Scarica Tonini procedura penale aggiornato Riforna Cartabia 2022 riassunto e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Processuale Penale solo su Docsity! Procedura penale Tonini PARTE I L’EVOLUZIONE STORICA DEL PROCESSO PENALE – LE FONTI CAPITOLO I – SISTEMA INQUISITORIO, ACCUSATORIO E MISTO. 1. Il diritto penale e il diritto processuale penale. Il diritto processuale penale è il complesso delle norme di legge che disciplinano le attività dirette all’attuazione del diritto penale nel caso concreto. La legge penale sostanziale ha la finalità di regolare le azioni delle persone, e non di accertarle: l’accertamento dei fatti spetta al processo. La legge penale processuale ha una duplice finalità: da un lato, regola l’attività del giudice e delle parti; dall’altro lato, predispone gli strumenti logici mediante i quali il giudice, con il contributo dialettico delle parti, accerta i fatti di reato e la personalità di coloro che li hanno commessi. 2. La protezione della società e la difesa dell’imputato. L’esigenza di scoprire i reati e di applicare le sanzioni è dettata dalla necessità di proteggere la società contro i pericoli della delinquenza. Nel perseguire tale compito, occorre al tempo stesso predisporre gli strumenti che permettano di accertare se il fatto di reato è stato commesso dall’indagato; ciò è imposto dall’esigenza di difendere l’imputato innocente dal pericolo di una condanna ingiusta. Ma anche nell’ipotesi in cui quest’ultimo fosse colpevole, il processo dovrebbe difenderlo dal pericolo costituito dall’applicazione di sanzioni più gravi di quelle che conseguono ai fatti che vengono accertati. La difficoltà di coordinare le due esigenze contrapposte sta anche nel fatto che, prima della sentenza irrevocabile, non è possibile stabilire se l’imputato è innocente o colpevole. In tal senso bisogna comprendere quale sistema processuale sia più idoneo ad accertare i fatti e, al tempo stesso, tutelare sia la società sia l’imputato. 3. Sistema inquisitorio e accusatorio. Con i termini “inquisitorio” e “accusatorio” ci si riferisce a “tipi” di processo penale, ai quali generalmente vengono attribuite determinate caratteristiche. In linea di massima, si afferma che il sistema inquisitorio si basa sul segreto e sulla scrittura, mentre quello accusatorio si fonda sul contraddittorio e sull’oralità. Tale contrapposizione ha un valore meramente astratto, mentre in concreto nella storia solo raramente si è verificato che un determinato ordinamento avesse tutte le caratteristiche proprie del sistema inquisitorio, o viceversa, del sistema accusatorio: nella maggior parte dei casi si è trattato di un sistema misto. 1 Il confronto tra i due diversi modelli, o comunque tra le caratteristiche proprie dei due sistemi, è utile comunque per comprendere se un dato ordinamento possa considerarsi prevalentemente inquisitorio, o prevalentemente accusatorio. 4. Sistema inquisitorio e principio di autorità. Il sistema inquisitorio si basa sul principio di autorità, secondo il quale è possibile più potere è dato al soggetto inquirente, più è possibile accertare meglio la verità. In lui si cumulano tutte le funzioni processuali: giudice, accusatore e difensore dell’imputato. Da ciò ne deriva che ad un unico soggetto (denominato anche “giudice inquisitore”) devono essere concessi pieni poteri in ordine sia all’iniziativa del processo, sia alla formazione della prova. Allo stesso tempo, si tende a non riconoscere alcun potere alle parti: l’offeso e l’imputato sono meri “oggetti” del giudizio, poiché tutti i poteri risiedono nel giudice. Non occorre che il giudice sia indipendente, anzi, si ritiene che più stretto è il legame col potere politico, tanto meglio egli potrà svolgere la sua opera e tanto più aderente al vero sarà la sua decisione. Le principali caratteristiche del sistema inquisitorio sono: - Iniziativa d’ufficio —> L’iniziativa del processo penale deve spettare al giudice, che non deve essere ostacolato dall’inattività delle parti. È sufficiente anche una denuncia anonima a mettere in funzione il giudice inquisitore. - Iniziativa probatoria d’ufficio —> La ricerca delle prove non deve spettare alle parti, bensì al giudice, che può operare con pieni poteri coercitivi, e cioè arrestando imputati e testimoni, e compiendo perquisizioni. - Segreto —> La ricerca della verità avviene senza l’utilizzo della contrapposizione dialettica tra le parti: le deposizioni sono assunte in segreto, senza che vi sia la necessità di confrontare la ricostruzione della verità dell’inquisitore con le posizioni delle parti. - Scrittura —> Delle deposizioni raccolte dall’inquisitore è redatto un verbale; tale verbale riporta l’interpretazione che l’inquisitore dà alle frasi pronunciate. Si ritiene non necessario riportare le parole effettive e sentire a voce il dichiarante: solo l’inquisitore è in grado di comprendere il vero significato delle parole e sempre lui ha già valutato l’attendibilità del dichiarante. - Nessun limite all’ammissibilità delle prove —> Ogni modalità di ricerca della prova è ammessa, compresa la tortura dell’imputato. Ciò che è importante è il risultato da raggiungere, e cioè l’asserita verità, e non il metodo con cui si persegue. - La presunzione di reità —> L’imputato è presunto colpevole e deve dimostrare la sua innocenza mediante le prove; se fallisce, deve essere condannato. 2 ove si accerti una violazione, il dibattimento deve essere svolto nuovamente davanti ad un altro giudice, indipendente ed imparziale alla pari di quello del primo grado. 6. Sistema processuale e regime politico. Il processo inquisitorio rappresenta un efficace strumento di potere e controllo sociale nel regime politico totalitario. Viene utilizzato come strumento di lotta politica, cioè come mezzo per indottrinare le masse, attraverso il quale il potere politico può realizzare ogni arbitrio e creare una “verità di Stato”. Anche la pubblicità data dello svolgersi del rito serve a trasmettere il messaggio che si vuole dare attraverso processo, con la conseguenza che la persona dell’imputato è oggetto di ogni curiosità e la sua dignità è annientata ancor prima che il giudice decida se è colpevole. Il processo accusatorio è, invece, connaturale ad un regime politico garantista. Il giudice ha il solo compito di accertare se l’accusa ha dimostrato che l’imputato è colpevole al di là di ogni ragionevole dubbio; anzi, se si dimostra parziale, le parti devono avere il diritto di ricusarlo. La pubblicità svolge la funzione di permettere all’opinione pubblica di verificare se la Giustizia è amministrata in modo corretto e se i diritti della persona umana sono rispettati: il processo non deve mai essere uno strumento di indottrinamento e controllo sociale. Ciò che conta è accertare se l’accusa fondata, a prescindere dalle conseguenze politiche che possano derivare da una condanna o da un’assoluzione. 7. Sistema processuale ed efficacia. È difficile stabilire quale sistema processuale sia più efficace; difatti, sia il sistema inquisitorio sia quello accusatorio presentano pregi e difetti. Il sistema inquisitorio, per come strutturato, permette una maggiore efficacia repressiva dei crimini rispetto a quello accusatorio: difatti, utilizzando una sorta di “terrorismo di Stato”, è capace di debellare le più agguerrite bande criminali. Dall’altro però, permette al sistema politico di utilizzare il processo penale come “strumento” per limitare la libertà dei cittadini e indottrinare le masse. Il sistema accusatorio è sicuramente più rispettoso dei diritti fondamentali e rende più difficile al potere politico manipolare i fatti e costruire verità di Stato. Dall’altro lato, però, l’esame incrociato, se non regolato opportunamente, rischia di giungere fino al linciaggio del testimone; e ancora, gli ampi poteri di cui gode l’accusa pubblica impediscono al giudice di effettuare un efficace controllo soprattutto nei momenti anteriori al dibattimento; le regole che escludono le prove raccolte fuori dal dibattimento tutelano i diritti di libertà del cittadino, ma ostacolano l’accertamento del fatto di reato. Ne consegue che entrambi i modelli comportano vantaggi e svantaggi. Ma come si è detto, trattasi di “modelli puri”, elaborazioni dottrinali utili a comprendere se il sistema di un dato 5 ordinamento presenta caratteristiche prevalentemente proprie del sistema inquisitorio o, viceversa, accusatorio. Difatti, storicamente nella maggior parte dei casi si è trattato di un sistema misto. E così anche il nostro ordinamento che, dopo aver accolto nel 1988 un modello accusatorio di tipo quasi puro, ha dovuto apportare diverse modifiche che hanno posto rimedio ai profili che non apparivano soddisfacenti. 8. Cenni storici sul processo penale. Il diritto romano. • - La monarchia (757 a.C. – 509 a.C.). Nell’antico diritto romano il re disponeva, in materia di repressione criminale, di un incondizionato potere di coercizione e di giurisdizione per la repressione dei reati più gravi che mettevano in pericolo la vita della civitas e l’istituto monarchico. Difatti, era il Re che procedeva a far arrestare l’autore del crimine, a stabilire la sanzione e a far eseguire la pena di morte. • - La repubblica (509 a.C. – 27 a.C.). Il processo era prima affidato al popolo riunito nelle assemblee comiziali, poi a tribunali stabili (quaestiones perpetuae) presieduti da un magistrato. Tale processo era tipicamente accusatorio e l’iniziativa spettava a qualunque privato cittadino, quale rappresentante dell’interesse pubblico. La giuria era composta da senatori e cavalieri estratti a sorte, che potevano a loro volta essere ricusati dall’accusa o dalla difesa. L’accusatore formulava l’imputazione ed il magistrato la raccoglieva in un processo verbale; dopodiché quest’ultimo autorizzava l’accusatore a procedere alla raccolta delle prove con poteri coercitivi e fissava la data del dibattimento. Nell’udienza dibattimentale prendevano parola prima l’accusatore poi la difesa dell’imputato; successivamente venivano escussi i testimoni, che dovevano prestare giuramento davanti al magistrato e venivano esaminati prima dalla parte che li aveva citati e poi dalla controparte. Seguivano poi le orationes dell’accusa e della difesa. Infine, la giuria si ritirava in segreto per deliberare: la decisione di condanna non indicava la pena, poiché questa era stabilita dalla legge. Contro tale decisione non era ammesso appello. • - L’impero (27 a.C. – 476 d.C.). La questione era affidata ad un delegato dell’imperatore, che cumulava il potere di accusare, di raccogliere le prove e di giudicare. L’imperatore si riservava il potere di decidere sull’impugnazione presentata dal cittadino romano, che si “appellava a Cesare”. Tale procedimento prendeva il nome di cognitio extra ordinem. Il periodo medioevale. Nei primitivi regimi barbarici il giudizio era basato sull’ordalia, che era una prova fisica subita dall’accusato; dal suo risultato si pretendeva di ricavare la prova dell’innocenza, perché la divinità sarebbe dovuta intervenire; ciò comportava una sorta di onere della prova a carico dell’imputato. Con il ritorno alla civiltà, l’ordinamento barbarico recepì gli insegnamenti del diritto romano e nel 6 diritto penale si ripristinò il sistema della cognitio extra ordinem che, da quel momento, venne denominata inquisizione. 9. Il processo penale nello Stato assoluto. Il sistema processuale francese del 1600, ed in vigore fino all’inizio della Rivoluzione nel 1789, aveva quasi tutte le caratteristiche del sistema inquisitorio. La Ordonnance criminelle del 1670 costituisce uno snodo fondamentale della storia del processo penale. Fino ad allora agli organi giudicanti era riconosciuto il potere di determinare le regole del proprio operare e la normativa processuale era frutto della prassi creata dai giudici e dagli avvocati, con l’aiuto della dottrina. Il re Luigi XIV, intervenendo nella regolamentazione del processo penale, ne rafforzò le caratteristiche del sistema inquisitorio. Il processo penale iniziava a seguito di una denuncia di un privato, o la querela della persona offesa, oppure su iniziativa del procuratore del re o del giudice d’ufficio. Prendeva avvio la procedura preparatoria (information), atta a raccogliere gli elementi e individuare le fonti di prova. Venivano così sentiti i testimoni dal giudice, che provvedeva ad arrestare l’imputato ed interrogarlo senza la presenza del difensore. L’imputato doveva prestare giuramento di rispondere secondo verità. Terminata l’information, il giudice comunicava gli atti al procuratore del re, che poteva chiedere la liberazione dell’arrestato e la prosecuzione del processo secondo il rito civile (se il reato era passabile di sola pena pecuniaria) o la prosecuzione col rito penale. Se il processo continuava col rito penale, iniziava l’istruzione definitiva. Ogni testimone era chiamato in segreto dal giudice inquisitore ad ascoltare la lettura del verbale delle dichiarazioni rese in precedenza e gli veniva chiesto se le confermava (al mero scopo di evitare ritrattazioni). Dopodiché il teste era messo al cospetto dell’imputato, venivano lette le dichiarazioni e gli veniva chiesto se persisteva; qualora non persisteva doveva essere punito. Il procuratore del re e la parte civile presentavano le conclusioni definitive e l’imputato poteva rispondere con una domanda di attenuazione, tendente a dimostrare la falsità delle allegazioni. Il giudice inquisitore svolgeva la sua relazione di fronte al collegio giudicante e veniva effettuato l’interrogatorio dell’imputato. Se i fatti erano ritenuti “gravi e seri”, il collegio ordinava di sentire il testimone. L’imputato poteva essere sottoposto a tortura preparatoria se il reato comportava la pena di morte e vi era una prova considerevole circa la reità dell’imputato. In seguito alla condanna poteva essere fatta la “tortura preliminare” allo scopo di far rivelare il nome dei complici. La sentenza di assoluzione non poteva mai dar luogo al giudicato: l’imputato era prosciolto allo stato degli atti. Avverso la condanna l’imputato poteva prima proporre appello e poi presentare impugnazione al consiglio del re. 7 12. Il sistema misto nel Code d’instruction criminelle. Il sistema processuale misto er eccellenza, definito così perché ritenuto la migliore combinazione tra sistema inquisitorio e quello accusatorio, è riscontrabile nella Francia degli inizi dell’800, a seguito della promulgazione del Code d’ instruction criminelle (1808). Il processo penale per “gravi reati” era così congegnato: la polizia giudiziaria ricercava le prove e trasmetteva i verbali al PM. La PG e il PM svolgevano le indagini senza utilizzo di poteri coercitivi, se non quanto, in presenza di flagranza di reato, potevano compiere arresti e perquisizioni. Il PM faceva richiesta al giudice istruttore di aprire l’istruzione e quest’ultimo ricercava le prove e le assumeva in segreto: interrogava i testimoni, redigeva verbali delle loro dichiarazioni e dava mandato alla polizia di compiere perquisizioni e arresti. In sintesi, l’istruttoria era una fase processuale nella quale le prove erano formate in segreto dal giudice istruttore. Al termine dell’istruzione il PM sceglieva se archiviare il caso o formulare l’attto di accusa contro un imputato; in quest’ultimo caso si riuniva la chambre d’accusation (sezione di corte d’appello composta da magistrati togati) che valutava i verbali raccolti e decideva se ammettere o meno l’atto di accusa. Se l’atto di accusa veniva ammesso, si svolgeva il dibattimento in pubblico ed in contraddittorio con la presenza dell’imputato e del difensore. Soltanto il presidente poteva rivolgere domande all’imputato e ai testimoni. La decisione era presa dalla giuria composta da giudici popolari. Nel caso in cui l’imputato fosse riconosciuto colpevole, il presidente decideva sulla quantità della pena. Si tratta quindi di un sistema misto: la fase dell’istruzione era prevalentemente inquisitoria; la fase del dibattimento era prevalentemente accusatoria. Vi era un principio, sia pure non perfezionato, di separazione delle funzioni tra accusa e giudizio. Il principale difetto del sistema misto napoleonico sta nel non aver assicurato il principio di separazione delle fasi: difatti, nella fase dell’istruzione veniva assunte le prove e nel dibattimento venivano valutate; sicché il giudice del dibattimento veniva chiamato a decidere sulla base di prove assunte fuori dal contraddittorio. 