Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

TOP

TECNOLOGIE PER L'EDUCAZIONE - Riassunto, Sintesi del corso di Didattica generale e speciale

Riassunto dettagliato per paragrafi del manuale "Tecnologie per l'educazione" di Pier Cesare Rivoltella e Pier Giuseppe Rossi

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

In vendita dal 28/06/2022

francesca-ramello-1
francesca-ramello-1 🇮🇹

4.5

(23)

2 documenti

1 / 65

Toggle sidebar

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica TECNOLOGIE PER L'EDUCAZIONE - Riassunto e più Sintesi del corso in PDF di Didattica generale e speciale solo su Docsity! INTRODUZIONE 1. La società informazionale Internet = esito ultimo di un percorso di evoluzione della tecnologia in Occidente che era iniziato con l’invenzione della scrittura  comunicazione può avvenire in luoghi diversi. Prima dell’avvento della scrittura  comunicazione solo se emittente e ricevente erano nello stesso luogo nello stesso tempo. Limite non era inclusivo e limitava, ma pieno controllo della comunicazione. Dopo la scrittura progressiva separazione della comunicazione dalla necessità di avvenire in un luogo preciso e in un certo tempo Anywhere anytime la promessa di Internet dopo 30 anni ci rendiamo conto che questa è più una minaccia che una promessa Dal pov antropologico Internet = eventuale possibilità di una vita sullo schermo che si libera del peso del corpo  la comunicazione è sganciata dallo spazio perché non bisogna essere più fisicamente presenti per comunicare. Reale conseguenza  non separazione tra i mondi, ma progressiva impenetrazione delle due dimensioni: non siamo noi a essere online a sono i media a essere onlife tecnologia è una dimensione naturale della nostra vita. Cambiamento epocale che porta a una diversa dimensione della tecnologia a diversi livelli:  Epistemologico nuovi modelli frattali di conoscenza  Organizzativo la mecatronica e l’industria 4.0  Didattico l’esperienza aumentata e la robotica  Educativo l’educazione digitale come educazione a una nuova cittadinanza Figli di questo è la Generazione Z (tutti i nati dopo il 2000) è un gap culturale, più che anagrafico non è più una società dell’informazione, ma società informazionale. 2. Un nuovo rapporto tra cultura e natura No separazione tra mente e corpo, e tra natura e cultura è difficile trovare un confine tra natura e cultura, ma anche trovare territori che non siano insieme l’effetto e il prodotto di leggi naturali e dell’intervento umano. Anche gli artefatti sono prodotto della natura e della cultura. La tecnologia potenzia i processi in essere di percezione del mondo come protesizzazione. La ricorsività tra natura e cultura apre nuove strade occorre esplorare un nuovo umanesimo digitale che potrebbe anche esser visto con le lenti del post-antropocentrismo. Fishman e Dede (2017)  analizzano in ambito pedagogico il ruolo delle tecnologie contrappongono un approccio tecno-centrato (le tecnologie sono una componente autonoma e isolabile capace di risolvere o creare problemi) e un approccio socio-tecnologico (le tecnologie emergono dalle interazioni tra strutture sociali e organizzatrice, tra persone e strumenti. Il post-antropocentrismo Contrapposizione tra una visione della tecnologia come mondo separato e una visione sistemica - Lévy i tecno-centrati = coloro che propongono una visione escatologica della tecnologia + chi propone un approccio luddista e presenza la scienza e la tecnica come qualcosa che autonomizzato (separato dall’umanità), che poi si impongono al sociale. Visione opposta: la tecnologia partecipa pienamente all’ordine culturale, simbolico, ontologico o assiologico - Winn e Katz prima di accettare l’assunto che a tecnologia modifichi le cose, bisogna considerare la stessa tecnologia come un costrutto sociale, la cui definizione come artefatto è precedente a qualsiasi effetto sociale. Comunque, qui, la tecnologia non è ancora prodotto culturale e umano post-antropocentrismo: rifiutate le idee intelligenza collettiva che sottende la presenza di un’entità connessa e coerente, e quella di intelligenza connettiva, in cui i diversi dialogavano senza perdere la propria identità. Oggi triangolazione tra mondi diversi, autonomi e connessi non solo tra umano, animale e tecnologico, ma si prende in considerazione anche la relazione tra linee e forze materiali e simboliche che caratterizzano le macchine moderne. Il determinismo delle tecnologie del secolo scorso è superato nelle macchine odierne, nelle quali le componenti meccaniche e elettriche interagiscono con quelle elettroniche, digitali e, a volte, quantistiche questa complessità produce sistemi auto-poietici sia umano-tecnologici- naturali, sia meccanico-discorsivi. Auto-poiesi = collegamene qualitativo tra la materia organica e gli artefatti tecnologici e macchinici ridefinizione delle macchine: ora hanno propria intelligenza. Hanno una propria temporalità e proprie norme di alterità non solo rispetto agli umani ma anche tra loro stesse. La trasversalità è prodotta dal dialogo tra le componenti materiali e le informazioni e i linguaggi, tra corpo meccanico (hardware) e contenuto numerico (software) che trasformano l’artefatto attuale da mediatore – tra umano e ambiente – ad altro con cui l’umano dialoga. Se un tempo, utilizzando un artefatto, questo rimaneva trasparente nella sua funzione, al soggetto, oggi la relazione tra umano e ambiente avviene quasi totalmente attraverso l’interfaccia della macchina digitale a volte lo schermo è esso stesso l’ambiente. Esso presenta una visione modellizzata del mondo e il dialogo con il mondo si trasforma in un dialogo con modelli semplessi dello stesso. il modello non è la rappresentazione di un mondo autonomo, ma un mondo che prefigura e anticipa la sintesi del processo ricorsivo tra natura e cultura. Conoscenza e azione Se gli artefatti del passato erano un prolungamento del corpo (es. la zappa), oggi si costituiscono nella relazione dell’uomo con l’interfaccia  si modificano i processi di modellizzazione, di esperienza e di concettualizzazione. Attraverso l’interfaccia si opera sul modello di mondo  l’incorporazione del gesto (tipica della macchina non digitale) si trasforma in incorporazione del modello o del concetto. Il digitale propone la ricorsività tra conoscenza e azione in forme nuove e modifica il rapporto tra conoscere ed esperire Oggi l’esperienza avviene durante l’attività in quanto il mondo in cui si esperisce è lo stesso che si sta costruendo, proprio a causa della relazione tra natura-cultura. L’elaborazione progettuale richiede un pensiero complesso molto diverso da quello di chi schizzava un modello che poi il prototipista avrebbe realizzato. Il progettista incorpora il gesto del prototipista + la macchina  anticipa e simula il processo successivo. Se un tempo era il prototipista a reinterpretare il pensiero del progettista e a reificarlo tenendo conto della fattibilità tecnologica, ora il progettista incorpora anche il processo tecnologico. Per descrivere i processi precedenti Caruana e Borghi parlerebbero di concetti “in formato corporeo”; Gallese di “simulazione incarnata”. Dal punto di vista etico l’impatto è drammatico, in quanto elimina ogni riferimento esterno - Se l’azione opera su un mondo estero e autonomo può essere valutata in base alla risposta del sistema. - Se l’azione co-crea il mondo, viene meno un riferimento esterno in base a cui valutare un parametro autonomo dal soggetto che opera e valuta, su cui basare la coerenza  Il problema dell’auto-poiesi diviene l’auto-referenzialità. Parametro alternativo: la sostenibilità = possibilità di far interagire le motivazioni valoriali con i vincoli del sistema, come la fattibilità. La validazione avviene in itinere e si focalizza sul processo, sostituendo quella sul prodotto, che non può non essere coerente con l’idea progettuale. 3. Aggregazione e multimodalità Fino alla fine del 900 (nei giornali) l’immagine è ancillare al testo: il testo è la parte principale, accompagnata da immagini e disegni. Oggi, ogni input testuale è più simile a un riquadro, un oggetto grafico-testuale, con poche righe di testo e un’immagine 1.1 La cultura digitale Approccio socio-tecnologico (le tecnologie emergono dalle interazioni tra strutture sociali e organizzative) > approccio tecno-centrato (la tecnologia è un corpo separato dall’umano). Le principali caratteristiche di un artefatto digitale:  L’aggregazione nel singolo artefatto di componenti differenti e autonome ogni componente ha una funzione differente e una propria autonomia. Si può guardare all’artefatto con una visione analitica (descrizione dei singoli componenti) o con una olistica (visione d’insieme). Esistono delle reti che attraversano i singoli componenti, autonome da questi negli artefatti digitali, una di queste reti garantisce lo scambio di dati e di informazioni e usa il linguaggio digitale.  La presenza nelle macchine complesse dell’industria 4.0 di differenti tecnologie, non solo informatiche, ma anche meccaniche, idrauliche, elettriche, elettroniche e, in alcuni casi, quantistiche ogni tecnologia ha una propria logica e queste interagiscono grazie al digitale  La connessione degli artefatti in reti il frammento mantiene comunque una sua specificità e autonomia, anche se spesso non avrebbe senso senza la rete  Il Morphing la possibilità di modificare, quasi senza soluzione di continuità, il livello di zoom o la granularità dei concetti, anche se qualità differenti (es. con Google Map posso vedere una sola casa o il globo intero) Aggregazione, connessione e morphing producono la infosfera (Floridi)  una realtà in cui lo scambio di dati digitali crea un ambiente dove la formazione è non solo il nucleo fondante, ma anche il valore aggiunto. - A livello minimo infosfera = l’intero ambiente informazionale costituito da tutti gli enti informazionali, le loro proprietà, interazioni, processi e reciproche relazioni include anche spazi di informazione offline e analogici - A livello minimo  sinonimo di realtà ciò che è reale è informazione e ciò che è informazione è reale reale è ibridazione tra il mondo percepito con i sensi e quello prodotto dai dati i dati non sono la descrizione del mondo, ma parte di esso. La descrizione è prodotta dalla loro interpretazione e deriva da un’interazione e da un’immersione nella rete di cose e di dati divenendo un percorso di azione e conoscenza. Il mondo digitale è costituito dall’interazione di società, cultura e tecnologia tre facce della stessa medaglia. Influenzati anche dal rapporto tra natura e cultura ciò rende la tecnologia non più mediatore tra uomo e natura, ma altro con cui dialogare. Tecnologia è prodotto antropico ma contiene anche componenti naturali. 1.2 Il frammento e il layout In ogni macchina digitale sono presenti frammenti auto-consistenti e il layout che li aggrega. FRAMMENTI non sono riducibili tra loro: ognuno ha una sua identità e una specificità. Non si può trovare una logica unificante e una meta-narrazione che li connetta + ogni frammento è leggibile con logiche multiple ma comunque questi frammenti si possono comparare tra loro. Per comprendere come questi possono interagire tra loro senza perdere le proprie caratteristiche, usiamo il concetto di ambiguità: “il soggetto della percezione rimarrà ignorato finché non sapremo evitare l’alternativa tra il naturato e il naturante, fra la sensazione come stato di coscienza e la sensazione come coscienza di uno stato, fra l’esistenza in sé e l’esistenza per sé”. I distanti nella cultura sono connessi da relazioni topologiche che li collegano senza determinarne l’omologazione. Se nella cultura orale era il contesto a dare il senso, nella infosfera sono le relazioni topologiche, le tangenze, le analogie a suggerire un senso, che non è dato a priori, ma solo suggerito e poi condotto in contesto dal singolo lettore mentre naviga e opera nella rete globale. Il senso è prodotto localmente, ma connesso alla rete globale LAYOUT il soggetto interagisce con il layout e la sua azione produce l’aggregazione del sistema a un livello superiore: la connessione non è data a priori, ma si struttura in situazione grazie all’azione. L’azione permette di semplificare la complessità del pensiero semplessità (Colville) una fusione di ampia complessità del pensiero con la necessaria semplicità dell’azione. La stessa centralità dell’azione si ritrova nella multimodalità di Kress l’autore pone al centro i modi, non i media. I modi veicolano un “messaggio” e un’attività, suggeriscono azioni e richiedono una partecipazione attiva del soggetto. I modi si collocano in uno scenario tridimensionale di cui fanno parte l’artefatto, l’agire del soggetto e il contesto sociale. 1.3 Pensare in formato corporeo (codificazione artefatto) Mondo predigitale la codificazione dell’artefatto riguardava la rappresentazione e l’elaborazione avveniva all’interno della mente umana. Mondo digitale la codificazione coinvolge i modi con cui agire sui concetti, rappresentati fisicamente con parole, disegni, schemi ecc  esternalizzazione della concettualizzazione. Le app richiedono un’azione: concettualizzare = maneggiare i concetti come se fossero oggetti  su molte app si può interagire in maniera senso-motoria con i concetti (es. muovendoli). Embodied cognition i processi senso-motori servono nella formulazione e manipolazione dei pensieri astratti: se il compito cognitivo è complesso, si usa il formato corporeo quando poi i concetti sono compresi, diventano oggetti mentali incorporati. Caruana e Borghi l’approccio multimodale funziona sia per i concetti concreti che per quelli astratti. Conseguenza: una visione modale e non a-modale dei concetti (concetti il cui modo di rappresentazione è tale da consentirci di rappresentare ogni contenuto indipendentemente dalla modalità sensoriale che potrebbe essere stata coinvolta nella sua percezione) Gallese la rappresentazione è modale perché l’agire è multimodale azione multimodale = viene eseguita neurologicamente usando substrati neurali utilizzati sia per l’azione che la percezione, e che le modalità di azione e percezione sono integrate a livello del sistema motorio stesso e non tramite aree di associazione più alte. L’attivazione motoria somatotopica è stata osservata durante la comprensione dell’uso astratto e figurativo del linguaggio come metafore e idiomi. Il digitale rende sempre più diffuso il processo del pensare in formato corporeo perché crea uno spazio cognitivo in cui i concetti sono visualizzati e modificabili. I mondi aumentati danno corpo ai concetti astratti e permettono di muoversi con idee e concetti nello stesso modo con cui si opera con gli oggetti reali. Il digitale quindi da corpo ai concetti astratti e costruisce uno spazio in cui questi concetti astratti prendono forma e sono manipolabili con attività senso-motorie 1.4 Il frammento, il layout, la didattica La frammentarietà del digitale spesso viene vista come un problema e origine di molti limiti del contesto attuale, ma la sua presenza, in quanto connessa con il contesto culturale, non può essere rimossa quindi bisogna imparare a conviverci e gestirla, soprattutto nella didattica. Nell’educazione si usano spesso modelli di micro-learning si lavora su segmenti circoscritti di contenuto, organizzando attorno a essi delle attività brevi e riflessioni da condurre ex-post. Rivoltella ha elaborato il metodo EAS (Episodi di Apprendimento Situato) se gli studenti arrivano a scuola con una conoscenza frammentata acquisita in contesti non formali, al docente spetta il compito di far emergere tale sapere per poi sistematizzarlo. Perché il micro-learning è efficace? Esso è uno spazio d’azione delimitato e pertanto sostenibile, che funge da layout per portare a sistema la varietà con i dispositivi multimediali, lo studente opera sulle proprie conoscenze, le confronta con gli altri e costituisce sintesi condivise. Se nelle classi i testi, i linguaggi e le culture sono diverse, condivisi sono i layout. In didattica: - Frammenti  connessi alle discipline, agli obiettivi e ai contenuti - Layout connessi alle attività, alle competenze e ai compiti autentici.  Ma frammenti sono anche le Learning Teaching Activity che si aggregano in lezioni, le lezioni che si aggregano in moduli, i moduli in curricoli. Ulteriori livelli: - Intra-soggettivo - Inter-soggettivo  Oggi, le singole attività intrecciano disciplinare, intra-soggettivo e inter-soggettivo: lo studente tratta di un contenuto lavora su di esso con un lavoro di gruppo, riflette su come sta apprendendo e si auto-regola. 1.5 Il digitale come terzo spazio Difficoltà del micro-learning: visualizzare/agire l’aggregazione. È necessario uno spazio diverso in cui sia possibile ibridare processi, concettualizzazione e attività ed evitare il problema dei frammenti e dell’assenza di meta-narrazioni. Flessner propone il terzo spazio = luogo di apprendimento trasformativo che crea punti di accesso multipli sia per i linguaggi utilizzati, sia per le modalità operative. Normalmente, nell’educazione, troviamo il digitale sia nella presenza (es. lim), sia a distanza (es. internet) valore aggiunto è quando l’educazione produce uno spazio ibrido che connette formale e informale, presenza e distanza. Quali sono le attività interpretabili come terzo spazio?  L’aggregazione di note e la scrittura collaborativa si tratta di lavorare continuamente sul testo e in contemporanea  Stratificazione dinamica di documenti digitali e tracciamento in itinere se prima la documentazione veniva creata alla fine del processo, oggi avviene in sincrono  La progettazione tramite app quali DEPIT che permettono di ibridare design, documentazione e riflessione tramite essi si crea uno spazio di mediazione tra docenti e studenti.  