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Sussidiarietà: un principio di buon governo, Guide, Progetti e Ricerche di Diritto Regionale

Analizza la radice etimologica del termine, le leggi fondamentali e la riforma del Titolo V giungendo ad un'applicazione di questo all'interno del nostro ordinamento.

Tipologia: Guide, Progetti e Ricerche

2018/2019

Caricato il 19/11/2019

OrnellaFA
OrnellaFA 🇮🇹

4.3

(14)

20 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Sussidiarietà: un principio di buon governo e più Guide, Progetti e Ricerche in PDF di Diritto Regionale solo su Docsity! 1 SUSSIDIARIETA’: UN PRINCIPIO DI BUON GOVERNO 1. Radice etimologica e definizione del principio di sussidiarietà Dal punto di vista etimologico, il termine sussidiarietà deriva dal latino “Subsidium”, termine che indica “soccorso” o anche “riserva”, spesso utilizzato con riferimento all’ambiente militare, tipicamente alle truppe di rinforzo, più precisamente i triari, lancieri veterani pronti ad entrare in battaglia nei momenti critici. All’interno del linguaggio italiano il termine sussidiarietà ha in parte mantenuto questa connotazione, individuando in senso materiale l’assistenza e l’aiuto, mentre nel linguaggio giuridico, il termine sussidiario è usato sia come aggettivo sia come avverbio, proprio per indicare qualcosa di accessorio o, e questo è il riferimento più usato in dottrina e nella legislazione, di suppletivo, affine ai concetti di supplementarietà o complementarietà. Indubbiamente il principio di sussidiarietà viene enunciato in termini astratti come principio di organizzazione sociale solamente in tempi piuttosto recenti. Tuttavia, il principio di sussidiarietà è stato richiamato e proposto, seppur non nella dizione che oggi utilizziamo, sin dalle epoche antiche; dal tempo dei greci la filosofia politica, inerente i problemi della polis, si è posta il problema del rapporto esistente tra polis, intesa come dimensione della vita pubblica, e oikos, intesa come organizzazione delegata alla cura degli interessi privati e tradizionalmente tributata di un largo grado di autonomia. Secondo taluni autori la nascita della sussidiarietà orizzontale è stata in qualche modo anticipata già da Aristotele che, criticando l’impianto fortemente “pubblicistico” di Platone, analizzò la struttura del potere allora presente valorizzando un ruolo suppletivo della città (πόλεις) nei confronti della famiglia (οἶκοι). Aristotele, pur riconoscendo in capo alla città l’attitudine a raggiungere la cosiddetta “Autarchia”, fu nettamente contrario all’attribuzione di compiti legati alla “vita di tutti i giorni” alle strutture di vertice, garantendo una sorta di autonomia o indipendenza per questa tipologia di affari alle comunità più prossime all’individuo: la famiglia, per l’appunto, e il villaggio. Lo Stato può e, anzi, deve esercitare le funzioni pubbliche riguardanti la difesa, l’ordine, la giustizia e le finanze, ma non può in alcun modo alterare quella sfera individuale riconosciuta al cittadino, in quanto “ciò che è presentato come il massimo bene delle città distrugge le città stesse in quanto tali” e si traduce in dispotismo. Egli, di fatto, considerava “l’individuo come il fulcro del sistema politico e per questo lo Stato, la polis, doveva agire in funzione del suo bene”. È, però, solo nel medioevo che si può assistere ad una maggiore apertura nei confronti dell’autonomia individuale, grazie agli studi di San Tommaso d’Aquino e alla concezione cristiana del concetto di 2 persona: Tommaso d’Aquino, partendo da una visione organicistica, dove la società è vista come un corpo umano in cui ogni uomo ne rappresenta una parte, perviene alla conclusione secondo cui ogni individuo nasca libero e padrone del proprio destino, persona prima che cittadino. Questa impronta attribuisce un rango primario alla dignità umana e collega ai pubblici poteri solo e soltanto il ruolo di mezzo attraverso cui sviluppare la personalità umana, non solo con l’astensione dal compimento di certe attività, ma anche per mezzo dello svolgimento positivo di alcune funzioni, al contrario della concezione Aristotelica. La filosofia tomista, mettendo al centro del proprio pensiero l’irriducibilità della persona umana, affermò che chi deteneva il potere politico era legittimato solo nella misura in cui avesse aiutato la persona nella realizzazione degli obiettivi che il singolo non era capace di svolgere autonomamente; il potere politico aveva il compito di correggere, solo se trova qualcosa in disordine; supplire se ci sono mancanze; perfezionare se qualcosa di meglio può essere fatto. Per San Tommaso, dunque, il principio di sussidiarietà deve essere concepito come elemento indispensabile alla concreta realizzazione del bene comune: è il risultato di una pluralità di apporti (da parte dei singoli, ma anche delle formazioni sociali e dei pubblici poteri) in un contesto non conflittuale nel cui ambito è offerta alla persona la possibilità di svilupparsi. 1.2. Le tre vie della sussidiarietà Il termine “sussidiarietà” è un termine nuovo ma, come visto, è un concetto molto antico giunto sino a noi attraverso tre filoni fondamentali:  la dottrina sociale della Chiesa, esplicitata soprattutto nell’Enciclica «Quadragesimo anno» del 1931;  il pensiero liberale;  la riflessione e l’elaborazione in materia di federalismo; Il principio di sussidiarietà è una delle basi su cui poggia la dottrina sociale della Chiesa; Come precedentemente osservato, l’attenzione per il rapporto tra i pubblici poteri e il cittadino era stata già analizzata in una prospettiva intimamente cattolica da Tommaso D’Aquino. Proprio partendo da queste considerazioni, alla fine dell’Ottocento, si sviluppò la teoria sociale Cattolica: la dottrina sociale della Chiesa fondava la sussidiarietà sul primato etico della persona rispetto allo Stato, il quale doveva lasciar sviluppare spontaneamente le articolazioni della società senza pretendere di assorbirle. Il tema da esso evocato era, quindi, quello dei limiti dell’azione legittima dello Stato. 