Scarica tesina per l'esame di arte e moda e più Prove d'esame in PDF di Costume E Moda solo su Docsity! 1 La storia del cappotto… Non solo un soprabito! Chiara Cervelli 1025854 Arti, spettacolo, eventi culturali 2 “Anno 1981, nasce una stella. È allora che Max Mara lancia il cappotto 101801, destinato a diventare un’icona e, in quanto tale, anche a superare la prova del tempo. Un design unico creato dalla stilista d’alta moda Anne Marie Beretta. Da icona must-have il passo è breve: il cappotto 101801 viene presto eletto protagonista assoluto del look di super modelle, celebrities e donne di tutto il mondo. A trent’anni di distanza nulla è cambiato. Il motivo? La sua capacità di valicare ogni tendenza, conquistando così l’Olimpo dei capi senza tempo. Linee perfette, proporzioni assolute e tessuti pregiati: questi gli ingredienti di un successo che non passa mai di moda.” Indice • Introduzione 3 • La storia di Max Mara 4 • Dai primissimi soprabiti 5 al cappotto • L’evoluzione per 11 raggiungere la perfezione • Anne Marie Beretta 13 per Max Mara • I rapporti del 101801 15 con l’arte • L’importanza del cappotto 24 e gli aspetti che assume • Il cappotto ieri ed oggi: 26 la tradizione si tramanda 5 venne offerta alle donne un campionario di mantelli eleganti, femminili e di moda con arricciature, grandi colletti e ampie maniche a tre quarti così à la page. L’obbiettivo di Maramotti nelle sue collezioni era quello di gettare un ponte fra alta moda e confezione salvaguardando le specificità dei due sistemi di produzione. La prima godeva di due grandi vantaggi: da un lato creava i capi su misura con tempi e tecniche legate alla lavorazione manuale ed era depositaria di una cultura sartoriale che si era costruita, affinata e sedimentata nel corso dei secoli; dall’altro godeva di una clientela di élite, il cui stile di vita offriva spazio alle proposte più eccentriche e spettacolari. La seconda doveva progettare i modelli in maniera che potessero essere riproducibili in serie, fossero traducibili nelle proporzioni imposte dalle diverse taglie e che fossero realizzabili con le macchine e con i tempi previsti dall’industria. Il suo scopo era infatti quello di vestire un ampio pubblico di donne che voleva un capo non troppo costoso e adatto a uno stile di vita “normale” e dinamico che prevedeva attività quotidiane come il lavoro. Achille Maramotti volle portare in Italia l’americano ready-to-wear, quindi di realizzare un abito che, pur ispirandosi allo stile della moda élite, avesse caratteristiche del tutto originali, creando anche un metodo di lavoro che andava oltre le tradizionali regole sartoriali attraverso il passaggio dalla manualità alla macchina e che sapesse trasformare in un nuovo linguaggio la produzione sartoriale. Maramotti aveva come scopo quello di creare un settore tra moda e confezione, più imparentato con il design che con l’artigianato. Per creare questa nuova forma di moda, bisognava inventare oltre al modello creativo, una concezione diversa da tutte quelle tappe che trasformavano il disegno in abito. Per far questo Maramotti iniziò a collaborare con giovani di diversi settori, che dimostravano di avere quella creatività che era indispensabile per trasformare in realtà il progetto. Max Mara è un’azienda che è in continua ricerca d’innovazione ed è proprio grazie a questo che c’è stata la creazione del cappotto 101801, un capo che rispecchia tutte le caratteristiche che l’azienda possiede. Oggi il Gruppo Max Mara rappresenta un punto di riferimento per il prêt-à-porter, dove la passione, la determinazione e l’amore per la tradizione sono state tramandate alle nuove generazioni da Achille Maramotti e che ha come capo icona il cappotto. 