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Storiografi: Erodoto, Tucidide e Polibio, Sintesi del corso di Storia Della Letteratura Greca

Riassunto dei cap del bettalli riguardo ai 3 storiografi

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 29/11/2023

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Scarica Storiografi: Erodoto, Tucidide e Polibio e più Sintesi del corso in PDF di Storia Della Letteratura Greca solo su Docsity! -ERODOTO- Vita La biografia di Erodoto è molto incerta. Conosciamo 3 fondamentali città che segnano la sua vita: —Alicarnasso, odierna Bodrum in Turchia, colonia greca sulle coste dell’Asia Minore, luogo di nascita dell’autore, in cui trascorse gran parte della sua giovinezza. Città di fondazione dorica, che si arrchì presto di elementi ionici; sorgeva in un territorio abitato dalla popolazione dei Cari e fu a lungo sotto al dominio persiano; entrò a far parte dell’impero ateniese dopo le guerre persiane. Compare tra le città della lega delio-attica a partire, almeno, dal 454. Erodoto crebbe, quindi, in un ambiente variegato, tra elementi greci e influenze orientali. —Turi, colonia panellenica sorta nel 444/443, per volere di Pericle, sull’antica Sibari, nell’Italia meridionale. Erodoto partecipò alla fondazione della città e ne divenne cittadino. Secondo la tradizione sarebbe morto in quella città. —Atene, associata ad Erodoto sulla base di una serie di notizie: amicizia con Sofocle; somme percepite da Erodoto come compenso alla recitazione pubblica di parti della sua opera; appartenenza al clan pericleo. Fonti che ci permettono di inserire Erodoto tra gli intellettuali di spicco che affluirono da ogni parte della Grecia nell’Atene periclea. Per quanto riguarda le date di nascita e morte, queste non sono note. L’unica data conosciuta, la fondazione di Turi, fatta coincidere con il momento dell’akmè (periodo di maggiore maturità—>40 anni), ci permette di ipotizzare che la nascita di Erodoto risalga al 484. Ancora più difficile è l’individuazione di una possibile data di morte, per la quale possiamo basarci solo sugli indizi fornirti dall’opera. Erodoto, infatti, fa riferimenti più volte ai primi anni della guerra del Peloponneso; la citazione più recente è del 424, nel Vi libro, Erodoto fa riferimento al re persiano Artaserse, parlando di lui come se fosse già morto (morto nel 424/423); questo, però, non ci permette di rilevare una data certa di morte che potrebbe essere anche molto successiva al 424. Altre notizie riguardano la sua famiglia, di origine aristocratica, con qualche connessione all’elemento cario che popolava Alicarnasso. La famiglia venne esiliata per essersi opposta al tiranno Ligdami. Erodoto compì numerosi viaggi in tutto il mondo greco, in oriente, in Egitto, in Scizia. Le Storie Le Storie, così chiamata comunemente, in quanto in testi antichi non avevano un vero e proprio titolo, erano di straordinaria dimensione rispetto ai canoni dell’epoca; era di una lunghezza doppia dell’Iliade, nessuna opera lo eguaglierà fino al IV sec. -scritta in dialetto ionico, con la presenza di alcuni atticismi -stile limpido, molto vario, con poche subordinate e poche metafore, segue una forma arcaicizzante che mette in risalto le doti dell’autore -i filologi alessandrini dividono l’opera in 9 libri, attribuendo. Ciascuno di questi il nome di una delle Muse -vari excursus, talvolta brevi, in un caso coincide con la lunghezza di un intero libro Libri: proemio: Erodoto pone le premesse metodologiche del suo lavoro e accenna al tema generale • dell’opera: scontro tra Europa-Asia e il conflitto tra greci e barbari, individuandone le premesse di età mitica I libro: salto temporale che tralascia gli eventi mitici; Erodoto tratta, subito, del primo barbaro che • conquistò le città greche dell’Asia Minore: Creso. Il lògos su Creso, ultimo re dei Mermnadi, occupa la prima parte del libro e accenna anche alle vicende della dinastia lidia. Narra anche il racconto di Gige e Candaule, esempio di novella di gusto orientale presente nell’opera, e il dialogo tra solo e e Creso sul problema della felicità . Segue il lògos su Ciro il Grande e le vicende della formazione del regno medo-persiano. La connessione tra le due vicende è dovuta alla fine del regno di Creso per mano di Ciro, nel 546. II libro: narrazione sul regno di Cambise, successore di Ciro sul trono persiano. Racconto della sua • impresa più importante, la conquista, nel 525, dell’Egitto. La vicenda da modo ad Erodoto di affrontare il più famoso e lungo dei suoi lògoi, riguardante la storia e l’etnografia egiziane, che occupa l’intero libro. Erodoto dopo aver fato un’introduzione di tipo geografica-geologica, passa in rassegna usi e costumi egiziani, per poi ripercorrere tutte le dinastie che si sono succedute fino alla 26esima. III libro: narrazione della conquista dell’Egitto da parte di Cambise e delle altre vicende che lo • riguardano. Segue il primo lògoi dedicato all’isola di Samo. Lo storico ritorna, poi, alle vicende dell’impero persiano, dedicandosi al momento successivo alla morte di Cambise e conclusosi con l’ascesa di Dario. Qui ritroviamo il lògos tripolitikòs, discussione tra i maggiorenti persiani su quale fosse la forma di governo migliore tra democrazia, oligarchia, monarchia. I capitoli successivi trattano le strutture amministrative persiane e le vicende del regno di Dario. IV libro: occupato dai lògoi sulle due regioni oggetto delle mire di Dario: la Scizia e la Libia, con, • all’interno di quest’ultimo, la storia della colonia di Cirene. Si conclude con questo libro la parte dedicata alle vicende dei barbari. V libro: si occupa della storia dell’impero persiano e delle sue province, Erodoto affronta una delle • tante rivolte di uno dei popoli dell’impero, ma che allo stesso tempo risulta un evento epocale nei rapporti tra greci e persiani, perché causò le successive guerre: la rivolta ionica del 500-494, che Erodoto affronta con un atteggiamento fortemente critico nei confronti dei rivoltosi. Le vicende della rivolta sono intervallate da lògoi relativi a Sparta e Atene, delle quali vengono seguite le vicende corrispondenti all’incirca agli ultimi decenni del VI sec. Erodoto introduce questi due lògoi attraverso la visita che Aristagora, capo dei rivoltosi, fece alle due città in cerc di aiuto. VI libro: da qui si entra nella seconda parte dell’opera, dedicata alla narrazione delle spedizioni • persiane in Grecia. Gran parte del libro è occupata dalle spedizioni di Dati e Artaferne del 490, culminata nella battaglia di Maratona. Accenni anche alle vicende di quegli anni ad Atene, Sparta ed Egina. Il libro si conclude con un breve excursus sulle vicende di Milziade a seguito del trionfo di Maratona. VII-VIII-IX libro: adottando un impianto cronologico più tradizionale. Erodoto narra il grande • scontro tra greci e persiani, che ebbe inizio con i preparativi del nuovo re Serse e si concentra sui due anni di scontro (480-479: battaglia delle Termopili; battaglia a capo Artemisio; battaglia di Salamina; battaglia di Platea; battaglia di Micale) che videro la vittoria dei greci sui persiani. L’opera si conclude con l’episodio della presa di Sesto da parte