5 a scapito dell’autonomia delle singole Nazioni. Da qui la scelta di prevedere finalmente in maniera esplicita la sussidiarietà, quale principio generale dell’intero ordinamento comunitario. Pare necessario sottolineare che, nel tempo, si è sviluppata un’opinione diffusa in dottrina secondo cui il “principio di sussidiarietà sia da tempo presente nel tessuto normativo dei Trattati e corollario logico indefettibile del principio delle competenze di attribuzione”, anche prima dell’esplicita menzione ad opera del Trattato di Maastricht. Prima di questo, infatti, il Consiglio Europeo al summit di Parigi nel 1974 aveva incaricato la Commissione di redigere un Rapporto sull’Unione Europea, altresì detto Rapporto Tindemans, in cui si prestò molta attenzione al tema della sussidiarietà verticale. Sempre nello stesso periodo, fu la Commissione Europea ad incaricare ad un gruppo di economisti lo studio sulla compatibilità finanziaria dei sistemi federali, in particolar modo studiando il riparto di competenze tra lo Stato centrale e gli stati periferici. Ciò che emerse dal Rapporto c.d. Mcdougall fu il riconoscimento del principio di sussidiarietà quale unico criterio utile per la suddivisione verticale dei poteri tra i diversi livelli di governo nel processo di integrazione dell’Unione Europea. Riferimenti impliciti al principio di sussidiarietà si possono rinvenire anche nell’articolo 5 del Trattato Ceca (ex art. 3B) che richiama la sussidiarietà come principio regolatore dei rapporti tra Unione e Stati membri: “La comunità agisce nei limiti delle competenze che le sono conferite e degli obiettivi che le sono assegnati dal Trattato. Nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità interviene, secondo il principio della sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possano essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell’azione in questione, possano essere realizzati meglio a livello comunitario. L’azione della Comunità non va al di là di quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi del presente Trattato”. L’idea venne ripresa dal Consiglio europeo di Edimburgo del dicembre 1992 che definì la cornice generale nella quale il principio di sussidiarietà doveva trovare applicazione (principi fondamentali, orientamenti e procedure). Proprio per consolidare tale principio, essenziale per il buon funzionamento dell’UE, al trattato che istituisce la Comunità europea è stato allegato un apposito protocollo. «Il Protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità» codifica gli indirizzi di Edimburgo e attribuisce loro forza obbligatoria: 1. La sussidiarietà è un concetto dinamico che consente di variare il livello al quale è più opportuno agire in funzione delle circostanze; 2. Ogni proposta di atto legislativo deve essere accompagnata da una dichiarazione sulle sue conseguenze in relazione al principio di sussidiarietà; 6 3. La forma dell’azione comunitaria dovrà essere la meno vincolante possibile, compatibilmente con un soddisfacente conseguimento dell’obiettivo voluto; 4. Il principio di sussidiarietà non rimette in questione le competenze conferite alla Comunità dal Trattato, quali interpretate dalla Corte di Giustizia dell’UE. 1.5. Il principio di sussidiarietà nell’ordinamento italiano Il principio di sussidiarietà è entrato a far parte dell'ordinamento giuridico italiano attraverso il diritto comunitario, onde essere poi implementato in forme sempre più estensive sino al punto di essere direttamente incorporato nella Costituzione della Repubblica Italiana a partire dal 2001. Tra i vari ambiti in cui può operare il principio, ne è evidente l'applicazione in Italia nell'ambito del servizio sanitario nazionale (ove cliniche private svolgono in regime di convenzione funzioni di ospedali pubblici con l'intero rimborso dei costi). Meno applicato è nell’ambito dell'istruzione pubblica, ove le scuole private ricevono solo un contributo da enti pubblici (prevalentemente le regioni), soprattutto nel caso delle scuole materne. Nel caso invece del soccorso pubblico in caso di calamità, viene lasciato ad associazioni private libertà di intervento (senza contributi pubblici), sia pure sotto il coordinamento dei servizi pubblici di protezione civile. L’ordinamento amministrativo italiano, tuttavia, è profondamente mutato nel corso dell’ormai lungo periodo di vigenza della Carta repubblicana. Va peraltro detto che già la stessa Costituzione repubblicana, fin dalla sua entrata in vigore il 1° gennaio del 1948, implicava profonde innovazioni rispetto all’ordinamento precedente, nel quale vigeva il cosiddetto principio del parallelismo, in virtù del quale spettavano allo Stato e alle Regioni la potestà amministrativa in tutte quelle materie nelle quali esercitavano la potestà legislativa (ex art 117 Cost.). Esso, infatti, prevedeva comunque l’esistenza di Regioni dotate di un proprio potere legislativo e di proprie competenze amministrative e dava a Comuni, Province e enti locali, una forte copertura costituzionale che si estendeva fino a garantire ad essa, tramite l’intervento del legislatore, una sfera di competenze “protetta” anche verso la possibile pervasiva penetrazione delle Regioni. Da questo punto di vista, la ribadita centralità del legislatore statale e dell’amministrazione statale veniva comunque ad essere collocata in un quadro in cui il potere legislativo era pur sempre condiviso con le Regioni, titolari anch’esse di tale potere, sia pure nei limiti e con le restrizioni allora vigenti. L’amministrazione, d’altro canto, pur restando incentrata sullo Stato dal punto di vista della competenza generale, veniva ora ad essere costituzionalmente incardinata anche sugli enti (e quindi sui governi e gli apparati) regionali e sul sistema degli enti territoriali. 7 Tutto questo non poteva non avere influenze e conseguenza anche molto forti sul sistema italiano. Conseguenze che sembravano imporre con tutta evidenza anche un ripensamento profondo del sistema legislativo e soprattutto del sistema amministrativo che aveva caratterizzato fino ad allora la costruzione dell’Italia unita come Stato accentrato e centralizzato. Uno Stato che si era costruito in forma fortemente accentrata anche per corrispondere alle esigenze specifiche e particolari, legate al nostro processo storico di unificazione nazionale. Una linea centralistica, questa, che aveva poi trovato durante il periodo del regime fascista un suo ulteriore rafforzamento e consolidamento anche ideologicamente orientato. Per un altro verso poi, e collocandosi in una prospettiva più ampia, non va neppure dimenticato che del nuovo quadro costituzionale la spinta all’innovazione e, in un certo senso, anche al ripensamento del ruolo dello Stato sia come legislatore che come amministrazione è stato fin dall’inizio legato anche alle nuove, e forti, caratteristiche di una Costituzione fortemente ispirata a valori di solidarietà e a una linea di intervento statale e pubblico finalizzato ad assicurare “azioni positive” e “forti trasformazioni” nella società italiana. Il forte e netto orientamento, chiarissimo in Costituzione, ad assicurare a tutti di poter usufruire dei servizi essenziali e la protezione positiva dei diritti sociali non poteva non incidere anche su un ripensamento profondo del ruolo del