13. I codici italiani di procedura penale. Il primo codice di procedura italiano vide la luce nel 1913, e pur conservando un sistema misto, esso innovava rispetto al modello napoleonico, in quanto riconosceva ampi diritti all’accusato già nel corso della fase istruttoria. Difatti, il difensore dell’accusato aveva il diritto di assistere con preavviso alle perizie, agli esperimenti giudiziali ed alle ricognizioni; poteva assistere senza preavviso alle perquisizioni domiciliari. Inoltre il difensore aveva il diritto di prendere visione dei verbali di tutti gli atti di indagine cui non poteva assistere, come ad esempio l’interrogatorio 10 dell’imputato. L’unico atto di indagine a rimanere segreto per tutta l’istruttoria erano le testimonianze. Nel dibattimento, per i reati più gravi, fu introdotta la giuria popolare, che al termine della fase decideva sulla reità o meno dell’imputato. Alla discussione erano presenti il PM e il difensore. Ove fosse stata pronunciata condanna, i giudici togati determinavano la quantità della pena. Quello del 1913 era un sistema misto, prevalentemente accusatorio. Con l’avvento del regime fascista venne promulgato nel 1930 un nuovo codice di procedura penale. Venne eliminato il diritto di difesa nella fase istruttoria, che tornò ad essere totalmente segreta; al PM, che dipendeva dal potere esecutivo, furono attribuiti i medesimi poteri esercitati dal giudice istruttore. Difatti, dopo aver lui stesso accertato la sussistenza della prova di reità, conduceva un’istruzione denominata sommaria, nella quale poteva assumere in segreto le prove, limitare la libertà personale dell’imputato, e decidere di rinviarlo a giudizio. In alternativa, si svolgeva l’istruttoria formale condotta dal giudice istruttore. Il PM, inoltre, poteva archiviare direttamente senza chiedere l’autorizzazione al giudice. Tale novità permetteva al governo di bloccare fin dall’inizio il processo penale nei confronti degli “amici” del regime. Infine, nel caso in cui veniva disposto il rinvio a giudizio, il giudice del dibattimento poteva utilizzare ai fini della decisione tutti i verbali degli atti raccolti in segreto nelle fasi anteriori. Il sistema appariva misto, ma a caratteri prevalentemente inquisitori. RIEPILOGO. Il sistema inquisitorio —> È un modello di procedimento penale fondato su due principi: - di autorità —> secondo cui la verità è meglio se accertata quanti più poteri sono attribuiti al giudice - principio del cumulo delle funzioni processuali di accusa, di difesa e di giudizio in un unico soggetto, il giudice. Il sistema inquisitorio presenta le seguenti caratteristiche: - il giudice inizia il processo d’ufficio e ricerca le prove; - il processo si svolge in segreto e per scritto; - non vi è alcun limite all’ammissibilità delle prove; - l’imputato è presunto colpevole; - di norma viene applicata la carcerazione preventiva. Il sistema accusatorio —> È un modello di procedimento penale fondato sul principio dialettico, in base al quale la verità è tanto meglio accertata quanto più spazio è dato allo scontro tra le parti contrapposte. 11 Il processo accusatorio è caratterizzato inoltre dal principio di separazione delle funzioni processuali e dal principio del contraddittorio nella formazione della prova. Le caratteristiche sono le seguenti: - il giudice inizia il processo soltanto su iniziativa di parte; - le parti ricercano la prova; - il processo è orale, nel senso che il giudice decide sulla base di dichiarazioni rese oralmente e nel contraddittorio tra le parti; - l’imputato è presunto innocente; - sono previsti limiti alla ammissione delle prove; - la carcerazione preventiva è considerata un’eccezione. Il sistema misto —> È un modello che tende a contemperare le esigenze che ispirano i due sistemi inquisitorio e accusatorio: da un lato, la tutela della società dal crimine; dall’altro, la difesa dell’imputato. Nel sistema misto l’istruzione è prevalentemente inquisitoria, perché segreta e condotta da un giudice (“giudice istruttore”), anche se accoglie alcuni caratteri del sistema accusatorio (es. l’istruzione inizia dopo che il PM ha fatto formale richiesta al giudice e termina dopo che ha chiesto il proscioglimento o il rinvio a giudizio; è garantito all’imputato il controllo giurisdizionale sulla richiesta di rinvio a giudizio). La fase del dibattimento è, invece, prevalentemente accusatoria perché fondata sul contraddittorio tra le parti, ma temperata da alcuni caratteri del sistema inquisitorio (es. le domande ai testimoni sono rivolte dal presidente della corte; gli atti compiuti in segreto prima del dibattimento possono, eccezionalmente, essere letti e su di essi può essere fondata la decisione). 12 4. Le linee generali del nuovo processo penale. a. I principi della separazione delle funzioni processuali e delle fasi del procedimento. Il nuovo processo penale è fondato su 3 principi fondamentali: 1. Il principio della separazione delle funzioni—> Svolge un ruolo di garanzia simile a quello svolto dalla separazione dei poteri dello Stato: esso impone che il giudice abbia soltanto il compito di dirigere l’assunzione delle prove e di decidere senza cumulare in sé l’ulteriore potere di svolgere indagini. Stabilisce inoltre che il PM si limiti a ricercare le prove e non cumuli in sé il potere di assumerle. In tal modo viene assicurata una maggiore dialettica tra accusa e difesa, che espongono le proprie ragioni in una situazione di tendenziale equilibrio sotto il controllo del giudice. Quest’ultimo è in una posizione di imparzialità perché il suo compito non è quello di indagare, bensì di decidere sulla base delle richieste formulate dalle parti. 2. Il principio della netta ripartizione delle fasi processuali; —> il procedimento penale vede susseguirsi le indagini preliminari svolte dal PM, l’udienza preliminare e il dibattimento. Questa struttura costituisce lo svolgimento ordinario del procedimento e vuole tutelare alcuni valori propri del sistema accusatorio: si vuole, ad esempio, che le dichiarazioni utilizzabili per la decisione siano solo quelle che vengano assunte nel pieno contraddittorio tra le parti, e cioè davanti al giudice ed alla presenza del PM e del difensore dell’imputato. Pertanto, almeno come regola, la prova dichiarativa assunta prima del dibattimento è inutilizzabile. Inoltre, si vuole tutelare il diritto dell’imputato a che un giudice controlli la necessità del rinvio a giudizio e, quindi, la fondatezza dell’accusa del PM. E ciò in quanto anche il solo rinvio a giudizio costituisce una sofferenza per l’imputato innocente ed è per lui fonte di spese processuali; pertanto costituisce un danno da evitare. A tal fine è predisposta un’udienza preliminare, nella quale il giudice esamina gli atti raccolti dal PM e decide se rinviare a dibattimento l’imputato o pronunciare una sentenza di non luogo a procedere. 3. Il principio della semplificazione del procedimento —> che sta alla base del nuovo codice, sono previsti 6 riti semplificati, alternativi a quello ordinario, che di norma richiede tempi lunghi, specialmente nella fase dibattimentale (patteggiamento; giudizio abbreviato; giudizio immediato su richiesta del PM; giudizio immediato su richiesta dell’imputato; giudizio direttissimo; procedimento per decreto). In tal modo, si vuole lasciare la procedura più lunga e garantista soltanto ai casi veramente controversi o ai reati gravi. 15 5. Le modifiche successive al 1989. Con il nuovo codice di procedura penale si è attuato in Italia il passaggio dal sistema misto a quello accusatorio. Ciò è avvenuto in maniera netta e decisa, comportando una serie di problemi di assestamento, sia da un punto di vista teorico (es. la fase delle indagini preliminari era priva della garanzia del contraddittorio sul presupposto che le prove raccolte in tale fase non sarebbero stati utilizzabili per la decisione finale), sia dal punto di vista “operativo” (dovuto dalla carenza di personale, di uffici e mezzi, che inevitabilmente condizionarono negativamente l’avvio della riforma), sia dal punto di vista psicologico (manifestatisi in problemi di adattamento degli operatori ad una logica processuale del tutto diversa da quella accolta dal previgente codice). Dopo una prima fase di stallo, a seguito di diversi interventi della Corte Costituzionale e soprattutto alla situazione di emergenza provocata dagli omicidi dei magistrati Livatino, Falcone e Borsellino, il Governo iniziò a modificare alcuni punti fondamentali della disciplina del processo penale (d.l. n. 306/1992). 6. La costituzionalizzazione dei principi del “giusto processo”. Il 10 novembre 1999 è stata approvata la legge di revisione costituzionale dell’art. 111, introducendo due nuovi commi che consacrano i principi-cardine, sintetizzati nell’espressione “giusto processo”, ai quali deve informarsi ogni processo, soprattutto quello penale: tali principi sono la riserva di legge in materia processuale, l’imparzialità del giudice, la parità delle parti e la ragionevole durata dei processi. 7. I principi attinenti ad ogni processo. - La riserva di legge —> Il 1° co. dell’art. 111 sancisce che “la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge”, prevedendo quindi che soltanto il legislatore può regolare lo svolgimento del processo. - Il “giusto processo” —> L’espressione “giusto processo” contenuta nel primo comma si riferisce ad un concetto ideale di Giustizia, che preesiste rispetto alla legge e che è direttamente collegato a quei diritti inviolabili di tutte le persone coinvolte nel processo, che lo Stato, in base all’art. 2 Cost., si impegna a riconoscere. - Il contraddittorio “debole” —> Il 2° co. menziona il principio del contraddittorio (“ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti”) nella sua accezione classica, comportante la necessità che la decisione del giudice sia emanata audita altera parte. Il soggetto che subirà gli effetti di un provvedimento giurisdizionale deve essere messo in grado di esporre le sue difese prima che il provvedimento stesso sia emanato. Il significato “debole” è attuato quando la parte ed il suo difensore conoscono i presupposti di fatto e di diritto sui quali il giudice baserà la decisione; si tratta quindi del contraddittorio “sulla prova”, e cioè su di una prova già formata. - La parità delle parti —> Il 2° co. sancisce la necessità che il processo si svolga in condizioni di “parità tra le parti”. Mentre nel processo civile è possibile attuare la piena “eguaglianza delle armi” tra attore e convenuto, nel processo penale la parità non 16 significa identità, bensì equilibrio di poteri. La Corte Costituzionale ha affermato che il principio di ragionevolezza può giustificare una qualche asimmetria tra le parti quando questa è dovuta alla posizione istituzionale del PM e alle esigenze di una corretta amministrazione della giustizia. - Il giudice imparziale —> Il 2° co. sancisce, inoltre, che il processo debba svolgersi “davanti a giudice terzo e imparziale”. L’imparzialità concerne la funzione esercitata nel processo ed impone che il giudice non abbia legami con le parti, né un interesse nel procedimento. La terzietà concerne lo status, ossia il piano ordinamentale, nel senso che il giudice non può cumulare altre funzioni processuali. In definitiva, la Costituzione accoglie il principio della separazione delle funzioni processuali tra giudice, accusa e difesa. - La ragionevole durata —> L’ultimo principio sancito al 2° co. è quello della “ragionevole durata” del processo, la cui attuazione è rimessa al legislatore. Si tratta del recepimento di un precetto della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, il cui mancato rispetto in Italia ha comportato molteplici condanne del nostro Paese da parte della Corte europea. Vi è però una notevole differenza tra la formulazione della CEDU (“ogni persona ha diritto ad un’equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole”) ed il 2° co. dell’art. 111 Cost., in base al quale “la legge... assicura la ragionevole durata (del processo)”: mentre la CEDU attribuisce un vero e proprio diritto soggettivo immediatamente azionabile, la Costituzione pone un vincolo alla legge ordinaria. In ogni caso, va considerato che quello dell’efficienza processuale è un valore, che non può in alcun modo compromettere le garanzie dell’imputato e la qualità dell’accertamento processuale; del resto, il bilanciamento tra le due opposte istanze è già implicito nel termine “ragionevole”. 8 I principi inerenti al processo penale. - I diritti dell’accusato —> I commi successivi al secondo enunciano principi che si riferiscono esclusivamente al processo penale. Innanzitutto, al comma 3 è sancito che la persona sottoposta alle indagini deve essere “informata riservatamente della natura e dei motivi” dell’accusa “nel più breve tempo possibile”. In tal modo si cerca un punto di incontro tra il diritto di difesa dell’accusato e l’esigenza di segretezza delle indagini. Difatti, da un lato vi è l’interesse dell’indagato a conoscere quanto prima l’esistenza di un procedimento nei suoi confronti per poter raccogliere elementi a discarico che successivamente potrebbero disperdersi; dall’altro, vi è il PM che, per poter svolgere indagini efficaci, deve poter compiere atti a sorpresa (perquisizioni, intercettazioni, ecc.). Il bilanciamento tra i due interessi è attuato dall’espressione “nel più breve tempo possibile”, che non significa “immediatamente”, bensì “non appena l’avviso all’indagato è compatibile con l’esigenza di genuinità e di efficacia delle indagini”. Anche l’espressione “riservatamente” è posta a tutela dell’indagato, e funzionale a prevenire inammissibili divulgazioni di notizie che possano aprire processi paralleli in televisione o si giornali. 17 - innanzitutto si è deciso di disciplinare a regime il processo penale telematico. Si è prevista la digitalizzazione degli atti del procedimento informata e i principi di autenticità, integrità, cedibilità, reperibilità, segretezza. Si è disciplinato il deposito telematico degli atti l'effettuazione le notificazioni con modalità telematiche imponendo il rispetto dei principi di doni ta del mezzo e della certezza del compimento dell’att - Sì sono disciplinati in modo organico le notifiche azioni è il processo in assenza valorizzando il principio della effettiva conoscenza degli atti del processo ma anche cercando di rendere più celere ed efficace il meccanismo della notificazione attraverso la consegna al difensore - Si è puntato a scandire i tempi e le modalità di svolgimento delle indagini preliminari. Si è richiesto disciplina uniforme nei criteri per l'iscrizione nel registro delle notizie di reato prevedendo anche un controllo giurisdizionale sulla velocità dell'iscrizione. È stato previsto che gli uffici del PM individuano criteri di proprietà trasparenti e predeterminati da indicare nel progetto organizzativi.criteri che hanno la funzione di selezionare le notizie di reato da trattare con precedenza. - Sì è perseguita la deflazione del dibattimento. Si è mirato a raggiungere questa finalità agendo in vari modi. Innanzitutto è stato esteso anche all'udienza preliminare criterio della ragionevole previsione di condanna: il giudice disporrà il rinvio a giudizio soltanto se gli elementi raccolti nell'udienza preliminare consente di formulare questa valutazione. - Si è cercato di velocizzare le impugnazioni. In particolare si sono aumentati i casi in appellabilità delle sentenze. - Voluto perseguire l'efficienza in senso strutturale. Cioè sulla predisposizione di mezzi di risorse umane che assicura una maggiore organizzazione dei servizi di giustizia. È stata introdotta una struttura tecnica in grado di affiancare il giudice nel suo compito istituendo uno staff a servizio del magistrato degli uffici amministrativi.