buona separati dagli altri. Le virtù derivano dal carattere e vengono acquisite con l'abitudine: a seconda di come ci comportiamo diventiamo giusti, coraggiosi ecc. Le virtù etiche: Sono le virtù del carattere e derivano dall'abitudine. Tramite esse arriviamo al giusto mezzo; sono la forma che prendiamo attraverso la nostra abitudine ad agire. Compiendo via via atti giusti diventiamo giusti, cioè acquisiamo la virtù della giustizia. Esse stanno alla base al nostro costume, sono legate alle nostre pratiche, ogni agire è animato dalle condizioni di pensabilità dell'agire e dalla maniera in cui agiamo. L'agire è virtuoso quando risponde alle virtù etiche, ossia quando ogni nostra azione è regolata dall'allontanamento dai suoi estremi. Quando qualsiasi nostra azione non è nè eccesso nè difetto, è accompagnata da virtù etica. Agire con coraggio: nè temerarietà nè viltà. Realizziamo correlazione tra il nostro agire e il nostro essere e consistono nella medietà tra due vizi. Le virtù dianoetiche: Le colloca al di sopra di quelle etiche, sono le virtù della ragione, della parte più elevata dell’anima, quelle attitudini che ci consentono di raggiungere il fine stesso dell'essere umano. Non sono più la ricerca di equilibrio tra tendenze opposte, ma sono le capacità proprie dell'umano che vanno sviluppate al massimo. Scienza, intelligenza, sapienza, arte e saggezza sono le virtù che portano alla massima espressione le nostre capacità. Sono il discernimento prima e dopo l'agito, la camera di riflessione che sta a monte di ogni nostro agito. Distingue tra saggezza e sapienza: Saggezza: virtù dianoetica, consiste nel saper deliberare bene nella realizzazione del bene morale, ma è inferiore alla sapienza. Ha come oggetto le realtà inferiori. Consiste nel saper dirigere la nostra vita in base alle situazioni contingenti Sapienza: ha come oggetto le realtà necessarie ed eterne. Coglie i principi intuitivamente tramite l’intelletto. Consiste nel saper cogliere ciò che è al di sopra dell'essere umano, coincide con le scienze teoretiche, coincide con la metafisica. Vizi Le virtù sono la via maestra per la felicità. Ora dobbiamo capire quali sono le cause dei vizi. Com’è possibile che gli esseri umani diano forma alla propria vita in una direzione opposta rispetto alla virtù. I vizi sono l'opposto delle virtù, la mancanza di fermezza(incontinenza), ciò che toglie la capacità di sottomettere gli impulsi alla ragione. I vizi sono tutte quelle forme della nostra azione che seguono l'eccesso o il difetto, tutto ciò che non è giusto mezzo è vizio perchè non è virtù. Esse sono: - incontinenza - Malizia (cattiva volontà). - matta bestialitate L'amicizia Aristotele dedica due libri dell'etica nicomachea alla trattazione dell'amicizia, perchè dedica due libri? 3. Perchè per Aristotele è legata alla virtù, alla felicità e alla politica 4. Perché l’amicizia era un tema dibattuto dai filosofi. Essa era un terreno di grande confronto tra i filosofi. E perchè la filosofia si era così interessata all'amicizia? Perchè la società greca riconosceva all'amicizia un valore molto più pubblico e molto meno privato di quello che le riconosciamo oggi noi. Aristotele articola la sua riflessione costituendo una specie di fenomenologia dell'amicizia. Distingue e descrive le modalità in cui l'amicizia si dà. È il tentativo di chiarire tutti i modi in cui un dato fenomeno si dà. Abbiamo tre forme di amicizia, come tre sono le specie di qualità suscettibili di amicizia: a partire dall'utile, il piacevole, il buono. - Si può essere amici perchè si cerca l'utile nell'amico
 - Si può essere amici perchè si cerca il piacevole nell'amico - Si può essere amici perchè si cerca il buono nell'amico C’è una gerarchia, poiché la vera amicizia è l'amicizia per il bene, perchè non c'è nessuna funzionalizzazione della relazione, nessuno usa l'altro. Non cerco nell'altro del bene che non ho, ma ci sto insieme perchè ci vogliamo bene reciprocamente nel nostro essere buoni. È fatta da coloro che vogliono bene agli amici proprio per gli amici, non per sè. Le prime due forme di amicizia sono le meno autentiche: durano il tempo della motivazione, scadono e stanno in piedi per un motivo estrinseco alla relazione. L'autentica forma di amicizia è la terza: perchè amiamo l'altra persona per ciò che è, per il bene intrinseco che sta sotto la relazione che c'è con quella persona, non è un'amicizia che scade perchè la virtù è stabile, è un'abitudine, un'abitus. L'amicizia tra due persone buone dura poiché è tra due persone la cui relazione non sta in piedi per una finalità estrinseca, ma che sta in piedi per il bene che ognuno di essi rappresenta, ed è durevole perchè la virtù costruisce quell'abitus, e quindi ci rinforza nel nostro bene e la rende stabile. Ci rinforza per come siamo in quell’amicizia e questo la rende duratura. Quest’amicizia dura finché siamo buoni. L'amicizia è il legame che si stringe a motivo della virtù. L'amicizia ha una portata più ampia dell'interpersonale, perchè tra varie amicizie c'è un elemento comune: la virtù, il bene. È un tratto comune quindi pubblico, civile. Senza ciò non c'è politica. La vera forma di amicizia è il legame tra esseri umani secondo il valore stesso del suo essere umano. L'amicizia per Aristotele non è: -usare l'altro
-darmi totalmente all'altro ma è uno spazio terzo in cui vivo la relazione con il bene che è l'altro in sè, vivo la relazione con la virtù e quindi sono felice. Amando l'amico io amo la felicità che quella relazione mi dà. Amo il proprio bene, la persona buona diventa un bene per colui al quale è amica. Amando l'amico amo il mio bene. Amando l'amico si arriva al proprio bene, ma senza farlo per il bene proprio. L'amicizia è sperimentare attraverso la relazione con il bene che è l'amico e quindi realizzare il proprio compimento, che vuol dire amarsi. Non si cerca l'amico per diventare buono, ma scopro che amando l'amico divento buono Per costruire il comune non devo dissolvere il mio proprio. L'amicizia non è il sacrificio di me per l'altro. Non è sfruttamento della relazione per il proprio bene, né la perdita di sé per il bene dell’altro. Attraverso l’amicizia entro in relazione con il bene dell’altro ed è quella relazione con il bene dell’altro che genera quella fioritura in me. 25 novembre L’ELLENISMO Le scuole ellenistiche sono figlie del cambio dello scenario greco, poiché figlie di un passaggio che possiamo intendere come la prima esperienza di globalizzazione nella storia occidentale. Si tratta di un allargamento del mondo. Siamo tra la fine del IV e inizio III a.C., period in cui vacilla il modello greco della polis perché il soggetto politico diventa progressivamente più grande: - Vittoria di Filippo II di Macedonia a Cheronea 338 a.C= nascita della lega di Corinto, cioè polis si uniscono - Allargamento a Oriente che compie Alessandro Magno, trasformando il suo territorio in Impero. In 15 anni Ale percorre tutta la Grecia, conquista i territori e li conduce ad un’unica giurisdizione politica: Asia Minore, Persia ed Egitto. In questi decenni si vive una prima esperienza di globalità. 1. MULTICULTURALISMO: si scambiano tradizioni, religioni, idee e culture. 2. INSICUREZZA: senso di isolamento, mancanza di radici, ricerca di una regola di vita che dia tranquillità imperturbabile. 3. UNIVERSALISMO E INDIVIDUALISMO: eguaglianza tra gli uomini e ricerca di forme di saggezza che li aiutano a bastare a se stessi. 4. DISTANZA DAI LUOGHI DI POTERE: ritiro dalla partecipazione politica e matura una distanza dal luogo del potere; si pensa a una felicità privata. I Greci percepiscono distanza dall’agorà. ATENE CAMBIA La struttura sociale della Grecia antica cambia. Atene non è più il centro delle decisioni politiche. Cambia rapporto tra cittadino e stato: lo stato diventa una dimensione anonima. 323 a.C. (morte Ale Magno) fino al 31 a.C (battaglia di Azio): età ellenistica. Di questo periodo sappiamo poco per fonti dirette perchè opere filo distrutte e quel che si è slavato è stato sottoposto ad esercizio di ricopiatura. Le fonti più vicine le abbiamo dall’epoca romana. Possiamo riconoscere che l’ellenismo non è stato solo decadenza, si pensava fosse così perché la filosofia perse l’ampiezza delle vette speculatrice… Oggi invece è visto come un periodo con vivace vita filosofica, in cui l’idea socratica dell’attenzione all’anima si lega all’incontro tra popoli e si elabora la “questione del governo di sé”. Senz’altro l’ellenismo è l’epoca nella quale l’umano si sperimenta prima e più come individuo di quanto fin qui lo abbai fatto in quanto cittadino. La caduta di confini delle polis innesca il principio di uguaglianza, e la filo si occupa di quello che alcuni chiamano “la cura di sé”, perchè essa aiuta l’essere umano a vivere senza richiamo alla dimensione trascendete. Epicureismo e stoicismo sono legato a teoria della conoscenza, dimensione fisica ed etica. L’ellenismo è il passaggio dalla polis alla cosmopolis, cioè impero che tiene dentro un universo di diversità. Il tema dell’uguaglianza ed ella cura di sé diventa centrale, mentre crolla la città-stato. La cura dell’anima diventa il tema sia dello stoicismo sia dell’epicureismo. - Epicureismo riduce il mondo e l’uomo a un insieme di atomi e identifica il bene morale con il piacere - Entrambe negano la metafisica e la trascendenza (sostenuta dai predecessori) - Zenone tenne le lezioni nella stoà o portico, Epicuro nel giardino (sorta di orto in periferia) - La filosofia stoica ammise discussione critica intorno ai dogmi del fondatore, quella epicurea no, perciò la prima si evolse, la seconda no. - Entrambe tripartizione della filosofia: logica, fisica ed etica. Base della conoscenza nella sensazione. Logica compito di fornire il criterio di verità. - Epicureismo atomi indivisibili, stoicismo corpi divisibili e perciò penetrabili e unificabili (Dio è materiale e corporeo e penetra nel cosmo, anch’esso corporeo) - Stoicismo: fato e destino come la serie irreversibile delle cause, ordine naturale e necessario. Epicureismo: con il clinamen aveva posto ogni cosa in balìa del caso. - Epicureismo: anima mortale perché formata da atomi che sono materiali. Stoicismo: anima sopravvive alla morte del corpo. - Per entrambe lo scopo della vita è la felicità, che si raggiunge vivendo “secondo natura”. - Per gli epicurei l’uomo deve vivere nascosto, lontano dagli altri individui. Per gli stoici torna un po’ il concetto di uomo come animale politico (Aristotele), ma anzi, un uomo che è fatto per consociarsi con tutti gli uomini (cosmopolitismo). - Gli epicurei sono entusiasti della vita, anche tra i tormenti della morte, gli stoici non lo sono, poiché non hanno passioni e si lasciano andare di fronte alla morte. 