E-portfoli aggregano le evidenze e le riflessioni su esse teoria = strumento per rileggere le pratiche personali, facendo emergere traiettorie identitarie  Ambienti blended spazio intermedio tra pratiche in aula ed esperienze esterne, quasi una “terza aula”, dove interagiscono pratica e teoria, contesti formali e informali. STORIA E PRINCIPI DELLE TECNOLOGIE EDUCATIVE 2.1 Introduzione È quasi impossibile creare una storia delle tecnologie educative perché l’introduzione di questi strumenti è stato graduale e ha provocato una trasformazione nei modi di organizzare le idee, di ragionare. È circolare la dinamica tra strumenti e mente, tra corpo e ambiente. È più facile dire quando gli strumenti sono nati, meno individuare quando sono stati utilizzati nella didattica. 2.2 Avvento dell’ educational technology  Soluzioni successive al problema: API (Application Programming Interface) che permetteva di far dialogare componenti di diversi applicativi al fine di produrre aggregazioni di materiali e il Web 2.0, in cui i problemi di catalogazione top-down sono sostituiti da modelli bottom-up. 3.2.1 La seconda fase Dal nuovo millennio attenzione per la progettazione didattica non solo nella creazione di percorsi online, ma per la didattica nel suo complesso. Quattro progetti hanno alimentato tale ricerca: 1. L’EML (Educational Modelling Language) che poi è stato preso come base per l’IMS Learning Design 2. Uno studio sulle tecnologie nelle scuole superiori in UK, in particolare il SoURCE project 3. Il Learning Design del Concilio di insegnamento delle università australiane 4. Il LAMS (Learning Activity Management System) dell’Università di Macquarie, Australia Punti in comune: - Il miglioramento dell’insegnamento e dell’apprendimento passa attraverso lo sviluppo di framework descrittivi dei processi e dell’azione didattica La tecnologia supporta la riflessione sulla progettazione di percorsi didattici e la formazione di comunità e di repositori di Learning Design (LD). Es di progetto che va in questa direzione Learning Support Environment supporto digitale all’organizzazione delle attività didattiche del docente, attraverso una scansione delle azioni, proponendo una interazione tra docenti e studenti. Evidenziata l’importanza della rappresentazione dei processi la possibilità di descrivere il proprio progetto permette al docente in fase di progettazione di distanziarsi e dialogare con il proprio artefatto per testare il processo stesso. 3.2.2 Gli aggregatori multimediali Gli artefatti prima descritti riguardano la fase di progettazione. Il Web 2.0 unisce, invece, la progettazione all’azione e alla documentazione. Conseguenza: creazione di ambienti nei quali aggregare materiali per poi condividerli con la classe. Anche i LMS avevano più o meno la stessa funzione, ma essi servivano solo per la didattica online ora si cercano degli aggregatori utilizzabili anche nella didattica in classe. Esempi di artefatti che hanno questo scopo: Edmondo o TesTeach che permettono al docente di organizzare le risorse multimediali selezionate e di condividerle con i propri studenti all’interno della casse. Quale dovrebbe essere la funzione dell’artefatto progettuale? Supportare sia il dovente nell’elaborazione del percorso e organizzazione della lezione, sia gli studenti, fornendogli una visione del percorso didattico e dei materiali da utilizzare per le attività. Molti di questi strumenti, però, nascono con funzioni diverse e poi vengono riutilizzati anche per la didattica. Alcuni progetti, invece, come DEPIT, promosso dall’università di Macerata, stimola la progettazione direttamente da parte dei docenti, fornendogli supporto tecnico. Lo scopo di questo dispositivo è di condividere in classe dell’artefatto progettuale questo è costituito da più mappe tra loro connesse e ogni mappa rappresenta un diverso livello della granularità che caratterizza la didattica (curricolo, modulo e sessione) e permette ai docenti di riconnettere le dimensioni macro e micro; ciascun livello, in più, è connesso al successivo da un link e questo produce un morphing tra le diverse dimensioni temporali e organizzative, ma anche cognitive. 3.2.3 La reificazione della progettazione L’artefatto digitale ha una doppia funzione di:  Contenitore flessibile può essere utilizzato in classe per organizzare i materiali da sottoporre agli studenti, dare consegne, archiviare i prodotti delle diverse attività, ecc. È un organizzatore flessibile  può esse costantemente modificato, raccoglie anche i materiali proposti dagli studenti  Ambiente reticolare la progettazione del docente è estesa sia verso contenuti esteri (presenti in rete o nel contesto sociale di riferimento) sia in termini di correlazione tra punti di vista diversi provenienti da approcci disciplinari differenti. Permette anche di personalizzare i percorsi, soddisfacendo le diverse richieste provenienti dalla classe. Garantisce anche una visione multiprospettica e la raccolta dei contributi di ciascuno si crea una dimensione partecipativa. 3.3 Le tecnologie per supportare l’inclusione Nella didattica è importante la personalizzazione dell’insegnamento in modo che questo si adatti alle specifiche esigenze di apprendimento degli studenti al contempo, personalizzarli troppo potrebbe essere controproducente importante è anche l’aspetto sociale dell’apprendimento. Per questo usiamo dispositivi unici, ma aperti alle esigenze del singolo studente, che agisce secondo le proprie abilità, competenze. Le tecnologie digitali possono essere d’aiuto perché permettono di o Fornire lo stesso contenuto in formati diversi (a livello grafico o mediale) o Utilizzare diverse app contemporaneamente che rispondano alle singole esigenze o Far lavorare gli studenti in gruppi, nei quali ognuno svolge un ruolo adatto alle sue competenze o Lavorare con la scrittura collaborativa, nella quale ogni membro ha la responsabilità dell’editing del documento stimoliamo la partecipazione e la collaborazione di ciascuno in fasi differenti 3.4 Dispositivi BYOD per estendere lo spazio-tempo della classe Dispositivi BYOD Bring your own device. L’artefatto progettuale è visibile non solo alla classe, ma anche al singolo studente amplia la funzione del libro e del quaderno contiene sia i materiali organizzati dal docente, che quelli realizzati nel contesto classe e connessi ai suoi vissuti. Questi dispositivi permettono l’apertura di un terzo spazio. Favoriscono l’interazione sociale e attraverso esse si possono svolgere numerose funzioni, sia in termini di lettura che di produzione e manipolazione. Sono facilmente usabili, intuitivi, leggeri. Sempre connessi questo sfuma il confine tra spazi fisici e spazi digitali, introduce una nuova concezione di spazio didattico spazio ibrido. Non sono “un sostituto depotenziato della relazione”, ma “luogo e prolungamento della relazione stessa”. Spazio ibrido diventa terzo spazio quando è connotato in chiave didattico pedagogica. In questo spazio non c’è più distinzione tra didattica, progettazione, azione e documentazione. TECNOLOGIE E INCLUSIONE: COME FAR DI NECESSITA’ VIRTU’ 4.2 Educazione inclusiva Significa mettere in condizione tutti gli studenti di essere accolti nella propria scuola ed essere inseriti in classi regolari, adeguate, per età, supportandoli nel processo di apprendimento. Tutti gli studenti hanno diritto a un ambiente di apprendimento comune e non separato. Caratteristiche di un efficace ambiente di apprendimento comune:  Ogni studente partecipa il più possibile alle attività sviluppate in aula  Clima positivo, senso di appartenenza  Risponde alle esigenze di apprendimento individuali, fornisce sufficienti livelli di supporto  Prevede attività didattiche personalizzate, ma comunque sviluppabili in relazione al gruppo di pari Per realizzarlo bisogna partire da “cosa impedisce” agli studenti di vivere una piena esperienza educativa e, partendo da ciò, mettere in atto soluzioni progettuali che permettano di rimuovere o attenuare questi fattori. 4.3 Tecnologie per l’educazione inclusiva Tre gruppi di cause che determinano una barriera a una piena esperienza educativa: disabilità fisico- sensoriali, disabilità cognitive/disagio psico-sociale, gravi patologie che impediscono la normale frequenza scolastica. 4.3.1 Disabilità fisico-sensoriali Per questi studenti, ausili software e hardware possono:  Consentire un uso facilitato del computer per partecipare alle attività della classe  Prendere parte ad attività di gruppo, secondo i propri tempi e stili di apprendimento  Semplificare i contenuti attraverso un’analisi automatica della complessità dei media presentati allo studente propongono modalità di lettura/visualizzazione alternative Queste tecnologie dovrebbero quindi consentire allo studente di: - Interagire con risorse didattiche uso compensativo della tecnologia (es. sintetizzatori vocali) - Entrare in comunicazione con il contesto circostante uso partecipativo: finalizzato a rendere il contesto scolastico inclusivo, giocando sulla dimensione sociale. Comunque, non basta solo un adattamento organizzativo-spaziale, ma in questi casi c’è da ripensare anche le attività didattiche proposte allo studente. 4.3.2 Disabilità cognitive/disagio psico-sociale Studenti con disabilità cognitive le tecnologie aiutano a:  Mettere a disposizione ambienti di studio personalizzati, attraverso software semplificati o tarati sulle proprie abilità cognitive questo consente uno sviluppo di attività chiare per lo studente  Mettere in condizione gli studenti di acquisire ed esercitare specifiche abilità, spesso giocando su processi ripetitivi  Supportare attività finalizzate allo sviluppo del linguaggio, favorendo processi di apprendimento multisensoriale  Utilizzare canali mediati differenziati in ragione delle diverse attività di apprendimento proposte Siccome questi problemi sono più legati alla sfera personale (quadro clinico), bisogna che essi siano affrontati in maniera molto più specifica e personalizzata, anche in relazione della scelta del tipo di tecnologia da utilizzare. Studenti con disagio psico-sociale le tecnologie aiutano a:  Proporre attività in cui i discenti non si sentano intimiditi o sotto giudizio  Creare situazioni di successo = attività che, attraverso il computer, aiutino gli studenti a raggiungere obiettivi altrimenti impensabili a causa del loro disagio “la persona è disposta a impegnarsi quando la speranza di successo supera la paura dell’insuccesso”  Offrire opportunità al singolo di sentirsi responsabile del proprio percorso di apprendimento  Assegnare agli studenti compiti differenziati e adeguati 4.3.3 Patologie che impediscono la normale frequenza scolastica Facciamo riferimento a studenti che non rientrano nelle categorie precedenti, ma che sono costretti a usufruire di una didattica domiciliare. Il Miur, nel 2003, a causa degli altri numeri di studenti che rientrano in questa casistica, ha dovuto costituire il servizio di Istruzione Domiciliare (IR) per alcune ore alla settimana, alcuni docenti si recando presso la loro abitazione o domiciliazione temporanea per insegnare loro. Anche se il rapporto studente-docente si mantiene, viene a mancare quello classe-studente homebound. Questo può essere un ulteriore fattore di disagio = la socialità è fondamentale nello sviluppo di abilità cognitive e metacognitive e aiuta la comprensione e gestione del proprio mondo interiore. Tra il 2013 e il 2016 è stato lanciato il progetto TRIS (Tecnologie di rete e inclusione socioeducativa) con la finalità di ideare, mettere appunto e sperimentare un modello eco-sistemico, centrato sul concetto di o Si crea una responsabilità rispetto al proprio operato, per gli studenti, che quindi non sono soggetti passivi nella valutazione o Sono chiari i criteri di valutazione, i punti chiave e le dimensioni del lavoro che saranno valutate. Ci si focalizza sia sul “perché” che sul “come” del lavoro svolto. o I feedback da parte degli altri studenti hanno una ricezione differente: sono visti in maniera molto più problematizzata e conducono a un ripensamento più profondo dell’intero elaborato (le valutazioni dei docenti sono spesso accolte in maniera acritica). Questi ambienti di apprendimento online spesso creano una valutazione calcolata automaticamente dal sistema. 5.4 La tecnologia per la riflessione e l’autovalutazione Strumenti utili per l’autovalutazione: portfolio e ePortfolio (portfolio digitale). Descrivono il percorso personale e professionale del soggetto che mano mano li costruisce. Nella versione digitale, si possono inserire anche prove audio e video. Vari utilizzi: - Verifica di come sia stata trattata e compresa una singola disciplina - Per rilevare l’interesse e la motivazione dello studente - Comprendere come si acquisisce nel tempo consapevolezza della propria crescita professionale - Ecc Studi recenti hanno evidenziato come la costruzione del portfolio supporti la personalizzazione dei processi di de-costruzione e ricostruzione dell’esperienza svolta. Il senso di proprietà sviluppato dallo studente conduce alla responsabilizzazione e consapevolezza del proprio percorso identitario. Positivo anche per la valutazione: non si valuta quello che lo studente non sa fare, ma quello che sa fare. 5.5 Valutazione e inclusione Tecnologie utili per la valutazione di studenti che hanno problemi nella lettura e interpretazione del messaggio. Si possono valutare, invece, altre capacità e abilità dello studente (es. creazione di video, podcast, mappe, ecc). 5.6 Open Badge, Blockchain e Blockcert Open Badge sorta di distintivi virtuali che raccolgono dati sul proprio percorso, precisando chi ha assegnato il riconoscimento, in cosa consiste e i criteri utilizzati per l’assegnazione. I badge sono definiti da uno standard aperto, definito dalla Mozilla Foundation e attualmente gestiti da IMS Global. Con questi dispositivi, si introducono nell’apprendimento delle caratteristiche che non sono tipiche di esso:  La Gamification questo sistema diventa simile a un gioco a punti dove completare le sfide significa ricevere attestati di competenza e questo può risultare molto motivante  La visibilità pubblica  chi guadagna una badge può mostrarlo nel suo profilo social o nel suo curriculum  Descrivendo in maniera precisa il tipo di attività che ha portato al rilascio del badge, esso può facilitare la comprensione del rapporto tra attività svolte e traguardi conseguiti. Blockchain connesso agli Open Badge registro digitale che tiene traccia, in modo sicuro e anonimo, delle transazioni che avvengono tra i diversi utenti. Il MIT ha proposto, in relazione a questo, il Blockcerts, che permette la verifica rapida del titolo dichiarato e dell’ente che l’ha emesso. Vantaggio: in un unico spazio tutta la documentazione dei percorsi lavorativi e formativi del singolo diventa un quadro della propria identità personale e professionale. DOCUMENTARE PER CREARE NUOVI SIGNIFICATI: I MUSEI VIRTUALI 6.1 Patrimoni in ambienti digitali. Contesto di riferimento Definizione dell’UNESCO di patrimonio l’insieme delle prassi, delle rappresentazioni, delle espressioni, delle conoscenze, del know-how che le comunità, i gruppi, e gli individui riconoscono in quanto parte del patrimonio culturale trasmesso di generazione in generazione e costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi in risposta al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia. Le opere culturali si trasformano nel tempo, sono malleabili questo porta il visitatore e la sua capacità di creare contenuti aggiungendo al patrimonio, altro patrimonio, al centro. Musei virtuali strumenti per ricostruire e ricollocare oggetti culturali in uno spazio condiviso; entità digitale per la comunicazione e valorizzazione dei beni culturali accessibile al pubblico Jenkins “culture partecipative” si definiscono nello spazio aperto della rete grazie agli strumenti web e social networking con l’obiettivo di favorire l’espressione artistica, l’impegno civico e il senso di appartenenza. 6.2 Musei virtuali: linee di sviluppo Scopo: ampliare l’esperienza museale tradizionale attraverso forme di interazione, personalizzazione e creazione di contenuti. Caratteristiche: o La multimedialità permette un tipo di comunicazione attraverso differenti codici espressivi (testi, immagini, suoni) o La multimodalità la possibilità di agire, scegliere e strutturare in modo personalizzato una varietà di percorsi o La connettività parte di un sistema di rete che favorisce l’accesso a una o più realtà museali, a differenti artefatti e ad un’ampia community. o Museo virtuale si costituisce di riproduzioni digitali di oggetti/opere reali oppure di elaborazioni di due principali tipologie: musei reali su digitale e i musei digitali per l’allestimento di oggetti reali e/o virtuali 6.3 Musei reali su digitale Trasposizioni e/o ampliamenti in digitale delle più importanti collezioni del museo reale. Permettono l’esplorazione di oggetti, l’approfondimento accedendo a contenuti informativi e la creazione di gallerie personali da condividere su social network. Esempio: Museo del Prado. Alcuni di questi musei consentono di visitare monumenti che, essendo andati distrutti, sono stati ricostruiti virtualmente. Questa tipologia di musei si pone come: - Anticipatore , ossia come luogo di preparazione alla visita che sarà poi nel museo reale - Consolidatore , ossia come strumento per approfondire alcuni aspetti di una visita già effettuata nel museo reale - Dilatatore ¸ ossia come opportunità formativa per rielaborare nuovi contenuti e sviluppare percorsi didattici 6.4 Musei digitali per l’allestimento di oggetti reali e/o virtuali Svincolati da musei fisici; possono essere contenitori di oggetti tangibili o costruiti digitalmente. Raccolgono risorse digitali di diverso ambito tematico, accessibili solo mediante strumenti telematici. Esempio: virtual museum dell’Iraq espone il patrimonio storico-archeologico dell’Iraq. Raccoglie manufatti costuditi in musei di tutto il mondo. Navigabile in 3D, ha otto sale in cui gli oggetti sono accompagnati da immagini, schede informative e filmati. Tra questi musei troviamo anche le mostre per tema, allestite in spazi digitali, che raccolgono materiali di una o più istituzioni culturali. 