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storia delle tecniche costruttive, Appunti di Storia Dell'architettura

la preistoria, la Mesopotamia, l'Egitto, Micene, la Grecia, la pietra, l'Etruria, l'architettura romana, basiliche e cattedrali dal paleocristiano al gotico, cupole rinascimentali, materiali e tecniche tra medioevo e rinascimento, legno e carpenteria lignea a Venezia (XIV-XV secolo), il laterizio a Venezia, la pietra d'Istria, intonaci veneziani tra Quattrocento e Seicento

Tipologia: Appunti

2019/2020

In vendita dal 19/10/2020

annafullin
annafullin 🇮🇹

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Scarica storia delle tecniche costruttive e più Appunti in PDF di Storia Dell'architettura solo su Docsity! 1 LA PREISTORIA = STORIA UMANA PRIMA DELL’INVENZIONE DELLA SCRITTURA Fasi: - Paleolitico (“antica età della pietra”), da circa 2 milioni di anni fino a circa 8000 a.C. - Mesolitico, 8000-6000 a.C. - Neolitico (“nuova età della pietra”), 6000-4000 a.C. Circa 4000 anni prima di Cristo inizia la storia. Si susseguono le età dei metalli (rame, bronzo, ferro). Da quando è nata l’umanità l’uomo ha sempre cercato un riparo (ad esempio le GROTTE), e ha cominciato a costruire procurandosi dei materiali per creare dei ripari e un luogo dove vivere. Le prime costruzioni sono elementari e si basano sul principio dell’equilibrio: nella capanna ci sono dei pali che fanno da struttura portante. EQUILIBRIO = STATO DI QUIETE DI UN CORPO. Un aspetto importante delle tecniche in tutta la storia dell’architettura è il rapporto con il paesaggio: l’uomo ha sviluppato delle tecniche a seconda dei materiali che aveva a disposizione. Dalla semplice TENDA la tecnica costruttiva umana si è evoluta creando strutture sempre più complesse, partendo dall’inserimento di pareti verticali in legno e dei tetti che si basano sempre sul principio dell’equilibrio. Si passa poi alle PALAFITTE e ai TERRAMARE (palafitte a terra): queste hanno bisogno di un solaio. Ciò dimostra che l’uomo ricerca sempre maggiori comfort. Delle costruzioni che mostrano come l’uomo ha raggiunto un grado di sviluppo tale da far sorgere il lui nuove aspirazioni sono ad esempio i MENHIR (o pietre fitte) del V-IV millennio a.C. Ci sono pochi resti quindi non c’è nulla di certo. È un complesso di pietre enormi piantate in un certo modo per costruire un insieme monumentale, anche dedicate ad una divinità. Le pietre non hanno funzione pratica, ma dànno l’idea di qualcosa di bello e di estetico fatto dall’uomo. Il menhir è un MEGALITE, ovvero un monumento preistorico eretto con blocchi di pietra di grandi dimensioni, grossolanamente tagliati. Queste sono un segno di un progresso tecnico. L’uomo utilizzava le pietre che trovava disponibili in natura. ESTRAZIONE DELLA PIETRA In un primo momento si raccolgono ciottoli e massi di qualsiasi dimensione disponibili in natura. Già oltre 30.000 anni a. C. sono documentate brevi e larghe gallerie sotterranee in Egitto. A partire dal V millennio a. C. si sviluppa un’intensa attività mineraria per estrarre soprattutto la selce (adoperata per la fabbricazione, mediante scheggiatura, di armi e strumenti). C’erano due modi per estrarre la pietra: 1. Da MINIERE SUPERFICIALI: la pietra era già scoperta in superficie e veniva tagliata, se no si scavava sottoterra. L’uomo aveva creato i primi utensili (mazze, leve, cunei) per infilarli nella pietra e far leva in modo da spaccare i frammenti. 2. Tramite CHOCK TERMICO: si faceva entrare l’acqua nelle fessure (esistenti o creandole) rompendo le pietre. COME SI COSTRUIVA CON LA PIETRA? Dopo aver scavato apposite trincee, i megaliti venivano trasportati, trascinandoli su rulli o slitte. Erano poi eretti in verticale per mezzo di funi o leve e venivano fatti scivolare dentro le trincee, già predisposte con pareti inclinate rivestite da scivoli lignei. Tramite funi e puntelli lignei si poneva il megalite in posizione verticale. Infine, si riempiva tutto intorno di terra e di ciottoli. Un’ulteriore elaborazione è rappresentata dal DÒLMEN (III-II millennio a.C.), ovvero un monumento sepolcrale preistorico, assai diffuso nell’Europa occidentale e settentrionale, ma anche in area orientale e mediterranea, costituito da due o più pietre infisse verticalmente nel suolo e sormontate da un grande lastrone orizzontale (tetto). Per inserire quest’ultimo, dopo aver eretto le pareti verticali si riempiva con della terra l’interno e la zona circostante per poter far scivolare (e posizionare orizzontalmente) la lastra. A volte non si toglieva del tutto la terra. Il Dolmen si basa sul principio del trilite. TRILITE = STRUTTURA ARCHITETTONICA ELEMENTARE COSTITUITA DA TRE ELEMENTI: DUE VERTICALI PORTANTI (PILASTRI, PIEDRITTI O MONTANTI) E UNO ORIZZONTALE PORTATO (ARCHITRAVE). L’esempio più famoso di Dolmen è Stonehenge (Inghilterra, 2000 a.C.): alcuni triliti hanno un sistema ad incastro a tenone e mortasa fra piedritto e architrave. Sui piedritti verticali ci sono delle sporgenze, sulle trabeazioni orizzontali ci sono le concavità per l’incastro in modo da vincolare la struttura rendendone difficili gli spostamenti o i cedimenti. 2 INCASTRO = TIPO DI VINCOLO CHE CONSENTE DI FISSARE LA SEZIONE DI ESTREMITÀ DI UN SOLIDO, COSÌ DA IMPEDIRE SIA LE ROTAZIONI DELLA SEZIONE TERMINALE SIA GLI SPOSTAMENTI DEL SUO BARICENTRO. VIENE REALIZZATO INSERENDO LA STRUTTURA NEL MURO PER UN TRATTO DI CONVENIENTE LUNGHEZZA. SOLLECITAZIONE = FORZA O SISTEMA DI FORZE AGENTI SU UN SISTEMA: A SECONDA DELLA NATURA DI TALI FORZE SI PARLA DI SOLLECITAZIONE ESTERNA, INTERNA, ATTIVA, VINCOLARE. LE SOLLECITAZIONI PRODUCONO SFORZI. TIPI DI SFORZO 1. COMPRESSIONE: Sforzo caratterizzato da una sola direzione (generalmente assiale) a causa del quale le molecole del materiale sottoposto a sforzo si avvicinano, determinando un accorciamento dell’elemento stesso (resiste la pietra) 2. TRAZIONE: Sforzo opposto: le molecole di materiale che compongono l’oggetto si allontanano, determinando un allungamento dell’elemento sollecitato (resiste il legno) 3. FLESSIONE: Comporta l’incurvamento, quindi determina la compresenza di parti tese e parti compresse all’interno. genera un allungamento (trazione) su un versante, e un accorciamento (compressione) sul versante opposto 4. TAGLIO: Genera lo scorrimento degli strati di materiale che costituiscono un oggetto 5. TORSIONE: Quando un oggetto viene deformato così che le sue sezioni si trovino a ruotare in modo differenziato attorno a un asse Con il termine MOMENTI si intendono delle componenti di sollecitazione rotatoria. I momenti flettenti sono sollecitazioni che generano flessione e torsione. LA TERRA COME MATERIALE DA COSTRUZIONE La terra è il prodotto della decomposizione meccanica o chimica delle rocce alla quale si mischiano delle materie organiche. È composta da rocce sgretolate mescolate con materiali organici. Vantaggi: - Disponibile ovunque - Offre maggiore isolamento rispetto ad altri materiali reperibili in natura (legno, pelle) - Immagazzina il calore e lo rilascia quando la temperatura scende, migliorando il comfort degli ambienti interni In base alla granulometria (spessore dei granuli) le terre si distinguono in: - GROSSOLANE (ghiaia e sabbia). Sono stabili in presenza di acqua, ma hanno aderenza e coesione quasi nulle - FINI (limo). Caratteristiche intermedie - FINISSIME (argilla). L’argilla che ha i grani più fini agisce da legante unendo gli altri elementi, ma, se addizionata con acqua, è instabile per le variazioni di volume del composto Esistono diverse tecniche per costruire i muri con la terra: - MURO CODELLATO A MANO (tauf): l’uomo compatta la terra per costruire i muri - GETTATA IN CASSAFORMA (pisé): prevede che la terra venga gettata all’interno di un’armatura costituita da due pannelli di legno posti verticalmente alla distanza voluta e battuta in opera con una pesante mazza da legno. Si costruisce uno zoccolo per isolare la gettata dall’umidità. È più resistente. - COSTITUZIONE DI MATTONI MURATURA = STRUTTURA MURARIA COSTITUITA DI ELEMENTI (PIETRA, LATERIZIO) SOVRAPPOSTI GLI UNI AGLI ALTRI CON L’INTERPOSIZIONE O MENO DI UN MATERIALE CEMENTANTE CHE NE COLLEGA LA MASSA. MURO = STRUTTURA EDILIZIA PARALLELEPIPEDA AVENTE LE DUE DIMENSIONI D’ALTEZZA E LARGHEZZA PREVALENTI RISPETTO ALLA TERZA DIMENSIONE (SPESSORE). È UNA DELLE PARTI DEGLI EDIFICI CHE NE COSTITUISCONO L’ORGANISMO STRUTTURALE PORTANTE, DESTINATO A SOSTENERE LE COPERTURE. 5 L’EGITTO Gli Egizi preservavano gli edifici più grandi alla sfera sacra, come ad esempio le PIRAMIDI, dedicate agli dèi. La TOMBA era destinata a durare nel tempo perché secondo gli egizi la vita continuava anche dopo la morte se la tomba lo permetteva. Oltre alle piramidi anche i TEMPLI erano dedicati a divinità e a faraoni. L’Egitto, a differenza della Mesopotamia, è ricco di CAVE DI PIETRA, anche in superficie. Un esempio è SAQQARA, il complesso funerario di Djoser del 2600 a.C. circa. È un COMPLESSO FUNERARIO perché le tombe dei faraoni non erano isolate, ma avevano attorno una serie di templi ed edifici per l’amministrazione finanziaria del culto. La PIRAMIDE di Djoser è uno dei primi edifici in pietra calcarea bianca in cui i conci sono piccoli e già molto ben tagliati. Le misure di questi derivano da quelle dei mattoni, quindi erano comodi da porre in opera. Le prime piramidi non avevano la forma piramidale che le ha rese famose, infatti erano A GRADONI. In realtà all’inizio c’era solo un gradino esteriore e la camera funeraria scendeva nel sottosuolo. La piramide di Djoser era nata così, ma poi per il desiderio di una maggior magnificenza sono stati aggiunti altri gradini. La differenza tra la piramide a gradoni egiziana e la Ziggurat mesopotamica sta nel fatto che le prime sono monumenti funerari. La NECROPOLI DI GIZA (presso il Cairo, 2500 a.C. circa) contiene le piramidi più famose. La pietra era tagliata a blocchi di grandi dimensioni per una maggior resistenza: più piccoli sono i blocchi e più numerosi sono i giunti. Porre in opera blocchi più grandi è più difficile ma anche più veloce. Si usano quindi BLOCCHI MONOLITICI per costruire un sistema trilitico del tempio. Gli architravi erano in pietra perché costituiti in granito. Il GRANITO era una pietra molto resistente: è una roccia magmatica intrusiva, ovvero una roccia che si è solidificata e formata all’interno della crosta terrestre. Ha una resistenza altissima perché si raffredda lentamente ed è sottoposta a carichi più importanti rendendola più compatta. Meno resistente è la roccia magmatica effusiva, creata dal raffreddamento della lava una volta che essa è in superficie. ORGANIZZAZIONE DEL CANTIERE. 1. ESTRAZIONE IN CAVA. La grande dimensione dei blocchi di pietra richiedeva relativamente poca manodopera per il taglio e tempi più ridotti rispetto ai piccoli blocchi. 1.a. Estesi giacimenti di pietra calcarea affioravano ovunque nella valle del Nilo. L’attività di cava avveniva prevalentemente a cielo aperto, spesso in aree pianeggianti. I blocchi venivano isolati praticando dall’alto una griglia ortogonale di strette trincee per mezzo di picconi in pietra e scalpelli di rame percossi dal martello, arrivando a scavare anche sotto i blocchi. Per estrarli utilizzavano una leva. 1.b. Estrazione in cave sotterranee. Le prime cave sfruttate erano quelle in superficie, ma per cercare il materiale più pregiato si doveva scavare sottoterra, sui fianchi delle colline. Per scendere si scavava una galleria orizzontale al di sopra del primo blocco; poi si scavava in modo che l’operaio potesse posizionarsi dietro al primo blocco per poi toglierlo. Poi si scavava in verticale scendendo per togliere il secondo blocco e così via. Sistema di estrazione di un obelisco in granito: si scava intorno ad esso e poi al di sotto utilizzando pezzi di DIORITE (roccia intrusiva “granitica” molto dura”. PICCONE = ATTREZZO PER SCAVARE TERRE COMPATTE E ROCCE TENERE. È COSTITUITO DA UNA SBARRA PARALLELEPIPESA, LEGGERMENTE RICURVA, FOGGIATA A OCCHIO NEL MEZZO, PER ADATTARVI IL MANICO DI LEGNO, E TERMINANTE A UN ESTREMO A PUNTO E ALL’ALTRO A TAGLIO. (ANCHE PICCONE A DOPPIA PUNTA). SCALPELLO = UTENSILE PER SGROSSARE, TAGLIARE, INCIDERE PIETRE, METALLI, LEGNO, COSTITUITO DA UNA SBARRETTA D’ACCIAIO DI DIVERSA SEZIONE SECONDO GLI USI, CON UN’ESTREMITÀ TAGLIENTE E CON L’ALTRA PIATTA O FORNITA DI MANICO, SU CUI POTER BATTERE CON IL MARTELLO O ESERCITARVI UNA PRESSIONE MANUALE. 2. TRASPORTO DEI BLOCCHI. Richiedeva un’enorme quantità di manodopera e una complessa serie di infrastrutture appositamente realizzate. Il trasporto si effettuava solitamente su slitte o su carri trainati da buoi che percorrevano piste lastricate appositamente tracciate per raggiungere i cantieri, lastricate con pietrame per conferire un aspetto uniforme al suolo. Se le cave erano lontane dal cantiere, i blocchi venivano trasportati su grandi barche lungo il Nilo e poi incanalati nelle piste. 3. IL CANTIERE IN SITU. I blocchi venivano trascinati sopra delle rampe artificiali (probabilmente di mattoni crudi e pietrame) realizzate intorno all’edificio in costruzione per essere posizionati al livello voluto. Le rampe venivano progressivamente alzate e allungate per mantenere la medesima inclinazione (generalmente attorno al 20-25%). Alla costruzione lavorava manodopera libera specializzata (non schiavi). In cantiere potevano essere impegnati fino a 20.000 uomini. Attorno al cantiere veniva allestita una vera e propria città dove soprintendenti, operai, artigiani potevano abitare. Erano rigidamente organizzati in squadre di circa 2000 uomini, suddivise in subunità 6 DENTRO LA PIRAMIDE. È un edificio pieno scavato da cunicoli per raggiungere la tomba del Re. È una piramide senza fondazioni: ciò è possibile nelle zone dove c’era la roccia fino alla superficie, in modo da sostenere il peso della struttura sovrastante. ATTRITO = FORZA RESISTENTE CHE SI PRODUCE NEL CONTATTO TRA DUE CORPI PREMUTI L’UNO CONTRO L’ALTRO, CHE NE OSTACOLA IL MOVIMENTO RELATIVO. CONCIO = BLOCCO DI PIETRA FACENTE PARTE DI UNA STRUTTURA MURARIA E A TAL FINE LAVORATO IN MODO DA ASSUMERE DEFINITE E PIÙ O MENO REGOLARI. All’interno della piramide vengono posti i conci di minor qualità. Poi, avvicinandosi alla superficie esterna, ci sono i blocchi ben squadrati e con andamento a gradoni. I CONCI DI RIVESTIMENTO sono tagliati con sezione trapezoidale per dare l’effetto di superficie liscia. I conci vengono appoggiati uno sopra l’altro e si reggono in piedi grazie all’ATTRITO. All’interno i blocchi sono in pietra calcarea (meno resistente del marmo). MARMO = ROCCIA METAMORFICA. DERIVA DAL CAMBIAMENTO SOTTO GRANDI SOLLECITAZIONI DI ROCCE PREESISTENTI. QUESTO PROCESSO FA DI CHE LA ROCCIA METAMORFICA SUBISCA UNA NUOVA CRISTALLIZZAZIONE, RISULTANDO PIÙ COMPATTA E OMOGENEA. CALCARE = ROCCIA SEDIMENTARIA: SI È PRODOTTA PER SEDIMENTAZIONE DI SOSTANZE MINERALI E ORGANISMI VIVENTI. HA PROPRIETÀ INFERIORI RISPETTO AL MARMO. FONDAZIONI. Si distingue tra gli edifici: - costruiti sui BANCHI ROCCIOSI presso i margini del deserto. Le costruzioni erano direttamente impiantate sul suolo; la roccia veniva anzi parzialmente inglobata nell’edificio per risparmiare il materiale da costruzione, come ad esempio nella piramide di Cheope. - quelli innalzati nel TERRENO ALLUVIONALE intorno al Nilo. Le fondazioni egiziane sono in linea generale opere di mediocre qualità non commisurate al carico che debbono sostenere. Il più delle volte hanno scarsa profondità (una o due assise di blocchi sottomuri e colonne dei templi, solo tre assise sotto gli enormi piloni) e non sono più larghe dell’alzato. Le fondazioni dei colonnati erano sovente discontinue e anche questo costituiva un fattore di debolezza. 7 MICENE (GRECIA) Periodizzazione della cultura greca: - Età ellenica o arcaica, dalle origini al 500 a.C. circa - Periodo classico, dal 500 a 323 a.C. In corrispondenza con il massimo fiorire della città di Atene. Periodo che pone le radici della cultura occidentale - Periodo ellenistico, dal 323 a.C. (morte di Alessandro Magno) al 31 a.C. (battaglia di Azio) Civiltà micenea: 1600-1100 a.C. Come in Egitto, anche in Grecia gli edifici monumentali venivano costruiti in PIETRA. Nella Grecia arcaica si usava allestire CAVE TEMPORANEE O DI COMODO, cioè cave vicine ai cantieri, che venivano abbandonate quando questi venivano chiusi. Questo finché si utilizzò come materiale da costruzione un calcare poroso di scarso pregio. Quando si cominciarono a utilizzare rocce più dure e pregiate, le cave divennero invece oggetto di uno sfruttamento intensivo. Le tecniche per cavare la pietra erano simili a quelle illustrate per l’Egitto. MURA CICLOPICHE (1400-110 a.C. circa): - Costituite da grandi blocchi di pietra (spesso oltre i 2 m.) di forma irregolare e di dimensioni diverse - Si costruivano due PARAMENTI murari separati tra loro (doppia cortina di blocchi lapidei), all’interno delle quali si gettavano terra e pietrame - Sono POSATE A SECCO su file irregolari e discontinue, tenute insieme dall’attrito statico - Restavano degli interstizi notevoli tra un blocco e l’altro, che veniva riempito da materiale lapideo (bitume e terra) - Spessore complessivo dai 5 ai 17 m Altezza fino a 8 m PARAMENTO = OGNUNA DELLE SUPERIFICI LATERALI DI UNA STRUTTURA MURARIA (PARETE) I muri seguono i contorni naturali delle alture, disponendosi dove lungo ripidi dirupi naturali che favorivano la difesa del territorio. Ad esempio, le mura di Tirinto sono articolate in nicchie, corridoi e ambienti, probabilmente destinati a magazzino. ARCO A MENSOLA (o AD AGGETTO). Non è un vero arco perché è soggetto solo a spinte verticali vero il basso. La COPERTURA degli ambienti viene ottenuta posizionando i conci in modo tale che ogni concio sporga rispetto a quello inferiore creando un andamento digradante. Il concio sporge quanto basta per creare l’effetto di copertura. Il peso del concio superiore tiene fermo quello inferiore. MENSOLA = ELEMENTO STRUTTURALE FISSATO ALLA PARETE E SPORGENTE DA ESSA, USATO, NELLA PARTE LIBERA, A SOSTENERE ELEMENTI SOVRASTANTI IN AGGETTO. NELLA SCIENZA DELLE COSTRUZIONI È CONSIDERATA COME UNA TRVE INCASTRATA A UN SOLO ESTREMO E PER LO PIÙ SOGGETTA A SOLE FORZE VERTICALI DIRETTE VERSO IL BASSO. A MICENE, attorno al 1250 a.C. viene riscostruito un tratto di mura: si vede l’evolversi delle tecniche costruttive dalla maggior regolarità dei blocchi. Questi, infatti, sono pressoché parallelepipedi, sebbene i corsi non siano esattamente rettilinei. Si sceglie una pietra più tenera in quanto più lavorabile. È un intervento dovuto a motivi di immagine, non funzionali: viene inserita anche una porta monumentale per mostrare la ricchezza, la raffinatezza e la potenza della tecnica raggiunta. PORTA DEI LEONI: ai lati di una colonna si ergono due leonesse rampanti, cioè con le zampe anteriori alzate. È un trilite con megaliti in pietra. Dato che la pietra ha poca resistenza a trazione e a flessione, si decide di non far gravare il peso dei blocchi lapidei sull’architrave. Questi grandi massi non arrivano ad appoggiarsi sull’architrave. Si crea un ARCO A MENSOLE al di sopra che poi viene tamponato con una lastra più leggera, in maniera che il punto più sollecitato non subisca il peso delle mura che circondano la porta. La porta è quindi sormontata da un TRIANGOLO DI SCARICO: accorgimento costruttivo adottato per scarica l’architrave dal peso della struttura sovrastante. Il triangolo di scarico direzione il peso sugli stipiti, liberando l’architrave che in questo modo deve sorreggere solo il proprio peso. Può essere vuoto, oppure costituita da una lastra di pietra più leggera. 