potere pubblico e del suo modo di riorganizzarsi. Il processo di attuazione della Costituzione e, il connesso processo di riforma dell’amministrazione e di costruzione di un ordinamento pluralista profondamente radicato nel rafforzamento del sistema regionale e locale contenuto nelle nuove previsioni costituzionali, è stato tuttavia molto lento. Vi sono molte diverse ragioni che spiegano perché, eccezion fatta per quanto riguarda le Regioni a statuto speciale (la cui istituzione è legata a specifiche e particolarmente rilevanti ragioni storico- politiche), l’attuazione dell’ordinamento regionale è stata rinviata fino al 1970. La nostra costituzione alla ottava disposizione transitoria e finale prevedeva che entro 1 anno dall’entrata in vigore della Costituzione lo Stato trasferisse alle Regioni quelle funzioni amministrative che fino ad allora erano state accentrate nella burocrazia statale, in particolare quelle funzioni amministrative che fino ad allora erano state esercitate dai ministeri. Tuttavia tale termine è stato del tutto ignorato: le nostre Regioni a statuto ordinario, infatti, sono state istituito nel 70, e quindi è a partire da questo momento che lo Stato ha dovuto avviare quel processo di decentramento amministrativo secondo quanto previsto dalla Costituzione. Pertanto, l’istituzione delle Regioni diede comunque una spinta rilevante all’avvio di un processo di riforma e di trasformazione del sistema costituzionale e amministrativo del Paese. Quello che successivamente fu definito come il “primo decentramento” avvenne dunque in un’ottica ancora fortemente centralistica e sulla scia di una sostanziale diffidenza per l’innovazione 10 Questo è il principio di SUSSIDIARIETA’ VERTICALE che è un criterio di distribuzione di tutte le funzioni amministrative. La legge Bassanini ha affiancato altri criteri come quello della DIFFERENZIAZIONE, significa che ad ogni ente territoriale sono trasferite le funzioni amministrative più consone alla sua situazione territoriale, organizzativa, ma anche alle sue caratteristiche demografiche, sociali, ed al suo assetto organizzativo. Al criterio della differenziazione si aggancia anche il criterio dell’ADEGUATEZZA, cioè l’ente territoriale che riceve una determinata funzione amministrativa deve avere le risorse di carattere sia amministrativo, sia finanziario, sia umane, necessarie per lo svolgimento di quella funzione. A questi criteri si aggancia quello della COMPLETEZZA, ovvero a livello di governo superiore si collocheranno quelle funzioni amministrative che non si possono decentrare ulteriormente verso il basso. Le Regioni, quindi, saranno titolari di quelle funzioni che non potranno essere attribuite agli enti territoriali minori e allo stesso modo lo Stato resterà titolare di quelle funzioni amministrative che richiedono un esercizio unitario da parte dell’amministrazione statale e che non possono essere decentrate né a livello regionale né presso gli altri enti territoriali. La Bassanini ha introdotto anche il principio della RESPONSABILITA’: rendere l’amministrazione, che è destinataria della funzione amministrativa, responsabile delle modalità e dei risultati prodotti attraverso l’esercizio di quella funzione amministrativa. Uno dei decreti legislativi che ha dato attuazione alla legge Bassanini, il decreto legislativo 112/1998, ha previsto anche un meccanismo sanzionatorio nel caso in cui l’ente territoriale che è titolare di una funzione amministrativa sia inadempiente nell’esercizio di quella funzione amministrativa. Il decreto legislativo 112/98 ha quindi previsto il meccanismo del potere sostitutivo (art. 120 Cost.) per consentire allo Stato e in particolare al Governo statale di sostituirsi alla Regione o ad un altro ente territoriale che risulti inerte o inadempiente rispetto all’esercizio di una funzione amministrativa di cui l’ente territoriale è titolare. Il potere sostitutivo è un potere ibrido che ha da un lato degli elementi di controllo e sanzionatori, dall’altro anche degli elementi di coordinamento e garanzia rispetto all’esercizio di funzioni fondamentali, questo perché il potere sostitutivo è un potere che viene esercitato solo per garantire delle finalità di carattere unitario e delle finalità che hanno un rilievo di carattere costituzionale. Quando è stato introdotto dalla legge Bassanini, la Corte Costituzionale si è preoccupata di trovare un fondamento costituzionale di questo potere, trovare cioè una legittimazione nella Costituzione di questo potere, questo perché si tratta di un potere gravoso proprio perché costituisce un’ingerenza 11 pesante nell’autonomia delle Regioni o degli enti locali, prevedendo la sostituzione del Governo nell’esercizio di una funzione che appartiene o alle Regioni o all’ente locale. La Corte ha invidiato un fondamento costituzionale nell’art 5 Cost. L’art. 5 è quel principio costituzionale che sancisce il riconoscimento delle autonomie territoriali, questa norma afferma che la Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie territoriali. L’unità e l’indivisibilità della Repubblica rappresenta un limite al riconoscimento delle autonomie territoriali, nel senso che la promozione e il riconoscimento delle autonomie territoriali non potrebbe mai andare a compromettere l’unità e l’indivisibilità del nostro Stato. La Corte Costituzionale ha quindi giustificato, sulla base dell’art. 5, il potere sostitutivo dello Stato intendendolo nella sua configurazione di garanzia di tutti gli interessi che vanno a mantenere l’unità giuridica ed economica dello Stato. Il potere sostitutivo, quindi, non è solo un fondamento di carattere sanzionatorio. La Corte Costituzionale ha specificato anche le condizioni sia di carattere sostanziale sia di carattere procedurale sulla base delle quali il potere sostitutivo può essere esercitato: la prima condizione è che il potere sostitutivo abbia carattere provvisorio, non deve cioè trattarsi di una espropriazione di una funzione amministrativa nei confronti dell’ente verso il quale è esercitato, ma deve avere carattere provvisorio quindi natura temporanea per risolvere una specifica situazione di emergenza e di inadempimento dell’ente territoriale nell’attesa che l’ente territoriale riprenda l’esercizio di quella funzione. Infatti, l’art. 120 Cost. al comma 2 prevede il potere dello Stato di sostituirsi alle Regioni o ad altri enti territoriali nell’esercizio di una funzione amministrativa solo per specifiche situazioni che sono tassativamente indicate dal citato articolo al di fuori delle quali non è possibile un esercizio in via sostitutiva da parte dello Stato. Lo Stato può agire in via sostitutiva quando si tratti di dare adempimento ad obblighi di carattere internazionale o derivanti dall’ordinamento dell’UE, quando vi sia un pericolo per la sicurezza e l’incolumità pubblica, quando sia necessario garantire l’unità giuridica ed economica dello Stato e quando sia necessario per garantire i livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali. Prima che il Governo possa sostituirsi l’ente territoriale deve essere diffidato ad adempiere, ovvero deve essere intimato per spronarlo all’esercizio di quella funzione ed insieme all’intimazione viene assegnato un termine entro il quale l’ente territoriale viene chiamato a svolgere la funzione amministrativa; solo nel caso in cui alla scadenza del termine l’ente territoriale sia ancora inadempiente il Governo può agire in via sostitutiva. 