6.5 Mode, Museo digitale con oggetti reali Museo realizzato nel 2008 dal Dipartimento di scienze dell’educazione dell’uni di Bolo. Spazio digitale e multimodale si possono visualizzare contenuti e materiali disposti in sale e atelier virtuali. Due aree (esposizione e documentazione) + una ulteriore area (formazione) si sviluppano su tre differenti piattaforme tecnologiche con specifiche funzioni.  Lo spazio di esposizione  sale e atelier virtuali dedicati ad ambiti tematici specifici. Gli oggetti sono descritti tramite un sistema di catalogazione Dublin Core = oggetto + insieme di informazioni (titolo, soggetto, descrizione, autore, data, medium, formato). In questo modo gli oggetti diventano medium narrativi  Lo spazio di documentazion e  qui sono documentate le esperienze di qualità educativa, realizzate a livello nazionale e internazionale all’interno di contesti scolastici, di ordine e grado. Le esperienze documentante sono fruibili all’interno di un open-access repository.  Lo spazio di formazione  troviamo contenuti didattici e attività cooperative sui temi del patrimonio culturale con le nuove tecnologie per l’apprendimento rivolti a esperti museali in aggiornamento, studenti e insegnanti. Nella piattaforma LCMS sono messi a punto itinerari didattico-formativi, strutturali su moduli scomponibili e riconducibili all’acquisizione e allo sviluppo di specifiche competenze. 6.6. Musei virtuali come banche dati di narrazioni Banca dati = una raccolta strutturata di dati, organizzata in base a categorie e modelli logici diversi, così da consentire una gestione efficace ed efficiente delle informazioni in essa contenute, interrogabili da parte di un utente che si interfaccia tramite modalità multiple di ricerca. Le neuroscienze confermano come l’uomo strutturi e classifichi le esperienze e i dati, in diverse categorie, proprio come nelle banche dati. Queste, quindi, rispondono a un’esigenza cognitiva e sociale. Altra esigenza umana: il raccontare la capacità di dare senso ai momenti, eventi, emozioni che la nostra mente registra è forma di elevata intelligenza si parla di sé narrativo o autobiografico. Queste due tendenze vengono soddisfatte dalle banche dati, che possono trasformarsi in forme di narrazioni non lineari. I dati del web sono organizzati in banche dati, ma l’utente non lo percepisce: siccome può gestire i percorsi da seguire nel web, pensa di crearseli da solo in realtà si trova all’interno di una struttura. I dati sono inoltre organizzati in una maniera più naturale possibile, affinché l’utente riconosca l’interfaccia della banca dati e venga attratto da essi. Questo lascia spazio alle componenti percettive e sollecita l’immaginazione, organizzando i dati in forma narrativa. Alcuni studiosi hanno definito le banche dati come una nuova forma di narrazione, diffusa anche dove l’utente ha la sensazione di trovarsi di fronte a un percorso lineare e sequenziale, ma che è in realtà solo una delle tante trame possibili pensate dal progettista. Il linguaggio che il digital writer utilizza è il Data Definition Language (DDL) che permette di definire la struttura del database e quindi, scrivere una cornice narrativa delle possibili trame esperite dall’utente. 6.7 Musei virtuali come interfacce di partecipazione Nei musei virtuali è possibile avere una interazione diretta tra oggetti e pubblico  nei percorsi dei musei, il visitatore può intervenire allo stesso modo di chi progetta, in una scrittura condivisa. La presenza dei musei sui social porta a una convergenza di tempo e strumenti l’utente può sia raccogliere le immagini delle opere che gli suscitano maggiore interesse, sia creare gallerie/album all’interno di sequenze che ritiene particolarmente significative. Es. la Sala bianca del MOde il visitatore ha uno spazio di rielaborazione di contenuti. Qui, può riallestire, facendo riferimento sia a contenuti interni al museo che esterni gli utenti sono sollecitati a creare nuovi artefatti. Questi artefatti sono strutturati secondo due tipologie: - Artefatto semplice un’unità, semanticamente consistente, che rappresenta un vero e proprio oggetto museale e che può quindi essere catalogato e descritto  Gestione Ambiente di apprendimento in rete = spazio definito dal sistema di relazioni e strumenti che prende corpo in rete con lo scopo di sostenere un apprendimento attraverso un processo didattico, nel quale è possibile riconoscere una dimensione sociale e culturale + è uno “spazio pedagogico”. Qui, l’apprendimento individuale diventa “classe virtuale” l’interazione è valore essenziale per lo sviluppo dell’apprendimento e le tecnologie didattiche diventano “tecnologie di gruppo”. Elementi su cui giocare per l’allestimento del setting e sviluppare il modello didattico sono:  Lo studente e il suo percorso conoscitivo nelle sue diverse forme di apprendimento individualizzato, assistito, collaborativo e reciproco  Il materiale, non solo come contenuto, ma come struttura concettuale che collega le informazioni. In questa fase si sviluppano i Learning Object.  Lo staff docente concentrato a organizzare il supporto pedagogico sia in forme uno-a-uno che uno- a-molti, un “mediatore della formazione”  I gruppo che grazie agli strumenti CMC (Computer Mediated Communication), apre a nuove forme di cooperazione e alla possibilità di realizzare quelle comunità di apprendimento. ORGANIZZAZIONE. Trasformazione della funzione del docente si polverizza e si ricolloca prevalentemente in rete, facendo emergere nuove funzioni di docenza e-tutor e nuove carriere digitali. COMPETENZE E PRATICHE. Importante è la moderazione, nella forma di servizi di assistenza e tutorship, in sincrono e asincrono, condivisione e collaborazione a livello di community. Importante è la flessibilità nei contenuti permette l’autogestione e l’autodeterminazione del proprio apprendimento. DOCENTE-TUTOR. Lavora per ottimizzare la situazione di apprendimento, spingendo verso l’integrazione e la comprensione reciproca tra committenti, staff di formazione, corsisti. Si occupa anche degli aspetti emotivi e-moderator. COMMUNITY. Nell’apprendimento online si partecipa a attività di una comunità qui si utilizzano strumenti, si condividono modalità di soluzione di problemi, si negoziano norme, valori, obiettivi, ecc. E-LEARNING 2.0 Nasce con il web 2.0 La portabilità, la socialità e l’autorialità dei dispositivi digitali introducono la comunicazione a una nuova fase, quella della CMC 2.0  l’attenzione si sposta dalle tecnologie alle pratiche: la sincronia permette una tempestività della risposta. L’immediatezza e la marcatura sociale si uniscono allo “user generated content” che consente la condivisione di contenuti multimediali prodotti dagli utenti. 7.4 Digital Learning I media sono portabili in quanto si emancipano dallo schema della comunicazione mainstream (uno solo trasmette a tutti gli altri lo stesso messaggio) e divengono la tastiera attraverso la quale ciascuno organizza i propri consumi e le proprie pratiche comunicative. La portabilità dei media li fa quasi sparire ai nostri occhi  non ci fa vedere come essi sostituiscano lo spazio fisico con un nuovo spazio sociale che essi rappresentano: attraverso questi si creano comunità unite a diversi livelli (familiare, gruppale, di territorio). La portabilità chiama in causa il mobile learning e il blended learning. Mobile learningapprendimento in mobilità. Permette di avere sempre a disposizione il sapere e le reti di contatto che il soggetto può raggiungere grazie al confronto. Forte attenzione anche sul micro i contenuti devono essere parcellizzati e fruibili in sessioni di lavoro brevi e con frequente ricorso al video. Lo studente è proattivo e indipendente, sa collaborare in modo orizzontale, sa sfruttare sistemi di comunicazione sincrona e si lascia coinvolgere in esperienze che generano apprendimento. In questo senso, si sviluppa il MOOC (Massive Online Open Course), nato nel 2008 e che nel 2014 vede più di 2400 corsi e 16-18 milioni di studenti. Il MOOC è aperto in diversi sensi: nell’accesso (non vengono chiesti titoli di studio come prerequisiti), nel tempo di fruizione e di accesso, nella valutazione dell’apprendimento, nell’accreditamento, nelle modalità di partecipazione e interazione. Questa apertura, però, richiede anche una forte consapevolezza nel soggetto rispetto al suo percorso di apprendimento se il processo di apprendimento era prima legato al contesto fisico (context bound), ora è il contesto come significato culturale (context crossing) che può portare all’atto formativo. Blended learning dai primi anni 2000; combinazione di modalità di istruzione, di metodi in presenza e online. Attenzione all’alternanza tra presenza e mediazione tecnologica  porta alla valorizzazione delle varie componenti e creazione di contesti di lavoro efficaci sia per gli studenti che per i docenti. Ci si muove nella direzione del brick ((formazione pensata nella sua struttura fisica) and click (il digitale). Questa integrazione consente di mantenere comunque il focus sul momento dell’aula, importante soprattutto nei momenti chiave del percorso (inizio, uno o più check intermedi, conclusione). Da un pov concettuale, il blendend proprio perché apprendimento ibridato, ha varie connessioni con fenomeni dello scenario di oggi:  L’apprendimento intervallato  Il ricorso a risorse educative aperte  La capacità di navigare nelle società della post-verità  Apprendimento intensivo  L’utilizzo dei learning analitycs a supporto dello studente  La capacità di cercare/trovare informazioni nella big-data society  L’apprendimento aperto guidato a partire dal “sistema” studente Se a queste aggiungiamo a) la capacità di saper stare in una comunità di costruzione della conoscenza, b) empatia e lavoro di gruppo, ci accorgiamo che questi sono proprio i temi centrali dell’Innovating Pedagogy.  Sintesi della mediamorfosi dell’e-learning Mediamorfosi Prima età Seconda età Terza età Concettualizzazione dell’e-learning Formazione a distanza Classe virtuale Digital Literacy Focus Contenuto Piattaforma Aggregatore Tema-chiave Distribuire l’apprendimento Moderare l’apprendimento Rigenerare l’apprendimento AMBIENTI DI APPRENDIMENTO 8.1 Introduzione Differenza tra  Spazio un’entità (illimitata e indefinita) nella quale sono situati i corpi e i cui vincoli ne determinano le possibilità di movimento  Ambiente più ampio, riguarda il complesso delle condizioni esterne, materiali, sociali, culturali, nell’ambito delle quali si sviluppa, vive e opera un essere umano Concetto di ambiente più adatto per un ambito didattico e pedagogico enfatizza il ruolo delle condizioni sociali e culturali che contraddistinguono i contesti in cui avvengono le azioni didattiche. Ambiente per l’apprendimento spazio definito dal sistema di relazioni e strumenti che pende corpo in rete con lo scopo di sostenere un apprendimento attraverso un processo didattico. Nel cyberspazio esistono i luoghi e i non luoghi. Esempi di non luoghi: mezzi di trasporto, grandi centri commerciali perché sono identici e ripetitivi in qualsiasi angolo della terra, oltre che non identitari, relazionali e storici, a differenza dei luoghi antropologici. Gli spazi della rete sono più vicini al concetto di “luogo” perché presentano un’identità specifica e una storia. Nel digitale, esempi di luogo: alcuni forum dove si trovano narrazioni e storie di membri che dichiarano un forte senso di appartenenza. Non-luogo: una piattaforma e-learning in cui sono presenti learning object tra loro molto simili. 8.2 La coerenza tra ambiente e processo didattico Molti studi sulla relazione tra processo didattico e caratteristiche dell’ambiente. Weinstein ha considerato la compatibilità tra stile didattico adottato dal docente e lo spazio fisico; Varela, Thompson, Rosch e Rossi hanno analizzato la connessione tra soggetto, corpo e mondo nei processi di conoscenza, e valorizzato l’importanza per l’apprendimento dell’accoppiamento strutturale tra ambiente e soggetto. ISOMORFISMO “reciproca corrispondenza tra due diverse strutture” ambiente è isomorfo a un processo didattico quando ha delle caratteristiche e strumenti compatibili con esso = quando non solo rende possibili le azioni didattiche, ma le suggerisce. Questi processi di rendere possibile e suggerire dipendono dalla soggettività delle persone importanti la dimensione affettiva, la dimensione emotiva, il principio di adattamento. Isomorfismo mancato può generare difficoltà nel raggiungere livelli di efficacia desiderati. Dimensione affettiva  riguarda il consolidamento dei significati che ciascun elemento dell’ambiente genera nei singoli partecipanti. Ogni ambiente ha le sue caratteristiche legate a funzioni e strumenti presenti che vengono conosciute e perfezionate nell’uso. Azioni sperimentate e ripetute in un ambiente o metafore conosciute determinano i processi di previsione quando si accede a un nuovo ambiente e portano i soggetti nella scoperta a ricercare funzioni simili ovvero a costruire un’isomorfia. Per tener conto della dimensione affettiva costruendo un nuovo ambiente, bisogna analizzare le funzioni da prevedere + indagare le abitudini dei soggetti e i cambiamenti che dovranno subire. Sottinteso: ogni nuova tecnologia ha nuove modalità operative il fatto che gli utenti cercheranno qualcosa di conosciuto, limita le potenzialità dell’innovazione. Dimensione emotiva  tiene in conto gli studi della “affective neuroscienze” postula che il giudizio è influenzato da elementi soggettivi connessi alle potenzialità motorie, e a caratteristiche corporee come la frequenza cardiaca, la pressione ecc. Altri studi dimostrano che se un soggetto è esposto a lungo a un ambiente che genera stress, questo può incidere sull’apprendimento e sulla memoria. Altra causa di stress: un ambiente poco trasparente che richiede uno sforzo eccessivo di comprensione da parte del docente o dello studente. Isomorfismo, dimensione affettiva e dimensione emotiva si intrecciano un ambiente che ha elementi riconoscibili, che è emotivamente coinvolgente, ma non è isomorfo alle finalità didattiche, potrebbe risultare ostico. Adattamento  la maggior parte delle tecnologie usate per scopi didattici non nasce con questa finalità, ma viene “adattato” questo è positivo da un lato perché ripropone processi consolidati, ma negativo perché potrebbe proporre delle logiche non sempre coerenti con le finalità didattiche. Negli ultimi anni si stanno sviluppando tecnologie nate specificatamente per la formazione, es. DEPIT. 8.3 Il setting Setting nel linguaggio comune = contesto; questo concetto si sovrappone in parte con quello di “ambiente”, introduce la dimensione temporale e mantiene le condizioni geografiche e culturali. In didattica setting = tutto ciò che riguarda il contesto di un’azione educativa, comprese le condizioni temporali, quindi lo spazio e il tempo dell’evento didattico. Se in presenza, il setting è uno solo per tutti gli studenti, online il tempo si dilata e può essere differente. Da uno studio specifico sugli ambienti online, i Questo disallineamento determina che gli usi didattici della AR e della VR non dipendano dalla fedeltà della simulazione, quanto dalla possibilità di:  Adottare diversi punti di vista soggettivi per comprendere le caratteristiche di un oggetto o la natura di un concetto  Fare esperienze compiendo azioni su una base di opzioni che non sarebbe possibile proporre nelle condizioni presenziali  Aumentare le condizioni di autenticità di un compito 8 .4 Sistemi adattivi e ambienti per la didattica automatica Diversi sistemi che per l’insegnamento che sostituiscono l’azione di un tutor/docente. Si basano sulla previsione di percorsi didattici, che si riprogetta in itinere in base all’utente, al suo profilo e alle sue risposte; sulla possibilità di dare dei feedback il più possibile “umani” (Partial e Totally Adaptive Devices). Oggi, le ricerche legate all’intelligenza artificiale favoriscono la creazione di sistemi adattivi più complessi, cioè in grado di cambiare gli output in seguito all’esperienza dello studente. Lo scopo di questi sistemi più moderni è quello di simulare nel modo più accurato possibile la risposta di un tutor in carne e ossa, sullo schema after action review feedback. I sistemi più interessanti sono quelli che utilizzano tecniche di Data Mining in Education per: o Agevolare i processi di analisi e visualizzazione dei dati mettendo in evidenza quelli più rilevanti o Fornire feedback specifici per i formatori riguardo i risultati degli studenti o Fornire suggerimenti per gli studenti riguardo la possibilità di personalizzare i percorsi o Presentare previsioni delle performance degli studenti sulla base dei risultati passati nei diversi campi o Identificare modelli di comportamento degli studenti o Prevedere eventuali problematiche legate ai percorsi degli studenti o Fornire suggerimenti sulla creazione dei gruppi o crearli automaticamente sulla base di parametri selezionati o Fornire social network analysis per comprendere le relazioni tra gli studenti o Suggerire ai docenti mappe concettuali sulla base dei contenuti trattati nei corsi o Automatizzare le costruzioni dei corsi e dei percorsi, nonché pianificare e schedulare format di percorsi. Interessanti sono gli automatismi pensati per arricchire i processi di Self-Regulated Learning, fondamentali per lo scaffolding degli studenti online che devono sfruttare efficacemente le risorse digitali e utilizzarle in modo appropriato. Si potrebbe arrivare ad ottenere sviluppi concreti e utilizzabili di PLE (Personal Learning Environment), ma per ora non ci sono effettivi riscontri nella pratica dato il forte livello di autonomia e capacità di richieste dei singoli discenti. Gli sviluppi dei protocolli xAPI (utili per aggregare i dati e analizzare dati provenienti da diversi ambienti) stanno già aprendo nuove prospettive che garantirebbero maggiore trasparenza nell’uso dei PLE e favorirebbero un maggiore isomorfismo tra finalità didattiche e ambiente di apprendimento. Conclusioni Possiamo creare una categorizzazione degli ambienti costruiti almeno in parte attraverso tecnologie digitali, secondo tre dimensioni: 1. La natura dell’ambiente, che può essere costruita come combinazione degli stati presenza o rete, a loro volta integrati in processi blended, transmediali o di realtà aumentata 2. L’immersività dell’ambiente, considerata secondo livelli di aderenza dello stesso e degli strumenti presenti in esso a quelli di una realtà autentica che permette di situare i processi 3. Il tempo dell’azione didattica, considerato secondo possibilità che l’ambiente possa configurare setting sincroni e/o asincroni. Le tre dimensioni non sono inscindibili si aggregano e concorrono nella costruzione di processi formativi sempre più articolati. La categorizzazione degli ambienti Situazioni sincrone Situazioni asincrone Presenza – strumenti mediali non immersivi Aula, tecnologie per l’aula (videoproiettore, LIM, o2o) / Presenza – strumenti mediali immersivi (allestimento di ambienti/mondi dove situare l’insegnamento) Headset VR o AR in situazioni dove sia possibile la negoziazione, collaborazione sincrona con soggetti presenti Headset AR in sito con istruzione programmata Online – strumenti mediali non immersivi Videoconferenza, chat, documenti condivisi Es. wiki, forum, scrittura collaborativa, documenti condivisi Online – strumenti mediali immersivi Visori VR o AR in situazioni dove sia possibile la negoziazione, collaborazione sincrona online Headset VR in ambiente simulato con istruzione programmata MEDIA EDUCATION 9.1 Comunicazione ed educazione: una storia lunga La storia della comunicazione umana risponde a due principali logiche: 1. Logica burocratica (Weber) la burocrazia = possibilità di mettere ordine, un’istanza organizzativa. Dalla comparsa della scrittura, questa istanza burocratica va cercata nel tentativo dell’uomo di creare qualcosa che lo sostenga nella memoria la scrittura nasce per risolvere problemi, aiuta l’uomo nella gestione delle sue occupazioni. 