delle forze coalizzate dei greci, dopo la battaglia di Micale del 478; episodio che ha fatto dubitare la completezza dell’opera, ma non ci sono motivi per dubitare che Erodoto l’abbia lasciata incompiuta. Tra oralità e scrittura—Erodoto al lavoro Alcuni elementi dell’opera richiamano l’ambiente culturale dell’età arcaica dominata all’oralità, come mezzo di trasmissione fruizione della conoscenza. Tra questi elementi distinguiamo: —la composizione “anulare”, secondo cui il racconto degli avvenimenti segue un andamento circolare, ritornando alla fine al punto da cui era partito; —l’associazione periferica, i nessi tra i vari argomenti sono quelli propri di una conversazione (es “a proposito di…”), contribuendo a dare l’impressione di una casualità nella successione dei vari argomenti e di una narrazione frammentaria; —lo stile paratattico, con poche subordinate Questi elementi danno all’opera un certo fascino, derivatogli dal tono 2ingenuo2, dall’andamento novellistico, dall’organizzazione apparentemente caotica della materia. Ciò ci testimonia che Erodoto utilizzò fonti orali, oppure che si affidò, per la divulgazione dell’opera, a pubbliche recitazioni di passi, ben più che alla diffusione del testo scritto. In questo caso possiamo immaginare un Erodoto-lògios (dotto): figura presente nelle città greche di età arcaica e nei paesi barbari, che, a livello locale, è depositario della memoria storica della comunità. È in questo senso, anche grazie agli evidenti legami con la tradizione culturale arcaica, che possiamo definire Erodoto quasi come un aedo in prosa: colui che, per primo, tradusse attraverso la scrittura un vasto patrimonio di tradizioni; racconti; storie, superando la loro frammentarietà con la scelta di un argomento unico, le guerre persiane, che coinvolgono l’intero mondo greco. I residui di oralità nell’opera, non devono farci dimenticare che si tratta di un’opera scritta, consapevole della sua natura. Erodoto ha ben presente la struttura complessiva del testo e la sua organizzazione, all’apparenza confusa, ma se analizzata, risulta raffinata e sapiente. Accanto a inesattezze e a promesse non mantenute di trattare determinati argomenti, non mancano i -TUCIDIDE- Introduzione Con Tucidide l’esperienza storiografica greca conosce un’accelerazione verso la creazione di un suo ambito specifico , Tucidide rappresenta il modello di intendere la scrittura storica incentrata sulle vicende politico militari. L’erudizione che trapela dalla narrazione erodotea, la vastità dell’orizzonte dei suoi interessi, il gusto del meraviglioso, sono in Tucidide abbandonati a favore di un’attenzione minuziosa al dettaglio, alla precisione della ricostruzione, alla profondità d’indagine. La storia viene vista da Tucidide come magistrae vitae, severa maestra di lezioni politico militari, da raccogliere con rigorosa selezione degli argomenti, una precisa definizione e limitazione del proprio oggetto. Tucidide era il nomothètes, il legislatore, il codificatore delle regole fondamentali. Vita Delle vicende biografiche di Tucidide si sa poco, le notizie sulla vita derivano più da una narrazione tarda e scarsamente verificabile. Tutto ruota intorno ad un episodio della guerra del pelopponeso che vide Tucidide come protagonista e che lo stesso storico ci racconta mentre era di stanza come stratego nel 424 a Taso fu chiamato in difesa della colonia di Anfipoli minacciata dall’avanzata dello spartano Brasida. La perdita di Anfipoli fu un colpo assai duro per Atene. Resta il dato biografico fondamentale del suo coinvolgimento attivo in guerra con compiti e competenze in primo piano. Ciò fissa un terminus ante quem per la sua data di nascita al 455, che andrà verosimilmente spostata intorno al 460, si può affermare che egli appartiene alla generazione successiva ad Erodoto. Cosa successe a Tucidide dopo la caduta di Anfipoli è più complesso da comprendere. In un passo della sua opera il “secondo proemio” egli afferma di essere stato costretto a un esilio ventennale che si sarebbe protratto fino all’anno finale della guerra da lui raccontata 404/403. A guerra finita Tucidide sarebbe rientrato in patria dove avrebbe trovato la morte ucciso da mano sconosciuta. La tradizione antica non metteva in discussione il dato dell’esilio, questo è stato negato con decisione da Luciano Canfora che ha voluto riferirlo a Senofonte, editore del testo Tucidideo dopo la morte dell’autore e certamente esule da Atene, cui andrebbero ascritte le paternità del secondo proemio. Una possibile indicazione sulla data di morte si ricava da un’iscrizione del 398/397 trovata a Taso in cui compare come arconte un Lica, omonimo dello spartano di cui Tucidide menziona la morte. Il tema dell’esilio ha assunto un valore simbolico nel presentare le premesse ideali per la realizzazione dell’attività di storico. Lo storico esule si presentava separato dalla sua appartenenza civica e politica condizioni che lo avrebbe disposto a ricostruire i fatti libero dalle urgenze e dalle faziosità della vita politica. La formazione di uno storico—Le Storie Come ogni membro della società aristocratica Tucidide ricevette un’educazione accurata, di altissimo livello. Conosceva bene e utilizzò i sussidi della retorica, di cui assimilò le tecniche di presentazione e d argomentazione, e l’elaborazione metodologica della medicina ippocratica e il relativo lessico. Nell’opera di Tucidide cogliamo l’incidenza di suggestioni culturali a lui coeve, si affermano nozioni di razionalismo, di ricerca delle cause e descrizione dell’oggetto dell’indagine, gli eventi storici i pragmata. Si ritrovano qui le radici profonde della sua rivoluzione metodologica nella complessa e vivace vita culturale ateniese della seconda metà del V secolo di cui lo storico rifiuta i modi e le applicazioni, ma non le conquiste. Non è tuttavia solo di carattere culturale il vincolo che lega Tucidide alla sua città. Egli fu attivo nelle vicende politiche e militari della sua polis, prende parte in prima persona alle vicende. Il principio di empeirìa, di esperienza dirette dei pragmata, diventerà una rivendicazione di quanti dopo Tucidide si rifanno al suo modo di fare storia. Tucidide si muoveva nella democrazia ateniese con atteggiamento non inusuale: critico verso le forme più radicali dell’esperienza democratica, legato alla sua identità sociale, tuttavia non si sottrasse all’impegno politico attivo . Seppe riconoscere i meriti di un leader e statista quale Pericle, ma anche approvare il programma strettamente oligarchico dei promotori del colpo di stato del 411. La sua visione degli eventi storici non lasciava margine all’intervento divino : non certo per una forma di ateismo quanto per l’individuazione del campo di indagine possibile per lo storico: la natura umana e le forze che ne muovono l’agire nella loro dimensione politica, sociale ed economica ma anche psicologica. Sono assenti ogni tipo di lettura etico-morali nell’esposizione dei fatti. La storia è tutta attraversata da spinte terrene non c’è lezione che non appartenga alla sfera umana, nessun trionfo di leggi divine, un racconto netto, laico e razionale nel quale si osservano come in un laboratorio a cielo