12 Altra condizione è che l’ente sostituito sia comunque coinvolto nella definizione della funzione amministrativa che viene esercitata dal governo in modo tale da non escludere l’ente territoriale dall’esercizio di quella funzione. La sostituzione viene poi deliberata dal Consiglio dei Ministri e può avvenire o attraverso l’intervento diretto del Governo oppure attraverso la nomina di un commissario ad acta. In conclusione, è possibile affermare che l’attività di riforma delineata nella l. n. 59 del 1997 ha avuto come obiettivo ridefinire i rapporti e la distribuzione delle competenze fra lo Stato, le Regioni e il sistema delle autonomie locali, completando le riforme amministrative di struttura già avviate durante il decennio precedente. Si è trattato infine di un processo estremamente articolato e complesso, che ha prodotto un numero molto elevato di decreti delegati e che ha riguardato pressoché tutti i settori della P.A. Se è vero, dunque, che quel processo riformatore si è caratterizzato fin dall’inizio per il fatto di voler fare una spinta forte nella direzione di una più solida articolazione policentrica del sistema amministrativo italiano, è vero anche che esso si è posto fin dall’inizio un obiettivo massimamente ambizioso: quello di riformare l’intera amministrazione italiana, passando in modo organico, e tendenzialmente generalizzato, dal modello di un’amministrazione tutta centralistica quale quella introdotta in periodo cavourriano, in preparazione e in accompagnamento del processo di unificazione dell’Italia, a un’amministrazione tutta fondata su una forte articolazione pluralistica e su un robusto sistema di amministrazioni policentriche, collegate alle Regioni e a un sistema di enti territoriali politicamente rappresentativo e strutturalmente dotato di ampie competenze e poteri. 15 amministrativa (118 Cost.) e finanziaria (119 Cost.). Infine, possono esprimere orientamenti politici propri, cioè diversi da quelli centrali in quanto sono anche dotati di autonomia politica. Articolo 117 Costituzione “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie (…)Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: (..) Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato. Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato. (…)La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia. I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite. Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive. La legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il migliore esercizio delle proprie funzioni, anche con individuazione di organi comuni. Nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato.” Per quanto concerne il nuovo art. 117 Cost., esso si occupa principalmente della potestà legislativa: se prima della riforma indicava quali fossero le materie in cui le Regioni potevano legiferare, comunque nel rispetto sia dei principi di cui alla legge nazionale sia dell'interesse statale e delle altre Regioni, oggi l’articolo in questione indica tassativamente le materie di competenza esclusiva statale e concorrente mentre ognuna che non vi rientri spetta alla potestà regionale. Con la riforma del 2001 il legislatore ha accomunato sotto i medesimi limiti tanto la potestà legislativa statale che quella regionale. Quest'ultima, però, è soggetta anche ad un vincolo di tipo geografico: ciascuna Regione, infatti, non può che legiferare per il proprio territorio. Entrambi Stato e Regione, invece, sono tenuti al rispetto tanto del diritto comunitario che di quello internazionale. Due tesi sorgono nella Commissione nel momento di attuazione della riforma del titolo V della Costituzione. Una di esse vorrebbe attribuire alla Regione una potestà legislativa soltanto 16 d'integrazione ed attuazione dei principî e delle norme delle leggi dello Stato, per adattarle ai bisogni locali; ciò per far fronte ad un'esigenza dello stesso procedimento legislativo in generale. Inoltre, sorge la necessità che il passaggio di servizi alla Regione fosse moderato e graduale. La soluzione che è prevalsa, e che si è spinta più avanti perché l'autonomia sia «vera ed efficace», attribuisce alle Regioni facoltà legislative più ampie, in una scala che va da una sfera di materie di competenza diretta ed esclusiva delle leggi regionali, ad un'altra di competenza concorrente e suppletiva, perché anche lo Stato vi può, quando crede, legiferare, ed infine alla sfera d'integrazione e di applicazione delle leggi statali, ove tutti sono d'accordo. Si è sottolineato che le materie riservate alla facoltà di legislazione esclusiva o concorrente sono in realtà di misurata importanza e non incidono nel tessuto connettivo dell'unità economica ed amministrativa dello Stato. La stessa competenza che si chiama esclusiva risulta incontrare diversi limiti. Le leggi della Regione non possono essere in contrasto «con i principî generali dell'ordinamento dello Stato, con gli obblighi internazionali, con gli interessi della nazione e delle altre Regioni». 2.2. Il nuovo articolo 118, Cost.: introduzione del principio di sussidiarietà orizzontale Ulteriore norma di fondamentale importanza, introdotta sempre con la riforma del Titolo V, è il nuovo art. 118 Cost., che definisce le competenze amministrative, introducendo il principio di sussidiarietà come criterio dell’allocazione delle competenze tra Stato ed enti locali: “1. Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città Metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. 