Scarica Tecnologie per l'educazione (Rivoltella, Rossi 2019) e più Sintesi del corso in PDF di Didattica Pedagogica solo su Docsity! TECNOLOGIE PER L’EDUCAZIONE PREMESSA Il libro ha per oggetto le tecnologie digitali e ha come obiettivo quello di capire come la loro presenza impatti sulla scuola, sulla formazione e sulla professionalità docente ed è rivolto a studenti, futuri insegnanti della scuola primaria e secondaria, docenti e ricercatori. INTRODUZIONE - TECNOLOGIE E DIDATTICA NELLA SOCIETA’ INFORMAZIONALE UMANO E TECNOLOGIE OGGI 1. La società informazionale Quando internet nasce negli anni 80 come applicazione di informatica sociale di larga diffusione, la cifra che consente di comprendere il suo significato è lo sganciamento rispetto allo spazio e al tempo (everywhere anytime, possibilità di essere raggiunti dalla comunicazione in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento). Internet rappresenta l’esito ultimo di un percorso di evoluzione della tecnologia in Occidente che era iniziato con l’invenzione della scrittura. Prima di questa, si poteva comunicare solo condividendo tra emittente e ricevente lo stesso luogo nello stesso tempo. Ciò limitava le opportunità della comunicazione. I vantaggi erano quelli del feed-back immediato, grazie al quale è possibile prestare attenzione a che non si verificano incomprensioni e il controllo sull’accesso, grazie al quale si decide a chi parlare e a chi no. A distanza di 30 anni si comincia a comprendere che la raggiungibilità sempre e ovunque era una minaccia più che una promessa. Il dispositivo portato in gioco è la possibilità di una vita sullo schermo che si libera dal peso del corpo. Internet sgancia la comunicazione dallo spazio e la rende accessibile dappertutto e in ogni momento perché non ci chiede più di essere fisicamente presenti da qualche parte. È una vita “potenziata”, perché avviene senza il corpo. I MUDs, ambienti online, Second Life sono tutte esperienze di comunicazione in cui si abbandona il corpo seduto davanti allo schermo e attraverso lo schermo si entra in un mondo parallelo. Lo sviluppo della tecnologia non è stato segnato negli ultimi 20 anni dalla separazione tra i 2 mondi, reale e virtuale, ma un’ibridazione, quanto da una interpenetrazione delle due dimensioni: il futuro, oggi, è l’internet delle cose, e non un altro mondo alternativo a quello presente. Non siamo più noi a essere online (o offline) ma i media a essere ONLIFE (Floridi). Ovvero la tecnologia digitale cessa di essere uno strumento attraverso cui si entra in un mondo-ambiente digitale separato da quello fisico ed è invece una dimensione naturale della nostra vita. La tecnologia è diventata una dimensione del corpo (Braidotti). Le applicazioni di Realtà aumentata, sistemi di guida assistita dei veicoli, i Google glasses e google lens, la tecnologia aumenta la nostra corporeità. La Generazione Z (nati dopo il 2000) non hanno mai visto una cabina telefonica; la presenza onlife della tecnologia per loro è la norma. Non è una questione di anagrafica o genetica (nativi digitali) ma di gap culturale, perché si è passati dalla società dell’informazione ad una società informazionale (Floridi). I sistemi d’istruzione devono confrontarsi e rendere significativo il loro ruolo con questa società, cultura e nuovi soggetti. 2. Un nuovo rapporto tra cultura e natura Il dibattito negli ultimi 20 anni ha azzerato la separazione tra mente e corpo, o tra cultura e natura che aveva caratterizzato approcci precedenti. Anche gli artefatti sono un prodotto della natura e della cultura, sono prodotti dagli uomini combinando molecole e atomi, considerando le leggi naturali (come ad esempio gli androidi). Braidotti sostiene che “il fine della posizione post-umana è ripensare l’evoluzione in modo non determinista e al contempo post-antropocentrico”. Con la frase “la tecnologia aumenta la nostra corporeità” intendiamo che la tecnologia non solo potenzia i processi in essere di percezione del mondo come protesizzazione, ma apre e attiva 1 nuove prospettive con cui vivere la realtà, con cui agire, in dimensioni che prima non abitavamo. La ricorsività tra natura e cultura apre nuove strade e si parla di trasversalità e non separatezza delle relazioni. Il post-antropocentrismo Il determinismo delle tecnologie del secolo scorso è superato nelle macchine complesse dell’epoca attuale che hanno componenti meccaniche ed elettriche che interagiscono con quelle elettroniche, digitali e talvolta quantistiche. La trasversalità è prodotta dal dialogo tra le componenti materiali e le informazioni e i linguaggi (onlife), tra corpo meccanico (hardware) e contenuto numerico (software) che trasformano l’artefatto da mediatore – tra umano e ambiente – ad altro con cui l’umano dialoga. Operare con la macchina digitale equivale a confrontarsi con i suoi programmi mettendo in atto anticipazione e modellamento. Oggi la relazione tra uomo e ambiente avviene quasi totalmente attraverso l’interfaccia della macchina digitale. Con lo schermo percepiamo e modifichiamo l’ambiente. A volte lo schermo è esso stesso l’ambiente e presenta una visione modellizzata del mondo. Conoscenza e azione L’artefatto permette di percepire il mondo e di agire sul mondo. Attraverso la zappa si controlla la durezza del terreno, mentre si sminuzza la zolla. Tuttavia, quando l’artefatto da prolungamento del corpo (es. zappa) diventa “altro” e la relazione con il mondo è la relazione con l’interfaccia, si modificano i processi di modelizzazione, di esperienza, di concettualizzazione. Attraverso l’interfaccia si opera sul modello di mondo e i risultati dell’azione (disponibili tramite l’interfaccia) mi diranno, non se procedura e modello sono esatti/inesatti ma se sono sostenibili. Si passa dall’incorporazione del gesto, propria della macchina non digitale, all’incorporazione del modello o del concetto. Il digitale propone nuove forme di ricorsività tra conoscenza e azione, e modifica il rapporto tra conoscenza e esperienza. In passato Dewey vedeva in essa la fonte del sapere. Oggi l’esperienza avviene durante l’attività, in quanto il mondo in cui si esperisce è lo stesso che si sta costruendo, a causa della relazione natura-cultura. L’azione incorpora l’elaborazione concettuale, ovvero diviene processo che organizza e manipola i concetti e produce e modifica modelli mentre agisce sul mondo. (Esempio: progetto con Autocad + stampante 3D). Prima si schizzava un modello che poi il prototipista avrebbe realizzato. Il progettista incorpora il gesto del prototipista e della macchina, anticipando e simulando il processo successivo. Se un tempo era il prototipista a reinterpretare il pensiero del progettista e a reificarlo tenendo conto della fattibilità tecnologica, ora il progettista incorpora anche il processo tecnologico, tiene conto della sostenibilità e prevede in modo più attento l’uso che ne farà l’utente finale. 3. Aggregazione e multi modalità Differenza tra la prima pagina di un quotidiano del fine ‘800, di fine ‘900 e il quotidiano attuale. La prima pagina del primo numero del Corriere della sera (1876) ha 2 articoli da leggere dalla prima all’ultima riga. Nel ‘900 la prima pagina non cambia molto; sono presenti alcuni articoli accompagnati da immagini o disegni; gli articoli continuano in pagine successive ma è possibile leggere ampi stralci nella prima pagina. Negli ultimi 15 anni la prima pagina contiene spesso oltre 20 input e ognuno più che essere simile a un testo è un riquadro, un oggetto grafico testuale caratterizzato da titolo, sottotitolo, poche righe di testo, spesso un’immagine). Il riquadro sembra un messaggio di Twitter. Come cambia il lettore? Il lettore delle pagine pre 2000 doveva decostruire il testo per ricostruire il senso. Oggi il lettore si confronta con i riquadri, si muove velocemente con lo sguardo da un’icona all’altra con percorsi circolari o spiraliformi, legge i titoli e 2 collaboratore e remixer. Sono strumenti per cercare risorse, aggregarle, connettere frammenti. Modalità blended e tool del web 2.0 sono importanti per sviluppare competenze intra e interpersonali e di proporre percorsi in cui la costruzione di conoscenza diviene un percorso attivo. 6. Tecnologie ed educazione, oggi La tecnologia quanto conta? migliora le cose? rappresenta un rischio? Riguardo a questo quesito vi sono 3 punti di vista: 1. Ottimismo ingenuo l’introduzione della tecnologia possa produrre il cambiamento e fare a meno dell’insegnante; 2. Criticismo salvare la scuola dal mercato e difendere la democrazia e la cultura; la tecnologia rappresenta una minaccia ai valori della cultura occidentale e vi sono due idee: 1) antiscientista: la tecnologia dispone di tutto senza più limiti; 2) neoidealista: la tecnologia nega lo spazio dell’uomo in favore della macchina. La scuola deve tenerla fuori, per salvaguardare la capacità di pensare degli studenti e i valori della cultura alta. 3. Evidence based education è meglio non introdurre la tecnologia a scuola. Quindi in risposta alla domanda citata sopra possiamo dire “dipende”. Oltre l’approccio tecno-centrico se ne propone uno socio-tecnologico, che considera le tecnologie come emergenti dalle interazioni tra strutture sociali e organizzative, tra persone e strumenti. Il rapporto tra didattica e tecnologia? I media sono indistinguibili dalla nostra vita e dalle nostre relazioni con le cose e con le persone. Oggi non si può pensare a una didattica senza tecnologie, ma nemmeno a un uso della tecnologia emancipato dalla didattica e dalla pedagogia che essa articola. PRIMA PARTE – LE TECNOLOGIE DELL’EDUCAZIONE CAPITOLO 1 - LA DIDATTICA AL TEMPO DEL DIGITALE 1.1 La cultura digitale Nell’introduzione abbiamo visto che il volume si oppone ad un approccio tecno-centrato (in cui la tecnologia è un corpo separato dall’uomo, dalla cultura e dalla società) e propone un approccio socio-tecnologico (che considera le tecnologie come emergenti dalle interazioni tra strutture sociali e organizzative, tra persone e strumenti). Le finalità di questo capitolo sono: indagare quali siano le caratteristiche della cultura digitale e come la presenza delle tecnologie digitali sia un prodotto del clima socio-culturale favorisca lo sviluppo; analizzare come tale cultura si concretizzi nel mondo dell’educazione. Le ipotesi sono: Il digitale crea spazi di azione in cui si dà corpo ai processi cognitivi, ovvero essi sono associati a operazioni senso-motorie in cui i concetti sembrano diventare oggetti concreti da manipolare, muovere, aggregare; Le operazioni senso-motorie sono favorite dalla struttura a frammenti tipica dell’attuale contesto culturale e sociale e dalla presenza di layout topologici che li aggregano; Gli elementi della cultura digitale (frammento, aggregazione) sono presenti anche nella didattica. Quali sono le caratteristiche principali di un artefatto digitale? L’aggregazione nel singolo artefatto di componenti differenti e autonome . L’artefatto può essere osservato con una visione analitica, che descrive i singoli componenti, e una olistica, che coglie il funzionamento del sistema. Nello stesso artefatto interagiscono diverse tecnologie (mashup) e ciò consente di integrare, ad esempio nello smartphone, dati che provengono dal GPS e dalla fotocamera e costruire così nuovi artefatti. La presenza nelle macchine complesse dell’industria 4.0 di differenti tecnologie: 5 informatiche, meccaniche, idrauliche, elettriche, elettroniche, in alcuni casi quantistiche. Ogni tecnologia ha una sua propria logica e le differenti logiche interagiscono grazie al digitale. La connessione degli artefatti in reti. Vale per i cellulari ma anche per i big data, i cloud e gli ambienti digitali per la formazione. Il frammento mantiene una sua autonomia e specificità, anche se spesso la sua esistenza non avrebbe senso senza la rete. Il morphing la possibilità di modificare il livello di zoom o la granularità dei concetti, anche se il cambiamento di scala determina un salto qualitativo (es. GoogleMap e alla possibilità di passare dalla visione di un singolo edificio/strada a quella dell’intero globo). Aggregazione, connessione, morphing producono quella che Floridi chiama infosfera, una realtà in cui lo scambio di dati digitali crea un ambiente dove l’informazione è il nucleo fondamentale. Dal glossario a un livello minimo, l’infosfera è “l’intero ambiente informazionale costituito da tutti gli enti informazionali, le loro proprietà, interazioni, processi e reciproche relazioni. A un livello massimo, l’infosfera è un concetto che può essere utilizzato anche come sinonimo di realtà, laddove interpretiamo quest’ultima in termini informazionali. In tal caso l’idea è che ciò che è reale è informazionale e ciò che è informazionale è reale” (Floridi). Il digitale è centrale in quanto l’infosfera è resa possibile dalla presenza di una rete che dialoga con un unico linguaggio che connette oggetti, linguaggi e persone. Il reale diviene un’ibridazione tra il mondo percepito con i sensi e quello prodotto dai dati. I dati non sono la descrizione del mondo, ma sono parte del mondo. La cultura digitale non esiste solo in presenza di artefatti digitali. Il mondo digitale è costituito dall’interazione tra società, cultura e tecnologia (3 facce della stessa medaglia). Le tecnologie sono sia il prodotto degli umani sia il prodotto dell’ambiente che le circonda (un oggetto ambiguo). 1.2 Frammenti e il layout Aggregazione, connessione, macchine complesse e morphing hanno in comune 2 elementi: frammento e layout. Prendendo l’esempio della prima del giornale, ma anche pensando a talk show televisivi, ai musei, a Facebook o Twitter. Qui vi sono frammenti auto-consistenti e un layout che li aggrega. Framment i sono espressione della complessità e sono tra loro non riducibili: ogni personaggi dei talk show, ogni notizia del giornale ha una sua identità e una sua specificità. Inoltre ogni frammento è complesso, ovvero leggibile con logiche multiple. Nell’infosfera il senso è costruito localmente (relazioni topologiche) e non è dato a priori, anche se è connesso alla rete globale. Layout non è un organizzatore che supporta la conoscenza ma è azione: nel web 2.0 si naviga, si sceglie, si scrive. Nell’industria 4.0 lo schermo interattivo propone e riceve input, richiede scelte e operazioni. L’azione permette di semplificare la complessità del pensiero. Colville parla di semplessità che descrive come una fusione di un’ampia complessità del pensiero con la necessaria semplicità dell’azione. 1.3 Pensare in formato corporeo Da sempre il pensiero ha dato forma a concetti astratti: nel mondo pre-digitale la codificazione dell’astratto riguardava soprattutto la rappresentazione e l’elaborazione avveniva all’interno della mente umana. Nel mondo digitale la codificazione coinvolge i modi con cui agire sui concetti. I concetti vengono rappresentati fisicamente con parole, disegni, schemi, grafici. Il processo di esternalizzazione della concettualizzazione avviato con la scrittura si amplia nel digitale. Visto che le app richiedono azione (topologiche, senso-motorie) concettualizzare diventa maneggiare concetti come se fossero oggetti. Molte app consentono di operare sui frammenti concettuali, 6 avvicinarli, connetterli, taggarli, assemblarli, collegarli con frecce, annotarli, inserirli in blocchi/forme. In sintesi il digitale dà corpo ai concetti astratti e costruisce uno spazio cognitivo in cui i concetti prendono forma e sono manipolabili con attività senso-motorie (utilizzare corpo e mani per gestire oggetti astratti conoscere/agire). 