aperto i conflitti. L’opera di Tucidide si presenta come l’opera più solida mai prodotta della cultura greca. Le storie si compongono di otto libri. L’oggetto di narrazione è la guerra del Peloponneso come un evento unitario dal suo scoppio nel 431 alla disfatta ateniese del 404. La struttura della guerra può essere schematicamente divisa in una sorta di lunga introduzione alle premesse del conflitto (libro I) contenente la digressione della cosiddetta archeologia e quella sulla pentecontaetia; la narrazione della guerra archidamica (libro II a V); gli anni della fragile pace tra il 421 e il 416, introdotti dal cosiddetto “secondo proemio” (V libro), il dialogo tra ateniesi e Melii che chiude il libro V; la descrizione della spedizione ateniese in Sicilia (VI-VIII libro); le vicende degli anni 412-411, incentrate sul colpo di stato dei 400. L’attuale divisione dei libri risale alla tradizione erudita tarda probabilmente alessandrina. La narrazione è organizzata secondo la successione diacronica degli anni di guerra nell’alternanza delle estati e inverni che creano segmenti cronologici a scandire il racconto. All’interno di ogni segmento cronologico il materiale è ripartito in forza dei teatri geografici nei quali l’azione progressivamente si svolge. Alla fine di ogni anno appare una sorta di firma dell’autore che sembra ribadire la paternità del testo. La narrazione si interrompe bruscamente nel 411 dopo la battaglia di Cizico , l’opera non fu dunque completata. Probabilmente dovuto ad una morte violenta o improvvisa dell’autore. L’incompiutezza spiega anche l’incipit di uno dei continuatori di Tucidide, Senofonte, le cui elleniche, ricollegandosi al momento finale delle storie Tucidide si aprono con un “dopo questi avvenimenti “. Egli afferma che l’interesse si accese fin dallo scoppio della guerra e che egli iniziò subito il lavoro storiografico. A partire dalla metà del XIX secolo sulle vicende di composizione delle storie si è posta una questione Tucididea: se il testo che leggiamo è di una stesura protrattasi nel tempo, con sezioni più recenti, come distinguere i diversi stadi? Il padre di tali dibattiti, il tedesco Ulrich, immaginò due principali fasi compositive: —la prima dopo la fase di Nicia del 421, che sembrava aver posto fine al conflitto —una seconda dopo la conclusione effettiva della guerra nel 404. Alla base di questa ipotesi ci sono, oltre all’affermazione proemiale con cui Tucidide sostiene di aver scritto iniziando fin dallo scoppio della guerra, la presenza di passi in cui è chiaro che l’autore conosce l’esito del conflitto e altri in cui pare ignorarlo. Le considerazioni di Ulrich furono ulteriormente sviluppate da altri studiosi a consolidare le ragioni degli analisti che riconoscono nell’opera segni sicuri di una stratigrafia positiva. I passi legati a una prima stesura si addensano nei primi quattro libri che trattano della prima fase del conflitto. La lunga descrizione della peste e le direzioni sulla storia più antica la cosiddetta archeologia la pentecontetia, si rifanno ad una descrizione dei primi anni di guerra come se essa dovesse considerarsi chiusa con la pace del 421. Un ulteriore problema è stato sollevato dall’ipotesi di Canfora di assegnare i capitoli 25-83 del libro V a Senofonte nell’ambito di revisore delle parti incomplete del testo. A complicare il quadro è l’ipotesi che Tucidide abbia reso pubbliche singole sezioni del suo lavoro attraverso letture per un uditorio, secondo la pratica dell’akròasis, parti che si presentavano come complete e pronte ad affrontare il pubblico, nonostante l’opera non fosse ancora portata a termine. Bisogna ammettere uno stadio di composizione diseguale per diverse sezioni dell’opera di Tucidide, aleatorio è ogni tentativo di utilizzare diverse fasi compositive per cercare presunti percorsi evolutivi nella prospettiva storica dell’autore. Nel discorso storico di Tucidide c’è comunque una complessiva unità e coerenza nell’intento. Ktèma es aièi: la scelta di Tucidide La questione tucididea pone un problema di fondo: quanto abbia influito su di lui l’uso del medium della scrittura nelle opzioni compositive e nella organizzazione del lavoro e quali conseguenze abbia avuto sulla prevalente destinazione dell’opera. Tucidide sa che la rinuncia a ogni concessione al diletto (hedonè) della narrazione e agli elementi che ne enfatizzano il fascino il mythòdes (il favoloso inteso come fascinazione affabulatoria) inibirà in gran parte il piacere dell’ascolto, ma vi contrappone la nozione di utilità come perno della sua opera, a favore di una più alta e duratura acquisizione. Un’affermazione nella quale si profila l’ampiezza dell’ambizione di Tucidide. Sottrarsi alle regole della fruizione acromatica dell’opera rappresentava per l’epoca una innovazione che ridefiniva il rapporto tra lo storico e il suo pubblico. L’opposizione tra diletto e utile non pare separabile dalle modalità di fruizione dell’opera. La sua scelta verso una storia fatta di rigoroso accertamento dei pragmata e di continuo interrogarsi sul loro senso non si prestava ad allettare un pubblico che non fosse mosso da interessi simili a quelli dell’autore. L’eventuale successo risulta marginale rispetto a una fruizione capace di cogliere il vero cuore dell’opera. Egli seleziona il suo potenziale pubblico non più disperso in un generico uditorio, attratto dalla piacevolezza della narrazione, ma sollecitato a focalizzare questioni precise e chiedere alla ricostruzione storica di fornire una conoscenza più profonda delle dinamiche degli avvenimenti e delle motivazioni che le muovano. È in questo senso che la storia si fa magistra, che trasmette un insegnamento che vale anche per il futuro. Tucidide non presenta una nozione ciclica dei fatti storici, l’utilità nel futuro non implica l’idea di ripetizione degli eventi, è legato piuttosto alla prevedibilità del comportamento umano che determina il corso degli eventi. Egli usa uno stile ipotattico, denso, pieno di rimandi interni, più adatto ad essere letto che ascoltato. La storia secondo Tucidide: la guerra del Peloponneso Nel proemio rivendica la sua intuizione storica e delinea la prospettiva generale della guerra. Egli definisce i confini del suo oggetto di analisi e a tali confini si mantiene rigorosamente fedele, le digressioni si inseriscono come approfondimenti volti a dimostrare più punti chiave. La guerra è contemporanea all’autore, una vicenda di cui è protagonista. La priorità assegnata alla conoscenza autoptica si realizza con l’adozione di vicende contemporanee in cui l’autore è testimone degli eventi. La selezione degli informatori e la consapevolezza delle possibili motivazioni che possono inficiarne il racconto, impongono allo storico l’affinamento di strategie di controllo e verifica, che porta Tucidide ad affrontare l’esercizio di critica delle fonti con la massima akrìbeia (precisione) possibile. È plausibile che Tucidide avesse accesso ad ambienti elitari e potesse accogliere le versioni di personaggi protagonisti delle vicende politiche e militari dei suoi anni, tanto nel fronte ateniese che in quello spartano, ma i tentativi di precisare le sue fonti restano per ora largamente