è stato poi anche prevista l'istituzione i due comitati tecnico scientifici, il comitato per il monitoraggio sull'efficienza della giustizia penale, sulla durata del procedimento sulla statistica giudiziaria, e il comitato tecnico scientifico per la digitalizzazione del processo penale. Le norme che sono entrata in vigore dal 19 ottobre 2021 Nel 2019 essere eliminata la prescrizione del reato a decorre dalla sentenza di primo grado.una scelta però che sarebbe stata dichiarata illegittima. La commissione Lattanzi aveva quindi previsto in alternativa alla tradizionale prescrizione una nuova prescrizione processuale definita improcedibilità. È un istituto che non permette di ottenere direttamente la ragionevole durata del processo, ma interrompe il medesimo in grado di appello di ricorso per cassazione quando sono stati superati alcuni termini massimi senza che sia stata pronunciata una sentenza che definisce il relativo giudizio di impugnazione. L'improcedibilità ottiene l'effetto di ridurre in modo perentorio e tempi di celebrazione dei giudizi di impugnazione, costringendoli entro un massimo temporale.si tratta di una soluzione di compromesso che ha consentito la camera dei deputati di approvare la riforma del processo penale. 20 La nuova improcedibilità —> È stata svincolata dalla prescrizione, anche se il reato non viene dichiarato estinto, quando accade che venga superato il termine massimo per il giudizio di appello di cassazione senza che l'impugnazione sia stata definita, il processo penale deve essere troncato del giudice obbligato, una volta ritenuta l'ammissibile impugnazione, dichiara improcedibilità dell'azione penale. I termini massimi per il giudizio di appello è di cassazione —> decorrono dal 90º giorno successivo al termine per il deposito della motivazione la sentenza impugnata o dal termine eventuale prorogato. La improcedibilità scatta in caso di mancata definizione del giudizio di appello entro il termine di due anni, estesi a tre se l'impugnazione sarà proposta entro il 31 dicembre Le proroghe dei termini massimi —> E ha messo una prima proroga con ordinanza motivata da parte del giudice che procede, quando il giudizio di impugnazione è particolarmente complesso ragione del numero delle parti o dell'impugnazione del numero o della complessità della questione di fatto di diritto. Proroga concessa non può essere superiore ai seguenti termini: - un anno nel giudizio d’appello - Sei mesi in quello di cassazione. Il totale quindi è di quattro anni per il giudizio di appello è di due anni per quello di cassazione. Ulteriori proroghe per i reati gravi. La compatibilità con la presunzione di innocenza dell’imputato La tradizionale prescrizione del reato un istituto che permette al giudice di pronunciare in un solo caso una decisione di merito. La nuova improcedibilità tronca il processo in appello o in cassazione anche quando vi sono prove evidenti che l'imputato deve essere assolto, perché, l'articolo 129 comma due si riferisce alle sole cause di estinzione del reato e non all'ipotesi di improcedibilità, considerate autonomamente dalla comma precedente. L'imputato può essere assolto in primo grado la pubblica accusa appellato la soluzione, in base alla riforma cartabia il superamento dei termini massimi per una decisione di merito in appello deve comportare la dichiarazione improcedibilità. Accade così che la sentenza di assoluzione si converte in una di improcedibilità, e cioè con una sentenza che ha un effetto sfavorevole per l'imputato, poiché all'effetto del giudicato il nuovo istituto presenta profili di frizione con la presunzione innocenza. Infatti una pronuncia di assoluzione può essere superata soltanto quando il PM abbia adempiuto all'onere della prova di reità aldilà di ogni ragionevole dubbio. Nel caso di specie non accade, perché la soluzione viene tramutata in una decisione di improcedibilità per il solo fatto che l'accusa non è stata in grado di completare il giudizio di impugnazione in un tempo ragionevole. 21 Applicando un'interpretazione più adeguata si potrebbe ritenere utilizzabile in via esegetico all'articolo 129 comma due e consentire al giudice in presenza di prove evidenti di innocenza, pronuncia di assoluzione anziché quella dell'improcedibilità. Una simile interpretazione scongiurerebbe eventuali questioni di legittimità per la bilancia della presunzione innocenza. La decretazione delegata da emanarsi in adempimento della legge di delega In attuazione della delega, il 4 agosto 2022 il Governo ha approvato lo schema di decreto legislativo e lo ha trasmesso alle Camere perchè sullo stesso fosse espresso il parere delle Commissioni parlamentari competenti. Ottenuto il parere favorevole, il decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 è stato pubblicato sulla G.U. del 17 ottobre 2022 e avrebbe dovuto entrare in vigore il 1° novembre 2022 in base all’ordinario periodo di vacatio legis di quindici giorni dalla pubblicazione in Gazzetta ufficiale. L'entrata in vigore dell'intero decreto legislativo è stata rinviata al 30 dicembre 2022 dall'art. 6 del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, pubblicato in G.U. del 31 ottobre 2022, n. 255. si è optato per un differimento dell’entrata in vigore, auspicando che, in sede di conversione del decreto-legge, possa essere elaborata una disciplina transitoria che elimini i dubbi interpretativi. 13. L’attuazione della Direttiva europea sulla presunzione di innocenza 14. Cenni sulla successione delle norme processuali nel tempo. Considerazioni preliminari. In caso di successione nel tempo di norme processuali penali si possono avere due differenti situazioni: può accadere che la nuova legge rechi una disciplina apposita per i procedimenti pendenti nel momento della sua entrata in vigore, o viceversa, che la nuova legge taccia in proposito, e allora occorrerà fare riferimento ai principi generali. Norme transitorie e norme intertemporali. Nell’ipotesi in cui la legge predisponga una apposita disciplina per i rapporti giuridici pendenti nel momento della sua entrata in vigore è possibile prospettare un’ulteriore distinzione: la nuova legge può dettare norme intertemporali o norme transitorie. Le norme intertemporali —> hanno una natura strumentale: esse non regolano direttamente la materia interessata dalle norme che si sono succedute, bensì indicano il criterio in base al quale si individua la disciplina per il caso concreto; detto altrimenti, si tratta di norme che disciplinano l’applicazione di altre norme. Una norma intertemporale si limita ad individuare, nell’ambito dei rapporti pendenti, quali tra di essi saranno regolati dalla nuova disciplina e quali, invece, resteranno sotto il regime della disciplina previgente. Le disposizioni transitorie —> sono norme materiali di diretta applicazione che regolano le situazioni giuridiche coinvolte nella successione di leggi e recano una disciplina speciale per il caso concreto, di solito intermedia tra quella contenuta nella nuova legge e quella dettata dalla normativa abrogata. 22 c) Le norme internazionali pattizie comuni (Trattati e convenzioni). L’art. 117, co. 1 Cost. impone al legislatore italiano il “rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali”. Secondo quanto affermato dalla Corte Costituzionale (n. 349 del 2007), le norme contenute nei Trattati assumono la denominazione e la natura di “norme interposte”, con un rango inferiore alla Costituzione e superiore al livello della legge ordinaria. Le norme contenute nei Trattati (es. Patto internazionale sui diritti civili e politici) non sono automaticamente recepite nell’ordinamento interno, ed anzi occorre verificare che esse siano conformi alla Costituzione sotto ogni profilo. Il dovere incombente sul legislatore italiano di rispettare i “vincoli derivanti dagli obblighi internazionali” comporta varie conseguenze: in primo luogo, il giudice italiano deve interpretare la legge nazionale in modo conforme alla norma internazionale, nel limite massimo consentito dal testo della legge nazionale (Corte cost. n. 348 e 349 del 2007). In secondo luogo, se la norma nazionale contrasta con quella internazionale, il giudice italiano non può disapplicare la legge interna, bensì deve investire della questione la Corte Costituzionale invocando come parametro l’art. 117, 1° co. Cost.; sarà poi la Consulta a valutare la compatibilità della legge nazionale con la norma interposta e, successivamente, a verificare la compatibilità del Trattato stesso con la nostra Costituzione (Corte cost. n. 348 e 349 del 2007). d) La Convenzione europea dei diritti dell’uomo —> La CEDU, pur essendo una norma pattizia, assume una posizione speciale nel nostro sistema in virtù del suo particolare contenuto e della sua peculiarità di meccanismi di tutela da essa istituiti. Difatti, la CEDU non si limita a stabilire obblighi tra gli Stati contraenti, ma riconosce formalmente la titolarità dei diritti umani in capo alle singole persone ed attribuisce alle medesime la legittimazione attiva al ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU o Corte di Strasburgo), una volta esaurite le vie di ricorso interna. Questa è la caratteristica che più differenzia la CEDU rispetto ad altre Convenzioni, che si limitano a regolare i rapporti tra gli Stati. Al tempo stesso, la Corte EDU ha competenza sulle questioni concernenti l’interpretazione e applicazione della Convenzione al fine di garantire una interpretazione uniforme negli Stati membri (art. 32, paragrafo 1). In entrambe le “sentenze gemelle” si precisa, infatti, che la peculiare caratteristica della CEDU deriva proprio dalla istituzione di un organo giurisdizionale, la Corte europea, al quale è affidata la funzione di interpretare le norme della Convenzione stessa. La naturale conseguenza dell’art. 32, par. 1 della Convenzione è che tra gli obblighi internazionali assunti dall’Italia con la ratifica della CEDU “vi è quello di adeguare la propria legislazione alle norme di tale trattato, nel significato attribuito dalla Corte 25 specificamente istituita per dare ad esse interpretazione ed applicazione” (sent. n. 348/2007). Da quanto premesso, ne consegue che il giudice italiano deve interpretare la norma nazionale in modo conforme alla CEDU (così come interpretata dalla Corte europea) nel limite del “testo” della legge interna. Se, nonostante tale attività ermeneutica, la norma nazionale contrasta con la CEDU, il giudice italiano non può disapplicarla, bensì deve investire della questione la Corte Costituzionale, che ha un duplice compito: 1. Deve valutare la compatibilità della legge interna con la CEDU (norma interposta) come interpretata dalla Corte europea. Con l’effetto che la legge nazionale, che sia in contrasto con la norma CEDU, deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima con riferimento all’art. 117, co. 1 Cost., purché ovviamente la norma CEDU sia compatibile con la Costituzione; 2. Deve valutare se le norme CEDU, interpretate dalla Corte europea, siano compatibili con i valori espressi dalla Costituzione, nel senso che il bilanciamento tra i principi è operato dalla Corte Costituzionale. Con la conseguenza che, ove la norma CEDU risulti in contrasto con la Costituzione, la Corte Costituzionale provvede “ad espungerla dall’ordinamento giuridico italiano” considerando la norma pattizia non idonea “a integrare il parametro” di legittimità ai sensi dell’art. 117, co. 1 Cost. (Corte Cost. n. 80 del 2011). Va, infine, aggiunto che anche le sentenze della Corte Edu, così come le norme CEDU, devono essere assoggettate alla interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente conforme, nel caso in cui non è possibile cogliere con immediatezza l’effettivo principio di diritto che la Corte Edu ha inteso affermare per risolvere il caso concreto (Corte Cost. n. 49 del 2015). Il Trattato di Lisbona —> Con il Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1° dicembre 2009, l’Unione Europea ha acquisito la competenza ad aderire alla CEDU. Con il medesimo Trattato vi è stato anche un esplicito riconoscimento della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (Carta di Nizza) del 2000, che ha acquisito “lo stesso valore giuridico dei Trattati”, divenendo vincolante per le Istituzioni europee e per gli Stati membri. Ciò comunque non ha modificato il valore da attribuire ai principi contenuti nella Convenzione europea sotto il profilo delle fonti del diritto, e rimane fermo quanto sopra esposto. 10. Effetti delle sentenze di condanna pronunciate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. L’obbligo di conformarsi alle sentenze della Corte EDU —> L’art. 46 CEDU impregna gli Stati parte della Convenzioni a conformarsi alle sentenze definitive della Corte EDU emesse nei loro confronti. In particolare, se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione e se il diritto interno dello Stato non consente di rimuovere del tutto le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda un’equa soddisfazione alla parte lesa. 26 Va precisato che, secondo la giurisprudenza della stessa Corte, la riparazione pecuniaria è uno strumento di ristoro che non esaurisce gli obblighi gravanti sullo Stato a seguito della violazione: difatti, lo Stato condannato “ha l’obbligo giuridico, non solo di versare agli interessati le somme attribuite a titolo di equa soddisfazione, ma anche di adottare le misure generali e/o, se del caso, individuali necessarie”. In tal senso, le somme accordate a titolo di equo indennizzo mirano unicamente ad “accordare un risarcimento per i danni subiti dagli interessati nella misura in cui questi costituiscano una conseguenza della violazione che non può in ogni caso essere cancellata”. La riapertura del processo come “restituzione in pristino” —> Le misure generali e/o individuali che lo Stato deve adottare devono porre “il ricorrente, per quanto possibile, in una situazione equivalente a quella in cui si troverebbe se non vi fosse stata una inosservanza ... della Convenzione”, ovvero una sorta di “restituzione in pristino” in favore dell’interessato. In quest’ottica, lo Stato è chiamato anche a rimuovere gli impedimenti che, a livello nazionale, si frappongono al conseguimento di tale obiettivo. Per quanto attiene alle violazioni della Convenzione commesse dalle autorità statali nel corso di un processo penale (es. violazione delle regole relative al “giusto processo” stabilite dall’art. 6 CEDU), la Corte EDU ritiene che il rimedio più idoneo ad assicurare la restituzione in pristino consiste nella riapertura del processo in condizioni che consentano il recupero delle garanzie in precedenza negate. La condizione necessaria per poter presentare ricorso alla Corte EDU consiste nell’avvenuto esaurimento dei rimedi interni (decisione irrevocabile). Pertanto, assicurare la restituzione in pristino della vittima della violazione attraverso la riapertura del processo significa rimettere in discussione il giudicato già formatosi sulla vicenda giudiziaria sanzionata, aspetto questo che ha creato una serie di problemi per l’Italia. Il “silenzio” dell’ordinamento italiano —> A differenza di quanto è avvenuto in molti Stati membri, in Italia, fino al 2011, non è stato previsto un rimedio specifico che garantisse la riapertura del processo al fine di dare esecuzione alle sentenze della Corte EDU. Nel nostro ordinamento l’unico istituto di carattere generale finalizzato a riaprire processi ormai definiti con sentenza irrevocabile è la revisione (art. 629 ss. c.p.p.) che, tuttavia, risulta costruita in relazione a situazioni differenti rispetto a quello in esame: difatti, l’impugnazione straordinaria è interamente modellata in relazione al sopravvenire di nuovi elementi che rendano i fatti accertati nella sentenza irrevocabile contrastanti con la “verità storica”; allo stesso tempo, l’istanza di revisione può essere esperita soltanto contro le sentenze di condanna (e ipotesi assimilate) e risulta ammissibile esclusivamente qualora risulti idonea ad ottenere il proscioglimento grazie alla valutazione dei nuovi elementi (art. 631 c.p.p.). Differentemente, la riapertura del processo a seguito di condanna della Corte EDU è finalizzata a consentire quelle garanzie di tipo sostanziale e procedurale che erano state 27 Parte II PROFILI GENERALI DEL PROCEDIMENTO PENALE CAPITOLO I I SOGGETTI DEL PROCEDIMENTO PENALE 1. Procedimento e processo. a. Il processo penale sul fatto, sull'autore e sulle conseguenze. Il processo penale ha lo scopo di accertare: - se una determinata persona ha commesso un reato; - quale è la personalità dell'autore del reato; - quali sono le sanzioni che devono essergli applicate. Il processo penale non ha lo scopo meramente teorico di ricostruire la verità su di un fatto commesso, bensì un fine più limitato, che consiste nell'accertare se tale fatto costituisce reato e, nel caso positivo, nell'applicare una sanzione a chi lo ha commesso. L'accertamento del fatto e l'individuazione del suo autore non perseguono finalità astratte o "storiche", ma servono soltanto per valutare se e quali sanzioni penali devono essere irrogate. L'accertamento della personalità dell'autore del reato è reso necessario dalla caratteristica che distingue la sanzione "penale". Questa si differenzia da quella civile e da quella amministrativa per il fatto di essere proporzionata alla "personalità" dell'autore del fatto illecito. Soltanto la sanzione penale è proporzionata, oltre che alla gravità del bene offeso, anche alla personalità dell'autore del fatto (art. 133 c.p.). Da ciò consegue che il processo penale ha la funzione di accertare la personalità dell'autore del reato al fine di commisurare ad essa la sanzione che deve essere irrogata. Se la sanzione penale ha unicamente una funzione "retributiva" l'esecuzione della stessa può essere affidata alla pubblica amministrazione; il processo si disinteressa di questo momento. Viceversa, se la pena ha, fra le sue molteplici funzioni, anche quella "rieducativa" (tendente a favorire il reinserimento sociale del condannato), è indispensabile che un giudice accerti l'evoluzione della personalità del reo in sede esecutiva. Tale accertamento in generale, ha lo scopo di modificare il contenuto della pena in relazione al grado di risocializzazione manifestato dal condannato. 