10 LA GRECIA FONDAZIONE = STRUTTURA DI BASE DI UNA COSTRUZIONE, CHE NE TRASMETTE AL TERRENO IL PESO E LE ALTRE FORZE CUI LA COSTRUZIONE È SOGGETTA, RIPARTENDOLE IN MISURA COMPATIBILE CON LE CAPACITÀ PORTANTI DEL TERRENO E IN MODO CHE SIA ASSICURATA LA STABILITÀ PER UN TEMPO INDEFINITO. IL PIANDO D’APPOGGIO È DETTO PIANO DI FONDAZIONE; QUANDO IL TERRENO PRESENTA SUFFICIENTI REQUISITI DI RESISTENZA E DI COMPATTENZA IL PIANO DI FONDAZIONE VIENE FISSATO A PROFONDITÀ RELATIVAMENTE LIMITATA; ALTRIMENTI SI HANNO LE FONDAZIONI PROFONDE. FONDAZIONI DEL TEMPIO GRECO. - Più accurate che nel mondo egizio - Fin dal VII sec. A. C. si usavano blocchi lapidei parallelepipedi dalle facce non levigate, di dimensioni abbastanza grandi - I blocchi sono disposti su assise orizzontali, sebbene le altezze siano variabili - La struttura delle fondazioni è più larga dell’elevato - Si ricorre a pietre locali di scarso pregio, poiché il marmo è riservato alla parte visibile dell’edificio FONDAZIONE LINEARE SEMPLICE. Corrisponde alla pianta dell’edificio ampliando la struttura di fondazione rispetto al perimetro dell’elevato. Si trovano sotto ai colonnati e sotto ai muri della cella. FONDAZIONI LINEARI A RACCORDI. Nei grandi templi le fondazioni lineari in grandi blocchi parallelepipedi dei muri e dei colonnati sono spesso collegate, in senso trasversale e longitudinale, da setti murari di analoga fattura che formano una robusta griglia ortogonale per aumentare la stabilità irrigidendo il tutto. FONDAZIONI DISCONTINUE (o ISOLATE). È il tipo più economico, ma più debole, in cui, nella peristasi, i blocchi lapidei vengono posizionati solo in corrispondenza delle colonne. È problematica perché è più facile che ci siano dei cedimenti: il plinto isolato si può spostare lateralmente. Per ovviare questo problema si metteva tra un punto e l’altro una struttura più leggera in pietrame (STRUTTURA DI RIEMPIMENTO per compattare il terreno). FONDAZIONI A PIATTAFORMA O A PLATEA. Costituite da una massa muraria compatta sotto tutto l’edificio. Molto più rara in quanto assai impegnativa, usata su terreni instabili. FONDAZIONE INTERMEDIA TRA LA FONDAZIONE LINEARE CON RACCORDI E LA FONDAZIONE A PLATEA. Si scava tutta l’area dove costruire il tempio e si realizza un sistema a griglia. Si colmano i vuoti della griglia con un riempimento omogeneo di sabbia o pietrame di piccolo taglio che costituisce una massa stabile e compatta, la quale si oppone a eventuali movimenti oscillatori delle strutture portanti. Tra le fondazioni e l’elevato si trova l’EUTHYNTERIA: è l’assisa che garantisce l’orizzontalità del basamento. Si tratta di un filare di transizione, realizzato con un materiale migliore rispetto alla fondazione. Le facce inferiori si adattano ai dislivelli dei blocchi sovrastanti, quelle superiori sono perfettamente a livello. Sull’euthynteria si imposta la crepidine, basamento dell’edificio. MURATURA GRECA. La muratura greca in conci si distingue per la sua grande accuratezza: - I conci, di forma parallelepipeda regolare, sono perfettamente combacianti - Hanno la medesima altezza nello stesso filare, per cui le assise mantengono perfetta orizzontalità - La dimensione è in genere compresa tra i 90 e i 120 cm per il lato maggiore, gli altri lati fra i 45 e i 75 cm. - La muratura è posata a secco - Man mano si diffonde l’uso delle GRAPPE DI FISSAGGIO, prima in legno, poi in metallo, per fissare i conci fra di loro OPERA QUADRATA: muratura costituita da conci parallelepipedi. ISÒDOMO = MODO DI DISPORRE I BLOCCHI, USATO DAI GRECI NELL’OPERA QUADRATA, CON FILARI TUTTI DI UGUALE ALTEZZA. PSEUDOISODOMO = I FILARI HANNO ALTEZZE DIVERSE DIÀTONO = “CHE SI ESTENDE DA UNA PARTE ALL’ALTRA”. TIPO DI COSTRUZIONE MURARIA, IN USO PRESSO I GRECI E I ROMANI, COSTITUITA DA UNA SOLA CORTINA, CON BLOCCHI CHE OCCUPANO TUTTO LO SPESSORE DEL MURO. Nella maggior parte dei casi il concio occupa l’intero spessore del muro, quindi non c’è bisogno di allineare più file. Di tanto in tanto sono posti dei CONCI DI TESTA, cioè ortogonali agli altri. Questo serve per evitare la separazione tra due file di conci paralleli. 11 ORTÒSTATA = “COLLOCARE, STARE”. LASTRA DI PIETRA VERTICALE CON CUI SI COSTRUIVA IL FILARE INFERIORE DEI MURI (BASAMENTO). DI ALTEZZA DOPPIA O TRIPLA DI QUELLA DEI FILARI SUPERIORI. SOSTRUZIÒNE = “COSTRUIRE DI SOTTO, FARE LE FONDAMENTA”. STRUTTURA IN TUTTO O IN PARTE SOTTOTERRA CHE SERVE DI SOSTEGNO A UN EDIFICIO SOVRASTANTE. QUANDO, PER L’ANDAMENTO IN PENDENZA DEL TERRENO, È DESTINATA A FORMARE IL PIANO ORIZZONTALE DI POSA DELLA COSTRUZIONE E IN QUESTO CASO COSTITUISCE UN’OPERA DI TERRAZZAMENTO CHE, NELLE PARTI VISIBILI, PRENDE ASPETTI ARCHITETTONICI IMPONENTI E ASSUME UN VALORE COMPOSITIVO. I muri di sostruzione in opera quadrata grazie alla loro verticalità assumono un aspetto monumentale, ma hanno bisogno di strutture murarie di rinforzo al muro di contenimento. Queste possono essere - Continue (speroni) - Distanziate (contrafforti) La “superficie ribassata” è rientrante. I bordi erano lisciati per combaciare con i conci a fianco, in questo modo rimane un piccolo spessore vuoto tra i conci. ANATÌROSI = “SOVRAPPORRE BLOCCHI DI COSTRUZIONE”. LA PARTE PERIFERICA LEVIGATA NELLE SUPERFICI DI CONTATTO DEI BLOCCHI DI COSTRUZIONE, LA CUI PARTE CENTRALE È LEGGERMENTE INCAVATA ALLO SCOPO DI OTTENERE UNA MIGLIORE CONNESSURA CON I BLOCCHI. LE COLONNE. Vitruvio ci parla dell’origine lignea delle colonne (alberi) che poi vennero sostituite da sostegni in PIETRA. In Grecia le colonne di pietra le colonne di pietra prendono gradualmente il posto dei pali di legno. Nelle CELLE (luogo sacro dove potevano entrare solo i sacerdoti) dei templi già in età arcaica, grazie anche al perfezionamento delle opere di carpenteria, si provvede a eliminare la fila di sostegni posta sull’asse longitudinale centrale che caratterizzava gli impianti più antichi. Se la cella non è molto ampia le travature sono impostate direttamente sui muri perimetrali, altrimenti vengono realizzate due file longitudinali di sostegni che suddividono l’ambiente in tre navate, di cui quella centrale più larga. Il colonnato centrale (dentro alla cella) serviva per appoggiare il TETTO, cioè la trave di colmo, ovvero quella che stava al vertice della copertura. L’ORDINE ARCHITETTONICO è un sistema costruttivo caratterizzato da una serie di regole matematiche e formali. È nato come sistema per assicurare la stabilità della costruzione (segue regole matematiche e di proporzioni). Gli ordini diventano sempre più sottili e slanciati e gli intercolumni sempre più ampi. Sulle colonne è impostata la TRABEAZIONE che è composta da tre elementi fondamentali a sviluppo orizzontale: architrave, fregio e cornice. Il problema degli architravi in pietra, i quali sono destinati a sopportare il peso considerevole del fregio, della cornice, delle travature lignee del soffitto e del tetto spiovente, è quello della loro scarsa resistenza a trazione. Per ridurre al minimo la portata di tali elementi, agli inizi essi vengono impostati al di sopra di capitelli molto sporgenti, che funzionano come vere e proprie mensole che sostengono l’architrave. Con il passare del tempo si acquisisce una maggiore sicurezza, la larghezza dei capitelli tende a diminuire e si amplia la luce degli intercolumni (corrispondenti a un concio). Sebbene le COLONNE MONOLITICHE siano più resistenti, si usano più spesso, per motivi di economia, colonne costituite da ROCCHI sovrapposti, fissati da grappe, scanalati dopo il montaggio, per gli evidenti problemi che si creerebbero per far combaciare le scanalature preliminarmente realizzate. L’uso del marmo nell’area microasiatica consente invece già in età arcaica la realizzazione di intercolumni molto spaziosi e colonne sottili, per cui fin dalle origini l’ordine ionico si manifesta con forme assai più leggere e slanciate rispetto al dorico. La disponibilità di cave di marmo e di altre pietre di ottima qualità in loco favorisce una precoce litizzazione degli edifici monumentali. 12 LE COPERTURE. I templi greci erano coperti da TETTI A DUE FALDI ad orditura lignea. L’armatura primaria di tali tetti è costituita da una serie di grosse travi maestre parallele disposte in senso longitudinale (mutuli); fra esse quella di colmo era detta columen. ORDITURA = INSIEME DEGLI ELEMENTI PORTANTI DI UN SOLAIO O DI UN TETTO. INSIEME DELLE TRAVI PRINCIPALI E DI QUELLE SECONDARIE DI SOSTEGNO DEL MANTO DI COPERTURA DEI TETTI. Sopra l’orditura primaria (o grossa) se ne impostava una secondaria su cui si appoggiavano le tavole lignee su cui si appoggiavano le tegole, implicando la necessità di fare dei frontoni meno inclinati. Gli incassi di columen e mutuli si configurano spesso come vere e proprie nicchie per le loro grandi dimensioni: sono visibili sul retro di alcuni frontoni in blocchi di pietra che si sono conservati fino ai nostri giorni (tempio di Poseidone e Athenaion a Poseidonia, tempio di Efesto ad Atene). Per irrigidire queste strutture vennero introdotte CATENE trasversali che collegavano le coppie di puntoni opposti per attutirne le spinte laterali (spinte oblique che i puntoni esercitano sui muri perimetrali rischiando di ribaltarli) e vincolarli all’interno di un sistema triangolare chiuso e rigido. Le catene dovevano collocarsi sempre in corrispondenza di ogni coppia di puntoni. Sulle catene spesso si impostavano dei puntelli verticali (ritti) oppure obliqui (saette) Questi tralicci lignei, che prendono il nome di cavalletti, incavallature o capriate semplici si vanno via via perfezionando. CATENA = ELEMENTO STRUTTURALE ORIZZONTALE SOTTOPOSTO A SFORZO DI TRAZIONE CHE ALLEGERISCE LA SPINTA LATERALE NEGLI ARCHI, NELLE VOLTE E NELLE CAPRIATE. VIENE INVENTATA LA CAPRIATA Il progresso tecnologico della capriata rispetto ai primitivi cavalletti triangolari consiste nell’adozione di travi di grande spessore; nella perfetta coesione tra i suoi vari elementi che si attua collegando puntoni e catena per mezzo di giunti a incastro e cerchi di metallo; nella presenza di un ritto centrale (ometto o monaco) il quale sostiene la catena impedendone la flessione; nell’aggiunta di due saettoni, con inclinazione opposta a quella dei puntoni, i quali limitano la flessione di questi ultimi scaricando sul monaco la forza di compressione a cui sono sottoposti. Le diverse direzioni delle sollecitazioni cui sono soggetti i vari elementi si combinano in una risultante ad andamento verticale. L’efficienza della capriata risiede nella sua struttura a triangoli che riduce al minimo la deformabilità dell’insieme, per cui essa risulta particolarmente resistente alla trazione ed è in grado di coprire ampie luci. PUNTONE = ELEMENTO OBLIQUO DI UNA STRUTTURA SOGGETTA PREVALENTEMENTE ALLA SOLLECITAZIONE DI COMPRESSIONE SEMPLICE (SI CREA UN INCASTRO). Sopra l’orditura lignea del tetto, sopra a tavole anch’esse lignee, veniva posto un manto di TEGOLE. Le tegole erano già presenti nell’architettura micenea, ma poi caddero in disuso per ricomparire, sotto nuova forma, in Grecia nel VII sec. A. C. Esse sono state classificate in due gruppi fondamentali che prendono nome dalle rispettive aree di provenienza: - Tegole corinzie - Tegole laconiche Più tardi si useranno anche tegole in marmo, che, per il loro maggiore peso, richiederanno strutture di sostegno più forti. TEGOLA = ELEMENTO LATERIZIO RESISTENTE AGLI AGENTI ATMOSFERICI, DESTINATO A COMPORRE IL MANTO DI COPERTURA DELLE FALDE INCLINATE DI TETTI. 15 ROCCE SEDIMENTARIE PIROCLASTICHE. Hanno origine da materiale detritico incandescente proiettato dai vulcani e raffreddatosi rapidamente. - Le ceneri, con diametro inferiore ai 2 mm. - I lapilli, con diametro compreso tra i 2 e i 64 mm. - Le bombe vulcaniche, con diametro superiore ai 64 mm. Un particolare tipo di cenere vulcanica sono le pozzolane. Il colore varia secondo la composizione dal grigio al nero al rosso- bruno. Esse hanno la proprietà di reagire con la calce in presenza di acqua formando un composto cementizio particolarmente tenace e con proprietà idrauliche. Grazie a questo materiale i Romani riuscirono a confezionare malte e opere cementizie di altissima qualità. Tra le rocce piroclastiche coerenti ci sono i TUFI, formati da ceneri e lapilli che si sono cementati perché caduti in seno alle acque oppure per azione delle acque filtranti nei depositi subaerei. I tufi presentano innumerevoli varietà in merito alle caratteristiche del colore, della struttura e della tessitura. Sono pietre relativamente tenere, generalmente con una buona attitudine alla lavorazione e alla squadratura, Per la facile lavorabilità i tufi sono stati largamente utilizzati nelle murature sia in conci che in blocchetti. Vi sono notevoli differenze tra un tipo e l’altro, per cui si hanno tufi molto fragili che si sgretolano con facilità (detti tufi granulari). I valori di resistenza a compressione variano da poche decine a 200 Kg e oltre per cmq. per i tufi duri e compatti, detti (tufi litoidi), per esempio il peperino. ROCCE SEDIMENTARIE CHIMICHE. Si sono formate per azione chimica dell’acqua la quale, nel suo cammino attraverso le rocce, scioglie i Sali presenti e li trasporta in conche dove si depositano dando origine a masse compatte. Si tratta generalmente di rocce semplici perché formate dall’accumulo di un’unica sostanza: 1. SALGEMMA, che si forma dall’evaporazione dell’acqua salata. 2. GESSO è costituito quasi interamente da solfato di calcio che deriva dalla trasformazione di sali marini per evaporazione. Questa roccia è molto tenera e facile da tagliare, ma è molto deperibile. Sottoposto a cottura tra i 130° e i 250° e mescolato con acqua il gesso si trasforma in un materiale plastico che ha avuto largo impiego dall’edilizia antica fino a quella contemporanea per confezionare malte, intonaci e stucchi. 3. TRAVERTINI, sono rocce calcaree (cioè formate prevalentemente di calcite) prodotte dalla evaporazione di acque ricche di carbonato di calcio. Si distinguono per una tessitura molto irregolare con frequenti concrezioni e vuoti causati dai vegetali inglobati nel sedimento e poi marciti. Hanno un colore giallo molto chiaro, quasi bianco, talvolta screziato di rosso o di bruno. È un materiale duro e pesante, con resistenza alla compressione di circa 500 kg/cmq. Celebre è soprattutto il travertino di Tivoli (lapis tiburtinus), molto utilizzato negli edifici romani a partire dall’età repubblicana in grandi blocchi, soprattutto nelle parti soggette a un carico maggiore, come le colonne, i pilastri, le ghiere degli archi, ma anche come rivestimento di grandi masse murarie. 4. ALABASTRI, sono aggregati di origine gessosa o calcitica, deposti in ambienti sotterranei da acque sature di minerali, i quali si presentano in aggregati con incrostazioni a strati concentrici (concrezionati) o a zone di diverso colore (zonati) o a venature raggiate. Nell’antichità ebbe notevole diffusione soprattutto l’alabastro cotognino egiziano, di tipo calcareo, che si presenta nei suoi manufatti a tessitura zonata, caratterizzata cioè da bande di colore miele alternate a fasce più strette di colore bianco candido o rosato. Venne impiegato in epoca faraonica per sarcofaghi, lastre di rivestimento, vasi e altri oggetti, poi dai Greci in età ellenistica e dai Romani che ne ricavarono anche elementi architettonici come cornici e colonne. Giacimenti di alabastro erano sfruttati anche in Asia Minore e in Italia. ROCCE SEDIMENTARIE ORGANOGENE. Sono dovute all’accumulazione dei resti di organismi vegetali o animali fissati o cementati da sali di calcio o di magnesio. Hanno origine organica i vari combustili: i carboni, il petrolio greggio (nafta), il metano. Hanno grande importanza come pietre da costruzione i CALCARI (composti prevalentemente da calcite) e le DOLOMIE (composte prevalentemente da dolomite, che è un minerale costituito da carbonato di calcio e magnesio) che devono la loro formazione al carbonato di calcio disciolto nelle acque fluviali, lacustri e soprattutto marine il quale, fissato dagli organismi nei loro gusci o scheletri, si deposita in masse più o meno compatte sul fondo del mare, formando sedimenti che ricoprono aree spesso di grande estensione. Lente trasformazioni cancellano poi la struttura organica e danno alla roccia un aspetto compatto e uniforme. Quando calcari e dolomie sono compatti, privi di infiltrazioni terrose, costituiscono un eccellente materiale da costruzione con resistenza alla compressione fino a 1500 Kg/cmq. In Italia i calcari predominano in forme più o meno pure nelle Prealpi e in tutta la parte più alta dell’Appennino Centrale e Meridionale; le rocce si distinguono anche da lontano per il loro colore bianco-cinereo. I più pregiati sono alcuni calcari compatti cripto-cristallini, cioè a struttura cristallina finissima da non essere rilevabile a occhio nudo, i quali si prestano a un perfetto lavoro di scultura e lucidatura e che per questo vengono comunemente, ma erroneamente chiamati marmi. Nell’edilizia antica si faceva largo impiego anche di calcari impuri, teneri, di colore giallastro, molto porosi – materiale genericamente chiamato POROS in Grecia – spesso con una consistente componente argillosa (in questo caso definibili marne) o sabbiosa (calcari-arenacei). Con caratteristiche fisico-meccaniche simili a quelle dei tufi, erano facilmente lavorabili in forma di blocchi rettangolari o altri elementi architettonici. È con questo tipo di rocce, reperibili non lontano dai cantieri, che furono costruiti i grandi templi arcaici e di età classica in Sicilia, in Magna Grecia e nel Peloponneso. Normalmente queste murature venivano intonacate per proteggere la pietra, piuttosto friabile, dall’erosione degli agenti atmosferici. 16 ROCCE METAMORFICHE. Derivano dalla trasformazione di rocce magmatiche e sedimentarie più antiche avvenuta entro la crosta terrestre in condizione di forte pressione, a temperatura elevata e in presenza di acqua, per cui tendono a una microcristallizzazione o a una disposizione lamellare degli elementi (scistosa). ARDESIA deriva da depositi di argilla formatisi in conseguenza dell’erosione di rocce marnose, assume un aspetto scistoso ed è quindi facilmente riducibile in lastre sottili. È una pietra semidura, impermeabile, di colore plumbeo-nerastro che tende a schiarirsi al momento dell’estrazione a contatto con l’aria. Per la sua conformazione stratificata è stata impiegata nell’edilizia soprattutto nella realizzazione di lastre pavimentali e di rivestimento dei tetti spioventi SERPENTINITE è una pietra generalmente di colore verde, a struttura brecciata, lucidabile e perciò utilizzata soprattutto in rivestimenti parietali e pavimentali. MARMO in senso strettamente petrografico deriva da metamorfismo di rocce calcaree. Per effetto della pressione e della elevata temperatura si ha una completa ricristallizzazione del carbonato di calcio in una struttura granulosa e generalmente compatta. Il colore del marmo è dovuto alla presenza di impurità minerali che vengono spostate e ricristallizzate durante il processo metamorfico. I marmi bianchi derivano pertanto da rocce calcaree più pure. La pietra è lucidabile mediante la levigatura della superficie. Tutti i marmi, ma particolarmente quelli bianchi, presentano una speciale luminosità, che li ha sempre resi molto apprezzati nei lavori di scultura. In architettura ha avuto sempre una importante funzione decorativa per la sua bellezza, ma è anche una pietra dura, con valori di resistenza alla compressione più spesso compresi tra i 1000 e i 1400 Kg/cmq, quindi molto adatta per la realizzazione di elementi portanti negli edifici monumentali anche per elementi portanti come colonne. Le cave egiziane fornivano il granito del Foro (marmor claudianum), caratterizzato da allineamenti paralleli di minerali scuri su un fondo bianco-grigiastro, largamente impiegato dai Romani anche per grandi colonne monolitiche (fronte del Pantheon, Foro Traiano); la breccia verde antica (o breccia verde d’Egitto), conglomerat) che ha subito un leggero metamorfismo, tenace e compatto, con molte varianti tessiturali, più frequentemente di colore verde; utilizzata in epoca faraonica per sarcofaghi, vasi, statue e stele, fu poi esportata ad Alessandria, Roma e Costantinopoli dove se ne ricavarono lastre di rivestimento e colonne. Dall’Asia Minore venivano il pavonazzetto, estratto nella Frigia, marmo brecciato con elementi di calcare cristallino bianco di dimensioni variabili e venature rosso-violacee, usato a Roma sin dall’età repubblicana per colonne monolitiche, come materiale di rivestimento di pavimenti e pareti, nonché nella statuaria in particolare per raffigurare personaggi di origine frigia; il marmo cario (o cipollino rosso), cavato vicino Iasos in Caria, il quale nel tipo più comune presenta venature o clasti bianchi e grigiastri su fondo rosso cupo, usato localmente dall’età ellenistica ed esportato verso Roma e altri centri dell’Impero solo a partire dall’età severiana, soprattutto in epoca bizantina quando fu largamente impiegato per colonne. I marmi bianchi greci più importanti sono quelli di Paro, di Nasso, di Taso, il Pentelico dell’Attica, utilizzati dalla fine del IV millennio per lavori di scultura, poi a partire dall’età arcaica nell’architettura. Nei principali edifici di Atene e di alcune città cicladiche vennero realizzate in blocchi di marmo bianco non solo le colonne e i muri, ma anche le travature dei soffitti e le tegole dei tetti. In epoca imperiale si afferma soprattutto il Proconnesio, esportato dall’omonima isola del Mar di Marmara, prima utilizzato solo localmente. In Italia sotto Giulio Cesare iniziò lo sfruttamento del marmo di Luni (marmor lunensis) che altro non è che l’attuale marmo di Carrara e prendeva nome dal centro portuale più vicino. Tra i marmi colorati greci vanno ricordati: - il cipollino verde, così chiamato per l’aspetto stratificato, con strisce di colore verde intenso che si stagliano su un fondo avorio, è stato uno dei marmi maggiormente esportati e più capillarmente diffusi nell’Impero Romano, soprattutto in forma di colonne; - il verde antico, estratto in Tessaglia, ha l’aspetto di una breccia con elementi angolosi bianchi o verde-scurissimo, quasi neri, su fondo verde smeraldino, è un altro marmo che ha avuto grande diffusione nell’Impero soprattutto in età bizantina, dove è stato utilizzato per colonne in molte importanti basiliche, tra cui Santa Sofia a Costantinopoli. In ambito architettonico il termine MARMO viene spesso impiegato in maniera estensiva, comprendendo tutte le pietre lucidabili, molto compatte, che hanno grande valore ornamentale e quindi anche i porfidi, i graniti, le brecce più pregiate, gli alabastri e i calcari massivi e microcristallini come il botticino e il giallo antico. Tale uso non è tuttavia corretto dal punto di vista petrografico. 