insoddisfacenti. Tucidide privilegia fonti orali secondo la consuetudine di storici greci , una parziale eccezione potrebbe essere rappresentata dall’uso di una fonte scritta per la storia delle vicende più antiche della Sicilia per i quali si è proposto il nome di Antioco di Siracusa. Certamente tucidide conosceva l’opera di Erodoto e quella di Ellanico che costituiscono più riferimenti poetici che fonti a cui attingere, ci sono fonti scritte citate, ma non sono la forma normale di acquisizione di informazioni. È il caso di puntualizzare che tale apparato di fonti è dispiegato per la storia del conflitto, cioè utilizzabile per tessere la trama di una vicenda contemporanea. Il proemio ha altri aspetti che bisogna sottolineare, Tucidide afferma di essersi subito reso conto dell’importanza dell’avvenimento: ideò il progetto di una scrittura storiografica mentre la storia era ancora in corso, la guerra gli apparve grande e axiologòtata, degnissima di essere narrata. La sua guerra è la più importante di tutte e in quanto tale è più appropriata per un racconto storico secondo l’applicazione di un criterio assiologico che giudica i fatti storici in relazione a criteri di grandezza e che insegue parametri per stabilire come misurarli. Tucidide fornisce i suoi parametri di giudizio: anzitutto la dynamis, il grado di potere, raggiunto dai contendenti che si affrontano quando sono all’apice del proprio sviluppo; poi la kìnesis, lo sconvolgimento, la svolta dinamica alla storia che l’evento provocherà tra greci e barbari perché quasi tutti sono schierati da una parte o dall’altra coinvolti nella guerra. Con la pentecontetia si riconnette alle opere di Erodoto iniziando proprio dall’avvenimento che chiude le storie, la presa di Sesto da parte di Atene e polemizzando con Ellanico che aveva trattato il periodo senza la necessaria precisione cronologica. Al centro di tali passi è il rapporto con il passato recente ma anche remoto. Proprio alla fine dell’archaiologia Tucidide sente di precisare come abbia compiuto il suo percorso inverso alla ricerca di un passato distante. Egli si affida alla propria capacità di individuare le tracce che forniscano indicazioni al suo tema. Una polemica contro le forme consuete di trasmissione del passato attraverso tradizioni propagate dalla poesia e dagli autori di logoi. Il passato non è oggetto della storia tucididea, dove lo storico decide di affrontarlo, l’indagine si fa indiziaria, perchè è l’unica possibile. I capitoli dell’archeologia sono condotti secondo le regole della dimostrazione dell’epìdeixis . Utilizzano strumenti che la disciplina retorica ha elaborato e condividono una simile conduzione con le elaborazioni dell’oratoria forense. Tucidide con le sue storie ha lasciato un monumento di altissimo valore, sintesi di talento narrativo e impegno intellettuale straordinario. -LA STORIOGRAFIA ELLENISTICA. POLIBIO- La storiografia d’età ellenistica da un lato sviluppa tendenze del gusto presenti già nel corso del IV sec, dall’altro vede il sorgere di nuovo interessi e prospettive legati ai mutamenti politici dell’epoca. Polibio, nel II sec, è l’ultimo grande storico dell’età ellenistica, interprete della fase di transizione che portò la Grecia sotto il dominio di Roma. La storiografia ellenistica L’età ellenistica è contraddistinta da una ricca produzione storiografica, da una grande varietà di tematiche e da una notevole diversificazione delle forme che il racconto storico assume. Una molteplicità non del tutto documentata, a causa del materiale sopravvissuto troppo esiguo per poter tracciare un profilo chiaro delle idee di questi storici. In questo senso vengono individuate linee di sviluppo, delle tendenze cui legare queste figure, per cercare di comprendere il loro ruolo nell’evoluzione degli interessi, delle finalità e delle forme della storiografia greca. Gli storici vengono classificati sulla base di due criteri fondamentali, ma non assoluti: la corrente stilistica e gli interessi tematici. 3 tendenze stilistiche fondamentali: Retorica: radici di questa tendenza si individuano nell’opera di Isocrate, è caratterizzata dalla 1. ricerca di uno stile curato, armonico ed elegante, senza trascurare l’interesse per la verità storica. I suoi rappresentanti principali sono: Eforo di Cuma; Teopompo di Chio e Anassimene di Lampsaco. Tragica/drammatica: narrazione ricca di pathos e di elementi meravigliosi/sensazionali, che 2. irano ad impressionare il lettore. Primo esponente è Ctesia di Cnido, ma le figure di maggior rilievo sono Duride e Filarco. Pragmatica: concentra la sua attenzione sui nudi avvenimenti e sull’indagine delle loro relazioni 3. causali; principale esponente è Polibio di Megalopoli. ——Le categorie non sono assolute, spesso nell’opera di uno storico si verifica la presenza di influssi diversi e di elementi delle diverse tendenze.—— Sotto l’aspetto degli interessi tematici, si possono classificare gli storici in gruppi fondamentali, in base alla cronologia: Storici di Alessandro Magno: le opere erano dedicate alle vicende biografiche e soprattutto 1. militari del condottiero macedone. Molti, non solo, erano contemporanei al re, ma anche parte del suo entourage e avevano partecipato in prima persona agli eventi narrati. Callistene di Olinto: considerato uno dei primi storici di Alessandro, nato intorno al 370. ◦ Nipote di Aristotele, fu da questo allevato e condotto alla corte del tiranno Ermia di Atarneo, di cui scrisse l’elogio funebre a Pella. Si unì, poi, alla spedizione asiatica di Alessandro.nel 327 rifiutò l’omaggio della proskynesis, perché lo riteneva un uso barbaro e, quindi, contrario alla dignità greca. Per questo, oltre che per l’accusa di aver partecipato alla congiura dei Paggi, venne messo a morte. La maggior parte della sua produzione è precedente al legame con Alessandro. Quando partì per l’Asia aveva già composto una Storia greca, in 10 libri, dalla pace di Antalcida all’inizio della III guerra sacra (356). I frammenti mostrano un’opera ricca di parentesi etnografiche, mitologiche e geografiche. Scrisse anche una monografia sulla terza guerra sacra e le Pytionikài, lista di vincitori delle guerre Pitiche. Il suo lavoro principale sono le Imprese di Alessandro, incompiute a causa della morte dell’autore. Narravano la spedizione asiatica fino alla vittoria di Gaugamela (331). Scritta a breve distanza di tempo dagli eventi. L’opera mostra una forte tendenza encomiastica e descrive le imprese del re in una luce fortemente greca: Alessandro è guida divina di una spedizione che ha come scopo la vendetta degli oltraggi compiuti dai persiani in precedenza. Questa visione traspare nel racconto della battaglia di Isso; la divinizzzazione di Alessandro è evidente, invece, nel frammento che narra la visita all’oracolo di Ammone. Dai frammento è evidente l’abilità di Callistene di utilizzare il registro drammatico e quello retorico. Anassimene di Lampsaco: scrive un’opera di carattere retorico, la Storia di Alessandro ◦ Onesicrito di Astipalea: nato verso il 380-375; allievo del cinico Diogene di Sinope, prese ◦ parte alla spedizione asiatica. Nel 326, fece da interprete con i gimnosofisti di Taxila, ricevendo