30/11 Agostino e la novità classica > novità radicali - fides quae creditur e fides qua creditur Accreditamento concettuale delle verità rivelate, conciliabilità tra fonti filosofiche e fonti rivelate, distinzioni tra fede e come insieme di verità da comprendere la fede come la fiducia = si afferma l’esigenza che in qualche maniera possiamo distinguere e presentare nella fede in cui si crede e nelle cose che si credono - il principio persona La creatura può entrare in dialogo con il creatore, il creatore si fa persona ed è Persona, originario universalismo creaturale. Per definire la realtà del creatore e del creato e le definizioni di questi. - il male Come si giustifica e comprende il male nella relazione creaturale con un dio che ama? - agape Debolezza politica dell’amore, inconcepibilità di un dio che ama. Da un alto rivela una fatica rispetto alla tradizione precedente: introduce l’idea che il dio è un dio che ama e diventa un tema scomodo per i cristiani, una ferita, i pagani vedono una debolezza nel messaggio cristiano, un tratto impolitico - storia e salvezza Questione della vera cittadinanza e fondamento del potere La lettera di Diogneto - paradossalità di una rivelazione che spinge i cristiani a non vivere nel disinteresse verso la storia e a non sentirsi stranieri verso il loro mondo - chiede di investire nel tempo, nella storia e nella carne, riconoscendo un livello penultimo La lettera a Diogneto spinge i cristiani a non sentirsi stranieri rispetto al loro mondo. Agostino sente forte l’esigenza di non rendere questo diversamente un tratto di esclusività, ma renderlo universale. Il cristianesimo ha la portata di entrare nella storia e non disdegnarla, ma starci con un’attenzione oltre la storia. Agostino nasce in nord Africa, viaggia molto e si converte in età adulta, in pochi anni scrive una mole enorme per portata delle singole opere e quantità. Dialoga con mondi molto diversi anche culturalmente. Visse a Roma, a Milano e conosce Ambrogio che sarà importante per la sua conversione.si forma sulle opere di Cicerone, tratto di stuti connotato da lui. Ha un’ulteriore fonte filosofica nel platonismo. È vicino inizialmente al manicheismo, realtà contro le quali poi si schiererà nei suoi scritti. I manichei erano coloro che si riconoscevano nella figura del profeta Mani, cioè tradizione che sosteneva una visione dualistica del mondo come terreno di lotta tra 2 principi: ben (luce) e male (oscurità). QUATTRO COORDINATE: in cui questione teologica e antropologica sono in connessione. Interiorità: illuminazione e verità di sé. Perché per Ago il tema dell’interiorità è significativo? Egli parte da una domanda: come trovare quella via che attraversa il variare delle cose e che nella mutevolezza delle cose ci consente di arrivare alla fonte della verità? Perché l’anima è esattamente quella realtà che ha bisogno di Dio per conoscere e trovare pace e salvezza. L’antichità aveva seguito Platone nel pensare che dal divenire emergano strutture privilegiate. Per Ago questa via sicuramente ha un debito nei confronti del platonismo, ma non ha accentuazione dualistica nè è intesa con il tratto di evasione spiritualistica. L’interiorità ha una dimensione non sostanziale, ma di un percorso di rinnovamento di sé e costruzione di un senso interiore, che Ago colloca all’incrocio tra i 3 vettori della manifestazione umana: la distentio (dispersione esteriore, abbandonarsi al fluire delle realtà esteriori), intentio (intenzionalità interiore, raccogliersi al centro dell’anima), e l’extentio (ulteriorità). Dall’incrocio dei 3 si dipana la via dell’interiorità. Ciò significa che Ago riconosce all’interiorità senza aver bisogno di sostanzializzarla, la capacità di far risplendere la luce della verità e del bene. La verità abita la parte più interna di noi, per scoprirla non dobbiamo uscire da noi, ma raccoglierci in noi per trovare in questa interiorità la possibilità dell’ulteriorità. L’anima unita al corpo forma un solo essere umano. Anche se esiste un ordine gerarchico tra corpo e anima. L’anima è irriducibile al materiale, non ha natura divina ed è mutevole solo nel tempo ed è un principio di intelligenza. L’anima opera, pensa e conosce per il contatto che interiormente ha con Dio. Un Dio che ci rende capaci di pensare attivamente. Come? Non tanto con una reminescenza, quanto con quella che è una vera e propria teoria dell’illuminazione. L’anima è ciò che è solo per il contatto che ha con Dio, che la illumina dall’interno. Il senso in cui la fede condiziona l’intelletto è più fondamentale del senso inverso. Se vado al contenuto che credo, per dire di crederlo davvero devo averlo capito, ma se vado al principio che mi permette di capire un contenuto, trovo che questo principio è un contatto con Dio. Agostino esorta e chiede a Dio non solo la fede, ma anche l’intelletto. Temporalità: creazione ed esperienza soggettiva. Ci aiuta a parlare della novità cristiana dalla creazione ex Nilo. Cosa faceva Dio prima di creare cielo e terra? In realtà Dio non crea solo cielo e terra, ma non c’è un tempo diverso prima della creazione perché il tempo stesso è creazione di Dio. Prima di creare cielo e terra egli vive in una dimensione in cui non esiste il tempo. Il tempo vale solo per la creatura, nell’eternità c’è l’essere pieno tutto insieme. Tutto è presente, nulla è passato o futuro. L’eternità sarà la dimensione della salvezza, ma esso non è un tempo infinito, ma qualcosa di fuori dal tempo. È nel tempo che c’è un’prima e un dopo e l’essere non è mai tutto insieme, prima della creazione non c’era un’prima poiché il tempo ha cominciato a scorrere insieme al mondo. Il passaggio da Dio dalla sua creazione è un distendersi dell’eternità del tempo e il tempo è l’impossibilità dell’essere insieme (di un’prima, di un’ora e di un dopo). Tuttavia se le cose temporali esistono lo devono al fatto che noi riusciamo a legarla a un’prima, ora e dopo e cioè imitiamo il modo di essere dell’eternità. Cos’è il tempo? “Se nessuno mi interroga lo so, se volessi spiegarlo non lo so”. Cioè se devo darne conto sono in una condizione di minore consapevolezza e immediatezza. Il tempo è per le creature una distentio animi: l’articolazione temporale avviene in una profondità interiore. La nostra anima riesce a fare un’esperienza parziale di questa relazione tra queste dimensioni. Male: peccato originale e libertà. Il male entra nella considerazione etica, con una radicalità sconosciuta al mondo greco. Agostino distingue la sua riflessione intorno al male tra questione o ??? Sul primo terreno il male non esiste, non ha consistenza, non ha sussistenza. Non è una realtà cattiva, ma un uso cattivo del bene. Non né la caduta verso una natura cattiva, ma l’atto cattivo del cadere. Il male è un DEFICIENZA DI BENE, non è originario, non ha la consistenza di un principio, non è una sostanza. Possiamo immaginarlo a partire dalla stessa logica con cui noi oggi abbiamo scoperto la maniera con cui esiste e purtroppo si espande una malattia tumorale. Il tumore è qualcosa che esiste parassitariamente alla vita, togliendo vita, nutrendosi della vita e togliendo vita per nutrirsi fino a morire esso stesso con la vita. Ago non vuole disconoscere la radicalità del problema del male, ma ha una chiara convinzione che il male è una realtà cancerogena del bene che esiste solo perchè ha una vita che lo precede. La mancanza di bene è la conseguenza di quell’ordine di bene che è prioritario. La causa del male è una mancanza intrinseca ed è questo il terreno sul quale Ago entra nel tema del peccato originale, espressione che Ago introduce nella tradizione cristiana. Le conseguenze del peccato originale si trasmettono al genere umano come una pena del peccato, che ha come traccia quella concupiscenza che è un appetito disordinato che ci abita. Nella sua prima libertà Adamo poteva evitare il peccato e la morte, nell’ultima non potrà peccare e morire, nello stato intermedio la volontà non motiva in modo autonomo il libero arbitrio. La grazia di Dio non annulla la libertà e la libertà da sola non raggiunge la salvezza senza la grazia. 3 elementi ne derivano: - Tradizione cristiana fa i conti con la radicalità del male. - Ago distingue tra il piano morale sul quale appare la distinzione tra bene e male e un piano ontologico nel quale il male non ha consistenza. - La riflessione morale sul male lo porta a riconoscere che l’umano ha un tratto ineliminabile di disposizione alla caduta, che non va mai confuso con la dissoluzione e il diventare malvagia della natura umana. dal libero arbitrio sono presenti nella loro contingenza. Dio vive e opera dall’eternità, da sempre. Quindi, se tutto è stabilito da sempre, cosa posso introdurre di nuovo di mio? Eternità: possesso simultaneo (contemporaneo) e perfetto (compiuto) di una vita senza termine (non ha un prima e un dopo), non è un tempo indefinitamente lungo. Dio vive in una dimensione che esclude quella del prima e del dopo, poiché nell’eternità c’è L’ADESSO, IL PRESENTE. L’eternità è una dimensione altra dal tempo e Boezio codifica una distinzione di piani, di modo e di vita. Quando parliamo di prescienza divina, parliamo sbagliando, poiché Dio non è che sa prima, ma vede tutto davanti a sè in maniera simultanea e perfetta. Sa che succederanno certe cose, ma non le determina, non siamo quindi nella concezione degli stoici (fato e provvidenza erano la stessa cosa). - Definizione di persona: concetto importante, poiché la parola persona entra nel dibattito filosofico per ragioni teologiche. In greco προσοπον vuol dire maschera, quella che gli attori greci si mettevano quando recitavano. È una parola importante quando ci si riferisce alla trinità (3 persone) e alla questione cristologica: Cristo ha 2 persone congiunte in sé, quella divina e quella umana. Persona è sostanza (υποστασισ, qualcosa che sta sotto e sorregge) individuale (ogni persona ha la sua individualità senza ripetitività) di natura razionale (intelligenti, liberi, responsabili e RELAZIONALI, poiché la razionalità ci mette a contatto con altri esseri razionali). Nel mondo greco: pseudo Dionigi Aereopagita, di cui sappiamo quasi nulla. Incontro tra neoplatonismo e cristianesimo. Fa parte della patristica, periodo dei padri della chiesa. Nel cap. 17 degli “atti degli apostoli” san Paolo va ad Atene, capitale culturale. Fa un discorso magistrale nel quale presenta il cristianesimo, nell’Areopago (il luogo del supremo tribunale di Atene), molti epicurei e stoici lo ascoltarono. Paolo tira fuori una dottrina, cioè quella della resurrezione della carne, così tutti gli ascoltatori se ne