30 b. L'azione penale. "Procedimento" e "processo" non sono sinonimi; nel codice di procedura penale ciascuno dei due termini assume un preciso significato. Il procedimento penale —> si indica una serie cronologicamente ordinata di at diret alla pronuncia di una decisione penale, ciascuno dei quali, in quanto validamente compiuto, fa sorgere il dovere di porre in essere il successivo ed, al contempo, è esso stesso realizzato in adempimento di un dovere posto dal suo antecedente. Si ricava che nel concetto di procedimento penale sono ricompresi almeno tre elementi fondamentali. - In primo luogo, la legge prevede una "serie cronologicamente ordinata" di at, nel senso che gli stessi devono essere compiuti rispettando una determinata sequenza temporale. - In secondo luogo, tutti gli at del procedimento hanno la finalità di accertare l'esistenza di un fatto penalmente illecito e la sua attribuibilità ad una persona. - In terzo luogo, il compimento di un atto del procedimento fa sorgere in un altro soggetto il "dovere" di compiere un atto successivo, fino alla decisione definitiva. Quest'ultima potrà essere una sentenza di condanna o di proscioglimento, se viene percorsa l'estensione massima del procedimento; oppure, sarà un decreto (o un'ordinanza) di archiviazione, se il procedimento si arresta prima che venga formulata una imputazione. Il procedimento penale ordinario è diviso in 3 fasi: 1. le indagini preliminari 2. l'udienza preliminare (processo) 3. il giudizio (processo) Il processo penale —> indica una porzione del procedimento penale. Fanno parte del "processo" le fasi dell'udienza preliminare e del giudizio. Il momento iniziale del processo corrisponde all'esercizio dell'azione penale; il momento finale si ha quando la sentenza diventa irrevocabile, e cioè, in sintesi, non più impugnabile perché nessuna parte ha presentato ricorso nei termini o perché tutte le impugnazioni ordinarie sono state esperite. Occorre far attenzione nella lettura del codice con l’espressione "in ogni stato e grado del procedimento" si intende ricomprendere sia le indagini sia il processo. Col termine "grado" si vuole indicare se il giudice prende cognizione dell'oggetto, sul quale deve decidere, in primo esame ovvero in appello o, infine, in sede di ricorso per 31 cassazione. Col termine "stato" si vuole indicare una fase del procedimento (indagini preliminari, udienza preliminare, giudizio). L'azione penale —> La nozione di "azione penale" è correlata a quella di processo penale. È la richiesta, diretta al giudice, di decidere sull'imputazione. Il codice precisa con quali at si esercita l'azione penale. Ai sensi dell'art. 405, comma 1 c.p.p., nel procedimento ordinario, il PM esercita l'azione penale quando —> chiede il rinvio a giudizio dell'imputato. La richiesta è rivolta al giudice e contiene la formulazione dell'imputazione. Nei procedimenti speciali, che eliminano l'udienza preliminare, l'azione penale è esercitata quando il PM formula l'imputazione nell'atto che instaura il singolo procedimento: ad esempio, nel giudizio diretssimo il PM contesta l'imputazione all'imputato che sia stato condotto direttamente in udienza (art. 451, comma 4). L’imputazione —> consiste nell'addebito della responsabilità di un fatto storico di reato; nel procedimento ordinario l'imputazione è formulata dal PM al termine delle indagini preliminari. Elementi dell'imputazione sono: - l'enunciazione, in forma chiara e precisa, del fatto storico di reato addebitato all'imputato; - l'indicazione degli articoli di legge che si ritiene siano stati violati; - le generalità della persona alla quale è addebitato il reato (art. 417, comma 1). L'esercizio dell'azione penale determina 2 effetti: - pone al giudice l'obbligo di decidere su di un determinato fatto storico - fissa in modo tendenzialmente immutabile l'oggetto del processo, e cioè impone al giudice il divieto di decidere su di un fatto storico differente da quello precisato nell'imputazione (salve le eccezioni descritte negli artt. 516-521). Non ha la natura di imputazione l'addebito provvisorio che è formulato dal PM nel corso delle indagini; ad esempio, quando nell'interrogatorio il PM contesta all'indagato il fatto che gli viene addebitato (art. 65, comma 1). La contestazione operata dal PM ha unicamente la funzione di mettere in grado l'indagato di esercitare il diritto di difesa. c. I soggetti e le parti. 32 I giudici penali speciali —> sono i giudici militari e la corte costituzionale. I tribunali militari in tempo di pace sono competenti soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alle forze armate. La corte costituzionale è competente a giudicare i delitti di alto tradimento e di attentato alla Costituzione commessi dal presidente della repubblica (art. 90 Cost.). In tal caso, la composizione ordinaria della corte, di quindici giudici, è integrata con altri sedici (c.d. giudici aggregati) estrat a sorte da un elenco formato dal parlamento ogni nove anni (art. 135, comma 7 Cost.). Approfondimento. Autorità giudiziaria; magistrato. Quando la Costituzione o la legge ordinaria utilizzano l'espressione "autorità giudiziaria" si riferiscono insieme sia al giudice, sia al PM come organi. Parimenti, a livello di persone fisiche, il termine "magistrato" è utilizzato per indicare indifferentemente il magistrato giudicante o quello requirente o entrambi. Poi la singola disposizione, se e quando vuole essere precisa, usa l'espressione "magistrato giudicante" per indicare colui che svolge una funzione giurisdizionale e usa l'espressione "magistrato del PM" per indicare colui che svolge una funzione requirente, che consiste nel chiedere una decisione al giudice. L'ordine giudiziario. La Costituzione nell'art. 104 comma 1 utilizza il termine "ordine" giudiziario e non"potere" giudiziario riferendolo alla magistratura. La Carta fondamentale vuole far comprendere che la magistratura non partecipa alla funzione di indirizzo politico, che caratterizza il potere legislativo e quello esecutivo. Ed infatti l'attività della magistratura ha una prevalente funzione di garanzia. L'indipendenza di tutti i magistrati (sia giudicanti, sia requirenti) è garantita dalla Costituzione attraverso un apposito organo, e cioè il consiglio superiore della magistratura (art. 104 Cost.) che ha il compito di provvedere alle assunzioni, trasferimenti, promozioni e provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati (art. 105 Cost.). Il consiglio superiore della magistratura è eletto per due terzi dai magistrati ordinari e per un terzo dal parlamento in seduta comune tra professori ordinari in materie giuridiche e avvocati con quindici anni di servizio. b. Giurisdizione e giusto processo. Il termine "giurisdizione" può avere un duplice significato: - può riferirsi alla funzione —> può essere definita "giurisdizione" quella funzione dello Stato che consiste nell'applicare la legge al caso concreto con forza cogente. 35 - oppure può riferirsi all'organo che la svolge —> con riferimento agli organi che svolgono la predetta funzione, "giurisdizione" è quel potere dello Stato che è impersonato da organi che hanno la caratteristica della indipendenza e della imparzialità. L'imparzialità del giudice è stabilita dal nuovo comma 2 dell'art. 111 Cost., in base al quale «ogni processo si svolge davanti a giudice terzo e imparziale». In determinate situazioni nelle quali il giudice è (o può apparire) parziale, egli ha il dovere di astenersi; se non lo fa, le parti possono ricusarlo (artt. 36 e 37 c.p.p.). Non esistono controlli esterni al potere giurisdizionale per l'ovvio motivo che, altrimenti, questo non sarebbe più indipendente. I controlli sono previsti all'interno dello stesso potere giurisdizionale: vi sono giudici che esaminano il processo in primo grado, in secondo grado e, infine, vi è un unico organo (corte di cassazione) che svolge un controllo di legitmità (art. 111, comma 7 Cost.). Giusto processo. Nel testo della Costituzione, le norme sulla "giurisdizione" contengono al loro interno quelle sul "giusto processo": ciò ha un profondo significato. Vogliono far intendere che non può esservi giurisdizione senza "giusto processo". Non è sufficiente che la Costituzione garantisca un giudice indipendente da altri poteri dello Stato. Occorre anche che sia garantito lo svolgimento della sua funzione. Elementi essenziali del "giusto processo" sono: - il contraddittorio - la parità delle parti - l'imparzialità del giudice - la ragionevole durata (art. 111 Cost.). Il "giusto processo" è un metodo oggettivo di esercizio della funzione giurisdizionale. Tale funzione non consiste nell'accertare i fat in segreto; l'accertamento necessita degli apporti delle parti. c. La competenza per materia e per funzione. La competenza —> quella parte della funzione giurisdizionale che è svolta dal singolo organo. La competenza è distribuita in base ai criteri della materia, del territorio, della funzione e della connessione. La competenza per materia è, a sua volta, ripartita in base a due criteri: - uno qualitativo (con riferimento al tipo di reato), - l'altro quantitativo (relativo alla pena edittale) —> Quando la legge utilizza quest'ultimo criterio, occorre tenere presenti le regole generali dettate dall'art. 4. In base 36 ad esse, per determinare la competenza si ha riguardo alla pena massima stabilita dalla legge per ciascun reato consumato o tentato. La competenza per materia in primo grado si ripartisce tra la corte d'assise, il tribunale per i minorenni, il giudice di pace ed il tribunale. - Il tribunale per i minorenni (composto da due giudici togati e da due esperti in psicologia) —> è competente per i reati commessi dai minori degli anni diciotto. Per stabilire la competenza del tribunale per i minorenni si deve prendere in considerazione l'età che aveva l'imputato all'epoca dei fat contestati. Questa competenza è "esclusiva": la cognizione resta attribuita al tribunale per i minorenni anche se il minore ha commesso un reato che sarebbe di competenza della corte d'assise, del tribunale o del giudice di pace. Inoltre, se il minore ha commesso un reato insieme ad adulti, per lui la competenza resta radicata nel tribunale per i minorenni. Per quanto concerne i reati commessi da persone adulte, la competenza per materia è ripartita, in prima battuta, tra la corte di assise ed il giudice di pace; il tribunale ha una competenza, di regola, residuale, salvo determinati reati espressamente indicati dalla legge. - Alla corte d'assise (giudice collegiale composto da due giudici di carriera e sei giudici popolari) è attribuita la competenza a giudicare i più gravi, fatti di sangue e i più gravi delit politici. Come linea di tendenza, il legislatore ha evitato di far giudicare dalla corte d'assise quei delit che richiedono conoscenze tecnico-giuridiche, che i giudici popolari non hanno. Al contempo, il legislatore ha attribuito alla corte d'assise quelle materie in relazione alle quali ha ritenuto che si possa esprimere al meglio la valutazione di un cittadino, che non sia un giudice di carriera. - Il giudice di pace opera come giudice monocratico (e cioè, come giudice singolo); la persona che svolge le funzioni di giudice di pace è nominata a tempo determinato. Per accedere all'ufficio occorre avere conseguito la laurea in giurisprudenza e aver superato l'esame di abilitazione alla professione di avvocato. Il giudice di pace è competente a conoscere una serie di fattispecie attribuite qualitativamente (art. 4 d.lgs. n. 274 del 2000). Si tratta, per la maggior parte, di reati che costituiscono espressione di situazioni di microconflittualità individuale. In generale, il criterio per la determinazione della competenza di tale organo è costituito dalla tenuità della sanzione e dalla semplicità dell'accertamento. 37 Tale regola vale anche in caso di procedimenti connessi a quelli in cui un magistrato assume la qualità di imputato, indagato, persona offesa o danneggiata dal reato (art. 11, comma 3 c.p.p.). Nei casi menzionati lo spostamento di competenza per territorio ha lo scopo di assicurare l'imparzialità dell'organo giudicante. e. La competenza per connessione - Riunione e separazione dei procedimenti. La connessione di procedimenti —> è un criterio attributivo della competenza del giudice nel senso che, quando tra i reati vi è un legame di tal genere, i relativi procedimenti sono tut di competenza di un unico organo giurisdizionale. Vi è connessione in 3 casi (art. 12). - In primo luogo, quando il reato per cui si procede è stato commesso da più persone in concorso o cooperazione tra loro, o se più persone con condotte indipendenti hanno determinato l'evento. - In secondo luogo, quando una persona è imputata di più reati commessi con una sola azione od omissione o con più azioni od omissioni esecutive del medesimo disegno criminoso (reato continuato). - In terzo luogo, quando si procede per più reati, se gli uni sono stati commessi per eseguire od occultare gli altri. Quando vi è connessione un solo giudice è competente a giudicare tut i reati connessi. Il giudice competente in caso di connessione viene individuato in base ai seguenti criteri: - Fra i giudici competenti per materia, la corte d'assise prevale sul tribunale (art. 15). - Applicata questa regola, se più giudici sono egualmente competenti per materia (es. due corti d'assise) ed hanno una diversa competenza per territorio, prevale il giudice competente per il reato più grave, sulla base degli indici elencati nell'art. 16, comma 3; - in caso di pari gravità, prevale il giudice competente per il reato commesso per primo (art. 16, comma 1). Una regola di attribuzione riguarda i casi in cui alcuni procedimenti connessi appartengono al tribunale collegiale ed altri al tribunale in composizione monocratica. Ove esista un legame di connessione, i procedimenti sono tut attribuiti alla cognizione del tribunale collegiale (art. 33-quater). Le deroghe alla connessione —> Esiste una importante deroga alla connessione in presenza di procedimenti contro imputati minorenni. Costoro devono essere sempre e comunque giudicati dal tribunale per i minorenni. 