1.4 Il frammento, il layout e la didattica Molti autori vedono il frammento come un problema, come l’origine di molti limiti come il disorientamento e l’ansia del contesto attuale. Si crede però che non possa essere rimosso se non rinunciando al mondo attuale; allora il problema diventa come interagire con esso e in particolare come operare nella relazione tra frammento e layout.ma che cosa significa frammentazione in educazione? Nella formazione aziendale vi è molto interesse per il micro-learning. Nella didattica scolastica, universitaria, vari sono i modelli che fanno riferimento al micro-learning “la necessità di lavorare su segmenti circoscritti di contenuto, organizzando attorno a essi delle attività brevi, possibilmente di produzione e incorniciando il tutto attraverso istruzioni brevi e riflessioni da condurre ex-post” (Rivoltella). Gli elementi chiave oltre la brevità, sono il ruolo centrale assegnato alle attività degli studenti e la necessità delle cornici, i layout. Rivoltella ha elaborato il metodo EAS (episodi di apprendimento situato) nel quale il docente, e attraverso lui il sapere sapiente hanno il compito di far emergere e valorizzare i frammenti per poi riorganizzarli nel debriefing finale. Se la conoscenza è liquida e gli studenti arrivano a scuola con un sapere acquisito in contesti non formali, al docente spetta il compito di fare emergere tale sapere e sistematizzarlo. Le difficoltà del processo derivano dalla pluralità di contenuti, linguaggi, logiche che emergono e la necessità di una padronanza epistemologica della disciplina che al docente serve per ricondurre a sistema i fili presenti. Il problema del disorientamento deriva non dalla presenza del frammento, ma dall’incapacità di aggregare i frammenti. I metodi di insegnamento attuali spesso propongono schemi rigidi incapaci di produrre aggregazioni situate coerenti con il sapere degli studenti. Il ruolo del docente cambia, opera come tutor che accompagna lo studente nella costruzione in contesto di tali quadri. Perché oggi è efficace il micro-learning?La complessità dei frammenti richiede l’azione, come operazione semplessa, per attraversarli. Il micro-learnig è uno spazio di azione delimitato e sostenibile che funge da contenitore (layout) per portare a sistema la varietà. Con i dispositivi multimodali lo studente opera sulle proprie conoscenze, le confronta con gli altri e costruisce sintesi condivise. Se nella classe linguaggi, testi, culture sono differenti, condivisi sono i layout. Nel passato l’elemento condiviso era il riferimento teorico e culturale, oggi sono le attività e le pratiche la base comune per l’allineamento da cui iniziare il viaggio. Cosa sono layout, frammento, il macro e il micro nell’azione didattica? I frammenti sono connessi a discipline, obiettivi, contenuti; il layout alle attività, competenze, compiti autentici. I frammenti sono anche le Learning Teaching Activity che si aggregano in lezioni, lezioni che si aggregano in moduli, moduli che si aggregano in curricoli. La relazione macro-micro può essere vista a più livelli producendo strutture frattali. Ulteriori livelli che si aggregano nell’agire didattico sono il disciplinare, l’intra-soggettivo e l’inter- soggettivo. Un tempo in pagella c’erano i voti sulle discipline e i voti sulla condotta. Oggi le singole attività intrecciano disciplinare, l’intra-soggettivo e l’inter-soggettivo: lo studente tratta un contenuto, lavora su di esso con un lavoro di gruppo, riflette si come sta apprendendo e si auto- regola. 7 formale e astratto possa rappresentare una variabile critica per l’apprendimento e la ricchezza e la varietà degli stimoli favoriscono la comprensione e la motivazione. Il formato prevalente però è la lezione frontale, caratterizzata da ruoli, tempi e programmi di studio predefiniti. La disponibilità di radio/TV permette le prime esperienze di istruzione a distanza (si pensi al successo del programma “Non è mai troppo tardi”, condotto dal ‘60 al ‘68 sul canale Rai in cui il maestro Manzi insegna agli adulti a leggere e ridurre l’analfabetismo). Nel secondo periodo, in linea con il precedente periodo, si propongono i computer come mezzi per insegnare (es. i programmi di drill and practice, che propongono sequenze di istruzioni e prove di verifica). Solo con l’avvento del cognitivismo e del costruttivismo si inizia a esplorare le potenzialità del computer come mezzo per l’organizzazione personale della conoscenza. Poi abbiamo il terzo periodo quello delle reti. I computer non sono più solo macchine isolate, ma strumenti in grado di accedere alle informazioni disponibili nel mondo e di conseguire, attraverso la comunicazione mediata da computer, processi di co-costruzione e di condivisione del sapere. Nel corso di queste fasi è possibile trovare l’influenza di altrettanti orientamenti della didattica: Comportamentismo: fornisce un rigoroso e attento lavoro di analisi e organizzazione dei contenuti da insegnare e, grazie al lavoro di Skinner anche un’accurata gestione delle modalità di erogazione. Si insegna predisponendo sequenze di “situazioni stimolo” a cui devono seguire risposte comportamentali da parte dell’allievo che devono essere prontamente verificate. Le risposte corrette devono quindi essere confermate e rinforzate (ad esempio mediante un gesto di approvazione o un premio) affinché si stabilizzino, quelle errate o inadeguate smorzate e progressivamente estinte. Cognitivismo: si afferma dalla fine degli anni ‘60 in risposta all’impossibilità di indagare la mente umana sostenuta dal comportamentismo. Suggerisce modelli per studiare le strutture e i processi di funzionamento della mente umana. La didattica acquisisce nuovi costrutti: memoria di lavoro e a lungo termine, meta-cognizione, schemi cognitivi, anticipatori e nuovi altri, che incoraggiano lo sviluppo di nuovi metodi per sostenere e facilitare l’apprendimento. I computer diventano sempre più potenti, dai monitor monocromatici si passa al colore. Nascono nuove periferiche (microfoni, scanner, stampanti a colori), nuovi software (riconoscimento e sintesi vocale, montaggio audio- video, authoring tools per sviluppare contenuti interattivi), sviluppo dei primi contenuti ipertestuali per l’autoapprendimento (CD-Rom interattivi: enciclopedie, corsi di lingua, storia…), primi prototipi dei programmi istruttivi adattivi (ICAI, ITS). Si fa strada una nuova modalità di intendere l’uso delle tecnologie: quella interessata a sostenere l’apprendimento, aiutando a organizzare idee e favorire concettualizzazioni (mappe concettuali). Nel 1967 Papert inventa il “Logo”, un linguaggio semplificato per diffondere la programmazione nelle scuole sostenendo l’idea che questa rappresenti un importante opportunità “per imparare ragionare”. Costruttivismo: fine degli anni ’80, come evoluzione del cognitivismo. Insegnare non è trasferire nozioni, ma creare condizioni affinché si realizzino processi unici e irripetibili di costruzione attiva e significativa delle conoscenze da parte degli allievi. Le tecnologie sono viste come mezzi per imparare autonomamente o in gruppo. Lo studente diventa autore delle proprie visioni delle discipline all’interno di una dinamica negoziale con gli altri. Negli anni ’90 questo si concretizza con l’uso dei computer per costruire ipertesti e applicazioni multimediali da parte degli studenti. In seguito con l’avvento delle reti/internet si insiste sull’importanza della comunicazione tra pari. Le tecnologie diventano veri e propri ambienti (virtuali) per la costruzione attiva delle conoscenze a cui si fa riferimento con l’acronimo CSCL (Computer Supported collaborative learning). Grazie i web forum si promuovono e si sperimentano forme di apprendimento per scoperta (inquiry). Gli studenti entrano a far parte di comunità impegnate nella costruzione della conoscenza (Knowledge building community). Con internet il modello esce dalle classi e diventa globale. 10 All’inizio del XXI secolo diventa sempre più evidente il fatto che le tecnologie stiano trasformando sia le pratiche di insegnamento in aula, sia quelle di studio. Conclusioni La storia e i principi delle tecnologie educative può essere vista come una costante ricerca di equilibrio e di risposte appropriate all’evoluzione dei contesti, delle risorse, delle persone nelle diverse stagioni e situazioni. CAPITOLO 3 – LE TECNOLOGIE PER LA PROGETTAZIONE DIDATTICA E LA GESTIONE DELL’AULA 3.1 Introduzione La complessità dell’azione didattica nell’aula attuale richiede una progettazione articolata ed esplicita. La presenza pervasiva delle nuove tecnologie ha spostato l’attenzione da una relazione diretta docente-discente a una triangolare in cui il terzo polo è costituito da ambienti e artefatti digitali. Alcuni artefatti sono mediatori didattici e supportano il docente nella trasposizione, altri sono aggregatori e reificano la rete dei significati che, in passato, era garantita dal manuale e dall’azione del docente. 3.2 Le tecnologie a supporto della progettazione del docente Nell’ambito specifico della progettazione didattica le prime realizzazioni di dispositivi autoritari digitali incomincia negli anni ’90 quando era necessario costruire Learning Objects che potessero essere utilizzati in diversi Learning Management System. ADL (Advanced Distributed Learning) propose SCORM (Shareable Content Object Reference Model), una standard per l’interoperabilità utile a guidare la progettazione di oggetti didattici riutilizzabili. All’inizio del 2000 l’IMS Global Learning Consortium definì l’IMS LD (Learning Design), ovvero uno standard di interoperabilità che potesse supportare il docente nella realizzazione di percorsi didattici, ma che diversamente dal modello SCORM, lo guidasse anche sul piano pedagogico. Anche tale standard si rivelò, però, praticabile solo per la progettazione di percorsi complessi. Soluzioni successive al problema sono venute da nuove tecnologie quali le API (Application Programming Interface) che permettevamo di far dialogare componenti di diversi applicativi al fine di produrre aggregazioni di materiali e il Web 2.0 in cui i problemi di catalogazione top-down sono stati sostituiti da modelli bottom-up. 3.2.1 La seconda fase Dal nuovo millennio è emersa una nuova attenzione alla progettazione didattica supportata da applicazioni digitali. Il gruppo di lavoro Learning Design Group ha individuato 4 progetti che hanno alimentato tale ricerca. Essi avevano in comune la visione che il miglioramento dell’insegnamento e dell’apprendimento passasse attraverso lo sviluppo di framework descrittivi dei processi e dell’azione didattica. Tra i progetti abbiamo London Planner/Learning Designer, Phoebe, LAMS Activity Planner. Per descrivere il LD è spesso utilizzata l’analogia con gli spartiti musicali. Se lo spartito è dato dalla successione delle note, nel LD si ha la successione di attività didattiche. Il Learning Design Support Environment di Laurillard è un supporto digitale all’organizzazione delle attività didattiche del docente attraverso una scansione delle azioni (a partire dal modello Conversational Framework) con cui l’autrice propone una strategia interattiva tra docenti e studenti. 3.2.2 Gli aggregatori multimediali Se gli artefatti finora descritti riguardano la fase progettuale di pre-azione, lo sviluppo di spazi web 11 all’interno dei quali organizzare, gestire, condividere materiali didattici ha portato allo sviluppo di ambienti nei quali aggregare materiali per poi condividerli con la classe. Già i LMS avevano tale finalità, ma il loro uso era principalmente diretto alla didattica online e alle attività online connesse a percorsi blended. Ora l’attenzione costruzione di aggregatori utilizzabili anche in classe. Ad esempio, Edmodo o Tes Teach, un tempo Blendspace, la web app che permette al docente di organizzare le risorse multimediali selezionate in rete e di condividerle con gli studenti della classe, virtuale o in presenza. Tale ambiente mette insieme 2 delle condizioni inerenti l’utilizzo di artefatti digitali nella didattica: la facoltà di aggregare media differenti e la possibilità di manipolare e modificare gli artefatti stessi. Un altro esempio è il Graphic Organizer, quali le mappe, che permettono di aggregare contenuti e suggeriscono relazioni tra gli stessi. Quale dovrebbe essere la funzione dell’artefatto progettuale? Esso dovrebbe supportare sia il docente nell’elaborazione del percorso, raccogliendo e organizzando tutto ciò che utilizzerà a lezione e sia gli studenti orientandoli e fornendo loro una visione organica del percorso didattico e i materiali da utilizzare per svolgere le attività. Il progetto DEPIT, ad esempio, ha lo scopo di suppore la progettazione attraverso un dispositivo che permetta la condivisione in classe dell’artefatto progettuale. Tale artefatto è costituito da più mappe tra loro connesse; ogni mappa rappresenta un diverso livello della granularità che caratterizza la didattica – curricolo, modulo e sessione – e permette al docente di riconnettere le dimensioni macro e micro; 3.2.3 La reificazione della progettazione L’artefatto digitale ha funzione di: Contenitore flessibile (non serbatoio) ma può essere utilizzato in classe per organizzare i materiali di studio, dare consegne, raccogliere e gestire le restituzioni, archiviare i prodotti delle diverse attività didattiche e i documenti della valutazione. Quindi è costantemente modificato. Ambiente reticolare espande la progettazione del docente sia verso contenuti esterni, presenti nel contesto sociale di riferimento o in rete, sia in termini di correlazione tra punti di vista diversi. Inoltre permette di personalizzare i percorsi. L’artefatto digitale risponde all’esigenza di soddisfare le diverse richieste provenienti dalla classe. L’artefatto permette infatti una visione multiprospettica e la raccolta dei contenuti di ciascuno. La possibilità di condividere i propri prodotti estende la possibilità di incontro e di conoscenza di altre realtà (testi, contesti, modelli, ecc), permettendo il confronto e lo scambio peer to peer. 3.3 Le tecnologie per supportare l’inclusione Un particolare contributo delle tecnologie come supporto alla progettazione e gestione della classe può essere visto nell’ottica dell’inclusione. Sebbene “personalizzazione” sia una parola chiave della formazione, essa va connessa alla sostenibilità dell’azione didattica della classe. L’apprendimento è un processo al contempo individuale e sociale che prende l’avvio dalle interazioni che avvengono nella classe. Perché la personalizzazione sia sostenibile va intesa come la predisposizione di dispositivi unici, ma aperti nei quali ogni studenti agisca in modo diverso secondo le proprie abilità. In tale prospettiva le tecnologie digitali possono essere d’aiuto perché permettono di: Erogare lo stesso contributo in formati diversi; Avere diverse app ciascuna delle quali consente di lavorare e di interagire secondo le proprie abilità e le proprie caratteristiche (es. app per il recupero in ortografia, software per soggetti con difficoltà comunicative, siti e banche dati di risorse per soggetti con DSA; 12 perché le relazioni con gli altri hanno un ruolo centrale nello sviluppo della mente e delle abilità sociali, cognitive, meta cognitive. Da qui l’ideazione del progetto TRIS (tecnologie di rete e inclusione socio-educativa) nel triennio 2013-16. Finalità del progetto è stata ideare una classe ibrida inclusiva: queste si sviluppano in spazi ibridi, ossia spazi dinamici prodotti dalla costante connessione delle persone alla rete internet attraverso i propri dispositivi. Questo consente di realizzare classi in cui le dimensioni spaziali dell’aula e quelle del domicilio, nonché quelle temporali in cui si sviluppa l’attività didattica vengono sublimate dalla dimensione digitale, estendendosi oltre gli spazi e i tempi canonico. Obiettivo è quello di permettere allo studente di sentirsi come se stesse in classe e la classe lo percepisca presente, come un qualsiasi compagno. Ciò che caratterizza la classe ibrida inclusiva è l’essere sede di processi di insegnamento- apprendimento centrati su strategie didattiche che favoriscano l’inclusione; tutto ciò cercando di ricreare la situazione di “normalità” di una giornata tipo, con i momenti d’aula e quelli di studio a casa o fuori l’aula. Ma quali tecnologie occorrono per realizzare una classe ibrida inclusiva? Webcam brandeggiabile, ossia orientabile direttamente dallo studente a casa in modo da dargli la possibilità di provvedere in modo autonomo alle inquadrature all’interno dell’aula remota; insieme di servizi in rete per la comunicazione interpersonale (skype, google groups, google mail, telegram), la condivisione di risorse (google drive, dropbox), la co-costruzione, cioè sviluppo collaborativo di artefatti (skype + google drive app, padlet, Mindomo). 