andarono poiché non interessati, rimasero solo poche persone che si convertirono al cristianesimo e tra queste Dionigi. Nel VI secolo d.C. compaiono una serie di scritti, 4 trattati e una decina di lettere (CORPO AEREOPAGITICO), il cui autore si dichiara Dionigi, di essere stato discepolo diretto di San Paolo e racconta episodi del primissimo cristianesimo. Dice di aver assistito all’eclisse di sole che ci fu al momento della morte di Cristo in croce. Poi dice di essere prete. Questi 4 scritti più le lettere sono un corpo omogeneo da un punto di vista delle dottrine che insegnano e sono di ispirazione neoplatonica. Verso il 1456/7 nessuno contesta più la paternità delle opere. Poi nell’800 la filologia fa ulteriori scoperte e si capisce che il Dionigi che dice di aver scritto quelle opere, non può essere il Dionigi degli atti degli apostoli e delle lettere di San Paolo. Questo Pseudo Dionigi è un cristiano, discepolo di Proclo (tra gli ultimi esponenti del neoplatonismo ateniese, V/VI secolo), non si sa altro. Gli scritti testimoniano incontro tra cristianesimo e neoplatonismo e presentano una visione della realtà che ha avuto conseguenze importanti nella storia delle culture. I 4 scritti: - Gerarchia celeste: (gerarchia, ordine ontologico discendente) - Gerarchia ecclesiastica - Teologia mistica: μιειν (tacere), teologia è il modo di parlare di Dio tacendo. Si interroga sul modo di parlare di Dio. - Nomi divini: che nomi diamo a Dio? Esamina i più significativi. Nel cap. IV Dionigi si chiede se sia possibile chiamare Dio “amore”, εροσ. L’eros platonico tende a colmare il bisogno. Ma Dio può essere questo? Ama perché ha bisogno di qualcosa o qualcuno? La parola eros era la parola base per i Greci di dire amore e i cristiani dicevano che Dio era amore (αγαπε). L’amore è fuoriuscita, non perchè sia bisogno, ma perché il bene tende per sua natura a diffondersi, è estatico (-ek, –stasis), esce fuori di sé, si diffonde, dilata e comunica. L’amore non è parassitario o bisogno di. Se la realtà che esce da Dio è buona, ogni essere di questa realtà è estatico. Dionigi descrive un universo dove le cose sono dinamicamente relazionate l’una all’altra se fedeli alla loro natura. IL MALE è NEGARE QUESTA DIMENSIONE DI RELAZIONALITA’ E APERTURA. La gerarchia è il tramite attraverso cui passa la comunicazione di Dio da sè, ed è ciò che deve caratterizzare la vita del cosmo. Dionigi ci presenta la realtà partendo dal principio che chiama BENE, e dicendoci che la realtà scaturisce diffusivamente dal bene. Il bene è per sua natura diffusivo, tende a diffondersi. Dio produce, ma dire che produce per sua natura diffondendosi, lascia ambiguo quell’aspetto di libertà caratteristico del concetto di creazione. Il bene si diffonde al di fuori di sé e produce una serie di realtà che gerarchicamente si scandiscono secondo livelli di perfezione progressiva. Se tutto quello che esce dal bene è bene sia pure imperfetto, anche i demoni sono bene, non sono malvagi: allora il male che cos’è? L’essere nella misura in cui è, è bene. Il male è NON ESSERE, ma non vuol dire che non esiste, vuol dire che è inerente all’essere, è il contrario, è negazione, è privazione dell’essere, ma ha bisogno dell’essere per potersi manifestare. Il male non è un’essenza, non è una sostanza, ma un parassita del bene. Il male è mancare di un qualcosa che via via nella scala dell’essere si manifesta. Siamo in una prospettiva pienamente neoplatonica, con una differenza: per Plotino la materia è male perché deriva dall’Uno, ma per un cristiano la materia è male non perché sia venuto male, ma perché metaforicamente essa toglie perfezione a una realtà buona; ma non la materia in quanto tale, perché anche il vermiciattolo nella misura in cui è, è bene. Discesa dal bene che scala in esseri sempre meno perfetti e buoni, che quindi hanno limite intrinseco nella loro natura e implica un ritorno dell’uomo al principio da cui è uscito: movimento di discesa e uno di ritorno (divinazione, divinizzazione). Questo discorso si lega alla possibilità che noi abbiamo di parlare di Dio, ci sono 3 modi: - Teologia affermativa: Dio è bene, giustizia, bontà, santità... cioè attribuisco a Dio le proprietà più elevate che io gli possa attribuire. Gli attribuisco qualcosa che pur essendo elevato è sempre relativo a me, quindi è un modo corretto ma insufficiente, poiché dice solo com’è Dio secondo le mie categorie. - Teologia della negazione: non parlarne, togliere a Dio le perfezioni, non perché non lo sia, ma perché non lo è nel modo in cui io faccio esperienza di questi attributi: Dio non è buono secondo la misura di bontà che io conosco. Questo modo di parlare di Dio è migliore del primo, ma non ancora sufficiente poiché c’è il rischio che uno lo prenda come negazione assoluta. - Teologia superlativa: Dio è super bontà, bellezza, santità… sottolineando un modo di essere santo, buono e giusto al di là della misura umana. Super = qualcosa che trascende (va al di là) la mia capacità di concepire. È negativa dal punto di vista dei contenuti, ma questa è la teologia giusta. Diciamo qualcosa riferito a Dio semplicemente allusivo, nel senso che allude a una dimensione che supera le nostre capacità di concretizzare i nostri contenuti. Cosa si intende per Dio? Dionigi ci chiede di interrogarci sulla validità del nostro linguaggio. Se è vero che i nomi danno senso alle cose, a seconda dell’uso che io faccio dei nomi divini, do o non do senso a Dio. L’Idea di Creazione in Dionigi? Il cosmo di Dionigi, che potremmo chiamare con il linguaggio della metafisica, ordine dell’essere è pensato secondo una struttura tipicamente neoplatonica. Al vertice si trova Dio, Sommo Bene, Bellezza, Vita, Intelligenza, Luce ecc., il quale crea gli esseri secondo una scala gerarchica che dalle Intelligenze angeliche giunge agli esseri inanimati passando per l’uomo. Riflesso di questo ordine gerarchico sono la gerarchia angelica e la gerarchia ecclesiastica. A questo proposito Dionigi scrive due opere intitolate Gerarchia celeste e Gerarchia ecclesiastica. il fine della gerarchia è l’assimilazione e l’unione a Dio per quanto è possibile. Dio è per Dionigi causa efficiente (Creatore) e causa finale, cioè fine a cui tutte le cose tendono. È, però, anche causa esemplare. Il Verbo divino, infatti, contiene in sé le idee di tutte le cose e per mezzo suo esse furono create. Le cose dunque hanno l’essere, la bellezza, la bontà, la vita, lo splendore, l’intelligenza (nel caso dell’uomo e degli angeli) per partecipazione a ciò che è in sé l’Essere, la Bellezza, la Bontà, la Vita, l’Intelligenza e la Luce. La creazione è, quindi, un riflesso degli straordinari attributi del suo Creatore. Tra Dio e le creature non vi è alcuna proporzione come non vi è alcuna proporzione tra l’infinito e il finito. Il rapporto che intercorre tra Dio e le creature è lo stesso che intercorre tra l’uomo e la sua immagine. È un rapporto di somiglianza dove l’uomo somiglia a Dio, ma Dio non somiglia all’uomo. - Il problema dell'Essere in Parmenide e la Creazione nella filosofia cristiana (con riferimento ad Agostino e Dionigi l'Areopagita)? - Dionigi e le due vie? Dionigi è il primo a tematizzare in modo sistematico l'apofatismo, ovvero a elaborare una " teologia negativa ". In sintesi ciò significa che è molto di più ciò che di Dio, Mistero infinito, non possiamo conoscere, che non ciò che di Lui possiamo conoscere. Dio si può designare con molti nomi desunti dalle cose sensibili e intesi in un senso traslato, in quanto e nella misura in cui Egli è causa di tutto (teologia positiva): Dio è tutto ciò che nel creato è perfezione: ad esempio vita, piuttosto che morte, potenza, piuttosto che impotenza, intelligenza, amore, libertà, giustizia. Attribuisco a Dio le proprietà più elevate che io gli possa attribuire. Gli attribuisco qualcosa che pur essendo elevato è sempre relativo a me, quindi è un modo corretto ma insufficiente, poiché dice solo com’è Dio secondo le mie categorie. In modo meno inadeguato si può non parlare di Dio, togliendo a Lui le perfezioni, non perché non lo sia, ma perché non lo è nel modo in cui io faccio esperienza di questi attributi: Dio non è buono secondo la misura di bontà che io conosco. Questo modo di parlare di Dio è migliore del primo, ma non ancora sufficiente poiché c’è il rischio che uno lo prenda come negazione assoluta. Infine, il Mistero ha in sè tutte le perfezioni presenti nel creato (katafatismo), ma non quali le conosciamo noi (apofatismo), bensì in grado infinitamente perfetto; in questo senso possiamo dire che Dio è super-vita, super-potere, super-intelligenza… Per Dionigi teologia negativa e teologia affermativa sono le due vie della teologia che non si contrappongono, dato che ogni affermazione e ogni negazione è inadeguata all’Uno, perché esso, identificabile con Dio stesso, è al di là di ogni affermazione ed ogni negazione. Dio risulta essere totalmente altro rispetto alle cose create. esercizio filosofico. Questo entrare nella mente e nella verità di Dio, memoria, intelletto e volontà, rappresenta la maniera per riconoscere la radice trascendente della nostra esistenza, tale per cui ogni cosa ci parla di Dio. Tutto ciò che è creato esprime Dio. In questo quadro in cui la filosofia va colta ma utilizzata come un passo provvisorio ma decisivo, come non luogo di stabile dimora ma come passaggio impossibile da tralasciare. La filosofia è qualcosa nella quale non si sta, ma è un percorso dinamico. La filosofia è via e l’uso della filosofia diventa problematico quando diventa luogo in cui stare e non riconosce una condizione di limite. E’ come se ci disse che il ruolo della filosofia sta nella capacità di rimandare in ciò che le è ulteriore, a non riconoscersi nella parola ultima. Buonaventura arriva ad articolare le scienze, la filosofia che distingue: filosofia naturale, razionale e morale. Lui dice che la filosofia può essere individuale, domestica o politica. La domanda tra agire e il bene, ha 3 ambiti: individuale, domestico economico e politico. L’esito mistico non diventa motivo in Buonaventura per trascurare la riflessione morale sul nostro agire. La nostra volontà è libera. Il nostro agire è orientato a un fine ultimo ma tale orientamento è libero, dipende da una volontà che non è in nessun modo necessitata, cioè impronta che ci anima non pre-determina nulla di noi. La volontà quando è orientata al bene, non è un semplice apetitus, ma è un vero organo di decisione. La volontà è libera anche quando scegli il bene sommo, non c’è libera scelta solo quando ci allontaniamo dal bene sommo, ma anche quando lo scegliamo. La volontà è libera anche nei confronti di se stessa. La