Scarica STORIA DELLA LETTERATURA LATINA - GIOVANNI CIPRIANI e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura latina solo su Docsity! 1 Storia della Letteratura latina Di Giovanni Cipriani PARTE 4° DA NERVA A COMMODO Il tardo impero La letteratura cristiana L’età romano-barbarica 2 5 IL CONTESTO STORICO Dal 96 al 98 d.C. al soglio imperiale ci fu Nerva. Designò come suo successore, nel rispetto della classe senatoria che non tollerava la successione dinastica, Traiano, proveniente da una nobile famiglia della Spagna. Questi percorse una carriera prevalentemente militare e come imperatore rispettò il senato, rendendo accettabile il suo potere assoluto. Il suo regnò garantì un periodo di tranquillità all’interno e inaugurando l’ultima stagione di espansione militare per Roma: annessione della Dacia e dell’Arabia Peterea, nonché le campagne contro i Parti. Con traiano, poi, ha definitivamente fine il principato gentilizio: l’unione tra principe e res publica trova il suo cardine nel concetto di OBSEQUIUM (che prende il posto della ‘fides’ e comporta il riconoscimento del proprio ruolo da parte del principe all’interno di una gerarchia sociale in cui quest’ultimo è al vertice, e la ‘dignitas’ coincide con l’essere fedeli e obbedienti al principe). Alla morte di Traiano divenne imperatore Adriano, suo figlio adottivo, che improntò il suo principato sulla stabilizzazione complessiva e sull’ammodernamento dell’apparato politico e amministrativo. La sua politica militare si orienta in senso difensivo rafforzando i confini, piuttosto che all’espansione territoriale (costruzione del Vallo Adriano, una fortificazione ai confini). Gli successe Antonino Pio, che garantì all’impero la stabilità e la pace, continuando la linea d’azione del suo predecessore. Marco Aurelio, noto come il principe-filosofo, dovette far fronte alle prime manifestazioni della crisi con interventi nel campo dell’amministrazione e della finanza; s’impegnò militarmente sul fronte orientale contro i Parti e su quello settentrionale contro i Quadi e i Marcomanni. Egli governò dapprima col fratello Lucio Vero, poi si associò il figlio Commodo. Questo causò la rottura col senato. LA LINGUA Nel II secolo la prosa mostra una vitalità maggiore rispetto alla poesia, con artifici, sfumature e parole arcaiche. Figura più rappresentativa dello stile ‘arcaizzante’ è Frontone, che teorizza una elocutio novella fondata sulla scoperta erudita di parole preziose della lingua arcaica. 6 GIOVENALE La vita Nato ad Aquino nel 60 d.C. la disinvoltura con cui egli si muove tra le tecniche della retorica ci garantisce che ebbe una formazione scolastica completa. Venne etichettato da Marziale come facundus, che fa pensare all’attività di avvocato. La produzione poetica Giovenale compose 16 Satire, per un totale di circa 4000 esametri, distribuite in 5 libri. Satira I: la dilagante corruzione della società, tra delatori, cacciatori di testamenti, magistrati disonesti, scandali, adulteri, brama di denaro e delitti, giustifica l’indignatio del poeta e la scelta di scrivere satire sui vizi degli uomini; al fine di evitare risentimenti, Giovenale parlerà dei morti per colpire i vivi. Satira II: alla parte contro gli ipocriti che fanno passare per virtù i loro vizi, seguono strali contro i pervertiti, che nascondono la loro turpitudine lasciandosi credere filosofi virtuosi. Una cortigiana biasima l’incoerenza dei nuovi Catoni, che rinnegano le leggi da essi sottoscritte cadendo nella depravazione e nella perversione. Satira III: Un amico del poeta si trasferisce a Cuma, poiché a Roma l’esistenza si era fatta invivibile. Satira IV: l’arricchito e corrotto Crispino, che compra a peso d’oro una triglia, suscita il ricordo di un episodio avvenuto sotto Domiziano: un pescatore offrì all’imperatore un enorme rombo e subito convocarono i senatori per discutere sul tegame per il pesce; la seduta si sciolse dopo che fu decretato di costruirne uno su misura. Satira V: il cliente seduto alla tavola del ricco patrono offre un triste spettacolo di ridente contrasto; per Trebio non è una fortuna essere invitato a cena dal patrono, infatti, in cambio di mille servigi, riceverà vino di pessima qualità servito in bicchieri crepati, pane stantio e cibo di nessun valore, mentre il ricco signore godrà di vivande pregiate. Satira VI: dopo l’età dell’oro la Pudicitia ha abbandonato la terra, dunque è inutile cercare moglie. QUESTA COSTITUISCE IL LIBRO II Satira VII: nel generale declino degli studi non è semplice la vita dei poeti, caduti in una povertà che non giova alla loro ispirazione; non più felice è la situazione degli stoici, degli avvocati o dei grammatici, a cui si offrono magri compensi. Satira VIII: la nobiltà di nascita non serve a nulla se non è accompagnata da una meritevole condotto personale. Satira IX: in forma di dialogo immaginario il poeta chiede a Nevolo notizie sulla sua condizione, nuova per chi, come lui, si era distinto per essere uno degli adulteri più noti a LIBRO I LIBRO III 7 Roma. Nevolo confessa di avere un patrono avaro, e il poeta gli fa notare che a Roma ci sarà sempre qualcuno pronto a pagare per le sue prestazioni sessuali. Satira X: pochi uomini sanno distinguere il vero dal falso bene; l’onore, la ricchezza, la potenza, la gloria militare sono mete ambite, ma spesso causa di sventure; agli dei si richiedono lunga vita o bellezza, anche se queste portano con sé degli svantaggi; unico vero desiderio da confidare al dio è la sanità fisica e mentale. Satira XI: in città sono in corso i ludi Megalesi e il poeta invita a cena in campagna l’amico Persico; ospitalità e semplicità connotano il ritrovo, allietato dai versi di Omero e Virgilio. Satira XII: il poeta è in procinto di compiere un sacrificio per il ritorno dell’amico Catullo, salvatosi da una tempesta in mare: la gioia dell’amico ritrovato, spinge il poeta a ringraziare gli dei. Satira XIII: il poeta consola un amico a cui non sono stati restituiti dei soldi. La disonestà sarà punita. Satira XIV: senza alcuna forma di rispetto e di tutela, i vizi dei genitori si trasmettono ai figli; dilapida il patrimonio il figlio di chi spreca i suoi beni, il figlio dell’uomo avido è sottoposto a continue lezioni di rapacità; solo la saggezza dona la felicità e rende sereni, insegnando ad accontentarsi di poco. Satira XV: qui racconta un episodio di cannibalismo avvenuto in Egitto. Satira XVI: parla a Gellio dei privilegi di cui godono i soldati. Il manifesto poetico di Giovenale è nella Satira I, laddove egli prende le distanze dalla moda di comporre poesia mitologica. Apparentemente i motivi della sua poesia satirica ricalcano quelli della diatriba cinico-stoica, orientata verso la denuncia delle depravazioni morali e sessuali, dell’avidità e dell’avarizia, della rincorsa di vane e futili soddisfazioni. In Giovenale c’è un sentimento vivamente nostalgico per la moralità, la religiosità, l’attaccamento alla Roma del passato, che rivive attraverso personaggi illustri: l’ideale del poeta si sostanzia nel mos maiorum. Giovenale offre la radiografia di un malessere sociale, determinata non solo dall’intenzione del poeta di mostrarsi INDIGNATO dinanzi alla bruttura del vizio, ma è anche l’esito dei COLORES RETORICI alla ricerca di un connubio tra forma e contenuto capace di impressionare. Così nel brano proposto tratto dal V libro “Un’umiliazione gratuita” è presentata l’imbarazzante situazione, tramite un invito a cena, del cliens disposto a vendere la sua dignità per un tozzo di pane e lo sprezzante atteggiamento del potente che gode nell’umiliarlo. Il color retorico è qui nel parodico accostamento tra il registro tipico della discussione filosofica e il meno solenne tozzo di pane cui tende il cliens. La Satira VI è interamente dedicata alla denuncia del malcostume e della vanità delle donne romane. Per Giovenale il mito non è oggetto di poesia, ma può diventare termine di paragone ideale: Domiziano è implicitamente assimilato all’incestuoso Edipo della tragedia per aver avuto una relazione con la nipote. La produzione più recente di Giovenale (Satire VIII-XVI) ha un timbro differente: alla indignatio del primo Giovenale fa seguito l’opzione letteraria per il riso, arma con cui combattere vizi e passioni. STILE: è plasmato su quello della tradizione satirica romana e della preparazione retorica del poeta: frequenti figure di pensiero e di stile dalla climax all’antitesi e alla ripetizione, e notevole uso di sentientiae. LIBRO IV LIBRO V 10 l’oratoria moderna, Messalla invece si sofferma sul declino di quest’ultima. Materno invita ciascuno a godere dei vantaggi del proprio tempo, senza dire male di altri tempi, e chiude la conversazione rinviando allusivamente alla pace garantita dall’optimus Traiano. Le Storie Le Storie constano, secondo Girolamo, di 30 libri. L’inizio delle Storie, in linea con le norme del genere annalistico, è fissato al 1° Gennaio del 69, a morte di Nerone ormai avvenuta; Tacito doveva giungere al 96, anno della morte di Domiziano. L’atteggiamento con cui si pone di fronte agli avvenimenti è “senza amore né odio”, con cui prende le distanze da quegli storici del principato che prima di lui scrissero con ignoranza, adulazione o dispregio, senza curarsi della posterità. Tacito fu senz’altro testimone diretto di almeno parte delle vicende riferite ed ebbe modo di ascoltare personaggi impegnati, da Agricola a Virginio Rufo, per non parlare degli stessi protagonisti del Dialogus. Le fonti dovettero essere varie, come egli stesso lascia intendere. Tra gli autori possiamo annoverare Vipstano Messalla e Plinio il Vecchio, autore di Historiae perdute, che aggiornavano l’opera del predecessore Aufidio Basso. Accanto a reminiscenze liviane si riscontrano paralleli con Svetonio e storici greci più o meno contemporanei, che condivisero le sue stesse fonti. Come procede Tacito? Fa una cernita dei dati acquisiti, sceglie la fonte più attendibile, corregge gli elementi poco credibili ed esclude quelli secondari. Nel suo programma decide di risalire agli eventi drammatici del 69, riproducendoli fedelmente e in linea con la trattazione annalistica, ma soprattutto una scelta atta a fare luce sulla problematicità del presente. In questa operazione egli si mostrerà sempre attento a cogliere i sentimenti, i moti, le reazioni psicologiche degli individui, i meccanismi collettivi e i rapporti di potere, nella ricerca delle cause più vere e nascoste degli eventi. Tematica centrale dell’opera è la stabilità dell’impero, messa a repentaglio dalle continue guerre civili; di qui la necessità di un RECTOR che desse garanzia e tutela di pace interna ed esterna. L’affermazione del principato apriva il problema della successione al potere e della limitazione della libertas tradizionale; il discorso di Galba a Pisone è espressione di un’ideologia aperta alle istanze della nobiltas, che trova la sua applicazione diretta nella successione di Traiano a Nerva per via extradinastica: nel brano proposto sul discorso dell’imperatore, vi è come da tradizione un exordium in cui sottolinea proprio tale concetto; segue la ricostruzione dei fatti, in cui sono giustificate le ragioni di Galba dell’adozione col riferimento alle straordinarie capacità di Pisone e al suo amore per la patria. Poi vi è la tractatio, che si avvale di argomenti propri delle tre categorie della retorica (dignum, honestium, utile); e infine la conclusione che si configura come una vera e propria amplificatio: Galba richiama l’attenzione sulla bontà di un criterio che selezione in base alle qualità del successore, il quale dovrà tenere a mente di trovarsi ad esercitare il potere su uomini che non possono accettare né la piena servitù né la totale libertà. Grande è l’efficacia e la nettezza di tratti con cui Tacito profila le figure dei grandi e dei potenti, sia nel male sia nel bene; ovvia è la speranza di avere come re medium un buon imperatore; ma se così non fosse, meglio tollerarlo. Non auspicabili sono le insurrezioni. Tacito sa bene che fondamentale è il successo riscosso presso le masse: per questo egli si volge con sguardo pieno di disprezzo verso il vulnus, avvezzo ai teatri, facile da accattivarsi nella sua stoltezza, indolente, volto a adulare il nuovo tiranno. Vittima di sarcasmo sono anche i soldati e il senato, visti come promotori di valori negativi quali lassismo, luxuria e depravazione. 