40 La riunione dei procedimenti —> Quando i procedimenti sono connessi, di regola accade che essi siano anche riuniti —> cioè siano trattati congiuntamente in un unico procedimento ad opera di un unico organo giudicante. È evidente che la finalità naturale, alla quale è preordinata la connessione, è quella di permettere la riunione di più procedimenti in uno unico (c.d. simultaneus processus); quando ciò avviene, si realizza un'economia di atti poiché, ad esempio, un testimone che riferisce su più imputati è sottoposto ad un unico esame. Al tempo stesso, il processo riunito può permettere di ricostruire con maggiore chiarezza e completezza il quadro probatorio ed i rapporti tra i vari fat di reato. Ma non è detto che in presenza di connessione i procedimenti debbano svolgersi necessariamente riuniti; quello che la legge impone è che vi sia un unico giudice competente per materia e territorio. Perché si possa disporre la riunione sono necessari i seguenti requisiti (art. 17): - che i procedimenti siano pendenti nella stessa fase e nello stesso grado; - che i procedimenti siano di competenza del medesimo giudice; - che i procedimenti siano connessi oppure vi sia comunque tra gli stessi una di quelle ipotesi di collegamento probatorio che sono previste dall'art. 371, comma 2, lett. b; - che la riunione non determini un ritardo nella definizione dei procedimenti. La separazione obbligatoria dei procedimenti —> L'esigenza di riunire i procedimenti può scontrarsi con altre di segno opposto, che tendono a tenerli separati. La separazione deve essere disposta dal giudice nei seguenti casi (art. 18, comma 1): - quando nel corso dell'udienza preliminare è possibile decidere subito la posizione di un imputato (ad esempio, in caso di giudizio abbreviato o patteggiamento); - quando per un imputato si debba sospendere il procedimento; - quando un imputato non è comparso in dibattimento ed occorra rinnovare la citazione nei suoi confronti; - quando uno o più difensori di imputati non sono comparsi in dibattimento per motivi legittimi; - quando per un imputato l'istruzione dibattimentale è già stata conclusa, mentre per altri deve continuare con tempi lunghi; - quando stiano per scadere i termini di custodia cautelare in relazione a taluno dei delit elencati nell'art. 407, comma 2, lett. a (reati di criminalità organizzata e ipotesi assimilate) ed occorra definire con urgenza la fase o il grado per evitare la scarcerazione automatica. La separazione facoltativa dei procedimenti —> Fuori dai casi predet, la separazione può essere disposta, sull'accordo delle parti, quando il giudice la ritenga utile ai fini della speditezza del processo (art. 18, comma 2). 41 Il provvedimento del giudice —> Nonostante la presenza di ipotesi di separazione obbligatoria, il giudice può ritenere la riunione «assolutamente necessaria per l'accertamento dei fat» (art. 18, comma 1). In tal modo riappare un aspetto di discrezionalità, che è bilanciato dal contraddittorio delle parti: ai sensi dell'art. 19, la riunione e la separazione dei processi sono disposte con ordinanza dal giudice anche d'ufficio, ma con il limite che devono essere "sentite le parti". f. Il principio del giudice naturale. Le norme sulla competenza, che abbiamo finora descritto, servono ad individuare l'organo investito del potere giurisdizionale sul fatto di reato. In base all'art. 25, comma 1 della Costituzione «nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge». Dalla norma si ricava il principio del giudice naturale, che a sua volta si esprime in 4 sotto-principi: - In primo luogo, il principio della riserva assoluta di legge in materia di competenza. —> Ciò significa che la competenza del giudice può essere determinata soltanto dalla legge, e non da fonti secondarie (regolamenti o at amministrativi). - In secondo luogo, le disposizioni di legge che sono destinate a regolare la competenza, NON devono conferire un potere di scelta discrezionale. - In terzo luogo, dalla necessaria "precostituzione" del giudice si ricava il divieto di applicazione retroattiva delle norme concernenti la competenza; queste sono applicabili ai fat di reato che siano stati commessi dopo la loro entrata in vigore. - In quarto luogo, il principio della «naturalità» del giudice fa riferimento ad un concetto che preesiste rispetto alla legge e che quest'ultima è chiamata a tutelare. L'opinione prevalente è nel senso che "giudice naturale" è quello che l'ordinamento considera il più idoneo ad accertare il fatto di reato. Da ciò consegue che la sua identificazione non può prescindere dal collegamento con il luogo nel quale è stato commesso il reato. Il principio della «naturalità» può cedere di fronte ad interessi superiori (secondo criteri legalmente prestabiliti); ad esempio di fronte al principio di imparzialità del giudice (art. 111, comma 2 Cost.). È il caso che si verifica quando nella sede "naturale" l'intero ufficio giudiziario appaia comunque parziale o sia esposto a pressioni ambientali (opera l'istituto della rimessione: art. 45 c.p.p.). g. I conflitti di giurisdizione e di competenza. 42 La riforma Cartabia (d.lgs. n. 150 del 2022) ha previsto che il giudice, chiamato a decidere una questione concernente la competenza per territorio, possa, anche su istanza di parte, rimettere la decisione alla corte di cassazione, che provvede in camera di consiglio partecipata (art. 24-bis, comma 2 c.p.p.). Si tratta di una questione pregiudiziale che ha un effetto preclusivo perchè la parte, che ha eccepito l'incompetenza per territorio senza chiedere contestualmente la rimessione della decisione alla cassazione, non può più riproporre l'eccezione nel corso del procedimento. La questione concernente la competenza per territorio può essere rimessa, anche di ufficio, alla cassazione prima della conclusione dell'udienza preliminare o, se questa manchi, in dibattimento subito dopo compiuto per la prima volta l'accertamento della costituzione delle parti ai sensi dell'art. 491, comma 1 (art. 24-bis, comma 1). In detti casi il giudice pronuncia un'ordinanza con la quale invia alla cassazione gli atti necessari alla risoluzione della questione. La cassazione decide in camera di consiglio partecipata (art. 127) e, se dichiara l'incompetenza del giudice che procede, ordina la trasmissione degli atti al PM presso il giudice competente. L'estratto della sentenza è immediatamente comunicato al giudice che ha rimesso la questione e, quando diverso, al giudice competente, nonché al PM presso i medesimi giudici ed è notificato alle parti private . L'effetto preclusivo menzionato fa venir meno la possibilità di riproporre nelle fasi e gradi successivi del processo l'eccezione di incompetenza per territorio e, in tal modo, fissa una importante acquisizione per la certezza del diritto. In precedenza, la cassazione interveniva soltanto nel grado finale del processo e, se riconosceva l'incompetenza per territorio, provocava la necessità di ripetere il giudizio con dispendio di tempo. i. L'inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale. Il legislatore ha escluso che le eventuali violazioni delle norme sulla corretta composizione del tribunale possano incidere sulla capacità dell'organo giudicante (art. 33, comma 3). È evidente che si sono voluti configurare i rapporti tra le due articolazioni del tribunale alla stregua di un modulo organizzativo interno all'ufficio giudiziario. Il legislatore vuole che il problema non sia considerato una questione di "competenza"; esso deve attenere alla "cognizione" giudice, e cioè ad una semplice questione di forma o di rito. Approfondimento. Il microsistema delle inosservanze. Il termine, entro il quale si può eccepire o rilevare anche d'ufficio l'inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale e delle disposizioni processuali collegate, è simile a quello che vale per l'incompetenza per 45 territorio, e cioè prima della conclusione dell'udienza preliminare o, se questa manca, subito dopo compiuto per la prima volta l'accertamento della costituzione delle parti (art. 33-quinquies). Le inosservanze per eccesso Nell'ambito delle inosservanze per eccesso possono verificarsi 2 ipotesi. - prima ipotesi, prevista dall'art. 33-sexies, può accadere che il PM, sulla scorta dell'imputazione da lui formulata, abbia chiesto il rinvio a giudizio mediante udienza preliminare erroneamente, perché il fatto contestato avrebbe comportato la citazione diretta a giudizio. In tal caso, il giudice deve trasmettere gli at al PM perché questi emetta il decreto di citazione diretta a giudizio. - seconda ipotesi è quella in cui il giudice collegiale nel corso del dibattimento rilevi che il procedimento spetta al tribunale monocratico. In tal caso non si ha regressione del procedimento: il collegio deve trasmettere gli at al giudice competente per il dibattimento (art. 33-septies, comma 1). Le inosservanze per difetto —> In primo luogo può verificarsi la situazione inversa e regolamentata in maniera identica. Se il giudice monocratico in dibattimento ritiene che il procedimento spetti al tribunale collegiale deve trasmettere gli atti al giudice competente per il dibattimento (art. 33-septies, comma 1). L'altra ipotesi, che si può verificare, è che il giudice monocratico, nel dibatmento instaurato a seguito di citazione diretta, rilevi che si trat di un reato per il quale è prevista l'udienza preliminare. In tal caso, vi è una regressione del procedimento: il giudice trasmette gli at al PM. Il PM eserciterà nuovamente l'azione penale. Una norma di chiusura stabilisce che 'inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale non determina l'invalidità degli at del procedimento né 'inutilizzabilità delle prove già acquisite (art. 33- nonies). m. La capacità del giudice. capacità del giudice —> indica il complesso dei requisiti indispensabili per un legitmo esercizio della funzione giudicante. In base al primo comma dell'art. 33, sono «condizioni di capacità del giudice» quelle che appaiono «stabilite dalle leggi di ordinamento giudiziario». Capacità generica e specifica. Non tutte le disposizioni finalizzate a regolare l'attribuzione e lo svolgimento della funzione giurisdizionale sono previste a pena di nullità. 46 Si ritiene infat che la sanzione della nullità assoluta sia messa a presidio della sola capacità generica (che si otene con la nomina e l'ammissione nel ruolo) e non anche dell'idoneità specifica, che presuppone la regolare costituzione del giudice nell'ambito di un determinato processo. Ripartizione tra tribunale collegiale e monocratico. Inoltre, il terzo comma dell'art. 33 esclude che l'attribuzione degli affari penali al tribunale collegiale o monocratico attenga alla capacità del giudice o al numero dei giudici necessario per costituire l'organo giudicante. La violazione delle norme sul riparto della cognizione tra le due articolazioni del tribunale e l'inosservanza delle disposizioni ordinamentali concernenti l'assegnazione dei magistrati a sezioni o collegi non danno luogo a nullità processuali. Si può ricavare che il codice di procedura penale attribuisce una limitata rilevanza alla garanzia costituzionale del giudice naturale precostituito per legge (art. 25 Cost.) in quanto circoscrive tale garanzia alla mera individuazione dell'organo giudiziario nel suo complesso. n. L'imparzialità del giudice. L'imparzialità, perché sia "effetva", deve essere fondata su: - La soggezione del giudice alla legge —> Soltanto la presenza di leggi, che indichino con precisione quali fat sono reato e quali poteri processuali debbano essere esercitati, impedisce che il giudice sia influenzato dall'esterno o dall'interno. Sono necessarie leggi precise, certe, che non lascino al giudice quelle scelte discrezionali che devono essere compiute dal potere legislativo. - La separazione tra funzioni giurisdizionali e quelle che sono tipiche di una parte —> L’imparzialità è fondata sulla separazione delle principali funzioni processuali in sogget distinti, e cioè l'accusa, la difesa ed il giudice. - La terzietà —> In base all'art. 111, comma 2 Cost., l'imparzialità concerne la funzione esercitata nel processo ed impone che non vi siano legami tra il giudice e le parti. La terzietà concerne lo status del magistrato, ossia il piano ordinamentale. Non appare imparziale quel giudice che ha svolto in passato le funzioni di PM e che, quindi, si trova a giudicare sulle richieste di ex colleghi appartenenti al medesimo distretto. - L’impregiudicatezza —> Vi è imparzialità quando il giudice è in una condizione di impregiudicatezza rispetto alla questione da decidere. L'impregiudicatezza è un requisito che concerne l'atteggiamento interiore del giudice rispetto alla decisione da prendere. La situazione di impregiudicatezza è stata definita dalla Corte costituzionale come «assenza di un pre-giudizio rispetto all'oggetto del procedimento». 47 - se è tutore, procuratore o datore di lavoro di una delle parti private ovvero se il difensore, procuratore o curatore di una di dette parti è prossimo congiunto di lui o del coniuge. - se ha dato consigli o ha manifestato il suo parere sull'oggetto del procedimento fuori dell'esercizio delle funzioni giudiziarie; - se vi è inimicizia grave fra lui o un suo prossimo congiunto e una delle parti private; - se alcuno dei prossimi congiunti di lui o del coniuge è offeso o danneggiato dal reato o parte privata; - se un prossimo congiunto di lui o del coniuge svolge o ha svolto funzioni di PM. II. L'astensione. La dichiarazione di astensione è valutata dal presidente dell'organo giudicante al quale appartiene il magistrato (art. 36, comma 3). Non può essere accolta automaticamente perché l'astensione è un istituto che fa eccezione alla regola secondo cui il giudice, una volta investito di un procedimento, ha il dovere di decidere. La dichiarazione di astensione è accolta se si accerta che in concreto esistono le situazioni che mettono in pericolo l'imparzialità. Il codice impone al giudice di astenersi anche in presenza di una situazione indicata con una clausola aperta, e cioè quando vi siano «gravi ragioni di convenienza» (art. 36, lett. h). La ragione è "grave" quando incide sulla libertà di determinazione del giudice. La decisione sulla dichiarazione di astensione: Il giudice presenta la dichiarazione di astensione al presidente della corte o del tribunale, che decide con decreto senza formalità di procedura. Si tratta di un atto di tipo amministrativo, sottratto ad ogni mezzo di impugnazione, i cui effet restano limitati all'ambito dell'ufficio. III. La ricusazione —> Le parti possono ricusare il giudice in base ai medesimi motivi previsti per l'astensione, con due differenze. In primo luogo non è possibile ricusare il giudice per "gravi ragioni di convenienza": evidentemente si è ritenuto che una clausola così aperta in favore delle parti potesse rappresentare una lesione eccessiva al prestigio della magistratura. In secondo luogo, il codice aggiunge un ulteriore motivo: le parti possono ricusare il giudice che, nell'esercizio delle sue funzioni, abbia «manifestato indebitamente il proprio convincimento sui fat oggetto dell'imputazione» (art. 37, comma 1, lett. b). Quindi, le parti possono ricusare il giudice soltanto in presenza di situazioni tassative previste dalla legge. La dichiarazione di ricusazione —> sulla ricusazione di un giudice del tribunale, della corte di assise o della corte di assise di appello decide la corte di appello; su quella di un giudice 50 della corte di appello decide una sezione della corte stessa, diversa da quella a cui appartiene il giudice ricusato. Sulla ricusazione di un giudice della corte di cassazione decide una sezione della corte diversa (art. 40, commi 1 e 2). Il procedimento con cui si decide sulla dichiarazione di ricusazione è un procedimento incidentale di carattere giurisdizionale. La dichiarazione di ricusazione può essere proposta in udienza subito dopo compiuto l'accertamento della costituzione delle parti; in ogni altro caso, prima del compimento dell'atto da parte del giudice (art. 38, comma 1). La dichiarazione contenente l'indicazione dei motivi e delle prove è proposta con atto scritto ed è presentata, assieme ai documenti, nella cancelleria del giudice competente a decidere. La dichiarazione può essere proposta a mezzo del difensore o di un procuratore speciale (art. 38, commi 3 e 4). Nel frattempo, il giudice ricusato non deve sospendere la sua atvità, ma non può pronunciare una sentenza (art. 37, comma 2). Se la dichiarazione è valutata come inammissibile (art. 41, comma 1), gli at compiuti restano efficaci. Ma se è accolta la dichiarazione di ricusazione, la corte chiamata a decidere deve valutare il grado di compromissione del giudice sospetto. - o Atti compiuti dal giudice sospetto prima della decisione che accoglie la ricusazione: La corte può disporre che il giudice sospenda temporaneamente ogni atvità o si limiti al compimento di at urgenti (art. 41, comma 2). Non può pronunciare sentenza fino a che non sia intervenuta l'ordinanza che dichiara inammissibile o riget la ricusazione (art. 37, comma 2). - o Atti compiuti dal giudice sospetto dopo la decisione che accoglie la ricusazione: Il giudice non può compiere alcun atto del procedimento (art. 42, comma 1). Le Sezioni unite della cassazione hanno statuito che la relativa ordinanza deve provvedere in merito alla declaratoria di efficacia degli at pregressi, siano o meno at probatori. E cioè, l’ordinanza deve dichiarare se, e in quale parte, gli at compiuti conservino efficacia. - o Accoglimento della ricusazione nei confronti del giudice che ha pronunciato il decreto che dispone il giudizio: Le Sezioni unite Gerbino hanno dato un'interpretazione estensiva al termine "sentenza", di cui all'art. 37, comma 2, poiché hanno affermato che in essa è ricompreso il decreto del giudice dell'udienza preliminare che dispone il giudizio. Nel caso in cui concorrano una dichiarazione di ricusazione ed una dichiarazione di astensione, l'accoglimento dell'astensione fa considerare come non proposta la ricusazione (art. 39). 