una corona doro per i servigi; dopo fu pilota della nave di Alessandro durante la discesa dell’Idaspe e dell’Indo e fu affiancato a Nearco. La sua opera, Sull’educazione di Alessandro, si estendeva dalla nascita alla morte del re, presenta tratti della filosofia cinica. Alessandro viene ritratto come un re filosofo, la cui spedizione non è mossa per vendetta, ma ha tratti fondamentale pacifici, finalizzata all’avvicinamento e alla fratellanza fra popoli. Nearco di Creta: ammiraglio della flotta di Alessandro, protagonista della navigazione ◦ nell’oceano Indiano e nel Goldo Persico. La sua opera, Periplo dell’India, è una versione ampliata del rapporto presentato al re: iniziava con la costruzione della forra e giungeva fino al ritorno a Susa. Opera ricca di informazioni scientifiche e naturalistiche sui paesi visistati; attenzione ai dettagli tecnici relativi ai tempi di viaggio e alle distanze coperte; opera basata su esperienze personali. Nearco descrive Alessandro come un capo sensibile, generoso e affettuoso con i suoi soldati. Tolomeo: occupa un posto di primo piano tra gli storici di Alessandro. Fondatore, dopo la ◦ morte del re, della dinastia Iagide d’Egitto. Nato nel 367, poco più vecchio di Alessandro, fu uno dei suoi amici più intimi; divenne sua guardia del corpo nella spedizione asiatica. Gli furono affidati vari incarichi, tra cui la caccia a Besso, uccisore di Dario III. Dopo la morte, nel re nel 323, ottenne la satrapia d’Egitto, che trasformò in regno autonomo. La sua attività di storico iniziò solo durante la vecchiaia. Della sua opera con conosciamo il titolo esatto, ma narrava le imprese di Alessandro ed è nota principalmente da Arriano. Il racconto di Tolomeo si concentra sugli eventi militari e politici, cui l’autore prese parte; assenza di parentesi etnografiche, topografiche o d’interesse culturale. Tolomeo oltre alla memoria ricorre spesso alle Efemeridi: ——documentazione dettagliata e preziosa, lavorata all’interno della corte. Di questa sono sopravvissuti solo 3 frammenti, che si riferiscono ad una battuta di caccia di Alessandro, alle bevute del re e alla sua malattia e morte. La loro autenticità è stata messa in dubbio, in particolare da Person, che le considera un falso di età tarda, è stata, però, recentemente riaffermata da Hammond e Bosworth. I tratti biografici espressi dai 3 rammenti, hanno portato all’ipotesi che le efemèridi registrassero sia gli eventi pubblici sia quelli privati della vita del re. La spedizione in Asia è, per Tolomeo, un’impresa dei Macedoni, che non ha nulla del carattere panellenico attribuitegli da Callistene. Alessandro non è visto come il campione dei greci, ma come soldato infaticabile, geniale stratega e allo stesso tempo come uomo rispettoso degli dei e attento ai suoi obblighi verso di loro. Citarco di Alessandria: sappiamo bosco della sua biografia. Trascorse la vita ad Alessandria, ◦ non prese parte alla spedizione di Alessandro, quindi non scrive sulla base di un’esperienza diretta. La sua opera, Storia di Alessandro, in 12 libri, narrava le vicende di Alessandro dall’ascesa al trono alla morte. Sono stati confermati solo 36 frammenti. L’opera, confluita nel XVII libro delle storie di Diodoro siculo, nella Vita di Alessandro di Plutarco e nella Storia di Alessandro di Curzio Rudo, si colloca all’inizio della traduzione romanzata e favolosa su Alessandro, la vulgata, contrapposta alla storiografia sopra e pragmatica, di cui sono esponenti Tolomeo e Aristobulo. Carete di Mitilene, Marsia di Pella, Edipo di Olinto: scrivono rispettivamente; Storia di ◦ Alessandro a carattere aneddotico; Storia della Macedonia, in 10 libri; Sulla fine di Alessandro e di Efestione, opera che presenta i re in luce fortemente negativa. Aristobulo: uno degli ultimi storici di Alessandro. Nativo fosse della Focide, ma poi cittadino ◦ di Cassandria in Macedonia, fece parte del quartier generale di Alessandro durante la spedizione asiatica e lo seguì fino in India. Al ritorno ricevette il compito di restaurare la tomba di Ciro a Cinosarge. A 84 anni, iniziò la sua opera storica, il cui titolo esatto ò sconosciuto, che copriva il periodo dall’ascesa al trono alla morte del re. Scrive durante il periodo di forte circolazione di opere su Alessandro, dipone, quindi, di molto materiale già raccolto e sistematizzato, oltre che dei suoi ricordi personali. È chiaro dai frammenti superstiti che si sia servito di lavori precedenti, oggetti di critiche. Per il carattere polemico dell’opera, Schwartz ritiene Aristobulo come una fonte secondaria; al contrario, Meinster, sottolinea come lo storico faccia anche riferimento a conoscenze dirette e ad osservazioni autoptiche e di come non manchino elementi geografici, botanici, zoologici ed etnografiche. Aspetto più caratteristico dell’opera è la tensione a combattere gli elementi Antonio’s, romanzasti, retorici o tendenzialmente negativi, di cui la storiografia precedente aveva circondato Alessandro, per poter, così, restituire un’immagine il piè possibile fedele. Ricerca di sobrietà e veridicità. 2. Gli storci dell’età dei Diadochi: generazione successiva che racconta le lotte per la spartizione dell’impero e il consolidarsi dei regni ellenici. Ieronimo di Cardia: esempio del letterato di corte. Nato intorno al 360, appartenente alla ◦ cerchia del suo signore Eumene. Nel 320 guidò un’ambasciata presso Antigono Monoftalmo e dopo la morte di Eumene, si trasferì alla sua corte come alto funzionario. Rimase fedele alla corte antigonide anche sotto Demetrio Poliorcete e sotto Antigono Gionata. La sua opera è nota con diversi titoli: nel lessico Suda figura come Gli avvenimenti dopo Alessandro; in Diodoro Siculo come storia dei Diadochi; in altri frammenti semplicemente come Storie. La narrazione copriva il periodo dalla morte di Alessandro (323) a quella di Pirro (272); il racconto della spedizione di quest’ultimo in occidente conteneva anche un accenno alla storia più antica di Roma. Jacoby osserva che li porta di Ieronimo è inversamente proporzionale a quanto sappiamo di lui, infatti, i frammenti conservati sono solo 18; grazie a Diodoro, Arriano e Plutarco che lo riprendono nelle loro opere. La credibilità di Ieronimo è stata fortemente influenzata dal giudizio negativo di Pausania, che lo criticava per la sua ostilità nei confronti dei Diadochi. La critica più recente, pur essendo d’accordo, smorza la teoria di Jacoby, ritenendo Ieronimo uno storico attento ai fatti e sensibile ai dettagli concreti, il tutto narrato con uno stile limpido e sobrio, che si rifà ad una storiografia di tipo pragmatico. Duride di Samo: nato verso il 340 ad Eraclea di Sicilia, dove la famiglia si era stabilita dopo la ◦ cacciata dei Sami dalla loro isola. Tornò in patria solo nel 322, quando Perdicca dipsose per decreto il ritorno degli esuli nelle città d’origine. Duride si proclamava discendente di Alcibiade. Uomo di grande cultura, scrisse varie opere letterarie. Nell’ambito storiografico scrisse gli Annali di Samo, una Storia di Agatocle, in 4 libri, e una Storia della Macedonia in circa 23 libri. L’opera inizia dall’anno 370/369, collegandosi sia alla morte del re Aminta di macedonia, sia alla fine dell’egemonia spartana (battaglia di Leuttra del 371) e, quindi, all’inizio di una nuova fase storica. L’opera si conclude nel 281, anno della morte di Lisimaco e di Seleuco, e della fine della prima generazione dei Diadochi. Dai frammenti è chiara la prospettiva greca del racconto, con particolare attenzione ad Atene, un giudizio non benevolo di Alessandro e severo su alcuni dei diadochi, fino all’immagine negativa di Demetrio Poliocrete, emblema della dissolutezza. Non mancano elementi erotici e attenzione all’elemento biografico, che gente di mettere in evidenza alcuni atteggiamenti sull’evolversi delle vicende politiche. lettura più accurata mette in luce l’originalità e la profondità del pensiero storico d Timeo, che descrisse le ragioni della decadenza dell’età di Agatocle, comprese la minaccia costituita da Cartagine e intuì il ruolo che avrebbe avuto Roma in futuro. 