11 Gli Annali Ultima impresa letteraria, dal titolo “Ab excessu divi Augusti libri” (Libri a partire dalla morte del divo Augusto), più nota come Annales, è in 16 libri. Con questo progetto Tacito si ricollega a una tradizione di riflessione storica e politica ostile al principato e ai suoi rappresentanti, sulla quale innesta una personale vena moralistica e l’amarezza di chi ha ben presente il declino di Roma. Egli attinse a una tradizione vasta: Fabio Rustico, Cluvio Rufo, Plinio il Vecchio, Aufidio Basso, Caio Fannio e Seneca Retore, i discorsi e le memorie degli imperatori e anche notizie sulla tradizione orale. Il risultato è una tragica riflessione sulla storia di Roma, che diviene storia di individui, segnatamente degli imperatori Giulio-Claudii, accomunati da una progressiva degenerazione. Tiberio riveste la figura del tiranno ipocrita, ambiguo e perverso; all’inizio esibisce moderatio e liberalitas, apparendo così rispettoso del senato e nemico dell’adulazione; ma poi rivela una crudeltà sempre crescente. Il resoconto del principato di Caligola non ci è pervenuto. La storia di Claudio è quella di un imperatore debole e indolente, succube dei liberti e delle mogli, un uomo dall’animo rude e scontroso; dedito agli studi e impegnato in questioni amministrative e culturali, anch’egli subisce una progressiva degenerazione, marcata dalle nozze con la nipote Agrippina Minore. Nerone, dopo una fase iniziale in cui esercitò il potere nel rispetto del senato, manifestò la sua natura criminale con comportamenti dissoluti, scandali e uccisioni, prima tra tutte quella di Britannico e poi di Agrippina; è mostro di ferocia e istrionismo. Lo storico mette in luce le tare psichiche di Nerone e il giusto criminale; la corte imperiale è palcoscenico di autentici drammi, ai quali non manca alcun genere di efferatezza, fino alla negazione dei valori sacrosanti, come il legame di sangue fra madre e figlio: Nel brano proposto, “La morte di Agrippina”, il matricidio di Nerone è presentato come una tragedia degli affetti calpestati, con personaggi che recitano prime e seconde parti. La scena si apre con Agrippina naufragata, su cui si riversa la massa anonima curiosa. Agrippina, scampata all’insidia del figlio, si mostra donna astuta ed esperta quando giunge alla conclusione che l’unica soluzione per scampare alle insidie sia far finta di non comprendere l’accaduto, e così manda un liberto ad annunziare a Nerone di essere scampata da un grave incidente. Ostenta falsa serenità, si medica le ferite e cerca di riprendersi. Nerone, nel mentre, è in ansia per una possibile vendetta da parte della donna e inscena un falso attentato contro la sua persona. Così viene coperto il matricidio, che il liberto attua con fredda determinazione. Si crea un’atmosfera di abbandono in cui Agrippina riflette sulla propria solitudine, consapevole della fine ormai prossima. L’uscita di scena dell’ultima ancella segna l’intensificarsi dell’angoscia della vittima e infine, perduta ogni speranza, la donna ha un estremo sussulto di fierezza quando chiede ai carnefici di colpirla al ventre, lo stesso che ha generato Nerone. Per Tacito la crisi di quell’epoca si misura: - Nell’incapacità di iniziativa da parte di una classe dirigente malvista dagli imperatori, che preferiscono affidarsi ai liberti; - Il senato, nel quadro degli equilibri politici, assume atteggiamenti ambigui, sino a giungere all’adulazione; - Il volgo, incostante e pronto a credere a qualsiasi cosa; 12 - Infine, l’attività dello storico non ha alcuna efficacia, soprattutto perché dopo i disastri delle guerre civili è impossibile ritornare alla repubblica. Perciò Tacito sa che la sua materia non riuscirà dilettevole e potrà suscitare risentimenti, ma ritiene che essa porterà giovamento nella rivalutazione dei più profondi nessi causali degli eventi. Nel solco di una tradizione che vede nell’utilitas il fine della scrittura della storia, Tacito propone esempi di virtus, perché è compito dello storico preservare dall’oblio le azioni virtuose: accanto agli ambiziosi Seiano e Tigellino, alla dissoluta Messalina, ad Agrippina troviamo la positiva moderazione di un Emilio Lepido, oppure la forza d’animo della moglie del ribelle germanico Arminio, che non piange e non si umilia nella supplica. All’esaltazione della virtus si presta in modo particolare l’exitus, il momento supremo della morte, in grado di riscattare una vita e darle nuovo significato. La posizione dello storico di fronte agli atteggiamenti di aperto dissenso e opposizione non è comunque netta: se da una parte rende onore alla morte di Trasea Peto, dall’altra giudica politicamente infelice il suo gesto plateale di andarsene dal senato mentre i colleghi rendevano omaggio a Nerone, creando per sé una ragione di pericolo senza che ciò comportasse per gli altri un principio di libertà. Gli orizzonti mentali di Tacito non sono ristretti: egli sa infrangere i vincoli della struttura annalistica incorporando ampie riflessioni su temi di vivo interesse e sulle istituzioni politiche. La sua simpatia va ai valorosi condotteri cui si devono i trionfi di Roma, come Germanico e il valente Corbulone, mentre non approva le cautele di Tiberio in politica estera. Vigile e attento, Tacito continua ad interrogarsi sui fatti e lascia percepire uno scorrere del tempo verso il male, in una visione della vita che si chiude in un cupo pessimismo e con una profonda sfiducia nell’aspetto costituzionale, in cui perfino le leggi sono soggette alla decadenza. Lingua e stile Arcaismi, forme poetiche, asindeti, ellissi, paratassi, iperbati, antitesi, brevitas. 15 SVETONIO La vita Caio Svetonio Tranquillo nacque intorno al 70 e morì dopo il 122, apparteneva a una famiglia equestre non particolarmente agiata. Plinio lo definì eruditissimus vir e la sua dimestichezza con i libri è testimoniata da un’epigrafe scoperta in un foro in cui sono menzionati i suoi incarichi: responsabile delle sette biblioteche pubbliche di Roma, sovrintendente dell’archivio imperiale, capo della cancelleria imperiale. A un certo punto abbandonò la corte e si ritirò a vita privata. Le opere L’intera produzione svetoniana è improntata a spirito erudito e di catalogazione e trova frutto più ricco e significativo nelle Vite dei Cesari; in lavori perduti si occupò di problematiche relative alle edizioni dei testi; si interessò di termini ingiuriosi attestati in letteratura e di giochi tradizionali, di feste, di calendario, di usi e costumi, di celebri cortigiane. Scrisse un’opera dedicata ai sovrani d’Asia, Europa e Africa. Il De viris illustribus è una meticolosa attività d’archivio. Nel campo della biografia era molto famoso, la sua particolarità era il carattere ‘realistico’ a cui le approntava, fornendo una grande quantità di testimonianze, spesso anche pettegolezzi. Il De viris illustribus L’opera doveva abbracciare almeno cinque sezioni, dedicate rispettivamente a grammatici e retori, a poeti, a oratori, a storici, a filosofi: sopravvive integra solo la prima di questa, che comprende 20 brevissime vite di grammatici e 5 di retori romani. La parte dedicata ai grammatici esibisce una serie di luoghi comuni letterari, tra cui quello del maestro mal retribuito, eccessivamente pieno di sé, o che maschera un’apparenza rispettabile di studioso. Riguardo alla retorica, Svetonio afferma che essa fu dapprima ostacolata, ma ci si rese poi conto della sua utilità quando si trattava di esporre i propri argomenti o di confutare quelli altrui: tra i retori più significativi abbiamo Lucio Voltacilio Pluto, Marco Epidio, Marco Fabio Quintiliano. Il resto dell’opera è parzialmente ricostruibile per via indiretta grazie ad autori come Girolamo. Lo schema era pressoché costante, e comprendeva notizie su origine e nascita, particolarità fisiche e caratteriali, successi e amicizie, elenco delle opere e aneddoti, anche piccanti. 16 Le biografie degli imperatori L’opera maggiore di Svetonio è rappresentata dalle Vite dei Cesari. Essa si articola in 8 libri, che comprendono 12 biografie, cosi disposte: Cesare, Augusto, Tiberio, Caligola, Claudio, Nerone, Galba, Otone, Vitellio, Vespasiano + Tito + Domiziano. La raccolta era dedicata al prefetto Setticio Claro. La parte iniziale dell’opera – proemio, dedica e principio della Vita di Cesare – non si è conservata fino a noi. Alcune Vite, come quelle di Cesare o di Augusto, sono più corpose delle successive: è possibile che, andando avanti col lavoro, Svetonio abbia avuto difficoltà ad accedere alle fonti documentarie. Ogni biografia prende avvio con una sorta di “sommario”, una scheda anagrafica con i dati relativi alla famiglia dell’imperatore, all’anno e al luogo di nascita, ai prodigi che accompagnarono l’evento; seguono poi notizie sugli anni della fanciullezza e dell’adolescenza, fino al momento in cui il personaggio arriva al potere. A questo punto, l’andamento cronologico si interrompe, lasciando il campo a una serie di “rubriche” che fanno luce sul pubblico e sul privato dell’imperatore (imprese militari, leggi promulgate, vita matrimoniale e sessuali, costituzione fisica, carattere). Questo metodo – per species (rubriche), favorisce una ricca descrizione di singoli aspetti della vita del personaggio, ma nuoce a una visione d’insieme sulla sua personalità; infatti si perde la valutazione globale dell’incidenza dell’imperatore sul governo della potenza romana. In conclusione, poi, la biografia riprende l’originale andamento cronologico: si dà la notizia della morte dell’imperatore, delle esequie, del testamento. Svetonio ritiene che un buon princeps debba avere certe caratteristiche: la clementia, la liberalitas, la parsimonia, la severitas. Lingua e stile - Sobrietà espressiva. 17 I MINORI I POETAE NOVELLI Scuola poetica latina, che sarebbe fiorita a Roma nel II secolo d.C., precisamente all'epoca dell'imperatore Adriano (117-138), autore egli stesso di componimenti raccolti sotto questa scuola. La loro poesia è raffinata, di matrice ellenistica, fatta di immagini ricercate e graziose, dal sentimento lieve e superficiale. In campo metrico, vanno alla ricerca di soluzioni originali: accanto a sistemi anapestici e giambici, a coriambi e gliconei, troviamo distici reciproci o falisci. Di questa significativa esperienza poetica conserviamo scarsi frammenti. Tra i novelli possiamo annoverare: ANNIANO, autore di Falisca e Fescennini; SETTIMIO SERENO, autore di Opuscula ruralia; ALFIO AVITO; FLORO. Alcuni studiosi assegnano a questa cerchia di poeti il poemetto Pervigilium Veneris. ADRIANO Assetato di sapere, Adriano amò circondarsi di filosofi, grammatici, artisti e fu egli stesso poeta, filosofo e scrittore sia in greco che latino, riflesso di un’epoca in cui questi due mondi vanno progressivamente confondendosi. FLORO Fu in rapporti amichevoli con Adriano. A lui vengono attribuiti un dialoghetto mutilo (Virgilio oratore o poeta) su un tema scolastico, da cui apprendiamo che era africano, e l’Epitoma, una sintesi dell’immensa storia liviana. L’opera di Floro non si segnala soltanto perché mostra una forma alterna va rispetto all’annalistica o alla monografia, ma anche per l’adozione del modello cosiddetto biologico per spiegare la storia di Roma, che è assimilata al processo di sviluppo e di crescita di un essere vivente: all’infanzia di Roma (la monarchia) segue l’adolescenza (la prima repubblica), quindi la iuventas che culmina con la pace di Augusto, e poi la senectus, il declino, con i primi imperatori. A rigor di logica, la decadenza dovrebbe continuare progressivamente, ma Floro è ottimista nei riguardi del riassetto politico amministrativo proposto da Traiano e Adriano. Lo stile di Floro tende alla semplicità e alla linearità suggerite dalla forma compendiaria, ma non è piattamente uniforme: le descrizioni di paesaggi fanno trasparire un’intonazione lirica, le scene belliche possono prendere un colorito epico. Dal dettato di Floro non sono assenti gli ornamenti della retorica. 