51 q. La rimessione del processo. Vi possono essere casi nei quali è pregiudicata l'imparzialità dell'intero ufficio giudicante territorialmente competente. In questi casi il codice prevede lo spostamento della competenza per territorio ad un altro organo giurisdizionale (con la medesima competenza per materia) situato presso quel capoluogo del distretto di corte d'appello che è individuato in base all'art. 11 (e cioè, nell'ipotesi di un reato commesso da un magistrato). Lo spostamento è deciso dalla corte di cassazione che accerta l'esistenza di almeno uno dei requisiti della rimessione (art. 45). La richiesta motivata di rimessione può essere presentata soltanto dall'imputato, dal PM presso il giudice che procede e dal procuratore generale presso la corte d'appello. I casi di rimessione. Devono essere presenti «gravi situazioni locali, tali da turbare lo svolgimento del processo e non altrimenti eliminabili». La situazione deve essere "grave", e cioè occorre che sia presente una obietva situazione di fatto che lasci fondatamente presagire uno svolgimento non sereno del giudizio. Deve essere "locale", e cioè non diffusa sull'intero territorio nazionale. Deve essere esterna rispetto al processo, e cioè NON deve consistere in un fenomeno connesso alla dialetca processuale. Infine, deve essere "non eliminabile" con gli strumenti a disposizione del potere esecutivo. - Il primo caso di rimessione si ha quando sono pregiudicate la sicurezza e l'incolumità pubblica. Ad esempio lostato di guerriglia urbana che si è manifestato in alcune città italiane tra il 1970 ed il 1980. - Il secondo caso di rimessione sussiste quando è pregiudicata la libera determinazione delle persone che partecipano al processo. Può essere la situazione in cui i giudici popolari o i testimoni sono intimiditi da associazioni mafiose. - Il terzo caso di rimessione consiste in gravi situazioni locali che «determinano motivi di legitmo sospetto». Questa ipotesi fa riferimento ad una «grave e oggettiva situazione locale, idonea a giustificare la rappresentazione di un concreto pericolo di non imparzialità del giudice», inteso questo come l'intero ufficio giudicante della sede in cui si svolge il processo. Occorre che sia assicurata una imparzialità sostanziale, che può essere messa in pericolo quando la pressione dell'ambiente sui giudici appare, ad un osservatore esterno, idonea a compromettere la serenità della decisione. 52 A sua volta, la risoluzione della questione pregiudiziale sulla qualità di "cosa rubata", quale antecedente logico della esistenza della ricettazione, non vincola altro giudice penale che debba accertare l'esistenza del furto. I temperamenti al principio dell'autosufficienza della giurisdizione penale. Sono contemplate una serie di eccezioni alla giurisdizione del giudice penale su controversie non direttamente attribuite alla propria cognizione. In particolare: - Le controversie atnenti alle restituzioni delle cose sequestrate o confiscate non sono risolte dal giudice penale, ma sono attribuite al giudice civile territorialmente competente (art. 263, co.3). - In presenza di controversie sullo stato di famiglia o sulla cittadinanza, il giudice penale può sospendere il processo se concorrono i requisiti di cui all'art. 3 c.p.p. Ad es il giudice è chiamato ad accertare se un cittadino abbia portato armi contro lo Stato italiano (art. 242 c.p.); nel merito può essere controverso se l'imputato abbia effetvamente la qualifica di "cittadino". Il giudice penale, in base all'art. 3, comma 1, c.p.p., può sospendere il processo soltanto quando la questione abbia due requisiti concorrenti, e cioè: • o la questione deve essere “seria"; • o l'azione a norma delle leggi civili deve essere già in corso. Si tratta, quindi, di un'autosufficienza parziale. - Le questioni pregiudiziali relative a una controversia civile o amministrativa possono comunque determinare la sospensione del processo penale laddove siano di particolare complessità e laddove il procedimento extrapenale sia già in corso. - Le questioni relative alla compatibilità con la Costituzione di leggi o at aventi forza di legge rilevanti per il giudizio penale devono essere sollevate, dal giudice procedente, innanzi alla Corte costituzionale (c.d. pregiudiziale di costituzionalità) - Le questioni interpretative del diritto comunitario devono essere deferite alla Corte di Giustizia (c.d pregiudiziale comunitaria). Ufficio per il processo Il d.l. n. 80 del 2021 ha dato una regolamentazione definitiva a un istituto introdotto nel 2012 con l’obiettivo di «garantire la ragionevole durata del processo, attraverso l’innovazione dei modelli organizzativi ed assicurando un più efficiente impiego delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione». Strumento cardine per conseguire gli obiettivi del P.N.R.R., l’ufficio per il processo si presenta come una struttura complessa, che richiede la cooperazione sinergica di più professionalità in grado di affiancare il magistrato nello svolgimento dei suoi compiti e mansioni, istituendo dunque una sorta di team al servizio di costui e del suo ufficio. L’ufficio per il processo rappresenta una misura volta a rendere maggiormente efficace il lavoro del magistrato. Non più una gestione prettamente individualistica, bensì condivisa. L’art. 1 del decreto delegato prevede la costituzione anche di: 55 - ufficio per il processo civile - ufficio per il processo penale” - ufficio spoglio, analisi e documentazione. L’art. 4 d.lgs. n. 151 del 2022 elenca, a proposito, le figure professionali di cui si compongono tali uffici: a) i giudici onorari di pace negli uffici per il processo presso il tribunale; b) i giudici ausiliari negli uffici per il processo presso le corti di appello c) i tirocinanti ex art. 73 d.l. n. 69 del 2013; d) coloro che svolgono la formazione professionale; e) il personale delle cancellerie o segreterie giudiziarie; f) il personale di g) gli addetti all’ufficio per il processo e personale assunto a tempo determinato per il supporto alle linee progettuali per la giustizia del P.N.R.R. Tali soggetti vengono reclutati mediante concorso pubblico su base distrettuale. Queste figure sono tenute all’obbligo di riservatezza, hanno accesso ai fascicoli processuali, partecipano alle udienze, anche non pubbliche, alle camere di consiglio e altresì alle riunioni indette dai presidenti di sezione. Le mansioni, cui saranno destinati gli addetti all’ufficio per il processo penale presso i tribunali ordinari e le corti di appello (art. 6 d.lgs. n. 151 del 2022), saranno le seguenti. a) Attività di studio dei fascicoli e preparazione dell’udienza, consistente nel coadiuvare uno o più magistrati e, sotto la loro direzione e coordinamento, compiere tutti gli atti preparatori utili per l’esercizio della funzione giudiziaria; approfondimento giurisprudenziale e dottrinale; predisposizione di bozze di provvedimenti (c.d. minute). b) Analisi delle pendenze e flussi delle sopravvenienze, monitoraggio dei procedimenti di data più risalente e verifica delle comunicazioni e notificazioni. c) Ampliamento della capacità produttiva dell’ufficio, attraverso la valorizzazione e la messa a disposizione dei precedenti giurisprudenziali (utili alla risoluzione della controversia). d) Attività di supporto al magistrato nell’accelerazione dei processi di innovazione tecnologica. Analogamente, l’art. 8 individua le mansioni dell’ufficio per il processo penale presso la corte di cassazione. Ai compiti appena menzionati, si aggiungono i seguenti. e) Attività di supporto ai magistrati nella complessiva gestione dei ricorsi e dei provvedimenti giudiziari, mediante la compilazione della scheda del ricorso, lo svolgimento dei compiti necessari per l’organizzazione delle udienze e le camere di consiglio, l’assistenza nella fase preliminare dello spoglio dei ricorsi e la verifica della documentazione inviata dal tribunale del riesame nel caso di ricorso immediato per cassazione. f) Ausilio ai fini della formazione del ruolo delle udienze della sezione filtro g) Attività di raccolta di materiale e documentazione anche per le occorrenze necessarie per l’inaugurazione dell’anno giudiziario. 56 3. Il PM. Le funzioni. Il PM —> è quel complesso di uffici pubblici che rappresentano nel procedimento penale l'interesse generale dello Stato alla repressione dei reati. Il PM è un organo frazionato in tanti uffici ciascuno dei quali svolge le sue funzioni, di regola, soltanto davanti all'organo giudiziario presso cui è costituito (art. 51, comma 3). Uffici del PM davanti al giudice ordinario. Le funzioni del PM nelle indagini preliminari e nei procedimenti di primo grado sono svolte, presso il tribunale monocratico e collegiale, da un ufficio unitario denominato "procura della repubblica presso il tribunale". Tale ufficio svolge altresì le funzioni di PM per i reati di competenza della corte d'assise e del giudice di pace. Presso il tribunale per i minorenni —> vi è un apposito ufficio di procura della repubblica. Per i giudizi d’appello —> vi è una procura generale presso la corte d'appello. Presso la corte di cassazione —> vi è un ufficio di procura generale. Uffici del PM davanti al giudice speciale. Presso il giudice speciale militare vi sono la procura militare presso il tribunale e la procura generale militare presso la corte d'appello. Presso la corte di cassazione vi è un apposito ufficio denominato "procura generale militare". Le funzioni del PM. Le funzioni svolte dal PM sono indicate nell'ordinamento giudiziario. In particolare il PM: - «veglia alla osservanza delle leggi, alla pronta e regolare amministrazione della giustizia, alla tutela dei dirit dello Stato, delle persone giuridiche e degli incapaci» (art. 73 ord. giud.). - «promuove la repressione dei reati » (art. 73 ord. giud.) e cioè svolge le indagini necessarie per valutare se deve chiedere il rinvio a giudizio o l'archiviazione. - «esercita l'azione penale» in ogni caso in cui non debba richiedere l'archiviazione, e cioè quando dalle indagini sono emersi elementi idonei a sostenere l'accusa in giudizio (art. 50, comma 1 c.p.p.). 57 Con l'atto di assegnazione il procuratore può stabilire i criteri ai quali il magistrato deve attenersi nell'esercizio della relativa attività (comma 2). La revoca dell'assegnazione al di fuori dell'udienza. Quando le direttive generali o particolari sono violate, o comunque quando si verifica un contrasto con il titolare dell'ufficio, questi può revocare l'assegnazione con provvedimento motivato (comma 3). Entro 10 giorni dalla comunicazione della revoca, il magistrato al quale era stato originariamente assegnato il procedimento può presentare osservazioni scritte al procuratore della repubblica. Un caso particolare di diretva è quella che concerne l'impiego della polizia giudiziaria. Il procuratore della repubblica determina i criteri generali ai quali i magistrati addet all'ufficio devono attenersi nell'impiego della polizia giudiziaria, nell'uso delle risorse tecnologiche assegnate e nella utilizzazione delle risorse finanziarie delle quali l'ufficio può disporre (art. 4). Il progetto organizzativo dell'ufficio del PM. La riforma del 2022 ha modificato i commi 6 e 7 dell’art. 1 d.lgs. n. 106 del 2006 recependo il principio della tendenziale e generale predeterminazione dei criteri: tutti i poteri riconosciuti al Capo vengono procedimentalizzati. In particolare, il nuovo comma 6 stabilisce che il procuratore della Repubblica predispone, in conformità ai principi generali definiti dal Consiglio superiore della magistratura, il progetto organizzativo dell'ufficio, con il quale determina tutti gli aspetti più rilevanti nella gestione dei sostituti procuratori . Ai sensi del comma 7, il progetto organizzativo dell'ufficio è adottato ogni 4 anni (con le stesse cadenze con le quali vengono predisposte le tabelle degli uffici giudicanti) ed è approvato dal Consiglio superiore della magistratura. La piena autonomia in udienza —> il potere diretvo del titolare si attenua quando il magistrato si trova in udienza. In tal caso, il magistrato del PM esercita le sue funzioni con "piena" autonomia (art. 53, comma 1). Il capo dell'ufficio provvede alla sostituzione soltanto su consenso dell'interessato ovvero, se il consenso manca, nel caso di grave impedimento o di rilevanti esigenze di servizio. Inoltre, il capo ha l'obbligo di provvedere alla sostituzione se il magistrato ha un interesse "privato" nel procedimento (art. 53, comma 2). Quando ciò avviene, il titolare dell'ufficio deve trasmettere al consiglio superiore della magistratura copia del provvedimento motivato con cui ha disposto la sostituzione del magistrato (art. 70 comma 4 ord. giud.). Se il capo dell'ufficio non provvede alla sostituzione, il procuratore generale presso la corte di appello deve disporre l'avocazione ai sensi dell'art. 53, comma 3. 