libertà è una scelta della ragione. Buonaventura è un autore che dice che il libero arbitrio è una facoltà della ragione. Il libero arbitrio non è una terza facoltà, un soggetto altro, una potenza rispetto a ragione e facoltà ma è una speciale capacitò che risulta dalla relazione tra ragione e volontà. Il libero arbitrio è quindi l’abito con il quale ragione e volontà decidono gli atti umani, è la forza che abilita l’anima a dominare l’agire (a decidere del decidere). L’arbitrio è la maniera con cui siamo capaci in libertà di aggiungere ad un calcolo razionale una soggettiva soluzione della verità. Questo è il motivo per cui l’uomo è fatto a immagine di Dio ed è il fondamento della dignità umana. Questo apre la realtà sulla coscienza, realtà di noi, abito direttivo delle nostre azioni, dove maturiamo giudizio rispetto alle nostre azioni, spazio di noi in cui si incontrano, si confrontano calcoli razionali, natura, circostanze e libertà. Bonaventura denominato Doctor Seraphicus, studiò e insegnò alla Sorbona di Parigi e fu amico di san Tommaso d'Aquino. Venne proclamato Dottore della Chiesa da papa Sisto V. È considerato uno tra i più importanti biografi di san Francesco d'Assisi. Dal 1257 al 1274 fu ministro generale dell'Ordine francescano, del quale è ritenuto quasi un secondo fondatore. Egli si ispira alla tradizione platonico-agostiniana, di cui riprende soprattutto: la teoria delle Idee – concetto di dipendenza del mondo da Dio. Questi temi vengono fusi in un pensiero che ha un’impostazione mistica, in cui la fede è superiore, mentre la ragione è il suo strumento. Un polverone viene alzato contro l’Aristotelismo in generale (sosteneva l’autonomia del mondo) e l’Averroismo (contro alcuni temi che si rivolgevano negativamente e ostacolavano i dogmi cristiani). Secondo Bonaventura, fermarsi al sapere e all’approccio filosofico sarà sempre fonte di errori e fraintendimenti. Di fatti, egli è contro non la filosofia in generale ma quella non cristiana, quella che si considera autosufficiente incapace di cogliere nel mondo il signum, vale a dire l’orma di Dio-> l’esercizio della ragione è salutare SOLO se ci permette di scoprire nel mondo e in noi quei germi divini, che la teologia fa maturare del tutto. Propone una filosofia che alimenti il senso religioso: sembrava farlo la filosofia agostiniana e quella platonica. Bonaventura costruisce un’architettura delle tappe che fanno avvicinare l’uomo a Dio, ma più che un’articolazione di un sapere, si tratta di un vademecum dell’anima che dà delle indicazioni a chi mira a raggiungere l’intimità con il proprio Dio-> PERCORSO MISTICO. Agostinianamente, noi conosciamo grazie all’illuminazione di Dio, in quanto in ogni cosa c’è un po’ di Dio, e dunque l’intera realtà costituisce una scala per arrivare all’Altissimo. L’esito tuttavia non è la dimostrazione di Dio, ma l’incontro tra creato-creatore. Quando l’aristotelismo arriva a negare la dottrina delle Idee (che sono pensieri di Dio) allora si allontana dalla verità: di fatti, negare quest’ultime significa ridurre Dio a causa finale del mondo-> fatalismo che non lascerebbe posto alla libertà e alle responsabilità umane. Tutte le dottrine aristoteliche e averroistiche sono in netto contrasto con la dottrina cristiana, mentre la DOTTRINA DELLE IDEE viene rivisitata da Bonaventura e tradotta in quella dell’:  Esemplarismo: secondo questa, in Dio ci sono le Idee (modelli e similitudini delle cose). Secondo questa, Dio è simile ad un artista, che crea ciò che pensa e partecipa al creato (parte di sé). Il mondo riflette la Trinità (che richiama la tendenza agostiniana) che lo crea in tre proporzioni differenti, vale a dire: 1. come vestigia/tracce (mondo esterno) – tappa dell’animalità 2. come immagine (realtà spirituali, mondo interno) – tappa della sensibilità 3. come somiglianza (realtà trascendenti/deiformi) – tappa dello spirito (che si volge a sé stesso) e della mente (si volge alle sue trascendenze) Sono questi i segni analoghi di Dio sparsi in tutto il mondo, e sono seguiti dall’uomo in quanto “itinerario della mente verso Dio” Itinerarium mentis in Deum -> una speculazione che diventa un viaggio mistico verso Dio, e non bisogna assolutamente perdere il senso della sacralità nel mondo. Anche la parte materiale del mondo non è totalmente informe, in quanto Dio l’aveva fornita al momento della creazione, ci aveva sparso delle RAGIONI SEMINALI: sono i germi di ciò che sorgerà poi nel mondo, che le cause dovranno solo far sviluppare. Corrispondono dunque ad un inizio di forma. Il mondo ha dunque natura sacrale, in quanto l’intuizione di questi oggetti esemplati comporta anche quella dei modelli divini. È solo grazie alla luce divina che si colgono gli universali (idea di perfetto, necessario…) che non si trovano in natura. L’essere, secondo Bonaventura, è irradiazione dell’essere assoluto in cui si trovano le Idee in generale, delle quali non riusciamo ad avere una conoscenza adeguata. Egli sostiene che le “cose” siano espressioni inadeguate di Dio. Quelle di Tommaso e di Bonaventura sono due filosofie complementari, in quanto la Fede in Dio è unica, ma molteplici sono i tentativi di situarsi nel problema della fede. Il ruolo della filosofia sta nella capacità di rimandare a ciò che è ulteriore, in quanto Lei non si riconosce assolutamente ultima. Inoltre, Bonaventura ha molto chiaro il problema della morale: il nostro agire è orientato a un fine, che è però del tutto libero, e la nostra volontà non è necessaria: 1. Quando è orientata al bene, non è appetito, ma un vero organo decisionale 2. È totalmente libera quando sceglie sia un bene finito, che quello infinito 3. Il fondamento della dignità umana sta nella capacità di prendere possesso delle sue decisioni, ciò che Dio fa in altra natura Anima, corpo e relazioni: amore e amicizia in Bonaventura. In Bonaventura troviamo una sintesi tra la tradizione platonico-agostiniana e l'aristotelismo: per Bonaventura l'anima è al tempo stesso la forma del corpo e sostanza, ilemorficamente composta (l'anima infatti è sia attiva, il che rimanda a un principio formale, sia passiva, il che implica la presenza in lei di una dimensione di materia, seppur “spirituale”); in altri termini l'anima è -agostinianamente- in qualche modo completa in sé stessa e -aristotelicamente- strutturalmente orientata ad informare il corpo: in effetti l'unione tra anima e corpo (che è a sua volta composto di materia e forma) non comporta detrimento per nessuna delle due componenti, ma reciproco perfezionamento. L'anima è superiore al corpo, e infatti è immortale. Essa gode di una certa indipendenza dal corpo, ha la capacità di esistere per sè, di essere sostanza e quindi composta di materia e forma, è in grado di agire e perire. L’anima non è pura forma, priva di materia. Per concludere, anima e corpo sono agostinianamente due sostanze, sia pure complementari, fatte cioè l’una per l’altra. DUNS SCOTO Egli nacque verso il 1270 o 1274. Sul luogo della sua nascita nulla si sa di sicuro: si presuppone Scozia, e secondo il Callebaut, il nome di Duns denoterebbe il luogo di nascita. Egli entrò prestissimo nell'ordine di S. Francesco e frequentò l'università di Oxford, dove poi insegnò. Più tardi si recò a Parigi per conseguire il dottorato e lesse le famose Sentenze. Si elevò poi a maestro dell'università di Parigi, dove insegnò fino al 1306. Andò poi a Colonia e quivi morì e fu sepolto. -I problemi fino ad allora erano derivati proprio dal fatto che teologia e filosofia non fossero mai stati delimitati. Scoto propone la distinzione tra i due ambiti, in “lotta tra loro”: 1. Filosofia: si occupa dell’ente in quanto tale e ciò che ad esso si riduce - si arresta a ciò che è naturale - si occupa dell’universale - è speculativa 2. Teologia: tratta degli oggetti di fede - va incontro al sovrannaturale - si occupa della verità di Dio e del nostro destino - è pratica, poiché ci fa affacciare a delle verità per agire correttamente -Dunque, per evitare confusione tra le due, egli propone di scomporre i concetti complessi in concetti semplici: ciò che esiste è complesso, e i filosofi devono dissipare questa difficoltà. Così, Scoto elabora la DOTTRINA DELLA DISTINZIONE, ovvero la via che porta al semplice. Si distingue tra reale-formale-modale-> queste distinzioni hanno fondamento nella realtà. Quella di ragione invece si consolida come un bisogno logico, attuato per comprendere chiaramente il contenuto di qualcosa. Univoco è un concetto talmente tanto semplice da essere irriducibile, al quale si riconducono tutti quelli complessi. Tra tutti i concetti detti univoci, quello dell’ENTE è il più semplice -> ma cos’è quest’ente univoco fondamento della sua metafisica? È un concetto universale in quanto può essere attribuito a ogni concetto che è univoco: di fatti, esso si predica sia di Dio che dell’uomo, in quanto entrambi sono. La differenza tra i due è che il primo È al modo infinito, il secondo finito. La nozione di ente esprime l’essenza dell’essere e non la totalità degli esseri. -> essa prescinde dai modi (finito-infinito) e quindi è detta DEMINUTA. Scoto circoscrive quindi i tratti dell’intelletto umano, e spiega che l’intelletto conosce tutto ciò che è, quindi l’uomo con il suo pensiero può abbracciare l’universo. Tuttavia, coesiste anche la povertà del nostro intelletto, in quanto costretto a seguire una forma di astrazione. Non è necessaria la dimostrazione dell’ente finito, ma di quello infinito sì, in quanto non è evidente: esiste davvero, tra i tanti finiti, un ente infinito? Bisogna che la sua dimostrazione sia perfetta, basata su premesse certe e necessarie: le dimostrazioni empiriche sono solo certe (quindi insufficienti). Di conseguenza, Scoto muove dalla possibilità delle cose: le cose sono perché possono essere. Se il mondo esiste, ad esempio, è certo e necessario che esista, e anche se dovesse scomparire, in quanto è stato prima. Quindi, qual è il fondamento di questa necessità? Tale ente esiste in atto, poiché se non esistesse non sarebbe nemmeno possibile (nessuno potrebbe produrlo) e ha come connotato specifico religiosa più autentica, vita monastica più veritiera e profonda. Il suo pensiero si riduce a “credo per capire, capisco per credere”. Usa una fede che non aderisce passivamente al contenuto, ma che vuole diventarne cosciente e dal contenuto trae motivo per una riflessione. Ha una fede attiva, ma aperta a nuove acquisizioni, che si serve della RAGIONE O DIALETTICA per approfondire. Fede NO adesione ceca, ma consapevole. Anselmo e Bosone ci spiegano come mai l’adozione di questa forma dialogica: “Perché un Dio uomo?” è il titolo. Bosone inizia il dialogo