17 L’ETRURIA (ROMA) Gli Etruschi sono un popolo italico che si insedia sulla costa tirrenica tra l’Arno e il Tevere e poi si espande sempre più nell’entroterra fino a inglobare l’intera Emilia-Romagna, dove formano delle città importanti come Adria e Spina. Le città più importanti si trovano nel Tirreno e nell’entroterra laziale, tanto che in un primo momento influenzarono Roma e, in un secondo momento, vennero poi assorbiti nella cultura romana, determinando così la fine della civiltà etrusca. Gli Etruschi furono grandi costruttori di MURA. Le loro città erano città stato. Furono influenzati dalla civiltà greca sviluppandone un’altra. ARCHITETTURA ETRUSCA: VII-IV secolo a.C. IL TEMPIO. Il tempio etrusco sembra influenzato da quello greco per la presenza del colonnato sulla fronte, della cella e del timpano. È però riadattato alle peculiarità locali: utilizzavano i materiali disponibili in loco, ovvero il LATERIZIO (costruiscono muri di mattoni) e il LEGNO. Quest’ultimo consente di creare delle strutture con dei larghissimi intercolumni, perché il legno è flessibile e consente delle luci molto più ampie. Per rendere prezioso il loro manufatto si rivestiva il legno con TERRACOTTA. Per mantenere la leggerezza delle strutture i timpani non erano chiusi e decorati come quelli dei templi greci, ma erano decorati con ACROTERI, cioè con delle statue o elementi verticali che si trovavano o sulla sommità del tetto o alle sue estremità. Vitruvio parla del tempio etrusco: ha tre celle (destinate a tre divinità diverse) di cui quella centrale più ampia con un colonnato che ha sempre otto colonne davanti (due file da quattro). Si trova sopra a un podio, cioè un BASAMENTO che però non è percorribile sui lati ma solo davanti. ANTEFISSA = “COLLOCARE DAVANTI”. ELEMENTO DECORATIVO CHE TERMINA LE TESTATE DEGLI EMBRICI (TIPO DI TEGOLA IN LATERIZIO) SUI TETTI DEI TEMPLI GRECI, ETRUSCO-ITALICI E ROMANI, GENERALMENTE DI TERRACOTTA DIPINTA, DI FORMA SEMICIRCOLARE O A DOPPIO SPIOVENTE, TALORA SCOLPITO IN ALTORILIEVO, CON MOTIVI VARI. LA FUNZIONE È DI IMPEDIRE ALLE TEGOLE DI SCIVOLARE. ACROTÈRIO = “SOMMITÀ”. ELEMENTO DI MARMO O DI TERRACOTTA CHE CORONA IL VERTICE E GLI ANGOLI DEL FRONTONE NEI TEMPLI ANTICHI; POTEVA ESSERE DECORATIVO O FIGURATO CON SCULTURE, ANCHE A TUTTO TONDO, DI ANIMALI, DIVINITÀ. L’ARCO. Spesso si attribuisce l’invenzione dell’arco agli Etruschi, ma sembra che le colonie della Magna Grecia li abbiano preceduti. In ogni caso esso era già in uso in Oriente. L’arco veniva utilizzato come apertura nelle cinte murarie. Il più famoso è l’arco di Volterra: ci sono le mura di banchina (arenaria locale, conci più piccoli) dove vengono inseriti i grossi conci che fanno da pilastri di imposta dell’arco al di sopra dei quali ci sono dei conci disposti a raggera con delle teste sporgenti (probabilmente di divinità). L’arco lavora A COMPRESSIONE perché essendo costruito per conci disposti a raggera, il concio di chiave (centrale) scarica le sue spinte oblique su quello adiacente, il quale le trasmette a sua volta a quello adiacente, e così via, fino ad arrivare al piedritto. Questo funzionamento fa si che l’arco eserciti uno sforzo obliquo sulle strutture che lo sorreggono. Quindi è necessaria una muratura di rinfianco dove cadono le spinte oblique. ARCO = STRUTTURA CURVA PREDISPOSTA PER COPRIRE LA DISTANZA TRA DUE APPOGGI VERTICALI. È COSTITUITA DA UNA SERIE DI ELEMENTI (CONCI O CUNEI) CHE SI REGGONO PER MUTUO CONTRASTO, IN MODO CIOÈ CHE CIASCUNO DI ESSI AGISCA SU QUELLI ADIACENTI NON VERTICALMENTE, MA IN DIREZIONE OBLIQUA; DI CONSEGUENZA I PIEDRITTI A LORO VOLTA SONO COLLECITATI DA UNA FORZA INCLINATA, LA CUI COMPONENTE ORIZZONTALE È DETTA SPINTA DELL’ARCO. 20 LAVORAZIONE DELLA MALTA. L’operazione si compie dopo la fase di spegnimento, quando la calce è ancora idrata e allo stato plastico. Questa viene in genere trasportata per mezzo di recipienti e gettata direttamente sul cumulo degli inerti, conformato a forma di cratere; si provvede quindi a impastare accuratamente le due sostanze aiutandosi con una zappa dal lungo manico (marra). L’accuratezza della miscelazione è fondamentale per le caratteristiche meccaniche del materiale risultante. L’uso della malta di calce come legante degli elementi del muro si afferma in maniera decisa e definitiva nell’architettura romana tra il III e il II sec. a.C. Dal punto di vista granulometrico l’inerte ideale per la calce è la SABBIA (da 0,0625 a 2 mm). Un inerte troppo fine, come l’argilla, non ha proprietà stabilizzanti e si mescola male. Vitruvio raccomanda che la sabbia (harena) non contenga terra; la migliore, sostiene, “è quella che sfregata in mano scricchiola” (II, 4, 1). Egli distingue poi tra: - sabbia di cava, adatta per le murature - sabbia fluviale preferibile per gli intonaci - sabbia marina, che ha il difetto di asciugare troppo lentamente, inoltre la salsedine sgretola l’intonaco dei muri. POZZOLANA. È una polvere della città di Pozzuoli. Vitruvio la definisce un “genere di polvere che fa per sua natura cose ammirevoli. Mescolata alla calce e alle pietre non solo conferisce solidità a ogni genere di edifici, ma consente anche alle costruzioni realizzate in mare, di indurirsi sott’acqua”. Le malte a base di pozzolana hanno una maggiore resistenza meccanica e fanno presa anche sott’acqua. Un’altra loro caratteristica molto apprezzata, che consente di rendere più spedito il processo di costruzione, è quella di fare presa in assai minor tempo. La pozzolana è una cenere piroclastica con una granulometria variabile, che va dal limo alla sabbia. È un prodotto delle eruzioni dei vulcani campani e laziali. La sua reattività con la calce è migliore se è più fine, perché in questo modo aumenta la superficie di contatto fra l’una e l’altra. Recenti sperimentazioni hanno riscontrato che il valore medio di resistenza a compressione delle malte di pozzolana rispetto ad analoghe malte di calce e sabbia risulta circa otto volte maggiore. I valori più alti per tutti i campioni si riscontravano a circa un anno di stagionatura. La resistenza del materiale infatti aumenta gradualmente con il processo di carbonatazione che è molto più lungo della presa. La resistenza meccanica della malta dipende anche dal rapporto proporzionale fra la calce e gli inerti. Vitruvio dà nel merito delle precise disposizioni per il rapporto calce/sabbia: - 1:2 se la sabbia è di fiume o di mare, - 1:3 se la sabbia è di cava. Plinio aumenta la quantità di sabbia in questi rapporti: - 1:3, per l’harena marina e quella fluviatilis - 1:4 per l’harena fossicia (di cava) Per quanto riguarda infine le opere da realizzare sott’acqua Vitruvio propone una parte di sabbia e due di pozzolana flegrea. Esperimenti recenti dimostrerebbero che il rapporto migliore per le malte pozzolaniche è quello prossimo a 1:3 sia per le opere subacquee che per quelle terrestri. Importante infine è anche la proporzione di acqua nel composto. La malta deve essere lavorabile, quindi sufficientemente plastica, ma anche il più dura possibile; la sua resistenza aumenta con la diminuzione dell’acqua. MALTA A COCCIOPESTO. Prevede l’aggiunta ai componenti principali dell’impasto (la calce, la sabbia ed eventualmente la pozzolana) di una polvere costituita da laterizi minutamente frantumati. Non tutte le terrecotte assicurano le stesse proprietà perché dipende anche dal tipo di argilla contenuta, in ogni caso l’aggiunta di frammenti laterizi alla calce aumenta la resistenza meccanica e la durevolezza del materiale. Vitruvio consiglia di aggiungere una terza parte di laterizi battuti e sminuzzati alla sabbia di mare e di fiume da mescolare con la calce per ottenere un composto di migliore qualità. Veniva usato largamente negli ambienti esposti a una forte umidità, come quelli termali, per i rivestimenti di cisterne e vasche perché il cocciopesto ha proprietà igroscopiche. MALTE PER INTONACI E STUCCHI. Impasti particolari venivano prodotti per il rivestimento dei muri con due scopi principali: - Proteggere le superfici dagli agenti atmosferici - Decorare le superfici Rispetto all’uso greco, i romani aumentano il numero dei letti (= strati) di intonaco, che hanno una composizione gradualmente più fine man mano che si procede verso l’esterno A Roma si differenziano: - Opus tectorium composto di malta di calce e sabbia - Opus albarium composto di malta di calce (o di gesso) e polvere di marmo 21 Vitruvio prevede almeno 7 strati di intonaco sulle pareti: 1. Un primo grossolano rinzaffo (trullissatio); 2. Sopra questo, mentre stava indurendo, si stendeva un arriccio di malta di calce e sabbia (harenata) la cui superficie doveva essere spianata usando il regolo e il cordino sull’orizzontale, il filo a piombo sulla verticale e si provvedeva alla squadratura degli angoli; 3-4. sull’arriccio bisognava dare altri due letti di calce e sabbia, 5-7. infine, si applicavano tre strati ben levigati a base di polvere di marmo. Sull’ultimo strato, mentre era ancora bagnato, si stendeva l’eventuale colore (affresco). Nella realtà se ne trovano generalmente tre: gli strati 3-4 non ci sono e del 5-7 se ne ritrova solo uno. OPERA CEMENTIZIA. CEMENTIZIA, OPERA (Caementicium opus). - Si trova indicata presso Vitruvio anche col nome di structura caementicia, ed è formata dalla unione di frammenti di pietra, di materiale cotto e di altri materiali da costruzione con la malta. La qualità dei frammenti adoperati nella miscela, il loro taglio, la proporzione rispettiva e la composizione della malta costituiscono criteri per la datazione di un tale sistema costruttivo, che, sebbene già presente in Campania prima della conquista romana, fu perfezionata e diffusa dai romani. Dura ancora ai nostri giorni, sebbene con importanti varianti, con il nome di calcestruzzo, un impasto di malta e ghiaia o pietrisco. CAEMENTUM (CAEMENTA) era presso i romani il pietrisco, non esisteva il cemento come legante che conosciamo oggi. SISTEMA DI LAVORAZIONE. A differenza dell’odierno calcestruzzo, i caementa non venivano mescolati con la malta prima della messa in opera. L’unione tra i due materiali avveniva durante la costruzione del muro. La maniera ordinaria consisteva nello stendere un letto di malta alto qualche centimetro, disporvi sopra a mano uno strato di caementa, coprirli con una gettata di malta e così via. La malta è allo stato plastico e quindi la costruzione va effettuata dentro le pareti che venivano progressivamente innalzate. Si alzano sui due lati del muro alcuni filari della cortina, in blocchetti di pietra o in laterizi, legandoli con la malta di calce, poi si riempie la cavità che risulta nel mezzo alternando come al solito uno strato di malta con uno strato di caementa; si riprende a salire all’esterno disponendo altri elementi del paramento, si colma poi internamente e così via. Bisogna avere cura che il nucleo si leghi saldamente con il paramento, altrimenti dopo l’essiccamento si rischia di avere un muro costituito da tre lastre verticali separate, con inevitabile distacco delle due cortine. Arrivati a una certa altezza gli operai devono lavorare su impalcature a più piani; queste vengono ancorate al muro per mezzo di travicelli che vanno a incastrarsi entro delle cavità risparmiate nel paramento, più o meno regolarmente distanziate. Talora sono fori passanti che consentono di inserire dei travicelli più lunghi che incatenano le impalcature opposte. I caementa sono costituiti dai più diversi tipi di pietra e molto spesso anche da frammenti di laterizi. Si utilizzano ciottoli raccolti da terra o dai letti dei fiumi, scarti di lavorazione del cantiere, materiali provenienti dalla demolizione di edifici preesistenti. Si definiscono scaglie i piccoli pezzi spigolosi derivanti dalla lavorazione dei materiali da costruzione; gli scapoli sono invece elementi un po’ più grandi di forma poliedrica. Nella maggior parte dei muri romani i caementa hanno dimensioni non superiori a quelle dei blocchetti o dei mattoni del paramento, l’altezza raramente supera i dieci centimetri. Molti elementi vengono appositamente spezzati a colpi di mazza prima della messa in opera. Se gli inerti sono troppo grossi la malta fa meno presa perché diminuisce la superficie di contatto e la struttura del muro risulta disomogenea. Questi sistemi sembrano trovare un parziale riscontro nella legislazione dell’epoca. La lex puteolana parieti faciundo del 105 a.C. prescriveva una proporzione 1:4 tra calce e pozzolana e stabiliva un limite massimo per il peso e le dimensioni dei materiali utilizzati. La resistenza meccanica delle murature in opera cementizia dipende in parte dalla malta, ma anche dalla composizione dei caementa, dalla loro tessitura e dal rapporto percentuale tra gli inclusi e il legante. Innanzitutto, i caementa debbono essere di piccole dimensioni. Quando gli scapoli sono più abbondanti rispetto alla malta la resistenza del muro aumenta nettamente. Poi conta molto la durezza dei materiali. A Roma si fece un grande uso di parati murari lapidei in tufo e di rivestimenti in travertino; più tardi si cominciò a importare marmo dalla Grecia e materiali pregiati (come il granito) dall’Egitto e dall’Oriente. Sotto Giulio Cesare si cominciarono a sfruttare le cave di marmo di Luni, vale a dire dell’odierno marmo di Carrara. Che gli Etruschi non avevano mai utilizzato. Il laterizio veniva usato in un primo momento solo per le tegole o per proteggere gli ambienti termali, grazie alla sua resistenza all’umidità. I primi esempi noti di pareti con cortine interamente di laterizi si datano con sicurezza a partire dalla metà del primo secolo a.C., mentre nel secolo successivo, l’opera laterizia diviene il paramento esclusivo delle pareti nella maggior parte degli edifici romani in calcestruzzo: è proprio a partire da quest’epoca che sia avvia la grande produzione di mattoni cotti destinati ai paramenti murari in sostituzione delle tegole. 22 FORNACE PER LA COTTURA DEI LATERIZI. La parte inferiore della struttura era costituita dalla camera di riscaldamento, la cui copertura era formata nella maggior parte dei casi da una volta in mattoni. Il fuoco veniva alimentato attraverso una apertura di piccole dimensioni. La volta della camera di riscaldamento era la base del forno, la cui superficie veniva dotata di fori funzionali al passaggio del calore. In alcuni casi il pavimento del forno poggiava su pilastrini. Nella porzione superiore del forno venivano alloggiati i mattoni e le tegole, inseriti da un’apertura che veniva murata durante la cottura dei prodotti; l’estremità superiore del forno era lasciata aperta per assicurare il tiraggio dell’aria verso l’alto. La temperatura massima si raggiungeva intorno ai 900-1000°C; a tale grado di calore si arrivava lentamente e, altrettanto lentamente, esso veniva abbassato per evitare spaccature sulla superficie del prodotto. I mattoni interi erano utilizzati per le pavimentazioni e per le ghiere degli archi; in quest’ultimo caso si utilizzavano anche i mezzi mattoni ottenuti spezzando a metà gli elementi originali. Quelli destinati alle pareti erano invece divisi con tagli diagonali da cui si ricavavano vari elementi di forma triangolare. I bessali si dimezzavano in due triangoli; i sesquipedali e i bipedali erano divisi prima in due o tre rettangoli, poi da ogni rettangolo si ottenevano due o tre quadrati, infine ciascunquadrato era spezzato in due triangoli. Dai sesquipedali si potevano altrimenti ottenere quattro triangoli con tagli sulle diagonali ed eventualmente altri triangoli più piccoli. Di regola l’ipotenusa andava in faccia a vista e i due cateti all’interno del muro. Per effettuare il taglio si utilizzavano due sistemi: - con la segagione: si sistemava su un cavalletto una pila di mattoni, che venivano stretti con una morsa, e si segava gettando acqua e sabbia sotto la lama come si faceva con le pietre; - con la percussione: si incideva un solco sulla superficie del mattone e si dava un colpo secco con un martello o un oggetto pesante. Il secondo metodo era più veloce; ma ne risultava un lato dal profilo irregolare; se questo andava in faccia a vista doveva essere spianato con la martellina oppure arrotato con sostanze abrasive, operazione che forse in molti casi si eseguiva dopo la messa in opera. I tagli, soprattutto quelli operati a percussione, non erano mai perfettamente precisi e comportavano una notevole perdita di materiale che però non andava sprecato; i frammenti venivano impiegati nel conglomerato. Gli spigoli si frantumavamo facilmente per cui i mattoni che si ritrovano nei muri presentano lunghezze variabili e sempre inferiori alla diagonale teorica. Non di rado anche nei muri di migliore fattura si osservano diversi laterizi molto corti che derivano dalla rottura accidentale dei triangoli in ulteriori pezzi. Non sempre inoltre i mattoni erano tagliati in triangoli. Soprattutto in Italia settentrionale nelle cortine erano frequentemente impiegati mattoni rettangolari interi di un piede e mezzo per un piede, di grosso spessore (oltre 6 cm.), disposti per lungo e di testa; questo tipo di cortina era chiaramente influenzato dai sistemi di costruzione tradizionali. Le fortificazioni di alcune città della valle del Po ancora nel I sec. a.C. erano edificate con mattoni cotti di analogo formato che costituivano l’intera struttura muraria. SISTEMI DI STILATURA. Nelle costruzioni civili, operazione che consiste nel rifinire nella parte esterna le connessioni (giunti) tra i mattoni o tra le pietre di una muratura, passando la cazzuola in modo da asportare dai giunti la malta in eccesso e formare un piccolo solco ben delineato. A seconda della posizione con cui si passa la cazzuola, il solco assume un profilo diverso. A Roma troviamo in genere stilatura a scivolo e sottosquadro. La lisciatura era un intervento di rifinitura che si effettuava molte volte nelle cortine che restavano in vista; si pareggiavano i giunti aggiungendovi una piccola quantità di malta che veniva poi levigata con la cazzuola a filo con i mattoni. APPARECCHIATURE MURARIE ROMANI. Cioè la disposizione dei mattoni o dei conci sui paramenti murari a vista. - Opus incertum: realizzato con pietre piccole e irregolari - Opus reticulatum: realizzato con elementi in pietra, in genere tufo, di forma troncopiramidale affogati nel calcestruzzo, di cui resta a vista la base quadrata - Opus vittatum (opera listata): realizzato con blocchetti di pietra, parallelepipedi e della stessa dimensione, disposti in filari orizzontali - Opus testaceum opera di mattoni cotti. In tempi più antichi si usava anche l’opus latericium, di mattoni crudi - Opus spicatum (a spiga); le pietre sagomate o i mattoni vengono disposti a 45° rispetto all’orizzontale in file inclinate di 90° le una rispetto alle altre - Opus mixtum: realizzato affiancando nello stesso muro i precedenti tipi di opera. In genere si alternano parti in pietra con filari di mattoni 25 LA VOLTA. Le VOLTE sono strutture curve che possono assumere forme diverse. VOLTA = STRUTTURA DI COPERTURA DEGLI AMBIENTI ARCHITETTONICI, CARATTERIZZATA DALLA CURVATURA, CONCAVA ALL’INTERNO, DELLE SUE SUPERFICI. La terminologia è la stessa dell’arco. RENI = LE DUE ZONE DI UN ARCO O DI UNA VOLTA, SIMMETRICHE RISPETTO AL PIANO VERTICALE PASSANTE PER LA CHIAVE, E POSTE IN PROSSIMITÀ DELLE SEZIONI OTTENUTE CON DUE PIANI PASSANTI PER IL CENTRO E FORMATI DA UN ANGOLO DI 60° COL PIANO VERTICALE MEDESIMO (SEZIONI ALLE RENI). CERVELLO = PUNTO PIÙ ALTO DELLA VOLTA Anche per le volte sono necessarie le centine, ma di dimensioni assai maggiori. CENTINA (O CENTINATURA) = STRUTTURA PROVVISORIA CHE SERVE A SOSTENERE GLI ARCHI E LE VOLTE DURANTE LA COSTRUZIONE. HA GLI ELEMENTI SUPERIORI FOGGIATI IN MODO DA SEGUIRE LA CURVA D’INTRADOSSO DELL’ARCATA DA COSTRUIRE; SU DI ESSI SI APPOGGIANO TRASVERSALMENTE GLI ASSONI CHE FORMANO UN MANTO CONTINUO. LA CENTINA PUÒ ESSERE APPOGGIATA SIA DIRETAMENTE A TERRA PER MEZZO DI PALI, SIA NEL PUNTO D’INNESTO DELLA VOLTA (O DELL’ARCO). VOLTA A BOTTE. Si può pensare generata da un immaginario arco a tutto sesto (detto direttrice) che corre lungo due rette parallele (dette generatrici), che costituiscono la sommità dei muri di sostegno. Se la direttrice è un arco ribassato, la volta si dirà A BOTTE RIBASSATA. Quando la generatrice, nel moto di generazione della volta, si mantiene perpendicolare al piano della direttrice si ha la VOLTA A BOTTE RETTA; quando la generatrice è inclinata in senso verticale si ha la VOLTA RAMPANTE. VOLTE COMPOSTE. Sono generate dall’intersezione di due volte a botte: - VOLTA A CROCIERA: è formata dalle 4 superfici (spicchi, vele) ottenute eliminando le parti che rimangono al disotto delle linee d’intersezione delle due volte - VOLTA A PADIGLIONE: è una volta composta, in quanto è generata dall’intersezione di due volte a botte che hanno le linee di imposta sui quattro lati dell’ambiente da coprire. È ottenuta eliminando le parti che rimangono al disopra delle medesime linee d’intersezione LA CUPOLA. La CUPOLA è ottenuta dalla rotazione di una sezione semicircolare attorno al suo asse. I romani, avendo a disposizione il conglomerato cementizio, sono in grado di costruire cupole dall’ottimo funzionamento. Un esempio è la cupola delle Terme di Baia (o Tempio di Mercurio). C’è una sottile cupola emisferica con oculo alla sommità (diametro interno 21,5 m), gli elementi lapidei sono disposti radialmente sulle centine secondo un uso arcaico, con una tecnica simile a quella degli archi, ma con minore accuratezza della muratura che viene confezionata con pietre di forma irregolare allungata, cementate con malta abbondante. CASSEFORMA LIGNEA O CENTINA IN LATERIZIO. Presto ci si accorge che questa non è la tecnica più adeguata. Il comportamento del conglomerato cementizio, una volte solidificato, è quello di un unico MONOLITE LAPIDEO. Quindi non è necessario dare un disposizione particolari agli inerti. Si comincia ad usare delle