2. Logica educativa grazie alla scrittura, e informazioni sono fissati in modo da essere sempre fruibili in futuro, senza pesare sulla memoria risponde a un’esigenza di registrazione. Questa esigenza non è solo per le cose più pratiche, ma anche per trasmettere da una generazione all’altra quel qualcosa che caratterizza e determina una comunità. Questa trasmissione rende possibile l’inserimento dell’individuo nel gruppo Prima della scrittura trasmissione culturale per mimesi, poi per comunicazione orale. Contenuto della trasmissione: comportamenti, usanze, forme della cultura materiale, regole, codici, leggi. Quando c’erano troppi elementi e diveniva difficile ricordarli a memoria, si introduce la scrittura. La comunicazione è essenzialmente educazione la Media Education nasce insieme alla comunicazione stessa e risponde alle varie preoccupazione che riguardano i media ora, la scrittura prima. La paura che i nuovi media portino a qualche forma di decadimento cognitivo (la scrittura e i media indeboliscono la memoria), la paura che chi ne fa uso non abbia le competenze per farlo in maniera autonoma e consapevole, il rischio del fraintendimento e dell’incomunicabilità. 9.2 La questione dello sguardo Cambiamento nella storia della comunicazione e nella riflessione sui suoi risvolti educati nel 900strettamente legato alla diffusione di alcuni mezzi di comunicazione, come la radio, il cinema e la tv. Due ragioni che spiegano il cambiamento:  Radio e cinema sono i primi media di massa la stampa era molto richiesta e diffusa, ma comunque, per accedervisi, era necessario che si sapesse leggere. La radio e il cinema, invece, non richiedono particolari competenze sono più facilmente fruibili questo spiega l’interesse verso di essi da parte dei totalitarismi novecenteschi  questo preoccupa molti studiosi del tempo che espongono una paura verso il pensiero unico, la perdita dell’originalità in favore della serializzazione e la necessità di sviluppare nello spettatore pensiero critico sono argomenti mediaeducativi.  La centralità dello sguardo nei media. La cultura occidentale ha un deciso orientamento visivo. La conoscenza tipica occidentale è basata sull’idea che si conosce qualcosa quando la si è vista. La vista è il senso più nobile di tutti e costituisce un accesso alla parte più propria dell’uomo, la sua componente razionale (l’occhio è lo specchio dell’anima). Anche nel Medioevo, infatti, grande attenzione all’educazione dello sguardo, soprattutto delle fanciulle. Il cinema e la televisione, prevalentemente visivi, sono pericolosi perché espongono allo sguardo dello spettatore i corpi e le cose mostrando quello che si ritiene si possa vedere e anche quello che si ritiene non si possa vedere. 9.3 Insegnare il pensiero critico e la partecipazione Le istituzioni che fanno da mentore alla Media Education sono principalmente l’UNESCO e il Consiglio d’Europa queste hanno un diverso ambito di interesse:  UNESCO ha a che fare con la promozione dei diritti umani. Educare ai media = sviluppare la capacità di conoscere i linguaggi e quindi di recepirne in modo attivo e consapevole i messaggi. Ciò è molto importante soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, dove spesso si instaurano regimi che bloccano la libertà di parola avere accesso al linguaggio significa quindi bilanciare il vantaggio di chi del controllo della parola ne fa una ragione di potere. Disporre dei linguaggi = sviluppare un pensiero consapevole sui messaggi. Pensare criticamente significa non esporsi al rischio di essere manipolati e porta a un riscatto dalla massificazione  Consiglio d’Europaha a che fare con la costruzione della cittadinanza. Nella Dichiarazione di Grunwald (1982), Magna Carta della ME, il tema della cittadinanza è associato al lavoro mediaeducativo. Questo significa comprendere che diritti e doveri sono legati alla produzione e al consumo dei media e che tutti i grandi temi dell’educazione sono fondamentali nella ME: il rapporto tra controllo e libertà, il diritto di accesso, il tema della proprietà intellettuale, la dialettica tra spazio pubblico e privato, il rispetto dell’altro.  educare e educare ai media finiscono per coincidere. A scuola si apprende il senso della partecipazione, si impara a scambiare le proprie esperienze conoscendo altri contesti, si capisce cosa voglia dire esporre le proprie idee scrivendo. Maestri come Mario Lodi hanno sempre concepito il fare scuola come un’attività politica: la scuola è un’attività politica, uno spazio politico qui si formano gli studenti a farsi carico della polis Media Education, politica e promozione dell’uomo sono un trinomio difficilmente dissolubile. 9.4 Movimento e ricerca ME = ambito delle scienze dell’educazione e della comunicazione e del lavoro educativo che considera i media come risorsa integrale per l’intervento formativo.  La ME è una disciplina, un ambito interdisciplinare si colloca tra Scienze dell’Educazione e quella della Comunicazione e da ognuna prende un preciso metodo: o Dalle Scienze dell’Educazione prende i metodi attivi e collaborativi, forme ed esperienze dell’animazione, l’ispirazione di fondo del problematicismo e della pedagogia critica o Da Scienze della Comunicazione prende le teorie degli effetti, i metodi di analisi del testo e del consumo propri della semiotica e degli Audience Studies, il media making.  È anche un ambito del lavoro educativo. La sua storia dice che essa è vissuta del lavoro degli insegnanti, delle associazioni professionali, delle comunità autorganizzate dal basso. In Italia, molto lavoro è stato fatto dalle associazioni di cultura cinematografica in questa direzione  esempi: spettatore/lettore/fruitore concreto e contestualizzato, individuale o collettivo, che quella logica testuale è chiamato a incarnare e attuare.  Un secondo livello l’analisi dei consumi costituisce una componente della decostruzione del sistema mediale: emergono le forze che articolano la domanda, le strategie di marketing che danno forma al pubblico di un determinato prodotto  Un terzo livello l’analisi dei consumi è ancora più pertinente rispetto agli obiettivi mediaeducativi: si analizzano le abitudini, i gusti, le pratiche quotidiane dei soggetti coinvolti nell’intervento formativo per riconoscerle non solo come parte integrante del sistema dei media, ma anche come attività sociali dotate di senso. Mentre i primi due livelli ci aiutano a capire come funziona la macchina mediale nel suo complesso di offerta e domanda, l’ultimo spinge i destinatari della ME a pensarsi riflessivamente e soggettivamente come pubblico, di acquisire maggiore consapevolezza delle sue pratiche di consumo mediale. 10.3 Oggetti e metodi In questa analisi, oggetti diversi richiedono metodi di rilevazione differenti e specifici + il metodo adottato contribuisce a istituire teoricamente il proprio oggetto e dargli una particolare forma. Ogni metodo costituisce il fenomeno di consumo interpretandolo in modo particolare. I primi approcci proposti sono più quantitativi e oggettivanti, mentre gli ultimi sono più qualitativi e narrativi. I primi forniscono alla ME dati già confezionati, i secondi sono anch’esse delle risorse metodologiche che possono integrare percorsi originali di ricerca-azione 10.3.1 Rilevazione statistica Strumento quantitativo finalizzato a misurare un determinato fenomeno in un certo lasso di tempo, spesso sulla base di rilevazioni periodiche Le fonti del dato sono di solito istituzionali. Es. le statistiche culturali messe a disposizione dall’Istat. Per ciascun ambito di ricerca, la tipologia del dato cambia: es. per i musei sono messi a disposizione i numeri assoluti dei visitatori in un anno, mentre per il cinema e il teatro, la percentuale di individui con pari caratteristiche che hanno assistito almeno una volta nell’ultimo anno a uno spettacolo cinematografico o teatrale. Queste statistiche riguardanti consumi mediali e culturali interpretano il consumo come una serie di comportamenti individuali, sconnessi tra loro e riconducibili a degli indicatori oggettivi misurabili (es. il numero di biglietti venduti); più difficile analizzare le diverse pratiche di consumo realizzate da uno stesso individuo, che fa più attività. 10.3.2 Rilevazioni audiometriche Scopo: misurare l’ascolto secondo un approccio positivista, secondo il quale la realtà è osservabile, descrivibile e quantificabile in maniera neutra e oggettiva. Alcuni sistemi di rilevazione audiometrici Auditel: misura il numero di contatti e descrive il più chiaramente possibile il pubblico, dal pov delle varianti sociodemografiche, delle scelte di visione e degli orientamenti di consumo. Audiradio; Audipress, per la stampa; Audiweb, per l’internet. Metodo ci si basa su un campione rappresentativo della popolazione, parzialmente rinnovato in modo periodico. L’unità di consumo degli individui che compongono il campione è rilevata in modo diverso a seconda dei media. Nel caso di Auditel, l’unità minima è il nucleo domestico, perché la tv si guarda generalmente in famiglia. Il dispositivo di rilevazione people-meter, un’apparecchiatura elettronica che rileva automaticamente il canale sintetizzato sul televisore, registra i dati relativi ai membri del nucleo familiare all’ascolto e li trasmette alla banca dati centrali. I dati raccolti consentono di descrivere il consumo televisivo e traducendolo in una serie di parametri: es. il numero di contatti netti (gli individui che hanno guardato almeno un minuto di un determinato canale tv o di un certo programma), l’audience media e lo share. 10.3.3 Survey Indagine che usa il questionario somministrato a un campione rappresentativo della popolazione. Questionario: domande, corredate dalle possibili risposte predefinite dal ricercatore. La somministrazione può avvenire in presenza o a distanza. Vantaggio: platea mista e vasta, produzione in tempo reale di analisi e rapporti + le domande sono variegate e riguardano più ambiti questo permette di verificare diverse ipotesi interpretative riguardo ai fenomeni di consumo. Es. è possibile mettere in relazione le skills digitali degli adolescenti con il capitale culturale familiare, il tipo di scuola frequentato, il device dal quale si accede a internet, la mediazione scolastica, e in che misura queste variabili aumentano o diminuiscono i rischi che gli adolescenti sperimento online. 10.3.4 Intervista Strumento di indagine a carattere qualitativo, non procedura standardizzata, ma molto più narrativo e descrittivo. Finalità: comprensione di una realtà sociale vissuta e valutata in prima persona dai soggetti coinvolti. L’intervista piò essere semi o non strutturata. Fonti principali: il racconto di soggetti che raccontano, interpretano la propria esperienza e il proprio vissuto. Campione normalmente contenuto, a volte limitato a pochi testimoni non ha la pretesa di rappresentare l’universo di tutti gli individui che fanno esperienze simili, ma di far emergere il maggior numero di elementi significativi. Focus sui soggetti e sulla loro interpretazione. Il ricercatore interpreta le interpretazioni altrui. Nell’analisi dei consumi mediali, questa metodologia è utilizzata soprattutto nei Cultural Studies. 10.3.5 Focus Group Approccio qualitativo e discorsivo. Frame più ampio della intervista (tra 4 e 8 individui). L’interesse è sull’interazione tra i partecipanti si introduce la dimensione sociale: si possono rilevare i processi di costruzione sociale dei significati dei messaggi trasmessi, studiare i contenuti della discussione e le interazioni dei membri del gruppo. Il focus group è molto usato per la sua dimensione sociale tende a riprodurre in una situazione controllata le dinamiche di discussione che accompagnano naturalmente le pratiche di consumo mediale. Durante i focus group si individuando anche alcune caratteristiche interessanti, tra le quali il riconoscimento reciproco dei ricordi mediali di ciascuno e l’adozione del pronome inclusivo “noi” da parte dei membri del gruppo. 10.3.6 Etnografia Osservazione da vicino dei processi attivi di consumo e di interpretazione dei media, nei contesti naturali dei loro fruitori. Si ricava una “etnografia del consumo” una forma di immersione del ricercatore nel proprio campo di indagine. Vantaggi: la possibilità di osservare direttamente gli atteggiamenti di interesse, senza doverli riprodurre in modo artificiale. Comunque, anche se si trova nel loro contesto, i soggetti osservati modificheranno un po' il loro atteggiamento + egli è estraneo, quindi è comunque una situazione artificiale. Comunque non tutti i tipi di consumo mediale si prestano a questo tipo di analisi ma, paradossalmente, la diffusione dei media digitali in diversi contesti dello spazio pubblico e la svolta del web 2.0 che ha dischiuso la “parte abitata dell’internet” hanno reso possibili forme di etnografia diffusa e, soprattutto, di netnography (etnografia della rete) prima impensabili e particolarmente funzionali alla comprensione di fenomeni come quelli legati al fandom. Interessante anche l’autoetnografia il caso in cui il ricercatore osserva le pratiche mediali in cui egli stesso è immerso. IL VIRTUALE: IDENTITA’, RELAZIONI, APPRENDIMENTO 11.1 Quotidianità virtuale Il rapporto tra realtà e virtualità è stato oggetto di ricerca in diversi ambiti:  quello scientifico-tecnologico  qui si è focalizzata l’attenzione sulla progettazione di dispositivi che potessero replicare l’esperienza ambientale/fisica  quello antropologico-psicologico  ha investigato sugli effetti di specifiche esperienze virtuali  quello filosofico-estetico ha affrontato il tema dello statuto del corpo e del ruolo della corporeità per i processi di conoscenza Anche oggi la discussione abbraccia diversi ambiti anche a causa della complessità causata dalla pervasività delle attuali tecnologie e dal legame di continuità che essi mantengono con la nostra quotidianità es. gli smartphone sono sempre con noi, ma ancora di più, i dispositivi wearable sono letteralmente addosso a noi (es. smart watch). La loro presenza è quindi continua e fisicamente tangibile. In quale modo l’attuale uso della tecnologia si intreccia con l’esperienza quotidiana? Bisogna spiegare quali azioni sono consentite da tali tecnologie e quale valore diano a tali azioni nell’economia delle nostre pratiche personali e professionali. Grazie a smartphone e tablet, possiamo connetterci in continuazione e in ogni luogo alla rete internet, e in contatto con tutta la comunità di utenti. Queste azioni che svolgiamo sui dispositivi non sono più limitate a uno spazio-tempo specifico, ma contraddistinguono ogni momento della giornata, personale/privato e/o pubblico e professionale generando una commistione di situazioni comunicative in contesti diversi. Dagli studi statistici usare gli smartphone fuori casa o lontano dal posto di lavoro è ormai una pratica diffusa, sia tra gli adulti che tra adolescenti e giovani adulti. È necessario comprendere come avviene la comunicazione e come la quotidianità delle relazioni tra la realtà fisica e la virtualità connotino le nostre interazioni sociali affrancandosi da una visione ossimorica di inclusione/esclusione. Non ha più senso dire che la virtualità è/non è reale. La presenza della tecnologia nella nostra vita quotidiana influisce anche sulla nostra postura identitaria. Goffman parla di “riserva di informazioni” tutto ciò che riguarda l’individuo e su cui lo stesso intende mantenere il controllo (e l’accesso) in presenza di altri. Oggi più che mai c’è bisogno di un controllo attento dei nostri dati. Le implicazioni pedagogiche/didattiche non riguardano solo un target audience molto giovane da educare alle tecnologie, ma anche il mondo adulto in quanto è il concetto stesso di identità, di cittadinanza e di cultura a essere investito da tale impatto. 