20 APULEIO La vita Africano d’origine (di Madaura). Fu viaggiatore instancabile. A Cartagine sposò la ricca Pudentilla: i suoi parenti lo accusarono di averla stregata per farsi sposare. Apuleio si difese con l’abilità di un consumato avvocato, alternando un fine senso dell’umorismo a una veemenza forense, degna del miglior Cicerone, e ottenne l’assoluzione. La produzione letteraria Poliglotta, Apuleio scrisse in greco e in latino i più svariati argomenti e si cimentò anche nella poesia, ma gran parte di questa produzione non si è conservata fino noi. I componimenti in versi sono quasi completamente perduti, a eccezione di pochi resti dei Carmina e dei Ludicra incorporati nell’Apologia. Dall’elenco delle opere in prosa possiamo farci un’idea della vastità dei suoi interessi scientifici ed eruditi. Sono invece giunti fino a noi alcuni scritti di carattere filosofico. Gli scritti filosofici De mundo, parafrasi del Sul Mondo aristotelico e il De Platone, trattatello sulla filosofia platonica (lui amava definirsi un Platonicus). Il primo è un chiaro esempio della tendenza medio-platonica ad appropriarsi delle teorie fisiche e naturalistiche dell’aristotelismo, conciliandole con l’indagine teologica e con l’idea di un determinismo di impronta stoica. Il De Platone compendia in 2 libri le teorie fisiche ed etiche di Platone. Il De deo Socratis offre una dettagliata rassegna del pensiero degli antichi su quest’argomento: i demoni appaiono come esseri che svolgono un’azione mediatrice tra il mondo degli uomini e quello degli dei, per fare dell’universo un continuum di vita e di esperienze, popolato da presenze attive ed operanti, pur invisibili per l’uomo. Le opere oratorie Sotto il titolo di Florida troviamo raccolti in forma antologica i pezzi più brillanti estratti da conferenze cartaginesi: sono 23 brani di varia estensione che mostrano la vena creativa del neosofista Apuleio. Egli affronta vari argomenti, ricorrendo ad una prosa traboccante di artifici retorici per tenere viva l’attenzione del pubblico: accanto agli elogi di persone e cose troviamo aneddoti storici, mitologici, etnografici e moraleggianti attinti al repertorio della prassi declamatoria. L’Apologia è l’unica arringa tramandataci dall’età imperiale, un’epoca in cui le autentiche orazioni giudiziarie avevano perduto interesse letterario a vantaggio delle controversiae scolastiche; l’orazione, suddivisa in due libri, rielabora il discorso pronunciato in occasione del processo per magia dell’anno 158, e costituisce una prova indiretta della vittoria di Apuleio, che difficilmente avrebbe pubblicato un’arringa risultata fallimentare. Sul piano strettamente giudiziale la difesa di Apuleio è convincente. Procedendo in ordine di crescente gravità, egli prima ridicolizza le accuse di minore 21 importanza (lo accusano di portare i capelli lunghi per vanità), quindi passa a confutare l’accusa di maggior rilievo, quella di aver operato sortilegi su Ponziano e sua madre. Riesce a dimostrare che nessun interesse economico avrebbe potuto spingerlo a sedurre la donna per poi liberarsi di lei o dei legittimi eredi del suo patrimonio. L’accusa ci presenta Apuleio nelle vesti di un mago. L’atteggiamento ambiguo assunto nel discorso di autodifesa non ci aiuta a capire: da un lato rifiuta con fermezza l’accusa di magia, dall’altra non nega di essere stato iniziato a numerosi culti misterici e di essere un esperto di demonologia. Forse non riusciva ad operare una distinzione tra tali ambiti. Il romanzo delle Metamorfosi Note col duplice titolo Metamorphoseon libri e Asinus aureus, le Metamorfosi constano di 11 libri, unico romanzo latino pervenutoci nella sua interezza. La storia del protagonista Lucio mutato in asino ha paralleli nella tradizione letteraria e rientra negli schemi della favola di ogni tempo. Un uomo di nome Lucio, trasformato in asino a causa di un’errata pratica di magia e costretto a una lunga serie di peripezie, costituisce il tema anche di un breve romanzo in lingua greca, Lucio o l’asino, conservato tra gli scritti di Luciano, ma di dubbia autenticità. Che l’intreccio di base non fosse originale è riconosciuto dallo stesso autore, infatti ci dice che sta per narrare una FABULAM GRAECANICAM. La varietà dei motivi, dei personaggi e delle storie da loro narrate si organizzano in una struttura lineare: il racconto-cornice che vede agire il personaggio di Lucio prima come uomo e poi come asino, procede secondo l’ordine degli avvenimenti e accoglie in sé fabulae anche lunghe, come quella di Amore e Psiche, che scandiscono le tappe dell’evoluzione spirituale del protagonista, dalla curiositas per la magia alla presa di coscienza della negatività dei delitti e degli eccessi sessuali, che prelude alla purificazione finale. Lucio, il protagonista, è un giovane greco di buona famiglia, discendente da Plutarco. Sviluppa sin da subito una certa curiositas verso la magia. Giunto a Ipata, anche Birrena, sua parente, lo mette in guardia dai pericoli di quest’ultima. Lucio, che alloggia in casa di Milone, entra in intimità con la schiava Fotide, che una sera gli annuncia l’imminente trasformazione in uccello della sua padrona Panfila, potentissima maga. Lucio la spia di nascosto, poi chiede alla serva di aiutare a sperimentare questa sbalorditiva magia. Spalmatosi l’unguento (sbagliato), Lucio diventa un asino. Fotide, desolata, rassicura il malcapitato che l’indomani gli farà mangiare delle rose, come antidoto. Però un gruppo di briganti rapisce l’asino (Lucio) e lo trascina fino al proprio covo. In posizione centrale del romanzo si colloca la fabula più importante, quella di Amore e Psiche. Indispettita dalla bellezza di Psiche, Venere decide di punire la fanciulla e chiede al figlio Amore di darla in sposa all’uomo più povero della terra. Invaghitosi di lei, Amore decide di trasgredire l’ordine materno e fa sì che la fanciulla giunga in un palazzo incantato dove, col favore delle tenebre, la raggiunge per unirsi a lei. Una notte Psiche decide di ignorare l’ordine impartitole da Amore di non voler mai conoscere la sua identità. Accosta quindi una lucerna al suo volto, ma Amore, colpito da una goccia di olio bollente, si sveglia e abbandona Psiche. Lucio cerca di fuggire ma viene catturato. In seguito, l’asino verrà acquistato da un pasticciere, e diventerà un fenomeno da baraccone. Liberatosi anche di questo “problema”, Lucio giunge al porto di Cencrea, dove immerge 7 volte la testa 22 nelle onde (cosa non casuale, rimanda alla concezione pitagorica che vedeva nel numero sette qualcosa di magico). La notte stessa gli appare in sogno la dea Iside, che lo rassicura sulla sua imminente metamorfosi in uomo: l’indomani si terrà una processione in suo onore ed egli dovrà accostarsi al sacerdote e mangiare tutte le rose della corona appesa al sistro di bronzo, così da tornare uomo. Tutto avviene come predetto e Lucio diviene seguace della dea Iside, primo passo verso l’iniziazione ai misteri di Osiride. Le Metamorfosi si caratterizzano per la compresenza di due livelli di lettura: il primo, più superficiale, mora a un brillante intrattenimento del lettore, con la comicità implicita nell’ambiguità duomo-asino del protagonista; l’altro è più profondo, e riguarda l’interpretazione complessiva del percorso esistenziale di Lucio e appare strettamente connesso ai culti misterici delle divinità orientali, che proprio nel II secolo andavano affermandosi nel territorio dell’impero. La dimensione religiosa è importante per tutta l’opera; le peripezie di Lucio mutato in asino alludono al travagliato cammino dell’anima, costretta ad affrontare nel corso della sua esistenza terrena innumerevoli prove che la separano dalla condizione di massima purezza. 25 IL CONTESTO STORICO I severi Alla morte di Commodo una nuova dinastia prese il potere a Roma, e la famiglia desideri che governo quasi ininterrottamente dal 193 al 235. Il primo imperatore espresso da questa James Settimo Severo, governatore della Pannonia che gli eserciti della Regione danubiana avevano acclamato imperatore di propria iniziativa. Questo è il periodo in cui cresce l'importanza dell'esercito, per il cui mantenimento viene introdotta una gravosa annona militare. Tutti gli imperatori della dinastia dei Severi, Da Settimo Severo a Severo Alessandro, salgono al trono in seguito a pronunciamenti militari, mentre il Senato viene epurato dei membri meno favorevoli all'imperatore è integrato con numerosi funzionari di Rango equestre, che spesso vengono dalle province. Sotto i Severi bien enunciazione della Costituzione Antoniana, che concedeva la cittadinanza Romana a tutte le persone libera sul territorio dell'impero. La crisi del terzo secolo L'instabile dominio dei Severi Prelude a un cinquantennio di anarchia militare, durante il quale si succedettero 28 imperatori provenienti tutti dall'esercito punto il loro potere fu sempre precario, alcuni non riusciranno neppure a mettere piede a Roma è soltanto uno morire di morte naturale. Questo periodo porto alla scissione del Imperium galliarum e del regno di Palmira in Oriente punto la situazione portò alla fortificazione della città di Roma con l'innalzamento delle Mura aureliane. Mentre a occidente premevano i popoli germanici, Oriente Roma dovette affrontare i parti. Instabilità politica e la crisi militare Ebbero inevitabili ripercussioni sul piano economico e sociale, tra i fenomeni più significativi Ricordiamo lo spopolamento delle Campagne, la progressiva sostituzione della manodopera servile con coloni liberi, la riduzione dei commerci. Nessuna istituzione era in grado di contrastare il ruolo crescente dell'esercito punto nel IV secolo la stratificazione della società prese forme via via più rigide e lo Stato tentò con una serie di provvedimenti di rendere fissa ed ereditaria la funzione dei singoli, bloccando di fatto la mobilità sociale. Diocleziano Un vasto progetto di riorganizzazione dell'impero fu avviato da Diocleziano, imperatore di origine dalmata. Eli riparti il territorio in province, Allora volta suddivise in diocesi e prefettura, affidate a funzionari dipendenti dal potere centrale punto ciò provocò lo sviluppo di un sito privilegiato, quello dei burocrati. A lui, Inoltre, si deve l'introduzione della tetrarchia, cioè il potere A4: l'impero fu diviso in una parte orientale è una occidentale, a capo di ciascuna delle quali fu posto un Augusto affiancato da un Cesare. In questo modo Diocleziano intendeva creare quattro centri di potere, con 4 capitali: Treviri, Milano, Sirmio, e nicomedia. In campo religioso avvio l'ultima delle persecuzioni su larga scala contro i cristiani. 26 L inquietudine religiosa Le difficoltà economiche, militari e politiche e provocarono una sfiducia è un incertezza generalizzata, cui la religione tradizionale non era in grado di offrire un rimedio due punti di qui la ricerca di una nuova spiritualità che trova espressione in vari culti punto in concorrenza con il cristianesimo trovo spazio il manicheismo, un culto di Forte presa Popolare, di origine orientale, che proponeva la lotta tra la potenza benevola di un Dio della luce e la forza maligna di un Dio delle tenebre. Si diffusero anche i culti misterici è la filosofia neoplatonica di Plotino e del suo discepolo Porfirio. Il IV secolo Alla morte di Costanzo Cloro le truppe della Bretagna acclamarono Augusto in Occidente suo figlio Costantino. Questo sconfisse più tardi anche la Augusto d'Oriente. Nonostante questo il quarto secolo fu per Roma un secolo di ripresa, Principalmente perché Costantino consolidò il ruolo della burocrazia che, insieme all'esercito, costituiva la struttura portante dell'impero. A Costantino è legata Una svolta epocale nella storia del Cristianesimo, è lì era Cristiano e concesse la libertà di culto ai cristiani. Alla sua morte ci furono una serie di lotte durate per 16 anni fino a quando non venne ha chiamato Costanzo II, uno dei suoi figli. Teodosio Negli ultimi anni del secolo il trono dell'oriente ho affidato al Valente generale Teodosio. Considerate le difficoltà di una difesa a oltranza dei Confini, e li consentire barbari distanziarsi In alcune zone del territorio Romano per ridurre i motivi di conflittualità; D'altra parte, molti effettivi dell'esercito Romano erano di origine Barbara e il processo di cristianizzazione avviato anche presso queste popolazioni le rendeva più facilmente assimilabili. Con l'Editto di tessalonica Teodosio dichiarò il cristianesimo religione ufficiale dell'impero, con l'Editto di Costantinopoli bietola celebrazione pubblica di riti Pagani e nel 393 decretò la fine dei giochi olimpici. Alla sua morte l'oriente o affidato al figlio maggiore Arcadio e l'occidente fu affidato a Onorio, di soli 11 anni è seguito da Stilicone. Da questo momento i destini delle due parti dell'impero seguirono strade diverse: l'oriente era più compatto è organizzato mentre l'occidente crollò sotto la pressione dei Barbari. Dopo la morte di silicone, non fu più possibile fermare le invasioni, Infatti il visigoto Alarico riesci a mettere a sacco Roma segnando definitivamente la fine del l'idea di una Roma e di un impero invincibili. La fine dell’impero d occidente Alla morte di Onorio, l'impero d'occidente andava ormai disgregandosi. Le prime a essere occupate furono le aree periferiche. La debolezza del potere centrale, l'atteggiamento accondiscendente dei proprietari terrieri che non esitarono a scendere a Patti con gli invasori, l'imbarbarimento dell'esercito porto a dei cambiamenti radicali, e di conseguenza Roma cadde sotto un secondo saccheggio a Opera dei vandali di Genserico punto nei vent'anni successivi il trono fu soggetto alla volontà dei capi Barbarisi, finché nel 476 le truppe germaniche, insoddisfatte, deposero l'ultimo imperatore, Romolo Augustolo, sostituendolo con il loro capo Odoacre. 