ed enuncia il criterio di una fede che cerca una spiegazione, comprensione. Io aderisco alla fede, però al tempo stesso non voglio essere negligente, ma darmi da fare per capire cosa credo per far sì che essa sia una fede vissuta. Fede non come accoglimento di formule, ma come esperienza vissuta. Anselmo si interroga sull’incarnazione del verbo (come si è fatto carne?): domande vere e sentite, espressione di una fede calata nel vissuto. L’insegnamento di Anselmo parte dal contatto diretto dei suoi seguaci e soprattutto con le loro domande e richieste. La scrittura è Dio che parla all’uomo, a differenza del mondo greco. Il Dio biblico parla lui per primo all’uomo, si rivela. All’interno della scuola monastica Anselmo si sente chiedere una cosa impegnativa dai monaci, vogliono che lui trasferisca per iscritto quello che ha insegnato a voce, e che questa spiegazione scritta non si rifaccia all’autorità della scrittura, ma la spieghi con argomenti necessari e rigorosi. I monaci vogliono capire a che cosa credono e a che cosa danno la loro adesione (fede consapevole e vissuta). Un conto è aderire per ragione, un conto è farlo per fede. 2 OPERE: monologion e proslogion, forniscono gli argomenti per l’esistenza di Dio, ma vogliono capire dove finisce la loro fede. Nel monologion dà argomenti A POSTERIORI (risalgono al principio partendo dal mondo fenomenico). Si parte da quello di cui facciamo esperienza nel mondo e torniamo all’esperienza. Anselmo prende come interlocutore non più solo i monaci, ma un personaggio ipotetico che non ha mai udito e quindi non sa che c’è una natura più alta in tutto ciò che esiste, Dio. Nel proslogion A PRIORI, cerca dalla nozione di Dio di ricavarne il soggetto delle sue idee. Dialogo con se stessi e con l’altro (Dio). 1. Esempio di riflessione messa a disposizione da una richiesta particolare = nasce dall’insegnamento. I monaci vogliono spiegata la verità attraverso un linguaggio/ ragionamento semplice e limpido che metta nelle condizioni tutti di comprendere! Se uno ignora che vi è una mente più alta, se ne può convincere con la sola ragione, poi potrà aderire o no attraverso la fede. - Cosa rende buono ciò che lo è? Il fatto che partecipano a qualcosa che è buono, sommo e grande = la bontà (richiamo platonico) Anselmo rovescia la prospettiva e da credente si domanda: quando dico Dio, cosa intendo? Anche chi non crede dovrebbe capire. Egli si sforza di capire il contenuto del concetto di Dio: esso implica che questa garantisca la sua esistenza. “Dio è ciò di cui non si può pensare il maggiore” = nessuno così, può credere in cuor suo che non esista. Ma perché? Altrimenti sarebbe una contraddizione verso l’assunto. Un conto è capire con l’intelligenza, un conto è aderire per fede = implica volontà. /credo per capire-capisco per credere/ Pensatore di maggiore rilievo dell’11’ secolo, vale a dire un periodo di rinvigorimento della vita e tutti i suoi ambiti: verso la metà del secolo la Chiesa si muove e dà vita ad una radicale riforma delle istituzioni. Egli viene denominato il ‘primo autentico scolastico’ in quanto è soprattutto con lui che la teologia si incentra sullo strumento della ragione. Nasce da famiglia nobile e alla morte della madre va per i monasteri: viene detto sia Del Bec (in Francia) in quanto soggiornò in questo monastero benedettino (scrisse qui Prologion e Monologion); oppure è detto di Canterbury, poiché qui era stato arcivescovo e fu impegnato con la questione delle investiture-> viene qui a contatto con le SS e vi trascorse gli ultimi anni. -Il suo pensiero è dominato dall’IDEA di Dio, è un punto di partenza, che convoglia una distinzione: un conto è parlare della sua esistenza, uno della sua natura. Questa distinzione viene operata nel  MONOLOGION-> dialogo con sé stessi, dove fornisce gli argomenti sull’esistenza di Dio che sono a posteriori, risalgono al principio partendo dal mondo fenomenico. Sono 4 prove:  una cosa sola può essere la bontà in virtù della quale le cose sono buone: dunque la bontà assoluta esiste, se le cose sono buone.  la varietà qualitativa di queste ‘cose’ esige la somma grandezza: quindi queste cose sono una graduale partecipazione di essa.  poiché qualcosa esiste, esiste l’Essere Supremo (essere tout-court)  tratta dalla constatazione dei gradi di perfezione delle cose. Nel Monologion afferma che, chi ignora che vi sia una “Mente più alta” se ne può convincere con la sola ragione, e vi potrà aderire o meno attraverso la fede. Si chiede “cosa renda buono ciò che lo è” = il fatto che partecipino a qualcosa che è BUONO, SOMMO E GRANDE-> richiamo platonico, schema di partecipazione ad un sistema massimo. 4. PROSLOGION-> dialogo con l’altro (Dio), anche qui lo stesso lavoro ma fornendo delle prove a priori, che partono da Dio per ricavare il soggetto delle sue idee, formula l’argomento ontologico:  Ontologico poiché dall’analisi di Dio nella mente si deduce la sua esistenza al di fuori, o simultaneo in quanto nell’idea di Dio si trova inclusa anche la sua esistenza. Dio è ciò di cui nulla può pensarsi più grande: ciò lo pensa anche l’ateo o lo stolto, che affermano “Dio non esiste” in quanto per negarlo egli sa di cosa parla: Dio è nel suo intelletto, ma nega che vi sia nella realtà (contraddizione). Egli di fatti cercò di dare struttura logica al fatto religioso. Si chiede “quando dico Dio, cosa intendo?”. Qui si sforza di comprendere il contenuto del concetto di Dio: nessuno può credere in cuor suo che Lui non esista, altrimenti sarebbe una contraddizione verso l’assunto. Di fatti, un conto è capire con l’intelligenza, ma aderire per fede (implica volontà). -Sul binomio Dio-Uomo si fondano le riflessioni di Sant’Anselmo: egli discute soprattutto la falsità o verità della ‘parola’, dicendo che essa sia più o meno vera a seconda del grado di somiglianza con la cosa. Perciò, la conoscenza umana è misurata dalle cose, mentre quella divina misura le cose poiché è modello. La verità umana è rettitudine = capacità di dire come stanno le cose, e se si predica di intelletto allora è verità, se di volontà allora è giustizia e bene. La libertà è il connotato essenziale della volontà: essa è capace di agire rettamente, quindi si identifica con la volontà buona. È una rettitudine perseguita per sé stessa e non per altri fini, che la volontà può perdere di vista, ma comunque può sempre riprendere la strada del bene. Come si accordano libertà umana e prescienza divina? Come è possibile parlare di responsabilità e libertà umane se vi è un Dio onnipotente? (temi affrontati nel De Concordia)-> l’azione divina avviene nell’eternità (non c’è mutamento) mentre la libertà nel tempo: Dio ha creato l’uomo libero e responsabile, non può privarlo di queste caratteristiche, e ciò lo rende superiore agli altri esseri. Questo non vuol dire che l’uomo sia autosufficiente, in quanto avrà sempre bisogno dell’aiuto di Dio. - Il programma di Anselmo era proprio quello di chiarire con la ragione ciò che si possiede con la fede: egli dice “mi sembra negligenza se, una volta rassodati nella fede, non CERCHIAMO DI CAPIRE quanto crediamo” - egli ha grande fiducia nella ragione umana. Anselmo si interroga sull’incarnazione del verbo, come Dio sia unico e trino al tempo stesso: l’intelligenza illumina la fede, essa serve a districare o illuminare le verità di fede. Affinché questo binomio sia in accordo, bisogna che la ragione segua regole precise: una tra queste è la corrispondenza tra linguaggio-pensiero- realtà. - Anselmo afferma il realismo degli universali: le cose buone esistono in virtù di queste idee maggiori. Soprattutto, si rivolge a chi la fede ce l’ha già. PIETRO ABELARDO, il Genio multiforme XII secolo. 1079. È stato letteralmente definito l’altro versante del medioevo, e più che umile si dimostrò insoddisfatto e critico verso le dottrine dei suoi maestri, soprattutto quella degli universali e della dialettica. Quando finalmente riuscì ad aprire una sua scuola fu a Parigi, affollata nell’immediato, e per di più occupa la cattedrale di Nôtre-Dame la cui scuola fu il primo nucleo di università libera. Risale in questo periodo la sua avventura con Eloisa, al termine della quale lui si fa monaco. Più tardi alcune sue tesi sul mistero delle SS. vengono condannate e morirà a Cluny nella preghiera. Abbiamo 3 categorie per i suoi scritti: logico/teologico/etico ma anche autobiografico. Abelardo sottolinea l’importanza del “dubbio come stimolo attraverso il quale si intraprende una ricerca che conduce alla conoscenza della verità”. Esso è un dubbio metodico e costituisce la via alla ricerca. Come però si vince il dubbio e ci si avvicina alla verità? Ci sono 4 regole: 1. Bisogna analizzare attentamente i significati dei termini di un testo (analisi linguistica) 2. Accertarsi della sua autenticità 3. Fare esame critico con riferimento a testi autentici 4. Non bisogna confondersi tra opinioni personali e opinioni dell’autore Queste furono formulate per risolvere il problema dell’oscurità delle Scritture. Egli sosteneva che la tendenza socratica di discutere su tutto, screditando la dialettica, fosse una degenerazione di essa. Ora la dialettica era pura logica, che aiutava a discernere vero e falso, che comporta l’analisi dei termini del linguaggio-> è una “filosofia del linguaggio” attraverso cui i rapporti tra termini e realtà vengono controllati, per impedire che si parli dell’inesistente o di più (non si cade né nel realismo esagerato, né nel nominalismo frammentario). L’universale è ormai un concetto che ha origine da un processo dell’intelletto e genera l’intellezione delle cose (realismo critico): gli universali non sono concetti vani, falsi, ma delle categorie valide che mediano il pensiero e l’essere. Per Abelardo la dialettica concretizza la ratio, che è il luogo di consapevolezza di alcune affermazioni accolte sia in base all’autorità di chi le propone, ma soprattutto grazie ad una presa di coscienza del soggetto dei loro contenuti e argomenti a favore. Questa tendenza apparve come una dissacrazione delle verità cristiane, in quanto poneva la ratio tra l’uomo e Dio: ma senza di lei la Bibbia sarebbe come uno specchio davanti ad un cieco-> voleva chiarire il mistero cristiano, eliminarne ogni assurdità e rendere accessibili i suoi enunciati all’umana intelligenza. Se il capire risulta dall’unione tra fede e ragione (fa sì che la fede non sia accettazione acritica), il comprendere è dono esclusivo di Dio. Abelardo si dedica particolarmente anche all’etica, in quanto nei suoi trattati evidenzia la coscienza come fattore primario e fondamento della vita morale. In più egli distingue il piano degli istinti umani da quello della