11.2 Identità Questioni legate al rapporto tra identità e virtualità esistono già da prima della nascita del WWB es. negli anni 80, il The WELL (whole earth ‘lectronic link), funzionante attraverso il bullettin board system era un luogo virtuale di interazione. Quello che cambia con i social media è la connessione sempre più profonda tra mondo fisico e mondo virtuale, tanto che si perde il confine tra identità fisica e virtuale. Assistiamo spesso non solo a fenomeni di produzione di identità plurime (lo stesso soggetto è riconosciuto in comunità/ambienti diversi con nickname diversi), ma alla rivendicazione, da parte dei soggetti coinvolti, di autonomia nell’uso di tali identità online in ambienti diversi da quelli in cui sono nate. È lecita questa operazione? Nel 2012, Google era stato costretto a modificare le regole per la registrazione di account consentendo agli utenti l’uso di nomi “altri” nel caso in cui l’identità a cui rimandava quel nome fosse, in strumenti come Code.org e Scratch attraverso il sistema Code Builder. Lo studente, con esse, può rendere automatiche alcune azioni del gioco (normalmente noiose perché ripetitive) e trovare una spinta motivazionale all’apprendimento del coding in compiti di realtà. edMondo nasce in Italia, per iniziativa dell’INDIRE (Istituto nazionale di documentazione per l’innovazione e la ricerca educativa). È un mondo virtuale 3D costruito sulla piattaforma Opensim. La sua caratteristica è la specificità dell’utenza a cui è indirizzato: solo studenti e docenti molto più sicuro: evitiamo problematiche di molestia tipica di ambienti multiutente non controllati. È gratuito e permette al docente di gestire gli account per i propri studenti, che possono essere coinvolti attivamente in progetti varie, come l’apprendimento delle lingue straniere. Attività di simulazione attraverso roleplaying sono particolarmente accattivanti grazie alla possibilità di manipolazione dell’ambiente (costruzione di ambientazioni) e dell’avatar (travestimenti), ma anche nelle scienze con la progettazione, ad esempio, di percorsi con approccio inquiry-based learning in cui, grazie alla simulazione di fenomeni fisici o chimici lo studente è coinvolto nella scoperta attraverso l’interazione con l’ambiente e con altri utenti-avatar. La dimensione della socializzazione e della condivisione hanno contribuito molto alla diffusione di questi mondi virtuali e al loro uso nell’ambito scolastico. PROGETTAZIONE DI PERCORSI DI MEDIA EDUCATION 12.1 Media Education e New Media Education Il concetto di ME muta nel tempo seguendo le evoluzioni delle tecnologie e dei media stessi. Al concetto di ME si sono sostituiti talvolta concetti come new media, social media, media literacy o mobile media. Notiamo alcune differenze e evoluzioni. Sulla base degli studi di Dovey e Kennedy, Media Studies New Media Studies Gli effetti della tecnologia sono socialmente determinanti La natura della società è tecnologicamente determinata Pubblico attivo Utenti interattivi Interpretazione Esperienza Spettatori Immersione Rappresentazione Simulazione Media centralizzati Media ubiquitari Consumatori Partecipante/co-creatore Lavoro Gioco Nella colonna a sinistra i termini riconducono a una visione, immaginiamo un fruitore che osserva qualcosa che sta di fronte a un oggetto mediale; la colonna a destra non c’è più uno spettatore, bensì utente immerso in un contesto che agisce e fa qualcosa. 12.1.1 La Media Education nella vita quotidiana Come riconoscere la Media Education? Come sottolineare la specificità in un contesto dove tutto è digitale? La Media Education è assimilabile al digitale o no? È sufficiente utilizzare gli smartphone in classe per “fare” ME? Da un pov storico, la ME era più facilmente riconoscente quando anche i Media erano degli oggetti palesemente distinti dagli altri: la radio, la tv, il cinema. Durante gli anni 90, la RAI inaugurò uno dei primi servizi a distanza: vengono creati dei canali su argomenti specifici, come Rai educational o Rai storia, che si differenziavano dai canali generalisti (rai 1, rai 2). Un insegnante poteva consultarli e registrarli per utilizzarli durante le proprie lezioni. Nel caso in cui, poi, si trova interessante una particolare puntata anche di molti anni prima, si poteva scrivere alla rai che, su richiesta, avrebbe poi tramesso la suddetta puntata. La rai stessa comunicava l’orario, così da poterla registrare e poi usare in classe. In questo momento della didattica, gli aspetti di ME erano palesi: i contatti con un network, l’utilizzo di filmati, la fruizione e la lettura di immagini, i commenti, l’analisi ecc. Nel 1995 poi viene avviato il primo Piano di Sviluppo delle Tecnologie Didattiche (PSTD), con piena realizzazione tra il 1997/2000. Con questo piano vengono architettati e costruiti i primi laboratori multimediali nelle scuole e la rete cominciò a entrare a scuola con l’ISDN (la prima rete veloce). Improvvisamente ci si accorse che i media erano dappertutto, non solo dentro la TV. Hanno cominciato a diffondersi, a ibridarsi con le diverse tecnologie. Nel 2005 è nato YouTube che permette di visionare, creare, condividere filmati autoprodotti. Poi sono nate pian piano applicazioni che ci hanno permesso di agire quotidianamente con i media, fino a diventare quasi invisibili: ora li usiamo e basta. In questa situazione di invisibilità agisce la ME odierna. Si parla di convergenza dei media = l’unione di più strumenti del comunicare, fusione resa possibile dalla tecnologia digitale. Significa che fino agli anni 80 i media si basavano su tecnologie diverse e non dialogavano facilmente tra loro. Con la progressiva digitalizzazione degli strumenti tecnologici (anni 90) i media parlano lo stesso linguaggio e si basano sulla medesima tecnologia, dialogano facilmente fino a condensarsi in uno strumento che tutti conosciamo bene: lo smartphone. Vantaggi: abbiamo la possibilità di manipolare tanti oggetti mediali in modo relativamente semplice e rapido Svantaggio: rischiamo di banalizzare queste azioni, relegandole a mere attività meccaniche e automatizzate  da ciò segue una progressiva perdita delle capacità di riflessione. 12.2 Il nuovo significato di progettazione per la ME I poli su cui basare la propria azione progettuale sono essenzialmente due: 1. i media e le loro caratteristiche con l’evoluzione dei media, le loro nuove principali caratteristiche: sono sociali, si possono indossare, vengono sempre con noi, rappresentano e declinano il nostro rapporto con la società, la loro azione si snoda in molti ambienti e contesti. 2. Il termine “Education” ci porta a una serie di questioni: come i media diventano protagonisti di percorsi educativi, didattici o formativi? Cosa bisogna osservare? Come si può definire il passaggio da un significato generalmente sociale dei media a uno prettamente educativo? Progettare un percorso di educazione mediale = far emergere la relazione tra persone e media. Focalizzandosi sull’ambiente scuola, ideare azioni centrate sui media e il loro utilizzo educativo porta a:  Essere consapevoli che esiste una relazione implicita con i media  Rendere palese nell’alunno la relazione tra didattica e media  Individuare alcuni aspetti relativi in qualche misura all’educazione: aspetti cognitivi (come imparo), aspetti sociali (come mi relaziono con gli altri), aspetti etici (come considero gli altri, come sviluppo i miei valori), aspetti estetistici (come percepisco le immagini), aspetti narrativi (che linguaggio utilizzo), aspetti culturali (come si evolve l’idea di scuola)  L’azione didattica costruisce nuoci percorsi per approcciare, elaborare e organizzare i saperi che intersecano le diverse discipline La competenza più vicina all’ME non è la competenza digitale, ma il “senso di iniziativa e imprenditorialità” competenza che aiuta gli individui, non solo nella loro vita quotidiana, nella sfera domestica e nella società, ma anche nel posto di lavoro, ad avere consapevolezza del contesto in cui operano e delle opportunità che gli si offrono. Da un pov pratico bisogna distinguere e riconoscere le declinazioni delle azioni che caratterizzano le tecnologie dell’istruzione e quelle più vicine alla ME. Seppur simili, hanno delle caratteristiche più specifiche:  Tecnologie dell’istruzione maggiormente orientate al ruolo che gli strumenti tecnologici hanno nei processi apprenditivi e nella loro organizzazione. Esempi: il coding, le app per valutare, il registro elettronico, le risorse informative digitali ecc.  Media Education si concentra sugli aspetti culturali, sociali e di cittadinanza. Focus sui linguaggi, sulle attinenze/conseguenze economiche e sociali dei media, sull’idea di società che si evolve insieme ai media, sulle cultura e le percezioni che intercorrono fra le culture. Il documento istituzionale di riferimento per la ME è il sillabo per l’Educazione Civile Digitale, emanato dal Miur nel 2018. Aree principali di intervento:  Internet e il cambiamento in corso  Educazione ai media  Educazione all’informazione  Quantificazione e computazione: dati e intelligenza artificiale  Cultura e creatività digitale. Questo documento è il punto di partenza per la progettazione delle attività da parte dell’insegnante. Esempio: l’insegnante di storia utilizza numerosi articoli digitali di differenti quotidiani per affrontare questioni attuali che hanno molteplici riferimenti ad avvenimenti storici. Se l’insegnante imposta la sua azione in funzione dell’identificazione delle informazioni rilevanti e di come collegarle fra loro l’approccio è vicino a quello delle tecnologie dell’istruzione in quanto gli strumenti sono finalizzati al supporto degli apprendimenti. Se invece l’insegnante si sofferma sulla struttura degli articoli, la forma in cui vengono presentati, come vengono divulgati e chiede agli alunni di riflettere sulle diverse forme comunicative ed espressive approccio maggiormente orientato alla ME. Ovviamente entrambi i processi sostengono e supportano aspetti prettamente cognitivi e/o culturali. È la focalizzazione del percorso educativo che cambia e sottolinea aspetti differenti. Nello schema, il continuum tra le tecnologie dell’istruzione e la ME. Tecnologie dell’istruzione -----------------------------------------------> Media Education La disposizione dei diversi aspetti non assume un valore gerarchico tutti questi concorrono a formare le competenze digitali nei cittadini. 12.2.1 Progettare percorsi di Media Education: fra insegnante e educatore Chi progetta i percorsi della ME? Il media educator egli è una via di mezzo tra insegnante e educatore. Perché?  L’insegnante non può limitarsi a pensare alle discipline e alle loro caratteristiche in quanto la ME esce dall’aula per toccare questioni relative ad aspetti multidisciplinari e concernenti contesti differenziati come la cultura, la politica, la comunicazione  L’educatore non può limitarsi a focalizzare la propria attenzione e i propri sforzi educativi su aspetti trasversali come le competenze sociali o emozionale in quanto le attività di ME impattano sui sapere disciplinari e sulla percezione di essi Per questo l’azione didattica si svolge in un modo che è sia tipico dell’insegnate e delle azioni condotte nel contesto specifico dell’aula, sia dell’educatore che si muove in contesti destrutturali, come il territorio. Bisogna quindi sviluppare una mentalità da networked educators in quanto l’attività di Media Educator si snoda in un ambiente e in contesti talmente fluidi che a volte appaiono scontati, quotidiani. Il suo ruolo è quello di far emergere proprio la peculiarità dei contesti e rendere i partecipanti consapevoli del mondo dei media. Aspetti cognitivi Aspetti narrativi Aspetti sociali Aspetti etici Aspetti estetici Aspetti culturali Partiamo da una domanda: “Cosa sta accadendo nel mondo della comunicazione e cosa nel modo con cui si insegna a leggere e scrivere?” Oggi l’alfabetizzazione nel senso tradizionale non è più un carattere distintivo. È necessario, invece, saper agire in un contesto che è sia multimediale che multiculturale, incontro di culture e diversità linguistiche. La cornice comunicativa e linguistica che ne deriva necessita della capacità di negoziare i diversi significati che provengono da canali e medium diversi. La scuola entra in gioco per accompagnare la sperimentazione di tutti i linguaggi e attraverso una metodologia di lavoro in classe basata sull’esperienza situata, sull’analisi critica, la negoziazione e il confronto continuo. Nel definire il tipo di comprensione favorita dal digitale, Jenkins parla di “comprensione additiva”, per indicare un processo di analisi, aggiunta e confronto tra i pezzi di un puzzle che stanno insieme attraverso il lavoro interpretativo del soggetto. Le informazioni sono disseminate in spazi diversi. Esempio i ragazzi sono abituati a leggere prodotti differenti in maniera circolare e reticolare, non come prodotti a sé, ma come parte di un mosaico. Ciò che il videogioco racconta non è a rimediazione del contenuto del fumetto che ho letto o del cartone animato che ho visto. Il videogioco aggiunge una sfumatura, un pezzo, un commento che rende più significativa la storia disseminata su più piattaforme e raccontata attraverso linguaggi diversi, ma integrati. Non dobbiamo confondere la transmedialità con la multimodalità e la multimedialità. Le dimensioni della multimedialità: la dimensione tecnologica l’integrazione digitale delle possibilità rappresentative caratteristiche dei diversi media, dando luogo a un testo evidentemente “ricco” (dimensione testuale) che unisce audiovisivo, testo scritto e forme grafiche e interattività e che interpella l’orizzonte culturale (dimensione culturale) in virtù della prospettiva immersiva, interattiva e di scambio che essa invita a comporre la multimedialità è complementare rispetto al nostro profilo cognitivo. Per questo essa è collocata nelle pieghe importanti del “fare” e produrre multimediale come pratica di riappropriazione critica da parte del soggetto. La multimodalità fa riferimento a diversi modi di “fare significato”: modi diversi che lavorano su diversi canali percettivi. Esistono diversi “modi semiotici” risorse per significare che vengono costantemente ricreate, mai in maniera arbitraria o anarchica, ma esattamente in linea con ciò di cui necessito, in risposta a una richiesta, a uno stimolo contingente, sia nella conversazione, sia nello scritto, sia nel mio confrontarmi silenziosamente con particolari aspetti del mondo, sia nel dialogo interiore. La multimodalità funziona anche in chiave di comprensione dello stesso messaggio attraverso modi diversi con la sola scrittura, il messaggio sarebbe troppo complesso. Invece, l’uso combinato di tre modi (la scrittura, l’immagine e il colore) porta grandi vantaggi. Ogni modo con una funzione specifica: lo scritto denomina, l’immagine mostra e il colore inquadra ed evidenzia. Cosa comporta la transmedialità per la scuola? Abilita la conoscenza dei linguaggi diversi, senza la quale non saremmo in grado di padroneggiare formati e di interpretare/scrivere i testi di cui la cultura si alimenta. Se ogni medium racconta una parte della storia, le competenze richieste sono molteplici, sia a livello di comprensione del singolo linguaggio, sia a livello di lettura interpretativa. Toccare diversi linguaggi e ragionare in maniera integrata è una delle implicazioni più importanti quando portiamo la ME in classe. 13.3 La dimensione metodologica Un aspetto molto forte in termini di metodo “questioning the media” richiede capacità analitiche e produttive. Significa riflettere sugli spazi, sulla riorganizzazione della classe e sull’integrazione di proposte metodologiche integrate. Si possono insegnare i media? La risposta è probabilmente sì, ma non solo a parole. Si può fare pratica, fare media e pensare ai media. Significa entrare in classe cercando di mettere insieme il fare (tecnica) e il pensare (riflessione), con un obiettivo da raggiungere. Esempio: un percorso finalizzato a discutere di bullismo e cyberbullismo non posso affrontare il tema solo con un incontro frontale, questo darebbe solo una infarinatura generale. Ho bisogno, invece, di strumenti di intervento attivi, basati sul coinvolgimento e la partecipazione. Es con una sessione di brainstorming, un gioco o una lezione dialogata, oppure fargli creare un video. Questa azione di gruppo prevede di: o Organizzar la classe in sottogruppi o Affidare i compiti sulla base di un criterio predefinito e condiviso con la classe o Gestire i processi necessari alla realizzazione di un prodotto coerente nei tempi stabiliti o Analizzare il risultato e ritornare riflessivamente sul prodotto (come formato che comunica), sul contenuto (veicolato dal video) e sullo stato d’animo della classe, in un’azione di debriefing che tocca sia il versante concettuale (cosa ho imparato), sia quello emotivo (come mi sono sentito nel corso del lavoro). Bisogna incoraggiare le attività pratiche in quanto strumento di esplorazione e rafforzamento della comprensione concettuale. Sostegno teorico per l’apprendimento attraverso le attività pratiche:  Freinet pone le basi per una riscoperta del valore della prassi. È indiscusso il senso del fare come mezzo per apprendere non solo concetti, ma modi di essere e di stare con gli altri  Apprendimento per scoperta in antitesi rispetto all’apprendimento per ricezione. La scoperta da parte del soggetto rende significativa la situazione educativa e la classe diventa officina di pensiero, non più contenitore da riempire di nozioni Produrre e lavorare insieme ai compagni, guidati dall’insegnante, implica la revisione del concetto di spazio, che svolge un ruolo decisivo nella relazione educativa e didattica. Non è semplice arredo, ma strategia e possibilità di lavoro. Bisogna rimodulare lo spazio in modo che esso sia funzionale al lavoro mentale. Deve essere funzionale al tipo di lavoro da svolgere:  in forma classica o frontale, quando l’insegnante fornisce le coordinate di lavoro o uno stimolo per attivare la classe  in forma circolare nel caso di un brainstorming o del confronto tra punti di vista incrociati  a isole nel lavoro di piccolo gruppo o per guardare un video su cui fare analisi insieme  in modalità “palcoscenico”, quando si valutano i prodotti dei compagni che vengono esposti e visionati in plenaria L’arredamento leggero e mobile rende molto più agevole questa funzione. Maria Montessori “gli spazi d’aula dovrebbero essere polifunzionali, nel senso di consentire lo studio e il lavoro individuale e di gruppo, la comunicazione interpersonale, il momento corale ma anche l’isolamento, la sperimentazione del nuovo e l’approfondimento specializzato del già acquistato”. 