4.4 Le situazioni speciali come crogiolo d’innovazione La didattica speciale da sempre ha rappresentato un terreno privilegiato per condurre sperimentazione sull’uso didattico delle tecnologie. Sperimentazioni che spesso hanno portato a modelli didattico-pedagogici e organizzativi efficacemente esportabili anche nella didattica “normale”, benché più restia a introdurre tecnologie nelle proprie prassi educative. La tecnologia viene vista come qualcosa che può risolvere/attenuare un problema o migliorare una situazione, più che creare disturbo e ulteriori complicazioni. CAPITOLO 5 – VALUTAZIONE, FEEDBACK, TECNOLOGIE L’uso delle tecnologie e dei sistemi di gestione e trattamento dati è un elemento che può interagire con i cambiamenti in atto nelle pratiche di valutazione, rendendo quest’ultima un’esperienza più significativa per gli studenti e migliorando la gestione dei tempi e dei modelli per i docenti. 5.2 Valutazione e tecnologie Negli anni più recenti la scuola ha visto la diffusione di nuove modalità di comunicazione didattica mediate dalle tecnologie. Tutto questo ha condotto ad un ripensamento del tradizionale modello valutativo fondato sulla triade informazione, studio, verifica. Queste valutazioni non sono più considerate adeguate alla situazione attuale degli studenti e del contesto. Gli stessi insegnanti rilevano come molti dei compiti assegnati nel passato vengono svolti oggi in maniera meccanica e poco significativa da parte degli alunni, in quanto, grazie alle tecnologie possono essere fatti con operazioni di copia-incolla in nessun modo rilevanti e formative. Si possono trovare ad esempio versioni svolte da altri nel web. Le tecnologie possono essere usate per automatizzare la preparazione, erogazione e misurazione di una prova strutturata. Esistono molte applicazioni che consentono di costruire con facilità una batteria di quesiti, definendo il peso e la tipologia delle domande, inserendo stimoli testuali, audio e video e permettendo la raccolta dei risultati e la loro tabulazione automatica. Questi Software (come Quiz Faber e Hot potatoes, Online quiz creator, My quest base, Quizizz, Kahoot, Google 15 moduli) supportano il docente nella costruzione di prove che possono essere svolte dalla classe e forniscono un prezioso aiuto nella visualizzazione dei dati raccolti, dando al docente la possibilità di ripensare il proprio lavoro e di comprendere se siano necessari interventi di recupero o potenziamento. Dal punto di vista dello studente, il lato positivo di queste forme di accertamento è rappresentato dal feedback immediato fornito dall’applicazione in base alla risposta data. Mentre nel caso delle esercitazioni tradizionali la correzione viene svolta dal docente a casa in tempi più lunghi. Un ulteriore beneficio è la possibilità di trattare statisticamente i dati raccolti per evidenziare la congruità rispetto alle aspettative. A livello macro si può verificare se i risultati raggiunti dalla classe si collochino in modo conforme, o meno, a una distribuzione normale delle frequenze. L’interpretazione dei dati potrebbe far pensare a una prova di livello adeguato alle competenze della classe, mentre un’elevata frequenza di risultati negati fa pensare a un compito troppo complesso per la capacità della classe o di carenze nelle modalità di insegnamento. A livello micro si può svolgere una item analysis, cioè studiare all’interno del test quali domande sono risultate più facili o più difficili per capire come modificare il test o quali temi approfondire. Con la diffusione dell’utilizzo delle tecnologie digitali e della rete sono progressivamente emerse linee d’innovazione rispetto all’agire didattico, in particolare su attività di progettazione, gestione e valutazione: L’importanza di una progettazione per azioni in classe, che possono essere articolate in attività individuali e collaborative, sempre seguite da percorsi di riflessione, da momenti di debriefing che facilitino l’emergere della consapevolezza dei processi attivati; L’idea di nuovi modelli di lezione, che passino attraverso l’apprendimento per indagine o attraverso il rovesciamento dei processi (flipped classroom); La necessità di modalità di valutazione che esaltino il valore formativo della valutazione stessa. La valutazione formativa si concentra più sul processo che sul prodotto e produce sia nello studente, sia nel docente effetti motivazionali e orientativi. Lo scopo è migliorare la prestazione dello studente e attraverso un feedback che consente allo studente di capire cosa non va nella sua prestazione e come migliorarla. La valutazione formativa è anche utile per il docente per ricevere un feedback sulla qualità della propria azione didattica e per progettare interventi di modifica o revisione del percorso progettato e realizzato. Black e William (2009) hanno individuato 5 strategie che definiscono una valutazione formativa: 1. Strutturare discussioni di classe, compiti di apprendimento e problemi che facciano emergere prove concrete (evidence) dei risultati dell’apprendimento; 2. Fornire feedback che aiutino lo studente a migliorare; 3. Chiarire ed esplicitare gli obiettivi di apprendimento previsti dal docente e i criteri usati per valutare il successo (o insuccesso) del lavoro svolto; 4. Coinvolgere gli studenti per abituarli a considerarsi protagonisti del loro percorso di apprendimento; 5. Attivare gli studenti, perché si considerino “risorse di apprendimento” gli uni per gli altri. Da ciò si deduce che se da un lato nessuna tecnologia è di per se stessa formativa, dall’altro quasi ogni tecnologia può essere utilizzata in modo formativo, se vengono messe in atto le corrette condizioni” (Pachler, 2009) Le tecnologie multimediali possono rendere un feedback più ricco e personale e possono essere utilizzate per valutare diverse competenze e abilità degli studenti che vengono inserite in attività 16 che facciano emergere modalità di lavoro differenziate. Utilizzare strumenti come ePortfolio, blog, wiki, consente di raccogliere una documentazione delle abilità dichiarate, di associare una prova alla descrizione del lavoro svolto. Inoltre gli strumenti online possono supportare autovalutazione e valutazione tra pari. 5.2.1 Il progetto DEPIT (Design for Personalization and Inclusion with Technologies) parte dalla necessità di un’esplicitazione degli obiettivi e di una negoziazione del percorso e quindi dei processi valutativi e consente una forma di valutazione “embeddeb”, portata avanti nel corso del lavoro stesso della classe. 5.2.2 Flipped Classroom propone un rovesciamento della tradizionale pratica didattica basata sulla spiegazione, esercitazione, valutazione. Il docente, con l’aiuto delle tecnologie, fornisce materiali in video o audio agli studenti per la visione o l’ascolto domiciliare e riserva invece il tempo in classe per attività di consolidamento, approfondimento e revisione collaborativa con il suo supporto e quello dei pari. In questo modo l’attività meno problematica, viene svolta individualmente da ciascun alunno, mentre la parte più complessa viene condotta in classe dove è possibile avere il supporto del docente e dei compagni. In questo modo l’insegnante è costantemente impegnato a valutare il lavoro dei suoi studenti, che ricevono subito uno stimolo per capire se stanno facendo bene o se devono correggere qualcosa. 5.2.3 Webquest prevede l’utilizzo della rete Internet per svolgere una ricerca. Essa guida il docente nella progettazione dell’esperienza di apprendimento attraverso la predisposizione di fasi di lavoro (introduzione, compito, procedimento, risorse, valutazione, conclusione) e consente allo studente una certa autonomia nello svolgimento del compito, in quanto, una volta compresa la consegna, è libero di pianificare il lavoro. Uno dei punti di forza di questa strategia è la condivisione dei criteri di valutazione e delle modalità di verifica che saranno adottate. 5.2.4 Feedback molte ricerche sottolineano l’importanza del feedback del docente considerato strategico per l’apprendimento della classe. Fornire un feedback è un’attività che può essere supportata con le tecnologie, aiutando i docenti nelle situazioni in cui la classe è numerosa e i tempi sono ristretti. Esistono infatti applicazioni (Kahoot, Socrative, Plickers, Mentimeter,) che permettono al docente di raccogliere con facilità le opinioni degli studenti, inviate tramite smartphone e visualizzabili attraverso uno schermo condiviso in classe. Così facendo si ha accesso in tempo reale alle domande degli studenti e per il docente rappresenta uno strumento utile per valutare il livello di comprensione dei contenuti trattati. Il feedback in formato audio o video favorisce la comunicazione e la revisione. Produrre e registrate feedback audio sia molto veloce rispetto alla scrittura. Molti studenti hanno trovato il feedback audio e video più dettagliato e utile rispetto ai feedback testuali (brevi, poco chiaro, difficile da ricordare). 5.3 La tecnologia per la valutazione tra pari Il Forum è lo spazio online dove può essere effettuata una discussione; Il Blog è stato utilizzato come diario o album fotografico, o come luogo per la discussione e la condivisione di punti dii vista e commenti; Strumenti come Wiki per la scrittura collaborativa consente un’apertura a compiti di stesura di testi collettivi e facilita la costruzione di conoscenze, permettendo la realizzazione di una vera e propria comunicazione multimentale. Le applicazioni citate possono essere utilizzati per strutturare attività di PEER ASSESSMENT, in cui la valutazione non è solo condotta dal docente, ma viene organizzata come un’attività da svolgere dagli studenti nei confronti dei colleghi. Caratteristiche fondamentali: 17 6.3 Musei reali su digitale sono trasformazioni e ampliamenti in digitale delle più importanti collezioni del museo reale. Consentono di esplorare oggetti, l’approfondimento tramite l’accesso a differenti contenuti informativi e la creazione di gallerie personali da condividere sui social network. Alcuni musei virtuali permettono di visitare monumenti distrutti, ricreati virtualmente, come la tomba di Nebanum, di cui il British Museum offre un’animazione interattiva in 3D: il visitatore è invitato a muoversi negli ambienti del passato dove sono esposti reperti ed opere. Questo tipo di musei (reale su digitale) si pone come: Anticipatore, luogo di preparazione alla visita nel museo reale; Consolidatore, come strumento di approfondimento di una visita già effettuata nel museo Dilatatore, come opportunità formativa per rielaborare nuovi contenuti e sviluppare percorsi didattici originali. 6.4 Musei digitali per l’allestimento di oggetti reali e/o virtuali sono svincolati da istituzioni museali fisiche e possono essere contenitori di oggetti tangibili o costruiti digitalmente. Esempio: il Virtual Museum in Iraq o le mostre a carattere tematico allestite in spazi digitali. 6.5 MOdE, Museo digitale con oggetti reali. Il MOdE, museo Officina dell’Educazione (2008) è uno spazio digitale in cui è possibile navigare e visualizzare contenuti e materiali allestiti in sale e atelier virtuali. È costituito da 3 aree: lo spazio di esposizione, è relativo allestimento di sale e atelier virtuali dedicati ad ambiti tematici specifici. Gli oggetti vengono descritti attraverso il sistema di catalogazione Dublin Core che associa a ogni oggetto un insieme di informazioni: titolo, soggetto, descrizione, autore, data, medium, formato. Lo spazio di documentazione dove vengono documentate esperienze di qualità educativa, realizzate a livello nazionale e internazionale, all’interno di contesti scolastici in partenariato con i musei, archivi e istituti culturali. Lo spazio di formazione eroga contenuti didattici e realizza attività cooperative sui temi del patrimonio culturale con le nuove tecnologie. 6.6 Musei virtuali come banche dati di narrazioni La banca dati è una raccolta strutturata di dati, organizzata in base a categorie e modelli logici diversi, così da consentire una gestione efficace e efficiente delle risorse in essa contenute. Le varie modalità dell’uomo per rappresentare la conoscenza: dalla raccolta strutturata dei dati all’analisi che trasforma un materiale grezzo in autentica conoscenza. Le banche dati rispondono a un’esigenza cognitiva e sociale, resa sempre più evidente dalla rete. Un’altra tendenza dell’uomo è raccontare, dare senso ai numerosi momenti, eventi, emozioni, bisogni: si parla in tal senso di sé narrativo o autobiografico. Queste due tendenze che si possono percepire come opposte nell’era digitale tendono a convergere, grazie alle banche dati che possono trasformarsi in forme originali di narrazione non lineare. Con il ritmo vertiginoso di crescita dei dati presenti nel web la tendenza attuale è quella di organizzare le info in banche dati. L’utente naviga così all’interno di una struttura anche se non ha consapevolezza di farlo, poiché costruisce liberamente un percorso. Il modo di rapportarsi a queste si è molto evoluto: l’interfaccia, che rappresenta la “vetrina” di una banca dati, deve attirare l’utente e combattere con i vari competitor. Così, chi si occupa di ergonomia cognitiva propone interfacce sempre più vicine all’esperienza umana, capaci di suscitare emozioni, utilizzando più canali sensoriali. Questo cambiamento di paradigma comunicativo sollecita l’immaginazione organizzando i dati in forma narrativa. 20 Alcuni studiosi hanno definito le banche dati come una nuova forma di narrazione, laddove l’utente ha la sensazione di trovarsi di fronte a un percorso lineare e sequenziale. Infatti, l’utente naviga secondo una storia, ma è solo una delle trame possibili pensate dal progettista. Il linguaggio che il digital writer utilizza è il Data Definition Language (DDL), che permette di definire la struttura del database e quindi di scrivere una cornice narrativa delle possibili trame esperite dall’utente. Esempi significativi di banche dati si legano a Google Art & Culture che offre all’utente la possibilità di vedere l’opera nel suo contesto e di esplorarla in molteplici percorsi. Quindi le banche dati possono essere considerate come nuove forme di narrazione dell’era digitale in cui raccogliere, reperire, organizzare, proporre nuove unità semantiche e raccontarle. 6.7 Musei virtuali come interfacce di partecipazione Nella missione dei musei digitali emergono nuove forme di mediazione tra oggetti e pubblici. Queste attività di mediazione sollecitano più persone a editare contenuti per scrivere narrazioni originali. Infatti nei percorsi promossi dai musei, il visitatore può intervenire allo stesso modo di chi progetta e produce contenuti, in una scrittura condivisa. Qui l’utente si relaziona con gli oggetti museali, li comprende e li interiorizza. Ogni oggetto ha bisogno di un racconto, di un punto di vista, di un’esperienza che gli dia senso. In alcuni musei reali su digitale l’utente può raccogliere immagini e creare gallerie. La Sala Bianca del MOdE propone al visitatore uno spazio di rielaborazione dei contenuti. I visitatori sono sollecitati a creare nuovi artefatti che fungano da mediatori iconici e simbolici per dare concretezza alle concettualizzazioni derivanti dalla visita al museo. Gli artefatti prodotti nelle sale bianche possono essere: semplice (unità di immagine, video, testo) o complessi (insieme di oggetti relativi a un tema). Un esempio di artefatto semplice è il singolo fotomontaggio The first poticoes in the XI century prodotto da studenti a partire dalla riproduzione di più immagini. Questo artefatto mostra in modo inedito e personale la ricostruzione storica degli antichi portici di Bologna. Un secondo lavoro è The Evolution of Bologna che rappresenta un artefatto complesso, realizzato dagli studenti a partire da più artefatti semplici, i quali ricostruirono il patrimonio della città mostrando ogni elemento della città secondo una duplice visione passato vs presente. CAPITOLO 7 – MEDIAMORFOSI DELL’E-LEARNING Non è possibile dare una definizione univoca al fenomeno e-learning, ossia al processo di apprendimento che si sviluppa ricorrendo alle tecnologie per sostenere la mediazione del sapere. La complessità di questo fenomeno sta proprio nel comprendere come, all’interno de triangolo didattico, sostenuto da Chevallard, costituito dalle relazioni tra insegnante - allievo - contenuto culturale, si inserisce un ulteriore elemento, un media, che trasforma le relazioni. Per capire come in questo processo si colloca il digitale, occorre ripercorrere lo sviluppo storico e concettuale dell’e-learning analizzando le 3 età dei media e introducendo il processo di mediamorfosi. 