6 Dai primissimi soprabiti al cappotto Il cappotto, prima di diventare tale, subisce una lunga evoluzione. Esso nasce dall’idea di fare un capo con le stesse funzionalità delle armature dei soldati in guerra. Le armature avevano due scopi, quello pratico, cioè di proteggere il soldato dagli attacchi e quello di proiezione, cioè di dare una certa affermazione di potere e magnificenza comprendo la vulnerabilità del corpo e far intimorire l’avversario. Infatti, il cappotto ha la funzione di proteggere l’indossatore del capo dalla pioggia, dal freddo, dal vento, ecc. (protezione) e di dare un certo aspetto distinto e dignitoso (proiezione). Il termine cappotto, (che in tedesco si dice “Mantel”) deriva dal latino mantellum e significa “velo”, “manto” che indica la funzione essenziale di questo indumento. Per i primi secoli, i tessuti principali per produrlo erano i tessuti di lana, negli ultimi anni si è iniziato ad utilizzare tessuti moderni con fibre più innovative (come microfibre o fibre chimiche). Ho deciso di rappresentare nella tabella i vari mutamenti che ha avuto il soprabito prima di arrivare al famoso capo di Max Mara. ZIMARRA È il primo indumento che fa scattare la moda dei soprabiti a forma di cappotto (epoca rinascimentale). Nel Trecento è drappeggiata e arriva ai piedi, mentre nel Quattrocento si accorcia, diventa più ampia e viene foderata con la pelliccia. ZAMARRO Sopravveste utilizzata in Spagna nel Quattrocento si chiude, è simile al mantello, si chiude sul davanti ed all’interno è foderata con pelliccia. HOIKE Soprabito del fine Quattrocento. Veniva indossato in Germania durante il periodo della Riforma. Esso era aperto sul davanti, lungo fino ai piedi, aveva il colletto, in inverno veniva foderato con la pelliccia ed è caratterizzato da uno sprone, su cui il tessuto è cucito per formare grandi pieghe. REDINGOTE FEMMINILE Viene fatto nel 1785, prendendo spunto dalla versione maschile, in Francia. Arrivava fino al polpaccio, aderiva leggermente al corpo, aveva due file di bottoni, aveva due ampie maniche a giro e una scollatura con doppio colletto. Veniva utilizzato per coprire la gonna e sopra ci mettevano la “pelisse”. PELISSE Soprabito dell’Ottocento è stato fatto prendendo spunto dal redingote e dalla pelisse, aveva linee snelle e maniche a sbuffo che richiamava la moda stile Impero. 7 ROTONDE È stato uno dei primi capi prodotti in serie, è degli anni Cinquanta dell’Ottocento. Aveva un taglio ampio ed era aperta lateralmente. SORTIE Facevano parte della moda crinolina, era una mantelletta che riprendeva la forma del mantello e aveva un taglio aderente. Chi la indossava era costretto a tenere la parte superiore del braccio attaccata al corpo. BURNUS Era il soprabito più popolare dell’epoca, offriva maggiore libertà. Era un mantello tagliato a semicerchio, era aperto sul davanti, privo di maniche e con un cappuccio bordato di nappe e cimose. MANTELLO SQUADRATO Nasce nel 1865, derivava dai mantelli ampi, il taglio delle maniche s’incrociava con la parte posteriore e lasciava scarsa libertà di movimento a chi lo indossava. PALTÒ Nel 1830 era un capo prettamente maschile dalle strette linee, di mezza lunghezza, senza cucitura in vita, con ampio bavero e che dava una certa libertà di movimento. Durante la fine degli anni Settanta dell’ Ottocento diventa un indumento per entrambi i sessi. Esso ha simboleggiato l’evoluzione che ha portato le donne a riscoprire un nuovo ruolo sociale. REDINGOTE È tornato nel 1890 con il ritorno della manica a sbuffo. In questo caso però, con materiali diversi: chemire e grogrè (tipi di lana più resistenti) sostituiscono il raso e il velluto. SOPRABITO CORTO Nel Novecento iniziano ad esserci più tipi di soprabiti per le varie occasioni. Questo era un soprabito da giorno, aveva forme neutre, veniva realizzato con robusti tessuti di lana, come il cheviot, il pettinato, lo spinato e il tessuto a nodi. Esso veniva indossato