27 LA LETTERATURA TRA IL III E IL IV SECOLO ANTHOLOGIA LATINA Con il titolo complessivo di antologia Latina si usa indicare una raccolta di poesie diverse per carattere, contenuto, estensione e cronologia. In tale repertorio figurano in particolare, Accanto agli epigrammi del filosofo Seneca, componimenti di Reposiano, Pentasodio, Vespa e altri. Essa rappresenta un importante Fonte per la poesia romana del tardo impero. LA POESIA Della produzione Pagana del terzo secolo è difficile seguire gli sviluppi, essendo poche e di datazione incerta le testimonianze a nostra disposizione. Nell'ambito della produzione poetica si sviluppano due tendenze: 1, accentuando il gusto dei Poeti Novelli di età Antoniana, sperimenta ardite tecniche di versificazione; l'altra, definita neoclassica, riprende modelli e generi della letteratura dei secoli precedenti. Il maggior rappresentante dello sperimentalismo tecnico fu Porfirio. Di lui ci è giunta una raccolta di Carmi dedicata a Costantino intitolata Panegyricus. Altro esponente della moda poetica virtuosistica è Pentadio, di cui conserviamo 4 epigrammi in distici elegiaci detti Ecoici. A questa poesia si riconnettono anche i Centoni, composizioni costituite da versi O parti di versi di altri autori punto la denominazione deriva dalla parola 100, che indica un abito o una coperta composte di pezzi di stoffa cuciti assieme punto per il terzo secolo il prodotto più significativo e la tragedia Medea del poeta africano Geta. Alla tendenza neoclassica va ricondotto invece Reposiano, autore del De concubitus Martis et Veneris. Ricordiamo poi il Pervigilium veneris, un poemetto di autore ignoto ricco di echi catulliani e lucreziani, che celebra il potere magico di Venere, l'amore è il ritorno della Primavera. Centrale è il tema della Rosa che sboccia, simbolo della giovinezza e della sua breve durata. LA PROSA La produzione in prosa e più cospicua rispetto a quelle inversi, è finalizzata a un uso pratico in conseguenza della crescita di importanza e del migliore funzionamento delle scuola.fi grammatici segnaliamo Giulio Romano, autore di Trattati perduti sulle parti del discorso, i casi, l'ortografia. Ricordiamo di Mario Plozio sacerdote Lars grammatica. In questa epoca prosperarono gli studi di diritto, tra i più importanti Giuristi ricordiamo Papiniano, Ulpiano, Giulio Paolo. Il primo è autore delle Questiones in 37 libri e dei Responsa in 19 libri 30 LA POESIA TRA IL IV E IL V SECOLO RUTILIO NAMAZIANO L’unica opera di cui si abbia notizia è il De redito suo, poema in distici elegiaci che descrive il viaggio del poeta dall’Italia alla Gallia. Appartiene al genere della letteratura odeporica o di viaggio, che aveva insigni precedenti nell’Iter Siculum di Lucilio, nell’Iter Brundisinum di Orazio, nella descrizione del viaggio di Ovidio a Tomi, nella Mosella di Ausonio. L’opera si apre con un elogio della città eterna e la richiesta di un felice viaggio di ritorno. La narrazione del viaggio è solo un pretesto letterario, una cornice narrativa entro la quale si collocano osservazioni di carattere antiquario, riflessioni del mito, riflessioni sulla realtà politica/sociale/religiosa del tempo. Il motivo conduttore del De redito suo è l’esaltazione di Roma come simbolo di vita e giustizia, come città che splende per la bellezza dei suoi monumenti, prospera per il suo clima temperato e parla al cuore dei visitatori con la grandezza della sua storia. Tutta l’opera appare nostalgicamente tesa al recupero del grande passato di Roma. La sua venerazione lo spinge ad assumere atteggiamenti critici anche nei confronti del cristianesimo, che propone modelli di comportamento e valori alternativi a quelli tradizionali, disgregando la società e sottraendo forze giovani alla lotta contro l’invasore. A livello stilistico, frequente è l’uso di parallelismi ed antitesi, di allitterazioni e assonanze; limitato è l’uso dell’enjambement. POETI MINORI Tiberiano fu autore di 4 componimenti poetici tramantadi nell’Anthologia Latina: uno è la descrizione di un paesaggio agreste in tetramenti trocaici catalletici, gli altri sono carmi moraleggianti. Abbiamo anche Avieno, autore di Aratus, parafrasi in 1325 dei Fenomeni di Arato; a Naucellio sono attribuiti alcuni componimenti della raccolta nota come Epigrammata Bobiensia, costituita da 72 poesie perlopiù in distici elegiaci. Ad Aviano è attribuita una raccolta di 42 favole in distici elegiaci scritta nel 430 circa e dedicata a un certo Teodosio. Il teatro (Leggi sul manuale, pag. 903) ………………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………………… …………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………………… …………………………………………………………………………………………………………… 31 Ammiano Marcellino e la tarda storiografia pagana I RERUM GESTARUM LIBRI XXXI Sono l’ideale continuazione delle Storie di Tacito, sebbene l’autore non lo affermi esplicitamente, e descrivono le vicende dell’impero romano dal principato di Nerva alla morte dell’imperatore Valente ad Adrianopoli per l’oriente, alla morte di Valentiniano I per l’Occidente. I libri I-XIII, che arrivavano fino all’anno 352, sono andati perduti, ma è probabile che in essi siano stati affrontati per sommi capi gli eventi storici sino alla morte di Costantino (337). Nei libri che restano (XIV–XXXI) Ammiano affronta il periodo più recente, a partire dal 353, anno della vittoria dell’imperatore Costanzo sull’usurpatore Magnenzio. Molto spazio è dedicato a Giuliano l’Apostata. La disposizione della materia segue un ordine cronologico, anche se non annalistico, in quanto l’estensione dell’impero costringe a procedere in base ai teatri d’azione. Per quanto concerne le fonti, è difficile individuarle con precisione in quanto l’opera si presenta come un mosaico di notizie desunte da documenti degli archivi statali, leggi ed editti, discorsi di imperatori, opere letterarie. IL METODO STORIOGRAFICO DI AMMIANO Il metodo storiografico di Ammiano è stato più volte accostato a quello di Tacito: narrare la storia con verità, obiettività e imparzialità, anche se spesso non riesce in questo intento. La sua ideologia filosenatoria lo porta, infatti, a tratteggiare negativamente la figura e l’opera di imperatori che furono ostili alla classe senatoriale. Di contro, il ritratto di Giuliano sembra falsato in positivo. Predilige la brevitas e, come Tacito, si pone in difesa delle idee politiche e delle tradizioni culturali dell’aristocrazia; ha una concezione pessimistica della storia, che ritiene governata da entità sovrannaturali, come la Fortuna e il Fato, e da forze irrazionali, magiche e demoniache. Concezione alimentata da intrighi di potere e corruzione, precaria condizione economica delle province, diffusone di pratiche magiche, costante minaccia dei barbari. Sottolineiamo, però, che tra i due vi è il grande solco del narrare due realtà storiche diverse; Tacito difende un’aristocrazia che detiene un grande potere al suo tempo, mentre nel tempo di Ammiano il senato è ormai prossimo al tramonto. Pertanto la storiografia ammianea appare inseguire ideali non più proponibili, e assume caratteri di universalità. In linea con la storiografia del suo tempo appaiono invece la CURIOSITAS ANEDDOTICA e la tendenza al ROMANZESCO. Ultimo dei grandi storici di Roma, Ammiano ha un modo di narrare pieno di fascino, accresciuto anche dal gran numero di digressione di carattere erudito, soprattutto geografico. Nel disegnare i ritratti degli imperatori, segue uno schema fisso: alla narrazione delle virtù e dei vizi succede il giudizio sulle scelte di carattere politico e religioso e la descrizione dell’aspetto fisico; per quanto riguarda i loro discorsi, sono tutti stenuti da Augusti o da Cesari davanti all’esercito riunito e sono ad esso rivolti per ottenerne il consenso in situazioni di par colare gravità o solennità. 32 LINGUA E STILE Ricchezza di arcaismi, neologismi, grecismi, volgarismi. Sintassi caratterizzata da strutture complesse, come ablativo assoluto. Stile tacitiano, intriso di variatio, inconcinnitas (asimmetria) e termini poetici. STORICI MINORI EUTROPIO, retore di origine gallica, autore del Breviarum ab Urbe condita, in 10 brevi libri, in cui narra la storia di Roma dalla fondazione al 364, anno in cui morì Gioviano e salì al trono Valente; limitato è il numero degli aneddoti e dei passi descrittivi, e non vi è alcun cenno al cristianesimo. Lo stile del Breviarium è limpido e scorrevole, privo di figure retoriche artificiose. Autore di un Breviarium (rerum gesta rum populi Romani) è Rufio Festo, un sintetico compendio di storia romana che va dalla fondazione di Roma fino al 364. Celebri sono anche le Periochae di Livio, brevi riassunti della Storia di Roma: sono preziose, in quanto ci consentono di conoscere il contenuto dei libri di Livio che sono andati perduti e di ricostruire così il piano generale dell’opera. Il Liber de Caesaribus, scritto da Aurelio Vittore, tratta della storia dell’impero da Augusto all’anno che precedette la morte di Costanzo II (360); affronta la storia di Roma seguendo le biografie dei singoli imperatori, senza offrire una trattazione completa ed equilibrata, ma focalizzando l’attenzione su alcuni episodi esemplari; Vittore apprezza la politica di Diocleziono e di Costantino; tra le fonti del Liber ci sono Svetonio, Tacito e Ausonio. L’HISTORIA AUGUSTA Si tratta di una serie di 30 biografie degli imperatori romani da Adriano a Numeriano e Carino, fatta esclusione delle vite di Filippo l’Arabo, Decio, Treboniano e Emiliano e in parte Valeriano; sono riportati anche dati relativi a coreggenti e pretendenti, e forse sono andate perdute le biografie su Nerva e Traiano. L’Historia augusta si presenta come lavoro collettivo di sei autori (Lampridio, Sparziano, Vopisco, Capitolino, Gallicano, Pollione), anche se la loro esistenza non è accertata. Esistono problemi anche in termini di datazione: 361-363 o 379-395? L’ipotesi più caldeggiata è la seconda. Le biografie presentato una strutturazione svetoniana, con ricostruzione cronologica dei fatti fino al momento in cui il personaggio divenne imperatore, poi suddivisione per categorie (vita pubblica/privata, attività in guerra/pace, in patria/estero), e nell’ultima fase di vita, ritorno al criterio cronologico. Dal punto di vista storico è un’opera di scarsa attendibilità, ricca di anacronismi e incongruenze, confusione di dati ecc. Inoltre, la tendenza al parodico e all’indagine erudita, l’indugio nella descrizione di particolari di poco conto sulla vita degli imperatori, l’assenza di un fine politico e religioso, contribuiscono a fare di essa un dotto divertimento più che una vera opera storica. Un esempio di questo approccio è la biografia della regina Zenobia (vedi pag. 916). A livello stilistico, presenta una certa trascuratezza. Più interessante è l’aspetto linguistico, dato che sono presenti termini del latino tardo, colloquialismi e tecnicismi non attestati altrove. 