60 Nelle medesime ipotesi il procuratore generale deve disporre l'avocazione al di fuori dell'udienza (es. durante le indagini preliminari) o anche quando, in conseguenza dell'astensione o dell'incompatibilità del magistrato designato, non è possibile provvedere alla sua tempestiva sostituzione (art. 372, co.1, lett. a). Le misure cautelari —> Il singolo magistrato del PM, quando sta per presentare al giudice la richiesta di una misura cautelare personale (es. custodia in carcere) o reale (es. sequestro preventivo), deve ottenere l'assenso scritto dal procuratore della repubblica. Analogo assenso è necessario per disporre il fermo di persona indiziata di un delitto. L'assenso non è necessario quando la richiesta di una misura cautelare è formulata in occasione della convalida dell'arresto o del fermo (art. 390 c.p.p.) o in occasione della convalida del sequestro preventivo operato d'urgenza (art. 321 comma 3-bis c.p.p.). I rapporti con gli organi di informazione. Un aspetto di gerarchia concerne anche i rapporti con gli organi di informazione. Il procuratore della repubblica mantiene personalmente i rapporti con gli organi di informazione (comma 1). Ogni informazione inerente alle atvità della procura della repubblica deve essere fornita attribuendola in modo impersonale all'ufficio ed escludendo ogni riferimento ai magistrati assegnatari del procedimento (comma 2). È fatto divieto ai magistrati della procura della repubblica di rilasciare dichiarazioni o fornire notizie agli organi di informazione circa l'atvità giudiziaria dell'ufficio (comma 3). Il procuratore della repubblica ha l'obbligo di segnalare al consiglio giudiziario, per l'esercizio del potere di vigilanza e di sollecitazione dell'azione disciplinare, le condotte dei magistrati del suo ufficio che siano in contrasto col divieto fissato dalla legge (comma 4). d. I rapporti tra gli uffici. Ogni ufficio del PM è competente a svolgere le sue funzioni esclusivamente presso l'organo giudiziario davanti al quale è costituito. A tale regola sono poste alcune eccezioni. Occorre premettere che il rapporto gerarchico esiste quando l'organo superiore ha un potere conformativo diretto che è realizzabile con gli strumenti dell'ordine e della diretva in relazione al singolo affare trattato dall'organo inferiore, il quale pertanto è giuridicamente obbligato ad adempiere a quanto richiesto. Ciò detto, nei rapporti tra gli uffici del PM non vi è un potere gerarchico tra quello superiore e quello inferiore. Il procuratore generale presso la corte di cassazione svolge una funzione di sorveglianza, nel senso che ha il potere di iniziare l'azione disciplinare contro un qualsiasi magistrato requirente o giudicante; la decisione spetterà poi al consiglio superiore della magistratura. 61 Lo stesso procuratore generale può essere chiamato a risolvere un contrasto negativo o positivo tra uffici del PM appartenenti a differenti distret di corte d'appello (artt. 54 e 54- bis). La nozione di contrasto tra uffici —> Si ha contrasto negativo tra pubblici ministeri (art. 54) quando due uffici, durante le indagini preliminari in relazione ad un determinato reato, negano la competenza per materia o per territorio del giudice presso il quale ciascuno di essi esercita le funzioni, ritenendo esistente la competenza di un altro giudice. Si ha contrasto positivo tra uffici del PM (art. 54-bis) quando due uffici stanno svolgendo indagini a carico della stessa persona ed in relazione al medesimo fatto e ciascuno di essi ritenga la propria competenza esclusiva. Il procuratore generale presso la corte d'appello svolge, in relazione agli uffici sottordinati, una funzione di sorveglianza che si manifesta: • nel potere di dirimere i contrasti tra due uffici del PM del medesimo distretto di corte d'appello, i quali ritengano contemporaneamente di affermare (o, viceversa, negare) la propria competenza in un singolo caso; • nel potere di avocare un singolo affare in casi tassativamente previsti dalla legge. Nelle due ipotesi menzionate non viene atvato alcun potere gerarchico sull'ufficio inferiore, poiché l'ufficio superiore non può dare diretve vincolanti in relazione alla trattazione di un singolo caso. Il procuratore generale presso la corte d'appello ha il potere di acquisire dati e notizie dalle procure della repubblica del distretto ed il potere di inviare al procuratore generale presso la corte di cassazione una relazione almeno annuale. Il potere di avocazione. In base al diritto amministrativo, l'avocazione è il potere dell'organo superiore di sostituirsi all'organo inferiore nello svolgimento di una determinata atvità. Il potere è attribuito al procuratore generale presso la corte d'appello nei confronti del PM presso il tribunale quando sono presenti situazioni espressamente previste dalla legge; ciò avviene quando il titolare, o un magistrato dell'ufficio inferiore, hanno omesso un'attività doverosa o quando comunque il procedimento penale rischia una stasi per l'inerzia del magistrato del PM. In concreto, in base al provvedimento di avocazione un magistrato della procura generale presso la corte di appello sostituisce un magistrato del PM di primo grado nel compimento di quella atvità che quest'ultimo sta svolgendo (es. indagini preliminari o presenza in udienza). 62 Il collegamento tra le indagini. L'art. 371, comma 2 elenca i casi nei quali le indagini si considerano collegate. Si tratta delle ipotesi in cui: - i procedimenti sono connessi a norma dell'art. 12; - alcuni reati sono stati commessi in occasione di altri, o per conseguirne o assicurarne al colpevole o ad altri il profitto, il prezzo, il prodotto o l'impunità, o sono stati commessi da più persone in danno reciproco le une delle altre, oppure la prova di un reato o di una circostanza influisce sulla prova di un altro reato o di un'altra circostanza; - la prova di più reati deriva anche in parte dalla stessa fonte. In presenza di tali situazioni, il codice pone ai diversi uffici del PM, al fine di ottenere speditezza, economia ed efficacia delle indagini, l'obbligo di coordinarsi. Ciò vuol dire che gli uffici devono scambiarsi gli atti e le informazioni e devono comunicarsi reciprocamente le direttive impartite alla polizia giudiziaria. Il legislatore ha sanzionato mediante l'istituto dell'avocazione la violazione dell'obbligo di coordinamento nelle ipotesi di indagini per delit di criminalità organizzata mafiosa e non mafiosa (rispetvamente art. 372, comma 1-bis e art. 371-bis, co.3, lett. b). In quegli anni i magistrati più preparati avevano indicato che le investigazioni dovessero eseguirsi ad ampio spettro e dovessero puntare a ricostruire il quadro generale dei collegamenti criminali. Soltanto in questo modo un singolo fatto o un singolo elemento, di per sé insignificante in una singola indagine, può acquisire dignità di elemento di prova, se confrontato con elementi raccolti in altri procedimenti. Il problema era di difficile soluzione perché occorreva mantenere integra la scelta fondamentale, fatta dall'ordinamento italiano, di un PM indipendente dal potere politico. Accolta tale scelta, era esclusa la possibilità di creare una gerarchia tra gli uffici del PM poiché questa avrebbe imposto, in un sistema di democrazia garantista, un qualche controllo politico sul vertice. Ed allora non è rimasta altra possibilità se non quella di creare uno stretto coordinamento tra uffici indipendenti, rendendolo tuttavia coercibile. La soluzione, proposta da Giovanni Falcone e poi approvata dal Parlamento è stata quella di ridurre il numero delle procure legittimate a svolgere indagini in materia di associazione a delinquere mafiosa e di istituire una procura nazionale antimafia. La procura distrettuale —> è l'ufficio della procura della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di ciascuno dei ventisei distret di corte d'appello. L'ufficio svolge le funzioni di PM in primo grado per: - i delit di criminalità organizzata mafiosa e assimilati (comma 3-bis), 65 - i delit «con finalità di terrorismo» (comma 3-quater) - i delit in materia di pedopornografia, di reati informatici, di intercettazione abusiva (comma 3-quinquies). Per tali delit la procura distrettuale svolge le indagini preliminari ed esercita le funzioni di accusa pubblica nell'udienza preliminare e nel dibattimento entro l'ambito territoriale del distretto di corte d'appello. Di conseguenza, tutte le atvità investigative della polizia giudiziaria sono coordinate da questo ufficio all'interno del singolo distretto. Per i reati sopra menzionati il giudice del dibattimento resta quello originariamente competente per materia e territorio; viceversa, le funzioni del giudice per le indagini preliminari e del giudice dell'udienza preliminare debbono essere esercitate da magistrati del tribunale del capoluogo presso cui opera la procura distrettuale (art. 328, commi 1- bis e 1- quater). All'interno della procura distrettuale è costituita una "direzione distrettuale antimafia" (D.D.A.) che è il gruppo (pool) di magistrati che hanno chiesto di dedicarsi esclusivamente ai procedimenti attenti alla sola criminalità organizzata mafiosa e assimilati. I magistrati predet hanno l'obbligo di coordinarsi in modo stretto sia tra di loro, sia col procuratore capo. La procura nazionale antimafia e antiterrorismo è un ufficio con sede in Roma; capo dell'ufficio è il procuratore nazionale, che è sottoposto alla sorveglianza del procuratore generale presso la corte di cassazione. L'ufficio del procuratore nazionale è denominato "Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo"; esso è composto da venti magistrati del PM e due procuratori aggiunti, tut nominati dal consiglio superiore della magistratura, sentito il procuratore nazionale. Funzioni —> Il procuratore nazionale ha compiti di controllo che gli permettono di verificare se sia effetvo il coordinamento tra i singoli uffici del PM che stanno compiendo indagini per i delit di criminalità organizzata mafiosa e terroristica, indicati nell'art. 51, comma 3-bis e comma 3-quater. In caso di mancato coordinamento, il procuratore nazionale deve avocare le indagini. Inoltre, il procuratore nazionale ha poteri sia di impulso nei confronti dei procuratori distrettuali, sia di controllo sull'atvità degli organi centralizzati di polizia giudiziaria. Il procuratore nazionale non può dare diretve vincolanti nel merito alle procure distrettuali; al massimo, può riunire i capi degli uffici per accertare se questi si sono coordinati tra di loro. 66 Non può compiere direttamente indagini, ma fornisce gli strumenti (anche informatici) per rendere le indagini efficaci mediante l'elaborazione centrale di tutte le informazioni raccolte dalle procure distrettuali. g. Il PM europeo (rinvio) La procura europea —> è un organo dell'Unione Europea che dal 1 giugno 2021 svolge in 22 paesi membri le funzioni di PM relazione ai reati che ledono gli interessi finanziari dell'unione. Si tratta di un organo che opera come ufficio unico e indivisibile e che articolato sul livello centrale ed uno decentrato. A livello decentrato la procura europea rappresentata dai procuratori europei delegati (PED): questo in Italia sono magistrati nominati con una complessa procedura nella quale intervengono il consiglio superiore della magistratura, il ministro e la giustizia gli organi centrali della stessa procura europea. I procuratori europei delegati hanno i poteri del PM e ho preso in base alle norme penali sostanziali e procedurali dei paesi membri nei quali sono insediati. Il principio di indipendenza delle situazioni europee da quelle nazionali comporta che in Italia PED esercitano le loro funzioni con autonomia rispetto ai capi di ufficio di procura e ai procuratori generali della corte di appello. Le direttive sul concreto svolgimento delle loro funzioni provengono soltanto dagli organi centrali della procura europea. Dal momento nel quale proviene la notizia di un reato che lei gli interessi finanziari dell'unione, e la procura europea valutare se esercitare o meno le proprie competenze del singolo paese membro. Ove la procura europea ritenga di esercitare le proprie competenze in Italia su uno o più dei reati menzionati, lo comunica al PM nazionale che, da quel momento non può più svolgere le proprie funzioni in relazione le medesime condotte criminose. Ove viceversa la procura europea ritenga di non dover esercitare le proprie competenze, i reati verranno perseguiti razionalmente. Un aspetto singolare sta nel fatto che i PAD e svolgono le funzioni del PM su tutti i territori nazionali a prescindere dall'ufficio al quale sono assegnati: inoltre in deroga all'articolo 51 del codice procedura penale, si esercita le funzioni il PM davanti ai giudici di primo grado di secondo grado. La materia alquanto complessa non può essere trattata in questa sede: pertanto arriviamo alla parte settima. 67 I servizi di polizia giudiziaria. Un minor grado di dipendenza funzionale dal PM è riscontrabile nei servizi di polizia giudiziaria (art. 56, lett. a). Questi sono costituiti presso i corpi di appartenenza (si tratta, ad es. della squadra mobile presso le questure); si considerano servizi «tut gli uffici e le unità ai quali è affidato dalle rispetve amministrazioni il compito di svolgere in via prioritaria e continuativa le funzioni» di polizia giudiziaria. Il dirigente del servizio è responsabile verso il procuratore della repubblica presso il tribunale dove ha sede il servizio «dell'atvità di polizia giudiziaria svolta da lui stesso e dal personale dipendente» (art. 59, co. 2). Il minor grado di dipendenza funzionale consiste nel fatto che il magistrato del PM, che dirige le indagini preliminari, dà un incarico non personalmente ad un ufficiale di polizia giudiziaria, bensì impersonalmente all'ufficio; sarà il responsabile di questo a scegliere l'ufficiale che condurrà le investigazioni. Gli altri uffici di polizia giudiziaria. Gli organi di polizia giudiziaria che non sono ricompresi nelle sezioni o nei servizi restano, comunque, sotto la dipendenza "funzionale" della magistratura (art. 56, lett. c). In base all'art. 59, comma 3, c.p.p. «gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria sono tenuti a eseguire i compiti a essi affidati» dall'autorità giudiziaria. Nella categoria degli "altri uffici" appartengono tut coloro che svolgono funzioni di polizia giudiziaria presso i più vari corpi di polizia amministrativa. Il potere disciplinare spettante alla magistratura è azionabile dal procuratore generale presso la corte d'appello. Soggetta alla giurisdizione disciplinare è, oltre al personale delle sezioni e dei servizi, qualsiasi altra persona che abbia la qualifica di ufficiale o agente di polizia giudiziaria. Oggetto del potere disciplinare sono tut gli illeciti che riguardano l'espletamento dei compiti di polizia giudiziaria. c. Ufficiali e agenti di polizia giudiziaria. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria possono avere una competenza generale per tut i reati o una competenza limitata all'accertamento di determinati reati. Polizia giudiziaria con competenza generale. Sono ufficiali di polizia giudiziaria con competenza generale i sogget previsti nell'art. 57, comma 1. Si tratta delle persone alle quali l'ordinamento dell'amministrazione della pubblica sicurezza riconosce tale qualità; ed inoltre gli ufficiali superiori e inferiori ed i sottufficiali dei carabinieri, della guardia di finanza e del corpo di polizia penitenziaria; ed infine in via residuale, il sindaco. 