13.4 La dimensione tecnologica Cosa serve per fare ME in casse? Possiamo immaginare almeno 3 scenari: 1. La logica della dotazione tecnica “in school”, che prevede un investimento da parte dell’istituzione. Molti piani economici, bandi regionali e nazionali in questi anni hanno portato a scuola una dotazione tecnica importante, spesso però mancante dell’accompagnamento tecnico e metodologico. A volte diviene complicata la fruizione di questi dispositivi: devono essere almeno uno per ragazzo, spesso sono in aule informatiche che però devono essere prenotate ecc. 2. Il BYOD  gli studenti portano il proprio dispositivo, usandolo in chiave didattica durante le lezioni. Vantaggi riduzione dei costi d’investimento, maggiore cura da parte dei soggetti interessati, minori costi di aggiornamento, familiarità con i dispositivi e una maggiore flessibilità organizzativa. Aspetti problematici la definizione di policy d’uso, la compatibilità delle app, la disuguaglianza tra molti studenti con possibilità di acquisto diverse, la connettività, la resistenza di molti genitori.  Bisogna ricordare anche la questione della distribuzione dei dispositivi: one to one, un dispositivo per gruppo (se l’attività è collaborativa e funziona da stimolo per la condivisione dei punti di vista), un dispositivo per “ruolo” (immaginando di organizzare la divisione dei ragazzi sulla base delle competenze e delle funzioni. 3. La ME carta e matita. È il caso, soprattutto, di percorsi attraverso i quali si vuole promuovere consapevolezza critica sulle logiche dei social media sotto i 14 anni, età limite per l’accesso. Anche se i bambini sotto i 14 non potrebbero accedere ai social, comunque questi spesso li posseggono che fare quindi? Far finta di nulla o affrontare queste problematiche riguardanti i media che spesso nascono già in età più giovane? Come soluzione, si possono attivare percorsi di ME che toccano la questione dei media e delle relazioni mediate in chiave progressiva, per abilitare la riflessione, la scelta e non alimentare quella curiosità morbosa che il divieto sollecita attraverso la censura. SOCIAL TEACHERS, SOCIAL FAMILIES: LE TECNOLOGIE NELLE COMUNITA’ DI DOCENTI E NEL RAPPORTO CON LE FAMIGLIE L’utilizzo di social network e di piattaforme online è strettamente correlato a competenze digitali e buone pratiche sperimentate con il supporto di facilitatori e amministratori consapevoli di opportunità, limiti, ruoli e regole di ambienti digitali così complessi. 14.2 Competenze digitali nella società della conoscenza La rivoluzione tecnologica ha portato ad essere sempre connessi con tutti, anche ad avere un continuo accesso a un mondo di informazioni e ha moltiplicato le occasioni di apprendimento. Il concetto di apprendimento, quindi, acquisisce nuovi significati: il lifelong learning definisce la necessità di promuovere strategie di apprendimento lungo tutto l’arco della vita. Questa connessione tra apprendimento lungo tutto l’arco della vita e tecnologie come risorse però non è automatica le tecnologie da sole non garantiscono sviluppo e apprendimento continuo, così come non garantiscono la qualità della didattica, della comunicazione, della condivisione. È sempre necessaria una formazione all’utilizzo delle ICT, una sperimentazione che tenga conto delle variabili in gioco e una riflessione continua. Nel 2010  l’agenda digitale europea 2020 ha proposto di sfruttare le potenzialità delle ICT per favorire l’innovazione, la crescita economica e il progresso e una delle azioni chiave è proprio quella dell’alfabetizzazione e delle competenze digitali. Oltre a questi obiettivi, inoltre, è stata sottolineata la necessità di migliorare le infrastrutture e l’accessibilità. Nel 2013 la commissione europea ha avviato il progetto del “Quadro europeo di competenze digitali per i cittadini” uno strumento in evoluzione, che ha l’obiettivo di migliorare le competenze digitali di tutti i cittadini europei, di orientare le politiche a supporto dello sviluppo di tali competenze, di offrire un framework d riferimento comune per pianificare interventi di formazione su specifici gruppi target. Spinge anche a valutare sé stessi e le proprie competenze, individuando punti di forza e lacune. Attenzione anche alle capacità tecniche + capacità critiche e relazionali, di discernimento e consapevolezza. 14.3 Essere genitori e insegnanti social In Italia l’utilizzo delle tecnologie è in costante crescita: in particolare, WhatsApp, Facebook e YouTube. Strumenti utilizzati anche in famiglia, con consumi diversi in base all’età, status socio-famigliare e capitale culturale. Secondo il Rapporto CIRF (2017)I social media vengono usati anche per mantenere i legami famigliare (es. il gruppo su WA della famiglia è presente nell’80% dei casi). Solo nel 53% delle famiglie le tecnologie diventano argomento di conversazione tra genitori e figli e questa stessa percentuale afferma di aver dato al figlio alcune regole sul consumo di ICT, mentre il 56% non ha protocolli familiari condivisi al riguardo; il 27% dei genitori non parla mai del consumo dei media in casa e il 37% non si preoccupa di ciò che i figli pubblicano online. Si evidenziano quindi scarse capacità critiche e competenze digitali delle famiglie italiane, anche se c’è molta propensione a comunicare sui social o nei gruppi online o a cercare informazioni online. Gli insegnati utilizzo dei social media è ancora una questione critica. È aumentato l’utilizzo dei social per comunicare con le famiglie (es. registro elettronico), ma la comunicazione rimane comunque scarna. Nei che forniscono anche informazioni su tematiche specifiche e che hanno largo seguito anche grazie alla possibilità di riutilizzare materiali, di ampliare e approfondire ricerche, selezionando i contenuti davvero pertinenti. ORGANIZZAZIONE E TECNOLOGIA NELLA SCUOLA CONNESSA 15.1 Il soffio vitale: la scuola smartness Tema del legame tra classe e aule, unità formative e spazi. Nel disegnare la smart school e il concetto di classe aperta, non solo si interviene su un nuovo rapporto tra studente e docente, ma su un’organizzazione diversa della scuola stessa. Non si può ipotizzare una scuola intelligente senza una sua strutturazione intelligente. Delineiamo un nuovo modello di scuola:  Dalla scuola dell’autoreferenzialità con tre livelli: il preside che presiede, i vari organismi collegiali più “organismi di parola” che organizzativi o gestionali, il docente nella sua classe. I decreti del 1974 hanno trasformato quegli organismi di parola in gruppi più organizzativi, moltiplicando non sempre efficacemente i gruppi;  Alla scuola dell’accountability su tre livelli: il dirigente che dirige, cioè indirizza, ha visione di sistema; lo staff, articolato in gruppi, a designazione vocazionale, mirati alla funzionalità che integra l’esperienza didattica; docenti nelle classi che iniziano ad aprirsi in progettualità orizzontali (pari classe) o verticali (classi aperte), con un supporto organizzativo. Aprire alla comunità scolastica significa osmosi tra i tre livelli, perché un progetto di digitalizzazione della scuola dovrebbe partire dalla visione globale del dirigente, essere sviluppato, anche nel contatto con i partner esterni, dal team digitale, rispondere alle esigenze non di una sola classe, ma all’interazione di più classi. Non capitoli separati ma domande e risposte. Punto di partenza per l’apprendimento è l’avere spazi opportuni e gli oggetti su cui riflettere; non serve richiedere più tempo, bisogna gestire bene quello che si ha. Bisogna uscire dalla routine, dalla reiterazione dei consigli di classe questo significherebbe dare tempi precisi alle riunioni, arrivare sempre con una bozza già delineata, raccogliere idee anche sotto forma di mappa di parole chiave, destinare la scrittura dei documenti a poche unità, trovare formule di documentazione replicabili e semplici. Allora anche i gruppi diventano “spazio intelligente dell’innovazione” dove si possono coltivare talenti di competenze anche extrascolastiche, individuare nuovi problemi e soluzioni. 15.2 Il corpo: l’organizzazione tra documenti e gestione Alcuni aspetti che devono essere considerati per innovare anche nell’organizzazione finalizzata alla tecnologia: 1. Rapporto tra tacito ed esplicito i due livelli dietro cui si nasconde l’idea di scuola e che influiscono in maniera decisiva sulle intenzioni di innovazione. Ci sono pratiche che una scuola si porta dietro da anni ma non riesce a esplicitare, sia in positivo che in negativo, il tutto all’insegna del “si è sempre fatto così”. Antidoto? Scrivere ed esplicitare, anche le criticità. 2. Sfasamento dei documenti rispetto alle pratiche  i documenti spesso non rispettano la realtà. È il caso della stesura di documenti troppo burocratici e non sempre rispettati alla lettera. Es. le circolari di istituto che dovrebbero essere un modo per mettere in comunicazione docente e genitore con la scuola come istituzione, ma che spesso sono le più oscure. È vero che si trattano di documenti che rispondono a delle richieste normative spesso cogenti, ma questo non può ridurli a modulistica 3. Dispersione e frantumazione delle risorse centrale è la filosofia di impiego delle risorse umane, strumentali e finanziarie. Conoscere meccanismi, orari di servizio, finanziamenti con i loro tempi, è sicuramente determinante nel conoscere per decidere. 4. Pensare il curricolo Se si ragiona sul curricolo, in modo che caratterizzi le scelte di scuola, che sia il perno dell’idea di scuola, è fondamentale. Coinvolgendo tutto gli aspetti, nella sua realizzazione, anche la valutazione. 5. Apertura e ruolo degli esterni oggi molto diffusa la tendenza a ricorrere agli esperti esterni (messi a disposizione dagli enti locali o pagati dai genitori, oppure figure professioni esterne). Può essere una scuola più famosa per le sue attività proposte da un esterno che per la sua vocazione? Dov’è allora la cifra connotativa dell’offerta formativa della scuola? Es molto attuale è il caso delle scuole aperte aprire le scuole al territorio non vuol dire solo aprire ad altre agenzie, ma perseguire anche la loro finalità e idee di educazione. Il fulcro dovrebbe essere la scuola, non la sua apertura. In sostanza, il modo di apprendere, il supporto tecnologico e l’organizzazione strutturale della scuola devono formare un organismo fortemente integrato essi sono interdipendenti, non è possibile modificarne uno senza modificare gli altri. 15.3 Il cervello: dalla smart school alla smart organization Bisogna assumere una visione sistemica dell’istituzione scolastica, superando la separazione organizzazione/didattica che è in realtà, solo una astrazione burocratica. Allo stesso modo, la distinzione tra attività di coordinamento e supporto da una parte e attività aggiuntive funzionali all’insegnamento dall’altra. Dov’è il confine? Il referente del sito svolge un’azione tipicamente organizzativa o didattica? La gestione di un plesso ha una ricaduta diretta sull’efficacia della didattica? la cifra dell’intervento e impostazione del dirigente può risiedere proprio nei pesi da dare agli ambiti è lui che definisce quello che è importante: il modello, l’idea della scuola. Separar aula da scuola, didattica da organizzazione, risponde al modello di scuola dei “legami deboli” di Weick  organizzazione disintegrata, parcellizzata, in cui all’interno della classe può avvenire anche un forte coinvolgimento professionale, ma poi non ci sono relazioni con il resto e il contesto. riprova di questa idea è la distanza e l’incapacità di comunicare tra figure di sistema, la platea di insegnati e le articolazioni collegiali intermedi. Nota: già impostare i termini della questione in questa maniera (passando dalla didattica, agli adempimenti, alla gestione delle risorse umane e finanziarie) significa ragionare in maniera sistemica. C’è sempre una coerenza tra idea di scuola, didattica, organizzazione e allocazione delle risorse, anche quando non è voluta. Al contrario, per avere un’organizzazione che supporta gli apprendimenti, bisogna puntare sull’apertura: lavorare a classi aperte, insistere sulla verticalità, utilizzare spazi comuni, metodologie comuni, strumenti comuni, in modo da confrontarsi continuamente sugli obiettivi comuni della scuola, non solo intorno a documenti, ma a pratiche didattiche da costruire. Riflettere sull’idea di scuola può essere il punto di partenza per un approccio sistemico, per evitare due fattori di rischio ricorrenti (specialmente nelle scuole con un’idea forte di sé stesse): l’autoreferenzialità e velleitarismo. Autonomia senza sostegno della valutazione comportamenti autoreferenziali; autonomia senza responsabilità diffusa  arbitrio  l’opposto di quello che accade dei paesi OCSE, dove la scuola è orientata ai principi dell’accountability (rendicontazione sociale) nei confronti della comunità locale e nazionale. Accountability richiede una trasformazione di prassi e dei riferimenti teorici: raccontare la scuola, avere un’idea sostenibile, reale, centrata sullo studente è un buon punto di partenza. Riferimento di pensiero che si fonda su questa prospettiva = “valutazione autentica” introdurre elementi di trasparenza, costruire percorsi coerenti, la capacità di applicazione reale degli apprendimenti, attenzione agli esiti, ma anche ai processi, ai dati, ma pure al clima “la capacità di generalizzare, trasferire e utilizzare la conoscenza acquisita a contesti reali”. Parlare di scuola autentica significa trasporre questo approccio di attinenza alla realtà alla scuola che apprende, la cui superficialità è proprio nel far coincidere l’obiettivo un’organizzazione interna trasparente, costruisce e realizza curricola coerenti, si pone finalità e compiti di realtà. Applicando una circolazione continua di saperi e informazioni dalle classi all’organizzazione e alle famiglie e viceversa che alimenta l’idea di scuola, nel presente e in prospettiva. Importante la materia prima dell’era dell’informazione spesso a scuola non si trovano i dati, i documenti e invece raccolta, conservazione e rielaborazione e presentazione dei dati sono centrali è uno dei principali compiti dei gruppi di lavoro istituzionali. 15.4 Gambe e braccia: gli strumenti operativi e la strada Nei lavori di staff, di gruppo, è necessario che si abbiano delle tecnologie semplici, elementari, immediate il sito di una scuola è anche la vetrina dell’istituzione stessa. Per una scuola, già avere le Google apps è un passo avanti fondamentale. Bisogna iniziare a ragionare in termini di documento digitale da far circolare si possono usare applicativi online come Dropbox, semplici e immediati. Che cosa comporterà l’adozione di uno strumento hardware o software e da che cosa si può partire? Una relativizzazione e una concezione strumentale della tecnologia possono aiutare chi inizia. Nella scuola convivono “legami deboli” (l’autodeterminazione dei singoli e delle didattiche) e “legami forti” (la classe, l’aula, l’orario, la materia/disciplina-> quotidiani, razionali, con legami così forti e fissi che diventano difficili da modificare, es. anche nella scuola primaria, dove non dovrebbe esserci, si ha molto disciplinarismo). Quindi per creare una didattica innovativa bisogna tenere in conto entrambi questi fattori, contrastanti tra loro. Ma bisogna, quindi, partire dai singoli che si prodigano e da piccole azioni ma molto all’avanguardia, oppure deve contare sul ruolo della comunicazione e delle relazioni e sulle scelte sistemiche? La scuola oggi è essa stessa complessità circondata da complessità e l’ostacolo maggiore è il tempo, la routine scolastica esso costituisce una irresistibile deriva verso l’irrigidimento di pratiche e pensieri. Senge parla di “complessità di dettagli” (nel gestire l’emergenza, si tende a raccogliere dati, informazioni, a rispondere alle esigenze, ma in maniera parcellizzata) + “complessità dinamica” (situazioni in cui la causa e l’effetto sono sottili e in cui gli effetti degli interventi nel corso non sono ovvi). Va evidenziato che un impatto che non sia sperimentale per trasformare un sistema scuola richiede sempre la grande capacità di porre in atto azioni semplici, di prevenire il ritorno all’inerzia e quanto può sedimentare nel sistema. Punto di partenza, però, è sempre l’idea della scuola che si ha a volte, però, anche se esplicita, può essere diversa da quella dichiarata nei documenti. Ecco degli aspetti su cui si può costruire l’idea di scuola: 1. Congruità scientifica, organizzativa e strutturale dell’idea di scuolal’adozione di nuovi modelli per tutti è un percorso culturale per cui l’innovazione o il cambiamento deve essere inteso come scelta progettuale che determina sia i legami forti, che quelli deboli. Queste scelte portano a una differenziazione di una scuola rispetto alle altre. 2. Leadership educativa l’idea di scuola sicuramente modifica i ruoli della scuola, i luoghi delle decisioni e i rapporti e le relazioni. È importante, quindi, una riorganizzazione per competenza = specificare i ruoli di ogni organismo e le interrelazioni, valorizzare le competenze organizzative dei singoli, passare dall’idea di “commissione” a quella di “gruppo di lavoro”. 3. Riorganizzazione degli ambienti fisici dell’istituto scolastico svincolando l’aula dalla classe, si può personalizzare lo spazio di insegnamento o trasformare, grazie anche ai laboratori mobili, le aule normali in un vero laboratorio scientifico, musicale, ecc. Cambia l’idea di laboratorio luogo dell’incontro dei talenti di docenti e ragazzi, dove ci si sente a proprio agio con arredi e strumenti. Quindi anche l’acquisto degli strumenti diventa funzionale alla progettazione dell’idea di scuola. 