35 La letteratura cristiana IL CRISTIANESIMO I PRIMI DOCUMENTI TERTULLIANO MINUCIO FELICE CIPRIANO GLI AUTORI CRISTIANI TRA IL IV E IL V SECOLO AMBROGIO GIROLAMO AGOSTINO LA PROSA CRISTIANA TRA IL IV E IL V SECOLO LA POESIA CRISTIANA TRA IL IV E IL V SECOLO LA POESIA CRISTIANA DEL V SECOLO 36 37 IL CRISTIANESIMO ORGANIZZAZIONE DELLE COMUNITÀ CRISTIANE Nato nella prima metà del primo secolo in Palestina in seno alla religione ebraica, il cristianesimo, grazie alla predicazione Paolina, si diffuse rapidamente nel bacino orientale del Mediterraneo in ambienti giudaico e lei si si è troppo presto anche in Occidente, nel mondo cosmopolita della capitale, fertile terreno di affermazione. Le prime comunità cristiane di lingua greca cominciano formare una rete autonomo che era solide dotata di una propria identità . All'interno di questa niente si definirlo testamento , che questi tu il base per lo sviluppo di una vera prete letteratura pressione . In seguito all'estinzione della generazione dei discepoli andarono a formarsi delle strutture comunitaria, con una propria organizzazione interna: il consiglio di anziani, i diaconi E l'assemblea della comunità trovarono, nel terzo secolo, il centro di equilibrio nella figura del vescovo. Questo si occupava della comunità, sovrintendeva alle normali se rimani di culto e dei sacramenti, amministrava le proprietà della chiesa e coordinava ambito dottrinale e disciplinare. Col tempo assunse sempre più importanza, tant'è che ricordiamo il prestigio dei vescovi di Alessandria, di Antiochia e di Lione. Fra tutte, la Chiesa di Roma assunse particolare importanza CRISTIANESIMO La nuova religione confusa all'inizio con una delle tante 7 sorte in seno alla ebraismo e perciò attrasse l'attenzione soltanto in sporadiche circostanze. Lo Stato Romano, tranne in alcune situazioni, lo toglierà Rono come una delle tante religioni Checco esistevano nel mondo romano accanto alla religione tradizionale ufficiale dello stato. Solo a partire dalla metà del III secolo, con la persecuzione di Decio, il cristianesimo comincio a essere considerato una minaccia per lo stato. Benne così formalizzata ufficialmente un ostilità che fino ad allora aveva avuto aspetto semiufficiale e personale. Il rigido credo monoteistico del Cristianesimo il rifiuto di ogni forma di omaggio alla figura dell'imperatore, che si riteneva investito del potere da Giove ottimo Massimo, avevano fatto sì che esso apparisse come un pericoloso mezzo di rottura e di sovvertimento all'ordine costituito. Le persecuzioni succedettero a ritmo notevole soprattutto nel terzo secolo. LA PROSA Quando ti considerano gli aspetti contenutistici e formali della produzione letteraria cristiana, si individuano elementi di continuità ed innovazione rispetto alla tradizione Pagana. Va ricordato che la loro formazione, almeno all'inizio, era Pagana punto il genere epistolare aveva espresso diverse sfaccettature, presso gli autori cristiani l'epistola diviene testimonianza religiosa, presentandosi Talora come un vero sermone. Non molto diverso è il rapporto di cristiani con la biografia, genere di grande fortuna sia in Grecia che a Roma. Anche in questo caso si coglie la sopravvivenza di elementi tradizionali, ma anche indirizzi diversi per le vite dei monaci, dei Santi, dei vescovi, di donne esemplari. Ne abbiamo un esempio con la vita Pauli Di Girolamo. La biografia Cristiana però non sottolinea la nobiltà dei Natali quale garanzia della bontà del percorso esistenziale, Ma la narrazione corre rapidamente verso il momento della morte, che rappresenta il ricongiungimento col signore. Uno sviluppo autonomo prende il genere dell'autobiografia che ha nelle mani di 40 TERTULLIANO Lo scrittore cristiano più importante nell’Africa di fine II – inizio III secolo è senz’ombra di dubbio Tertulliano. Di lui abbiamo notizie grazie a “Gli uomini illustri” di Girolamo. Sappiamo per esempio che si convertì in età adulta, che fosse un personaggio estremamente integralista e rude, che si fosse avvicinato alla setta dei Montanisti (cristiani con costumi austeri) e che poi avesse fondato una sua setta personale. Morì in età molto tarda, a 70 anni circa. Tertulliano è sintomo di rigidità, integralismo e chiusura. Ritiene che non ci sia proprio paragone tra cultura classica e cristiana. La seconda è un’ombra della prima. Si staccò per un breve periodo dalla dottrina cristiana per abbracciare il montanismo, fondato da un teologo turco, poiché secondo lui abbracciava meglio le sue esigenze religiose. Le opere apologetiche Ai pagani è uno squisito preludio all’opera più ampia in questo ambito, l’Apologetico. Nella prima abbiamo un’accorata difesa del cristianesimo e un attacco molto veemente al paganesimo; nella seconda invece c’è una difesa estremamente aggressiva del cristianesimo e dei cristiani, perseguitati solo ed esclusivamente perché di una religione diversa da quella dell’impero, unita alla richiesta formale di una revisione totale delle leggi vigenti. Condannare delle persone denunciate senza provare la loro colpevolezza rappresenta un crimine contro l’umanità, un qualcosa di imperdonabile. Ne La Lettera a Scapula, proconsole d’Africa e persecutore dei cristiani, Tertulliano chiederà allo stesso di porre fine a questa situazione. In La testimonianza dell’anima, Tertulliano vuole dimostrare che nell’anima umana sia innata l’idea di Dio. Le opere dogmatico-polemiche Contro Ermogene: Tertulliano difende la dottrina cristiana della creazione del mondo ad opera di Dio e va contro l’eresia di Ermogene, il quale sosteneva che il mondo derivasse alla materia. Nel Contro Marcione Tertulliano confuta la tesi dell’eretico Marcione, che riteneva che il Dio del vecchio testamento fosse inferiore a quello del nuovo, affermando che non è così, visto che si parla sempre della medesima entità divina. Nel Contro Prassea egli confuta l’eresia del teologo Prassea e difende la dottrina trinitaria, affermando che il Figlio e lo Spirito Santo non sono due entità individuali, ma due elementi dipendenti e viventi nel Padre, da cui traggono l’immagine. Introduce così i termini di trinitas e di substantia. Nelle opere dogma che (Carne di Cristo e l’Anima) sottolinea la sacralità della carne e la sua indissolubile unione con l’anima. Le opere ascetico-disciplinari Sono delle vere e proprie operette morali, in cui Tertulliano evidenzia quella che è la sua opinione a riguardo di alcuni aspetti concernenti la morale cristiana. Si parte da Il battesimo, dove si sottolinea l’importanza del sacramento e la necessità di non impartirlo ai bambini, poiché incapaci di comprendere il significato; ne I spettacoli Tertulliano si scaglia contro gli spettacoli teatrali, che costituiscono una sorta di idolatria. Questo concetto è ripreso ne La idolatria, dove egli ritiene che ogni aspetto della società sia permeata da essa, ergo per cui servirebbe isolarsi dal mondo per non 41 uscirne contaminato; ne L’abbigliamento delle donne, condanna il lusso e elogia la sobrietà delle donne. In Esortazione alla castità + L’unico matrimonio c’è una fortissima condanna delle seconde nozze e un’esortazione veemente alla castità. Ne La Corona esige che ogni cristiano si astenga dalla guerra, in quanto elemento fortemente contrastante con la morale cristiana. Ne Il mantello, Tertulliano cessa di indossare la toga del cittadino romano e veste il pallium, il mantello tipico dei filosofi cinici. MINUCIO FELICE Minucio Felice è ricordato per la sua unica opera, l’Octavius, un protrettico sotto forma di dialogo in cui ritroviamo le tematiche dell’esistenza di un unico Dio, della resurrezione della carne e della vita eterna. Essa rappresenta un’opera elegante e di gradevole lettura, completamente diversa dall’Apologetico di Tertulliano, in cui la tensione era l’elemento principale. I riferimenti alla Bibbia e a Gesù Cristo sono impliciti, poiché l’opera era destinata ad un pubblico pagano. Cecilio, protagonista dell’opera, rivolge a Ottavio le solite accuse verso i cristiani (immoralità, crudeltà, antropofagia di bambini, ignoranza, mancanza di formazione filosofica). Ottavio risponde che non si possono accusare i cristiani di ignoranza solo perché di umile condizione. In seguito, sottolinea la valenza del monoteismo (senza mai fare cenno alle sacre scritture), desumibile dalla perfezione del creato. Egli si dilunga molto su questo aspetto, ma non riporta mai passi biblici, anzi prenderà spunto in più parti dal De Natura Deorum di Cicerone. In quest’opera risiede anche una forte componente antiromana: Minucio afferma che il prestigio di Roma non derivi certo dalla sua religiosità, ma bensì dalla violenza perpetrata ai popoli conquistati. CIPRIANO Di Cipriano non conosciamo nulla che riguardi la sua vita prima della conversione. Gran parte delle informazioni che abbiamo di lui arrivano dal suo Epistolario, inesauribile fonte di notizie sull’autore. Ammirava follemente Tertulliano, che chiamava spesse e varie volte “maestro”, tant’è vero che prese spunto da lui per alcune opere, come l’Ad Donatum, in cui egli informa l’amico della sua avvenuta conversione alla nuova religione, abbracciata dopo una crisi spirituale piuttosto veemente, dovuta alla decadenza e allo squallore raggiunto dalla società. Un episodio estremamente significa vo nella vita di Cipriano fu la persecuzione di Decio. L’imperatore ordinò che tutti i cittadini compissero un atto di preghiera rivolta agli dei per ottenere la salute sua e della sua famiglia. Entro una certa data ogni cittadino doveva partecipare ai vota publica: l’autorità annotava su un registro i cittadini che partecipavano e che quindi si dimostravano non essere cristiani. Coloro che non si presentavano, venivano torturati o ammazzati. Cipriano ci racconta che a Cartagine tutti i cristiani abiurarono la loro fede per non fare una brutta fine. Alla fine delle persecuzioni, gli apostati chiesero furbescamente di essere riammessi nella comunità cristiana. Alcuni confessori concessero la comunione agli apostati senza il beneplacito del vescovo Cipriano, che rimase fortemente deluso da 1 Storia della Letteratura latina Di Giovanni Cipriani PARTE 4° DA NERVA A COMMODO Il tardo impero La letteratura cristiana L’età romano-barbarica 42 questa insubordinazione dei suoi sottoposti, annotando il tutto ne Gli apostati e ne L’Unità della chiesa: nella prima parla con tono sarcastico di un uomo tradito dai suoi sottoposti, mentre nell’ultima chiede che tutti gli ecclesiastici vadano nella stessa direzione, affinché essa possa rimanere unita. Ne La condizione mortale dell’uomo, Cipriano confuta le tesi di coloro che affermano che il mondo stia finendo a causa dei cristiani, rei di aver fatto infuriare gli dei pagani. Altre opere sono: Gli idoli non sono degli dei (pagani che venerano uomini divinizzati da altri uomini) e Sul modo di vestire delle vergini, in cui lo scrittore elogia le donne che hanno indirizzato la propria esistenza sulla via della castità. Il suo è uno stile chiaro, morbido, fluido, armonioso; utilizza la paratassi e mescola citazioni classiche e bibliche. Gli autori cristiani tra IV e V secolo ARNOBIO La grande cultura dell’Africa cristiana ebbe un degno epilogo con Arnobio. Convertitosi al cristianesimo, scrisse, durante le persecuzioni di Diocleziano, Contro i pagani, opera composta da ben 7 libri. All’interno del primo egli confuta le accuse ingiuste e deliranti che sono rivolte ai cristiani; nel secondo, tratta di Cristo e dello scandalo dell’incarnazione; nei restanti 5 passerà in rassegna teorie sul destino dell’anima, critiche feroci ai pagani e ai loro riti e elogi al cristianesimo, che lui non concepisce come una mera religione, ma come una filosofia superiore a tutte le altre. Il suo è un cristianesimo piuttosto confuso e pessimistico, poiché riteneva che l’anima fosse mortale e che fosse una bestemmia affermare che Dio avesse creato gli uomini, in quanto questi ultimi sono la causa del male che c’è nel mondo. LATTANZIO Lattanzio porta al culmine l’apologetica cristiana con il suo operato. Anch’egli si convertì al crisatinesimo relativamente tardi. Dopo la persecuzione del 303, venne invitato da Costantino a indottrinare il figlio Crispo. Egli cercò di difendere il cristianesimo attraverso alcune opere. La prima da menzionare è L’opera creatrice di Dio, dove Lattanzio afferma che la struttura del mondo e la perfezione del corpo umano dimostrano l’esistenza di un Dio perfetto, tra l’altro senza introdurre alcuna citazione biblica. Questa fu un’opera poco apprezzata dai Padri della chiesa, in quanto questi ultimi sostenevano che non insegnasse nulla. L’opera principale di Lattanzio è rappresentata da Le istituzioni divine. All’interno di essa Lattanzio sviluppa un nuovo modo di applicare l’apologetica, caratterizzato prima dalla difesa della religione cristiana, poi dall’esposizione di essa. Il cristianesimo non è una religione empia e dannosa, ma uno straordinario messaggio di salvezza. Anche quest’opera venne ritenuta piuttosto gracilina dal punto di vista contenutistico. Lattanzio valuta positivamente anche qualche autore pagano, come Virgilio (quarta ecloga, in cui sembra 2 45 AMBROGIO È la figura più rappresentativa della storia della vita civile ed ecclesiastica del IV secolo. Nacque attorno al 340 a Treviri, in Gallia, da una famiglia aristocratica cristiana. Nel 370 fu governatore di Emilia e Liguria, nel giro di pochi anni fu battezzato e ordinato sacerdote. Le opere Le opere di Ambrogio son divise, in base ai contenuti, in dottrinali, disciplinari e ascetiche, esegetiche, orazioni, lettere e inni. OPERE DOTTRINALI: 1) De Fide e De Spiritu Sancto, Trattati. 2) Sul Mistero Dell’incarnazione Del Signore, Trattato. 3) De Paenitentia. 4) De Mysteriis e De Sacramentis. OPERE DISCIPLINARI E ASCETICHE: 1) Sui doveri dei sacerdoti. 2) De virginibus. ORAZIONI: 1) In excessu satyri. 2) De obitu valentiniani e De obitu theodosii. 3) Sermo contra aucentium de basilicis tradendis. SCRITTI ESEGETICI: 1) Hexamen. 2) De paradiso 3) De noe 4) De abraham EPISTOLE: 1) Sono 9, dal 379 al 396. Le opere dottrinali Ambrogio era molto più duro nei confronti delle eresie di quanto non lo fosse verso il paganesimo. Fra le sue opere appositamente composte per contrastare le teorie ariane e per sostenere la dottrina nicena sulla fede trinitaria e cristologica sono destinate alla catechesi dell’imperatore Graziano il De Fide e il De Spiritu Sancto, in cui tratta espressamente dello Spirito Santo. Scrisse anche il De paenitentia, dove prende di mira gli abusi diffusi nella Chiesa contemporanea riguardo alla pratica della penitenza. Nel De sacramentis vi è un’esposizione in sei discorsi sui sacramenti ricevuti dai neofiti nella notte di Pasqua: battesimo, cresima, eucarestia. 