volontà, propriamente morale e costituito dall’iniziativa del soggetto. Dunque, egli si pone contro al LEGALISMO ETICO, che tendeva a ridurre l’agire dell’uomo a una casistica esteriore. La sua dottrina dell’intentio mirava a chiarire che le inclinazioni e le passioni esponente dei predicatori, cosiddetti domenicani. La caratteristica originaria di questo ordine era quello di ANNUNCIARE LA PAROLA DI DIO. 1225 nascita- 1274 morte. Egli è figlio più giovane di una famiglia feudataria, che viene avviato agli studi per le sue grandi capacità; gira per tutta l’Europa come insegnante, mandato a formare i novizi. Tommaso è in prima linea tra i fautori dell’apertura di Aristotele. Egli ha commentato 10/12 opere di Ari perchè le riteneva importanti per il suo lavoro di teologo: approfondire la parola di Dio. L’atteggiamento di Tommaso nei confronti della ragione naturale è di grande apertura: nel Medioevo “ragione naturale” = Aristotele. Per Tommaso che è cristiano, la ragione è creata da Dio, è un dono di Dio e quindi come tale è qualcosa da apprezzare. Da un punto di vista cristiano Tommaso dice che ragione e rivelazione sono 2 doni di Dio, perciò provenendo dalla stessa fonte non possono smentirsi reciprocamente. Che la ragione sia importante non c’è dubbio, il peccato c’è stato e ha prodotto conseguenze, ma non ha annullato la capacità della ragione umana di cercare la verità. Dio è intervenuto con la grazia, ma Tommaso dice che la Grazia di Dio è un aiuto, non elimina la natura umana, la quale è stata indebolita dal peccato. C’è un accordo naturale tra ragione e rivelazione e dove l’accordo non c’è bisogna lavorare perché si verifichi. Esse sono 2 realtà fatte per collaborare in vista di quel perfezionamento, capacità di acquisire la verità (obiettivo di fondo). La ragione ha una sorta di capacità intrinseca di autoregolarsi e autocorreggersi. La natura non viene distrutta dalla Grazia, semmai perfezionata. Possiamo servirci della filosofia in 3 modi: 1. Per mostrare ciò che funge da preambolo alla fede (verità non etichettate: che ci sia un Dio di questo si può convincere con la ragione chiunque si serva correttamente della ragione, che esso sia turco, ortodosso, ateo…) e cioè tutto ciò che si può dimostrare di Dio per mezzo di argomenti naturali: ad esempio il fatto che Dio esista e sia uno. 2. Per rendere noto attraverso certe similitudini ciò che appartiene alla fede. Un teologo non deve aver paura di servirsi della ragione naturale. 3. Per opporre resistenza a ciò che viene detto contro la fede mostrandone o la falsità o il fatto che non si tratta di conclusioni necessarie. Simile ad Anselmo, ma con la differenza che quest’ultimo non potè servirsi di Ari, mentre Tommaso si. L’esistenza di Dio è una di quelle verità che la ragione naturale da sola può cercare di chiarire, di un Dio hanno parlato anche i filosofi pagani. La ragione naturale non è così bloccata, è un implicito invito a metterla a frutto, a servirsene. All’interno del manuale scritto da Tommaso, c’è una questione riguardo l’esistenza di Dio. Egli non dice vi do dimostrazioni o prove, ma usa il termine di “vie, percorsi” della ragione. Dio non è oggetto di esperienza, infatti è ovvio che non possiamo partire da Dio per spiegarlo: e allora da cosa partiamo? Da quello che vediamo intorno a noi. Le vie che Tommaso propone sono le vie che partono dall’esperienza, egli rifiuta la concezione di Anselmo, il quale parte da Dio. Tommaso ci dà 5 modalità di approccio a partire da quello che vediamo, essi muovono da 5 punti di vista diversi, ma sempre della realtà sensitiva: 1. La prima via o del mutamento: si desume dal divenire, nel senso di cambiamento. Che la realtà intorno a noi cambia è la cosa più evidente, basta che uno apra gli occhi e usi i sensi. Noi muoviamo da quello che vediamo e quello che vediamo è un pezzettino di mondo, non tutto. Quello che pone il problema se ci sia un primo principio muove dall’esperienza che abbiamo della realtà intorno. Tutto ciò che diviene è mosso da qualcos’altro. Muovere non significa altro che trarre qualcosa dalla potenza all’atto, ma non è possibile che una cosa sia simultaneamente potenza e atto. Non si può procedere all’infinito (io discendo dai miei genitori, loro discendono dai miei nonni…) perchè se io non trovo un punto di partenza che non sia suscettibile di un essere in atto precedente non spiego nulla di questa categoria, altrimenti non vi sarebbe un primo motore. E tutti riconoscono che esso è Dio. 2. La seconda via o della casualità efficiente: muove dalla nozione di causa efficiente. Tutto ciò che esiste ha delle cause. Dobbiamo approdare a una causa che non abbia a monte una causa prima, ovvero Dio. 3. La terza via o della contingenza: è tratta dal contingente e dal necessario. Contingente è l’opposto di necessario, nessuno di noi esiste necessariamente, non era scritto da nessuna parte che ci fossimo. Nessuno di non ha un essere che è impossibile che non sia. Se tutte le realtà fossero come noi, che possono esistere o non esistere, allora non esisterebbe niente se tutto fosse così, e invece noi ci siamo, perché a monte di noi c’è un qualcuno che non condivide la nostra condizione di contingenza, ma è necessario, ovvero Dio. 4. La quarta via o dei gradi di perfezione: è tratta dai gradi che si riscontrano nelle cose. Ragionamento di tipo platonico, però parte dall’esperienza che ci dice che nelle cose si trovano queste perfezioni in un grado maggiore o minore. Le perfezioni sono fondate da qualcosa di assoluto e sommo, e quindi vi è qualcosa che per tutti gli enti è causa dell’essere, della bontà e di qualsiasi perfezione. E questo chiamiamo Dio. 5. La quinta via o del finalismo: si desume dal governo delle cose. A monte di questo concetto c’è Aristotele. Non tutte le cose sono dotate di conoscenza o intelligenza e di conseguenza esse non possono muoversi verso un fine, a meno che non siano dirette da qualcuno dotato di conoscenza e intelligenza. Ciò che non è dotato di intelligenza si muove come lo fosse dotato. Chi le ha programmate? Dio, essere intelligente dal quale tutte le cose naturali sono ordinate al loro fine. Tommaso sa che l’uomo è stato creato da Dio, che è un composto di anima e corpo (materia e forma, che a un certo punto si separa poiché il corpo muore e l’anima spirituale continua, ma in prospettiva di riassunzione del corpo). I cristiani si trovavano di fronte a un problema, cioè usare la terminologia di Aristotele va bene, ma la forma in Ari è ciò che struttura la materia, principio organizzatore, che struttura e fa vivere l’organismo che diventa vivente. Quando forma e materia si separano si apre un problema: se qualcosa di questo composto sopravviva. Ari dice che la parte intellettiva dell’anima sopravvive, ma non si capisce se questa parte sia individuale o unica per tutta la specie umana. Secondo Ockham di forma ce ne sono tante quante sono le determinazioni che strutturano il composto (vegetativa, sensitiva e intellettiva) = pluralità delle forme, come se l’uomo fosse fatto a strati dove a seconda delle qualità che si assumono subentra una forma. La forma ultima, cioè quella intellettiva, in un certo senso era legata alle altre forme e quindi al corpo, ma era anche una forma diversa dalle altre forme. Tommaso prima di essere Santo è stato condannato da alcuni vescovi locali a causa della tesi dell’anima come unica forma sostanziale del corpo. Egli parte da Ari e dice che l’anima intellettiva è l’unica forma del corpo, quindi comprende tutte le funzioni organiche. Per lui corpo e anima sono un solo individuo. Quando il corpo si decompone con la morte, l’anima continua ad esistere e vive una funzione di depotenziamento, come se le mancasse qualcosa, poiché individuo non è solo corpo, ma corpo e anima. L’uomo appartiene a 2 mondi: quello dello spirito e quello della materia. È un MICROCOSMO, piccolo mondo che riassume il mondo della materia e quello dello spirito. La vita dell’anima che è una vita molteplice è in una stretta relazione con la nostra vita corporea e tutto quello che ci accade a livello di anima, non può essere senza conseguenze a livello di vita fisica. L’energia psichica è una sola, ma può essere utilizzata in direzioni diverse e non contemporaneamente alle altre. “L’appetito sensitivo” = desiderio di attrazione o repulsione che provo in relazione a come percepisco il mondo intorno a me. Se sento qualcosa che mi fa paura, essa si manifesta a livello esteriore (tremo) e a livello di desiderio (voglia di scappare). Per Tommaso le passioni sono una componente non semplicemente marginale e da reprimere, ma qualcosa che interagisce con la mia vita razionale e spirituale. Devo riconoscere come mie queste passioni, conviverci e farle vivere con me. Come conviviamo con le nostre passioni? (gli stoici dicono di eliminarle poiché non sono parte della nostra essenza, cioè il logos. Esse vanno tenute il più possibile alla periferia, Platone). Per Tommaso le passioni non sono né buone né cattive, dipende dalla collocazione e dal ruolo che hanno all’interno della nostra vita psichica e quindi dall’azione che scaturisce dalla nostra vita psichica. Se le emozioni sono a monte nelle nostre scelte (le precedono), allora la passione condiziona fortemente le mie scelte morali a tal punto che l’atto morale può uscire dalla retta direzione e diventare un atto non morale. Oppure la passione può essere un fenomeno concomitante, essa diventa un carburante supplementare che mi dà energia ulteriore per un fine: “la passione dell’anima aggiunge bontà all’azione”. 1. L’ANIMA IN TOMMASO? Tommaso prima di essere Santo è stato condannato da alcuni vescovi locali a causa della tesi dell’anima come unica forma sostanziale del corpo. Egli parte da Ari e dice che l’anima intellettiva è l’unica forma del corpo, quindi comprende tutte le funzioni organiche. Per lui corpo e anima sono un solo individuo. L’anima è il principio primo e immediato in forza del quale ci nutriamo, sentiamo e ci muoviamo localmente e abbiamo l’intellezione. L’anima è forma, ma forma sostanziale, ovvero che ha le caratteristiche della sostanza, cioè ha in sé l’essere e che quindi lo può dare al corpo, lo può trasmettere perché esso è la sua vita, ma una vita depotenziata, non piena. L’energia dell’anima è unica e pluriforme. 