2. I Comuni, le Province e le Città Metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze. 3. La legge statale disciplina le forme di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie di cui alle lettere b) e h) del secondo comma dell’art.117, e disciplina inoltre forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali. 4. Stato, Regioni, Città Metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà» Prima della riforma le funzioni amministrative venivano conferite sulla base del principio del parallelismo: chi deteneva la funzione legislativa in una data materia deteneva anche quella amministrativa. Ora, invece, l’attribuzione delle funzioni amministrative avviene in base al principio di sussidiarietà verticale, cioè attribuendole, prima di tutto, ai Comuni quali enti più vicini ai cittadini 17 e, via via, ai livelli di governo più lontani se questo si rende necessario per un loro esercizio unitario. Il principio di sussidiarietà verticale è il criterio ispiratore della legislazione statale e regionale, nella individuazione delle competenze dello Stato e degli enti locali: la regola è l’allocazione delle competenze all’ente locale più vicino ai cittadini (il Comune) e meglio in grado di esercitare la competenza, ma la competenza viene radicata in capo ad un ente di maggiori dimensioni, se occorre soddisfare interessi più ampi ed esigenze di carattere unitario. L’esigenza di carattere unitario giustifica l’intestazione di una competenza in capo allo Stato o alla Regione. Inoltre, più volte il principio di sussidiarietà verticale ha costituito parametro di verifica della legittimità costituzionale delle leggi statali e regionali. Ed è proprio nell’ultimo comma di tale articolo che il principio di “sussidiarietà orizzontale” trova la sua compiuta formulazione che consente l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale: “ Stato, Regioni, città metropolitane, Province e Comuni favoriscano l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli ed associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale”. La modifica costituzionale operata con la l. n. 3 del 2001 ha radicalmente mutato i criteri di distribuzione ed esercizio delle funzioni amministrative, a livello regionale e locale, è affermazione che non può essere revocata in dubbio, atteso il carattere profondo dei mutamenti che essa ha comportato. Innanzitutto, è stato abbandonato il principio del parallelismo tra funzioni legislative e funzioni amministrative della Regione, sostituito dal criterio della sussidiarietà (verticale). In base all’attuale formulazione dell’art. 118 Cost., peraltro non toccato, in questa prima parte, dal disegno di riforma costituzionale recentemente approvato alla Camera, le funzioni amministrative sono di regola svolte a livello comunale, salvo che, “per assicurarne l’esercizio unitario”, siano conferite ai livelli superiori fino allo Stato. In realtà, il comma 1 dell’art. 118 della Costituzione menziona altri due criteri-guida nel conferimento di funzioni ad enti superiori, i principi di differenziazione ed adeguatezza (e, per alcuni, anche un quarto principio, di preferenza per l’amministrazione comunale). Con essi sembra volersi fare riferimento alla necessità di tener conto, nella riallocazione delle funzioni secondo il principio di sussidiarietà, della idoneità della prescelta dimensione territoriale ad assicurare un efficace svolgimento delle funzioni assegnate, in considerazione delle diversità esistenti tra i vari enti, anche dello stesso livello, delle diverse capacità di governo, dell’entità delle risorse disponibili, delle dimensioni organizzative, anche in una prospettiva di associazionismo tra enti, etc. 20 dalle quali siano previsti possibili vantaggi fiscali per i cittadini o le formazioni sociali che svolgono attività di interesse generale. Il testo recentemente approvato alla Camera menziona, infine, i c.d. enti di autonomia funzionale, ossia quegli enti pubblici che svolgono attività di interesse generale, di carattere non territoriale e privi di substrato sociale. Anche di essi è riconosciuta e favorita l’iniziativa per le medesime attività e sulla base del principio di sussidiarietà. Il loro riconoscimento in tale sede finisce, tuttavia, per provocare una contaminazione, da un lato, del concetto di sussidiarietà verticale, poiché vengono messi sullo stesso piano enti territoriali esponenziali di comunità di riferimento ed enti istituiti dallo Stato al fine di assolvere a determinate funzioni, dall’altro, del concetto di sussidiarietà orizzontale, riguardando questa il rapporto tra pubblico e privato e non tra enti territoriali ed altri enti pubblici. L’art. 118, riconosce l’autonomia delle aggregazioni di piccoli comuni e di comuni situati nelle zone montane, parificati da questo punto di vista ai Comuni, e stabilisce l’obbligo per lo Stato di favorirne l’aggregazione. L’impressione complessiva che si trae dalla lettura della nuova formulazione dell’art. 118 nel testo riformato recentemente approvato alla Camera è che, da un punto di vista sostanziale, nulla sia innovato rispetto ai principi già posti alla base dell’esercizio delle funzioni amministrative dalle leggi “Bassanini” e dalla riforma costituzionale del 2001. Si prosegue, dunque, sulla strada intrapresa negli anni 90, caratterizzata da un rafforzamento dell’autonomia amministrativa degli enti territoriali, in cui oggi un ruolo centrale è giocato, per effetto della costituzionalizzazione del principio di sussidiarietà, dal Comune, in perfetta corrispondenza, peraltro, con la storia e la tradizione di tale ente nel nostro Paese, da sempre sentito come l’istituzione più vicina al cittadino. Sicuramente importante è la costituzionalizzazione del principio di sussidiarietà orizzontale, soprattutto ove la si interpretasse nel senso che essa fonda un obbligo per gli enti territoriali di valorizzarne le espressioni territoriali. Il disegno di legge approvato recentemente alla Camera apporta, attraverso la previsione di forme di collaborazione tra Stato, Regioni ed Enti locali, di eventuali agevolazioni fiscali per i privati e attraverso il riconoscimento degli enti di autonomia funzionale, dei piccoli aggiustamenti la cui effettiva portata è, allo stato, difficile prevedere. Analisi testuale del dettato costituzionale dell’art 118  “Stato, regioni, città metropolitane, province e comuni favoriscono” Primo e fondamentale termine dell’art. 118 Cost. è rappresentato dalla locuzione “favoriscono”; significa che, se i cittadini si attivano per la cura dell’interesse generale, le pubbliche 21 amministrazioni hanno l’obbligo di aiutarli, rivestendo un ruolo attivo e di promozione (testualmente infatti la norma dice che lo Stato “favorisce”, non “può favorire”). Questo concetto attribuisce alle amministrazioni le funzioni pubbliche, delle quali assumono la titolarità e la competenza ai sensi del primo comma dell’art. 118 Cost., ma i cittadini assumono un ruolo distinto, non più passivo per il perseguimento del bene comune. Tutta via le modalità pratiche di sostegno alle iniziative dei cittadini sono lasciate alla discrezionalità delle amministrazioni. Con il principio di sussidiarietà orizzontale nasce dunque un nuovo modo di amministrare, che non può considerarsi univoco, perché a seconda delle modalità con le quali l’amministrazione deciderà di appoggiare le iniziative dei cittadini e, viceversa, delle modalità con le quali i cittadini proporranno all’amministrazione di appoggiare le proprie iniziative.  “L’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati” I cittadini possono attivarsi nell’interesse generale in maniera del tutto autonoma, di propria iniziativa, senza attendere che la pubblica amministrazione si attivi o autorizzi una determinata iniziativa. Questo priva i soggetti pubblici del monopolio esclusivo nella rappresentanza dell’interesse generale, affidando il compito di garantire la cura dei beni comuni anche ai cittadini. Ciò significa che l’attuazione della norma sancita dall’art. 118 ultimo comma non dovrebbe dipendere in maniera primaria dalla diligenza delle istituzioni, bensì dal senso civico e dal grado di responsabilità dei cittadini. Vi è chi ha sottolineato come la possibilità per i cittadini di rivestire una parte da comprimari nell’amministrazione della cosa pubblica ha una grande valenza positiva, che si manifesta sotto due aspetti diversi: in primo luogo ha un valore intrinseco dal punto di vista civile in quanto espressione dell’impegno della gente comune per la soddisfazione di interessi non individuali ma collettivi; secondariamente perché i cittadini, mettendo a disposizione della collettività in modo gratuito risorse proprie (non necessariamente quantificabili in termini monetari), consentono all’amministrazione di conseguire un guadagno netto oppure di soddisfare un maggior numero di interessi senza necessariamente aumentare il livello del prelievo fiscale.  “Per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.” Nel momento in cui i cittadini si attivano autonomamente, hanno il compito di fornire prova dell’effettivo perseguimento di un interesse generale al fine di giustificare e legittimare la propria azione e poter essere così sostenuti dalla pubblica amministrazione. Questo è indubbiamente l’aspetto più problematico dell’applicazione concreta del principio di sussidiarietà orizzontale. Si deve sicuramente escludere a priori la possibilità per i cittadini di individuare essi stessi l’interesse generale in modi che vadano al di fuori di quanto previsto dalla legge, mentre sarà dirimente l’interpretazione datane dalla dottrina, ma soprattutto dalla normativa comunitaria. 22 Si può comunque affermare che, nonostante le problematiche applicative, il principio di sussidiarietà orizzontale, così come definito dall’ultimo comma dell’art. 118 della Costituzione, rappresenta certamente un cambiamento importante, e ad oggi ancora poco sfruttato, nel modo di concepire i rapporti tra cittadini ed istituzioni. 2.3. Interpretazioni della dottrina sull’art. 118, della Costituzione L’interpretazione del principio di sussidiarietà orizzontale dà vita a molte controversie: nonostante infatti siano trascorsi quasi diciannove anni dalla promulgazione della legge Costituzionale n. 3/2001, esistono almeno due modi differenti di intendere la sussidiarietà, suffragati ciascuno da diverse motivazioni. È riconosciuto dalla totalità della dottrina che l’elemento caratterizzante la sussidiarietà orizzontale consiste nella valorizzazione delle capacità e dell’autonomia delle persone, dei gruppi sociali, delle comunità, all’interno della società nel suo complesso. Parte della dottrina ha evidenziato come tale nuovo paradigma costituzionale, “vincola l’arbitrio politico più che in passato: questo maggior vincolo è il riflesso di quanto si è riconosciuto in potere dei cittadini, ma anche di quanto sarà necessario verificare con essi”. L’immagine più utilizzata dalla dottrina sarebbe quella di un’amministrazione relazionale, integrata e globale. Parte della dottrina ritiene che l’introduzione del principio di sussidiarietà nella Costituzione rappresenterebbe una vera e propria rivoluzione, “un nuovo paradigma […], pluralista, paritario e relazionale”, tale da condurre “a modifiche notevoli nella teoria e nella pratica del diritto amministrativo”; anche se non manca chi invece inserisce la portata innovativa di questa disposizione all’interno di una lettura della Costituzione che valorizza i principi personalista, autonomista e di solidarietà, interpretando la costituzionalizzazione del principio di sussidiarietà come un naturale compimento di un processo già avviato naturalmente. La costituzionalizzazione del principio di sussidiarietà rende necessario tenerne conto. Non si può più dire che è un principio extra giuridico, filosofico o del diritto naturale; oggi questo principio è presente nel diritto positivo ed è principio costituzionale. Una prima interpretazione della sussidiarietà orizzontale rinviene nell’intervento dei cittadini per finalità di interesse generale la piena attuazione del principio di libertà di iniziativa economica sancito dall’art. 41 della Costituzione. Si è sostenuto che la sussidiarietà orizzontale rappresenti un nuova modalità di governare i rapporti tra settore pubblico e cittadini privati ed afferma perciò che «la preoccupazione pubblica di assicurare un servizio, o di assicurarlo a condizioni particolari di accessibilità, deve tuttavia tener 25 Rispetto a questa affermazione la dottrina è discordante: una parte in qualche occasione sembra ancora legata a una visione piuttosto “pubblico-centrica”, laddove riserva la scelta dell’affidamento del servizio a terzi o addirittura alla pura discrezionalità dell’ente; oltre a ciò, non mancano letture svalutative proprio dell’art. 118 Cost., secondo le quali la disposizione non sottrarrebbe alcun ambito alla possibilità di intervento dei soggetti pubblici (Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni), ma, piuttosto, impegnerebbe tali soggetti ad esercitare le proprie funzioni in modo da favorire la partecipazione dei privati. Per quanto concerne gli enti territoriali elencati dall’art. 118 Cost., sono legittimati ad esercitare le attività di interesse generale, in quanto il “privato” (da intendere ovviamente come settore) non è in grado di dare ad esse adeguata copertura. In conseguenza di ciò, il confronto con il mercato (e con i principi della concorrenza) non dovrebbe avvenire solo dopo che l’ente pubblico ha deciso di non intervenire direttamente, ma anche prima: essendo ragionevole ritenere che l’intervento diretto si giustifichi esclusivamente nel rispetto della logica della sussidiarietà. Pur riguardando problematiche diverse, sussidiarietà