casseforme su cui si getta per strati orizzontali. Queste possono essere di due tipi: 1. CASSEFORMA LIGNEA: sopra alle centine lignee ci sono dei tavolati di legno e poi viene gettato il calcestruzzo 2. CENTINA IN LATERIZIO: si poneva al di sotto una centina in legno, poi sopra si posavano dei quadrati (i mattoni). La seconda centina era permanente e veniva a formare un guscio sottile. Nei giunti erano disposti dei mezzi mattoni montati per dritto (o delle intere file di mattoni) che servivano a contenere le spinte della malta e sopra faceva la gettata di calcestruzzo, composto da scapoli di piccole dimensioni – generalmente di lunghezza inferiore ai 10 cm – immersi in una malta abbondante, a strati orizzontali. Probabilmente la funzione di questi manti laterizi era di creare uno schermo rigido che si interponeva tra la gettata del conglomerato e la centina, facilitando lo smontaggio di quest’ultima 26 LACUNARI. Un modo particolare per gettare le volte in laterizio (sarà imitato nel rinascimento con materiali diversi) è quello dei LACURARI, che avevano varie forme e i quali venivano modellati nella massa del conglomerato posizionando a distanze regolari sopra la centina delle casseforme in legno. I cassettoni, che imitavano quelli lapidei (presenti, per esempio nei soffitti di alcuni templi greci), avevano forma quadrata, a losanghe od ottagonale, con due o più risalti raccordati da modanature; gli elementi decorativi erano realizzati in legno o stucco e dipinti. La funzione dei lacunari era anche strutturale in quanto alleggerivano la copertura e favorivano l’aerazione della parte più interna della massa di calcestruzzo accelerando il processo di essiccamento e di carbonatazione. I CAEMENTA NELLE VOLTE. Nei primi tempi i caementa utilizzati nel calcestruzzo delle volte hanno una composizione omogenea: a tutti i livelli venivano utilizzati gli stessi inerti. In epoca imperiale, soprattutto nei grandi edifici monumentali di Roma in conseguenza anche dell’avvio della produzione dei laterizi su scala industriale e delle numerose demolizioni e ricostruzioni degli edifici urbani, si ha una maggiore varietà e disponibilità di materiali da utilizzare nel calcestruzzo, per cui si afferma l’uso di differenziare la composizione degli scapoli all’interno delle volte, mettendo quelli più pesanti nel registro inferiore. In questo modo dove doveva essere più resistente c’erano i materiali più pesanti, mentre dove bisognava alleggerirla per diminuire il peso supportato dalla struttura si usavano inerti più leggeri. Una delle soluzioni più comuni è quella di impiegare in basso, fra l’imposta e le reni, prevalentemente frammenti di laterizi, nella parte superiore scapoli di tufo. In molti casi la zona più alta viene ulteriormente alleggerita mescolando piccoli pezzi di pietra pomice ai caementa tufacei. POMICE = TERMINE GENERICO PER INDICARE UNA ROCCIA ERUTTIVA, PREVALENTEMENTE O TORALMENTE VETROSA, RICCA DI VACUI, E PERTANTO LEGGERA E RUVIDA AL TATTO. IL COLOSSEO. È stato costruito da Vespasiano nel 72 d.C. e inaugurato nell’80 d.C., successivamente viene costruito il secondo ordine e viene completato attorno al 90 d.C. La dimensione è impressionante: 188m x 156m e alto 48.5m e ha una capacità di 45-50.000 spettatori. Il sistema degli archi in sequenza (in calcestruzzo) fa sì che ogni arco controbilanci le spinte laterali di quello adiacente. È costruito con una serie di anelli sovrapposti voltati, con dei muri radiali che sostengono le gradonate. Si calcola che furono necessari 100.000 metri cubi di travertino, 300 tonnellate di ferro per tenere insieme i blocchi di pietra. L’ossatura è costituita da un reticolo di pilastri e muri che sono collegati fra loro per mezzo di archi radiali trasversali e longitudinali; gli intervalli tra gli archi sono riempiti da volte in calcestruzzo. Per costruire l’anfiteatro fu necessaria un’impeccabile organizzazione del cantiere. Si è proceduto a costruire l’ossatura in travertino fino al livello del secondo piano. Poi si sono costruite le volte più alte al livello dei sedili. A questo punto gli operai disponevano di uno spazio coperto sotto cui lavorare; poi vennero costruite le volte più basse. Le parti lapidee venivano costruite lungo tutto il corso dell’anno, mentre le parti in conglomerato non potevano essere costruite in inverno, quando la temperatura è più bassa di 10°. Solo i primi due piani dell’edificio sono stati completati al tempo della morte di Vespasiano nel 79. Solo sotto Tito [79-81], sembra, si arrivò al completamento del terzo piano della struttura. Al di sopra della costruzione viene posto il VALARUM: una stoffa sottile che serviva per riparare gli spettatori dal sole ed era manovrata dai marinai della flotta romana. Al livello superiore si trova un colonnato con una passeggiata. CUPOLA = COPERTURA A VOLTA, DEFINITA GEOMETRICAMENTE COME LA SUPERFICIE GENERATA DALLA ROTAZIONE DI UNA CURVA INTORNO A UN ASSE VERTICALE; A SECONDA DELLE CARATTERISTICHE DELLA CURVA, ARCO DI CERCHIO O DI PARABOLA, LA CUPOLA PUÒ ESSERE EMISFERICA (A TUTTO SESTO), RIBASSATA, ARCHIACUTA, PARABOLICA ECC. DOMUS AUREA DI NERONE (I sec. D.C.). Uno degli esempi più antichi di cupola in calcestruzzo è la cupola della Domus aurea di Nerone. Si trova in un padiglione con pianta ottagonale utilizzato per i banchetti. I lati sono tutti aperti e scavati verso delle nicchie che collaborano per il sostegno della cupola. Sono dei vani con la funzione di assorbire le spinte della cupola. Sugli architravi che portano verso questi ambienti ci sono delle piattabande. Sopra, la cupola parte da una base ottagonale e poi si va a modellare per ottenere una copertura che diventa circolare con al centro un grande oculo circolare. Le otto falde della volta si impostano audacemente su piattabande di amplissima luce che scavalcano le aperture lungo il perimetro. La cupola è sostenuta interamente da grandi pilastri triangolari che collegano la sala ottagona agli ambienti circostanti, dentro i quali al pian terreno si aprono le porte di collegamento delle stanze radiali, che servono come strutture collaboranti al sostegno della cupola. 27 Le VOLTE A CUPOLA erano perforate al centro da un oculo circolare foderato sul bordo da un anello di mattoni; questo era costituito in genere da un cerchio di laterizi verticali nella fascia inferiore e da alcune assise orizzontali nella parte superiore. La funzione statica dell’oculo era quella di togliere la muratura in calcestruzzo nella zona in cui essa era più pericolosamente sollecitata a trazione a causa dell’andamento quasi orizzontale della curvatura dell’intradosso. Si rivestiva l’oculo con un rivestimento in laterizi posti verticalmente e nella fascia superiore orizzontalmente. L’oculo consentiva l’illuminazione del vano sottostante. IL PANTHEON (118-127). È un tempio particolare: ha un’enorme sala circolare che riprende le sale termali. Davanti c’è il pronao e poi si apre la sala coperta a cupola di grandi dimensioni: 43m in altezza e in larghezza (avrebbe potuto contenere una sfera). Nel pronao le colonne sono monoliti di granito provenienti dall’Egitto. L’iscrizione ricorda Agrippa, ma si riferisce al committente del primo Pantheon: è stato costruito durante l’impero di Augusto di cui Agrippa era ministro, ma era stato bruciato e Adriano fa ricostruire l’edificio. Dietro al parallelepipedo c’è un corpo intermedio. Nella cupola ci sono una serie di cassettoni in calcestruzzo sempre più piccoli man mano che ci si avvicina all’oculo. Questi cassettoni alleggeriscono il peso del conglomerato, ma le nervature che ne risultano non hanno funzione strutturale perché il calcestruzzo quando consolida si comporta come un monolite. La cupola è estradossata: nella parte più alta si vede l’esterno di essa, ma è gettata a partire da metà dell’altezza complessiva dell’edificio anche se all’esterno è mascherata da un anello cilindrico. Questo perché gli anelli che si susseguono all’esterno collaborano nell’assorbirne le spinte. La cupola imposta esattamente a metà dell’altezza del vano, a 21,60 m da terra. La cupola si conclude nell’oculo, costituito da un cerchio di mattoni alto 1,40 m. Il cerchio è una sorta di arco orizzontale che resiste alla spinta di compressione. Il muro verticale della rotonda è costruito con strati alternati di malta pozzolanica e caementa, compresi fra due muri laterali in mattoni. I caementa variano alle diverse quote facendosi man mano più leggeri. All’esterno, il muro verticale cilindrico è interrotto alla quota di 8,7 m. sopra il piano d’imposta. Il muro arretra di 3 m, formando un tamburo di diametro minore (h 2 m.). Da qui l’estradosso assume la forma di gradoni anulari. Da qui la massa di conglomerato è piena e compatta, non ci sono vuoti, né archi di scarico. I gradoni funzionano come anelli di compressione, atti a controbilanciare le spinte laterali della cupola. La superficie esterna è oggi rivestita di lastre di piombo, in sostituzione delle originali tegole di bronzo dorato, asportate fin dal VII secolo. I materiali da costruzione (mischiati con la malta) utilizzati sono: travertino (pietra molto resistente) per le fondazioni; travertino e tufo per la parte più bassa dell’anello; tufo e mattone per la parte al di sopra della trabeazione delle colonne all’interno; mattone; mattone e pomice (pietra leggera) e infine pomice. Ogni strato di conglomerato veniva deposto quando il precedente cominciava a indurire e quindi offriva una capacità di resistenza per le fasi successive. Sulla centina posavano le casseforme atte a modellare i cassettoni, che oltre a costituire un motivo decorativo, alleggerivano la cupola. I corsi di mattoni chiudono gli anelli di muratura a intervalli regolari e archi di scarico sono inclusi nel grande spessore murario. Il cilindro è cavo: ci sono le nicchie aperte, quelle alternate semicircolari e rettangolari, che sono protette da grandi archi di scarico. Nei grandi piloni tra una nicchia e l’altra ci sono degli spazi cavi completamente murati, quindi l’interno del muro è scavato da vuoti, che servivano anche per una più rapida asciugatura del calcestruzzo. Sopra di esse ci sono degli archi di scarico per scaricare lontano dalle nicchie vuote e per irrigidire l’insieme. Non conosciamo con esattezza la forma della centina del Pantheon. Forse fu realizzata un’unica struttura emisferica poggiata sul piano d’imposta e formata da archi meridiani e pannelli di sostegno delle sagome dei cassettoni, o forse furono utilizzate centine parziali, poggiate sulla parte della calotta già realizzata. VILLA ADRIANA (118-138). È un enorme complesso di diversi padiglioni a Tivoli che l’imperatore continuava ad ampliare per ricordare i suoi viaggi; era anche luogo di sperimentazione architettonica. Il vestibolo della PIAZZA D’ORO si sviluppa su pianta ottagonale, gli otto lati del perimetro sono occupati da nicchie semicircolari e rettangolari alternate. La copertura, parzialmente conservata, era costituita da una cupola a ombrello in opus caementicium, alternando spicchi veloidici (a sezione concava) con sottilissimi spicchi cilindrici (a sezione rettilinea) che convergevano verso l’oculo sommitale. Gli spicchi si incontrano su mensole in travertino, sotto alle quale dovevano trovarsi colonne a ornamento dei grossi pilastri retrostanti. Le nicchie hanno la funzione di assorbire le spinte laterali della copertura. Nel CANOPO (canale) c’era una piscina circondata da un porticato a forma di serliana (tratti rettilinei che si alternano a tratti curvilinei) e in fondo un grande ambiente dove probabilmente si mangiava. La copertura è una semicupola a forma di zucca. È lo stesso concetto del vestibolo: alternanza di spicchi cilindrici e concavi. Abbiamo la medesima alternanza di spicchi a vela e spicchi a sezione piana, resa più evidente dall’ampiezza degli spicchi piani. Questo raro tipo di copertura, inventato da Adriano, è detto «volta a zucca». Come per il vestibolo della piazza d’Oro, il rivestimento doveva essere a mosaico. Altri esempi di cupole: - BASILICA DI MASSENZIO (308-312). Anche in questo caso ci sono ancora le volte in conglomerato cementizio con la tecnica del lacunari ottenuti tramite casseformi ottagonali. - TERME DI DIOCLEZIANO (III sec). Sono state convertite in chiesa grazie ad un interventi di Michelangelo. Le volte sono a crociera non costolonate; nelle lunette si aprono le finestre termali. All’innesto della volta si trovano colonne libere. È tutto in calcestruzzo. 30 La tecnica del mosaico, già nota in Grecia, si diffuse nell’architettura romana, soprattutto per comporre pavimenti, utilizzando pietre dure, terracotta, pietra. Dal I sec. a. C. si diffonde l’uso di tessere in PASTA DI VETRO, che consentono una gamma molto più ampia di colori, grazie all’aggiunta di pigmenti, diffondendosi dal III sec. d. C. per la decorazione parietale. Le tessere più pregiate prevedevano l’inserimento di una lamina d’oro fra due colate di vetro (diffuso in età bizantina). I disegni erano molto accurati, si riusciva anche a realizzare delle sfumature. MAUSOLEO DI GALLA PLACIDIA, Ravenna (424). Nel mondo bizantino, come era stato nel mondo paleocristiano con caratteristiche differenti, si trovano molti edifici a pianta centrale. In Oriente il tipo di basilica dominante è a pianta centrale, in Occidente invece si trovano anche dei mausolei, dei battisteri, ricondotti a questo tipo di pianta. Si trova innestato sul nartece di una chiesa, la quale è andata perduta ed ora è rimasto il mausoleo. Questo è cruciforme con il vano centrale copulato e i vani adiacenti voltati a botte. La struttura con una cupola centrale spinge sui pilastri dove la cupola va a scaricare, ed esercita anche una spinta verso tutti e quattro i bracci ed è contenuta dalle volte a botte. Il mausoleo è cupolato, ma l’uniformità delle decorazioni non mostra il pennacchio (triangolo sferisco che fa passare dall’ambiente quadrato alla cupola centrale) e non si riesce bene a cogliere la reale profondità. Solitamente le cupole sono costruite in mattoni. BATTISTERO DEGLI ORTODOSSI O NEONIANO, Ravenna. È stato fondato dal vescovo Orso alla fine del IV secolo. Qui si trova un’altra tecnica: quella dei TUBI FITTILI. Nella prima versione del Battistero non c’era la cupola, era coperto da un tetto conico il legno. Nel 458 circa il vescovo Neone fa innalzare la cupola: elemento fondamentale sia per la bellezza sia per il significato del battistero. È realizzata con la tecnica dei TUBI FITTILI: una tecnica particolare, probabilmente originaria del Nord Africa, che realizza delle cupole leggere tramite dei tubi in cotto appositamente modellati incastrati tra loro. Ogni tubo ha un’estremità appuntita e l’altra cava in modo da poter essere incastrati. All’interno i tubi sono vuoti. Si procede alla posa di filari concentrici di tubi l’uno sopra all’altro fino ad arrivare alla chiusura nella sommità. È una struttura assai leggera, ma può reggere poco carico, infatti queste cupole sono sempre inserite all’interno di un tiburio esterno. Per posare i tubi serve uno strato iniziale di malta. Per alleggerire ulteriormente la struttura vi si inseriscono all’interno delle anfore che creano dei vuoti. MAUEOLEO DI TEODORICO, Ravenna. Teodorico, re degli Ostrogoti, pensa ad un mausoleo per sé, concepito secondo il sistema degli antichi Romani: delle grandi arcate monumentali possenti realizzate con conci di pietra, sopra dei quali sta un vano cupolato (vano sepolcrale) con una cupola molto grande e molto pesante. Il mausoleo è costruito in PIETRA D’ISTRIA e la cupola è un monolite (è un pezzo unico). Ci sono degli elementi L che servivano per manovrare, spostare la cupola. LA TECNICA CAMBIA DOPO IL 540. Dopo il 540, cioè dopo il ritorno dell’Impero Bizantino, a Ravenna cambiano le tecniche. Prima i mattoni erano spesso di ripiego e di scarsa qualità, con poca malta, e l’allisciatura era verso l’alto, ottenuta appoggiando la cazzuola al corso inferiore dei mattoni. Successivamente si hanno mattoni nuovi, un nuovo modo di costruire, con più cura, doppia allisciatura. Questo perché erano arrivate delle maestrane dall’Oriente con nuove tecniche che permettevano di costruire in maniera più accurata. I mattoni diventano lunghi e sottili, i letti di malta più ampi. COSTANTINOPOLI. Città fondata da Costantino nel IX secolo, prima era Bisanzio (colonia greca), oggi è Istambul. Costantino la ampia e avvia nuove opere edilizie. SANTA SOFIA. La struttura principale della chiesa è tuttora quella innalzata nel XI secolo da Giustiniano. È una struttura quasi a pianta centrale: l’asse longitudinale è messo in evidenza dalla presenza di un grande vano con due calotte e una grande cupola quasi semicircolare. Questa cupola è leggera e sottile, realizzata in mattoni. È anche nervata: è sostenuta da una serie di nervature che consentono di aprire delle finestre nel suo spessore all’imposta. Si regge su dei piloni. Le spinge sono assorbite dal sistema dei vani adiacenti: crescono e si moltiplicano attorno alla struttura centrale. Tutto collabora ad assorbire le spinte della cupola: i primi vani con le calotte, i quali trasmettono parte delle spinge verso l’esterno e lo stesso in tutte le altre direzioni. È il sistema delle STRUTTURE COLLABORANTI: le strutture collaborano l’una con l’altra per il sostegno della struttura principale. Il moltiplicarsi delle aperture e dei trafori, il penetrare della luce riflessa dai mosaici d’oro (ora perduti) fa parte dell’estetica bizantina. I capitelli hanno delle reminiscenze antiche: ci sono le volute, le foglie… sono completamente aderenti alla campana (elemento tronco conico del capitello) e sono lavorati al trapano, cioè con un trapano che trafora la pietra. Nelle chiese bizantine importante è il PULVINO: un elemento a tronco di piramide frapposto fra l’arcata e il capitello. 31 MOSCHEA DELLA PICCOLA SANTA SOFIA. Era la Chiesa dei Santi Sergio e Bacco. Riprende il concetto delle strutture collaboranti. Si ha una struttura a doppio involucro: uno esterno che corrisponde al muro perimetrale, uno all’interno costituito dalla sequenza di piloni e colonne che sorreggono la cupola centrale. Si formano degli spazi complessi, di difficile visione unitaria, ma che creano grandi effetti visivi. SAN VITALE, Ravenna (XI secolo). È paragonabile alla chiesa precedente: si utilizzano le stesse tecniche tranne per la cupola realizzata a tubi fittili. ARCHITETTURA LONGOBARDA. Contemporaneamente al dominio Bizantino, in Italia, c’è la DOMINAZIONE LONGOBRDA. È un periodo durante il quale in Italia si costruire molto poco, ma la tipologie del longobardi sono pressoché le stesse viste nel paleocristiano. Quindi ci sono colonnati che sorreggono archi, che utilizzano anche materiali di spoglio, coperture a capriate lignee, con l’abside internamente semicircolare coperta da una calotta. ARCHITETTURA ROMANICA. Con il periodo romanico si avrà una ripresa, quindi attorno al 1000: riprende l’attività edilizia, si costruisce molto, soprattutto Chiese. Questa ripresa ha dei caratteri particolari in base alle zone dove si sviluppa. In tutta la corrente romanica se recupera il senso della struttura, cioè il desiderio di costruire strutture più resistenti rispetto alle precedenti. Il romanico-lombardo riprende il romanico a Nord delle Alpi. È organizzata tramite un sistema di pilastri maggiori e minori, a seconda che sorreggano o meno la volta. I pilastri maggiori (compositi) si posizionano in corrispondenza delle nervature della volta, dove si concentrano le spinte. I pilastri minori si alternano con quelli maggiori perché vanno a sostenere le volte delle navate laterali e le dividono da quelle maggiori: quindi c’è un sistema AB-AB e così via. All’esterno, in corrispondenza dei pilastri, ci sono i contrafforti: rinforzi di muro che aiutano a sostenere la struttura. Poiché le volte spingono, hanno un peso maggiore rispetto a quello delle coperture lignee, al di sopra delle navate laterali, per assorbire e contrastare questo peso, si costruiscono delle ulteriori gallerie: i MATRONEI. Un tempo si pensava che si collocassero le donne, ma in realtà servono solo per motivi statici. La parete romanica ha delle aperture piuttosto piccole. MATRONEO = LOGGIATO PERCORRIBILE CORRENTE AL DI SOPRA DELLE NAVATE LATERALI DI UN EDIFICIO, APERTO SULLA NAVATA CENTRALE. IL TERMINE DERIVA DA “MATRONEUM”, LETTERALMENTE “LUOGO RISERVATO ALLE DONNE”, POICHÉ UN TEMPO SI CREDEVA CHE FOSSE QUESTA LA SUA FUNZIONE, CHE INVECE PROBABILMENTE DERIVA DA UNA COMMISTIONE DI MOTIVI STATICI E LITURGICI. La VOLTA A CROCIERA è composta da due volte a botte incrociate fra di loro, delle quali viene mantenuto lo spicchio superiore, chiamato spicchio o vela. Nella VOLTA A PADIGLIONE si mantengono gli spicchi inferiori, che prendono il nome di fuso. Nelle VOLTE A BOTTE la volta scarica in maniera uniforme su tutta la parete, quindi non servono i contrafforti; mentre nel caso delle VOLTE A CROCIERA il peso viene incanalato e si esercita in corrispondenza del pilone, il quale dev’essere rinforzato con un contrafforte. SANT’AMBROGIO, Milano (Rifondazione e ricostruzione romanica tra il 1080 e il 1099; ricostruzione del tiburio dopo un crollo nel 1196). Ci sono le volte a crociera con i pilastri compositi, e si vede l’alternanza dei pilastri maggiori e minori. In fonda alla Chiesa, prima dell’abside, c’è una volta a padiglione su base ottagonale che è introdotta da TROMBE: spicchi di cono che permettono di passare dalla pianta quadrata dell’ambiente sottostante a quella ottagonale della volta. Questa si trova dentro ad un TIBURIO: una sorta di protezione esterna. DUOMO DI MODENA (XI-XII secolo). Originariamente non aveva quelle volte, ma aveva una copertura lignea. Dalla facciata si notano i contrafforti che rivelano com’è organizzato lo spazio interno: tre navate che sostengono la facciata. Ci sono due pinnacoli e all’interno c’è il sistema di colonne maggiori e minori. Sotto il presbiterio c’è la CRIPTA: un ambiente interrato che serve per conservare le reliquie dei martiri. Il primo esempio è SAN PIETRO a Roma. PINNACOLO = ELEMENTO ORNAMENTALE DI FORMA PIRAMIDALE O CONICA, POSTO ALLA SOMMITÀ DI UN EDIFICIO, CARATTERISTICO SOPRATTUTTO DELLO STILE GOTICO. VA A CRESCERE LA COMPONENTE VERTICALE DELLA SPINTA ESERGITATA SUI PILASTRI. IL BARICENTRO RIMANE AL CENTRO DEL PILASTRO. IN GENERE CON IL TERMINE GUGLIA SI INDICA UN ELEMENTO SIMILE, MA PIÙ SLANCIATO E SOTTILE. CONTRAFFORTE = ELEMENTO VERTICALE SPORGENTE IN MURATURA, DESTINATO A RAFFORZARE UNA STRUTTURA CONTRO L’AZIONE DI FORZE ORIZZONTALI CHE LA SOTTOPONGONO AL PERICOLO DI ROVESCIAMENTO; ASSUMA UNA PRECISA FUNZIONE RESISTENTE COME MEMBRATURA NEGLI EDIFICI COPERTI CON VOLTE, DELLE QUALI CONTRASTA L’AZIONE SPINGENTE. IL BARICENTRO CADE DENTRO IL CONTRAFFORTE. 