4. Riorganizzazione del tempo-scuola aspetto determinante perché si interfaccia alla questione centrale dei tempi e dei modi di apprendimento. Importante anche perché coinvolge direttamente la comunità (es. nella scelta del tempo pieno, settimana corta, ecc). 5. Innovazione didattico-metodologica se una scuola che decide di accostarsi a una idea attiva e laboratoriale dell’apprendimento, è necessario per essa concepire e realizzare in modo strutturale attività di apprendimento laboratoriale che permettano l’autonomia e la personalizzazione dei percorsi degli studenti, soprattutto quelli a rischio. La scuola italiana, storicamente, da quando negli anni 70 ha inserito l’obbligo ed è diventata di massa, ha portato l’apprendimento su una linea costruzione sociale in quanto varie comunità possono riconoscere diversi tipi di autorità. Inoltre, è contestuale nella misura in cui i bisogni informativi possono aiutare a determinare il livello di autorità necessario  La creazione di informazione come processo L’informazione viene prodotta per trasmettere un messaggio ed è condivisa tramite una determinata modalità di erogazione. Il processo che porta alla creazione e diffusione di informazioni è vario e come tale, il prodotto di esso, riflette queste differenze  L’informazione ha un valore Essa possiede diverse dimensioni di valore in quanto bene scambiabile sul piano commerciale, come strumento educativo, come mezzo per influenzare e negoziare la comprensione del mondo. Gli interessi legali e socioeconomici influenzano la produzione e la diffusione delle informazioni.  Ricerca come investigazione Essa è iterativa e dipende dal porre domande sempre più complesse o nuove le cui risposte a loro volta generano ulteriori domande o linee di ricerca in qualsiasi campo.  Scholarship come conversazione Le comunità di studiosi, ricercatori o professionisti si impegnano in conversazioni con nuove intuizioni e scoperte risultanti nel tempo dal confronto di varie prospettive e interpretazioni  Ricerca come esplorazione strategicaLa ricerca di informazioni è spesso non lineare e iterativa, richiedendo la valutazione di una serie di fonti di informazioni e la flessibilità mentale per perseguire strade alternative man mano che si sviluppa una nuova comprensione. Anche il modo di intendere l’IL si è fatto via via più complesso: si guarda all’informazione non più come componente valutabile singolarmente, ma come elemento inscindibile dalla sua stessa interpretazione frutto di un processo di ricerca e contestualizzazione orientato a un fine. 16.2.3 Media Literacy Termine che nasce negli anni 70. Definisce le conoscenze e capacità necessarie per poter usare e interpretare i media, in particolare cinema e televisione. La ML può essere vista in due modo:  In un’ottica funzionale la ML consiste nel dotare gli individui di una “cassetta degli attrezzi” costituita da un pacchetto di conoscenze e abilità, in gradi di rendere le persone capaci di comprendere e utilizzare i media  In un’ottica critica focus sulle capacità di analisi, valutazione e riflessione. Quest’ottica implica la creazione di un metalinguaggio: linguaggio in grado di descrivere i linguaggi dei media, le forme e le strutture delle diverse modalità di comunicazione e comporta la comprensione dei contesti sociali, economici e istituzionali della comunicazione, e di come tutto ciò incida sull’esperienza e sulla vita delle persone. La ML include sia la capacità di usare i media, ma anche una comprensione degli aspetti sociali, culturali ed economici ad essi legati. L’attenzione della ML oggi è sempre più rivolta alle nuove forme di comunicazione generate dallo sviluppa dei media  “l’abilità di accedere, analizzare, valutare e creare messaggi in una varietà di contesti”. Le abilità sono:  Accesso riguarda la disponibilità di media/tecnologie e la capacità di individui di aggiornare costantemente le dotazioni hardware e software di cui si avvalgono. Processo dinamico e sociale su cui incidono le risorse cognitive e culturali delle persone  Analisi la comprensione di questi media dipende da uno spettro di capacità di tipo analitico, tra cui la comprensione delle categorie, delle tecnologie, dei linguaggi, delle rappresentazioni e dell’audience dei media. Queste capacità riguardano l’uso di Internet per trarre benefici dalle opportunità offerte in rete.  Valutazione riguarda questioni politico-ideologiche, in relazione alla valutazione: la ML deve promuovere un approccio democratico e plurale alle rappresentazioni online oppure deve operare una distinzione in termini più tradizionali tra buona e cattiva informazione/comunicazione?  Creazione del contenuto gli individui conseguono una maggiore e più profonda comprensione dei media, se hanno esperienza diretta di produzione di contenuti, e che internet offre inedite opportunità sotto questo profilo. 16.3 Le competenze digitali: modelli e definizioni L’espressione digital literacy o digital competence è più recente rispetto alla literacy considerate nel paragrafo precedente. Il primo a parlarne è stato Gilster (1997) ha definito questa competenza enfatizzando le capacità di pensiero critico e di valutazione dell’informazione più che le abilità tecniche. Altre definizioni:  Tornero (2004) la DL risulta dalla combinazione di una serie di capacità: aspetti puramente tecnici, competenze intellettuali e anche competenze relative alla cittadinanza responsabile  Martin (2005) la competenza digitale = la consapevolezza, l’attitudine e l’abilità degli individui di utilizzare in modo appropriato gli strumenti e le opportunità digitali per identificare, accedere, gestire, integrare, creare media e comunicare con gli altri, in contesti specifici della vita reale, per dar vita ad azioni sociali costruttive e riflettere intorno a questo processo.  Midoro (2007)  evidenzia il carattere multidimensionale della competenza digitale, indicando come sue componenti la media literacy, l’information technology literacy, l’information literacy e la network literacy intesa come capacità di lavorare in rete  Eshet-Alkalai (2004) include nella DL la capacità di leggere istruzioni da interfacce grafiche, l’abilità di avvalersi delle capacità di riproduzione del computer per creare prodotti nuovi, sia attraverso la composizione scritta che la produzione creativa, la flessibilità cognitiva che rende capaci di gestire/costruire conoscenza ipertestuale non lineare, l’abilità di valutare criticamente la qualità dell’informazione digitale.  Calvani, Ranieri e Fini (2010) saper esplorare e affrontare in modo flessibile situazioni tecnologiche nuove; saper analizzare, selezionare e valutare criticamente dati e informazioni; sapersi avvalere del potenziale delle tecnologie per la rappresentazione e soluzione di problemi e per la costruzione condivisa e collaborativa della conoscenza, mantenendo la consapevolezza delle responsabilità personali, del confine tra sé e gli altri e del rispetto dei diritti/doveri reciproci. In questa definizione, troviamo tre fondamentali dimensioni: o La dimensione tecnologica: capacità di natura metacognitiva definibili come il saper valutare il potenziale delle tecnologie per la soluzione di problemi simili a quelli della vita reale o La dimensione cognitiva: la capacità di leggere, selezionare, interpretare e valutare dati, costruire modelli astratti e valutare informazioni considerando la loro pertinenza, l’affidabilità e i contesti di produzione e uso della conoscenza o La dimensione etica: riguarda la capacità di tutelare sé stessi e la propria privacy, di comportarsi in modo adeguato e nel rispetto degli altri e include la consapevolezza dei divari sociali legati allo sviluppo delle tecnologie. Nel 2013, il Joint Research Centre – The Institute for Prospective Technological Studies ha sviluppato il DIGCOMP un Quadro di riferimento per la competenza digitale che approfondisce le indicazioni delle Raccomandazioni, integrandole con i contributi offerti di vari studiosi. 12 competenze riconducibili a 5 aree principali:  Area di competenza 1 – information literacy tutte le conoscenze e abilità relative alla ricerca, selezione, valutazione, memorizzazione e recupero delle informazioni  Area di competenza 2 – comunicazione e collaborazione la capacità di interagire in modo responsabile con le tecnologie, di condividere contenuti e di collaborare con gli altri  Area di competenza 3 – creazione di contenuto digitale  la capacità di creare, modificare, ricombinare contenuti digitali in modo creativo e nel rispetto del diritto d’autore  Area di competenza 4 – sicurezza  tutte le conoscenze e abilità necessarie per mettere in sicurezza i propri dispositivi, proteggere i propri dati personali, tutelare il benessere fisico e psicologico, e proteggere l’ambiente  Area di competenza 5 – problem solving le capacità utili per affrontare problemi tecnologici, individuare soluzioni innovative con le tecnologie, aggiornare le proprie competenze digitali Il modello DIGCOMP, a differenza di quelli di Calvani, Fini e Ranieri, non include gli aspetti etico-sociali legati al digitali. 16.4 Competenze digitali, formazione, cittadinanza La “saggezza digitale” non nasce semplicemente da una famigliarità con i dispositivi elettronici. Jenkins e colleghi (2006) indicano tre gap che le istituzioni educative devono colmare delineando politiche mirate:  Il gap partecipativo l’accesso iniquo alle opportunità, esperienze, competenze e conoscenze necessarie per preparare i giovani alla piena partecipazione alla società del futuro.  Il problema della trasparenza le sfide che i giovani devono affrontare per acquisire chiara consapevolezza del modo in cui i media influenzano le loro percezioni del mondo  Le sfide etiche legate all’esigenza di preparare i giovani ai nuovi standard etici che dovrebbero configurare le loro pratiche come produttori di media all’interno della comunità online. Sul piano educativo, è necessario direzionare l’attenzione dei giovani verso temi come:  La valutazione dell’affidabilità dell’informazione  I problemi legati alla privacy e alla gestione dei dati personali  La capacità di avvalersi delle tecnologie per costruire conoscenza e così via In termini didattici, si tratta di allestire situazioni di insegnamento/apprendimento in grado di coniugare o alternare azione e riflessione, produzione e analisi, creatività e attenzione critica. Calvani  i percorsi di apprendimento vanno predefiniti in modo che consentano all’alunno di imbattersi in forma quanto più spontanea possibile in nodi e quesiti cruciali capaci di innescare riflessioni significative. Si parte con attività pratiche selezionate e obiettivi che comportano prodotti tangibili sapendo tuttavia che la dimensione produttiva deve collegarsi a momenti di “distacco” riflessivo favorito da specifici stimoli. La formazione non deve riguardare solo gli studenti, ma anche gli insegnanti. Il possesso di un buon livello di competenza digitale non porta automaticamente a una didattica digitale efficace. Infatti, anche le nuove generazioni di insegnanti sono sostanzialmente impreparate a formare le competenze digitali dei propri alunni ( ritardo istituzionale nella messa a punto di pratiche adeguate alla formazione). Una eventuale strada da seguire è quella della ME, che attraverso i processi classici di alfabetizzazione ed empowerment, si propone di realizzare la progressiva emancipazione dei soggetti per la piena cittadinanza. DALL’EDUTAINMENT ALLA GAMIFICATION 17.1 Pervasività del gioco Nella cultura occidentale è a partire dal 700 che si inizia a riflettere sul gioco e sul suo utilizzo nella didattica. Definizione di gioco di Huizinga un’azione, o un’occupazione volontaria, compiuta entro certi limiti definiti di tempo e spazio, secondo una regola volontariamente assunta, e che tuttavia impegna in maniera assoluta, che ha fine in sé stessa, accompagnata da un senso di tensione e di gioia, e dalla coscienza di “essere diversi” dalla vita ordinaria. Il gioco e le attività a esso legate sono caratterizzati dall’essere frutto di una scelta libera, che si svolge in un tempo e in uno spazio appositi, diversi dalla vita ordinaria. 2. Si possono utilizzare metodologie rigorose di valutazione, principalmente la experimental comparison si confrontano i risultati del gruppo che ha appreso con la gamification e quello con metodologie non ludiche. LE TECNOLOGIE E LA DIDATTICA DELL’ITALIANO 18.1 Quale educazione linguistica per i mondi digitali? L’uomo di oggi vive in un contesto di profonde modificazioni sociali e tecnologiche blablabla  interagisce con gli altri attraverso le tecnologie digitali la lingua cambia nel passaggio al digitale: la investono ibridismo, multimodalità e ubiquità. Si ibrida e si adegua alla compenetrazione di canali e mezzi comunicativi propri della rete. Quali istanze deve far proprie l’educazione linguistica, affinché possa venire incontro alle esigenze comunicative che via via si manifestano? Sembra necessario cambiare il proprio insegnamento: non si parla più di regole stabili, ma ricerca continua di una serie di risorse per la rappresentazione attraverso la lingua. Come viene preso in carico questo universo di complessità dagli organismi educativi internazionali? Nella revisione delle Competenze Chiave per l’educazione permanente (2018) si parla non più di comunicazione nella madrelingua, ma di competenza alfabetica funzionale l’accento è spostato da una lingua materna legata al concetto di “diritto di sangue”, chiusa entro confini determinati dalla nascita, verso una capacità di esprimersi e interagire nelle situazioni contingenti che può indifferentemente essere sviluppata nella lingua madre, nella lingua di istruzione scolastica, e/o nella lingua ufficiale di un paese e di una regione. La definizione proposta, quindi, pone l’accento sulle dimensioni dei mondi digitali: la multimedialità, la multimodalità, la multiculturalità. 18.2 Il rapporto tra lingua e tecnologie nel contesto scolastico Come recepire a scuola tali sollecitazioni che implicherebbero una revisione dell’educazione linguistica? Nel testo delle Indicazioni Nazionali gli estensori della sezione dedicata alla disciplina “Italiano” nel 2012, non si è tenuto conto di questi cambiamenti, e si è mantenuta la tradizionale frammentazione del curricolo linguistico in oralità, lettura, scrittura, lessico e grammatica. Invece, una progettazione didattica di questa materia dovrebbe partire dall’esigenza di conoscere in modo appropriato i cambiamenti in atto: significa che per poter supporre e proporre un uso consapevole e sensato delle tecnologie digitali in classe, durante le ore di italiano, occorre essere disposti a: 1. Ricercare, conoscere e sperimentare luoghi e strumenti attraverso i quali sono veicolate e condotte oggi le parole 2. Capire come la dimensione onlife faccia parte dell’identità linguistica, personale e collettiva degli alunni e dei gruppi-classe con cui ci si confronta quotidianamente. 18.3 Mondi linguistici e identità L’universo linguistico presente nelle aule scolastiche è molto ampio, variegato e complesso è una nebulosa linguistica in cui si sovrappongono la dimensione scritta, articolata in registri, livelli, funzioni, quella parlata, e quella corporea, fatta di componenti che variando di cultura in cultura e si arricchiscono reciprocamente negli scambi culturali. La consuetudine digitale ha reso il confine tra queste dimensioni piuttosto labile la lingua parlata oggi dalla e nella rete è una lingua ibrida che partecipa degli stilemi propri tanto dello scritto, quanto del parlato, ma anche elementi di gestualità, mimica facciale, simbolizzazione dell’allusione. I parlanti-alunni portano anche in classe il proprio bagaglio linguistico. Conseguenze sul piano didattico l’insegnante non può fare a meno di incontrare l’identità linguistica del suo studente è necessario che la riconosca, affinché si possa instaurare una comunicazione tra loro due e con il resto della classe. La lingua italiana può essere considerata allora il veicolo per accedere alle discipline scolastiche, l’oggetto di studio quando si configura come storia della lingua o storia della letteratura. Secondo il paradigma dell’alternanza, esistono momenti di immersione e distanziamento da parte dei soggetti che praticano la loro lingua e contestualmente riflettono su di essa. La lingua è contemporaneamente:  Lingua-soggetto  è il vissuto linguistico che ci permette di presentarci agli altri e che ci rende persone, connota la nostra identità personale e le nostre relazioni con il mondo. Diretta relazione con la corporeità, non solo per le basi neurologiche proprie del linguaggio, ma anche per le connessioni tra aspetti linguistici e aspetti senso-motori  Lingua-mondo o meglio lingue-mondo l’insieme delle prassi e forme linguistiche che caratterizzano la nostra immersione in un determinato mondo e lo rendono peculiare rispetto a un altro; le lingue mondo sono i corpi linguistici delle comunità umane.  Lingua-oggetto il momento del distanziamento della lingua per osservarla e riflettere su di essa, in contesti sia formali che non formali, allo scopo di raggiungere competenze di tipo fonologico, morfologico, grammaticale partendo da universi linguistici differenti. Quindi l’insegnante è chiamato all’attivazione di una nuova postura: egli non deve inglobare le tecnologie nell’insegnamento dell’italiano o riflettere sul rapporto tra lingua e digitale, ma deve essere costantemente consapevole che le tecnologie sono nell’uso linguistico e nella sua evoluzione. 