sopra ad abiti lunghi. SOPRABITO LUNGO Veniva indossato la sera, arrivava ai piedi e a volte aveva lo strascico. Veniva realizzato con tessuti particolari. CAPPOTTO Negli anni Venti il soprabito iniziò ad avere la stessa lunghezza dei vestiti, aveva una forma più snella, funzionale e semplice, doppia abbottonatura e un accentuato risvolto. Negli anni Trenta, esso torna più lungo e sagomato. Mentre durante la Seconda guerra mondiale, il cappotto, diventa più ampio grazie ad una piega aperta sul restro, le spalle si allargano e gli conferiscono un aspetto più maschile. Per produrlo, venivano impiegati fino a due tipi di lana greggia. RENDICOTE Cappotto sagomato, dalle linee snelle, con gonna ampia ed oscillante. È stato lanciato da Christian Dior ed è stato portato dal 1905 al 1957. CAPPOTTO Nel 1952 viene fatto introducendo una martingala all’altezza della vita (in omaggio alla ligne sinueuse), essa dona al cappotto una linea tipica della giacca. Nel 1957, il cappotto diventa 10 L’evoluzione per raggiungere la perfezione I grandi capi di moda, la maggior parte delle volte, non nascono dal nulla ma sono il frutto di una lunga lavorazione, quindi rappresentano il culmine di una complessa evoluzione. Il cappotto 101801 di Max Mara è stato creato da Anne Marie Beretta ed ha raggiunto la perfezione nel 1981 (e da quel momento non c’è stato alcun bisogno di migliorarlo). Esso è frutto di un’evoluzione come tutti i classici del design, l’evoluzione si basa sulla risoluzione di problemi e progressive sottrazioni, fino a ottenere una purezza di forme talmente assoluta da potersi considerare definitiva. Come già è stato detto, l’idea del cappotto è nata prendendo ispirazione dall’armatura dei soldati, uno dei cambiamenti principali e più evidenti, che c’è stato prima di arrivare all’icona dei soprabiti, è dovuto alla difficoltà di trattare il ferro e l’acciaio e ha fatto in modo che il metallo venisse sostituito dal più malleabile cuoio fino ad arrivare alla lana. Tutti i cappotti che sono stati descritti precedentemente riassumono i vari cambiamenti che ci sono stati per adattare i soprabiti alla moda e allo stile di vita di quell’epoca, come per esempio la giacca per andare a cavallo del Settecento degli uomini inglesi, era sistematico per fare equitazione ma dava anche un aspetto distinto e dignitoso quando veniva indossato nella quotidianità, e poi è stato adottato e adattato successivamente dai francesi perché nell’Ottocento erano molto affascinati dalla moda inglese maschile. Oppure come è stato descritto recentemente redingote, era un capo prettamente maschile e quando la moda femminile iniziò ad evolversi arrivando a seguire le linee di quella maschile, è diventato un modello di riferimento anche per la moda femminile. È proprio durante la Prima guerra mondiale, che si vedono indossati dagli ufficiali britannici, i cappotti con i primi lineamenti del famoso 101801. Essi erano realizzati con un tessuto di pesante lana Melton, che determinava la forma dell’indumento e diventarono per anni un capo standard dell’uniforme della British Warm. È da questo capo che iniziò l’evoluzione per arrivare al cappotto di Max Mara. Fino alla fine della Seconda guerra mondiale, i cappotti subirono molteplici mutamenti e variazioni, fino ad arrivare nel 1947 che Christian Dior riportò nella moda glamour e formalità, evidenziando la qualità sartoriale. I veri artefici che resero possibile la creazione del 101801, furono stilisti americani come Claire McCardell che si resero conto che i cappotti che sfilavano sulle passerelle di Parigi, formale e appesantito da controfodere e imbottiture, per quanto potevano essere belli non venivano indossati dalle donne moderne che erano sempre più impegnate e non rispondevano alle loro esigenze. 