32 SAN MINIATO AL MONTE, Firenze (XI-XII secolo). Ha la copertura a capriate lignee: questo fa si che non ci sia nessuna necessità di avere il ritmo alternato tra pilastri maggiori e minori, ma ci sono dei colonnati con capitelli di spoglio. Ad un certo punto della struttura ci sono dei pilastri compositi composti da colonne che sorreggono un ARCO DIAFRAMMA: un arco che irrigidisce una struttura, ha una forza maggiore di una catena lignea. ARCO DIAFRAMMA = ARCO POSTO TRASVERSALMENTE RISPETTO ALL’ASSE LONGITUDINALE DI UN EDIFICIO, SORMONTATO DA UN SETTO MURARIO GENERALMENTE FINO ALL’ALTEZZA D’IMPOSTA DELLE CAPRIATE. BATTISTERO DI SAN GIOVANNI, Firenze (consacrata nel 1059 da Papa Niccolò II). Costruito nel XI secolo e ampliato nel XII secolo con l’aggiunta della cupola. È un vano unico con una struttura ottagonale e una piccola abside. Inizialmente aveva quindi un tetto di legno conico, e poi si decide di sopraelevarlo costruendo il tiburio di contenimento intorno alla cupola. Questa è una volta a padiglione su base ottagonale e in cima ha una lanterna che serve a direzione le spinte verso il basso (aggiunge una componente in verticale). BATTISTERO DI PISA. Struttura a doppio involucro: uno interno coperto a coperto, e uno esterno che gli gira attorno. In un secondo momento si decise di fare una copertura più monumentale e si sovrappone all’involucro esterno una cupola. Il tetto a cono era giustificato dal desiderio di imitare il Santo Sepolcro di Gerusalemme che aveva la stessa copertura. In età gotica sono stati aggiunti dei dettagli all’esterno, come i timpani molto allungati (detti “ghimberghe”). Ci sono dei deambulatori che corrono attorno al battistero e sono ispirati alla rotonda dell’Anastasis. ARCHITETTURA GOTICA. Rivoluzione la stile romanico e dalla Francia si diffonde in tutta Europa. Nasce attorno al 1140 e per 400 anni continuerà ad essere utilizzato, evolvendosi. Ci sono infatti diversi strutture, le due caratteristiche fondamentali sono: - Lo slancio verticale delle costruzioni - La dissoluzione della parete muraria: diventa più leggera, si utilizza una struttura a scheletro formato da pilastri, archi, costoloni, contrafforti e la parete diventa solo di riempimento I pilastri sono più frastagliati, con una sezione più complessa perché corrispondono al profilo delle nervature, che scendono fino a formare il pilastro. In genere si ha una finta galleria (che verrà poi eliminata). ARCO RAMPANTE = ARCO LE CUI IMPOSTE SONO A QUOTA DIVERSA (ARCO A ZOPPO). L’IMPOSTA PIÙ ALTA ESERCITA UNA FORTE SPINTA LATERALE. TRIONFO = GALLERIA POSTA AL DI SOPRA DELLE NAVATE LATERALI (CORRISPONDENTI ALL’ANTICO MATRONEO), CHE FREQUENTEMENTE NELLE CATTEDRALI GOTICHE SI APRE SULLA NAVATA CENTRALE CON TRIBUNE TRIFORE. CLARISTORIO = PARTE SUPERIORE DELLA NAVATA CENTRALE CHE SOPRAVANZA IN ALTEZZA LE NAVATE LATERALI, CONSENTENDO L’INSERIMENTO DI FINESTRE PER L’ILLUMINAZIONE DIRETTA DALLA NAVATA STESSA. LETTERALMENTE ‘PIANO ILLUMINANTE’. POLISTILO = PILASTRO COMPOSTO DA UN NUCLEO CENTRALE AL QUALE SI ADDOSSANO SEMICOLONNE O LESENE POSTE CIASCUNA A SOSTEGNO DELLE NERVATURE SOVRASTANTI. DOCCIONE = TRATTO TERMINALE DELLA GRONDAIA CHE SERVE A SCARICARE L’ACQUA LONTANO DALLA PARTE ESTERNA DELL’EDIFICIO, CONSISTENTE IN GROSSE LASTRE CONCAVE O IN VERE OPERE DI SCULTURA CON RAFFIGURAZIONI DI ANIMALI, UOMINI O MOSTRI. NOVITÀ DELL’ARCHITETTURA GOTICA - arco a sesto acuto - volta ogivale costolonata - uso degli archi rampanti, di guglie e pinnacoli - pilastri polistili - svuotamento delle pareti - razionalità strutturale - STRUTTURA SCHELETRO - alzato interno in tre livelli (navata, triforio, cleristorio) - unitarietà dello spazio interno (tendenza all’annullamento visivo della campata) - campate spesso rettangolari - uso funzionale e consapevole della luce (luce innaturale) 35 RUOLO DELL’ARCHITETTO. Durante il periodo gotico cambia il ruolo dell’architetto: viene riconosciuta la sua capacità progettuale. Era subordinato al direttore della fabbrica (che poteva essere laico o ecclesiastico). Poteva lavorare in un solo cantiere e non poteva appartenere ad alcuna corporazione di arti e mestieri. Aveva un assistente, almeno quattordicenne, che prendeva il suo posto in caso di sua assenza. Era sempre meno presente in cantiere, grazie allo strumento del disegno. Sagomatore = professionista responsabile della trasformazione del disegno dell’architetto in modello da utilizzare in cantiere e di sorvegliare il lavoro dei maestri. Fondamentali le figure dei tagliapietre (apprendistato 5 anni) e dei muratori (apprendistato 3 anni). VILLARD DE HONNECOURT. Architetto francese gotico. È l’unico manoscritto interamente dedicato all’architettura del Medioevo e che persegue fini espositivi e didattici. Nasce come raccolta di disegni raccolti nel corso dei suoi viaggi, che solo successivamente sono corredati di testi esplicativi. C’è una manca di sistematicità Si rivolge ai lettori esprimendo i suoi intenti: «Villard di Honnecourt vi saluta e chiede a tutti coloro che si serviranno dei sussidi che si trovano in questo libro di pregare per la sua anima e di ricordarsi di lui. Infatti, in questo libro si possono trovare buoni consigli sulla grande arte della muratura e sulle opere di carpenteria; vi troverete l’arte del disegno, i suoi fondamenti, come le norme della geometria esigono e insegnano». Villard sa disegnare in proiezione ortogonale, ma sbaglia quando si tratta di proiettare sul piano delle superfici curve. Libri per scalpellini. Fanno parte della tradizione gotica legata all’uso di figure geometriche e proporzioni numeriche, consentono di spiegare agli scalpellini in che modo da una rappresentazione in pianta sia possibile costruire proporzionalmente pinnacoli e guglie. Mostrano un particolare sistema di rappresentazione in uso nei cantieri delle cattedrali gotiche, ovvero quello delle sezioni orizzontali progressive sovrapposte. Sono successive sezione degli elementi verticali, ottenute aggiungendo continuamente delle porzioni diverse. GOTICO ITALIANO. In Italia il gotico si scontra con la tradizione locale: un’architettura in cui la parete non sparisce, viene alleggerita con la presenza dei frosoni, ma mantiene una certa importanza perché continua ad essere affrescata. BASILICA DI SAN FRANCESCO, Assisi (1228-1253). È composta da due Chiese, una superiore e una inferiore, perché si trova in un pendio, e hanno due accessi differenti. L’abside è molto luminosa, le pareti hanno grandi finestre, ci sono volte ogivali, ci sono i pilastri polistilo sul muro. I muri mantengono la loro importanza, e vengono affrescati da Giotto. SAN FRANCESCO, Bologna (1236-1263). Unica chiesa italiana costruita fin dalla fondazione con gli archi rampanti. C’è una netta influenza del gotico francese, ma i materiali sono quelli della tradizione italiana (cotto pieno, intonaco). DUOMO DI MILANO. Costituisce un caso a se, vede contrapporsi una mentalità francese e tedesca: - 1386 Fondazione Fabbrica - 1387-1391 Anechino de Alemania ingegnere / Simone da Orsenigo - 1391-1392 commissione con Bernardo Da Venezia, Heirich Parler e Gabriele Stornaloco - 1392-1400 Giovannino de’ Grassi - 1391 Nicole de Bonaveturis - Finestroni dell’abside - 1391-1392 Bernardo da Venezia, Gabriele Stornaloco, Heinrich Parler (Pareri) - Gabriele Stornaloco esegue una relazione e uno schema geometrico delle navate - Heinrich Parler critica lo schema di Stornaloco e i lavori già eseguiti, le critiche vengono rigettate dopo la discussione del capitolo del 1° maggio 1392 - 1392-1400: Giovannino de’ Grassi, Giacomo da Campione - Progetto esecutivo per abside e transetto, piloni del tiburio fino all’imposta degli arconi - 1400-1401 Ventuno piloni edificati, critiche di Jean Mignot con i costruttori italiani - 1410 Prime crociere - 1487 Concorso tiburio - 1609 Approvazione progetto facciata - 1682 Demolizione facciata Santa Maria Maggiore - 1807 Approvazione III progetto facciata 36 1386-1391: Simone da Orsenigo - fondazioni di tutto l’edificio - collocazione dei piloni di fondazione sottoterra - piloni del capocroce, inoltre, tutti già interamente in opera - è Simone da Orsenigo a imporre un cambio di materiale, dal laterizio al marmo di Candoglia - nascono le prime obiezioni di ordine statico accuse di mancata stabilità: la pianta ha 5 navate. Si volevano inserire delle cappelle al posto delle navate laterali perché avrebbero controbilanciato meglio le spinte della navata centrale perché creavano una struttura collaborante. Ma poi si sceglie di mantenere questo tipo di pianta. Le fondazioni sono dei tronchi di piramide isolati, con la possibilità di un rovesciamento, ma si appoggiano su uno strato di calce e inerti, perché al di sotto c’era una falda freatica e quindi si è dovuto scavare molto. I piloni sono di cotto conci e sono costituiti da: - una corona esterna di otto conci, con spessore variabile dai 20 ai 90 cm - ciascuna corona misura in altezza circa 25-30 cm - ogni pilone è composto da 50 strati/corone dal basamento al capitello La parte centrale del pilone è composta da un riempimento in: - blocchi di serizzo - granito - scaglie di marmo e mattoni - legati insieme con calce e sabbia Quindi all’interno si crea una muratura a sacco. Inizialmente il Duomo doveva essere costruito in mattoni, ma poi si sostituì il mattone con la pietra, più precisamente con il marmo di Candoglia: un marmo di ottima qualità che si estrae a Candoglia, un Paese presso il lago di Como. 37 CUPOLE RINASCIMENTALI CUPOLA DI SANTA MARIA DEL FIORE, Filippo Brunelleschi (1420-1436). Prima opera del Rinascimento italiano. È la cupola del DUOMO di Firenze: una chiesa gotica iniziata nel XIII secolo su progetto di Arnolfo da Cambio e poi ampliato da Francesco Talenti. La navata ha volte ogivali, ci sono grossi pilastri e volte a crociera con le nervature. Nel 1296 Arnolfo di Cambio delibera di sostituire la vecchia cattedrale di Santa Reparata con una più grande dimensionalmente e molto particolare con le tre absidi corrispondenti al capo croce. Tra il 1357 e il 1367 c’è una ripresa del progetto e ampliamento dello stesso. Si arriva a costruite un tamburo di diametro che supera i 40 m. all’interno, i 50 all’esterno, mentre la cupola avrebbe superato i 100 m. di altezza. Oltre ai problemi derivati dalla struttura in sé, vi era l’impossibilità di costruire centine lignee di tali dimensioni. Nella Cappella degli Spagnoli (Chiesa di SANTA MARIA NOVELLA) c’è un affresco dove Andrea Bonaiuti mostra quale fosse il progetto per la Chiesa: i lavori avevano proceduto ma avevano lasciato completamente scoperto la zona della cupola. Questa era già prevista con una conformazione simile all’attuale. Il problema era che non si sapeva come realizzare una cupola di quelle dimensioni enormi. Nel 1366 l’ARTE DELLA LANA, la corporazione più potente e ricca della città, che sovrintendeva alla costruzione della chiesa, chiese nuovi modelli per valutare quale soluzione scegliere, rivolgendosi al capomastro allora responsabile del cantiere, Giovanni di Lapo Ghini e a un gruppo di artisti e muratori guidati dal capomastro Neri di Fioravanti, che aveva già costruito importanti archi e volte a Firenze, tra cui gli archi ribassati di ponte Vecchio, crollato durante l’alluvione del 1333. Ghini propose un modello gotico con murature non spesse, alte finestre e dei contrafforti a sorreggere la cupola. Neri propose una cupola più innovativa sorretta da una serie di catene di pietra o di legno (esercitano una resistenza a trazione di cui la muratura delle cupole è carente) incorporate nella struttura che girando intorno alla circonferenza, avrebbero sostenuto la cupola nei punti di possibile rottura. Il progetto di Neri prevedeva una cupola ogivale, con un diametro esterno di circa 54 m da elevare sino all’altezza di 105 m. Fu scelto il modello di Neri, che tuttavia nel 1374 morì senza lasciare istruzioni esecutive. Il suo progetto è un’anticipazione del progetto realizzato poi da Brunelleschi. Dopo una serie di riunioni e di concorsi, nel 1418 Filippo Brunelleschi e Lorenzo Ghiberti ricevono formalmente l’incarico per la cupola. Nel 1420, in conseguenza degli screzi insorti con il collega, Brunelleschi resta l’unico progettista e direttore dei lavori. Una delle particolarità del modello di Neri era che prevedeva una struttura architettonica piuttosto rara: le cupole erano infatti due, una calotta interna e una esterna. Possiamo trovare questa soluzione in edifici italiani precedenti, dove la cupola è inserita in un tiburio: nella basilica di San Vitale a Ravenna e nel battistero di San Giovanni a Firenze, che è una doppia calotta in quanto volta ottagonale sormontata da un tetto piramidale con struttura in legno. Anche in alcune cupole venete ci sono due calotte, ma una è in muratura e l’altra è in legno e piombo, con un castello ligneo per sostenere la cupola. L’esempio più simile si trova in Persia, nella tomba del sovrano mongolo Khudābanda Öljeytü a Sulṭāniyya (attuale Iran), eretta tra il 1307 e il 1313. Si tratta di una struttura avente una luce paragonabile a quella fiorentina, caratterizzata da costolonature (sia verticali sia orizzontali) di collegamento dei due paramenti, che hanno un parallelo evidente con gli ‘sproni’ e gli archi interni della cupola di Brunelleschi. Inoltre, la presenza di elementi in legno di pioppo (disposti radialmente con funzionamento a mensola e in seguito tagliati sul filo d’intradosso della calotta, con lo scopo di sostenere locali impalcati provvisori) mostra come la struttura sia stata realizzata senza l’uso di centine. Sembra improbabile che Neri o Brunelleschi conoscessero questo modello, ma non può nemmeno essere escluso con assoluta certezza. La cupola di Brunelleschi è ogivale ed è costituita da due calotte: una interna e una esterna e tra di esse c’è un’intercapedine, occupata dalle scale per salire fino alla lanterna. È sorretta da quattro grandi pilastri (di sezione trapezoidale, cavi al loro interno) che corrispondono con i lati obliqui dell’ottagono. Essi si elevano fino a 28m sopra la quota del pavimento. I quattro pilastri hanno muratura esterna di pietra forte (arenaria tipica dell’edilizia fiorentina), accuratamente lavorata e giuntata, mentre all’interno hanno struttura a sacco di pietrame minuto legato da malta. Un problema delle cupole è ripararle dagli agenti atmosferici, perché l’umidità e l’acqua provocano danni gravi se filtrano nella muratura. La doppia calotta protegge la struttura dagli agenti atmosferici. Quando Brunelleschi arriva in cantiere la parte inferiore (pilastri e tamburo) sono già costruiti, quindi lui costruisce dalla quota d’imposta della cupola. Il tamburo, in pietra forte, è costituito da una prima fascia a profilo mistilineo che si eleva tra i 28 e i 39m dal suolo. La fascia successiva si eleva dai 39 ai 53m e qui imposta la cupola. Spessore del tamburo allo spigolo circa 4,60m. La base della lanterna si eleva da terra 89m, il complesso raggiunge l’altezza di 116,5m. Sui tre lati liberi rispetto all’ottagono centrale della cupola, cioè sui lati esterni dove non c’è la navata, ci sono delle grandi calotte che danno alla capo croce un aspetto molto particolare, che hanno conferito il nome alla chiesa appunto per la loro forma a fiore della pianta. Servono come contenimento delle spinte del grande corpo centrale. È il principio delle strutture collaboranti, in cui le grandi absidi collaborano al mantenimento dell’equilibrio della struttura. 40 CUPOLA DI SAN PIETRO. Il primo San Pietro è stato costruito da Costantino (IV secolo) in forma basilicale: basilica su colonne a 5 navate, usando materiali di spoglio romano. Alla fine del 1400 c’erano stato degli interventi per consolidarla e ingrandirla, si era rifatto il coro. All’inizio del 1500 è in rovina ed è inadeguata alla nuova magnificenza ricercata dai pontefici romani. Quindi, Papa Giulio II propone a Bramante di ricostruire la basilica. Così, nel 1507 inizia i lavori per la nuova basilica, mentre quella Costantiniana veniva progressivamente abbattuta. Il cantiere procede lentissimamente. Bramante ha costruito pochissimo, ma ha lasciato dei progetti parziali e diversi tra loro. Il più importante è quello della mezza pianta a croce greca, è solo un mezzo disegno ma sembra che il completamente dovesse essere speculare, simmetrico. Le strutture sono collaboranti: c’è una croce inscritta in un quadrato con una serie di vani, che in alzato hanno cupole o calotte, e quattro campanili angolari che vanno a contrastare il peso della cupola. La struttura della cupola doveva essere enorme (le dimensioni si conoscono in base ai piloni già fondati). È pensata come appoggiata su un grande vano con un tamburo con una fascia colonnata e poi una cupola emisferica con diversi anelli di compressione che ricordano quelli del Pantheon. È probabile che Bramante volesse costruite una cupola come quella del Pantheon e che dovesse essere in calcestruzzo, ma era troppo pericoloso. È lui che ha inventato il sistema per gettare il calcestruzzo in casseformi con modellazioni particolari per creare di motivi anche decorativi. Il TEMPIETTO DI SAN PIETRO DI MONTORIO (1502) è una costruzione in calcestruzzo. La cupola appoggia su un grande cilindro continuo adatto per sostenere il peso di essa. Attorno c’è il peristilio, quindi un’ulteriore elemento che conteneva le spinte e che rendeva il complesso efficiente. Bramante inventa un nuovo tipo di PILASTRO inscrivibile in un triangolo, che genera dei pennacchi trapezoidali invece che triangolari. I pennacchi congiungendosi al pilastro con un segmento rettilineo trasmettono meglio i carichi. PENNACCHIO = SUPERFICIE DI RACCORDO FRA I PIEDRITTI E LA CALOTTA DI UNA CUPOLA QUANDO QUESTA SIA IMPOSTATA SU UN AMBIENTE A PIANTA QUADRATA O POLIGONALE. IL PENNACCHIO A TROMBA È UNA SPECIE DI NICCHIA APERTA NELLA CALOTTA DELLA CUPOLA E IMPORTATA SUI PIEDRITTI DELLA PIANTA POLIGONALE. IL PENNACCHIO È ANCHE LA SUPERFICIE DI RISULTA, DALL’ANDAMENTO TRIANGOLARE AI LATI DI UN ARCO. RAFFAELLO fu l’architetto della fabbrica di San Pietro dal 1514 al 1520. In uno dei suoi progetti si vede l’idea di ampliare la Chiesa tramite l’inserimento di una navata. La cupola nei suoi disegni riprende molto quella di Bramante. Ci sono molti anni di sperimentazione e progettazione ma quasi solo sulla carta. ANTONIO DA SANGALLO fu l’architetto della fabbrica dal 1520 al 1546, mantenendosi sempre sulla stessa linea. Trova un compromesso tra il progetto di Bramante e quello di Raffaello: al posto di una navata realizza un corpo di fabbrica più lungo rispetto agli altri bracci ma non è una vera e propria navata; e amplia le absidi laterali che devono collaborare al sostegno della cupola, non realizza un colonnato ma un unico tamburo solido attorno al quale si pongono due porticati a fungere da anelli di compressione. La cupola diventa leggermente archiacuta (cupola a sesto acuto è meno spingente), rinuncia al profilo semicircolare. Ma anche questo progetto resta solo sulla carta. L’unica cosa che fa è rinforzare i pilastri bramanteschi. MICHELANGELO fu l’architetto di San Pietro dal 1547 al 1564. Avvicina le absidi alla cupola, per rendere la struttura più efficiente. Ridimensiona il progetto di Bramante anche per motivi economici. Il suo progetto ricorda la cupola di Bramante con la forma emisferica con le colonne lungo il circuito del tamburo, ma lo rende più solido. Michelangelo utilizza un linguaggio più moderno e c’è una maggiore coerenza figurativa che è espressa soprattutto dall’utilizzo dell’ordine gigante per le pareti delle nicchie absidali. La cupola ha una doppia calotta: Michelangelo aveva dei disegni della cupola di Brunelleschi a Firenze. Muore prima di portare a compimento il lavoro, ma il suo progetto è stato rispettato. Il colonnato (elemento di debolezza) viene tradotto in una serie di colonne binate con la funzione di contrafforti, di speroni, che lungo il muro vanno ad assorbire le spinte della cupola, infatti dietro alla colonna c’è un muro. Ad ogni coppia di colonne ci doveva essere una voluta e una statua. La cupola viene realizzata dopo la morte di Michelangelo da GIACOMO DELLA PORTA (architetto della fabbrica dal 1574 al 1602). La cupola però viene realizzata tra il 1588 e il 1590: un tempo rapidissimo che ha causato una realizzazione costruttiva affrettata con conseguenti problemi della cupola. Non è più emisferica, ma diventa a sesto rialzato: Della Porta modifica il progetto di Michelangelo perché ha paura che la cupola non regga. Quando lui entra il cantiere si era già costruito il tamburo e su uno dei due lati si era già realizzato l’attico (fascia al di sopra del livello delle colonne). Dopo il primo terzo, alla quota del «piano dei mezzanini», la cupola si sdoppia in due calotte suddivise in 16 vele da altrettanti costoloni, innalzati tutti contemporaneamente (ispirata a quella di Santa Maria del Fiore): le due calotte sono entrambe in muratura di mattoni. I mattoni sono disposti radialmente sia sul piano orizzontale che verticale. 