7.2 Agli inizi era la FAD La prima età dell’e-learning coincide con la formazione a distanza (FAD) dove le ICT (Information and Communications Technology) servono a supportare il processo informativo e comunicativo. I media servono per ridurre le distanze spazio-temporali che per alcune persone sono un reale impedimento all’attivazione del processo di apprendimento. Siamo in un periodo storico in cui la domanda d’ istruzione da parte di un segmento adulto subisce una profonda crescita. Tra i fattori di stampo storico-sociale che spingono i FAD troviamo: La necessità di rivedere continuamente i contenuti scolastici a causa dei cambiamenti che 21 deve affrontare la società industriale; L’incremento dell’obbligo scolastico, in una società dove l’istruzione è diritto e necessità; Le nuove forme di analfabetismo (informatico); La richiesta di competenze professionali nuove; La necessità di comprendere il cambiamento culturale in corso. Il sistema formativo a distanza risponde alla necessità di specializzare e diversificare l’offerta per tenere in considerazione utenti con esigenze e situazioni diversificate dello studente standard. la FAD così acquista una sua specificità ponendosi contro la creazione di un sistema di serie B rispetto al sistema presenziale. In questa fase diventa necessario distinguerla dall’apprendimento aperto, dall’educazione per corrispondenza, dallo studio a domicilio, dall’insegnamento a distanza: modalità spesso qualificate come FAD. Ci sono 3 generazioni di FAD: Storicamente si tende a far coincidere la FAD di prima generazione con corsi per corrispondenza (1830-1960); La seconda generazione si ha quando nasce la Open University (1969)(università a distanza) con lo scopo di offrire opportunità educative ad adulti che intendono o possono studiare solo costruendosi spazi e tempi di appropriazione di contenuti. La FAD si propone come un’alternativa che riesce a trasformare una situazione di “svantaggio didattico” in un sistema in grado di promuovere innovazione metodologica. La terza generazione, a metà degli anni ’80, mediante l’uso di collegamenti via cavo e satellite, si ristabilisce il contatto “face to face” tra insegnante e allievo. Unici 2 svantaggi sono l’alto costo dei sistemi di videoconferenza e la difficoltà nel monitorare i progressi degli allievi. Questi però non indeboliscono l’utilità complessiva di un sistema che consente velocità di aggiornamento, velocità di distribuzione, scarsa necessità di supporto tecnico, internazionalizzazione dei percorsi e contenuti, multimedialità e molteplicità di servizi. Infatti è proprio in questi anni che si assiste al ruolo chiave della FAD. Si scopre che qualsiasi corso può essere trasformato in un sistema a distanza, ma non tutti sono corsi FAD perché: Occorre un preciso e coerente disegno didattico alla base del corso (disegno pedagogico); Non si deve identificare la FAD con la soluzione tecnica impiegata per ridurre la distanza (si rischia di rivestire la tecnologia un processo di autoapprendimento). Si possono trovare alcuni elementi comuni ai diversi modelli pedagogico-didattici: 1. Processi che garantiscono una comunicazione a due (interattiva) tra docenti e studenti; 2. Un’organizzazione che supporti lo studio; 3. La possibilità di uno scaffolding durante l’apprendimento che ancora avviene in modo individuale, indipendente, autonomo; 4. Strumenti rigorosi di auto ed etero-valutazione; 5. La specializzazione dei docenti. Sono gli anni in cui il comportamentismo sviluppa i programmi CAI, il cognitivismo si concentra sul design degli ambienti multimediali, creazione di software educativi ICAI, linguaggio LOGO. 7.3 Poi vennero le piattaforme La seconda età dell’e-learning. I rapidi cambiamenti tecnologici degli anni ’90 hanno amplificato la velocità del processo didattico e cambiato i sistemi a esso connessi. In particolare, hanno avviato 3 rivoluzioni: l’interattività, la rivoluzione cognitiva e la gestione dei sistemi educativi. L’interattività consente di parlare di “apprendimento elettronico”. La novità non sta nel tipo di supporto, ma nelle funzioni diverse e spazi virtuali che possono essere esplorati a partire dalle decisioni personali del fruitore. 22 relazioni e strumenti che prende corpo in rete con lo scopo di sostenere un apprendimento attraverso un processo didattico, nel quale è possibile riconoscere una dimensione culturale e sociale”. (Garavaglia). 8.2 La coerenza tra ambiente e processo didattico Uno dei temi più interessanti riguardo la progettazione degli ambienti riguarda il legame tra processo didattico e caratteristiche dell’ambiente. Un concetto importante è quello di isomorfismo Un ambiente è isomorfo a un processo didattico quando presenta caratteristiche e strumenti compatibili con esso, ovvero quando non solo rende possibile le azioni didattiche, ma le suggerisce. In altri termini è strutturante. I processi di rendere possibili e di suggerire non sono meccanici, ma dipendono dalla soggettività delle persone. Un isomorfismo mancato tra la didattica e l’ambiente, può generare difficoltà nel raggiungere i livelli di efficacia desiderati. Hanno importanza: La Dimensione affettiva riguarda il consolidamento dei significati che ciascun elemento dell’ambiente genera nei singoli partecipanti. Ogni ambiente ha le sue caratteristiche legate a funzioni e strumenti presenti che vengono conosciute e perfezionate nell’uso. Ogni ambiente ha una metafora implicita: la rete, la stanza, il libro, la scrivania, il calendario, la scuola. azioni sperimentate e ripetute in un ambiente o metafore conosciute determinano i processi di previsone quando si accede ad un nuovo ambiente e portano i soggetti a ricercare funzioni simili, ovvero costruire una isomorfia. Tener conto della dimensione affettiva, ogni volta che si allestisce un nuovo ambiente, richiede non solo di analizzare le funzioni da prevedere, ma anche di indagare le abitudini dei soggetti e i cambiamenti che dovranno avviare. Richiede di esplicitare la logica dello spazio in modo che diventi un ambiente affettivo. La Dimensione emotiva in parte connessa con la precedente, prende in considerazione i contributi della cosiddetta “affective neuroscienze”. Il giudizio è influenzato da elementi soggettivi connessi alle potenzialità motorie e a caratteristiche corporee quali la frequenza cardiaca, la pressione arteriosa, la risosta ormonale allo stress. Infatti un ambiente, che dal punto di vista emotivo genera eccessivo stress e a cui il soggetto ha una lunga esposizione, può incidere criticamente sull’apprendimento e sulla memoria. Un’altra causa di stress può essere un ambiente che richiede un’eccessiva focalizzazione dell’attenzione di studenti e docenti sul funzionamento del dispositivo, cioè quando le tecnologie sono poco trasparenti. Le emozioni si intrecciano con l’isomorfismo e la dimensione affettiva, generando una sinergia tra i 3 livelli che influenza l’apprendimento. La maggior parte degli strumenti online per la formazione derivano da strumenti nati in ambiti non prettamente formativi e hanno subito un processo di adattamento. (Ad es. i fogli elettronici sono nati per il management industriale). Il principio di adattamento comporta il vantaggio di riproporre processi consolidati, ma anche logiche che non sempre sono coerenti con le finalità didattiche. Anche in questo caso va costruito un ponte tra contesto di origine e contesto educativo, individuando i significati da riprendere, da rigenerare, da superare. Negli ultimi anni l’investimento in campo educativo e il ruolo sempre più importante dei docenti nella progettazione di dispositivi, stanno determinando lo sviluppo applicazioni nate per la formazione, come DEPIT (app per sintetizzare percorsi) o Pear Deck che permette di creare presentazioni tramite interazioni con gli studenti. 8.3 Il Setting In didattica il termine identifica tutto ciò che riguarda il contesto dell’azione educativa, comprese 25 lo spazio e il tempo dell’evento didattico. Se in contesti presenziali il setting è temporalmente definito e univoco per tutti i soggetti che devono essere compresenti nello stesso spazio, nell’online il tempo si dilata ed è piegato alle esigenze personali. Ardizzone e Rivoltella (2003) lo definiscono come una situazione stabilita da un repertorio di attanti che nello specifico sono attori, strumenti e contesti. Da uno studio specifico sugli ambienti online si delineano i gradi di libertà di un ambiente per l’apprendimento come insieme di possibilità che l’ambiente concede al soggetto in relazione al suo stato. Per gli spazi online i gradi di libertà corrispondono al numero delle possibili azioni (click) che ciascun partecipante in un determinato tempo e in relazione al proprio ruolo può compiere. Ad esempio il docente può decidere di mantenere non visibili alcuni contenuti del percorso finché non si arrivi il momento; in altre situazioni si preferisce dare libertà di azione al soggetto fin dall’inizio del percorso. 8.3.1 Il setting in presenza integrato da tecnologie: le “digital classroom” Quando si parla di spazi in presenza integrati da tecnologie spesso si fa riferimento alle aule dotate di strumenti digitali i quali intervengono sulle modalità operative degli attori e sui canali comunicativi tra docenti e studenti e tra pari.Ci sono diverse tipologie di setting di aule digitali (Ferrari e Garavaglia): one to one computing: aula con banchi frontali e sostituendo il materiale classico (libro) con un notebook per studente; small group seating: si privilegia il lavoro di coppia con un solo pc, attivando forme di collaborazione e apprendimento tra pari; subject areas: classi organizzate in aree specifiche dove singole tecnologie vengono utilizzate per scopi didattici specifici (es. l’utilizzo di sensori per fare esperimenti di fisica); media areas: in questo caso la variante non è più la disciplina, ma la tipologia di tecnologia. multi-screen classroom: variante delle precedenti con la presenza di 2 o più schemi che permettono agli studenti di lavorare a geometrie variabili: piccolo, medio, grande gruppo. Diversi studi hanno messo in evidenza alcune difficoltà nello sfruttare le aule digitali e alcune carenze metodologiche nell’usare strumenti molto sofisticati. Le implementazioni classiche delle aule digitali consistenti in soluzioni one-to-one computing per gli studenti e nell’uso di LIM e per gli insegnanti, mantenevano formati tradizionali delle lezioni. Vi è la necessità di controllare più variabili e le loro interazioni per poter comprendere l’effettiva incidenza degli ambienti sulla qualità didattica e sull’uso di strumenti tecnologici, altrimenti la focalizzazione sull’unica variabile che identifica “l’introduzione della tecnologia” nel setting non permette di tenere conto di altre variabili spesso fondamentali per spiegare l’efficacia didattica dei diversi interventi analizzati. Le trasformazioni in atto hanno prodotto e producono movimenti dai contorni sfumati, tra cui didattica 2.0, classi 2.0, classi 3.0, o education 3.0. Non è ben chiaro quali caratteristiche determinino il passaggio da 2.0 a 3.0 (se il web semantico, l’uso di tecnologie immersive, l’uso di formati didattici articolati). Le diverse promozioni di aule 3.0 risultano difficili da distinguere. L’approccio socio-tecnologico richiede di non separare l’analisi della struttura dello spazio e delle tecnologie in esso presenti dai dispositivi didattici, dal metodo didattico e dalle strategie e relazioni educative attivati. 8.3.2 Il setting online Il contesto attuale offre diverse soluzioni: Sistemi molto struttati, come i LMS (Learning Management System), che costituiscono gli ambienti per l’e-learning “tradizionale”, composto da aree dedicate alle diverse funzioni utili per costruire online un sistema organizzato di classi con docenti, discenti e diverse figure che possono interagire secondo un piano didattico predisposto. 26 Metodologie e situazioni didattiche più specifiche e limitate si trovano sotto la forma di web application o applicativi per device mobile, spesso aggregati ad altri dispositivi coi quali scambiano dati. Il setting online presenta 6 forme-tipo: Setting dedicati alla trasmissione della conoscenza per l’erogazione di materiali multimediali (es. video, materiali testuali…); Setting dedicati al lavoro asincrono: applicativi per favorire il lavoro di gruppo e la collaborazione online tra pari (es. wiki, cloud); Setting dedicati al lavoro sincrono: nei sistemi di videoconferenza e webconference; Setting dedicati agli apprendimenti informali online: ambienti che ospitano comunità d’apprendimento informali; Setting dedicati alla formazione sul campo con device mobili (es. AR – realtà aumentata). Lo schema ADEMA (Garavaglia) risulta utile per identificare le tipologie di ambienti rispetto alle situazioni didattiche prevalenti e prevede funzioni simi alle precedenti quali: Delivering: tool dedicate a strategie trasmissive, più o meno interattive, dove il feedback dei discenti è legato a procedure automatizzate; Emoderating: strumenti basati sulla valorizzazione della comunicazione e sull’azione dell’insegnante che segue e modera l’agire dei discenti); Situated: strumenti che concorrono a creare mondi da esplorare (gli ambienti presenti in questa categoria alimentano processi simulativi); Oltre a esse ogni ambiente online deve prevedere altre sezioni quali: Administration: strumenti per l’organizzazione e la preparazione dei percorsi formativi; Gestione degli utenti: strumenti utilizzati per definire gli accessi e i ruoli e le possibilità di azione per qualsiasi utente; Monitoring: strumenti orientati al tracciamento delle attività svolte e della navigazione; Assessment: strumenti orientati a misurare il raggiungimento degli obiettivi formativi e didattici. 8.3.3 Setting immersivi Coinvolgono il discente in uno scenario che richiede elevata attenzione contemporaneamente almeno 2 sensi del soggetto. La logica sottesa è di recuperare massima attenzione di ogni senso in modo da creare sufficiente distanza dal contesto presenziale in cui il corpo è effettivamente e la vicinanza con lo scenario di lavoro. Gli ambienti immersivi permettono di simulare scenari e luoghi dove viene promosso lo sviluppo di competenze e abilità interagendo con elementi dell’ambiente stesso o con altri studenti attraverso vista e udito e degli altri canali, tattili, olfattivi, gustativi. Vi sono 2 categorie: per presenza si intende il livello di consapevolezza che il soggetto ha di essere in un ambiente virtuale;per immensità la capacità di un ambiente di essere: Inclusive: livello di esclusione dal mondo fisico; Extensive: numero sensi coinvolti; Surrounding: estensione del campo visivo; Vivid: risoluzione e fedeltà della riproduzione dell’ambiente, legato alla qualità del display dei visori. Tra le tecnologie immersive presenti sul mercato abbiamo: I CAVE (Cave Automatic Virtual Environment): costruiti attraverso l’uso di videoproiettori che permettono di visualizzare su tutti i muri della stanza (soffitto e pavimento compresi) un ambiente. 27 formativo” (Rivoltella, 2001). Questa definizione è tutt’oggi valida.La Media Education è un campo interdisciplinare, che si colloca tra Scienze dell’Educazione e della Comunicazione.La ME è anche ambito di lavoro educativo. La componente movimentistica è importantissima. Essa è vissuta dal lavoro degli insegnanti, delle associazioni professionali, delle comunità autorganizzate dal basso.La Media Education considera i media una risorsa integrale per l’intervento formativo. Educare con i media è servirsi di prodotti educational, usare documentari a supporto della didattica: espressione di una prospettiva strumentale, questa dimensione della Media Education è quella più classica e si sovrappone alla “didattica mediale”; Educazione ai media, quando vogliamo promuovere pensiero critico sui contenuti mediali: espressione di una prospettiva testuale: è quella dimensione della Media Education che supporta il lavoro dell’insegnante sui linguaggi e le forme mediali. Oggi questa dimensione si estende agli usi corretti e responsabili dei media digitali e sociali; Educazione attraverso i media, è rendere i media trasversali alle discipline del curricolo (es. fare storia con il cinema del ‘900, fare geografia con Google Earth); Educazione per i media, quando si sviluppano competenze di scrittura mediale, si educa l’espressività, creare le condizioni per un uso linguisticamente corretto dei media (media making), serve per formare i futuri professionisti della comunicazione. 