11 È nato così un nuovissimo concetto di abbigliamento: un look elegante, sofisticato e casual al tempo stesso. Furono proprio i capi come Spolverini e Montgomery, di cappotti privi di cintura, con linee sciolte e dritte che portarono al vertice della perfezione. A far raggiungere un traguardo così importante il cappotto è la stilista francese, Anne Marie Beretta che ha creato un’icona definita “classica icona dell’informalità-formale”, un inconfondibile soprabito con le maniche a kimono, un’elegante chiusura doppiopetto, realizzato in lana e cachemire color cammello: il cappotto 101801. Questo capo è un importante esempio di capo di design che per raggiungere il suo livello di essenzialità non ha richiesto un colpo di genio della stilista, ma negli hanno ha subito tantissimi adattamenti e modifiche fino al raggiungimento della perfezione, che è un punto in cui non c’è alcun modo per migliorare la creazione. Prodotto in forma praticamente invariata fin dalla sua concezione, continua a esercitare la sua attrattiva grazie alla qualità, non solo del taglio, ma anche del tessuto, della fodera, dei bottoni e delle impunture e dà a ogni donna che lo indossa quel senso di comfort e anche un fascino tutto particolare e un’eleganza fatta di understatement che soltanto i cappotti disegnati dai migliori stilisti sono in grado di esprimere. 12 Anne Marie Beretta per Max Mara Anne Marie Beretta, era una importante stilista francese e fondatrice di un suo marchio pret-à-porter. Nel suo stile c’era un disegno serio ed oscuro, che derivava dalla sua visione di abiti come “sculture mobili”. Nel 1977, iniziò a lavorare con Max Mara come consulente stilistico per la linea principale. La scelta della collaborazione con Beretta era frutto di una strategia di Maramotti: nonostante l’importanza che gli stilisti italiani stavano assumendo, Maramotti rimase dell’idea che il gusto francese era il miglior modello per rappresentare l’eleganza femminile. Ci tengo a ricordare che Max Mara collaborava continuamente con disegnatori e stilisti creativi ed esperti, capaci di creare collezioni organiche o almeno di sfruttare al meglio la necessità di proporre capi innovativi. La stilista ebbe un’ottima collaborazione con il gruppo, tanto che ancora oggi collabora con Max Mara. Essa progetta con un rigore geometrico, quasi architettonico, attenta alla qualità dell’abito e alla sua forma essenziale. Maramotti, ha sempre pensato che fosse perfetta per creare quel “classico” che perseguiva con Max Mara. Fin dall’inizio, Beretta, offriva con la collezione di Max Mara, al pubblico femminile, stile ed eleganza, seguendo le proporzioni che la moda imponeva: fianchi stretti, spalle larghissime e maniche ampie. Essa proponeva cappotti di foggia più femminile rispetto al modello trench o al doppietto con revers, con evidente derivazione dal modello maschile militare. Pieghe, arricciature, colletti montanti o a fazzoletto, sottili lacci di pelle annodati aprivano nuovi orizzonti anche per un indumento come questo, ormai considerato di base in ogni guardaroba. Il caban chiaro rappresentava la visione della stilista francese di quel genere sportivo ed elegante al tempo stesso. Essa proponeva modelli in linea con il proprio modo di progettare, utilizzando forme semplici e pulite, limitando gli accessori al solo bottone di allacciatura. Tra le pagine del luglio agosto 1983 di “Donna”, viene perfino riproposto il suo mantello arancio, con la sua perfetta linea a uovo, che riportava nella confezione industriale un impeccabile costruzione dei modelli che è tipica dell’alta moda ma che aveva comunque una facile vestibilità. 