2. ANIMA, CORPO E RELAZIONI, AMORE E AMICIZIA? Quando il corpo si decompone con la morte, l’anima continua ad esistere e vive una funzione di depotenziamento, come se le mancasse qualcosa, poiché individuo non è solo corpo, ma corpo e anima. Corpo e anima uniti insieme compongono un’unica sostanza: l’individuo nella sua irripetibilità. L’individuo è uno pur ricoprendo 2 funzioni, corporea e spirituale, ed esso è individuo grazie alla parte individuale. Al momento della morte del corpo l’anima non è coinvolta nella corruzione del corpo. Il corpo riceve la vita dalla forma, cioè dall’anima e quindi una volta che se ne separa muore, mentre l’anima possiede la vita sia pure depotenziata. L’uomo per Tommaso è sinolo di anima e corpo. Il corpo agisce e condiziona l’anima, analogamente l’anima condiziona il corpo. Il corpo si ammala o guarisce per cause naturali e fisiche, ma in dei casi a livello corporeo ci si ammala perché l’anima lo condiziona. Per esempio la paura condiziona il mio pensiero e mi produce dei comportamenti che non sono necessariamente prevedibili, ma me li produco io. La vita dell’anima che è una vita molteplice è in una stretta relazione con la nostra vita corporea e tutto quello che ci accade a livello di anima, non può essere senza conseguenze a livello di vita fisica. L’anima in-forma il corpo e gli dà la vita, e il corpo in un certo senso impronta l’anima con il suo modo di essere. La legge dell’evidenza: tutti gli articoli di fede non sono evidenti di per sè, ma lo diventano se ci credo. Cosa resta della teologia come scienza? Poco, posso dimostrare poco, perché di fatto gli argomenti della teologia sono quasi tutti non evidenti, non si basano su una conoscenza intuitiva. Non posso dare prove dell’esistenza di Dio perchè tutti gli argomenti che sono stati forniti sull’esistenza di Dio si basano su cose che non sono scientificamente accertabili, non ho mai esperienza di un processo causale, ho l’esperienza di una causa o di un effetto. Con un Dio conoscibile solo attraverso la Bibbia, non possiamo dire di Dio che crea, agisce…dobbiamo stare alle parole della Bibbia e di conseguenza quello che la Bibbia ci dice di Dio è che egli è onnisciente, onnipotente, che crea quando vuole lui, che è sovranamente libero…unica cosa che Dio non può fare è ciò che è contraddittorio. È bene ciò che Dio stabilisce che sia bene. Possiamo dire dell’uomo tutto ciò di cui con evidenza conosciamo. Ciascuno di noi fa esperienza di una cosa semplice, cioè la ragione può dirmi delle cose ma in ultima analisi è la volontà che mi fa decidere. La volontà è una potenza di autodeterminazione. LA LOGICA DI OCKHAM: definisce 3 tipi di supposizioni: personali, quando all’interno di una proposizione un termine suppone per il suo significato, sia ess concetto universale, termine orale o mentale. Supposizioni semplici: quando la proposizione non sottende una supposizione personale. Supposizioni materiali: il termine suppone non per un concetto, ma per un termine orale o scritto. AMORE-AMICIZIA tra Platone ed Aristotele Spiegazione della totalità della realtà -> scientificità per gli antichi (possibilità di dire qualcosa di vero del tutto, ciò che ci rende accettabile la totalità delle nostre dimensioni di realtà, dal punto di vista del contenuto del pensiero). Lettura di ciò che è umano. Pensiero greco, pensiero cristiano= hanno in comune visione spessa dell’umano -> tutti gli autori hanno la convinzione che si possa parlare di una virtù umana: in virtù del logos l’umano ha una eccedenza rispetto agli esseri e alla storia. Natura umana: immaginare che gli umani siano accumunati da elementi propri che li contraddistinguono e che non cambiano nel tempo. L’umano ha una essenza -> con l’empirismo questa concezione si indebolisce. Nascita di una riflessione autentica sull’anima -> spazio di verità dell’umano uno spazio immateriale (rapporto con la parte materiale dell’umano). Gli antichi cominciano a costruire la struttura dei nostri sentimenti, passioni. Come si originano i nostri sentimenti? Che rapporto hanno con i nostri pensieri ed istinti? Amore e amicizia: contenitore che ci consente di leggere la tragedia greca, Platone ed Aristotele, l’agape, le passioni di Medea. Eros e Filia: prima definiscono lo spazio più intimo di alcune relazioni. La filia nasce in una dimensione cameratesca: ciò che lega i guerrieri. Psyche -> Socrate porta i riflettori sull’umano e l’amicizia, che diventa esperienza significativa delle relazioni tra esseri umani. Esperienza legata alla virtù. Platone ed Aristotele ne parlano. Liside: Platone si interroga su cosa è l’amicizia e che valore ha per gli esseri umani. E’ un elemento essenziale? Come si manifesta? Chi coinvolge? Quando ci si può dire amici? Identificare amicizia e amore: se qualcuno ama una persona, questa persona dovrà necessariamente ricambiare i sentimenti dell'altro. Quindi: legame tra amore e amicizia; necessità che ci sia reciprocità; Le due tesi sono criticate da Socrate che le ritiene impossibili: evidente il caso in cui di innamorati non corrisposti dalle persone amate (212b-213d). evidente anche il caso in cui qualcuno ami l’altro e l’altro addirittura provi odio o, caso ancora estremo, che un sentimento di amore si trasformi in odio (cf. Medea). In sintesi 3 conclusioni o soluzioni aperte del Liside: 1) Prima soluzione: l’amicizia non è un rapporto tra simili né tra contrari: il desiderio di legarsi non si fonda né sulla somiglianza né sulla dissomiglianza; 2) Seconda soluzione: introduzione del Metaxu (Intermediario); l’amicizia che ritroviamo anche nel Simposio e cioè L’amicizia desiderio di ciò di cui si manca; (Cf. XIV 217a-218c). 3) Terza soluzione: anche la seconda è superata perché, manca l’orientamento al primo amico, cioè al Bene: alla base dell’Amicizia vi è cioè qualcosa che è più caro di tutte le cose di cui faccio quotidianamente esperienza. Si è amici di qualcuno che ci è simile oppure anche di chi è diverso da noi? Il simile è amico sempre e solo del simile? Il simile in quanto tale è amico del suo simile; ma l’uno è utile all’altro? E piuttosto vediamo la questione in questi termini: una qualunque cosa simile che vantaggio reca ad un qualunque suo simile o che danno, che questo non abbia già in sé? O [215a] che danno potrebbe ricevere che non riceva già da se stesso? Le cose simili, come possono amarsi tra loro, se non hanno nessuna capacità di aiutarsi a vicenda? E’ possibile questo? - Non è possibile. - Chi non è amato, come può essere amico? - In nessun modo. - Allora, il simile non è amico del suo simile? Il buono, in quanto tale, potrebbe essere amico del buono e non in quanto gli è simile? - Forse. - E allora? Non è forse vero che il buono, proprio perché è buono, è sufficiente a se stesso?- Sì. - Chi è autosufficiente, perché [b] tale, non ha bisogno di niente. - Verissimo. In Platone l’amicizia è sempre vista come una tensione ad altro, di cui si ha o no bisogno: quindi ancora nei termini dell’amore. - Chi non ha bisogno di niente, non desidera niente. - Indubbiamente. - Chi non desidera non ama neppure. - No, certo. - Chi non ama non è amico di nessuno. - Evidentemente. - Allora, dunque, come potranno i buoni essere amici dei buoni, essi che da lontano non si desiderano reciprocamente (infatti, sono autosufficienti anche se separati) e quando sono vicini non sono utili l’uno all’altro? Com’è possibile che persone siffatte si diano reciproca importanza? - E’ impossibile, infatti. - Non [c] possono essere amici quelli che non si danno reciproca importanza. – (215 a) Amicizia è il desiderio di ciò che si manca. L’amicizia come Metaxu: desiderio di ciò di cui si manca. “Potremmo dire che anche quelli che sono già sapienti non sono più amici della sapienza, siano essi dèi o uomini; non sono amici della sapienza neppure quelli che sono così ignoranti da essere cattivi; chi è cattivo e ignorante non è amico del sapere. Restano quelli che pur possedendo questo male, l’ignoranza, non sono da questo resi ottusi e incolti, ma ancora ritengono di non sapere ciò che non sanno. Perciò sono amanti del sapere [b] quelli che in certo qual modo non sono né buoni né cattivi; quelli che sono cattivi non amano la sapienza e neppure i buoni”. L’amicizia come tensione ad un terzo che è, a questo livello la Sapienza: qui sembra lo schema del Simposio, di Eros come mediatore immagine della Filosofia quale tensione a qualcosa che non si posside. Il vero amico: il Bene. “tutta la premura del padre non è rivolta verso quelle cose che sono preparate in vista del figlio, ma è rivolta al figlio, [220a] in vista del quale tutte quelle cose sono preparate. Spesso noi affermiamo di amare l’oro e l’argento; in verità dovremmo dire che noi amiamo ciò che verosimilmente si acquista con l’oro e l’argento. Non dovremmo dire forse così? - Certo. - Non è forse lo stesso il discorso sul concetto di amico! Per tutte quelle cose che ci sono amiche in modo relativo, evidentemente noi usiamo un [b] termine improprio: in realtà mi sembra che sia vero amico ciò a cui fanno capo tutte le cosiddette cose amiche. - Sembra davvero, disse. - Dunque, ciò che è il vero amico, lo è in senso assoluto. - Sì. 
 
XVII. - Questo dunque è stato chiarito, che il primo amico è amico in assoluto. Ma questo amico si identifica col bene? - A me sembra di sì. - E non è forse vero che il bene è amato a causa del male ? Le cose allora stanno così: delle tre categorie di cose, di cui poco fa ab-[c] biamo parlato, e cioè le buone, le cattive e quelle né buone né cattive, se consideriamo la prima e la terza, se il male cioè scompare senza più attaccarsi né al corpo né all’anima né alle altre cose che affermiamo non essere per se stesse né buone né cattive, allora il bene non ci sarà più utile ma anzi ci sarà divenuto inutile?” Anche questa soluzione non soddisfa, perché anche il Bene non è amato per se stesso, ma cercato in opposizione al male: in ogni caso è ancora le tensione ad altro che qualifica l’amicizia/amore platonico. Di qui l’insoddisfazione e apertura al finale che conclude il dialogo con l’Ironia socratica: abbiamo pensato all’amicizia (amore) ma non abbiamo risposto alla domanda chi sia l’amico. Per quanto il dialogo lasci soluzioni aperte, queste vie infine sembrano considerabili come i temi che possiamo acquisire dal dialogo di Platone. La causa dell’amicizia, esprime in generale l'esigenza che la condizione di partenza del soggetto sia caratterizzata da uno status di deficit. Quindi, ciò che motiva l'individuo a volere o amare un oggetto (una persona o cosa) è l'assenza di qualcosa che ha questo oggetto. Chi ama o desidera qualcosa, la vuole perchè vede nell'oggetto amato qualcosa che gli manca, altrimenti non otterrebbe nessun vantaggio o nessun beneficio quando raggiungesse la sua amicizia. Tale nozione di 'assenza è collegata infine con l'idea dell' οἰκεῖον, o di ciò che è proprio (221d-e) Aristotele consacra all’amicizia due libri dell’Etica Nicomachea, l’VIII e il IX. Se il dialogo Liside può essere considerato la prima argomentazione