9.5 Tra scuola e extrascuola Tradizionalmente la Media Education viene pensata come attività da svolgere all’interno della scuola. Questa collocazione trova 2 spiegazioni: Anche i media hanno bisogno di un processo di alfabetizzazione (come per la letto- scrittura). È quindi necessario promuovere negli studenti le competenze per leggere e scrivere i media (Media Literacy). Questo compito rientra tra quelli della scuola. anche i media hanno le loro grammatiche e sintassi; I ragazzi vanno supportati affinché possano sviluppare un pensiero critico e responsabile rispetto ai media (Media Awarness). La Media Education serve a far crescere futuri adulti responsabili. Quindi se pensiamo alla scuola come un preparatore per la vita adulta lo stesso dobbiamo pensarlo sui media. Quindi visto che occorre immaginare uno spazio per la Media Education nella scuola, occorre capire quale spazio e come ricavarlo: Il curricolo disciplinare, pensa alla Media Education come una disciplina con il suo insegnante e le sue ore. Viene insegnata da docenti preparati. Tuttavia si tratta di una soluzione che rischia di produrre meccanismi di delega dal resto del collegio docenti. Il curricolo trasversale (cross-curricolari), in questo caso non esiste una disciplina dedicata, ma ogni disciplina si prende in carico alcuni temi e problemi. Le Indicazioni Nazionali per il Curricolo del Primo Ciclo individuano in alcune discipline (italiano, linguaggi, tecnologia) i luoghi più adatti a collocare questo curricolo. Dal punto di vista educativo e didattico questa prospettiva è più debole da difendere e difficile da sostenere. I futuri sviluppi del Piano Nazionale Digitale e il lavoro degli animatori digitali nelle singole scuole potrebbero rappresentare un ottimo strumento per lavorare in questa direzione. Proprio la diffusione sociale del digitale e i suoi usi scorretti (crimini informatici, cyberbullismo) sta ponendo attenzione ai temi media educativi facendo gioco a un’estensione della Media Education fuori dei confini della scuola. ciò apre nuovi spazi di ricerca e di lavoro educativo in almeno 3 direzioni. Una prima direzione è costituito dall’infanzia, dallo 0-6. Tradizionalmente questa età viene considerata troppo precoce per i media. Ma va cercata una zona media free in cui il bambino abbia 30 la possibilità di manipolare, fare esperienza, giocare con oggetti materici. Una seconda direzione è rappresentata dall’incontro dei Media Education con la Peer Education nel lavoro di prevenzione. Ciò consiste nell’usufruire dell’efficacia dei pari ad es. nel campo di prevenzione dell’uso di sostanze o dei comportamenti sessuali a rischio; Ultima direzione è costituita dagli anziani. Qui la Media Education favorisce l’alfabetizzazione tecnologica, uno sviluppo del pensiero critico per difenderlo dalle truffe online. CAPITOLO 10 – ANALISI DEI CONSUMI 10.1 Di cosa parliamo quando parliamo di consumi mediali Parlare di consumi mediali significa fare riferimento a una componente specifica del sistema industriale dei media di massa. Nel secolo scorso grazie allo sviluppo delle tecnologie della comunicazione, l’apparato produttivo ha offerto una mole crescente di prodotti comunicativi (libri, film, programmi radio e tv…) e di apparecchi di ricezione e riproduzione (radio, televisori, giradischi, pc…), acquistati da una massa di individui. Conoscere la domanda, sapere quanti sono e chi sono i consumatori dei propri prodotti o gli utenti dei propri servizi, quali i loro gusti e aspettative, costituiscono esigenze fondamentali di qualunque impresa. Queste conoscenze servono ad ottimizzare i processi di produzione, a migliorare i prodotti (dare al pubblico ciò che vuole) e servono a dare un valore economico ai prodotti stessi. La conoscenza dei consumi risponde anche ad altre logiche, esterne al sistema industriale dei media; è il caso della ricerca scientifica che, in una prospettiva ora funzionalistica, ora critica, si è interrogata di volta in volta sugli effetti, le funzioni, gli usi, i significati individuali e sociali delle pratiche di consumo mediale realizzate dai diversi pubblici. La nozione di “consumo” deriva dalla sfera economica: “il consumo comincia dove finisce il mercato”. Silverstone parla di “un’attività, individuale e collettiva, privata e pubblica, che dipende dalla distruzione delle merci per produrre significato”. Nel caso della comunicazione parlare di consumo è dunque un’operazione metaforica. 10.2 Media Education e analisi dei consumi: obiettivi formativi L’analisi dei consumi mediali costituisce una componente fondamentale delle diverse tradizioni di ricerca sui media. Dire che l’analisi dei consumi costituisce un metodo per la Media Education significa qualcosa di più preciso e più limitato; se “i principali metodi del lavoro educativo in Media Education sono l’analisi e la produzione”, è bene ricordare cosa si intenda per analisi in tale contesto e quali ne siano gli obiettivi formativi: cioè l’esercizio di decostruzione e ricostruzione dei dispositivi mediali. È bene evidenziare i diversi livelli che si rivelano pertinenti all’approccio mediaeducativo e che possono essere intesi come gli obiettivi formativi dell’analisi stessa: A un primo livello, il destinatario empirico, l’analisi dei consumi consente il passaggio dal destinatario implicito alla descrizione del destinatario reale, spettatore/lettore/fruitore concreto; A un secondo livello, le strategie di marketing, capace d produrre e dare forma al pubblico di un determinato prodotto o di una tecnologia della comunicazione; A un terzo livello, l’autoriflessività, qui lo sguardo analitico è invitato a posarsi sulle abitudini, gusti, pratiche quotidiane, sulle diete mediali dei soggetti coinvolti nell’intervento formativo per riconoscerle. Mentre i primi 2 livelli consentono un aumento di comprensione circa il funzionamento della macchina mediale nel suo complesso di offerta e domanda, produzione e consumo, il terzo livello consente ai destinatari dell’intervento di Media Education di pensarsi riflessivamente e soggettivamente come pubblico, e di acquisire così maggiore consapevolezza circa le proprie 31 pratiche di consumo mediale. 10.3 Oggetti e metodi Individuare gli oggetti e i metodi di questa analisi. Essi sono strettamente connessi. Ogni metodo costruisce il fenomeno del consumo interpretandolo in un modo particolare. 10.3.1 Rilevazione statistica Uno degli strumenti più diffusi di analisi dei consumi dei media è la rilevazione statistica., strumento finalizzato a misurare un determinato fenomeno in un certo lasso di tempo. Per esempio le statistiche culturali messe a disposizione dall’ISTAT, che fotografano l’andamento dei consumi di intrattenimento e cultura nel nostro Paese. Le statistiche relative ai consumi mediali e culturali interpretano il consumo stesso come una serie di comportamenti individuali, sconnessi tra di loro, riconducibili ad alcuni indicatori oggettivi misurabili (numero biglietti venduti, numero di ore passate davanti l’apparecchio…). 10.3.2 Rilevazione audiometriche Le rilevazioni audiometriche si caratterizzano per misurare l’ascolto secondo un approccio positivista. Ad es. il sistema di rilevazione del pubblico televisivo italiano (Auditel) nato a metà degli anni ’80. Successivamente si ebbe Audioradio, Audiopress e Audioweb. Il dispositivo di rilevazione è il people-meter, un’apparecchiatura elettronica che rileva automaticamente il canale sintonizzato sul televisore, registra i dati relativi ai membri del nucleo familiare all’ascolto e li trasmette alla banca dati centrale. I dati raccolti consentono di fotografare il consumo televisivo e di tradurlo in una serie di parametri: il numero di contatti di contatti netti (individui che hanno guardato almeno un minuto di un determinato canale TV), l’audience media (il numero medio dei telespettatori di un programma) e lo share (il rapporto percentuale tra gli ascoltatori di una certa emittente e il totale degli ascoltatori che stanno guardando qualunque altro programma sulle diverse reti). Tali parametri sono stati pensati per attribuire un valore economico agli spazi pubblicitari inseriti nei diversi programmi TV e costituiscono il mercato televisivo. 10.3.3 Survey Le survey sono indagini a carattere quantitativo che usano lo strumento del questionario somministrato a un campione rappresentativo della popolazione. È fondata sulla somministrazione di domande corredate dalle possibili risposte pre-definite. La somministrazione può avvenire in presenza o a distanza, per es. attraverso invio postale, chiamata telefonica o rilevazione online. Il principale vantaggio delle survey applicate alla ricerca sui consumi mediali è che esse non si limitano a rilevare le dichiarazioni degli utenti circa i propri consumi e a incrociare questi ultimi con una serie di variabili sociodemografiche come fanno le rilevazioni audiometriche (chi consuma, cosa, in che misura); il questionario costituisce un insieme ordinato di domande esplicitamente formulate, ciascuna delle quali genera una o più variabili della ricerca, e grazie a queste variabili consente di verificare diverse ipotesi interpretative riguardo ai fenomeni di consumo. 10.3.4 Intervista L’intervista è uno strumento di indagine a carattere qualitativo; mentre il questionario si basa sulla procedura standardizzata domanda-risposta, l’intervista assume un taglio più narrativo e un andamento più discorsivo. Le sue caratteristiche principali sono le sue finalità, le fonti informative che utilizza, la rappresentatività del campione e la focalizzazione. La fonte principale è la parola di 32 Uno studio recente sulla costruzione delle identità online e sulle aspettative dei giovani (Koh- Helrong, Brown) mette in luce diverse prospettive con i quali i ragazzi in età scolare si confronto con la propria identità online. I dati della ricerca fanno emergere comportamenti che includono attitudini molto diverse: 1) l’intenzione di porsi in continuità sull’asse realtà fisica-realtà digitale; 2) il desiderio di mostrare tratti fisici o caratteriali valutati positivamente o che si vorrebbero avere; 3) la volontà del soggetto di rappresentarsi nel modo in cui si desidera di essere percepiti dagli altri; 4)Voler creare una rottura tra l’asse della realtà fisica e quella digitale per costruire un’identità falsa e ingannevole. La consapevolezza da parte del docente delle diverse aspettative può costituire un aiuto per la progettazione di attività didattiche di guida all’analisi dei comportamenti online, sia in forma di video, foto, o narrazioni con codice linguistico. Attività di analisi si possono accompagnare a simulazioni e discussioni. Attività di simulazione possono responsabilizzare l’allievo nell’osservare con attenzione il profilo di un utente online, ad es. analizzare una lista di ipotetici candidati per un lavoro il cui profilo sui social network è pubblico. L’attenzione però è sul tema della credibilità e dell’affidabilità in relazione all’identità online. Il tema della sicurezza e del wellbeing risultano centrali per la scuola e per tutte le agenzie educative ad essa integrate. 11.4 Immersione e apprendimento Gli ambienti immersivi 3D, quali mondi virtuali sociali, costituiscono un ottimo esempio del potere di azione dell’utente nella sua interazione con la comunità e con l’ambiente stesso. Cosa sono gli ambienti immersivi 3D e come sono utilizzati a scuola? “Mondi virtuali” (MUVEs); “Giochi di ruolo” (MMORPGs); “Sandbox games” (Minecraft). Essi condividono l’aspetto sociale legato a un processo d’immersione attraverso l’embodiment dell’utente in forma di avatar. Ma l’avatar non è una rappresentazione in 3D, ma un “corpo intenzionale” che agisce e percepisce. L’utente-avatar si muove in uno spazio geometrico, mappabile, percorribile in modi diversi (camminando, correndo, volando…), crea oggetti e interagisce con altri utenti utilizzando diversi canali di comunicazione, tra cui il corpo. Ci si soffermerà su due tipologie di mondi ampiamente impiegati nel contesto scolastico: Minecraft e edMondo, che si rivolgono a bambini e ragazzi in età scolare e la progettazione open-ended, ci si trova immersi in un ambiente da abitare e da costruire, e in tale processo, il docente può creare percorsi disciplinari basati su approcci hands- on, problem-based o roleplayng. Essi usano la creatività percepita come dimensione ludica. Minecraft : è un cosiddetto sandbox game (2009) che ha avuto un enorme successo fra i più piccoli grazie alla grafica a blocchi simile ai LEGO. L’ampiezza della risposta da parte dei bambini in età scolare ha favorito lo sviluppo di una versione Education, nel 2016, che permette al docente di disporre di una piattaforma per la comunità degli educatori e di gestire l’ambiente in base alle esigenze dei propri alunni (età) e obiettivi didattici. Studenti e docenti esplorano il knowledge base e rintracciano risorse d’interesse. La rete di supporto è un anello importante: gli utenti costruiscono tutorial e registrano le sessioni di gioco (che poi possono condividere online su YouTube) facendo riferimento sul supporto dei pari in un’ottica di integrazione tra il gioco e gli spazi di interazione della comunità di interesse. Uno dei punti forza di Minecraft è la versatilità; accanto alla versione per pc, si 35 dispone della versione per dispositivi mobili (Poket edition). Il prezzo contenuto e l’opportunità di poter utilizzare il gioco con il tablet ha favorito la sua introduzione in ambito didattico. La caratteristica che sembra attrarre maggiormente i giocatori è la possibilità di agire nel mondo, di costruire oggetti, anche dinamici e attraverso il sistema Code Builder si consente allo studente di esercitarsi con il coding usando strumenti come Code.org e Scratch. Edmondo : nasce in Italia per iniziativa di INDIRE (Istituto Nazionale di Documentazione per l’Innovazione e la Ricerca Educativa). È un mondo virtuale in 3D costruito su piattaforma OpenSim. Elemento caratteristico è la specificità dell’utenza a cui è indirizzato, ossia docenti e studenti, e la sicurezza di un ambiente controllato. L’ambiente è gratuito e permette al docente di gestire gli account per gli studenti, i quali possono essere coinvolti attivamente in progetti. Particolarmente accattivanti sono le attività di simulazione attraverso roleplaying, grazie alla possibilità di manipolazione dell’ambiente e dell’avatar (travestimenti). CAPITOLO 12 – PROGETTAZIONE DI PERCORSI DI MEDIA EDUCATION Il concetto di ME si è evoluto, parallelamente allo sviluppo dei media stessi e delle tecnologie che li supportano e, sono cambiati anche il concetto e le modalità di progettazione, che è diventata più complessa. Al concetto di Media Education si sono sovrapposti e sostituiti i concetti come new media, social media, media literacy o mobile media. Dovey e Kennedy hanno provato a sottolineare i termini legati ai Media studies e quelli derivati dai New Media studies, come nella tabella. Non c’è più uno spettatore, ma un utente immerso in un contesto e che agisce e fa qualcosa. Si è passati dal fruitore spettatore (che è distacco) all’utente immerso che agisce e crea oggetti e artefatti mediali (partecipazione). 