15 ART ET FASHION Il cappotto di Max Mara è soggetto ad una quantità di immaginari, è oggetto di ricerche, riflessioni ed elaborazioni multimediali, diventando protagonista di una mostra intitolata “Art Et Fashion: divagazioni su un cappotto”, che si è tenuta nel 1993 a Milano nella Galleria Massimo De Carlo. Questa mostra venne creata da 18 giovani artisti in collaborazione con Max Mara, si tratta di statements concettuali e visivi creati ad hoc partendo dal medesimo modello doppiopetto in lana cashmere color cammello, con la manica a kimono e collo a grandi revers. Gli artisti decidono di mettere in risalto la lungimiranza e sensibilità di un brand della moda che sembra avere il culto della ricerca e dell’innovazione nel proprio DNA. La razionale accurata perfezione sartoriale del celebre cappotto viene indagata, decostruita, trasformata, fornendo stimoli, spunti concettuali, formali, materici, per una varietà di digressioni creative. Nelle elaborazioni dei diciotto artisti, cambia di segno, di funzione, di consistenza e anche di colore, senza perdere la sua identità, ma acquisendo ulteriori affascinanti caratteristiche. I diciotto artisti e le loro opere: Mario Airò, Maurizio Arcangeli, Stefano Arienti, Vincenzo Cabiati, Maurizio Canavacciuolo, Antonio Catelani, Umberto Cavenago, Maurizio Colantuoni, Mario Dellavedova, Daniela De Lorenzo, Formento e Sossella, Sergio Fermariello, Eva Marisaldi, Amedeo Martegani, Marco Mazzucconi, Aldo Spoldi, Grazia Toderi e Thorsten Kirschhof. MARCO MAZZUCCONI ha spalmato il soprabito di silicone, rigido come una scocca e nero come la pece conquistando inaspettate contemporanee valenze plastiche. AMEDEO MARTEGANI ha aggiunto una fodera di spugna, per trasformare il cappotto in un capo di abbigliamento passe-partout, un pezzo multifunzionale, da indossare in strada ma anche appena fuori dalla doccia. SERGIO FERMARIELLO ha riprodotto nella fodera le sue iterazioni di pittorici grafismi. DANIELA DE LORENZO cambia radicalmente la fisionomia formale e l’identità funzionale del cappotto trasformandolo in una forma contorta, involuta, un bozzolo attorcigliato e rinchiuso su sé stesso, che comunica timidezza e introversione. UMBERTO CAVENAGO stravolge anche lui l’aspetto del cashmere color cammello, utilizzandolo per realizzare la nuova sella e il parabrezza di una vecchia Vespa. MAURIZIO COLANTUONI moltiplica il cappotto per concepire una sfilata fantasmatica, nella quale le modelle sono antiche e chiarissime statue di marmo. 16 ALDO SPOLDI lo ribattezza “il cappotto Oklahoma”, come se fosse estratto da un racconto mai scritto, decontestualizzato da una trama ludica. FOMENTO e SOSSELLA fanno assumere al 101801 le sembianze di una spettacolare marionetta. EVA MARISALDI fa diventare l’icona di Max Mara “portavoce” di un minimale messaggio, come un supporto di arcane segrete parole da lei ricamate sulla fodera. Esso viene abbronzato, disseminato di virgole e punti interrogativi, trasfigurato con decorazioni militari, munito di tasca interna per portare un libro di Gogol, diventando così il tramite di sentimenti personali e citazioni poetiche (per la realizzazione di quest’opera ci sono interventi di artisti quali Maurizio Arcangeli, Mariò Airò, Antonio Catelani, Vincenzo Cabiati). Il progetto “Art et Fashion: divagazioni su un cappotto” fu un’esperienza talmente positiva che non fece altro che aprire la strada ad ulteriori progetti che legavano il capo 101801 con l’arte. 17 MOSTRA DI JORDI CANO E NùRIA PARéS CON MAX MARA Nel 1997 Max Mara partecipa ad un incontro con la Escola Superior de Disseny Elisava di Barcellona, che da cinque anni aveva avviato un progetto di interazione diretta tra studenti e imprese. La riflessione sul ruolo multidimensionale della comunicazione e conseguentemente sulla funzione delle immagini, che sempre hanno il potere di accrescere il fascino dei prodotti, di incrementare la logica dei consumi, genera la concezione di un nuovo progetto creativo e installativo. Da questo progetto nasce l’idea di concepire e mettere