41 Ci sono degli anche degli inserimenti di pietra di travertino nella muratura delle calotte, ma è usato come elemento esclusivo nei contrafforti esterni: avrebbero dovuto avere una funzione importante per assorbire le spinte della cupola; in realtà si sono rivelate abbastanza inefficienti e la cupola è risultato crepata già poco dopo la sua realizzazione. Questo è stato causato da un’insufficiente spessore del tamburo (era sottodimensionato come i contrafforti). Nel 1740 è stato fatto un restauro, dopo un’analisi fatta da Giovanni Poleni su richiesta del Papa. Le fessurazione erano meridiane, cioè disposte lungo gli archi meridiani della cupola: sono meno preoccupanti rispetto a quelle nei paralleli, però erano molto estese. Questo problema era dovuto alle spinte della cupola che tende ad allargarsi verso l’esterno, e quando iniziano ad aprirsi le fessurazioni meridiane, se sono molto estese, creano una separazione degli spicchi della cupola. Se si perde la continuità della struttura poi si provoca un abbassamento della struttura e un allargamento del tamburo. Risultavano fessurati anche gli arconi, che delimitano i pennacchi su cui appoggia il tamburo, appoggiati sui pilastri. Questo cedimento era già stato ripristinato, ed era dovuto al cedimento delle fondazioni perché due pilastri orientali appoggiano su un terreno con sabbia, mentre i due occidentali appoggiano su fabbriche preesistenti e sono molto irregolari (erano ceduti da questo lato). L’intervento è consistito in una serie di cerchiature e nella ricucitura delle lesioni. È caratterizzata dalla presenza di una grande quantità di ferro (armature metalliche): ci sono molte cerchiature in ferro, alcune aggiunte dopo il restauro del 1740, che creano una struttura armata. Armature metalliche poste in opera da Della Porta: - 5 cerchi posti nella calotta interna o in quella esterna (ne è stato aggiunto un altro dopo il restauro). I cerchi venivano posti in opera caldi, così quando il ferro si raffreddava entrava già in trazione. - 64 sprangoni disposti all’interno dei costoloni: 32 subito sopra al II cerchio, 32 vicino al III, verosimilmente agganciati alla muratura - 16 catene collegate al V cerchio, disposte orizzontalmente in corrispondenza degli assi dei costoloni. Oltre alle armature metalliche realizza una catena lapidea alla sommità del tamburo per una migliore distribuzione dei carichi. 42 MATERIALI E TECNICHE TRA MEDIOEVO E RINASCIMENTO Nell’edilizia medievale è importantissimo l’uso del legno, quasi esclusivo nelle età antiche, che viene poi man mano soppiantato dal cotto e nelle regioni centro-meridionali dell’Italia dall’utilizzo di murature in pietra. LATERIZI E TERRECOTTE. - Le costruzioni in legno vengono progressivamente sostituite da costruzioni in laterizio - Sono i caratteristici materiali da costruzione dell’architettura padana, dove non esistono cave di pietra - Fin dal medioevo esisteva un gran numero di fornaci sia nei dintorni delle città che in campagna - Fondamentale era la scelta dell’argilla adeguata - Le fornaci erano numerosissime, a seconda delle zone di disponibilità dell’argilla: lungo il Po era abbondante e di buona qualità - Per comodità a volte si impiantava una cava d’argilla e una fornace presso la zona del cantiere - Per produrre mattoni di alta qualità, adatti ad elevare muri anche di grande altezza, bisognava scegliere una terra «schietta», priva di sali, impurità e sabbia. - Una cava di argilla poteva estendersi per centinaia di metri in lunghezza e diversi metri in profondità, presentando dunque variabilità di composizione dei materiali. All’interno della stessa cava la qualità dell’argilla poteva variare, quindi venivano estratti campioni in diversi punti e fatti asciugare in diverse condizioni di esposizione per osservarne le caratteristiche e scegliere come trattare il materiale e per quali usi. - L’argilla veniva estratta dalla cava alla fine della buona stagione, vangata e tagliata in zolle, veniva lasciata maturare per tutto l’inverno e in primavera era pronta per le prime lavorazioni di sminuzzatura e purificazione per sospensione in acqua. Eventualmente si aggiungevano additivi. Veniva poi usata per formare mattoni con stampi, ovvero terrecotte decorative, preparata in pani che venivano pressati o pigiati a mano entro stampi di legno, gesso o terracotta con la forma desiderata. Infine, veniva poi essiccata e cotta ARGILLA. Sostanza minerale che, impastata con acqua, dà una massa malleabile e adatta a mantenere forma e coesione dopo essiccamento. È una roccia sedimentaria clastica incoerente, costituita da granuli detritici, di dimensioni inferiori a 0,004mm, accumulatisi per decantazione in acqua, per azione di ghiacciai o per azione dei venti formata principalmente da silicati idrati CERAMICA = IMPASTO DI ARGILLA E DI ALTRE SOSTANZE SOTTOPOSTO A COTTURA Tra i prodotti ceramici assumono particolare importanza per l’edilizia le terrecotte. Classificazione dei mattoni in base alla cottura: - ALBASI: solitamente poco cotti, caratterizzati da una colorazione tendente al giallo chiaro, da un grado di resistenza non elevatissimo e da porosità medio-alta. Il colore deriva anche da abbondanza di calcio - MEZZANELLI FORTI: risultato di un processo di cottura normale, a seguito del quale assumono un colore rosso mattone e calcio. Buona/ottimale resistenza - FERRIOLI: risultato di un processo di cottura notevolmente più prolungato, a seguito del quale prendono una colorazione scura, vengono parzialmente vetrificati; si deformano e appesantiscono, avendo al contempo scarsa porosità e una scarsa aderenza alla malta. Il tutto è favorito dal maggior contenuto di ferro MURATURE. In laterizio, in genere a due o tre teste (quindi sottili), a volte rinforzate da una zoccolatura o una scarpa alla base. La disposizione dei laterizi generalmente non manifesta un ordine prestabilito nell’apparecchiatura, che appare casuale, dato che il laterizio non era destinato a rimanere a vista, bensì intonacato. Quando il laterizio era destinato a rimanere a vista (la cosiddetta «cortina nobile»), l’esecuzione era molto più curata. MANTI DI COPERTURA E PAVIMENTAZIONI. I laterizi erano usati anche per i manti di copertura: su capriate o travi si appoggiavano sottomanti in tavelle, di formato analogo, ma spessore ridotto rispetto ai mattoni (talvolta i sottomanti erano sostituiti da tavolati lignei) su cui si appoggiavano le tegole. Le coperture venivano realizzate e manutenute dai «copricase» Anche i pavimenti erano in laterizio: negli ambienti di scarsa importanza in mattoni, in quelli più rappresentativi in tavelle quadrate di varie dimensioni. I pavimenti venivano posati dai muratori, mentre per pavimenti dalle geometrie più elaborate venivano chiamati specialisti detti «tagliapietracotta». Un’alternativa erano i pavimenti realizzati con battuti di cocciopesto, mescolato con malta di calce. 45 CALCI USATE NEL VENETO ED ESPORTATE. CALCE DI SCAGLIA PADOVANA, vale a dire scaglia rossa, proveniente dai Colli Euganei in provincia di Padova. Scaglia rossa. Un calcare argilloso tendente a una sfumatura rosso mattone conformata in sottili strati. Si tratta di strati di oltre 100m di spessore, dove all'interno sono frequenti i noduli di selce di colore rosso. La roccia contiene ricci di mare, lamellibranchi e resti di squali. La formazione rocciosa è diffusa principalmente nell'area meridionale dei Colli Euganei, nella zona tra Cinto Euganeo e Arquà Petrarca, dove forma colline dolcemente ondulate. CALCE DI PIETRA D’ISTRIA che però presentava spesso dei grumi bianchi, detti calcinelli che, idratandosi con il passare del tempo provocano il degrado della muratura. Preparazione della calce - Calcinazione La produzione della calce inizia cuocendo pietre calcaree in apposite fornaci a 900-1000°. Nel corso di questa operazione la pietra perde il suo gas carbonico. Si ottiene un ossido di calcio detto calce viva. Esso si presenta sotto forma di pietre pulverolente, che mantengono il volume iniziale ma diminuiscono notevolmente di peso. Per il buon esito di questa operazione sono necessarie adeguate fornaci - Spegnimento o idratazione, o estinzione. La calce viva viene immersa in una fossa piena d’acqua: le pietre iniziano a sciogliersi, vanno in ebollizione e liberano un grande calore; il processo avviene in genere a 150-200°, ma può arrivare fino a 400° l’acqua in parte evapora, in parte viene assorbita dalla calce che si spappola e aumenta di volume, trasformandosi infine in una pasta (idrossido di calcio), che viene detta calce spenta. Dopo un congruo tempo di invecchiamento, tale pasta migliora le sue qualità di plasticità e lavorabilità e viene detta grassello di calce. SABBIA. In genere proveniva dai fiumi, in grado di fornirne di buona qualità e in grande quantità. Quella del Po è una sabbia fine, che talvolta veniva ulteriormente setacciata e divisa per granulometria: la più grossa (detta sabbione) veniva impiegata per le malte da muratura, la più sottile per le malte da finitura. A volte, però, per comodità, veniva prelevata in prossimità dei cantieri stessi, a scapito della qualità, da strati sabbiosi presenti nel terreno delle campagne a seguito di deposito fluviale: si trattava in genere di una sabbia ricca di terra e impurità, che dava vita a malte di scarsa qualità. Quasi tutti i centri della pianura padana importano la pietra: per l’area veneta la maggior parte della pietra giunge dalle cave del Veronese, da dove si esportano anche a Ferrara e Bologna. È presente anche la pietra d’Istria. Ci sono edifici completamente rivestiti di pietra, ad esempio a Ferrara, nel campanile del duomo (posa di blocchi isodomoni con colori alternati) e nel palazzo dei Diamanti (taglio di conci a diamante) mostrano un ottimo taglio della pietra. Spesso la pietra veniva utilizzata per i sostegni verticali, quindi per le colonne e per incorniciare le aperture: gli elementi maggiormente sollecitati. I cornicioni e diverse membrature venivano dipinte di bianco per riprendere la pietra. Le superfici in cotto erano spesso intonacate e affrescate, quindi nascoste alla vista. Si possono riconoscere le superfici che erano fatte per rimanere a vista perché avevano dei trattamenti superficiali accurati (venivano levigate ed erano usati i mattoni più regolari). IL CASO ROMANO. Nel medioevo Roma era stata protagonista di un processo involutivo delle capacità tecnico-costruttive assai più marcato rispetto ad altre regioni d’Italia. Venivano utilizzati materiali di spoglio, accelerando il processo di disfacimento. Le colonne erano sempre antiche. Ciò era causato da motivi di comodità e anche di prestigio. Tra le cause di tale fenomeno va annoverata la grande diffusione di edifici antichi, che costituivano delle cave di materiale da costruzione già pronto, ad esempio per creare del calcestruzzo o per la calce. A ridosso delle rovine degli edifici antichi si erano aperte delle calcare per la produzione di calce di buona qualità, prodotta utilizzando materiali di pregio come il marmo. Si costruivano edifici in muratura di laterizio di reimpiego. Le murature erano costruite per lo più in tufelli e laterizi, a sacco e le volte in conglomerato. I materiali di recupero non venivano rilavorati, si poneva in opera così com’era. A partire dal pontificato di Nicolò V (metà del 1400) diversi fattori concorrono a introdurre innovazioni nelle tecniche costruttive romane. La città viene rinnovata e aprendo molti cantieri erano richieste molte maestranze. La forte ripresa edilizia in città incrementa l’afflusso di maestranze provenienti dall’Italia centro-settentrionale, soprattutto dalla Lombardia, che portano con sé i saperi dei luoghi d’origine. Cambia anche la committenza, poiché arrivano da ogni dove le famiglie dei curiali, portando con sé esigenze a Roma sconosciute. Si ha una domanda nuova per qualità e per quantità. Si recupera l’arte di fare i mattoni e si aprono delle fornaci. I mattoni di nuova produzione soppiantano quelli di recupero. Si recupera anche la capacità di lavorare la pietra, utilizzando materiale di spoglio rielaborato. Si tolgono i rivestimenti lapidei. Ad esempio, la Loggia delle Benedizioni (facciata della chiesa di San Marco) è costituita da travertino ben tagliato, ma parte dei materiali vengono dal Colosseo. Anche il modo di tagliare la pietra riprende quello del Colosseo: singoli blocchi includono tanto la sezione del pilastro quanto quella della semicolonna, cioè a fasce orizzontali si possono isolare dei singoli blocchi che comprendono tutta la sezione (pilastro e semicolonna). C’è un’osservazione attenta delle tecniche antiche che si vogliono recuperare. 46 Il Palazzo Riario o della Cancelleria è completamente rivestito in pietra, in opus isodomum: rivestimento che si aggancia a un paramento laterizio retrostante, ma ha anche funzione strutturale perché arriva fino a terra ed è molto spesso. I giunti sono allineati e sfalsati in modo che in ogni corso di conci il giunto sta a metà del concio sottostante. Nella realtà ci sono conci più lunghi e più corti, quindi i giunti non sono allineati verticalmente creando lo sfalsamento di mezzo concio. Vengono però incisi dei finti giunti per far sembrare il concio della lunghezza desiderata, e i giunti reali vengono stuccati. Questa lavorazione è più accurata nella parte bassa. Un tentativo celebre di far rinascere una tecnica antica è lo sfortunato esperimento di Leonardo da Vinci per far rivivere l’antica pittura a encausto, descritta da Plinio il Vecchio e Vitruvio. Encausto. Tecnica di pittura in uso nell’antichità. Plinio (Historia naturalis, XXXV, 122) e Vitruvio ne descrivono vari metodi, caratterizzati dall’unione del colore con cera, colle animali, resina o gomma, e a volte olio, fondendoli al calore del fuoco, fissata poi a caldo alla parete. Viene realizzato a caldo: i materiali vengono mescolati tra loro fondendoli a caldo e poi vanno fissati alla parete a caldo. Ancora in uso a Bisanzio nel X sec., fu poi abbandonato. Nel 1503, Leonardo fu incaricato dal governo fiorentino, di dipingere la Battaglia di Anghiari su una parete del Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio. Il dipinto commemorava la vittoria ottenuta nella battaglia combattuta nel 1440 nella piana di Anghiari tra le truppe milanesi e una coalizione guidata dalla Repubblica fiorentina. Leonardo, grande sperimentatore volle tentare la tecnica dell’encausto, ma il dipinto si «sciolse» sotto i suoi occhi, rimangono solo gli studi preparatori. Più fortunato fu il tentativo di far rivivere lo STUCCO ALL’ANTICA, riscoperto da Giovanni da Udine, allievo di Raffaello, dopo numerosi tentativi infruttuosi messi in atto da vari artisti. Lo stucco era geograficamente poco diffuso, ci sono degli impieghi puntiformi. Se si utilizzavano dei materiali plastici diversi dalla terracotta, si usavano degli impasti ma non erano mai propriamente degli stucchi. STUCCO = NOME GENERICO DI DIVERSI TIPI DI MATERIALI PLASTICI ADESIVI, DI VARIA CONSISTENZA, CHE INDURISCONO ALL’ARIA PIÙ O MENO RAPIDAMENTE, IMPIEGATI PER LA LEVIGATURA DI SUPERFICI (MURARIE, METALLICHE, DI LEGNO) O COME MASTICI O PER ESEGUIRE MOTIVI DECORATIVI DI RILIEVO. Gli artisti si recano a vedere le rovine antiche osservando dei bassorilievi con una superficie definita “pelle di marmo”: materia che non è marmo ma che ha la stessa lucentezza, la stessa apparenza candida. Sotto il nome generico di stucco si comprende una vasta categoria di impasti, in genere a base di calce spenta (grassello) tra i quali quello all’antica ha una sua ben specifica ricetta. La scelta dei materiali e il loro proporzionamento sono legati alla necessità di mantenere all'impasto un buon grado di lavorabilità, oltre che una sicura aderenza al supporto e una buona resistenza meccanica. Spesso si tratta di stucchi policromi che nella forma si vede la tendenza all’antico, ma non sono come i bassorilievi dell’antichità romana. Donatello nei tondi della Sagrestia Vecchia di San Lorenzo a Firenze crea dei bassorilievi bianchi in cui la superficie non è lucida e lo stucco è di calce. Non riprende la ricchezza e gli effetti materici antichi. VASARI ha scritto le vite degli artisti da Giotto in poi. Narra come nel Rinascimento fossero stati molti i tentativi per recuperare il vero stucco antico. Anche nei trattati del secondo ‘400 ci sono delle proposte per creare questo stucco, ma non arrivavano mai all’effetto voluto. Vasari ricorda che GIOVANNI DA UDINE (allievo di Raffaello) si era recato a vedere la Domus Aurea (palazzo di Nerone) dove ha visto i bassorilievi. Giovanni era specializzato nelle grottesche e vuole associarle agli stucchi. Fa diverse prove tentando delle ricette di altri artisti ma non arriva al risultato voluto. Anche Bramante aveva fatto delle prove ma non era riuscito ad ottenere la stessa qualità materica. Giovanni mescola la calce (bianca realizzata con il travertino) con un marmo bianchissimo (inerte): con questo impasto composto da elementi bianchi riesce ad ottenere la ricetta dell’impasto del vero stucco all’antica. Riesce a ricreare le decorazioni all’antica. Da allora lo stucco avrà una diffusione enorme in Italia ed Europa, anche per la facilità nel reperire le scaglie di marmo (avanzi delle sculture). Vasari tratta diverse tecniche in molti capitoli. Parla dei diversi materiali, del modo di fare lo stucco e riporta la ricetta di Giovanni. Parla anche della posa in opera ideale dello stucco, della sua duttilità come materiale di rivestimento. Si pone in opera uno strato di stucco grossolano e, quando è ancora umido, si sovrappone uno strato di stucco più sottile che verrà lavorato. Viene rivestito da uno strato di polvere di marmo per dare l’effetto di lucidità. Il materiale ottenuto è molto duraturo. I primi lavori in stucco furono realizzati nel 1518/1519 da Raffaello nelle Logge Vaticane. A Mantova, Lorenzo Leombruso viene inviato a Roma per imparare la tecnica dello stucco. Quando torna a Mantova realizza nella sala della Scalcheria (Palazzo Ducale) le cornici in stucco e degli ovali. Un consigliere del committente denuncia la scarsa qualità di questo stucco. Con lo stucco all’antica si realizzano anche i rivestimenti esterni (finti bugnati): rivestimenti che fingono delle bozze di pietra più o meno lavorata (bugnato liscio o rustico). Le superfici irregolari sono scalpellate nei mattoni e sono poi vengono ricoperte di uno stucco sottile; o vengono realizzati applicando del materiale grossolano irregolarmente disposto sopra al quale poi si pone lo strato di stucco. 