4. Storiografia di popoli non greci: l’interesse per il mondo non greco, già precedente all’età ellenistica con Erodoto ed Ecateo, riceve un nuovo impulso dalle conquiste di Alessandro, che avevano aperto nuovi orizzonti, dando, così, la possibilità alla diffusione di opere di autori che narravano, ad un pubblico greco, usi, costumi e storie di popolazioni lontane. I contatti con le remote regioni orientali suscitarono da un lato descrizioni fatte da greci del mondo che stavano scoprendo; dall’altro trascrizioni in lingua greca da parte di letterati locali. Il greco, lingua della cultura, permetteva di fornire al mondo ellenico un’immagine più completa e fedele dei rispettivi paesi. Ecateo di Abdera: allievo del filosofo scettico Pirrone, scrisse i suoi Aigyptiakà (storia ◦ dell’Egitto) dopo un soggiorno a Tebe all’epoca di Tolomeo I. L’opera è la fonte principale della trattazione di Diodoro, e costituisce, anche, il secondo lavoro di sintesi sull’Egitto dopo il II libro delle Storie di Erodoto. L’opera, secondo il materiale confluito nel racconto Diodoro, comprendeva una sezione di cosmologia e teologia locale; una descrizione geografica; una parte dedicata ai re; la presentazione di usi e costumi egiziani. Caratteristica dell’opera è la visione positiva e idealizzata dell’Egitto, visto come punto d’origine di tutte le culture, anche di quella greca; le istituzioni egiziane vengono viste come modello ideale di monarchia moderata, che promuove benessere e felicità. La forma dell’opera è quella di un’opera storica, ma i contenuti indicano una forte impronta filosofico-pedagogica, che mira a fornire, da un lato, una base giustificativa per il nuovo regno di Tolomeo, dall’altro per guidare il monarca nel governare. Manetone di Sebennito: Gran sacerdote ad Eliopoli, secondo la tradizione, visse sotto il regno ◦ dei due primi Tolomeo. Scrisse i suoi Aigyptiakà in greco, con l’intento di renderà accessibile ad un ampio pubblico. All’opera si interessarono particolarmente lo storico giudeo Flavio Giuseppe e i cronografi d’età cristiana Eusebio e Sincello, che ne fecero uso, manipolandola, per stabilire le date degli eventi nel vecchio testamento. L’opera di Manetone si basa su documentazione locale in geroglifico; purtroppo le forti manipolazioni a cui è stata sottoposta l’opera rende difficile l’individuazione dei contenuti originali; rimane, quindi, plausibile che alle liste dei re vi fosse anche una vera e propria trattazione storica. Berosso di Babilonia: contemporaneo di Alessandro Magno, fu u sacerdote. Decide di ◦ scrivere in greco i Babyloniakà/Chaldaikà (storia babilonese) in 3 libri, basata su documentazione locale, in essa è presente una dedica ad Antioco I, indicando la vicinanza alla corte e alla sua politica. Megastene: diplomatico e storico vissuto tra 350 e il 290, operò al servizio di Seleuc I e fu più ◦ volte ambasciatore presso il re indiano Chandragupta. Scrisse gli Indikà (storia dell’India) in 3/4 libri, conservati solo attraverso le rielaborazioni di Diodoro, Arriano, Strabone e Plinio il Vecchio. Da questi vediamo che Megastene si occupava di geografia, flora e fauna, usi e costumi, amministrazione, filosofia, mito e storia, utilizzando sia osservazioni dirette sia informazioni ottenute da sacerdoti ed intellettuali di corte. Forte è nell’opera l’attenzione ai fatti incredibili e meravigliosi. Agatarchide di Cnido: complessa figura di intellettuale che visse ad Alessandria d’Egitto nel II ◦ sec. Unì alla sua attività storiografica, Storia dell’Asia e Storia dell’Europa, interessi più etnografici, Sul mar Rosso. La sua opera ci è nota, grazie al largo uso di cui ne fa Diodoro Siculo. Tra i frammenti conservati uno narra la condizione degli schiavi nelle miniere d’Egitto, tematica non comune nella storiografia antica. Tra gli storiografi che si interessano a popoli non greci, importanti sono coloro che per primi. hanno narrato la storia di Roma, hanno compreso il suo ruolo e la una importanza per il mondo ellenico. Un interesse per Roma che nasce con la sua crescita politica nel corso del II sec. In realtà Roma non compare all’improvviso: è presente nella tradizione mitologica greca, già, in Antioco di Siracusa ed Ellanico di Lesbo, che ne attribuirono la fondazione ad Enea. Tra gli storici, invece, già Teopompo dava notizia della discesa dei Galli in italia e della presa della città; Ieronimo di Cardia nel racconto sulle spedizioni di Pirro in italia, presenta sinteticamente le origini di Roma. Brevi accenni a Roma, che diventerà centrale nella storiografia d’Occidente (tra gli storici che si concentrano sull’occidente ricordiamo Timeo). Filino di Agrigento: scrive una monografia sulla prima guerra punica, punto in cui si era ◦ conclusa l’opera di Timeo. Criticato da Polibio per il suo atteggiamento antiromano. Sileno di Calatte e Sosilo di Sparta: scrivono, dal punto di vista cartaginese, le vicende della ◦ II guerra punica di cui seguirono la spedizione. Ancora una volta è Polibio a criticare aspramente i due e un, altrimenti sconosciuto, Cherea: considera le loro opere non opere storiche, ma chiacchiere. Tuttavia, il ritrovamento di un papiro, attribuibile a Sosilo, che riporta la descrizione di una complessa manovra manuale, fanno rivalutare le qualità storiche dell’autore. ——-storici di origine romana che scrissero in greco.le figure più rappresentative: Fabio Pittore: membro di una delle più importanti famiglie patrizie romane, visse la II guerra ◦ punica e, dopo la disfatta di Canne, fu uno degli ambasciatori inviati a Delfi per consultare l’oracolo. La sua Storia di Roma iniziava dalla fuga di Enea da Troia fino al presente. Utilizza fonti precedenti (es Filino e forse Timeo); tradizione orale romana, ma anche documentazione pubblica (annales dei pontifici) e privata 8archibi familiari dei Fabii). Trattazione non uniforme, ma più ampia per la parte mitica e per la storia recente. Fabio fornisce un’immagine positiva della politica romana, che esclude un atteggiamento imperialistico a favore di una condotta difensiva. L’opera di Fabio, a seguito delle posizioni assunte da Filino, vuole riproporre un immagine positiva di Roma e vuole trasmettere culture e tradizioni al pubblico greco. Cincio Alimento: contemporaneo di Fabio Pittore, visse durate la seconda guerra punica. ◦ Figura