12.1.1 La Media Education nella vita quotidiana Come riconosciamo la Media Education? Essa era ben identificabile quando i media erano oggetti distinti dagli altri: radio, tv, cinema. A inizio degli anni ’90, la RAI inaugurò uno dei primi servizi a distanza. Con lo sviluppo della TV satellitare, vennero creati i primi canali tematici che si occupavano di argomenti specifici come RAI Education o RAI Storia. Un insegnante poteva consultare in rete il palinsesto e vedere se fosse prevista la replica di programmi che presentavano argomenti relativi alla propria disciplina, in modo da registrarli e utilizzarli nel corso delle proprie lezioni e richiederne la messa in onda. 36 Nel 1995 venne avviato il primo Piano di Sviluppo delle Tecnologie Didattiche (PSTD) che ebbe la sua realizzazione nel triennio 1997/2000. Vennero costruiti i primi laboratori multimediali nelle scuole e la rete cominciò ad entrare a scuola con l’ISDN (prima rete veloce). I media erano dappertutto. Hanno cominciato a diffondersi, ibridarsi con le diverse tecnologie. Nel 2005 è nato YouTube. Progressivamente sono nate applicazioni che ci hanno permesso di agire quotidianamente con i media: Whatsapp, Instagram… Ora siamo tutti fotografi e registi di scene di vita quotidiana. Questo sviluppo è dovuto alla convergenza dei media: “l’unione di più strumenti per comunicare, una fusione che rende possibile dalla tecnologia digitale”. Fino agli anni ’80 i media erano diversi, si basavano su tecnologie differenti e non dialogavano fra loro. Dagli anni ’90 i media dialogano tra loro e si basano sulla medesima tecnologia. Prima le attività di Media Education erano maggiormente riconoscibili e semplificate. Ora sono mescolate in mezzo a tante attività quotidiane. 12.2 Il nuovo significato di progettazione per la Media Education Come si struttura la progettazione nei percorsi di Media Education? Vi sono 2 poli: i media e le loro caratteristiche. Le principali caratteristiche dei nuovi media: i media sono diventati sociali, mobili, indossabili, rappresentano e declinano il nostro rapporto con la società, la loro azione si snoda in molti contesti (fra scuola e territorio). Progettare un percorso di educazione mediale significa rendere palese la relazione che intercorre fra le persone e i media. Se ci focalizziamo sull’ambiente scuola, alcune caratteristiche sono: è necessario essere consapevoli che una relazione implicita con i media esiste; lo scopo dell’azione didattica è quello di rendere esplicita tale relazione in modo che l’alunno ne sia consapevole; all’interno di quella relazione, possono essere individuati diversi aspetti relativi: cognitivi (come imparo, come gestisco e uso le info), sociali (come mi relaziono con gli altri, quali reti costruisco), etici (come considero gli altri, come si evolvono i miei valori), estetici (come percepisco le immagini, in che modo si evolve l’idea di bellezza), narrativi (che linguaggio uso, come racconto le mie esperienze), culturali (come si evolve l’idea di scuola, di sapere, di disciplina); I media strutturano e incidono sul rapporto fra studenti e saperi che intersecano le varie discipline. La competenza più vicina alla Media Education non è tanto quella digitale, ma quella del senso di iniziativa e imprenditorialità, che aiuta gli individui sia nella vita quotidiana che nel posto di lavoro. È necessario distinguere le declinazioni delle azioni che caratterizzano la tecnologia dell’istruzione: Le prime, le tecnologie dell’istruzione sono maggiormente orientate al ruolo che gli strumenti tecnologi hanno nei processi di apprendimento e nella loro organizzazione (es. coding, app per valutare, registro elettronico, risorse informative digitali). La Media Education maggiormente orientata agli aspetti culturali, sociali e di cittadinanza. Il suo focus è centrato sui linguaggi, sulle conseguenze economico-sociali dei media, sull’idea di società, sulle culture e le percezioni. Il documento istituzionale di riferimento per la Media Education in Italia è il sillabo per 37 multimedialità (presenza di diversi linguaggi di comunicazione) e quello della multiculturalità (come incrocio e incontro di culture e diversità linguistiche). La cornice comunicativa e linguistica che ne deriva, prodotta dalla combinazione di diversi aspetti (linguistico, visuale, audio, spaziale, gestuale, tattile) necessità della capacità di negoziare i diversi significati che provengono da canali e medium diversi. La scuola può accompagnare la sperimentazione di tutti i linguaggi attraverso una metodologia di esperienza situata, analisi critica, negoziazione e il confronto continuo. Henry Jenkins parla di approccio transmediale che implica un compito di lettura compositiva. Anzi Jenkis parla di “comprensione additiva”, ovvero un processo di analisi, aggiunta, confronto tra pezzi di un puzzle che stanno insieme attraverso il lavoro interpretativo del soggetto. “Leggere ed elaborare contenuti mediali che attraversino una molteplicità di media, in definitiva, permette di sviluppare abilità di lettura e di scrittura, usando diverse modalità di espressione e di maturare competenze su più livelli” (Jenkins). Ad es. ciò che il videogioco racconta non è una narrazione identica del fumetto. Esso aggiunge una sfumatura in più che rende più significativa la storia disseminata su piattaforme e raccontata attraverso linguaggi diversi, ma integrati. Non dobbiamo confondere la trasmediabilità con la multimedialità e la multimodalità. Rivoltella definisce le dimensioni della multimedialita: dimensione tecnologica, testuale e culturale. La multimodalità invece fa riferimento a diversi modi di “fare significato”: modi diversi che lavorano su diversi canali percettivi. Toccare diversi linguaggi e ragionare in maniera integrata è una delle implicazioni più importanti quando portiamo la ME in classe. 13.3 La dimensione metodologica Si possono insegnare i media? Si. Entrare in classe con una postura capace di mettere insieme i fili del fare (la tecnica) e del pensare (la riflessione), avendo in mente un obiettivo da raggiungere. Ad es. se voglio discutere un percorso di bullismo o cyberbullismo non posso fare solo una lezione frontale e concettuale della problematica, ma devo dotarmi di strumenti di intervento attivi, basati sul coinvolgimento e la partecipazione. Ad es. creare una storyboard e ideare sceneggiature per un video. Quest’ultima si configura come azione di gruppo che prevede di: Organizzare la classe in sottogruppi; Affidare compiti sulla base di un criterio predefinito; Gestire i processi per realizzare un prodotto in tempi stabiliti; Analizzare il risultato e ritornare sul prodotto (come formato che comunica), sul contenuto (veicolato dal video) e sullo stato d’animo della classe, in un’azione di debriefing che tocca sia il versante concettuale (cosa ho imparato) sia quello emotivo (come mi sono sentito/a nel corso del lavoro). Questa complessità necessita di vivere questi contenuti, fare esperienza, immergersi nelle storie. Le 3 attenzioni che Masterman proponeva come peculiarità della ME: l’accento posto sulla comprensione del sistema dei media e i suoi processi; l’incoraggiamento dato alle attività pratiche come “strumento di esplorazione e rafforzamento della comprensione concettuale”; la promozione del pensiero autonomo. Il sostegno teorico a questo scenario è dato da 2 riferimenti: L’opera di Freinet: pone le basi per una riscoperta del valore della prassi, non solo per apprendere concetti, ma anche modi di essere e modi di stare con gli altri; Apprendimento per scoperta: si pone in antitesi all’apprendimento per ricezione. La classe diventa officina di pensiero, non più contenitore da riempire di nozioni. Produrre e lavorare insieme ai compagni, guidati dall’insegnante, implica la revisione del concetto 40 spazio. Esso svolge un ruolo decisivo nella relazione educativa e didattica. Non si tratta solo di spostare banchi e arredi, ma di pensare alla riorganizzazione dell’aula in funzione delle attività didattiche e dei processi che si vogliono sostenere. Occorre quindi rimodulare lo spazio fisico. Quando la ME entra in classe, la classe diventa laboratorio e si organizza in maniera funzione al momento del lavoro proposto: in forma classica (quando l’insegnante fornisce le coordinate di lavoro); in forma circolare (nel caso di un brainstorming); a isole (nel lavoro di piccolo gruppo o per guardare un video su cui fare analisi insieme); a “palcoscenico” (per valutare i prodotti dei compagni, che vengono visionati in plenaria). La classe è un ambiente di riflessione e di ricerca di cui i bambini sono protagonisti e responsabili. Maria Montessori afferma “Gli spazi d’aula dovrebbero essere polifunzionali, nel senso di consentire lo studio e il lavoro individuale e di gruppo, la comunicazione interpersonale, il momento corale ma anche l’isolamento, la sperimentazione del nuovo e l’approfondimento specializzato del già acquisito”. 13.4 La dimensione tecnologica Cosa serve per fare ME in classe? Possiamo immaginare almeno 3 scenari: 1) Usare le tecnologie presenti a scuola : aspetto positivo è che non devo pensare a recuperare i dispositivi (ci pensa la scuola); aspetti negativi: talvolta i dispositivi non sono disponibili in aula (l’aula attrezzata va prenotata, non è sempre disponibile); non sempre i dispositivi sono aggiornati; non sempre ci sono dispositivi per ogni studente. È importante accompagnare i docenti con un supporto tecnico e metodologico. 2) BYOD: prevede che gli studenti portino il proprio dispositivo e che lo usino in chiave didattica durante le lezioni. Vantaggi: riduzione costi investimento e aggiornamento; cura degli studenti nei confronti del proprio device; familiarità con essi; flessibilità organizzativa. Svantaggi: la compatibilità delle app; disuguaglianza tra studenti con possibilità di acquisto diverse; la connettività; la resistenza di molti genitori (che hanno materialmente partecipano alla spesa). Si tratta di rendere questa scelta un momento di riflessione su cosa sia meglio fare in classe e cosa no, collaborando insieme. Bisogna collaborare alla creazione di un “contratto pedagogico”, nel quale ci si impegna a vivere la tecnologia come risorsa integrale. 3) La Media Education carta e matita: è il caso di percorsi attraverso i quali si vuole promuovere la consapevolezza critica sulle logiche dei media sotto i 14 anni, età limite per l’accesso. Affrontare il tema del rispetto, come quello del linguaggio delle immagini, può fare la differenza. Si possono attivare percorsi di ME per abilitare la riflessione, la scelta e non alimentare quella curiosità morbosa che il divieto sollecita attraverso la censura. PARTE TERZA – PERCORSI E STRATEGIE CAPITOLO 14 – SOCIAL TEACHERS, SOCIAL FAMILIES: LE TECNOLOGIE NELLE COMUNITA’ DI DOCENTI E NEL RAPPORTO CON LE FAMIGLIE 14.2 Competenze digitali nella società della conoscenza Vivere la rete in modo attivo ed essere sempre connessi con gli altri è una delle competenze di cui la formazione si deve occupare, pena il rischio di creare divario digitale e penalizzare uno dei luoghi in cui il cittadino ha la possibilità di esprimersi e di incontrare gli altri. Vivere nella società della conoscenza significa avere a che fare con identità, relazioni, modi di comunicare e apprendere diversi. Lo stesso concetto di apprendimento acquisisce nuovi significati: Il lifelong learning definisce la necessità di promuovere strategie di apprendimento lungo tutto l’arco della vita. Sono i nuovi strumenti digitali ad ampliare le opportunità di apprendimento continuo e di partecipazione civica nella società. Le tecnologie da sole non garantiscono sviluppo e 41 apprendimento continuo. È sempre necessaria una formazione all’utilizzo della ICT. Diventa necessario fornire a tutti le competenze digitali per vivere a pieno titolo in questa società: già nel 2010 l’Agenda Digitale Europea 2020 ha promosso di sfruttare le potenzialità delle ICT per favorire l’innovazione, la crescita economica e il progresso. Oltre a questi obiettivi è stata sottolineata la necessità di migliorare le infrastrutture e l’accessibilità. Nel 2013 la Commissione Europea ha avviato il progetto internazionale Quadro Europeo di competenze digitali per i cittadini, detto DigComp. Si tratta di uno strumento in evoluzione, giunto nel 2017 alla versione 2.1, che ha l’obiettivo di migliorare le competenze digitali di tutti i cittadini europei, di orientare le politiche a supporto dello sviluppo di tali competenze, di offrire un framework di riferimento comune per pianificare interventi di formazione su specifici gruppi target. Trova quindi anche un utilizzo pratico nel valutare se stessi e le proprie competenze, individuando punti di forza e di debolezza e vuoti formativi da colmare. 14.3 Essere genitori e insegnanti social In Italia l’utilizzo delle tecnologie è in costante crescita: il 15° Rapporto CENSIS sulla comunicazione (2018) rivela che gli italiani che usano che usano internet sono passati dal 75,2% al 78,4%, utilizzando smartphone, social media (più di metà della popolazione usa WhatsApp, Facebook e YouTube). Questi strumenti vengono usati anche in famiglia: il rapporto CISF 2017 (centro internazionale studi famiglie) sulle Relazioni familiari nell’era delle reti digital, ha evidenziato che i social media vengono utilizzati anche per mantenere i legami familiari (es. gruppo whatsapp presente nell’80% delle famiglie). A fronte di una percentuale così alta di utilizzatori, solo nel 53% delle famiglie le tecnologie diventano argomento di conversazione tra genitori-figli in cui vengono date a quest’ultimi regole sul consumo di ICT; nel 56% non ci sono protocolli familiari condivisi al riguardo; un 27% di genitori non parla mai del consumo di media in casa e un 37% non si preoccupa di ciò che i figli pubblicano online. Per quanto riguarda gli insegnanti: da un lato è in aumento l’uso delle tecnologie in ambito scolastico nella comunicazione con le famiglie, grazie all’introduzione obbligatoria del registro elettronico, dall’altro questa comunicazione si limita si limita a contesti digitali ufficiali (formali) nei quali gli insegnanti si sentono più a proprio agio e possono monitorare i contenuti. Invece nei contesti digitali non ufficiali i docenti evitano la comunicazione con le famiglie per mancanza di controllo (es. chat utilizzate dai genitori in modo non appropriato). Anche gli insegnanti hanno scarsa consapevolezza delle opportunità date dei social media rispetto alla comunicazione con le famiglie/ alunni, ma anche delle potenzialità di partecipazione attiva e del coinvolgimento reciproco negli ambienti digitali formali e non formali. 14.3.1 Comunicare, collaborare, condividere Acquisire competenze digitali è possibile a patto di esercitarsi e sperimentare la cittadinanza digitale nelle sue varie espressioni, sentendosi parte di una comunità. “Ciò che distingue le comunità collaborative dalla gran parte delle comunità è il desiderio di costruire nuovi significati del mondo attraverso l’interazione con altri. La comunità collaborativa diventa un mezzo sia per conoscere se stessi sia per esprimere se stessi” (Schrage). Nel DIGCOMP 2.1 l’area della Comunicazione e collaborazione integra l’integrazione, comunicazione e collaborazione attraverso le tecnologie digitali con la consapevolezza della diversità culturale e generazionale. Le competenze da sviluppare sono 6: L’interazione attraverso le tecnologie digitali; La condivisione attraverso le tecnologie digitali; L’impegno nella cittadinanza attraverso le tecnologie digitali; 42 Immaginiamo la scuola per quel che è: un organismo vivente, composto da un soffio vitale, da un corpo, da un cervello, da gambe e braccia. Un recente saggio introduce il concetto di classe intelligente: La smartness o l’intelligenza della classe dipende da molti fattori, quello tecnologico e quello architettonico, quello didattico e quello pedagogico. Dipende anche dalla capacità di introdurre esperienze del mondo reale, o meglio di far sì che lo spazio scolastico sia un ambito di informazione del mondo reale. Non intendiamo in senso passivo, ma l’anticipazione dei cambiamenti sociali. Nel disegnare la smart school e il concetto di classe aperta, non solo di interviene su un nuovo rapporto tra studente e docente, ma su un’organizzazione diversa della scuola stessa. Si può delineare un nuovo modello di scuola: Dalla scuola dell’autoreferenzialità, dove vi sono 3 livelli: il preside che presiede, i vari organismi collegiali più organismi di parola, il docente nella sua classe. Alla scuola dell’accountability, basata su 3 livelli: il dirigente che dirige, cioè ha visione di sistema, lo staff, ogni docente nelle classi che iniziano ad aprirsi in progettualità orizzontali (pari classe) o verticali (classi aperte). Il PTOF dovrebbe essere scritto con un atteggiamento proattivo verso la realtà circostante (di che ha bisogno questo territorio?) e con risposte che diventino servizio per la comunità in cui si opera. Un nuovo PTOF per una nuova organizzazione della scuola. È vero che la scuola è un luogo privilegiato della conoscenza. Si parla spesso di learning organization (…) un punto di partenza perché ci sia apprendimento è quello di avere sia spazi opportuni, sia oggetti su cui riflettere (…) bisogna far funzionare bene quello che già si ha. Occorre arrivare sempre con una bozza, magari condivisa online, raccogliere idee. Allora anche i gruppi diventano “spazio intelligente dell’innovazione”. 