5 IL CONTESTO STORICO Dal 96 al 98 d.C. al soglio imperiale ci fu Nerva. Designò come suo successore, nel rispetto della classe senatoria che non tollerava la successione dinastica, Traiano, proveniente da una nobile famiglia della Spagna. Questi percorse una carriera prevalentemente militare e come imperatore rispettò il senato, rendendo accettabile il suo potere assoluto. Il suo regnò garantì un periodo di tranquillità all’interno e inaugurando l’ultima stagione di espansione militare per Roma: annessione della Dacia e dell’Arabia Peterea, nonché le campagne contro i Parti. Con traiano, poi, ha definitivamente fine il principato gentilizio: l’unione tra principe e res publica trova il suo cardine nel concetto di OBSEQUIUM (che prende il posto della ‘fides’ e comporta il riconoscimento del proprio ruolo da parte del principe all’interno di una gerarchia sociale in cui quest’ultimo è al vertice, e la ‘dignitas’ coincide con l’essere fedeli e obbedienti al principe). Alla morte di Traiano divenne imperatore Adriano, suo figlio adottivo, che improntò il suo principato sulla stabilizzazione complessiva e sull’ammodernamento dell’apparato politico e amministrativo. La sua politica militare si orienta in senso difensivo rafforzando i confini, piuttosto che all’espansione territoriale (costruzione del Vallo Adriano, una fortificazione ai confini). Gli successe Antonino Pio, che garantì all’impero la stabilità e la pace, continuando la linea d’azione del suo predecessore. Marco Aurelio, noto come il principe-filosofo, dovette far fronte alle prime manifestazioni della crisi con interventi nel campo dell’amministrazione e della finanza; s’impegnò militarmente sul fronte orientale contro i Parti e su quello settentrionale contro i Quadi e i Marcomanni. Egli governò dapprima col fratello Lucio Vero, poi si associò il figlio Commodo. Questo causò la rottura col senato. LA LINGUA Nel II secolo la prosa mostra una vitalità maggiore rispetto alla poesia, con artifici, sfumature e parole arcaiche. Figura più rappresentativa dello stile ‘arcaizzante’ è Frontone, che teorizza una elocutio novella fondata sulla scoperta erudita di parole preziose della lingua arcaica. 46 Le opere ascetiche e disciplinari Più volte ripreso è il tema della verginità (circa 4 opere a riguardo), anche se siamo lontani dal rigorismo di Tertulliano. Nel De viduis apprezza la morigeratezza delle donne a cui è mancato il marito, alle quali sconsiglia le seconde nozze. Primo trattato di etica cristiana è invece il De officiis ministrorum, una raccolta di esortazioni morali rivolte al clero, ma valide per tutta la comunità. Le orazioni Testimoniano lo sforzo di Ambrogio di adattare le forme dell’oratoria epidittica al nuovo messaggio religioso. Egli ha appreso le regole classiche alle scuole di retorica e sa variare lo stile in base alla destinazione dei singoli testi. Particolarmente abile risulta la descrizione di ambienti, fatti, persone. Le opere esegetiche Il capolavoro di Ambrogio è l’Hexamenon, un commento ai sei giorni della creazione in 6 libri e 9 discorsi. Girolamo accusa Ambrogio di plagio (verso Basilio di Cesarea e Ippolito Romano): in realtà l’opera di Ambrogio risulta più vivace stilisticamente e ricca di poeticità per la presenza di metafore e simbolismi. Ispirato allo stoicismo è il parallelismo simbolico tra animali e vegetali da un lato e virtù e vizi umani dall’altro. Le altre opere hanno per oggetto argomenti dell’Antico Testamento ricondotto il più delle volte alla situazione politica e sociale contemporanea all’autore: il De Tobia parla dell’usura, il De Iacob esalta la vera felicità che risiede in Dio ecc. Le Epistole Esse gettano luce sulla sua spiritualità, sulla sua protesta contro le sperequazioni sociali, sulle sue concezioni politiche, sul suo ruolo di capo di una sede episcopale di prestigio, sul suo impegno contro il paganesimo. Famose sono la 17 e la 18, che costituiscono la risposta alla relazione con cui Simmaco, prefetto dell’Urbe, chiedeva il ripristino dell’ara della Vittoria nel senato e la reintroduzione dei sussidi pubblici per la celebrazione dei culti pagani. Nell’epistola 18, Ambrogio afferma l’inutilità dei culti tradizionali, giacché gli dei pagani non erano stati in grado di proteggere Roma dalle disgrazie che su di essa si erano abbattute (invasione dei Galli e sconfitte contro Annibale). La struttura e lo stile dell’epistolario rivelano particolare cura. Per la struttura il modello fu Plinio. Scopo della pubblicazione delle lettere all’imperatore fu mostrare al reggente Stilicone e ai figli di Teodosio l’accordo esistente tra potere politico e potere vescovile. Gli Inni Il tema prevalentemente sviluppato negli inni è quello dell’ora della preghiera, ma vengono celebrate anche le grandi solennità e le feste liturgiche. Possiamo attribuire ad Ambrogio l’inno sul canto mattutino, quello sull’ora della crocifissione di Cristo, quello sul canto della sera, quello sul canto di Natale. Sono composti in dimetri giambici, articolati in strofe di quattro versi. 6 GIOVENALE La vita Nato ad Aquino nel 60 d.C. la disinvoltura con cui egli si muove tra le tecniche della retorica ci garantisce che ebbe una formazione scolastica completa. Venne etichettato da Marziale come facundus, che fa pensare all’attività di avvocato. La produzione poetica Giovenale compose 16 Satire, per un totale di circa 4000 esametri, distribuite in 5 libri. Satira I: la dilagante corruzione della società, tra delatori, cacciatori di testamenti, magistrati disonesti, scandali, adulteri, brama di denaro e delitti, giustifica l’indignatio del poeta e la scelta di scrivere satire sui vizi degli uomini; al fine di evitare risentimenti, Giovenale parlerà dei morti per colpire i vivi. Satira II: alla parte contro gli ipocriti che fanno passare per virtù i loro vizi, seguono strali contro i pervertiti, che nascondono la loro turpitudine lasciandosi credere filosofi virtuosi. Una cortigiana biasima l’incoerenza dei nuovi Catoni, che rinnegano le leggi da essi sottoscritte cadendo nella depravazione e nella perversione. Satira III: Un amico del poeta si trasferisce a Cuma, poiché a Roma l’esistenza si era fatta invivibile. Satira IV: l’arricchito e corrotto Crispino, che compra a peso d’oro una triglia, suscita il ricordo di un episodio avvenuto sotto Domiziano: un pescatore offrì all’imperatore un enorme rombo e subito convocarono i senatori per discutere sul tegame per il pesce; la seduta si sciolse dopo che fu decretato di costruirne uno su misura. Satira V: il cliente seduto alla tavola del ricco patrono offre un triste spettacolo di ridente contrasto; per Trebio non è una fortuna essere invitato a cena dal patrono, infatti, in cambio di mille servigi, riceverà vino di pessima qualità servito in bicchieri crepati, pane stantio e cibo di nessun valore, mentre il ricco signore godrà di vivande pregiate. Satira VI: dopo l’età dell’oro la Pudicitia ha abbandonato la terra, dunque è inutile cercare moglie. QUESTA COSTITUISCE IL LIBRO II Satira VII: nel generale declino degli studi non è semplice la vita dei poeti, caduti in una povertà che non giova alla loro ispirazione; non più felice è la situazione degli stoici, degli avvocati o dei grammatici, a cui si offrono magri compensi. Satira VIII: la nobiltà di nascita non serve a nulla se non è accompagnata da una meritevole condotto personale. Satira IX: in forma di dialogo immaginario il poeta chiede a Nevolo notizie sulla sua condizione, nuova per chi, come lui, si era distinto per essere uno degli adulteri più noti a LIBRO I LIBRO III 47 GIROLAMO La vita Egli nacque a Stridone, in Croazia, ma compì la sua formazione culturale a Roma, dove portò avanti studi di carattere classico e filosofico. Qui fondò insieme all’amico Rufino una comunità monastica, salvo poi trasferirsi in Siria per condurre vita eremitica nel deserto. Insoddisfatto, lasciò il deserto per Costantinopoli, salvo poi tornare a Roma, dove iniziò a svilupparsi un certo malumore attorno alla sua figura, soprattutto per quelli che erano i suoi insegnamenti troppo intrisi di messaggi cristiani. Si rifugiò a Betlemme, dove fondò alcuni ordini monastici. Le opere di carattere erudito In seguito al sacco di Roma, scriverà il Chronicon, opera che prende palesemente spunto da La Cronaca di Eusebio di Cesarea, a cui aggiungerà però le notizie e gli eventi sino a quel momento (378); sorregge l’opera l’idea di una storia universale come successione provvidenziale di eventi, in cui incontri e accadimenti sono interpretabili come segni della presenza divina e ammonimenti di comportamento. Gli uomini illustri, in cui si serve sempre di Eusebio e della sua Storia della Chiesa per sti lare vita e opere di ben 135 scrittori, latini, greci + Seneca. Gli scritti polemici e le opere agiografiche Abbiamo senz’ombra di dubbio Contro Elvidio, in cui si azzuffa con quest’ultimo sulla questione della verginità della Madonna dopo il parto; Contro Gioviniano, che riteneva che Dio gradisse il matrimonio quanto la verginità. Celebre è anche il Contro Origene, in cui il nostro attacca le teorie origeniane ritenute eretiche: la subordinazione del Figlio al Padre, la preesistenza delle anime rispetto ai corpi, la salvezza finale destinata a tutti i viventi. Molto importanti sono anche le opere agiografiche, tra cui annoveriamo La vita di San Paolo, la vita di San Malcio. Le traduzioni La fama di Girolamo è legata soprattutto al mastodontico lavoro di revisione e traduzione che fece delle Sacre Scritture: nei Vangeli, egli eliminò tutti i grecismi e gli eccessivi letteralismi, che rendevano il tutto troppo plastico e ampolloso; poi si dedicò all’Antico Testamento: ignorò il Settanta (traduzione greca del testo) e compì il suo lavoro d’esegesi sull’originale ebraico, che in seguitò accompagnò ad alcuni opuscoletti concernenti l’onomastica e la toponomastica ebraica. Tutto questo lavoro prese il nome di Vulgata, interamente scritta in latino. Per la Chiesa Romana, questa fu la Bibbia autentica e ufficiale, che durò fino al Concilio Vaticano II. 7 Roma. Nevolo confessa di avere un patrono avaro, e il poeta gli fa notare che a Roma ci sarà sempre qualcuno pronto a pagare per le sue prestazioni sessuali. Satira X: pochi uomini sanno distinguere il vero dal falso bene; l’onore, la ricchezza, la potenza, la gloria militare sono mete ambite, ma spesso causa di sventure; agli dei si richiedono lunga vita o bellezza, anche se queste portano con sé degli svantaggi; unico vero desiderio da confidare al dio è la sanità fisica e mentale. Satira XI: in città sono in corso i ludi Megalesi e il poeta invita a cena in campagna l’amico Persico; ospitalità e semplicità connotano il ritrovo, allietato dai versi di Omero e Virgilio. Satira XII: il poeta è in procinto di compiere un sacrificio per il ritorno dell’amico Catullo, salvatosi da una tempesta in mare: la gioia dell’amico ritrovato, spinge il poeta a ringraziare gli dei. Satira XIII: il poeta consola un amico a cui non sono stati restituiti dei soldi. La disonestà sarà punita. Satira XIV: senza alcuna forma di rispetto e di tutela, i vizi dei genitori si trasmettono ai figli; dilapida il patrimonio il figlio di chi spreca i suoi beni, il figlio dell’uomo avido è sottoposto a continue lezioni di rapacità; solo la saggezza dona la felicità e rende sereni, insegnando ad accontentarsi di poco. Satira XV: qui racconta un episodio di cannibalismo avvenuto in Egitto. Satira XVI: parla a Gellio dei privilegi di cui godono i soldati. Il manifesto poetico di Giovenale è nella Satira I, laddove egli prende le distanze dalla moda di comporre poesia mitologica. Apparentemente i motivi della sua poesia satirica ricalcano quelli della diatriba cinico-stoica, orientata verso la denuncia delle depravazioni morali e sessuali, dell’avidità e dell’avarizia, della rincorsa di vane e futili soddisfazioni. In Giovenale c’è un sentimento vivamente nostalgico per la moralità, la religiosità, l’attaccamento alla Roma del passato, che rivive attraverso personaggi illustri: l’ideale del poeta si sostanzia nel mos maiorum. Giovenale offre la radiografia di un malessere sociale, determinata non solo dall’intenzione del poeta di mostrarsi INDIGNATO dinanzi alla bruttura del vizio, ma è anche l’esito dei COLORES RETORICI alla ricerca di un connubio tra forma e contenuto capace di impressionare. Così nel brano proposto tratto dal V libro “Un’umiliazione gratuita” è presentata l’imbarazzante situazione, tramite un invito a cena, del cliens disposto a vendere la sua