specifica dell’amicizia è soltanto con Aristotele che si ha una più analitica e ampia considerazione del tema. L’importanza attribuita al tema è certamente conseguenza di una più precisa definizione dell’uomo come animale politico, comunitario. Infatti Aristotele, più di Platone, pensa che la vita politica sia il coronamento della vita comunitaria. La Natura dell’Amicizia, considerando: a) i motivi dell’amicizia b) i 3 tipi di amicizia (piacere, interesse e virtù); Forme di amicizia: a) la perfezione dell’amicizia (a. nella Reciprocità) b) tra superiore e inferiore; considera quindi Uguaglianza e disuguaglianza nell’amicizia; ---- superiorità dell’amicizia tra uguali nella reciprocità; (Cfr. EN [1156 a -1156b15] inesauribile, illimitata potenza produttrice, che originariamente è creatore di sé, e poi di ogni altra cosa (anche autoproduttrice). L’unica espressione che calza a pennello è ‘al di là di ogni cosa’. La sua semplicità non è segno di povertà MA di ricchezza e potenza, di fatti esso non ha il Bene, ma è il Bene stesso. Ma quindi, perché e come da esso è derivato altro? Egli non crea per volontà, ma produce restando fermo, per processione delle cose dall’Uno (così come la luce, il fuoco che emana calore). Da esso, per sovrabbondanza, procedono tutte le cose. Quindi, esse derivano dalla sua forza operante che è duplice: l’una è chiusa in se stessa, l’altra invece sgorga e quindi dà origine alle cose. Il Principio Primo è solo Uno. 2. La prima irradiazione dell'Uno è il Nous (seconda realtà suprema o ipostasi), che può venir tradotto sia con “Intelletto” sia con “Spirito”. In questa seconda Ipostasi si ha una prima forma di molteplicità, l'unità assoluta dell'Uno si comincia a frammentare. L'Intelletto infatti conosce l'Uno riverberandolo in una molteplicità di idee, e del resto la sua attività conoscitiva implica una distinzione tra soggetto e oggetto. È in sostanza il mondo intelligibile di Platone quello che Plotino vede racchiuso nell'Intelletto. Da notare che ciò che sostiene nell'esistenza il Nous è proprio la contemplazione, che è conoscenza dell'Uno: non si tratta di un lusso, ma della fonte dello stesso essere. Esistenzialmente ciò ha delle implicazioni importanti: ciò che vale per l'Intelletto vale, a maggior ragione per gli uomini, che sono chiamati alla contemplazione come loro attività più nobile e di decisivo valore. Lo Spirito diventa così l’Essere per eccellenza, il Pensiero per eccellenza, la Vita per eccellenza. Se l’Uno vuole diventare mondo delle Forme o del Pensiero deve farsi spirito. LA NATURA SPECIFICA DEL NOUS COINCIDE CON IL PURO PENSARE. Il Nous è uno-molti. 3. Se l’Uno vuole creare un universo e un cosmo fisico deve farsi Anima. Sempre per un processo di irradiazione attraverso il Nous promana la terza Ipostasi, l'Anima (Psyché). Questa si tripartisce tra un lato che si alimenta, contemplando, attraverso l'Intelletto, l'Uno (“ritorno all’Uno) = ANIMA SUPREMA; un secondo lato con cui l'Anima si auto-contempla = ANIMA DEL TUTTO, e un terzo lato, volto verso il basso, con cui l'Anima permea la materia dando forma al mondo sensibile (detta Anima Mundi o anime particolari). Il mondo è fatto dunque di anima e di materia. L’anima è principio di movimento ed è essa stessa movimento; è l’ultima realtà intellegibile. La materia rappresenta il livello più povero della gerarchia ontologica, il gradino più basso, di massimo depotenziamento dell'essere, al punto che confina col nulla: è un “quasi-nulla”, un “prope nihil”. LA NATURA SPECIFICA DELL’ANIMA CONSISTE NEL DAR VITA A TUTTE LE ALTRE COSE CHE SONO, OSSIA A QUELLE SENISIBILI; ORDINARLE, REGGERLE E GOVERNARLE. L’anima è una-e-molti. Dopo l’anima si estende il mondo del corporeo e del sensibile. Dunque, da questo momento in poi abbiamo l’estensione del mondo fisico (sensibile) che è estrema tappa di un processo in cui la forza produttrice si indebolisce fino ad esaurire. In tal modo essa arriva ad essere privazione della potenza dell’Uno e quindi del Bene assoluto: in questo senso il mondo sensibile è male, ovvero privazione del positivo, o non essere, perché diverso dall’essere e giace sotto di lui. Secondo Plotino il mondo fisico è uno specchio di forme: tutto è forma e quindi logos-> PANLOGISMO PLOTINIANO. Il passaggio dall’essere al divenire comporta anche il passaggio dall’eterno alla temporalità, la quale appunto nasce dalla stessa attività per mezzo della quale l’anima crea il mondo sensibile. La vita come temporalità è vita che scorre in momenti successivi: quindi, nascere e morire diventano il “gioco dell’anima”. L’uomo non nasce con il sensibile, ma preesiste nello stato di Anima pura… come mai discende nei corpi, però? Vi è una forte oscillazione: da un lato per attuare la potenza dell’universo, dall’altro sarebbe stato meglio di no, perché scendendo si è macchiato di una sorta di colpa. Plotino distingue 2 colpe dell’anima: 1. Consiste nella stessa discesa al mondo; il castigo è proprio la vita sofferente che spetta all’anima nel mondo fisico e sensibile. 2. Il fatto che, una volta ‘preso corpo’, l’anima si assoggetti ai beni e le cose esteriori e materiali, dimenticando se stessa-> il più grande male dell’anima. L’uomo è essenzialmente la sua anima, che resta impassibile ed è capace solo di agire: la stessa sensazione è, diciamo, un atto conoscitivo dell’anima. Questa è possibile dato che l’anima inferiore (la nostra, che sente) è strettamente legata all’Anima superiore, che invece coglie gli intellegibili puri. Anche memoria, sentimenti, passioni ecc. sono attività dell’anima: ma la più alta è appunto la libertà, che si identifica con il desiderio di bene. L’Anima, grazie alla sua libertà, tende al bene a diversi livelli-> solo così si avrà il ricongiungimento con Dio: egli ci dice che sia comunque possibile quest’ultimo, nonostante i tormenti, in quanto contiamo di una componente trascendente che può unirci al divino mentre il corpo soffre. Varie sono le vie per il ritorno all’Assoluto: quella della virtù, dell’erotica platonica, della dialettica; ma Plotino ne aggiunge una quarta, ovvero quella della semplificazione, che è riunione ed estasi. Dunque, questo ricongiungimento avrà luogo nel momento in cui l’uomo si spoglierà delle sue alterità, come l’appartenenza al mondo sensibile, la parola e la ragione, per rientrare in se medesimo e poi contemplare LUI-> “spogliati di tutto”. Quest’unificazione è denominata estasi, uno stato di ipercoscienza in cui l’anima vede se stessa riempita di Uno. Dio non fa dono di sé agli uomini, ma essi possono salire a Lui e riunircisi, per loro volontà. GREGORIO DI NISSA 1. Distingue la realtà in mondo intellegibile e mondo sensibile e corporeo. A differenza di Platone, in Gregorio il mondo sensibile viene svuotato della sua materialità, essendo concepito come prodotto da forze incorporee. 2. LA DOTTRINA DELL’UOMO: l’uomo è molto di più di un microcosmo. La grandezza dell’uomo consiste nell’essere immagine del Creatore della nostra natura. 3. IDEA DELL’APOCATASTASI: l’anima e il corpo dell’uomo sono creati simultaneamente; l’anima sopravvive e la resurrezione ricostituisce l’unione. 4. L’ASCESA A DIO: si realizza con la rimozione di ciò che da Dio ci divide. “La misura nella quale potete conoscere Dio è in voi stessi”. MASSIMO IL CONFESSORE Conosciuto per le battaglie che egli condusse contro le dottrine che insidiavano il dogma cristologico: sostenevano che in Cristo esiste una sola energia e una sola volontà di natura divina. Massimo confutò dimostrando che in Cristo ci sono 2 attività e 2 volontà: quella divina e quella umana. Il suo tema principale sta nel ruolo centrale della persona di Cristo: l’uomo è immagine di Dio ed è anche anello di congiunzione di tutti gli esseri. ECKHART Il suo pensiero è imperniato sull’idea di unità tra Dio e l’uomo, tra il soprannaturale e il naturale. L’uomo e il mondo naturale non avrebbero senso senza Dio. In Dio l’essere e il conoscere coincidono realmente. Dio crea l’essere e possiamo anche dire che Dio è l’essere, non in quanto creatura, ma quell’essere per cui tutte le cose sono. L’essere è Dio. Dio è carità ed è in tutte le creature, le quali senza Dio non sono niente. Le cose e l’uomo stesso sono nulla senza Dio, motivo per cui l’uomo deve tornare a Dio; solo facendo ciò, l’uomo ritroverà se stesso. “Chi è retto ha Dio in sè e chi ha Dio lo ha in tutti i luoghi. Se egli lo possiede davvero, nessuno lo potrà turbare.” Ogni opera dell’uomo è piuttosto opera di Dio, quel che conta è abbandonarsi in Dio e lasciarsi guidare. Il ritorno dell’uomo a Dio esige l’anima libera e spoglia di ogni cosa creata. Solo così l’anima afferra Dio ed è in Dio. Se l’uomo soffre per Dio allora non duole poiché Dio porta il peso AVICENNA Egli era un discepolo infedele di Aristotele: si parla di aristotelismo di Avicenna, intendendo quella filosofia permeata di Neoplatonismo e di elementi tratti dalla religione islamica. Avicenna rileva la distinzione tra ente ed essenza: il primo è concreto (es. l’uomo), il secondo è astratto (l’umanità). Poi suddivide l’ente reale in possibile e necessario: il primo è qualcosa di contingente, che trova la ragione del proprio esistere non in sé, ma in altro ed è dipendente; il secondo è solo UNO e prende il grado di principio primo e causa prima, esso è indipendente e trova in se stesso la ragione di esistere e non può non essere. Qual è il rapporto tra il mondo e Dio? Il mondo è a suo avviso contingente e necessario insieme: è contingente poiché l’esistenza attuale non gli spetta in forza della sua essenza, ma è necessario in quanto Dio, che lo ha creato, non può che agire secondo sua natura. Dio produce la Prima Intelligenza e da questa scaturiscono le altre nove (sono 10 in totale): la Decima Intelligenza non genera una nuova realtà, ma agisce sul mondo terrestre. Essa agisce sul piano ontologico strutturando il mondo terreste in materia e forma: le forme sono irradiate dalla Decima Intelligenza e questa è il datore di forme, cioè irradia le forme nel mondo sublunare. Invece, sul paino gnoseologico la Decima Intelligenza opera il passaggio dalla potenza all’atto dell’intelletto possibile umano individuale; e ciò avviene attraverso l’irradiazione dei principi primi, dei concetti universali e sia mediante l’elevazione del nostro intelletto individuale al supremo intelletto agente. AVERROE’ Apprezzava molto Aristotele, commentò molte delle sue opere. ETERNITA’ DEL MONDO > Egli concorda con Ari sul fatto che il motore supremo e i motori dei cieli, essendo intelligenze che riflettono su se stesse pensandosi, muovono necessariamente non come cause efficienti, ma come cause finali (CONTRASTO CON