15.2 Il corpo: l’organizzazione tra documenti e gestione Si possono visitare tante scuole, ma è la conformità burocratica il fenomeno che più colpisce. Ci sono molti aspetti da considerare per innovare anche nell’organizzazione finalizzata alla tecnologia: Rapporto tra tacito ed esplicito : ci sono pratiche che la scuola si porta dietro da anni; ci sono valori non dichiarati che sono più forti di quelli espressi; ci sono procedure che resistono alle circolari perché “si è sempre fatto così”. Cosa fare? Scrivere ed esplicitare, anche le criticità. Sfasamento dei documenti rispetto alle pratiche : i documenti non rispettano sempre la realtà, come il POF disatteso. È il caso della stesura di documenti troppo burocratici e non sempre rispettati alla lettura o delle circolari d’istituto che dovrebbero “tradurre” e sono talvolta più oscure di quelle ufficiali. È il caso di documenti centrali per la vita della scuola che si ignorano e vanno per proprio conto a seconda del PC da cui si originano: la contrattazione integrativa, il programma annuale, il POF, il regolamento d’istituto, ecc). Essi però non possono essere ridotti a modulistica. Dispersione e frantumazione delle risorse : la filosofia d’impiego delle risorse umane, strumentali, finanziarie è centrale. Anche più della ricerca di nuove. Pensare il curricolo : si dà per scontato che il curricolo altro non sia che l’adattamento delle indicazioni ministeriali. È pregnante invece l’azione di pensiero sul curricolo, che caratterizzi le scelte di scuola (digitale, inclusiva, interculturale?) che sia perno dell’idea di scuola. Apertura e ruolo degli esterni : una tendenza oggi diffusa è il ricorso a esperti esterni, nella 45 scuola dell’obbligo, spesso messi a disposizioni dagli enti locali o pagati dai genitori. Un esempio attuale è quello delle scuole aperte. Aprire la scuola al territorio non può solo voler dire aprire ad altre agenzie, ma perseguono pur sempre loro finalità e idee di educazione. Dovrebbe essere la scuola, centro di cultura e saperi, che dialoga con il territorio accogliendo percorsi e attività coerenti con la sua idea di scuola. 15.3 Il cervello: dalla smart school alla smart organization Si tratta di assumere una visione organica, sistemica, dell’istituzione scolastica, superando la separazione organizzazione/didattica. L’intervento e l’influenza del dirigente può collocarsi in questo ambito, risiedendo nei pesi da dare agli ambiti, definendo così quel che è importante, il modello, appunto l’idea di scuola che c’è dietro una separazione o una integrazione organizzazione/didattica. Se l’organizzazione non ha una sua ramificazione e diffusione, le risorse si percellizzano nei mille rivoli delle singole attività. All’opposto per un’organizzazione che supporta gli apprendimenti è una scuola aperta: lavorare in classi aperte, insistere sulla verticalità, utilizzare spazi comuni, metodologie comuni, strumenti comuni, in modo da confrontarsi continuamente sugli obiettivi comuni della scuola, non solo intorno a documenti, ma a pratiche didattiche da costruire. Siamo nei territori dell’organizzazione che apprende, della co-generazione di conoscenza, della curiosità collaborativa tra soggetti, della comunità di pratica. Darsi un’idea di scuola è il punto di partenza di un approccio sistemico, per evitare i due fattori di rischio più ricorrenti per le scuole che abbiamo un’idea molto forte di se stesse, l’autoreferenzialità e il velleitarismo. Ora l’accountability (= rendicontazione sociale) richiede una trasformazione di prassi e riferimenti teorici sui quali avviare percorsi pluriennali che molte scuole stanno avviando. Più in piccolo, raccontare la scuola, avere un’idea sostenibile, reale, centrata sullo studente è un buon punto di partenza. Un riferimento di pensiero che si fonda su questa prospettiva esiste ed è la “valutazione formativa”: introdurre elementi di trasparenza, costruire percorsi coerenti, la capacità di applicazione reale degli apprendimenti, l’attenzione agli esiti, ma anche ai processi, ai dati ma pure al clima. In sintesi: “la capacità di generalizzare, di trasferire e di utilizzare la conoscenza acquisita a contesti reali”. 15.4 Gambe e braccia: gli strumenti operativi e la strada L’introduzione di hardware e software, secondo una gradualità che corrisponde a una conoscenza delle risorse e delle competenze diffuse nell’istituto. L’innovazione a scuola può avvenire da singoli che si prodigano e da piccole azioni. La scuola oggi è essa stessa complessità circondata da complessità. Si tende a raccogliere dati, informazioni, a rispondere a tutte le esigenze, ma in maniera percellizzata. L’idea di scuola che si vuole realizzare è quella con un piede nella sua tradizione, ma a dimensione di futuro. Gli aspetti su cui costruire un’idea di scuola sono: 1) Congruità scientifica, organizzativa, strutturale dell’idea di scuola: l’adozione di nuovi modelli per tutti è un percorso culturale per cui l’innovazione è intesa come scelta progettuale che determina sia il livello di legami forti (la classe, l’aula, la disciplina, l’orario) che quello dei legami deboli (autodeterminazione dei singoli e delle didattiche). 2) Leadership educativa: l’idea di scuola determina la trasformazione dei rapporti e delle relazioni, dei ruoli di dirigente, staff, collegio docenti, genitori, studenti. La riorganizzazione per competenze vale a dire valorizzare le competenze organizzative dei singoli, passare dall’idea di commissione (docenti delegati che rappresentano istanze) a quella di gruppo di lavoro (docenti esperti che sviluppano progettualità). 46 3) Riorganizzazione degli ambienti fisici dell’istituto scolastico: trasformare degli ambienti di apprendimento e realizzare spazi alternativi all’aula e al laboratorio. Svincolare l’aula dalla classe significa permettere la realizzazione di aule disciplinari i cui docenti possano personalizzare lo spazio di insegnamento, ma anche trasformare le aule normali in laboratorio scientifico, musicale, informatico, umanistico, linguistico in cui il dato reale possa essere rielaborato in digitale. Cambia l’idea di laboratorio che è lo spazio (fisico o virtuale, immersivo o aumentato) dove si creano cose, parole, immagini e suoni. È il luogo dell’incontro dei talenti di studenti e docenti. 4) Riorganizzazione del tempo scuola: creare un’organizzazione dei tempi di insegnamento/apprendimento coerente con l’idea di scuola. Molte le esperienze di compattazione oraria (discipline compattate in determinati tempi dell’anno scolastico), dell’uso flessibile del tempo scuola (diverse organizzazioni del tempo scuola in base ai giorni della settimana e ai rientri pomeridiani), delle aule laboratorio (strutturazione della giornata scolastica in base alla rotazione degli studenti nelle aule). 5) Innovazione didattico-metodologica: esercitata nei confini delle singole classi, per una scuola che decide di accostarsi a un’idea attiva, laboratoriale dell’apprendimento, tutta la comunità professionale dovrebbe avvicinarsi ai modelli di collaborazione, costruzione, didattica attiva, laboratoriale che permettano l’autonomia e la personalizzazione dei percorsi degli studenti. Oggi è necessario l’integrazione equilibrata del ritorno al “mettere le mani in pasta”, ciò è favorito dal digitale che per sua natura unisce sempre pensiero e azione. 6) Innovazione curricolare: una delle vie più agevoli per il cambiamento passa attraverso la costruzione di percorsi curricolari di potenziamento, rinforzo e modellamento delle competenze; in coerenza con le tecnologie digitali adottate va integrata la realizzazione di un curricolo digitale, in cui a ogni età corrisponda l’applicazione o il dispositivo adatto. L’obiettivo è sperimentare quotidianamente una didattica laboratoriale che possa essere anche il prolungamento o l’integrazione in aula dei percorsi già attivati nei laboratori specifici. 7) Utilizzo di contenuti didattici digitali : nell’idea di scuola, nell’epoca del digitale, bisogna riflettere sul passaggio dal sapere ai saperi, dal formato-libro ai formati-libro-digitale, in chiave di integrazione delle risorse, autoproduzione, selezione dei contenuti. Un primo passo può essere costituito proprio dal pensare alle policy per permettere l’accesso quotidiano ai contenuti digitali adottati, ma anche per creare contenuti integrativi sia come prodotti, che come processi didattici. 8) Tipologia o caratteristiche generali degli strumenti: per la realizzazione della progettualità assume poi un ruolo centrale ruolo la scelta della tipologia di adozione dei dispositivi tecnologici; scelta dei sistemi operativi, applicativi, apertura, interoperabilità; architettura di sistema per gestire i flussi dei dati, le informazioni, i contenuti digitali; scelte di connessione, con filo o senza, mappa degli accessi alla rete, registro elettronico, ecc. 9) Strumenti di valutazione della qualità della didattica e dei suoi risultati e strumenti di analisi dei processi e di rendicontazione sociale: l’idea di scuola va sottoposta a un ciclo performativo che va dal PTOF, al Rapporto di Autovalutazione, risultati Invalsi, eventuali prove parallele, Piano di Miglioramento e programma annuale. L’idea di scuola porta un’impostazione organizzativa che anticipa la creazione di un modello di autovalutazione della qualità dell’istruzione che contempli le scelte didattiche e tecnologiche. Una volta individuata l’idea, vanno allineati i documenti negli obiettivi, nei processi e nelle azioni. Spesso questi adempimenti sono slegati tra loro e non resi autentici. 47 ’80. Ci si riferisce alle conoscenze e capacità necessarie per poter usare e interpretare i media, in particolare quelli audiovisivi (cinema, televisione). Buckingham vede la ML in 2 modi diversi: Ottica funzionale: dotare gli individui di una cassetta degli attrezzi costituita da un pacchetto di conoscenze e abilità che rendano le persone capaci di comprendere e utilizzare i media. Ottica critica: l’accento è posto sulle capacità di analisi, valutazione e riflessione critica. Quest’ultima indica lo sviluppo di un metalinguaggio, ossia un linguaggio in grado di descrivere i linguaggi dei media, le forme e le strutture delle diverse modalità di comunicazione, e comporta la comprensione dei contesti sociali, economici e istituzionali della comunicazione. Tutti aspetti che possono essere sviluppati con percorsi di Media Education.Oggi l’attenzione della ML è sempre più rivolta alle nuove forme di comunicazione mediale generate dallo sviluppo dei media digitali. A questo riguardo Livingstone ha proposto di definire la ML come “l’abilità di accedere, analizzare, valutare e creare messaggi in una varietà di contesti”, definendo tali abilità: Accesso: riguarda la disponibilità di media/tecnologie e la capacità degli individui di aggiornare costantemente le dotazioni hardware e software di cui si avvalgono. Analisi: la comprensione della stampa e dei media audiovisivi dipende da un ampio spettro di capacità di tipo analitico, tra cui la comprensione delle categorie, delle tecnologie, dei linguaggi, delle rappresentazioni, compreso l’uso di internet per cogliere opportunità offerte dalla rete. Valutazione: solleva quesiti sulla finalità della valutazione: la ML promuovere un approccio democratico e plurale alle rappresentazioni online oppure deve operare una distinzione tra buona e cattiva informazione? Creazione del contenuto. non tutte le definizioni di ML comprendono la produzione dei media, gli individui conseguono una maggiore comprensione dei media, se hanno esperienza diretta di produzione di contenuti. d d 16.3 Le competenze digitali: modelli e definizioni L’espressione digital literacy o digital competence è più recente rispetto alle literacy. Si sono susseguite numerose definizioni. Tra queste abbiamo quella di Calvani, Ranieri, Fini (2010): “la competenza digitale consiste nel saper esplorare e affrontare in modo flessibile situazioni tecnologiche nuove, nel saper analizzare, selezionare e valutare criticamente dati e informazioni, nel sapersi avvalere del potenziale delle tecnologie per la rappresentazione e soluzione di problemi e per la costruzione condivisa e collaborativa della conoscenza, mantenendo la consapevolezza delle responsabilità personali, del confine tra sé e gli altri e del rispetto dei diritti e doveri reciproci”. In questa definizione sono presenti 3 dimensioni: Dimensione tecnologica: include abilità e conoscenze di base di natura strumentale per garantire l’uso delle tecnologie; Dimensione cognitiva: comprendere la capacità di leggere, selezionare, interpretare e valutare dati; valutare informazioni considerando la loro pertinenza, l’affidabilità e i contesti di produzione e uso della conoscenza; Dimensione etica: riguarda la capacità di tutelare se stessi e la propria privacy, di comportarsi in modo adeguato e nel rispetto degli altri. Lo Joint Research Centre for Prospective Technological Studies (JRC-IPTS) ha sviluppato il DIGCOMP, un quadro di riferimento per la competenza digitale che recupera e approfondisce le indicazioni delle Raccomandazioni, integrandole con vari contributi offerti da vari studiosi del settore. Il DIGCOMP individua 21 competenze riconducibili a 5 aree principali: 50 Area di competenza 1 - Information literacy. Riguarda tutte le conoscenze e abilità relative alla ricerca, selezione, valutazione, memorizzazione e recupero delle info. Area di competenza 2 - Comunicazione e collaborazione. Riguarda la capacità di interagire in modo responsabile con le tecnologie, di condividere i contenuti e di collaborare con gli altri; Area di competenza 3 - Creazione di contenuto digitale. Riguarda la capacità di creare, modificare, ricombinare contenuti digitali in modo creativo e nel rispetto dei diritti d’autore; Area di competenza 4 – Sicurezza. Riguarda tutte le conoscenze e abilità necessarie per mettere in sicurezza i dispositivi, proteggere i propri dati personali, tutelare il benessere fisico e psicologico, proteggere l’ambiente; Area di competenza 5 - Problem solving. Riguarda la capacità di affrontare problemi tecnologici, individuare soluzioni innovative con le tecnologie, aggiornare le proprie competenze digitali. d d 16.4 Competenze digitali, formazione, cittadinanza La competenza digitale non si sviluppa spontaneamente. Jenkins e colleghi indicano 3 gap che le istituzioni educative devono colmare attuando pratiche e politiche mirate: il gap partecipativo, l’accesso iniquo alle opportunità, esperienze, competenze e conoscenze necessarie per preparare i giovani alla piena partecipazione alla società del futuro; il problema della trasparenza, le sfide che i giovani devono affrontare per acquisire chiara consapevolezza del modo in cui i media influenzano le loro percezioni del mondo; le sfide etiche, legate all’esigenza di preparare i giovani ai nuovi standard etici che dovrebbero configurare le loro pratiche come produttori di media all’interno di comunità online. Sul piano educativo, occorre direzionare l’attenzione dei giovani su pratiche digitali più avanzate dal punto di vista critico e cognitivo e su aspetti di natura etica e sociale, mettendo al centro temi quali: la valutazione dell’affidabilità dell’informazione, i problemi legati alla privacy e alla gestione dei dati personali, la capacità di avvalersi delle tecnologie per costruire conoscenza. Anche le nuove generazioni di insegnanti sono impreparate a formare le competenze digitali dei propri alunni. La ME, attraverso i processi classici di alfabetizzazione ed empowerment, si propone di realizzare la progressiva emancipazione dei soggetti per la piena cittadinanza. ; CAPITOLO 17 – DALL’EDUTAINMENT ALLA GAMIFICATION ; 17.1 Pervasività del gioco Il gioco accompagna da sempre le attività umane. La riflessione sul gioco si incentra su 2 aspetti: è legato alla comprensione di che cosa sia effettivamente il gioco e riguarda il rapporto tra gioco e ciò che gioco non è. La classica definizione di gioco offerta da Huizinga costituisce un punto di partenza per delineare lo sviluppo di entrambi gli aspatti: “Il gioco è un’azione, o un’occupazione volontaria, compiuta entro certi limiti definiti di tempo e spazio, secondo una regola volontariamente assunta, e che tuttavia impegna in maniera assoluta, che ha fine in se stessa; accompagnata da un senso di tensione e di gioia e dalla coscienza di essere diversi dalla vita ordinaria”. Il gioco e le attività a esso legate sono caratterizzate dall’essere frutto di una scelta libera.Vengono poi individuati una serie di ulteriori tratti caratteristici del gioco: il travestimento, il caso, la vertigine. La riflessione sul gioco porta a una conferma e a una smentita della tesi di Huizinga. Da 51 una parte che lo sviluppo della civiltà e della società sia legato alla dimensione ludica, dall’altro distingue tra vita ordinaria e lavoro e mondo del gioco. Una netta contrapposizione tra gioco e non gioco non più sostenibile. La nascita di termini come playbor (play e labour), cioè gioco e lavoro. La dimensione ludica diventa sempre diffusa. In questo contesto è stata sottolineata l’importanza delle competenze ludiche (gaming literacy) da intendere come modalità innovativa per affrontare i problemi emergenti. 