politica di primo piano, venne inviato come pretore in Sicilia e partecipò all’assedio di Locri. Ci informa di essere stato prigioniero dei cartaginesi e afferma che ciò gli permise di colloquiare direttamente con Annibale. La sua opera, pubblicata dop la fine della guerra, seguiva il modello di Fabio Pittore, affrontando lo stesso arco cronologico; sono presenti alcune differenze significative, come la diversa data della fondazione di Roma. -POLIBIO DI MEGALOPOLI- Vita Vita e opere sono strettamente legate alle vicende storiche e ai mutamenti che stava vivendo la Grecia sul finire del III sec e nel corso del II. Città natale di Polibio è Megalopoli, antica capitale della lega arcadica, sorta dopo la battaglia di Leuttra nel 371. Polibio nasce nel 205, quando la città da tempo era diventata parte della lega achea. —-il III sec era caratterizzato dalle lotte tra diadochi per il consolidamento dei propri domini; ciò aveva visto il progressivo affermarsi di popoli rimasti, fino a quel momento, ai margini della vita politica greca. Achei ed Etoli, riuniti nei rispettivi koinà a base etnica, approfittarono della debolezza di Atene e Sparta e dei conflitti tra Macedonia e l’Egitto tolemaico per estendere il loro potere. —agli inizi del II sec la figura di maggior spicco nella lega achea era Filopemene, diplomatico, che guidò le sorti nella difficile fase dei primi contatti e poi dell’alleanza con Roma. Il padre di Polibio, più volte stratego, era amico di Filopemene e, alla morte di questo, fu Polibio a portare le sue ceneri a Megalopoli. Polibio crebbe all’interno delle èlites politiche della confederazione e seguì le orme paterne: fu ipparco, capo della cavalleria, durante la III guerra macedonica, che vide la vittoria dei romani su Perseo. Il comportamento di Polibio lo portò ad essere deportato in Italia, con altre figure della lega: lo storico condivideva la stessa linea politica di Filopemene, la “resistenza passiva”, che pur nella fedeltà di fondo a Roma, sosteneva e difendeva l’autonomia degli stati greci. La permanenza a Roma segnarono una nuova fase nella vita di Polibio : fu accolto nel circolo degli Scipiomi e si legò a Scipione Emiliano, figlio di Emilio Paolo, vincitore di Pidna; la frequentazione dei più alti ambienti politici della capitale gli permisero di osservare dall’interno il pensiero e i costumi del mondo romano; potè compiere, anche, viaggi in Spagna, Gallia, Nordafrica, ancor prima della revoca del bando che stabiliva la sua condizione di ostaggio. In Nordafrica fu durante la III guerra punica insieme a Scipione, che lo volle con sè fino alla distruzione di Cartagine, dopo la quale, quasi in contemporanea alla distruzione di Corinto, Polibio tornò in patria, dove collaborò per ristabilire ordine e pace sul territorio. Grazie alla sua influenza ottenne una certa mitezza dai suoi concittadini e, alla partenza dei legati, ricevette l’incarico di dare attuazione pratica al piano di pace sul territorio. —in segno di apprezzamento gli vennero dedicate diverse statue in varie città greche. È probabile che fu ancora al fianco di Scipione Emiliano nel 133, quando questo, console per la seconda volta, conduceva lassedio a Numanzia. Secondo uno Pseudo-Luciano, mori a 82 anni, dopo una caduta da cavallo. Le opere Nelle sue Storie Polibio ci informa dell’esistenza di un’opera giovanile:uno scritto encomiastico, in 3 libri, sulla vita e sulle imprese di Filopemene. —l’opera è andata perduta, ma fu la fonte principale della Vita di Filopemene di Plutarco. Nel IX 20 delle Storie, Polibio ricorda uno scritto sulla tattica, Taktikà, e altre due opere, Sull’abitabilità della zona equatoriale, menzionato da Gemino e una monografia Sulla guerra di Numanzia, di cui parla Cicerone. L’opera principale, il lavoro della maturità sono le Storie: di 40 libri, una delle trattazioni più ampie nel panorama storiografico greco, solo i primi 5 si sono conservati, degli altri abbiamo solo frammenti, per alcuni dei quali ci sono problemi di collocazione. Struttura: Proemio (I 1-15), contiene le indicazioni programmatiche. Polibio annuncia di voler raccontare • l’ascesa di Roma, coprendo un periodo compreso fra la CXL (140) Olimpiade e il 168,anno della vittoria romana a Pidna contro Perseo. Polibio si riallaccia consapevolmente all’opera, per noi perduta, di Arato di Sicione, ma non per motivi di continuità, ma per ragioni di ordine storico: questa scelta è dovuta al fatto che fino a quel momento gli eventi erano stati narrati in modo frammentario, senza unità e localmente divisi. In seguito, le vicende dell’Italia e della Libia si sono legate a quelle della Grecia e dell’Asia. È per spiegare questa connessione e con quali premesse e Apodeiktikè (apodittica, dimostrativa), si riferisce al modo in cui lo storico intende sviluppare il • racconto storico, concepito come trattazione di fatti ampia ed esaustiva, che, nella ricerca e analisi delle causa, talvolta, assume l’andamento di una vera e propria dimostrazione. Tratto tipico di questo modo di narrare gli eventi è lui del metodo comparativo: applicato ad ampio raggio a luoghi, figure politiche, regimi politici o strumenti militari; un metodo che permette di raccordare tra loro fati che si svolgono in parti diverse del metiderrano, costituendo un aspetto fondamentale della storiografia universale. Polibio stesso riassume, anche, in 3 punti i fattori su cui si basa la storiografia pragmatica: Esame e confronto delle testimonianze, finalizzar all’indagine delle cause1. Accurata conoscenza dei luoghi2. Pratica della vita politica3. La ricerca delle cause occupa un ruolo centrale nella concezione polibiana, ma i risultati raggiunti nella sua indagine, cioè la sua capacita di intendere i fenomeni storici stessi, vengono ritenuti insoddisfacenti dalla critica moderna. Nel suo pensiero, Polibio ritiene che le cause prossime di un conflitto si identifichino spesso con il percorso mentale e le scelte politiche di uno o più protagonisti e quelle remote con isolati episodi della storia passata. Solo in alcuni casi lo storico si rivela in grado di cogliere e valutare i complessi fattori economici, sociali, religiosi e psicologici che potrebbero essere all’origine di una guerra. Per quanto riguarda le fonti di cui Polibio si avvale per la sua ricerca, un poto privilegiato va assegnato all’autopsia, all’osservazione diretta: concezione limitante, ma ben radicata nella tradizione storiografica greca. Polibio va, però, oltre, ponendo un’altra condizione: l’ empeirìa, l’esperienza, condizione necessaria per valutare i fatti, di comprendere la loro importanza, il semplice essere testimoni non è sufficiente. Il vero storico è colui che ha esperienza diretta e personale della vita politica, perché attraverso la vita attiva ottiene un atteggiamento etico dinanzi alla verità, che permette di scrivere la storia, che per Polibio non è un fatto di pura tecnica. Questa concezione ha radici profonde nel pensiero storico greci e spiega, in parte, la polemica di Polibio contro intellettuali ellenistici e lontani dalla vita pratica, fra cui Timeo di Tauromenio. —l’atteggiamento ostile verso il siceliota ha sicuramente altre ragioni, che vanno dalla