in mostra modi diversi di declinare il capo, possibilità alternative di interpretarlo, presentarlo e metterlo in contatto con il pubblico. Ancora una volta il cappotto 101801 viene analizzato, manipolato, alterato, amplificato in modi nuovi, più inaspettati ed imprevedibili. Nascono così tante visualizzazioni possibili ed elaborazioni creative del cappotto di Max Mara raccolte in una mostra di Jordi Cano e Nùria Parés. Le opere che sono state create sono 12 tra cui: 100% Natural di Natalia Gonzàles, che analizza e visualizza il legame tra la cultura italiana e quella spagnola, prendendo in riferimento un prodotto comune dell’area mediterranea, l’olio d’oliva che con il suo inconfondibile colore e la sua sontuosa consistenza, suggerisce all’artista un cortocircuito visuale con il cappotto, la rappresentazione di un’affinità sostanziale tra i due mercati. Carlos Martinez crea due diverse opere che chiama “Vela y abstracciòn”, la prima opera consiste nel 101801 infilato in un sacco di cellophane e congelato, il cappotto quindi aumenta di volume, si altera la forma, s’irrigidisce e si trasfigura inglobando in sé nuovi elementi e materiali del contesto. La seconda opera, invece, il cappotto viene sottoposto a un radicale cut-out, viene svuotato nel tessuto, scarnificato, ridotto a uno scheletro di cuciture, trasformandosi in una specie di disegno e invece di invadere il contesto lo assorbe in sé. È un’evocazione strutturale del prodotto. Thais Caballero decide di enfatizzare la dissociazione della donna moderna, contesa tra raffinatezza e praticità, quindi riproduce il cappotto 101801 in spugna verde e gialla, double come la celebre Vileda per i piatti, diventando un’icona pop. Quest’opera la chiama Salvaunas (che vuol dire salvaunghie). Nùria Terricabras espone il suo progetto che chiama Estrés (“Stress”). Crea un pittorico set per rappresentare l’altra dimensione della donna: una donna che lascia il segno (l’impronta del cappotto Max Mara) mentre si muove nella vita tra sollecitazioni e imposizioni. Questo progetto ha avuto lo scopo di sottolineare la concezione e rappresentazione di punti di vista inaspettati su prodotti ed abiti, in questo caso dell’icona 101801, la ricerca di legami trasversali tra le cose, la riflessione su codici e valori, condizionamenti e oppressioni della nostra cultura accomuna del resto immaginari diversi. 20 trasformano in pennellate astratte che, come un quadro di Warhol, interagiscono con la riproduzione serigrafica dei volti: citazioni di bellezze “at any age” che sembrano uscite dall’immaginario di Francesco Scavullo e che regalano al cappotto un’aura inesauribilmente attuale, oltre le mode, oltre la forma, senza tempo. WILLIAM WEGMAN MIWA YANAGI MARTINE BARRAT FRAINCOIS BERTHOUD 21 COATS! Per celebrare il 55° anniversario di Max Mara, nel 2006 è stata inaugurata una mostra al Kulturforum di Berlino, curata dalla fashion coordinator Laura Lusuardi che da anni è impegnata nella salvaguardia del patrimonio dell’azienda. La mostra è stata pensata come un vero e proprio viaggio nella storia del cappotto (il capo che rappresenta di più Max Mara) e del marchio, attraverso sette stanze dense di oggetti, capi e suoni all’insegna dell’interattività, che rendono straordinario l’ordinario, proprio come l’intuizione che spinse il fondatore, Achille Maramotti insieme ad Anne Marie Beretta, a trasformare il cappotto maschile in un’icona del guardaroba femminile. Il percorso è vissuto sia cronologicamente che tematicamente, in una sorta di rappresentazione teatrale sospesa tra realtà e immaginazione. Partendo dalla nascita della confezione dei capi di abbigliamento e della loro trasformazione in vera e propria moda, Coats! racconta l’evoluzione del gusto, i cambiamenti sociali e gli stili di vita di ogni decennio, anche grazie alla messa