verticale e sussidiarietà orizzontale sono due principi concatenati reciprocamente poiché, una volta individuato il livello più adeguato allo svolgimento delle funzioni pubbliche in base al principio di sussidiarietà verticale, il principio di sussidiarietà orizzontale consente alle istituzioni titolari di tali funzioni di perseguire l’interesse generale non più da sole, ma insieme con i cittadini. Altri hanno altresì affermato come il principio di sussidiarietà orizzontale sia in realtà “scollegato dal fondamento maggioritario, che costituisce la legittimazione delle rappresentanze politiche a operare in tal senso; l’ammissione di questo potere della cittadinanza attiva pone di fronte alla necessità di riconoscere che minoranze e perfino figure isolate possano integrare l’interesse generale”. Vi è inoltre chi ha sottolineato che occorre prudenza nel seguire la via della sussidiarietà orizzontale, sia in relazione al problema della garanzia di condizioni d’eguaglianza, sia in ordine alla differente distribuzione sul territorio nazionale di soggetti in grado di assumere le relative responsabilità sociali. La logica della sussidiarietà è, tuttavia, proprio quella differenziazione in relazione alle condizioni sociali e alle dimensioni dei problemi: soluzioni che possono essere valide in certe Regioni, potrebbero risultare difficilmente praticabili in altre, dove la condizione della società civile è più problematica. 26 3. SUSSIDIARIETA’ ED EMILIA ROMAGNA Lo Stato con la legge 328/2000 ha voluto disciplinare l’impianto degli interventi del sistema integrato e dei servizi sociali. Definendone i principi di attuazione e gli enti che dovranno concretizzare l’intervento. Inoltre all’art. 22, vengono inoltre definiti anche i LEP ovvero i livelli essenziali delle prestazioni. Con l’art. 1 comma 3 della legge viene definito come l’assistenza delle prestazioni è in capo agli enti come Stato, Regioni ed enti locali in un’ottica di decentramento amministrativo, secondo i criteri di:  Sussidiarietà e cooperazione,  Efficacia,  Efficienza ed economicità,  Omogeneità,  Copertura finanziaria e patrimoniale,  Responsabilità e unicità dell’amministrazione,  Autonomia organizzativa e regolamentare degli enti locali I destinatari individuati dalla legge del sistema integrato dei servizi sociali, seguendo il principio finalistico di universalità sono i cittadini italiani e cittadini di altri stati europei, in relazione alle leggi regionali, che versano in situazione di bisogno per gli aspetti economici quindi povertà o limitato reddito oppure incapaci di provvedere alle proprie esigenze per inabilità di ordine fisico e psichico oppure che mostrano difficoltà nell’inserimento nel mondo del lavoro. Mentre per quanto riguarda i profughi, gli apolidi e gli stranieri vengono garantite le misure di prima assistenza. I parametri per la valutazione della condizione del cittadino, vengono indicati dal comune appartenente, sulla base dei criteri generali stabiliti dal Piano nazionale. Per la realizzazione degli interventi dei servizi sociali, è adottato il metodo articolato in 4 fasi principali: 27  Programmazione degli interventi e delle risorse, si tratta di quella fase in cui i soggetti istituzionali competenti verificano e individuano le situazioni di bisogno e programmano gli interventi finalizzati e idonei al superamento delle stesse;  Operatività per i progetti;  Verifica sistematica dei risultati in termini di qualità e di efficacia delle prestazioni;  Valutazione di impatto di genere. I criteri generali della programmazione degli interventi e delle risorse del sistema integrato, devono essere rispettati dai soggetti erogatori delle prestazioni e sono: a) Coordinamento e integrazione con gli interventi sanitari e dell’istruzione, nonché con le politiche attive di formazione, di avviamento e reinserimento al lavoro: b) Concertazione e cooperazione tra i diversi livelli istituzionali. L’apparato degli interventi di sostegno alla persona necessità di un sistema di finanziamento adeguato. Quest’ultimo si avvale di un finanziamento plurimo a cui concorrono, secondo competenze differenziate: enti locali, regioni e Stato. Sono a carico del comune le spese di attivazione degli interventi e dei servizi sociali a favore della persona e della comunità; alla regione spetta la ripartizione dei finanziamenti assegnati dallo Stato per obiettivi e interventi di settore. Infine, allo Stato compete la ripartizione del Fondo nazionale per le politiche sociali, la spesa per le pensioni. L’assetto organizzativo e di competenze degli enti coinvolti nel processo viene riportato negli artt. 6,7,8,9 della legge. In questi articoli vengono individuate le funzioni in capo ai Comuni, Province, Regioni e Stato. Art. 6 enuncia le funzioni dei Comuni ai quali spettano funzioni amministrative concernenti gli interventi sociali svolti a livello locale e concorrono alla programmazione regionale. Essi devono applicare i principi generali e favorire forme di collaborazione fra soggetti pubblici e privati, in ossequio all’art. 118 Costituzione. Nello specifico al comune spetta: a. Programmazione, progettazione e realizzazione del sistema locale dei servizi sociali a rete, indicandone le priorità e i settori di innovazione attraverso la concertazione delle risorse umane e finanziarie; b. Erogazione dei servizi e delle prestazioni economiche; c. Autorizzazione, accreditamento e vigilanza dei servizi sociali e delle strutture semiresidenziali e residenziali a gestione pubblica. 30 d) sviluppo e qualificazione dei servizi sociali, anche attraverso la valorizzazione delle professioni sociali; e) concertazione e cooperazione tra i diversi soggetti istituzionali f) integrazione delle politiche sociali con le altre politiche, in particolare con quelle sanitarie, educative, formative, del lavoro, culturali, urbanistiche ed abitative. Il sistema integrato in ambito regionale garantisce, sul territorio regionale i livelli essenziali delle prestazioni e si realizza avvalendosi delle risorse, anche non finanziarie, della Regione, degli Enti locali e di tutti i soggetti che concorrono alla realizzazione dei Piani di zona. All’art. 6, in ossequio a quanto previsto dall’art. 22 della legge 328/2000 vengono individuati i livelli essenziali delle prestazioni sociali. Il Piano regionale degli interventi e dei servizi sociali definisce, sulla base del fabbisogno rilevato, le caratteristiche quantitative e qualitative dei servizi e degli interventi, che costituiscono i livelli essenziali delle prestazioni sociali da garantire, tenuto conto dei livelli essenziali ed uniformi delle prestazioni individuati dallo Stato. La definizione dei livelli