dignità per un tozzo di pane e lo sprezzante atteggiamento del potente che gode nell’umiliarlo. Il color retorico è qui nel parodico accostamento tra il registro tipico della discussione filosofica e il meno solenne tozzo di pane cui tende il cliens. La Satira VI è interamente dedicata alla denuncia del malcostume e della vanità delle donne romane. Per Giovenale il mito non è oggetto di poesia, ma può diventare termine di paragone ideale: Domiziano è implicitamente assimilato all’incestuoso Edipo della tragedia per aver avuto una relazione con la nipote. La produzione più recente di Giovenale (Satire VIII-XVI) ha un timbro differente: alla indignatio del primo Giovenale fa seguito l’opzione letteraria per il riso, arma con cui combattere vizi e passioni. STILE: è plasmato su quello della tradizione satirica romana e della preparazione retorica del poeta: frequenti figure di pensiero e di stile dalla climax all’antitesi e alla ripetizione, e notevole uso di sentientiae. LIBRO IV LIBRO V 50 del prossimo, cui si ispira la Sacra Scrittura. Riguardo alle parole, solo quelle sconosciute e ambigue possono impedire la corretta interpretazione del testo: le sconosciute possono essere spiegate grazie al confronto col greco ed ebraico e con l’ausilio delle scienze naturali e di altre discipline; a quelle ambigue si può ovviare ricorrendo al testo originale o altra traduzione latina. Inoltre, Agostino tratta della differenza tra frui (realtà durevoli, di cui l’uomo gode, come la trinità, la verità, la fede e la morale) e uti (realtà passeggere di cui servirsi, come il sapere umano); l’anima, il prossimo, il corpo, vanno utilizzati per amare Dio. L’attenzione dell’autore si sposta sui signa linguistici che indicano le cose. Ed infine parla della retorica, fondamentale nella predicazione e nell’insegnamento della cultura cristiana. Le Confessioni Agostino mette d’accordo tutti soprattutto su una questione: le Confessioni sono di gran lunga la sua opera più importante. Ritenerla un’opera autobiografica non è del tutto errato, ma c’è molto di più, come l’elogio di Dio e la proclamazione della propria fede. L’opera è in forma dialogica (discorso con Dio) ed è divisa in 13 libri: nei primi 6 troviamo la fanciullezza + la formazione culturale del santo (difetti, carattere, sessualità, ribellione contro madre, la scelta del male, l’amore per l’antichità, l’avvicinamento e allontanamento dalle dottrine manichee); nel 7° sottolinea la scoperta del neoplatonismo; l’8° narrerà dunque della sua conversione; nel 9° parla delle visioni d’Ostia e della morte della madre; nel 10° risponderà alle feroci critiche che sono piovute sul suo capo durante il suo vescovato; 11-12-13 trattano di questioni varie di livello teologico. La Città di Dio Nella Città di Dio, opera di 22 libri, troviamo tutto il pensiero dottrinale di Agostino. L’opera è divisa in 2 parti: la prima consiste in una confutazione della religione pagana, la seconda è una sorta di storia universale dell’umanità dal punto di vista religioso e provvidenziale. Agostino delinea l’esistenza di due città: una di Dio, ispirata all’amore, una terrena (Roma), ispirata allo sfrenato desiderio di potere; la genesi delle due città risale alla rivolta degli angeli ribelli contro Dio. L’opera si conclude con la descrizione del destino delle due città: quella terrestre destinata alla dannazione, quella celeste alla beatitudine. Il De Trinitate Un’opera che richiese una lunghissima gestazione fu La Trinità, opera che si articola in 2 parti: nella prima si espone il dogma trinitario sulla base di passi della Sacra Scrittura; nella seconda si evidenzia la presenza della Trinità in tutto l’universo, in particolare nell’animo umano, perché in esso ci sono la coscienza, la conoscenza di sé e l’amore di sé. 51 LA PROSA CRISTIANA TRA IL IV E IL V SECOLO MONACHEISMO ritiro in solitudine (eremitaggio) o in vita comunitaria, rinunciando ai beni materiali, essere casti. Nacque in Oriente attorno al 150 o al tempo dell’ultima grande persecuzione contro i cristiani. Suo fondatore è Antonio. Si diffuse in Occidente nella seconda metà del IV secolo grazie alla traduzione latina della Vita di Antonio, ai viaggi di Atanasio, ai racconti dei pellegrini di ritorno dai viaggi in Terra Santa. SULPICIO SEVERO Il diffondersi del monachesimo portò con sé il fiorire di opere letterarie, che esaltano la vita di coloro che decisero di ritirarsi a vita eremitica. Oltre alla vita di Antonio, autore di una Vita di Martino di Tours fu Sulpicio. Il fine del nostro è non solo quello di proporre Martino come ideale di vita ascetica, ma anche di difenderlo dalle critiche che gli erano state mosse a causa dell’austerità del suo stile di vita. Pur essendo ricca di elementi fantastici e meravigliosi (miracoli), la biografia di Martino assume valore storico relativamente alla vita spirituale della Gallia del IV sec. Abbiamo anche 3 Lettere che suggellano la Vita e i Dialoghi in due libri, che descrivono i fatti prodigiosi di Martino attraverso il confronto con le azioni miracolose dei monaci d’Egitto. OROSIO E LA STORIOGRAFIA CRISTIANA Particolarmente interessanti sono le Storie contro i pagani. Nei 7 libri l’autore affronta la storia universale profana della creazione al 417, seguendo la successione degli imperi babilonese, macedone, cartaginese e romano. Il testo di Orosio è la prima storia universale cristiana, anche se la maggior parte dell’opera affronta la storia di Roma. Di matrice cristiana è la concezione della storia umana come svolgimento lineare di eventi che hanno come principio la creazione del mondo e come fine il giudizio universale. Questa concezione teologico e teleologica è opposta a quella ciclica, caratteristica della mentalità pagana. Di particolare interesse è il fine apologetico di Orosio: egli vuole dimostrare ai pagani che le sventure dell’Occidente non erano più gravi di quelle che avevano colpito Roma in passato. Roma che ha un ruolo centrale nella concezione orosiana della storia. Vuole dimostrare come il sacco ad opera di Alarico sia stata la conseguenza della decadenza dei costumi dei romani. Con l’avvento di Cristo il dominio della morte è destinato a ridursi, fino a quando, con la fine del mondo, verrà completamente annientato. 10 l’oratoria moderna, Messalla invece si sofferma sul declino di quest’ultima. Materno invita ciascuno a godere dei vantaggi del proprio tempo, senza dire male di altri tempi, e chiude la conversazione rinviando allusivamente alla pace garantita dall’optimus Traiano. Le Storie Le Storie constano, secondo Girolamo, di 30 libri. L’inizio delle Storie, in linea con le norme del genere annalistico, è fissato al 1° Gennaio del 69, a morte di Nerone ormai avvenuta; Tacito doveva giungere al 96, anno della morte di Domiziano. L’atteggiamento con cui si pone di fronte agli avvenimenti è “senza amore né odio”, con cui prende le distanze da quegli storici del principato che prima di lui scrissero con ignoranza, adulazione o dispregio, senza curarsi della posterità. Tacito fu senz’altro testimone diretto di almeno parte delle vicende riferite ed ebbe modo di ascoltare personaggi impegnati, da Agricola a Virginio Rufo, per non parlare degli stessi protagonisti del Dialogus. Le fonti dovettero essere varie, come egli stesso lascia intendere. Tra gli autori possiamo annoverare Vipstano Messalla e Plinio il Vecchio, autore di Historiae perdute, che aggiornavano l’opera del predecessore Aufidio Basso. Accanto a reminiscenze liviane si riscontrano paralleli con Svetonio e storici greci più o meno contemporanei, che condivisero le sue stesse fonti. Come procede Tacito? Fa una cernita dei dati acquisiti, sceglie la fonte più attendibile, corregge gli elementi poco credibili ed esclude quelli secondari. Nel suo programma decide di risalire agli eventi drammatici del 69, riproducendoli fedelmente e in linea con la trattazione annalistica, ma soprattutto una scelta atta a fare luce sulla problematicità del presente. In questa operazione egli si mostrerà sempre attento a cogliere i sentimenti, i moti, le reazioni psicologiche degli individui, i meccanismi collettivi e i rapporti di potere, nella ricerca delle cause più vere e nascoste degli eventi. Tematica centrale dell’opera è la stabilità dell’impero, messa a repentaglio dalle continue guerre civili; di qui la necessità di un RECTOR che desse garanzia e tutela di pace interna ed esterna. L’affermazione del principato apriva il problema della successione al potere e della limitazione della libertas tradizionale; il discorso di Galba a Pisone è espressione di un’ideologia aperta alle istanze della nobiltas, che trova la sua applicazione diretta nella successione di Traiano a Nerva per via extradinastica: nel brano proposto sul discorso dell’imperatore, vi è come da tradizione un exordium in cui sottolinea proprio tale concetto; segue la ricostruzione dei fatti, in cui sono giustificate le ragioni di Galba dell’adozione col riferimento alle straordinarie capacità di Pisone e al suo amore per la patria. Poi vi è la tractatio, che si avvale di argomenti propri delle tre categorie della retorica (dignum, honestium, utile); e infine la conclusione che si configura come una vera e propria amplificatio: Galba richiama l’attenzione sulla bontà di un criterio che selezione in base alle qualità del successore, il quale dovrà tenere a mente di trovarsi ad esercitare il potere su uomini che non possono accettare né la piena servitù né la totale libertà. Grande è l’efficacia e la nettezza di tratti con cui Tacito profila le figure dei grandi e dei potenti, sia nel male sia nel bene; ovvia è la speranza di avere come re medium un buon imperatore; ma se così non fosse, meglio tollerarlo. Non auspicabili sono le insurrezioni. Tacito sa bene che fondamentale è il successo riscosso presso le masse: per questo egli si volge con sguardo pieno di disprezzo verso il vulnus, avvezzo ai teatri, facile da accattivarsi nella sua stoltezza, indolente, volto a adulare il nuovo tiranno. Vittima di sarcasmo sono anche i soldati e il senato, visti come promotori di valori negativi quali lassismo, luxuria e depravazione. 11 Gli Annali Ultima impresa letteraria, dal titolo “Ab excessu divi Augusti libri” (Libri a partire dalla morte del divo Augusto), più nota come Annales, è in 16 libri. Con questo progetto Tacito si ricollega a una tradizione di riflessione storica e politica ostile al principato e ai suoi rappresentanti, sulla quale innesta una personale vena moralistica e l’amarezza di chi ha ben presente il declino di Roma. Egli attinse a una tradizione vasta: Fabio Rustico, Cluvio Rufo, Plinio il Vecchio, Aufidio Basso, Caio Fannio e Seneca Retore, i discorsi e le memorie degli imperatori e anche notizie sulla tradizione orale. Il risultato è una tragica riflessione sulla storia di Roma, che diviene storia di individui, segnatamente degli imperatori Giulio-Claudii, accomunati da una progressiva degenerazione. Tiberio riveste la figura del tiranno ipocrita, ambiguo e perverso; all’inizio esibisce moderatio e liberalitas, apparendo così rispettoso del senato e nemico dell’adulazione; ma poi rivela una crudeltà sempre crescente. Il resoconto del principato di Caligola non ci è pervenuto. La storia di Claudio è quella di un imperatore debole e indolente, succube dei liberti e delle mogli, un uomo dall’animo rude e scontroso; dedito agli studi e impegnato in questioni amministrative e culturali, anch’egli subisce una progressiva degenerazione, marcata dalle nozze con la nipote Agrippina Minore. Nerone, dopo una fase iniziale in cui esercitò il potere nel rispetto del senato, manifestò la sua natura criminale con comportamenti dissoluti, scandali e uccisioni, prima tra tutte quella di Britannico e poi di Agrippina; è mostro di ferocia e istrionismo. Lo storico mette in luce le tare psichiche di Nerone e il giusto criminale; la corte imperiale è palcoscenico di autentici drammi, ai quali non manca alcun genere di efferatezza, fino alla negazione dei valori sacrosanti, come il legame di sangue fra madre e figlio: Nel brano proposto, “La morte di Agrippina”, il matricidio di Nerone è presentato come una tragedia degli affetti calpestati, con personaggi che recitano prime e seconde parti. La scena si apre con Agrippina naufragata, su cui si riversa la massa anonima curiosa. Agrippina, scampata all’insidia del figlio, si mostra donna astuta ed esperta quando giunge alla conclusione che l’unica soluzione per scampare alle insidie sia far finta di non comprendere l’accaduto, e così manda un liberto ad annunziare a Nerone di essere scampata da un grave incidente. Ostenta falsa serenità, si medica le ferite e cerca di riprendersi. Nerone, nel mentre, è in ansia per una