in mostra degli schizzi degli artisti che hanno collaborato con l’azienda, memorabilie inedite, dalle riviste storiche alle materie prime, sino alle campagne pubblicitarie dei grandi fotografi di moda e alle opere frutto di dialogo con gli artisti contemporanei. La mostra ricostruisce la grande varietà di storie e di invenzioni dell’azienda, svelando i segreti della cultura del progetto alla base di ogni capo. La mostra ebbe tanto successo e approvazioni e venne riallestita anche a Tokyo nel 2007, a Pechino nel 2009, a Mosca nel 2011 e a Seoul, in Corea nel 2017. ALCUNE IMMAGINI DELLA MOSTRA COATS! 22 25 IL CAPPOTTO COME PORTA FORTUNA Anche nel mondo del calcio il cappotto è stato un importante simbolo per Bruno Pesaola che ha portato Firenze a vincere lo scudetto. Esultava la vittoria con il capospalla addosso. Durante la sua carriera di allenatore era celebre il fatto che fumasse molte sigarette durante ogni partita e indossasse un cappotto di cammello portafortuna. Lo conserva ancora anche se lui dice “Il cappotto bisogna averlo in testa, per vincere nel calcio”. IL 101801 INDOSSATO DA STAR FEMMINILI Il cappotto cammello rivive, interpretando gli eventi istituzionali della Principessa Diana, l’inquietudine “cenerentoliana” di Barbra Streisand in “Come eravamo” o le serate grunge-chic di Kate Moss. 26 Il cappotto ieri ed oggi: la tradizione si tramanda Come ho detto all’inizio il cappotto c’è sempre stato. New York, 1981. In radio c’è Bette Davis Eyes, al cinema si va per vedere Sul lago dorato e nei bar degli hotel si chiede l’amaretto sour con ciliegina. D’inverno le temperature scendono: chi abita a New York ha bisogno di avvolgersi in un cappotto, e il cappotto arriverà da Reggio Emilia da un’azienda che in quell’anno si chiamerà Max Mara. New York, 2017. In radio c’è il nuovo singolo di Taylor Swift, al cinema si va per vedere Wonder Woman, nei nuovi locali di downtown si beve Moscow Mule. E il cappotto 101801 non solo accompagna attrici e influencer, come Bellamy Young e Claire Danes, ma anche la mamma che, dopo aver portato i figli a scuola, aspetta il taxi nell’Upper East Side per volare al prossimo meeting e rassicura la giovane ragazza che oggi presenta la sua start-up a un fondo di investimento per l’hi-tech. Quindi il cappotto di Max Mara accomuna celebrità e realtà, e donne certamente diverse tra loro, ma accumunate dall’inconfondibile eleganza del 101801 che si adatta ad ogni taglia e stile. Mentre i cappotti che lo hanno preceduto si sono dovuti continuamente evolvere per adeguarsi allo stile dell’epoca, il cappotto di Max Mara dal 1981, non ha cambiato nemmeno una virgola. Anzi, nemmeno un puntino, la cucitura visibile sull’intera orlatura del capospalla che simboleggia e identifica la sua eccezionale sartorialità e che, insieme all'inconfondibile linea over, alla lana e cashmere color cammello, ha trasformato il cappotto in icona, raggiungendo la perfezione ricercata da Anne Marie Beretta. Era proprio questo il messaggio che voleva tramandare Achille Maramotti, come è risultato anche nell’ambito del recente progetto “Mothers & Daugthers” di Max Mara per il 35esimo anniversario del capo icona, dove 11 donne, madri e figlie, sono state intervistate per raccontare come il 101801 sia il cappotto delle donne del 21esimo secolo: il legame tra madre e figlia è unico, fatto di sguardi comprensivi e complici, anche se le occhiatacce non mancano: quando la musica è troppo alta, quando le parole sono troppo scortesi e la voglia di guardare altrove è fortissima. Ma basta uno sguardo comune, quello in cui vedono la stessa sfumatura o quello in cui si ritrovano bambine, per capire che il mondo, madri e figlie, lo vedono allo stesso modo. E di questo loro mondo fa anche parte da sempre il 101801. 27 ALCUNE FOTO DEL PROGETTO “MOTHERS & DAUGTHERS”