17.2 Gioco, apprendimento, insegnamento Il gioco di per sé implica apprendimento. Con la dimensione digitale (videogiochi o aspetti ludici come la gestione del proprio profilo fb) non fa altro che accentuare una tale prospettiva, offrendo nuovi spazi e risorse. I videogiochi aprono nuove prospettive di apprendimento e costruzione d’identità. Secondo Gee, nell’usare un videogioco, il giocatore si rapporta, oltre alla sua identità reale e a quella virtuale, a un’identità proiettiva che media tra le prime due permettendo una riflessione dinamica su desideri e valori personali. Jenkins descrive il gioco come la capacità di fare esperienza di ciò che ci circonda come forma di problem solving. È una modalità impegno attivo, che incoraggia la sperimentazione e l’assunzione di rischi, che vede il processo di soluzione di un problema tanto importante quanto il trovare la risposta stessa, che offre obiettivi definiti e ruoli che consentono identificazioni e investimenti emotivi. Usare il gioco come strumento dei processi di insegnamento e apprendimento. Va segnalata la differenza tra le attività ludiche e ludiformi: queste ultime assomigliano al gioco ma sono concepite fin dalla progettazione come strumento per l’apprendimento. 17.3 Entertainment, edutainment, gamification Entertainment: insieme di attività piacevoli svolte da soli o in compagnia, che comprende un’ampia gamma di usi del tempo diversi per luoghi, generazioni, gruppi sociali, gusti personali. C’è la libera scelta di queste attività; diversa finalità di usi del tempo rispetto al lavoro; un risarcimento del tempo e dell’attività mentale che dobbiamo dedicare ad altri impieghi sociali che ci consentono di vivere. Cinema, radio, tv, parchi Disneyland, sport, turismo, videogiochi fanno parte della categoria e quindi del divertimento, spettacolo, intrattenimento. Edutainment: unione della dimensione dell’entertainment alla finalità educativa (educational). È un ambito rivendicato anche da altre categorie: playful learning, digital game-based learning, edugaming, in particolare i Serius Games (giochi e videogiochi finalizzati all’apprendimento in relazione a uno specifico contenuto), Exergames (uniscono videogioco ed esercizio fisico, come Nintendo Wii). Entertainment e Edutainment si trovano ad avere a che fare con un contesto in cui la distinzione tra ciò che è lavoro (o apprendimento, o compito di apprendimento) e ciò che lavoro non lo è risulta essere sfumata. Da un lato è comprensibile la strategia di ridurre al minimo la fatica dell’apprendimento, rendendolo accattivante e piacevole; dall’altro lato non può che rimanere uno scarto tra gioco/attività ludiche/entertainment (azioni liberamente scelte) e edutainment/attività ludiformi (finalizzate all’apprendimento). Gamification: uso di approcci e meccanismi ludici, ripresi principalmente dai videogiochi, in contesti che non sono ludici. Esso offre una visione di più ampio spettro. 17.4 Gamification: meccanismi e strategie I processi di Gamification possono essere descritti facendo riferimento a 3 aspetti: I meccanismi ludici, le strategie e i processi in cui i meccanismi ludici sono utilizzati e il contenuto e alcune sue variabili. 52 analogico a partire dalle azioni sviluppate in quello digitale. 18.4 Le pratiche didattiche per l’insegnamento-apprendimento della lingua Alcune questioni che la didattica può mettere al centro, nella riflessione linguistica con gli studenti sono: la questione di supporto, la questione della multimodalità e la questione che investe tra analogico e digitale. 18.5 La questione del supporto Gli atti di lettura e scrittura sono possibili nel momento in cui le parole sono depositate su un oggetto materiale. Il dispositivo digitale, che oggi contiene la scrittura, come tablet, smartphone, pc, consente di percepire la scrittura quasi come se fosse immateriale. La scomparsa della scrittura a vantaggio delle immagini e della parola orale non si è verificato. Distinguiamo tra: Oggetti di scrittura: dove la scrittura prevale sull’oggetto (es. libro o documento scritto); Oggetti-scrittura: dove la presenza del linguaggio, sempre più immateriale, presenta una forte interattività del supporto (es. pagine web, schermi che tutti i giorni adoperiamo). Il testo digitale resta un testo virtuale perché ogni volta che vogliamo può essere riaperto, modificato e salvato di nuovo. Non ha una forma fisica predefinita su cui uniformarsi. I dispositivi tecnologici ci consentono una lettura in ogni luogo in cui ci troviamo. Promuove uno sguardo diagonale; l’attenzione di chi si trova davanti a uno schermo è catturata, dall’arrivo di notifiche e quindi distolta dall’azione della lettura del testo di pazienza. 18.6 L’ibridazione tra lingua analogica e lingua digitale La lingua sta subendo una trasformazione grazie alla scrittura social e di rete: assistiamo alla produzione di flussi di scritture provvisorie e collettive, in cui vi convivono scrittura, oralità, corporeità, simbolizzazione del non detto. L’enunciazione via web è diventata una combinazione di grafica, audio, simboli, parole, segni paragrafematici, quindi richiede l’applicazione di pluralità di modalità comunicative che connotano i diversi contenitori del linguaggio presenti in rete. Tra queste lingue quelli che entrano maggiormente nella quotidianità linguistica degli alunni sono: la tendenza alla brevità (es. x al posto di per); in secondo luogo nello scritto sono presenti elementi che richiamano il parlato, la gestualità, l’intonazione (es. i puntini di sospensione, punti esclamativi, interrogativi), altro elemento è legato alla trasformazione di sintassi e morfologia verso strutture semplificate. Lo studio della grammatica tradizionale si sta sempre più allontanando dalla realtà della lingua. Bisogna provare ad analizzare la lingua digitale come oggetto didattico: il dialogo e l’argomentazione in rete hanno una propria netiquette, regole di scrittura condivise nelle varie comunità. Si sta assistendo a una normalizzazione della lingua social: alcuni acronimi (LOL) il T9 che tende a normalizzare la lingua. Le scritture di rete dovrebbero rientrare tra le varietà fatte oggetto di curricolazione didattica entro l’insegnamento dell’italiano (ma non solo) a scuola. 18.7 Esempi di tecnologie per la didattica dell’italiano In primo luogo è opportuno far riferimento alle innumerevoli banche dati, portali, collezioni che possono supportare l’insegnante nella progettazione e nella ricerca di materiali e mediatori. Oltre ai dizionari online (es. treccani.org.) esistono moltissimi siti per la preparazione dell’insegnante.Vi sono inoltre le esperienze di lettura aumentata: il testo digitale permette di ampliare il contenuto del libro grazie alle annotazioni che i lettori possono aver condiviso con altri; esperienze di social reading: il fatto di poter aggiungere parti di un testo a un componimento elaborato da qualcun altro. Ciò potrebbe danneggiare il diritto d’autore se non controllate e autorizzate. Tra gli 55 strumenti abbiamo: Word processor; Annotation tool (permettono di agire su una pagina digitale già scritta per annotarla o enfatizzare parti del testo); Blog (molto usati a scuola per la pubblicazione di materiali elaborati da studenti); Mappe (mentali o concettuali da usare in fase di pre-lettura o sintesi); App (per prendere appunti); Spazi Wiki (per lavorare alla scrittura collettiva o collaborativa); Strumenti per la lettura automatica del testo (es. quelli che realizzano configurazioni visive che, tramite scansione lessicale, restituiscono la frequenza dei termini – le word cloud; queste raffigurazioni possono essere molto utili per anticipare contenuto di un testo, per offrire spunti per produrlo. Avere tanti strumenti a disposizione è senz’altro una ricchezza ed è utile prevedere momenti di scrittura collettiva o collaborativa. d d CAPITOLO 19 – LE TECNOLOGIE E LA DIDATTICA DELLA MATEMATICA d 19.1 Tecnologie digitali e matematica Le Indicazioni Nazionali per il Curricolo 2007 sottolineano il potere delle conoscenze matematiche e tecnologiche nel contribuire “alla formazione culturale delle persone e delle comunità, sviluppando le capacità di mettere in stretto rapporto il pensare e il fare e offrendo strumenti adatti a percepire, interpretare, collegare fenomeni naturali, concetti, artefatti costruiti dall’uomo, eventi quotidiani”. Nelle Indicazioni Nazionali del 2012 si ribadisce l’importanza di tali discipline: “la matematica dà strumenti per la descrizione scientifica del mondo e per affrontare problemi utili nella vita quotidiana; contribuisce a sviluppare la capacità di comunicare e discutere, argomentare in modo corretto, di comprendere i punti di vista e le argomentazioni degli altri”. La formazione culturale delle persone è oggi inserita in un mondo pervaso dalla tecnologia ed è bene capire come migliorare la qualità dell’apprendimento matematico. Il ruolo e l’utilizzo delle tecnologie digitali per l’insegnamento e l’apprendimento della matematica è stato oggetto di numerose ricerche. Alcuni software come gli Ambienti di Geometria Dinamica (AGD), sono stati progettati per costruire significati matematici, attraverso la proposta di attività di risoluzione di problemi aperti. Di notevole rilevanza è il ruolo dell’insegnante, che assume un ruolo di mediatore nella costruzione dei significati matematici in gioco. d d 19.2 Insegnante di matematica e digitale Molti sono i fattori coinvolti nello stravolgimento indotto dall’introduzione delle tecnologie nell’ambito dell’educazione della matematica. Durante la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni 90 si introducono i primi calcolatori grafici palmari, si sviluppano linguaggi algebrici, di programmazione e software geometria dinamica (AGD)). In particolare s’introduce la nozione di micromondo. Paper spiega che esso è una parte di mondo in cui un problema esiste ed ha senso scrivere una soluzione. Una delle finalità della progettazione di micromondi è stata quella di fornire agli studenti la possibilità di sperimentare e sviluppare proprie idee matematiche e procedure risolutive in autonomia con l’obiettivo di risolvere situazioni problematiche e costruire il sapere matematico in gioco. Attraverso l’interazione con le strutture digitali cambia la relazione tra studente e la matematica. Con l’introduzione degli ambienti digitali e di tutti gli strumenti tecnologici, l’interazione tra insegnante, allievi e sapere, subisce una radicale trasformazione. Non è più possibile pensare un 56 insegnamento trasmissivo e lineare. L’insegnante avrà il ruolo di mediare la costruzione di significati matematici e promuovere processi che saranno evocati dall’utilizzo di specifici strumenti digitali. Gli allievi avranno l’opportunità di interagire direttamente con la disciplina. La Teoria della Mediazione Semiotica (TMS) si propone di descrivere, spiegare e analizzare il processo che inizia con l’uso, da parte dello studente, di uno strumento e lo conduce verso l’appropriazione di un particolare contenuto matematico. L’apprendimento della matematica è favorito da un necessario e accurato processo di matematizzazione, che parte da quanto osservato nella realtà e si compie nella formalizzazione di proprietà e concetti. d d 19.3 Cambiamento metodologico: gli AGD L’introduzione di software dedicati alla matematica e la loro diffusione nel mondo della scuola e dell’Università hanno indotto a riflettere sulla necessità di un cambiamento nell’insegnamento della disciplina, dal punto di vista metodologico.Tra i software dedicati alla matematica quelli più utilizzati sono i AGD. Attraverso questi è possibile costruire figure, utilizzando comandi che danno la possibilità di creare e posizionare opportunamente sul piano oggetti geometrici (punti, segmenti, rette, circonferenze, poligoni, ecc.) e manipolare tali figure in modo dinamico, cioè ingrandirle, rimpicciolirle, ruotarle, trascinarle, senza che venga variata la modalità di costruzione. La tipologia di problemi definisce la modalità di interazione con l’AGD: 1) Problemi di costruzione: si tratta dei classici problemi di geometria euclidea che si risolvono mediante la costruzione delle figure, con strumenti quali riga e compasso, basata sull’uso di assiomi e teoremi. Con AGD, come Geogebra, gli studenti possono scoprire via via che la figura viene costruita, altre proprietà di costruzione. Le modalità di azione di Geogebra sono la costruzione di oggetti dipendenti da elementi già definiti a priori (indipendenti) e il trascinamento di parti della figura; in questi ambiti non è sufficiente ottenere la figura attraverso la rappresentazione/composizione delle sue parti, ma la figura costruita deve continuare a mantenere le stesse caratteristiche quando viene trascinata sullo schermo (es. costruisci un triangolo e le sue mediane, cosa noti trascinando i vertici del triangolo?). 2) Problemi di esplorazione: si tratta di problemi aperti, che si offrono alla possibilità di esplorare la situazione, formulando congetture, tentando di giungere a vere e proprie dimostrazioni. In tali problemi non basta vedere che un enunciato sia vero e che la figura mantenga un determinato comportamento se trascinata, ma è indispensabile fornire delle giustificazioni teoriche a supporto della propria dimostrazione. Con tali problemi si fornisce agli studenti la possibilità di giungere a una soluzione, alla messa in atto di un ampio repertorio di risultati matematici, alla formulazione di dimostrazioni di proprietà scoperte e di congetture formulate, attraverso l’uso di assiomi della Geometria Euclidea. È necessario che le consegne vengano formulate e progettate da parte dell’insegnante con piena consapevolezza degli obiettivi matematici e della potenzialità del software considerato. 3) Problemi di modelizzazione: si tratta di problemi in cui si chiede di confrontare 2 grandezze e analizzare come varia una al variare dell’altra o di determinare massimi e minimi di una grandezza. L’utilizzo di software per la soluzione di problemi di questo tipo distoglie l’attenzione dall’esclusiva trattazione numerica fatta di calcoli. Gli AGD hanno la capacità di mettere in collegamento diretto gli studenti con la matematica, a differenza del libro di testo. Gli oggetti matematici “costruiti” e “manipolati” sullo schermo sono percepiti sia come semplici figure, sia come concetti figurali. d 19.4 Proposta di problemi aperti - 19.4.1 Attività in un ambiente digitale 57