diversa concezione metodologica alla gelosia verso quello che veniva considerato il più autorevole storico dell’Occidente, all’opposizione per le tematiche scelte (per Polibio è incomprensibile la scelta di una storia incentrata sulla Sicilia e sull’occidente in generale). Tornando alle fonti polibiane, lo storico aveva accesso agli archivi della lega achea e di Roma,ma va affermandosi l’idea che si servisse in larga parte di annotazioni proprie o altrui e che dopo il 167 avesse fatto ricorso alle informazioni di altri esuli, di ambasciatori provenienti dal mondo greco e di politici romani, soprattutto del circolo scipionico, da cui roterebbero le informazioni riguardanti riunioni e udienze del senato. Complesso è, invece, il problema delle fonti storiche. Per quanto riguarda la storia romana, si pensa che lo storico abbia fatto uso delle opere di Filino e di Fabio Pittore, ma soprattutto si pensa che possano aver influito le simpatie personali e gli orientamenti politici della cerchia degli Scipioni sulle valutazioni dei personaggi storici. Per l’Oriente greco Polibio attinse, certamente, ad Arato e Filarco, ma è difficile distinguere i diversi contributi, a causa della sicura parzialità polibiana nel trattare alcune vicende: es la presentazione della figura e dell’attività riformatrice di Cleomene di Sparta; ostilità verso Nabide; verso i governanti achei che determinarono la rivolta finale contro Roma; verso gli Etoli. A questo proposito è nato un acceso dibattito a seguito del ritrovamento di un’iscrizione che riporta il trattato romano-etolico del 212, utilizzato per attestare l’attendibilità di Polibio, ma con esiti differenti. Per quanto riguarda il VI libro e la teoria delle costituzioni, la critica, più che l’uso di fonti indirette, individua l’influsso di varie correnti di pensiero, che riconducono a Platone e ad Aristotele; correnti su cui si innestano, tuttavia, le diverse convinzioni comuni e l’esperienza personale dello storico. Nell’opera, finalizzata alla formazione degli uomini politici, posto di rilievo è occupato dalle conoscenze geografiche e topografiche. Lo storico si era reso conto del loro valore durante i suoi viaggi e sulla scorta delle personali esperienze maturate sui vampi di battaglia. Questa consapevolezza viene messa in evidenza nei diversi excursus: descrizione dell’Italia in II 14-17; dell’Arcadia in IV 20-21; della regione del mar Nero in IV 38-44… La geografia non occupa un posto autonomo nella riflessione polibiana, ma anch’essa ha finalità pratiche. Per quanto riguarda la religione, lo storico non assume un atteggiamento univoco, inclusi si mescolano rispetto per i culti tradizionali e visioni più strettamente utilitaristiche; non manca un senso religioso, ma presenta forti aperture razionalistiche: lo storico assume un atteggiamento ibrido che riflette il pensiero del suo tempo e, forse più direttamente, l’atmosfera della cerchia scipionica. Il ruolo del destino, della tyche, nella storia è condizionato dalla duplice visione di Polibio: la visione di una fortuna-potenza divina; la visione di una fortuna-caso; nell’indagine dello storico è senza dubbio la seconda vizio e a trovare spazio maggiore. Coerente con la concezione utilitaristica della storiografia è la scelta dello stile. L’opera che, in primo luogo, mira ad istruire e che si basa su un rigoroso metodo d’analisi dei fatti e delle loro relazioni causali, lasca poco spazio alla cura della forma e degli aspetti dedicati all’intrattenimento e al piacere della lettura. Polibio è consapevole di ciò, per questo difende la sua scelta, attaccando, invece la “storiografia tragica” di Filarco, il quale, pur di colpire e meravigliare il lettore, mescola alla narrazione storica immagini ed effetti appartenenti alle rappresentazioni tragiche. La lingua di Polibio è la koinè, il greco palato in tutto il bacino del mediterraneo in età ellenistica, che lo storico utilizza in uno stile piano, poco elaborato, a tratti vicino al linguaggio amministrativo e cancelleresco not da papiri e iscrizioni. Gli antichi non hanno mancato di sottolineare la poca eleganza e la povertà del linguaggio polibiano; mentre i moderni hanno sottolineato come lo sforzo di chiarezza sfoci spesso nella pedanteria. Uno storico fra la Grecia e Roma L’immagine di Roma entrò nella vita di Polibio ancor prima della sua permanenza come ostaggio nella capitale; le famiglie politicamente influenti della lega achea dibattevano spesso sui rapporti con l’asse dente potenza occidentale. È certo, però, che il soggiorno a Roma e soprattutto la vicinanza al circolo degli Scipioni aprirono allo storico una prospettiva differente e influirono molto sul suo pensiero. L’atteggiamento di Polibio nei confronti di Roma vede una prima fase di profonda ammirazione: messa in evidenza dalla dichiarazione pragmatica con cui si apre la sua spera e l’elogio della costituzione mista. Un atteggiamento che non indica un’adesione totale a Roma; Polibio rimane lucido nell’osservare gli eventi, riesce a cogliere la crisi che Roma inizia a sperimentare nel momento del suo maggiore successo e, gradualmente, il suo giudizio diviene sempre meno positivo, nel momento in cui diviene consapevole della brutalità di cui la repubblica era capace. L’approccio con cui lo storico si accosta al problema della grandezza di Roma e i concetti che ispirano giudizi sul comportamento dei romani rimangono fortemente greci. Ne sono indizio: La scelta della costituzione come parametro per i fenomeni storici• La valutazione dei possibili elementi di crisi interni alla costituzione romana come oggetto di • previsione storica Le deformazioni che si riscontrano nell’analisi della costituzione romana• Lo sguardo disincantato con cui lo storico osserva i rapporti tra Roma e Cartagine, concentrandosi • sugli aspetti concreti e utilitaristici della condotta delle parti, rispetto agli elementi ideologici, centrali nella storiografia latina contemporanea Il persistere di una visione dei rapporti inerstatali • Incapacità di cogliere il valore della politica antimacedone di Demostene e di comprendere il • coincidere degli interessi di Atene con quelli dell’intera Grecia, specchio di una visione autonomistica e particolaristica Questa unita di fondo che va a rafforzarsi con il distacco di Polibio da Roma, che vede un recupero del valore ideale delle tradizioni achee, costituisce un lamento unificatore del pensiero dello storico. Negli anni la critica polibiana non ha sempre espresso un giudizio positivo, gli studiosi hanno messo in luce i limiti dello storico: dal riconoscimento di modeste capacità di elaborazione teorica (es incapacità di rappresentare in modo originale l’esperienza politica greca); alle accuse di parzialità e inaffidabilità storica. Lacune ancora più visibili nel momento storico in cui operò Polibio e nelle finalità dell’opera. Al di là di questi limiti, non mancano dei meriti attribuiti allo storiche che fu in grado di comprendere la svolta storica che stava vivendo; allargarsi degli orizzonti politici ad occidente. Elementi a cui lo storico cerco di fornire chiavi di lettura, avviando cosi la riflessione moderna sui rapporti tra il mondo greco e quello romano.