47 SCULTORI E STUCHERI. Come per le terrecotte decorative, anche per la plastica a stucco il cantiere era fortemente specializzato: - Scultori sono i maestri incaricati di eseguire rilievi figurati (a Palazzo te spicca Francesco Primaticcio) - Stucheri sono gli artigiani che plasmano cornici decorative a stampo e rilievi ornamentali non figurati SOLAI LIGNEI. Più che le volte (in cotto nell’Italia meridionale), nella pianura Padana erano diffusi i solai lignei, dove è più diffuso il cotto. La scelta tra solaio e volta dipende dalla tenuta del terreno sottostante perché la volta è più pesante. Fin dal Medioevo sono il tipo di copertura degli ambienti più diffusi. I solai lignei appoggiano sui muri laterali degli ambienti da coprire. Erano spesso posti in opera tramite tiranti metallici di ancoraggio delle sezioni lignee alle murature, costituendo un importante irrigidimento della scatola muraria. Le teste delle travi che entravano nei muri venivano fermate con laterizi posti a secco, evitando la malta affinché l’umidità non le aggredisse. Al di sotto delle travi portanti ci sono delle mensole che consentono di ridurre la luce libera del solaio. Al di sopra si pone il tavolato e poi il pavimento in genere in cotto, con poche fughe e si appoggia su sabbia con poca calce, perché deve rimanere elastico, evitando il suo irrigidimento per assecondarne le inflessioni. Le teste delle travi erano circondate da un’intercapedine areata, per preservarle dal ristagno di umidità e dai fenomeni di condensa dovuti alla differenza di temperatura tra muratura e legno. Il solaio poteva essere privo di rifiniture, in locali poveri o non rappresentativi, oppure dotato di modanature e decorazioni pittoriche. Per le aree che non possedevano risorse boschive in grado di fornire buon legname da costruzione, esso doveva essere procurato dalle aree montane. Un’enorme riserva di legname era costituta dalle zone alpine del Veneto, dove erano diffusi larice, pino, abete. Essi venivano anche esportati, sotto la stretta sorveglianza del governo veneziano. Per usi meno impegnativi venivano usati i legni della campagna locale, come rovere, quercia, olmo, frassino, talvolta pioppo. Il solaio ligneo è composto da: - orditura principale: è il primo ordine di elementi portanti, costituito da travi, generalmente incastrate nei muri secondo la direzione dei lati minori dell’ambiente da coprire - orditura secondaria: si tratta di travetti di sezione minore. Poggiano sull’orditura principale e sostengono l’impalcato. È assente nel caso di solai a orditura semplice - impalcato: il piano su cui appoggia il pavimento del livello superiore a seconda dell’area geografica e della disponibilità delle materie prime, può essere costituito da un tavolato ligneo oppure da tavelle in cotto Solaio con doppia orditura lignea: travi principali, disposte secondo la luce minore del vano e orditura secondaria ortogonale. Le riquadrature dell’intradosso dell’impalcato sono ottenute col semplice impiego di listelli, poggiati da trave a trave e fissati con grossi chiodi, su cui è ancorato l’impalcato di tavole o, raramente, le tavelle di laterizio. DECORAZIONE A CASELLE E CANTINELLE. L’assito fra travetto e travetto è riquadrato da sottili cornici, dette in taluni luoghi cantinelle, che accolgono decorazione pittoriche, così come generalmente i riquadri (caselle) che si vengono a creare fra i travetti. I riquadri sono ottenuti dall’incrocio tra la struttura primaria delle travi e quella secondaria dei travicelli. I travetti sono sempre decorati, i riquadri non sempre. Per nascondere le irregolarità si applicava una decorazione in carta già decorata prima delle posa in opera, che poi veniva incollata sul legno. Frequentemente le decorazioni pittoriche erano eseguite per moduli ripetitivi, con l’ausilio di sagome e mascherine, a diretto contatto con il legno, oppure su una base preparatoria di gesso, talvolta anche con impiego di colla animale. Le decorazioni erano in genere eseguite a tempera, eventualmente diluita in olio magro. SOLAIO A CASSETTONI. CASSETTONE = CIASCUNO DEI RIQUADRI GEOMETRICI RICAVATI NEI SOFFITTI PIANI E NELLE VOLTE IN MURATURA COME MOTIVO DECORATIVO (DETTO ANCHE LACUNARE) CHE, NEI SOFFITTI A TRAVATURE LIGNEE, DERIVA DALLA DISPOSIZIONE STESSA DELLE TRAVI PORTANTI, INTEGRATA DA ALTRE MEMBRATURE ANALOGHE E VARIAMENTE DECORATA. Si tratta di un soffitto a semplice orditura in cui le travi portanti si estendono sul lato corto, mentre sul lato lungo si trovano controtravi non portanti (si interrompono in corrispondenza della trave), incastrate tramite incasso nelle travi portanti. Creano un motivo profondo nel soffitto. Motivo realizzato anche con il calcestruzzo (quadrato o altre forme geometriche) nel soffitto. A volte si usava decorazione su carta, preparata fuori opera, incollata con colla vegetale (amido) e rifinita in opera con l’impiego di colori. La carta era costituita da un impasto di fibre di canapa e lino. I soffitti a cassettoni con doppia orditura: in basso ci sono le travi portanti e sopra, con l’orditura secondaria, si crea la serie di cassettoni. 50 Poi per fluitazione libera, lungo i torrenti, giungevano ad altri luoghi di raccolta (“cidoli”), in prossimità delle segherie ad acqua. Successivamente le tavole o gli squadrati erano affidati agli “zateri” che, con i tronchi semilavorati, realizzavano delle zattere per il trasporto dei legnami migliori lungo le aste fluviali (Piave, Brenta, Adige, Tagliamento). Per rendere chiara la proprietà del legname, travi e tegole venivano segnati con il marchio del proprietario. La pezzatura prevalente nei legnami ‘da opera’ era la TAGLIA che corrispondeva al tronco da 12 piedi veneti. Si distingueva tra specie arborea, cui si attribuivano valori economici differenti, e tra diametri misurati all’estremità superiore, in particolare si distinguevano cinque intervalli: - sottomisura (inferiore ad un piede veneto) - di misura (compresa tra un piede e due piedi) - da borre da fuoco (5 piedi di lunghezza) - da taglie di legna ‘da opera’ TESSITURE DEI SOLAI E DIMENSIONAMENTO DELLE TRAVI. Molto diffuso era il solaio e travi parallele, ad orditura semplice, con le estremità appoggiate sui due muri laterali. Questo tipo di solaio permette una migliore ripartizione dei carichi sulle murature. I solai bi-orditi vennero utilizzati solo per strutture dei grandi ambienti ad aula (sale capitoli, edifici pubblici, palazzi) e in piano terra di edifici ad abitazione. Tali travi principali hanno funzione di rompitratta, quando le travi soprastanti sono continue, o di travi maestre, quando sostengono le teste di due orditure distinte. L’assetto mono-ordito a Venezia presenta una disposizione parallela alla facciata, soprattutto per l’edilizia d’abitazione della nobiltà e della borghesia: le “case da stazio”. Nel periodo veneto-bizantino si distingue lo schema a T, detto “a crozzola”, formato dagli ambienti della loggia in facciata e dal “portego” retrostante ortogonale, i cui solai sono separati da un bordonale. La planimetria era ad L o a T contratta, ed erano utilizzati solai con orditura secondaria tutta orientata parallelamente alla facciata e orditura principale che separa l’asse centrale da scarselle laterali. In periodo gotico c’è una commistione di assetti a pettine paralleli e ortogonali alle facciate. Si tende alla regolarizzazione del portego, che diventa di forma rettangolare, affiancato da stanze laterali, tutti con travi di solaio parallele alla facciata. Si predilige il solaio mono-ordito, con travi omogenee per dimensioni che si dispongono lungo la dimensione minori dei vani in quanto tale orditura può garantire un maggior legame delle murature opposte e una distribuzione dei carichi tali per cui, in caso di cedimenti di un elemento, non collassa l’intero solaio. Tutti i solai di Venezia prima del XVI secolo, mostrano una tipologia costruttiva, ad impalcato, con travi poste a distanza ravvicinata e con uno o due strati di tavole superiori (il secondo sempre ortogonale al primo) strutturalmente collaboranti con le aste inferiori per mezzo di chiodature, ed appaiono montati sulla base di due fondamentali conseguenze. Negli impalcati veneziani si possono distinguere due tipi principali di apparecchiature delle tavole rispetto all’ordinamento delle travi: - il primo tipo presenta le tavole ortogonali alle travi, in singolo strato (XIII-XVI secolo) ha due varianti: • si pone un’orditura di listelli, sottili cantinelle, ortogonali alle travi, che mediano il rapporto tra le assi ed elementi portanti principali, ma la mancanza di contatto tra tavolato e travi riduceva l’efficienza del collegamento. Il picco vano, che si creava tra i due elementi e delimitato dalle cantinelle, veniva chiuso sui lati corrispondenti alle travi da piccoli listelli. L’orditura di cantinelle ortogonale alle travi fungeva da coprifilo allo strato superiore di tavole; ed altre cantinelle erano parallele alle travi, a completamento del cassettonato, e veniva applicate pezzo a pezzo, sempre dall’estradosso, alloggiando su un ridotto limbello praticato sugli spigoli superiori delle travi. Ciò permetteva il successivo aggiustamento nell’allineamento di tali cantinelle. In tal maniera le tavole entrano in contatto con le travi con la mediazione delle cantinelle, ma l’effetto piastra sviluppato dal solaio era incompleto. • abbassamento del livello dei listelli coprifilo, mediante dei piccoli incassi negli spigoli superiori alle travi, in modo da garantire il contatto delle tavole con le travi, con il vantaggio strutturale di aumentare la collaborazione tra travi e tavolato. Le cantinelle non sono continue, ma degli spezzoni tra trave e trave. Prevede l’applicazione diretta delle tavole sulle travi, sempre disposte ortogonali ad esse: in tal caso l’intera area intradossale delle tavole entra in completo contatto con le travi. Le cantinelle trovano alloggio entro incassature e limbelli predisposti sulle superfici estradossali delle travi, di profondità corrispondente allo spessore delle cantinelle. - il secondo tipo presenta le tavole disposte parallelamente alle travi stesse (dopo il XVI). Tecnica nota come “tessitura alla sansovina”. In questo tipo di solaio ogni tavola è appoggiata su due travi, per una fascia minore della metà di ogni trave, e collabora efficacemente, grazie alla chiodatura, al comportamento a piastra del solaio. A questo primo strato di tavole ne è associato un secondo ortogonale chiodato. Il primo strato ha una disposizione parallela delle tavole, fissate per lungo sui bordi della trave; il secondo strato è trasversale, saldato con fitta chiodatura. La solidità di un solaio dipende dalle misure della sezione, in relazione alla luce da coprire, e dalla distanza delle travi fra loro. Riguardo i parametri strumentali, il dimensionamento delle travi e dei solai in legno seguiva il principio empirico dello “sbaglia e correggi” fino all’impostazione del problema della trave inflessa nel ‘600. Palladio afferma che le travi a vista devono essere distanti una dall’altra una volta e mezza la larghezza della trave per ragioni strutturali ed estetiche, poiché devono rimanere sufficienti tratti murari tra le teste per sostenere il muro soprastante. Secondo Francesco Sansovino invece, le travi devono essere distanziate in modo da avere “un pieno e un vuoto”, poiché un intervallo maggiore rende il solaio debole rispetto a fenomeni di flessione e rottura del rivestimento superiore e una tessitura più fitta appesantisce le murature e i costi. Confrontando i tipi di solaio “gotici” e “alla sansovina” si nota che le travi si infittiscono, con una riduzione della distanza, della sezione media e della differenza tra base e altezza. 51 TIPO DI APPOGGIO. I diversi tipi di appoggio veneziani tengono conto di tre parametri: - la migliore distribuzione dei carichi sulle murature in modo da non avere pesi concentrati - la funzione di connessione svolta dal solaio tra i muri opposti, di spinta o perimetrali - la riduzione della luce libera d’inflessione delle travi mediante elementi sottoposti alle teste e in aggetto rispetto alle murature. Si possono sintetizzare in quattro tipi di appoggio: APPOGGIO DIRETTO SULLA MURATURA. La testa della trave è inserita in una sede predisposta nella muratura per una profondità variabile, da una o due teste di mattone, a seconda dello spessore murario. L’inserimento della trave in una muratura senza lasciare spazi liberi è dovuto alla necessità di bloccare eventuali movimenti di torsione o sfilamento mediante l’incastro e l’attrito. Non è un vero e proprio incastro. Quando le travi sono profondamente appoggiate, migliorano le condizioni generali di stabilità del solaio in quanto tendono ad incrementare la connessione con la muratura. Questo tipo di appoggio ha sempre posto problemi connessi alla conservazione del legno, che portano a ricercare sistemi di isolamento. L’appoggio su muratura poteva essere mediato dalla presenza di una trave orizzontale inserita come dormiente (“rema”) con funzione di legamento della muratura e per una migliore ripartizione dei carichi delle travi del solaio. Nel caso di appoggi di travi di solaio su murature di spina sono presenti reme spesso nascoste da cornici lignee lavorate e applicate sulla superficie esterna. APPOGGIO SU DORMIENTE INTERNO ALLA SEZIONE MURARIA. APPOGGIO SU DORMIENTE ESTERNO ALLA SEZIONE MURARIA. Avveniva con mensole in pietra con o senza dente di bloccaggio, in forma di rialzo del bordo. Nel caso di murature esili o forate da arcate, questa soluzione permetteva di non svuotare la parte con le sedi delle travi e di concentrare i carichi in corrispondenza dei piedritti dove erano inserite le mensole. La presenza dell’imposta a sbalzo della trave determinava la necessità di coprire i vani degli interassi delle travi. Questo avveniva con tavolette lignee (“pettenelle”) inserite in scanalature quasi verticali ricavate sulle superfici delle travi. APPOGGIO SU MENSOLE. La mensole consentivano di aumentare la dimensione e la qualità della superficie di appoggio della trave, impedendo la rotazione e diminuendo l’inflessione della trave; inoltre permettevano di tenere sotto controllo il legno in corrispondenza dell’appoggio, minimizzando il rischio di crolli. Dal punto di vista statico, la presenza della mensola sotto la trave comporta che il vincolo del sistema trave-muro si avvicina all’incastro, con una riduzione dell’entità della freccia in mezzeria. Si deve ridurre al minimo i fori dei muri, poiché si deve assicurare una continuità con il muro soprastante, e garantire un legame tra i muri stessi e le teste delle travi. Secondo Alberti i piani di appoggio devono essere regolari, in modo che tutte le travi si impostino allo stesso livello e con sedi solide. Le murature in mattoni non possono reggere bene gli impalcati se non hanno un adeguato spessore. Per garantire una conservazione delle teste si deve lasciare uno spazio per l’aereazione, per evitare il marcire causato dall’umidità. Le travi non si devono inserire nei muri con sedi passanti lo spessore murario poiché i fori indebolirebbero il muro. Quindi la soluzione migliore è quella di predisporre mensole in pietra nella muratura a sostegno delle teste delle travi le quali possono essere fissate alla muratura mediante “grappe e fermagli di rame e ganci sporgenti dalle mensole”. Lo Scamozzi sottolinea che le travi devono essere ben inserite in modo da non poter essere soggette a torsione. Le teste devono essere protette trattandole al fuoco o con pece o rivestendole di lame di piombo. Per i muri di spessore consistente le travi possono avere un appoggio delle teste fino alla mezzeria, mentre nel casi di murature sottili (diffuse a Venezia) le travi devono essere appoggiate per l’intero spessore del muro. Le teste devono essere legate tra loro e con le murature mediante elementi metallici chiodati. I TETTI LIGNEI A VENEZIA. I tetti lagunari avevano i seguenti compiti: - proteggere le fabbriche (e gli abitanti) da piogge e intemperie - completare e concludere l’organismo scatolare Erano solitamente impostati come i solai, su anelli di reme e rappresentano il superiore ed ultimo livello di irrigidimento e controventamento delle strutture edilizie. In prevalenza di tratta di orditure a capriate, la tessitura strutturale più capace ad evitare spinte orizzontali sui piedritti e ad offrire un sicuro concatenamento sommitale al perimetro murario. I tiranti delle incavallature permisero di assicurare le contrapposte murature perimetrali contrastandone ogni sbandamento o rotazione. Tutti i setti laterizi contenuti nel perimetro degli edifici si concludono al livello d’imposta delle coperture, proseguono solo per suddividere le soffitte, per compartimentare gli spazi o per costruire validi sostegni alle falde. Generalmente quindi si preferivano telai spaziali unici, a soluzioni strutturali non frazionate, ma unitarie, ad organismi gravanti solo sul perimetro murario. La possibilità di erigere ossature lignee di copertura leggere ed efficaci era legata alla disponibilità del ferro: solo il metallo consentiva di ottenere efficaci unioni dei nodi, realizzando i giunti dei telai a capriata (sistema strutturale più razionale ed efficace). 52 Bisogna arrivare al XIV secolo per imbattersi in Chiese con coperture di ampiezza significativa, come quelle delle basiliche di Santa Maria Gloriosa dei Frasi e dei Santi Giovanni e Paolo con tredici metri circa di luce libera. Presentano alcune somiglianza: incavallature con puntone e saette nelle zone presbiteriali, capriate composte, con doppi colonnelli e controcatene, sui transetti e le navate centrali. Travi squadrate ad ascia, a spigoli incerti nelle capriate presbiteriali, travi a spigolo vivo, squadrate e piallate nelle capriate composte. Le capriate soprastanti il presbiterio seguono il seguente schema: il telaio è formato dalla catena e da due lunghi biscantieri intestati in sommità sul colonnello centrale, che scende fino al tirante; dall’estremità inferiore del colonnello salgono diagonalmente due saette che si congiungono con la mezzeria dei puntoni. Una staffa metallica stringe il colonnello alle catene. Il piede del colonnello si incastra con la catena mediante un giunto a tenone e mortasa, bloccato da cunei in legno. Tale schema muta in corrispondenza dei bracci dei transetti e diventa un sistema di capriate composte, con colonnelli appoggiati e incastrati a tenone e mortasa sulle catene inferiori. Nel tetto dei Frari una parte di orditure della nave centrale reca numerose incisioni di riferimento: ogni catena, controcatena, colonnello o puntone delle capriate è contrassegnata in prossimità dei giunti d’incastro con uno stesso numero romano. Nelle aste e sulle teste delle catene e controcatene al numero si associa un punto. Prima del loro montaggio, le strutture lignee venivano tracciate ed imbastite a terra. Le fabbriche civili, gli edifici pubblici e quelli destinati alla produzione navale nell’età gotica raggiungono la massima ampiezza nei tetti. Le tese, i grandi capannoni destinato alla costruzione raggiungono i 17 o 23 metri di ampiezza. Intono alla metà del XIV secolo viene ordito il più vasto tra i tetti fino ad allora realizzati a Venezia: la sala del Maggior Consiglio (Palazzo Ducale). L’enorme vano (largo 24,5 metri e lungo 53,5 metri) era sovrastato da una struttura a puntoni e tiranti, completamente distrutta dal fuoco nel 1577. L’attuale tetto è a capriate composte, dotate di tiranti centrali connessi con catena e controcatena, e con saette laterali ai colonnelli. I SOFFITTI CARENATI. Le CARENE DI NAVE veneziane costituiscono un singolare insieme di tetti, che con il loro andamento suggeriscono il profilo di un vascello rovesciato, con la grande chiglia centrale affiancata dagli apposticci e dai baccali dell’opera morta. Alcuni esempi sono: chiesa di Santa Caterina di Mazzorbo, San Giacomo dall’Orio e Santo Stefano. Il tema del soffitto carenato non è escluso dell’ambito lagunare, ma compare in una vasta area geografica veneta e padana, anche sottoforma di varianti strutturali radicalmente diverse, come nella grande volta del Palazzo della Ragione a Padova. Queste intelaiature permisero di risolvere la chiusura sommitale di vasti spazi interni. Si tratta di orditure capaci di evocare uno sviluppo murario voltato senza gravare i piedritti con carichi eccessivi e senza generare spinte apprezzabili. Il soffitto svoltato esposto alla vista è un sottile rivestimento ligneo con scarsa autonomia portante, tutto contenuto e retto dal telaio di copertura. Semplici tavole chiodate su centine o su spezzoni di centine sorrette dai puntoni, accostate tra loro senza un dente di incastro nello spessore. Le cantinelle dipinte che tracciano la trama rilevata dei riquadri sono dei coprigiunti: celano le fessure impedendo che la polvere e la sporcizia passino attraverso gli interstizi. Le centine di sostegno del tavolato si impostano su due filange modanate che corrono sulle catene dell’ossatura e convergono sulla colomba centrale superiore retta dai puntoni della copertura, ai quale è collegata da braghe metalliche o da traversi lignei. Il termine “colomba” viene utilizzato per definire la lunga e robusta trave che corre inferiormente da prua a poppa dell’imbarcazione. Sono sempre sostenute da piccagne collegate ai puntoni e sono suddivise in almeno due parti, interrotte nel loro punto di tangenza con la faccia inferiore dei biscantieri. Alcune carene di nave differiscono dagli usuali tetti a capriate, è la concezione strutturale complessiva che cambia. Ogni incavallatura possiede un’accentuata indipendenza nel sistema generale della copertura, costituisce un nucleo strutturale autonomo, che risolve al proprio interno la spinta generale dai biscantieri inclinati. In altri tetti carenati le catene sono più rade rispetto ai puntoni sovrastanti, per rispondere a generali esigenze compositive: non si vuole infittire eccessivamente con travi gli spazi interni, al fine di non ostacolare la visione dei soffitti. Spesso questa foggia di tetti contiene anche una doppia corsa di puntoni, diversamente inclinati e collegati tra loro in mezzeria da filange o da piccole candele. L’ordine interno di biscantieri ha la funzione di reggere le centine della carena, l’ordine esterno ha il compito di sopportare l’orditura minore e il manto di copertura. Il primo ordine di puntoni possiede un’angolazione necessaria per imprimere un sufficiente sviluppo altimetrico alla sagoma della catena. Le ossature contenenti soffitti carenati non sono tra loro identiche. La chiesa di Santo Stefano ha un’orditura a capriate; al rivestimento trilobo contenuto nei triangoli delle incavallature si associano due “meze vete” che si raccordano con le murature della navata. Le due curve laterali inferiori formano unghie e ritagliano lunette per dare spazio ai finestroni lacunari. L’orditura di San Giacomo dall’Orio rappresenta un ibrido: il tetto è retto da capriate, ma sui biscantieri, fortemente inclinati, c’è una trave di colmo, su cui grava l’ordine di puntoni posti a sostegno delle falde. 