avviene sulla base dei bisogni rilevati, nel rispetto dei criteri di equità, efficacia ed appropriatezza, tenuto conto delle risorse del Fondo sociale regionale e della compartecipazione degli utenti al costo delle prestazioni. Una volta definiti i bisogni per attuare il percorso di sostegno è necessario effettuare l’accesso al sistema di rete dei servizi, definito dall’art. 7 ed è garantito dagli sportelli sociali dei Comuni. Gli sportelli sociali forniscono informazioni ed orientamento ai cittadini sui diritti e le opportunità sociali, sui servizi e gli interventi del sistema locale, nel rispetto dei principi di semplificazione. I Comuni organizzano l'attività degli sportelli sociali con modalità adeguate a favorire il contatto anche di chi, per difficoltà personali e sociali, non vi si rivolge direttamente. Nei successivi artt. 8,9,10,12,13,14 vengono descritte le azioni promosse dalla Regione in materia di promozione sociale, politiche familiari, integrazione socio-sanitaria, sostegno economico e favorire l’inserimento lavorativo delle persone disabili. Art. 8 Per favorire lo sviluppo ed il benessere delle persone ed il sostegno delle reti familiari e sociali nell'ambito delle comunità locali, gli Enti locali prevedono interventi volti in particolare a: a) promuovere la convivenza e l'integrazione sociale, la soluzione dei conflitti individuali e sociali, anche attraverso il ricorso ad attività di integrazione culturale e di mediazione sociale; 31 b) contrastare e prevenire le cause di esclusione sociale, con particolare riguardo al disagio giovanile, alle dipendenze patologiche, alle situazioni di povertà estrema, alla prostituzione e ad altre forme di sfruttamento; c) conciliare ed armonizzare i tempi di vita e di lavoro, riconoscendo il diritto delle donne e degli uomini ad assolvere gli impegni di cura senza rinunciare all'attività lavorativa, anche sostenendo iniziative di mutualità, tese allo sviluppo della solidarietà ed al miglioramento dei rapporti tra le generazioni; d) garantire il raggiungimento di pari opportunità tra donne e uomini adottando azioni positive rivolte alla popolazione femminile e politiche rispettose dei due generi. 2. I Comuni, per qualificare gli interventi e facilitare i cittadini nella fruizione e partecipazione alle iniziative di cui al comma 1, promuovono azioni per la messa in rete e la razionalizzazione delle iniziative pubbliche e private presenti sul territorio. 3. La Regione, sulla base dei criteri individuati dal Piano regionale degli interventi e dei servizi sociali, incentiva programmi ed iniziative per la realizzazione degli obiettivi di cui al comma 1 e per la realizzazione di attività formative di qualificazione. Art. 9 La Regione sostiene il ruolo essenziale delle famiglie nella formazione e cura delle persone e nella promozione della coesione sociale, valorizza i compiti che le famiglie svolgono sia nella vita quotidiana, sia nei momenti di difficoltà e disagio legati all'assunzione di responsabilità di cura. 2. La Regione a tal fine: a) programma i servizi valorizzando le risorse di solidarietà delle famiglie ed il principio di corresponsabilità dei genitori nei confronti dei figli, sostenendo le scelte procreative libere e responsabili e favorendo aiuti concreti ai genitori affinché possano stabilire liberamente le dimensioni delle proprie famiglie; b) promuove iniziative sperimentali per la stipula di accordi fra organizzazioni imprenditoriali ed organizzazioni sindacali che prevedano forme di articolazione delle attività lavorative volte a conciliare tempi di vita e tempi di lavoro; c) sostiene iniziative rivolte prioritariamente alle donne per favorire il loro rientro nel sistema produttivo o il loro nuovo inserimento lavorativo dopo la maternità o al termine di impegni di cura in ambito familiare; d) promuove la solidarietà e le esperienze di auto aiuto fra famiglie, anche favorendo l'associazionismo familiare e le forme di sostegno alle famiglie, quali gli assegni di cura previsti all'articolo 12. 32 La Regione e gli Enti locali sostengono le famiglie impegnate a dare accoglienza ed aiuto a persone in difficoltà, in particolare disabili, minori ed anziani, anche attraverso: a) attività formative e di supporto consulenziale; b) agevolazioni tariffarie e d'imposta, quali la riduzione dell'Imposta Comunale sugli Immobili (ICI) per la prima casa; c) facilitazioni per l'accesso ad iniziative ricreative e del tempo libero; d) promozione del turismo familiare con finalità di sollievo. 4. La Regione promuove la concessione da parte dei Comuni di prestiti sull'onore, come indicato all'articolo 13, comma 2, anche al fine di sostenere la costituzione di nuove famiglie e favorire le famiglie numerose nella ricerca di alloggi adeguati alle proprie esigenze. Art. 10 Le attività ad integrazione socio-sanitaria sono volte a soddisfare le esigenze di tutela della salute, di recupero e mantenimento delle autonomie personali, d'inserimento sociale e miglioramento delle condizioni di vita, anche mediante prestazioni a carattere prolungato. 2. Secondo quanto disposto dall'articolo 3-septies del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), le prestazioni socio- sanitarie si distinguono in: a) prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, comprensive di quelle connotate da elevata integrazione sanitaria, assicurate dalle Aziende unità sanitarie locali; b) prestazioni sociali a rilevanza sanitaria, assicurate dai Comuni. 3. Il Consiglio regionale individua, con proprie direttive, le prestazioni da ricondurre alle tipologie indicate al comma 2, in attuazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 14 febbraio 2001 (Atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni socio-sanitarie), tenuto conto dei livelli essenziali ed uniformi definiti all'articolo 6, determinando altresì i criteri di finanziamento delle stesse e degli assegni di cura di cui all'articolo 12, comma 2, lettere a) e b). 4. I Comuni e le Aziende unità sanitarie locali individuano, nell'ambito degli accordi di integrazione socio-sanitaria, i modelli organizzativi e gestionali, fondati sull'integrazione professionale delle rispettive competenze, ed i relativi rapporti finanziari, in coerenza con le direttive di cui al comma 3. Art. 13 1. Nell'ambito degli interventi e dei servizi del sistema locale, la Regione, con proprio atto, incentiva programmi per la sperimentazione del reddito minimo di inserimento. Il Consiglio regionale stabilisce con proprie direttive i criteri per la sperimentazione del reddito minimo d'inserimento, le condizioni per l'accesso, nonché le procedure di
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