18.4 Le pratiche didattiche per l’insegnamento-apprendimento della lingua Come il paradigma dell’ibridazione può entrare nei contesti scolastici consentendo un allineamento dei curricoli di lingua italiana a ciò che la lingua è realmente oggi? Alcuni questioni che la didattica può mettere al centro, nella riflessione linguistica con gli studenti: - Il supporto è ibrido, nel senso che condivide la materialità dei dispositivi tecnologici che contengono gli atti linguistici e l’immaterialità della ricodificazione della lingua in codice binario, trasparente per gli utilizzatori. - Questione della multimodalità  la lingua non è uno dei modi, ma è essa stessa multimodale. L’ibridazione in questo caso è tra lingua social e lingua d’uso - L’integrazione tra analogico e digitale nelle prassi scolastiche comprendere, tramite l’utilizzo di supporti e risorse tecnologiche, come la lingua e gli atti linguistici di produzione e ricezione, possono essere aumentati e potenziati, come la lingua “analogica” possa essere indagata nella sua dimensione profonda. 18.5 La questione del supporto Il dispositivo digitale, che oggi contiene scrittura, ci permette di percepirla come quasi immateriale. Quello che sembrava il futuro (la scomparsa della scrittura a vantaggio delle immagini e della parola) non si è verificato. Infatti, qualsiasi relazione con gli altri, per esistere, ha bisogno di essere registrata su un supporto elettronico. In questo senso, si distingue fra oggetti di scrittura (un libro o un documento scritto), e oggetti-scrittura, nei quali la presenza del linguaggio, sempre più immateriale, presenta però una forte interattività del supporto, proprio come avviene con le pagine web o sugli schermi. Sul piano didattico, da più di vent’anni si riflette sui cambiamenti indotti dal supporto su cui poggiano el parole. Ci sono stati confronti tra testo cartaceo e testo digitale posso essere sintetizzate affermando che sul piano compositivo, il testo digitale, rispetto a quello su carta, resta un testo virtuale perché ogni volta che vogliamo può essere riaperto, modificato e salvato di nuovo questo agevola tutte le operazioni di revisione e permette di enfatizzare o di lasciare traccia di tutte le fasi del processo di scrittura. Se però arriviamo a considerare il testo come solo qualcosa che può essere sempre modificato, arriviamo al punto in cui il libro viene visto come qualcosa di estremamente limitante. I dispositivi tecnologici teoricamente ci consentono una lettura agevole in ogni luogo in cui ci troviamo. In realtà un tablet o uno smartphone non sono nati primariamente per consentire la lettura e infatti offrono tante distrazioni uno sguardo diagonale: l’attenzione di chi si trova davanti a uno schermo, anche se legge, è catturata dall’arrivo di notifiche, da un banner pubblicitario, e quindi distolta dall’azione della lettura del testo di partenza 18.6 L’ibridazione tra lingua “analogica” e lingua “digitale” Anche a livello accademico la sociolinguista e la semiotica sono state influenzate dalla testualità propria del web e hanno modificato alcuni principi, tra cui in primis la dicotomia tra lingua scritta e lingua parlata, così come hanno attenuato le differenze diamesica, ovvero legate al canale comunicativo adottato. Inoltre, l’enunciazione via web è diventata una combinazione di grafica, audio, simboli, parole, segni paragrafematici richiede l’applicazione delle categorie interpretative proprie della multimodalità ed essa è fortemente legata al contesto di riferimento. Si preferisce parlare, infatti, a livello sociolinguistico, di lingue e linguaggi del web, al plurale. Quanto di queste lingue entra nella quotidianità linguistica degli alunni. Alcuni elementi: - La tendenza alla brevità o all’abbreviazione risposta ai limiti di carattere dei social. Riscontriamo, quindi, un utilizzo di simboli al posto di lettere, consonanti singole al posto di doppie (ke al posto di che) - Si trasferiscono nello scritto le modalità di enfatizzazione introdotte dalla mimesi del parlato: i punti di sospensione che vent’anni fa erano quasi usciti dall’uso linguistico comune, ritornano come segno di incertezza, allusività ecc. Allo stesso modo i punti esclamativi e di domanda. L’insegnante non deve immediatamente stigmatizzare come errati questi elementi, bensì deve partire da essi per una riflessione sulla fluidità e sull’evoluzione della lingua - Trasformazione di sintassi e morfologia verso strutture semplificate, che si può evincere dai testi online. - La lingua digitale come oggetto didattico il dialogo e l’argomentazione in rete hanno una propria netiquette, regole di scrittura condivise nelle varie comunità. Assistiamo a una normalizzazione della lingua sociale: : stanno scomparendo il tu telematico, alcuni acronimi (LOL) nati nel periodo pioneristico dei newsgroup, alcune tachigrafie o trascrizioni italianizzate di altre lingue, a causa principalmente delle tecnologie di scrittura predittiva come il T9, che tende appunto a normalizzare la lingua. Vista la pervasività delle scritture di rete, esse dovrebbero rientrare tra gli oggetti del curriculum didattico dell’insegnamento dell’italiano a scuola. 18.7 Alcuni esempi di tecnologie per la didattica dell’italiano Oltre ai dizionari online (tra cui il treccani.org) esistono moltissimi siti a cui attingere, anche per la preparazione stessa dell’insegnante. Possiamo citare le esperienze di lettura aumentata o di social reading, che possono essere molto importanti anche in classe perché consentono di sperimentare vari tipi di lettura e diventarne così consapevole.  Lettura aumentata il testo digitale permette di ampliare il contenuto del libro sia grazie a una serie di rimandi a informazioni a esso connesse in forma ipertestuale, sia alle annotazioni che i singoli lettori possono aver registrato e condiviso con gli altri  Social reading possibilità di una dimensione sociale della lettura. Il rapporto tra lettore e scrittore è sempre più sfumato. La tecnologia influenza anche il modo di produrre testi. Oggi abbiamo a disposizione, oltre il word- processor, anche annotation tool, che permettono di agire su una pagina digitale già scritta per annotarla o enfatizzare parti di testo; blog, molto usati a scuola come luoghi per la pubblicazione di materiali elaborati dagli alunni o per documentare un’esperienza scolastica effettuata; strumenti per costruire mappe mentali o concettuali da usare in fase di pre-scrittura o di sintesi; app per prendere appunti o scrivere note; spazi wiki per lavorare alla scrittura collettiva ecc. LE TECNOLOGIE E LA DIDATTICA DELLA MATEMATICA 20.2.1 Estensione di ambiti e potenzialità I sensori in linea con l’elaboratore  in modo semplice si possono raccogliere molti dati per effettuarne un’analisi statistica. Diventano eseguibili misure, molto laboriose o impossibili da effettuare con metodi tradizionali. Si possono studiare fenomeni che avvengono su scale di tempo molto lungo o molto brevi. 20.2.2 Sistemi dedicati per potenziare il laboratorio La ricerca in didattica scientifica con impostazione Research & Development ha da sempre contribuito allo sviluppo di sistemi prototipati dedicati per uno specifico ambito. La progettazione di questi è fatta in modo che essi siano efficaci nella didattica hardware che garantisca solidità e portabilità dei sensori e dell’interfaccia; alte prestazioni in merito a sensibilità, precisione, affidabilità; versatilità d’uso che garantisca la possibilità di effettuare esplorazioni qualitative come pure buone prestazioni di misura; interfaccia software di immediato utilizzo; rappresentazione chiara dei dati con tabelle e grafici; possibilità di variare i parametri di rilevazione in base alle esigenze. 20.2.3 Miglioramento delle qualità delle misure La disponibilità di sistemi di acquisizione affidabili e precisi consente di analizzare e discriminare fenomeni non lineari e approfondire misure di base con nuovi obiettivi. Si possono studiare fenomenologie tuttora ambito di ricerca come quella della superconduttività. 20.2.4 Possibilità di integrare software, hardware, web Alla raccolta dati con sensori in linea con l’elaboratore si possono aggiungere software per l’elaborazione dati, confrontare esiti sperimentali e simulazione, il fit dei dati con modelli e attività di modellizzazione, ecc. Anche gli smartphone stessi possono essere integrati con sensori esterni e connessi al computer e alla rete attraverso l’uso di apposite app rendo possibile tutto ciò non solo in laboratorio, ma anche a casa. . Gli esperimenti didattici in remoto (RCL) sono una modalità di lavoro oramai tipica di molti laboratori scientifici. 20.3 Ruolo dei grafici in tempo reale (RTL) Per quanto riguarda l’elaboratore, è importante considerare il ruolo per l’apprendimento di attività didattiche basate sulla visualizzazione grafica nel laboratorio in tempo reale (RTL). La visualizzazione di un grafico RTL ha un ruolo fondamentale nel produrre quella riduzione immaginativa del fenomeno con la sua descrizione fisica, che attiva il superamento dei nodi concettuali spesso dovuti al mancato raccordo tra sapere scientifico e quotidiano. Nello studio del moto si può partire dall’analisi di situazioni non artefatte, come quelle di uno studente che cammina davanti al sensore. Gli studenti, seguendo una strategia PEC- Prevision/esperiment/comparison, prevedono il grafico che si attendono di osservare per il loro moto. Questo stimola la formulazione di ipotesi interpretative. La lettura del grafico, la costruzione di grandezze derivate e di fit sulla base di ipotesi interpretative e sviluppano pensiero formale. Per lo studio di stati, processi e proprietà termiche dei sistemi è stato sviluppato un approccio termodinamico, con l’uso di sensori utilizzati come estensione dei sensi. Ricerche condotte con bambini della scuola dell’infanzia e primaria hanno evidenziato uno spontaneo uso degli strumenti grafici/iconici, ragionamento proporzionale e formalizzazione. Hanno documentato inoltre la grande potenzialità dell’uso dei sensori termici nell’aiutare a comprendere la diversa informazione associata a sensazione termica e temperatura, a costruire concetti astratti come quelli di stato termico e temperatura. 20.4 Modellizzare al computer per apprendere La modellizzazione dinamica ha un ruolo importante anche nella didattica scientifica. Soprattutto quando questa è usata per interpretare una fenomenologia, descrivendo l’evoluzione di grandezze fisiche di un sistema, attraverso un modello formale espresso con equazioni differenziali. Questo aiuta perché non richiede delle specifiche competenze matematiche per essere utilizzato, e quindi è alla portata di tutti. Gli studenti hanno anche esperienza di come in ambito scientifico vengono selezionati gli aspetti da guardare di un fenomeno e le grandezze che lo descrivono, la rete concettuale di relazioni tra tali grandezze alla base del modello, la sua traduzione formale. Comprendono il ruolo di parametri di sistema, parametri fenomenologici, condizioni iniziali e al condono, ruolo concettuale degli operatori coinvolti nel modello. Modellizzare consente di andare oltre lo studio dei pochi casi affrontabili con gli strumenti formali di una scuola superiore; consente anche di capire in che modo le diverse grandezze concorrono a determinare l’evoluzione del sistema, senza imparare a memoria la regola; apprende come modellizzare l’evoluzione temporale di un qualsiasi grandezza, a partire da una legge. È importante comunque l’impiego di tutorial. Un diverso approccio alla modellizzazione è ad es. Coach che si basa sul paradigma per cui le variabili sono rappresentate da serbatoi il cui contenuto viene variato da un “flusso”, che corrisponde all’operatore che incrementa la variabile considerata. Il modello viene costruito iconograficamente come mappa di relazioni tra grandezze e tradotto automaticamente in forma analitica e in codice. 20.5 Simulazioni per comprendere la fisica Le simulazioni sono basate su modelli, ma le attività didattiche di simulazione si differenziano da quelle di modellizzazione, perché l’utente esplora gli esiti di un modello, senza accedere a esso. Simulazioni basate su modelli consentono di realizzare ambienti virtuali 2D e 3D interattivi, per esplorare:  Una specifica situazione o esperimento  Un seti di esperimenti realizzabili con uno stesso apparato  Un contesto fenomenologico specifico  Un laboratorio sperimentale tematico (es. un laboratorio in cui l’utente dispone di elementi circuitali diversi per costruire e studiare circuiti elettrici arbitrari)  Un mondo simulato in cui l’utente implementa oggetti con forma e proprietà fisiche diverse e che evolvono secondo la fisica determinata dai principi di Newton. Diversi studi hanno mostrato che attività di simulazione attivano lo sviluppo di modelli e apprendimento, soprattutto se integrati con esperimenti reali. È necessario, comunque, che la progettazione delle simulazioni sia basata sulla ricerca, e le attività siano condotte con strategie di tipo inquiry. Alcuni elementi particolarmente importanti: o Connessione tra fenomeno reale e concetti scientifici o Interattività, attraverso ambienti visivi dinamici, in cui l’utente può scegliere e controllare i sistemi coinvolti, le rispettive proprietà e gli elementi visualizzati o Buone animazioni e strumenti grafici in grado di fornire rappresentazioni multiple o Aspetto grafico accattivante, di adeguata complessità visiva per attivare la curiosità e l’attenzione sugli aspetti di interesse, ma senza sovraccarichi o distrattori o Interfaccia grafica con: controllo intuitivo, possibilità di selezionare e trascinare oggetti afferrabili virtualmente, limitati strumenti di controllo facilmente individuali 20.6 Strumenti ICT per la didattica attiva Tra le diverse potenzialità della LIM favorisce il coinvolgimento degli studenti, attiva la memoria di lavoro condivisa e interattiva, favorisce lo sviluppo del pensiero formale. Alcune sue funzionalità come la gestione di immagini e la rappresentazione a multistrati, consentono di attivare il raccordo tra fenomeno, la sua schematizzazione, la sua descrizione in termini di grandezze fisiche. Insieme alla LIM si trovano i risponditori personalizzati (clicker), simili a cellulari con tastierina alfanumerica. Ogni studente ne ha uno e sono connessi tramite un hub alla porta USB del computer del docente, e gestiti poi dal software della LIM. Con essi si possono anche somministrare a un grande gruppo dei questionari e ricevere un feedback immediato. LE TECNOLOGIE E LA GEOSTORIA 21.1 Insegnare geostoria al tempo del digitale il paradigma della mobilità connota il nostro tempo, e consiste nell’essere circondati da oggetti e sistemi dinamici, olisti ed integrati; ciò impone una lettura critica e dotata di profondità storica della contemporaneità, che ne prenda in carico le varie sfaccettature. È indispensabile leggere il reale attraverso sguardi ricorsivi: - In primo luogo, per mettere in evidenza gli aspetti di continua metamorfosi ed evoluzione che sono presenti tanto nel mondo, che nel racconto del mondo - In secondo luogo, per riallineare il pensiero e tali cambiamenti, attraverso soluzioni semplesse che ne permettano l’elaborazione rapida, efficace ed elegante, tenendo conto dell’esperienza passata ed anticipando il futuro. Connettere passato e futuro per decifrare il presente è la finalità ascritta all’insegnamento della geografia e della storia. Le tecnologie sono a stretto contatto con la geostoria perché esse entrano a far parte anche della trasposizione didattica nel suo complesso, perché modificano le linee storiografiche proprie della contemporaneità e sono parte integrante del racconto storico del presente. L’insegnante di geostoria quindi si accosta al digitale attraverso un doppio sguardo: 1. Per osservare come il digitale ha investito la dimensione della geostoria e ne ha trasformato tanto la produzione quanto la ricezione e l’interpretazione 2. Per comprendere come l’insegnamento della storia possa avvalersi positivamente delle risorse digitali, intese sia come strumenti per connettere spazio e tempo, sia come repertorio di fonti e di narrazioni strutturate e semi-strutturate. 21.2 La storia come disciplina pubblica narrata dalla rete Oggi varie problematiche in questa disciplina. È cambiata la costruzione del discorso storico perché si può contribuire a esso attraverso la rete, ma anche la sua comunicazione, perché viene modificata dai media, con continui processi di revisione e ricodificazione. Bisogna inglobare nel discorso scolastico la prospettiva della Public History soprattutto nella sua declinazione Digital. La Public History è una forma peculiare di storiografia, che non può produrre una configurazione unitaria del mondo raccontato. Se prima la storia era solo una, quella raccontata a scuola, ora questa deve fare i conti con la frammentarietà delle notizie individuabili in rete, ma anche con quella dei singoli docenti. Non sono più importanti la realtà e l’attendibilità dei fatti narrati, ma il modo in cui essi vengono costruiti e riprodotti all’interno di bolle sociali. La bolla è lo spazio digitale di aggregazione di tutti gli utenti che sono accumunati da una visione analoga delle cose la visione è generata da opinioni, non oggettive, narrazioni parallele, piuttosto contrapposte l’una alle altre, come se ciascuna fosse depositaria di una peculiare, ma non dimostrabile, verità. Accanto alle fake news, però, troviamo anche le fake olds, non proprio revisionismo novecentesco, ma simile sono gli usi e abusi pubblici, le richieste fatte alla storia di ridefinire identità, giustificare interessi, legittimare aspettative, fondare senso comune, motivare strategie. La costruzione ad hoc di false evidenze storiche non è un processo nuovo, né ascrivibile alla globalizzazione (es. la donazione di Costantino). Tuttavia, la falsificazione storica operata in rete ha un significato diverso: non è più smascherabile attraverso il metodo dell’indagine storica, perché anche il concetto di oggettività è oramai labile. L’atto di produrre news è oggi atto di costruzione, più che di rappresentazione della realtà, e tutti possono farlo, in una sorta di iper-democrazia comunicativa, che non distingue più tra autorevolezza o meno delle fonti. Le domande sono: quali possono essere le condizioni per andare incontro alle sfide che