possibile vendetta da parte della donna e inscena un falso attentato contro la sua persona. Così viene coperto il matricidio, che il liberto attua con fredda determinazione. Si crea un’atmosfera di abbandono in cui Agrippina riflette sulla propria solitudine, consapevole della fine ormai prossima. L’uscita di scena dell’ultima ancella segna l’intensificarsi dell’angoscia della vittima e infine, perduta ogni speranza, la donna ha un estremo sussulto di fierezza quando chiede ai carnefici di colpirla al ventre, lo stesso che ha generato Nerone. Per Tacito la crisi di quell’epoca si misura: - Nell’incapacità di iniziativa da parte di una classe dirigente malvista dagli imperatori, che preferiscono affidarsi ai liberti; - Il senato, nel quadro degli equilibri politici, assume atteggiamenti ambigui, sino a giungere all’adulazione; - Il volgo, incostante e pronto a credere a qualsiasi cosa; 52 LA POESIA CRISTIANA TRA IL IV E IL V SECOLO PRUDENZIO Possiamo ricostruire le tappe salienti della vita di Prudenzio a partire da questa esile confessio peccatorum di nome Peristephanon. Nato nel 348, era spagnolo, forse di Calagurris. Apparteneva all’aristocrazia provinciale ed ebbe una carriera brillante grazie all’ascesa al potere di Teodosio. Di quest’ultimo condivideva la lotta contro il paganesimo, la devozione personale al culto dei martiri, l’apprezzamento dell’ascetismo. Il ritiro da ogni carica pubblica è dovuto proprio alla morte di Teodosio. Nell’epilogo, Prudenzio esprime la speranza di aver guadagnato un proprio posto nella dimora di Dio, attraverso i suoi versi. Il Peristephanon raccoglie 14 composizioni su 13 martiri: l’ottavo canto contiene soltanto l’iscrizione per un battistero sorto su un luogo di martirio. Al di là della varietà formale, la presentazione dei martiri segue quasi ovunque lo stesso schema tripartito con la parte centrale narrativa preceduta da un’introduzione e seguita da una conclusione dedicate al luogo della passione e alla descrizione del culto. Tutti terminano con preghiere rivolte ai martiri a favore della città o del poeta stesso. Mar re e persecutore non sono rappresentati come individui ma come personificazioni del bene e del male. Il martire non è una vittima: cerca la morte e provoca sarcasticamente il persecutore. La sua gloria è direttamente proporzionale al numero e all’intensità delle torture subite. Il Peristephanon concede un posto di rilievo al culto postumo del martire: il pellegrinaggio alla sua tomba, i miracoli ottenuti, il luogo di culto. Un tratto caratteristico è lo spazio dedicato alla descrizione di pictae immagine presenti accanto alla tomba del martire. Tutti gli inni terminano con invocazioni che esprimono una grande fede nel potere intercessorio del martire, potere che si fonda sul fatto che Cristo non potrebbe rifiutare nulla a coloro che l’hanno testimoniato a prezzo della propria vita. Prudenzio sottolinea il rapporto speciale che sussiste tra il martire e la città che ne accoglie le reliquie gli ha dato i natali. PAOLINO DI NOLA Delle opere di Paolino sono conservate le Epistole ei Carmina. Le 51 Epistole rivelano i contatti con personaggi come Agostino, Girolamo, Sulpicio e offrono importanti informazioni sui maggiori centri di elaborazione della cultura cristiana. Le lettere più vive della raccolta sono quelle in cui Paolino si rivolge agli amici, come quelle scritte a Sulpicio per ottenere consiglio e conforto. I Carmina affrontano svariati temi; costituiscono un complesso omogeneo i 14 carmi in onore di Felice, di varia lunghezza; scritti per celebrare il giorno della morte del martire, narrano la sua vita, l’arrivo a Nola, le feste in suo onore, i miracoli avvenuti dopo la morte, i pellegrinaggi alla sua tomba. Anche in Paolino si fa strada la nuova concezione dell’arte come mezzo di lode di Dio, come strumento di affermazione del vero e di elevazione morale per l’uomo. 12 - Infine, l’attività dello storico non ha alcuna efficacia, soprattutto perché dopo i disastri delle guerre civili è impossibile ritornare alla repubblica. Perciò Tacito sa che la sua materia non riuscirà dilettevole e potrà suscitare risentimenti, ma ritiene che essa porterà giovamento nella rivalutazione dei più profondi nessi causali degli eventi. Nel solco di una tradizione che vede nell’utilitas il fine della scrittura della storia, Tacito propone esempi di virtus, perché è compito dello storico preservare dall’oblio le azioni virtuose: accanto agli ambiziosi Seiano e Tigellino, alla dissoluta Messalina, ad Agrippina troviamo la positiva moderazione di un Emilio Lepido, oppure la forza d’animo della moglie del ribelle germanico Arminio, che non piange e non si umilia nella supplica. All’esaltazione della virtus si presta in modo particolare l’exitus, il momento supremo della morte, in grado di riscattare una vita e darle nuovo significato. La posizione dello storico di fronte agli atteggiamenti di aperto dissenso e opposizione non è comunque netta: se da una parte rende onore alla morte di Trasea Peto, dall’altra giudica politicamente infelice il suo gesto plateale di andarsene dal senato mentre i colleghi rendevano omaggio a Nerone, creando per sé una ragione di pericolo senza che ciò comportasse per gli altri un principio di libertà. Gli orizzonti mentali di Tacito non sono ristretti: egli sa infrangere i vincoli della struttura annalistica incorporando ampie riflessioni su temi di vivo interesse e sulle istituzioni politiche. La sua simpatia va ai valorosi condotteri cui si devono i trionfi di Roma, come Germanico e il valente Corbulone, mentre non approva le cautele di Tiberio in politica estera. Vigile e attento, Tacito continua ad interrogarsi sui fatti e lascia percepire uno scorrere del tempo verso il male, in una visione della vita che si chiude in un cupo pessimismo e con una profonda sfiducia nell’aspetto costituzionale, in cui perfino le leggi sono soggette alla decadenza. Lingua e stile Arcaismi, forme poetiche, asindeti, ellissi, paratassi, iperbati, antitesi, brevitas. 55 L’età romano-barbarica LA LETTERATURA LATINA DOPO IL V SECOLO Il 476, anno della destituzione di Romolo Augustolo da parte di Odoacre, segna secondo il pensiero storiografico corrente l'usine dell'evo antico è l'inizio del Medioevo con il conseguente dissolvimento dell'Unità politica del mondo romano in quelle realtà statuali che vanno sotto il nome di regni romano barbarici. A infrangersi non è solo l'unità politica dell'impero, ma anche quella culturale di Roma, che cessa di essere il solo o il principale luogo di formazione della cultura. Si fa Inoltre sempre più profonda la separazione tra mondo occidentale e mondo orientale, con la conseguente perdita quasi totale della conoscenza del Greco. Alla letteratura elaborate in questi ambiti territoriali in un arco di tempo compreso tra la seconda metà del quinto secolo è la fine dell'ottavo secolo si vuole dare il nome di letteratura dei regni romano barbarici punto un primo aspetto che caratterizza tale produzione letteraria è la mancanza di originalità: le persone colte di quest'epoca sono dolorosamente consapevoli di vivere in condizioni di decadenza e pertanto, lasciata da parte ogni velleità creativa, Mirano alle grandi sintesi, quasi per una cosciente volontà di selezionare i valori del passato da salvare è da trasmettere all'avvenire. Un secondo carattere specifico e la sostanziale uniformità sovraregionale che ha questa letteratura deriva dal fatto di essere per lo più un prodotto di scuola, elaborato da una ristretta cerchia di produttori di cultura, appartenenti nella stragrande maggioranza Agli ordini ecclesiastici. Tale prodotto letterario è espresso nella lingua del latino medievale che se andava costituendo sul fondamento del latino classico, del latino Cristiano, del latino giuridico e del latino volgare. Una lingua di estrema Libertà morfologica. BOEZIO Tra gli autori ricordiamo Severino Boezio, discendente della prestigiosa nobiltà romana. Gli anni tra il 508 il 522 Videro Boezio come uno dei maggiori protagonisti della scena politica del momento, con l'elezione a Consul sine collega, carica che gli consenti di presiedere il Senato di Roma e di svolgere altre importanti funzioni politiche punto in questi anni egli espresse il meglio della sua produzione in campo filosofico curando la traduzione latina dell'organon aristotelico e dell'Isagoge di Porfirio. Il suo progetto era quello di immettere nella cultura Latina il patrimonio del pensiero scientifico e filosofico greco, un'eredità che considerava parallela alla Fede Cristiana punto allo raggiungimento del vertice della carriera politica segui però un rapido declino vuoi che vengo accusato di tradimento per aver difeso il senatore Albino incriminato di cospirazione ai danni di Teodorico punto bene incarcerato E durante questo periodo scrisse il suo capolavoro, la consolazio filosofia. Essa rappresenta la Summa del pensiero Boeziano, i temi trattati sono quelli che erano stati al centro della speculazione filosofica classica e di quella cristiana: l'inevitabilità e la imprevedibilità della fortuna e della gloria, la felicità, il libero arbitrio, la riflessione sull'esistenza di un disegno cosmico in cui scrivere prosperità e Sventure. 15 SVETONIO La vita Caio Svetonio Tranquillo nacque intorno al 70 e morì dopo il 122, apparteneva a una famiglia equestre non particolarmente agiata. Plinio lo definì eruditissimus vir e la sua dimestichezza con i libri è testimoniata da un’epigrafe scoperta in un foro in cui sono menzionati i suoi incarichi: responsabile delle sette biblioteche pubbliche di Roma, sovrintendente dell’archivio imperiale, capo della cancelleria imperiale. A un certo punto abbandonò la corte e si ritirò a vita privata. Le opere L’intera produzione svetoniana è improntata a spirito erudito e di catalogazione e trova frutto più ricco e significativo nelle Vite dei Cesari; in lavori perduti si occupò di problematiche relative alle edizioni dei testi; si interessò di termini ingiuriosi attestati in letteratura e di giochi tradizionali, di feste, di calendario, di usi e costumi, di celebri cortigiane. Scrisse un’opera dedicata ai sovrani d’Asia, Europa e Africa. Il De viris illustribus è una meticolosa attività d’archivio. Nel campo della biografia era molto famoso, la sua particolarità era il carattere ‘realistico’ a cui le approntava, fornendo una grande quantità di testimonianze, spesso anche pettegolezzi. Il De viris illustribus L’opera doveva abbracciare almeno cinque sezioni, dedicate rispettivamente a grammatici e retori, a poeti, a oratori, a storici, a filosofi: sopravvive integra solo la prima di questa, che comprende 20 brevissime vite di grammatici e 5 di retori romani. La parte dedicata ai grammatici esibisce una serie di luoghi comuni letterari, tra cui quello del maestro mal retribuito, eccessivamente pieno di sé, o che maschera un’apparenza rispettabile di studioso. Riguardo alla retorica, Svetonio afferma che essa fu dapprima ostacolata, ma ci si rese poi conto della sua utilità quando si trattava di esporre i propri argomenti o di confutare quelli altrui: tra i retori più significativi abbiamo Lucio Voltacilio Pluto, Marco Epidio, Marco Fabio Quintiliano. Il resto dell’opera è parzialmente ricostruibile per via indiretta grazie ad autori come Girolamo. Lo schema era pressoché costante, e comprendeva notizie su origine e nascita, particolarità fisiche e caratteriali, successi e amicizie, elenco delle opere e aneddoti, anche piccanti. 56 CASSIODORO L'esperienza culturale di Boezio trova il suo parallelo in quella di Aurelio Cassiodoro, la cui vita però non fu come quella di Boezio, Ma poi intessuta di complesse mediazioni. Nacque in Calabria e raggiunse il vertice con l'elezione a Console del 514e a Magister officiorum del 523. Nella sua vasta produzione spiccano i cronica e li storia gothorum, la prima storia nazionale di una popolazione barbarica, che si inseriva nel progetto di migliorare i rapporti tra l'elemento gotico e quello romano. Ricordiamo poi l'opera istituzione, che rappresentano Il testamento spirituale di Cassiodoro punto dei due libri che la compongono, il primo è dedicato alle sacre scrittura, Il secondo è consacrato invece alla trattazione delle sette arti liberali. Essa si può definire la prima enciclopedia Cristiana e si inseriscono pienamente nel registro della cultura medievale perché al centro della ratio studiorum Ines delineata c'è la concezione intellettualistica della vita del Monaco impegnato nella trascrizione, nello studio e nella comprensione della Bibbia, aiutato dei padri e assistito dagli angeli durante la fatica dello scrivere e delle mandare, in un cammino che ha come fine ultimo la contemplazione di Dio