55 CARATTERISTICHE CROMATICHE DEL MATTONE. La produzione del mattoni prima dell’industrializzazione della produzione del cotto (nel tardo 800), può avere colorazioni diverse da luogo a luogo, da partita a partita, da periodo a periodo e anche una consistenza, una compattezza e delle proprietà meccaniche differenti. Queste differenze dipendono da: - materia prima, dal tipo di argilla che si utilizza: se è ricca di biossidi di ferro produrrà dei mattoni più rossi - omogeneità dell’impasto: stagionatura e lavorazione dell’argilla, creando problematiche di durata - presenza di additivi: paglia, quarzo, cocciopesto: elementi per sgrassare l’argilla, per far in modo che durante l’essicazione e la cottura vi sia il minor ritiro possibile. Se l’impasto è troppo grasso (cioè se l’argilla non è sufficientemente additivata di sgrassanti determina un ritiro eccessivo che può spaccare il mattone) - temperatura di cottura: era impossibile garantire una cottura omogenea, il forno antico era realizzato con una catasta di mattoni già essiccati coperta con dei materiali coibentanti (terra) i quali creano una specie di chiusura. Al di sotto della catasta c’erano delle gallerie per entrare e si appiccava il fuoco lasciandolo bruciare per giorni. Questa tecnologia è rudimentale: non garantisce l’uniformità di temperatura all’interno della stessa catasta e neanche che la temperatura nel suo complesso fosse adeguata. Alcuni mattoni erano a contatto diretto col fuoco. I mattoni cotti a bassa temperatura hanno un colore giallognolo, rispetto a quelli cotti a temperature adeguate che risultano rossastri. Se sono tendenti al rosso scuro o al nero vuol dire che il mattone era molto vicino al fuoco e non è buono per la costruzione (troppo cotto). Quest’ultimo era quasi vetrificato, quindi privo di porosità, duro e fragile, ma è meno suscettibile all’umidità. Era utilizzato per le fondazioni dove era meno importante la qualità del mattona e l’adesione alle malte non ha molta importanza come nella muratura. Il mattone poco cotto è più suscettibile agli agenti atmosferici ed è meno adeguato alle muratura esterne, quindi veniva inserito in quelle interne. ESEMPI DI TESSITURA MURARIA REGOLARE. Il mattone gotico permette la realizzazione di murature di spessore maggiori, più resistenti e ordinate. Le sue dimensioni consentono di alleggerire il muro. MURO A DUE TESTE: il muro è profondo come due teste (lato più corto) del mattone. I mattoni vengono disposti alternatamente per lungo e per traverso. L’ORTOSTATO è il mattone disposto di fascia, che mostra all’esterno il lato più lungo. Il DIATONO è il mattone che mostra il lato più corto. Questa tessitura alterna due ortostati accostati e un diatono viene ripetuta ad ogni filare sfalsando l’ortostato superiore rispetto a quello inferiore, in modo che ci sia un ammorsamento più efficace tra le due facce del muro stesso. Gli elementi diatoni consentono una continuità strutturale e di portata tra le due facce del muro stesso. MURO A TRE TESTE: muratura più complessa. Schema a C: ci sono due mattoni che mostrano il lato lungo (A CORRERE) alternati a un mattone messo di TESTA. Schema che si ripente in entrambi i lati del muro stesso e si sfalsa nel filare successivo. Ha un ammorsamento efficace e una resistenza sufficiente. Le grandi fabbriche gotiche fondate a Venezia nel corso del 300 (Basilica dei Frari, Basilica dei Santi Giovanni e Paolo, Basilica dei Servi, Chiesa dei Carmini) sono tutti grandi cantieri legati all’espandersi degli ordini mendicanti (francescani, domenicani). Le loro chiese vengono ricostruite con dimensioni monumentali. Questa esigenza di grandi fabbriche e complesse, ispirate allo stile architettonico gotico composto da volumi pronunciati e altezze vertiginose, richiede una tecnologia sviluppata e un sapiente utilizzo del mattone. Le grandi cattedrali nordiche sono fatte con pietra da taglio: grandi conci di pietra che vengono opportunamente tagliati e disposti in opera. La disponibilità di grandi conci lapidei permette la realizzazione di opere molto ardite: è più facile creare una struttura con conci maggiori. trasferire queste forme architettoniche in una terra veneta in cui la pietra è abbastanza rara e non disponibile in quantità tale da consentire l’edificazione di un edificio totalmente lapideo richiede uno sviluppo delle tecniche murarie. 56 Nella BASILICA DEI FRARI i contrafforti hanno una tecnica di muratura essenziale, perché basta una minima incertezza o un minimo errore (ad esempio nella disposizione verticale dei mattoni) che rende il contrafforte storto. La perfezione dell’allineamento dei mattoni è essenziale. I mattoni che costituiscono lo spigolo del contrafforte sono levigati: la loro superficie è più lucida rispetto ai mattoni interni. Questa necessità di levigare i mattoni ad angolo è stata spiegata con la richiesta di una perfezione muraria più che millimetrica. La produzione di mattoni di tipo tradizionale gli stampi non sono sempre di forma perfetta, le superfici non sono sempre perfettamente complanari, ci sono sempre delle imperfezioni durante i diversi processi. Queste deformazioni rischiano di creare dei problemi durante la fabbrica, quindi i mattoni venivano levigati in modo da ottenere superfici perfettamente complanari e angoli di 90° controllabili e a piombo. I mattoni interni dello stesso pilone o contrafforte potevano essere adeguati anche in maniera meno precisa purché si trovassero all’interno di una gabbia perfetta nella tessitura. Elementi decorativi nella sommità sono sempre in cotto, come gli archi ciechi con elementi trilobati all’interni: sono realizzati con formelle particolari, non sono mattoni tradizionali. I capitelli pensili che sorreggono gli architetti sono in pietra d’Istria. Altri elementi disposti in opera dopo la levigatura sono quelli delle finestre e dei portali: i mattoni sono disposti con strombatura e sono tutti levigati per creare una superficie complanare che era rifinita attraverso pitture o spennellate di olio che omogenizzavano la cornice dal punto di vista cromatico. Per essere messe in opera le cornici richiedono dei letti di malta molto sottili, e ciò comporta anche la levigatura anche delle superfici interne del mattone per garantire una perfetta possibilità di combaciamento tra i due mattoni sovrapposti. Le malte di allettamento tra un mattone e l’altro hanno lo scopo di mantenere legati i mattoni e anche quello di permettere una trasmissione di carico omogenea da fila a fila, evitando concentrazioni di carico (elementi che determinano la rottura del mattone). Il letto di malta dev’essere tanto spesso quanto più il mattone è irregolare: se il mattone è molto irregolare avrà nelle sue superfici di appoggio delle asperità che tendono ad incontrare quelle del mattone successivo e quindi a creare concentrazioni di carico che a lungo andare determinano la rottura del mattone stesso. La malta di allettamento va a inserirsi tra i due mattoni di filari sovrapposti creando una superficie di appoggio omogenea dove non ci sono delle concentrazioni di carico. Se si vuole che le malte siano sottilissime quasi da non essere visibili, le superfici dei mattoni devono essere levigate e regolari. GLI EDIFICI. Le fondazioni veneziane sono appoggiate su palificata che viene conficcata nel fango, poi sulla quale (attraverso un tavolato) viene costruito la scarpata che va a sorreggere poi il muro. Le murature di ambito (esterne) sono ben fondate attraverso una panificata; mentre i muri di spina (interni) hanno una fondazione meno robusta senza palificata quindi nel tempo tende a sprofondare, trascinando con sé anche il solaio che a sua volta, essendo collegato attraverso chiavi metalliche alla muratura, tenderà a inclinare i muri di ambito esterni. Questo crea un fenomeno che si nota in molti edifici: i muri esterni sono inclinati verso l’interno. Questa inclinazione era già prevista dai progettisti e dai costruttori, e si verificava durante la costruzione stessa. Poi nei secoli c’erano ulteriori inclinazioni ed alterazioni. Essendo l’edificio molto leggero e con muratura non molto spesse, situato in un suolo instabile, veniva realizzato un sistema di cedimenti controllati e voluti che fossero il più possibile vantaggiosi rispetto alla chiusura scatolare efficace dell’edificio. Il solaio aveva anche una funzione di controventamento e diventa un elemento portante: le travi sono chiodate a delle catene metalliche che sono fissate alla muratura attraverso travi o massetti di pietra d’Istria. Queste catene metalliche fanno si che le travi del solaio diventino delle catene distribuite sull’intera lunghezza dell’edificio. Gli ammorsamenti delle catene si vedono spesso nelle facciate veneziane attraverso i massetti. Il solaio fa da tirante per eventuali rotazioni delle murature e il massetto (composto dal pavimento in terrazzo veneziano: pavimento realizzato in calcio e inerti di vario tipo come cocciopesto o sassi di pietra), essendo molto spesso costituisce un peso sufficiente per stabilizzare il solaio creando una compressione sulle murature d’ambito tale per cui diventano molto più solidali col solaio stesso, inoltre questo spessore permette alle murature di appoggiarsi (una volta che si inclinano) sul massetto stesso. Ciò si ripete ad ogni piano. Quindi si oppone al peso delle murature creando una scatola che si comprime verso l’interno. 57 LA PIETRA D’ISTRIA La pietra d’Istria ha avuto impiego nell’architettura veneziana dalla seconda metà del 1200 ed è proseguita fino a tutto il 1800. È diventata l’unica pietra utilizzata in città per scopi architettonici. La penisola istriana si trova di fronte alla laguna veneziana al di là del Mar Adriatico. Questa terra divenne di dominio veneto nel 1400, e fu il luogo da cui veniva estratta la pietra d’Istria fin dal 1200. Le cave hanno i nomi delle città più vicino da cui venivano ricavate: quelle di Rosera e Rovigno erano di qualità maggiore. Le cave si affacciano sul mare, quindi era facile l’approvvigionamento del materiale, che veniva caricato direttamente sulle imbarcazioni e spedito dall’altra parte dell’Adriatico. La pietra, una volta cavata e sbozzata in cava, veniva poi scaricata in luoghi di lavorazione in città, nei laboratori degli scalpellini. La pietra ha una sedimentazione stratificata: la pietra calcarea è di origine organica sedimentaria che si crea per deposito di elementi carbonatici provenienti da organismi marini. Questo deposito è per sua natura stratificato, e questi banchi di stratificazione sono spessi alcune decine di centimetri, per cui i pezzi che possono essere ricavati hanno una limitazione geometrica dovuta alle dimensioni del banco di cava. La struttura stratificata si nota durante il degrado degli elementi lapidei. PROPRIETÀ DELLA PIETRA D’ISTRIA: - BASSISSIMA POROSITÀ (i pori sono molto sottili e isolati tra loro) • Elevata compattezza • Ideale per le fondazioni, in particolare nel punto di bagnasciuga, cioè nel punto in cui il canale entra in contatto con il muro venivano collocati dei banchi orizzontali di pietra che isolavano il muro dalla risalita capillare • Non è geliva: una pietra geliva, essendo porosa, assorbe l’acqua e quando gela aumenta di volume spaccando il materiale dall’interno sgretolandolo progressivamente - BUONA DUREZZA • Resistenza all’incisione e all’usura, quindi può essere utilizzata come elemento di complemento per base, capitelli • Ideale per pavimentazioni, il problema è che è molto scivolosa - BASSO COEFFICIENTE DI IMBIBIZIONE • Ideale per le fondazioni (piani di discontinuità perpendicolari al movimento idrico) - ALTA RESISTENZA MECCANICA: ottima per le costruzioni - ALTA DUREVOLEZZA (rocce durevoli) L’impiego più antico della pietra d’Istria a Venezia si ritrova nelle due colonne in Piazza San Marco (furono allestite nella seconda metà del 1200). In particolare, sono di porfido, furono importate a Venezia durante la Quarta Crociata (1204), e le basi sono in pietra d’Istria. Prima della pietra d’Istria si utilizzavano altre pietre, ad esempio la PIETRA DI AURISINA: impiegata in città fino al 1200. Di trovano blocchi portanti di questa pietra nella cripta di San Marco. È un materiale calcareo con proprietà meccanica inferiori, è più granuloso, meno compatto, tende al giallognolo/giallo ocra. Uno dei cantieri più importanti (metà del 1300) è quello del PALAZZO DUCALE, in cui si vede l’applicazione della pietra d’Istria per la realizzazione del portico, della loggia superiore e inferiore, mostrando le potenzialità della pietra: è un materiale facilmente scolpibile e ha alte prestazioni meccaniche e strutturali nonostante gli spessori limitati. Il porticato è leggiadramente aperto attraverso oculi e archi nonostante l'enorme peso della facciata superiore. La pietra d'Istria diventa, oltre che elemento di costruzione anche elemento decorativo e viene utilizzata come elemento di rinforzo per le arcate delle finestre. Inoltre, sono elemento di irrobustimento delle aperture (portali d’ingresso da terra e da acqua, scale, parapetti, archi) e delle fondazioni con panificata che, nella scarpata che emerge dal fondo del canale, sono rivestite con pietra d’Istria, la quale (essendo un materiale resistente al logorio, al sole e agli agenti atmosferici) riveste interamente le scarpate a contatto con l’acqua. Gli elementi in pietra d’Istria diventano essenziali anche per il coronamento degli edifici: per realizzare le cornici di gronda che costituiscono una finitura architettonica di pregio e realizzano un canale di raccolta delle acque piovane che poi vengono convogliate verso il basso attraverso vasi di coccio inseriti all’interno della muratura. Questi elementi del sottotetto (cornici o canali di gronda) dal basso sembrano insignificanti, ma sono grandi lastre di pietra molto larghe (50/60 cm di larghezza) e che sono sostenute nella parte inferiore da mensole, anch’esse di grande rilievo a livello strutturale e architettonico. Ca' corner della ca’ granda progettato da Jacopo Sansovino: edificio che fa larghissimo uso della pietra la quale diventa quasi una specie di scheletro che definisce le aperture e le sporgenze che si trovano nella facciata. È necessario incorniciare porte e finestre con la pietra d’Istria per un effetto strutturale: ha grande capacità di resistenza a compressione, quindi permette una concentrazione di carico superiore a quella del mattone. Con queste cornici crea una sorta di telaio più rigido e resistente attorno agli elementi di debolezza della facciata. Dal tardo 1400 la pietra d’Istria diventa anche elemento decorativo e di rivestimento delle facciate (prima erano rivestiti con intonaco lavorato in vario modo o affreschi). Un esempio è la Chiesa di San Michele in Isola (progettata da Codussi) diventa un prototipo della facciata in pietra d’Istria. Si vede la facciata di San Francesco della Vigna, del Redentore, Chiesa della Salute. Palazzo Donà delle Rose. Qui la pietra d’Istria è relegata solo in alcuni punti: cornici delle finestre, balconi, sottotetto, rinforzamento degli angoli e basamento. È un palazzo volutamente austero, ma il costo della materia prima era maggiore del costo della manodopera. 60 PALAZZO LOREDAN VENDRAMIN CALERGI (1481-1509). Attribuito da Codussi. La facciata è realizzata in marmo di Carrara e altre essenze di marmi colorati. Sulla parete laterale affacciata al giardino si vedono tutt’ora parti con il marmorino originale, realizzato con polvere di marmo (eccezione). CHIESA DEI GESUTATI (1724). La chiesa è realizzata in mattoni intonacati in marmorino, il quale è rifinito con fasce lisce e fasce finto bocciardate per dare l’idea di pannelli in pietra affissi alla muratura. CA’ CORNER DELLA CA’ GRANDA (iniziata nel 1545). Realizzato da Jacopo Sansovino. La facciata enorme è realizzata tutta in pietra d’Istria, ma le facciate laterale sono in marmorino. Questo uso è particolare perché Sansovino contorna tutte le aperture con la pietra e realizza dei cordoli lapidei che collegano tra di loro i davanzali, le cornici d’imposta degli archi e gli architravi delle finestre. C’è un gioco di fasce di pietra d’Istria che creano delle campiture, le quali vengono poi ricoperte in marmorino (grassello di calce e scaglie di pietra d’Istria). Questo uso del marmorino con fasce in pietra diventa una moda apprezzata in città, tanto che si cominciano a realizzare dei finti cordoli in pietra d’Istria utilizzando la tecnica del marmorino. Si sfruttano delle sporgenze del mattone, che vengono rivestite con intonaco di marmorino che viene lavorato a sua volta per simulare la lavorazione superficiale della pietra. In altri casi il cordolo è sottile e poco sporgente ed è integramente realizzato con intonaco, il quale viene lavorato all’esterno a finta bocciardatura per imitare la lavorazione di una superficie lapidea, con piccole fasce di raccordo lungo le estremità che imitano la pietra. Esempi di CORDOLATURE DI FINTA PIETRA si trovano in vari edifici. In alcuni casi la superficie sporgente si è staccata ed è supportata attraverso uno strato preparatorio di calce e cocciopesto a granulometria più grossa che poi va a realizzare la sporgenza necessaria per la finitura finale in marmorino bianco. Si scorgono anche piccoli elementi metallici che sono un rinforzo del cordolo stesso. In altri casi ci sono riquadri realizzati in mattoni e rivestiti in stucco o in marmorino. Possono essere più o meno sporgenti, ma sfruttano sempre la tecnica del marmorino per imitare anche le finiture in pietra d’Istria. In alternativa all’intonaco di marmorino, dalla metà del 1500 si diffonde la moda del MARMORINO ROSSO o COLORATO CON OCRE. L’intonaco, una volta steso, viene colorato attraverso un colorante a base di olio caldo e minio (ossido di piombo, materiale prezioso) o ocra rossa (terra colorata) e stesa uniformemente attraverso pennelli sull'intonaco fresco. Successivamente con lampada che contiene braci, si riscalda e asciuga la superficie favorendo la penetrazione del colore all’interno dell’intonaco fresco. Alla fine, vengono passati panni morbidi per togliere la pittura in eccesso dando un aspetto più lucido. CAMPANILE DI SAN ZANDEGOLÀ. L’intonaco è a marmorino e contiene polvere di cocciopesto misto a qualche terra (poi ripassato con olio) permettendo di ottenere una superficie rossastra che creava giochi di colori alternati realizzati con pietra d’Istria (lungo le aperture del campanile). Alcuni elementi sono in marmorino bianco. Le campiture di marmorino rosso vengono definite attraverso bordature realizzate in marmorino bianco o pietra d’Istria. REFETTORIO DI SAN GIORGIO MAGGIORE. Palladio ha previsto un intonaco con cocciopesto (polvere di cotto e scaglie di cotto) in aggiunta alla polvere e alle scaglie di pietra d’Istria. Utilizza il cocciopesto anche nella CHIESA DI SAN GIORGIO MAGGIORE e in altre sue fabbriche. Ad esempio, nel CONVENTO DELLA CARITÀ tutte le superfici sono in mattone levigato, ad eccezione degli elementi architettonici (trabeazione, capitelli, basi). Finiture di COCCIOPESTO misto al marmorino si trovano in molti edifici della città. PALAZZO IN FONDAMENTA DELLA SENSA. La facciata sul canale mostra l’uso massiccio di pietra d’Istria per quanto riguarda i balconi, le cornici, gli stipiti di porte e finestre; poi ci sono delle fasce lapidee che collegano tra loro le cornici (secondo la moda lanciata da Sansovino). Le altre superfici murarie vengono ricoperte in marmorino con cocciopesto. CA’ CORNER MOCENIGO. Facciata realizzata da Michele San Micheli: è realizzata con mattoni faccia a vista, levigati e ridecorati, ripassati con olio o con elementi coloranti di tipo rosso, che creano questa bicromia accesa tra le superfici murarie e le parti architettoniche in pietra d’Istria. I paramenti murari molto regolari richiedono una tecnica muraria dispendiosa, che prevede la molatura (levigatura) delle superfici esterne del mattone e strati di malta di allettamento molto sottili. Questo aumenta il costo complessivo della tecnica costruttiva. A questa tecnica raffinata si affiancò una tecnica più semplice da realizzare in due fasi: - La prima prevede la stesura di un intonaco di allettamento realizzato in cocciopesto e con inerti di granulometrie maggiori, che costituiscono uno strato di preparazione - Una volta fatta presa e completata la stesura dello strato più interno, si procede con la stesura del marmorino vero e proprio in strati sottili CAMPANILE DI SANTA MARIA FORMOSA (iniziato nel 1611). La canna del campanile è decorata con specchiature di varie forme (fantasia decorativa). Il campanile è completamente rivestito a marmorino a due strati: lo strato più esterno (bianco) si è consunto nelle parti più sporgenti della superficie muraria, quindi è stato maggiormente aggredito e si è assottigliato, lasciando emergere lo strato preparatorio in cocciopesto che sta al di sotto. Il restauro non ha sostituito il marmino, l’ha integrato conservandone la sostanza materica. 61 SCUOLA GRANDE DI SAN GIOVANNI EVANGELISTA. La parete di sopraelevazione è realizzata da massari all’inizio del 1700. Le finestre ovali sono inquadrate da pannelli rettangolari. Nella parte inferiore, dove c’è stata una maggiore aggressione dagli agenti atmosferici, l’intonaco esterno a marmorino è venuto meno e ha portato a vista lo strato preparatorio in cocciopesto. CAMPIELLO DI SAN GIOVANNI EVANGELISTA. Ci sono marmorini anche di altri colori. Il sesso murario che sta sulla parete di fondo ci sono pannelli marmorei realizzati in pavonazzetto toscano. C’è un marmorino bianco contornato da un marmorino grigio-blu ottenuto attraverso coloranti. PALAZZO IN CAMPO SAN SALVADOR. Palazzo dove la superficie a marmorino viene variata attraverso fasce colorate di marmorino rosso, che contornano le singole campiture e creano dei raccordi tra le varie aperture.