70 Polizia giudiziaria con competenza limitata. Sono ufficiali e agenti di polizia giudiziaria con competenza limitata a determinati reati i sogget previsti nel comma 3 dell'art. 57: «sono altresì ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, nei limiti del servizio cui sono destinate e secondo le rispetve attribuzioni, le persone alle quali le leggi e i regolamenti attribuiscono le funzioni previste dall'art. 55», e cioè le funzioni di polizia giudiziaria. Per godere di tale qualifica è sufficiente che una legge o un regolamento attribuisca le funzioni di polizia giudiziaria ad una determinata persona. L'attribuzione della qualifica opera «nei limiti del servizio cui (tali persone) sono destinate e secondo le rispetve attribuzioni». Ciò vuol significare che la qualità di ufficiale o agente di polizia giudiziaria è determinata dalla qualifica svolta nel rispetvo ordinamento. Gli «addet al servizio di polizia municipale» (art. 3) hanno la qualifica di agente di polizia giudiziaria con competenza "generale" (e cioè per tut i reati), alla quale si aggiunge una competenza "limitata" (e cioè, per alcuni reati). a. La distinzione tra imputato e indagato. All'inizio del procedimento penale le indagini possono svolgersi contro "ignoti" oppure contro un "indagato". La maggior parte delle denunce sono presentate contro ignoti nel senso che lo stesso denunciante molto spesso non è in grado di indicare colui che ritiene responsabile del reato. La polizia giudiziaria trasmette la denuncia al PM e questi ordina alla segreteria di iscriverla nell'apposito registro, denominato « registro delle notizie di reato» (art. 335). Svolte le indagini, può darsi che gli elementi raccolti consentano di addebitare il reato alla responsabilità di una determinata persona. Allora il PM ordina alla segreteria di iscrivere nel registro, accanto all'indicazione della denuncia, il nome del soggetto al quale il reato «è attribuito». Costui è il soggetto che il codice denomina «persona sottoposta alle indagini preliminari» e che la prassi chiama "indagato". Soltanto in relazione al momento conclusivo delle indagini il codice usa il termine "imputato" e lo fa con un preciso significato. L'imputato —> è la persona alla quale è attribuito il reato nell'imputazione formulata dal PM con la richiesta di rinvio a giudizio o con un atto simile all'inizio del singolo procedimento speciale. L'imputazione è composta dalla enunciazione in forma chiara e precisa del fatto storico di reato e dalla indicazione delle norme di legge violate e della persona alla quale il 71 reato è addebitato (art. 417). L'assunzione della qualità di imputato. L'art. 60, comma 1 precisa in dettaglio il momento dell'acquisto e della perdita della qualità di imputato. Nel procedimento ordinario l'assunzione di tale qualifica avviene con la richiesta di rinvio a giudizio. Viceversa, nei procedimenti speciali —> la qualifica di imputato si acquista nel momento in cui si instaura il singolo rito. La qualità di imputato si conserva, ai sensi dell'art. 60, comma 2, in ogni stato e grado del processo sino a che non sia più soggetta ad impugnazione la sentenza di non luogo a procedere, sia divenuta irrevocabile la sentenza di proscioglimento o di condanna, o sia diventato esecutivo il decreto penale di condanna. Infine, il comma 3 della disposizione in esame, così come modificato dalla riforma Cartabia, prevede che la qualità di imputato si riassuma in caso di revoca della sentenza di non luogo a procedere (art. 434) o qualora sia disposta la revisione del processo (art. 629) oppure la riapertura dello stesso a seguito della rescissione del giudicato (art. 629- bis) oppure a seguito di accoglimento della richiesta per l'eliminazione degli effetti pregiudizievoli delle decisioni adottate in violazione della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (art. 628-bis). La qualità di indagato. Occorre evidenziare i motivi in base ai quali il codice pone la fondamentale distinzione tra imputato e indagato. In primo luogo, il legislatore vuole che il PM prenda una posizione definitiva sull'addebito soltanto quando, terminate le indagini preliminari, chiede il rinvio a giudizio. Infat, l'imputazione deve essere sorretta da una consistente base probatoria. In secondo luogo, prima che sia stata formulata una imputazione, il codice tende ad usare un termine il più possibile "neutro" e "non pregiudizievole". È vero che il PM nel corso delle indagini formula un "addebito provvisorio" nei confronti dell'indagato; ma ciò avviene soltanto a fini di garanzia, perché mette in grado quest'ultimo di esercitare il diritto di difesa. L'addebito provvisorio non deve essere confuso con l'imputazione, che potrà essere formulata al termine delle indagini. È possibile constatare che, quando si tratta di enunciare i dirit di difesa, il codice opera un'ampia equiparazione: ai sensi dell'art. 61, comma 1, «i dirit e le garanzie dell'imputato si estendono alla persona sottoposta alle indagini preliminari». 72 in cui non abusa del diritto di difesa. I limiti alla possibilità di mentire. Casi in cui l'indagato commette un reato perché, abusando del diritto di difendersi, crea un intralcio all'amministrazione della giustizia. • L'indagato è punibile quando compie "simulazione di reato", e cioè afferma falsamente che è avvenuto un reato, che nessuno ha commesso (art. 367 c.p.); • L'indagato è punibile altresì quando "calunnia" un'altra persona, e cioè incolpa di un reato taluno che egli sa essere innocente (art. 368 c.p.). Si può quindi ricavare un principio comune. L'indagato (o l'imputato), per difendersi, può dire il falso, ma non può arrivare fino al punto di sviare la giustizia penale; lo sviamento della giustizia non è scriminato quando avviene abusando del diritto di difesa. c. La distinzione tra l'indagato e la persona informata (possibile testimone). Mentre l’imputato e l’indagato hanno il diritto al silenzio e non sono punibili se mentono, il testimone ha l'obbligo di dire la verità. Ma occorre introdurre una ulteriore distinzione. Il testimone e la persona informata. Testimone —> è qualificata la persona che ha conoscenza di fatti quando depone davanti al giudice (art. 194); «persona che può riferire circostanze utili ai fini delle indagini» ed è denominata nella prassi "persona informata” —> è qualificata chi viene esaminata dal PM (art. 362), viene ammonita dall'inquirente circa l'obbligo di «rispondere secondo verità» alle domande che le sono rivolte (art. 198). Se il "testimone" di fronte al giudice dice il falso o tace ciò che sa, commette falsa testimonianza (art.372 c.p.); se la "persona informata" di fronte al PM tiene la medesima condotta, commette il delitto di «false informazioni» (art. 371-bis c.p.). Anche l'indagato può conoscere fat «utili ai fini delle indagini» e, dunque, possiede "'informazioni"; tuttavia, il codice pone una incompatibilità tra la qualifica di indagato e la qualifica di persona informata. Pertanto, l'indagato è incompatibile a deporre come persona informata e, dunque, non ha un obbligo di verità. Le dichiarazioni autoindizianti —> Può accadere che nel corso della deposizione il testimone (o il possibile testimone) renda, più o meno consapevolmente, «dichiarazioni 75 dalle quali emergono indizi di reità a suo carico» (cd. dichiarazioni autoindizianti). In tal caso l'art. 63 comma 1 stabilisce una serie di obblighi per l'autorità procedente e la sorte processuale delle dichiarazioni rese. A seguito delle dichiarazioni indizianti l'autorità procedente deve: - interrompere l'esame; - avvertire la persona che a seguito delle dichiarazioni potranno essere svolte indagini nei suoi confronti; - invitarla a nominare un difensore. Le dichiarazioni rilasciate fino a quel momento «non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese»; viceversa possono essere utilizzate a suo favore o contro altre persone. La disciplina per un verso, in via preventiva, mira ad impedire che il testimone continui a parlare peggiorando la situazione e impone all'autorità procedente di bloccare la deposizione atvando le garanzie difensive. Per un altro verso, in via successiva, neutralizza le dichiarazioni già rese nella loro efficacia pregiudizievole per colui che le ha rilasciate. Il divieto di sentire l'indagato come persona informata e la relativa sanzione. L'art. 63, comma 2, si preoccupa che le norme garantiste sull'interrogatorio possano essere eluse da un inquirente (PM o polizia giudiziaria) che interroghi un indagato senza riconoscergli tale qualità e, quindi, senza rispettare il suo diritto di non rispondere. Infat, se una persona ascoltata come testimone o persona informata (possibile testimone) «doveva essere sentita sin dall'inizio in qualità di imputato o di persona sottoposta alle indagini, le sue dichiarazioni non possono essere utilizzate». La sanzione della inutilizzabilità che colpisce le dichiarazioni rilasciate in tale situazione vanifica eventuali manovre. d. La verifica della identità fisica e anagrafica dell'indagato. Può accadere che nel corso delle indagini ci si trovi di fronte ad una persona fisica e non si sappia con certezza se si tratta davvero del soggetto al quale l'inquirente attribuisce il reato. Occorre dunque procedere a verificare l'identità di tale persona. La verifica della identità dell'imputato (o dell'indagato) comporta due accertamenti che è opportuno esaminare separatamente a causa delle loro differenze. In particolare distinguiamo: - L'accertamento della identità fisica —> Si tratta di stabilire se l'indagato coincide con quella persona, autore del fatto illecito, che ha lasciato la sua impronta sul luogo del reato. 76 A tale accertamento si può pervenire se, in via preliminare, si prova che l'impronta digitale (o quella genetica) rilevata sul luogo del fatto è identica a quella dell'indagato. L'accertamento dell'identità fisica può rendersi necessario anche quando il medesimo soggetto in vari tempi abbia fornito differenti generalità, oppure in quei procedimenti che in origine si svolgono contro ignoti e poi si orientano contro un determinato soggetto (es. rapina, violenza sessuale). Una volta operato l'accertamento della identità fisica dell'indagato, il processo nei suoi confronti può svolgersi anche se resta incerta la sua identità anagrafica. Infat, in base all'art. 66 comma 2 «l'impossibilità di attribuire all'imputato le sue esatte generalità non pregiudica il compimento di alcun atto da parte dell'autorità procedente, quando sia certa l'identità fisica della persona». Soltanto se risulta un errore sulla identità fisica dell'imputato (art. 68), il giudice deve pronunciare sentenza di assoluzione ai sensi dell'art. 129. - L'accertamento della identità anagrafica —> Si tratta di attribuire un nome ad un volto o ad una impronta digitale o genetica. Il principale strumento per accertare l'identità anagrafica dell'imputato (o dell'indagato) è l'interrogatorio (o atto analogo: art. 350); sulla propria identità personale egli deve rispondere secondo verità. Fin dall'inizio del procedimento l'indagato viene invitato a dichiarare le proprie generalità e viene ammonito «circa le conseguenze cui si espone chi si rifiuta di dare le proprie generalità o le dà false». È sanzionato penalmente il rifiuto di dare indicazioni sulla propria identità personale (art. 651 c.p.) e il dichiarare una falsa identità (art. 495 c.p.) (134). e. Sospensione o definizione del procedimento per incapacità processuale dell'imputato. Il giudice deve valutare anche d'ufficio se l'imputato (o l'indagato), per infermità mentale, non è in grado di «partecipare coscientemente» al procedimento penale, e consapevolmente quel diritto di autodifesa che spetta a lui personalmente e che non può essere praticato da altre persone al suo posto. In tal caso, il giudice deve compiere una valutazione preliminare. La materia ha subito modifiche ad opera della legge n. 103 del 2017 (c.d. riforma Orlando). - La pronuncia che proscioglie l’imputato —> In via preliminare, il giudice deve valutare se nei confronti dell'imputato può pronunciare una «sentenza di proscioglimento» (in giudizio) o una sentenza «di non luogo a procedere» (in udienza preliminare) (art. 70, comma 1). Ciò significa che, quando è possibile prosciogliere l'imputato perché innocente, o perché vi è una situazione di improcedibilità (es., manca la querela o l'autorizzazione a procedere) o perché mancava totalmente la capacità di intendere e di volere al momento del fatto di reato, il giudice non deve sospendere il procedimento penale: la sentenza che enuncia una delle formule sopra menzionate deve essere pronunciata, anche 77 La persona offesa conferisce la rappresentanza tecnica con le medesime forme semplificate che sono previste per l'imputato (art. 101, comma 1). La rappresentanza volontaria per gli atti personali. Quando si deve compiere nel procedimento un atto "personale" e non può essere presente la parte assistita, non è sufficiente la rappresentanza tecnica del difensore. È necessario che la parte conferisca una rappresentanza volontaria al difensore o ad altra persona di sua fiducia, e ciò può fare soltanto con la procura speciale a compiere un determinato atto (art. 122 c.p.p.). La procura speciale è necessaria, ad esempio, per l'istanza di rimessione del processo. La procura speciale deve, a pena di inammissibilità, essere rilasciata per atto pubblico o scrittura privata autenticata e deve contenere la determinazione dell'oggetto per cui è conferita e dei fat ai quali si riferisce (art. 122). Se la procura è rilasciata per scrittura privata al difensore, la sottoscrizione può essere autenticata dal difensore medesimo. Atti personalissimi —> Per questi at non vi può essere rappresentanza volontaria; ad esempio, rendere l'interrogatorio o l'esame incrociato. Il rapporto tra il cliente ed il difensore ha natura fiduciaria. Da ciò derivano le seguenti conseguenze: • Prima dell'accettazione del mandato, il difensore può rifiutare la nomina; è sufficiente che lo comunichi immediatamente a colui che l'ha effettuata ed all'autorità che procede. La non accettazione ha effetto dal momento in cui è comunicata a quest'ultima (art. 107, commi 1 e 2). • Dopo che ha accettato il mandato, il difensore può rinunciare allo stesso. La rinuncia deve parimenti essere comunicata a colui che ha effettuato la nomina ed all'autorità procedente, ma non ha effetto finché la parte non risulti assistita da un nuovo difensore e non sia decorso il termine a difesa, non inferiore a sette giorni, che sia stato concesso a quest'ultimo (artt. 107, comma 3 e 108). Lo stesso avviene quando il cliente revoca il mandato al difensore (art. 107, comma 4). Rapporti difensore imputato. La rappresentanza tecnica assume la forma della "assistenza" nel senso che l'imputato può sempre compiere personalmente gli at che non siano per legge riservati al difensore. "Assistenza" può essere definita come quella particolare forma di rappresentanza tecnica che non esclude l'autodifesa del soggetto assistito. Infat, di regola l'imputato ha diritto di partecipare personalmente agli at del procedimento affiancato dal proprio difensore che si 80 limita ad assisterlo. In base all'art. 99, comma 2 «l'imputato può togliere effetto, con espressa dichiarazione contraria, all'atto compiuto dal difensore prima che, in relazione all'atto stesso, sia intervenuto un provvedimento del giudice». Deontologia. In un sistema garantista, il difensore contribuisce all'amministrazione della Giustizia assicurando la dialetca processuale; tuttavia non si identifica con la parte in quanto ha l'obbligo di comportarsi con lealtà e probità (art. 105, comma 4, c.p.p.). Il difensore ha un dovere di correttezza, ma non ha l'obbligo di ricercare e introdurre nel processo gli elementi sfavorevoli alla parte assistita. La differenza fondamentale rispetto al PM sta nel fatto che il difensore collabora all'accertamento dei fat limitandosi a presentare gli elementi a favore del cliente: non ha l'obbligo di ricercare la verità contro il cliente. In base al codice deontologico degli avvocati il difensore non deve introdurre nel procedimento penale prove che egli sa essere false; ma tale divieto non gli impedisce di argomentare sulla base di prove da altri introdotte, anche se ritiene che siano false. b. Difensore di fiducia e difensore d'ufficio. L'imputato ha il diritto di farsi assistere da non più di 2 difensori di sua scelta (denominati " difensori di fiducia”). La nomina del difensore di fiducia è un atto a forma libera e può essere effettuata in tre modi: - con dichiarazione, scritta o orale, resa dall'indagato all'autorità procedente; - con dichiarazione scritta consegnata all'autorità procedente dal difensore; - con dichiarazione scritta trasmessa all'autorità procedente con raccomandata. Non occorre alcuna autentica della sottoscrizione. Ove l'indagato si trovi in stato di fermo, arresto o custodia cautelare, la nomina può essere fatta, con le stesse forme, da un prossimo congiunto, finché l'indagato stesso non vi provveda. Quando l'indagato non abbia nominato un difensore di fiducia o ne sia rimasto privo, il codice prevede (solo per tale soggetto) l'istituto della difesa d'ufficio (art. 97). Da tale norma si ricava il principio della necessità e irrinunciabilità della difesa tecnica in favore dell'imputato. La designazione del difensore d'ufficio. 81 L'elenco, dal quale è tratto il nominativo del singolo difensore d'ufficio, è predisposto ed aggiornato dal Consiglio nazionale forense; in tale elenco è inserito l'avvocato che ne ha fatto richiesta e che può documentare di avere la capacità tecnica che è imposta dalla legge. Il relativo controllo spetta al consiglio dell'ordine circondariale di appartenenza. Quando il giudice, il PM o la polizia giudiziaria devono compiere un atto per il quale è prevista l'assistenza del difensore e l'imputato (o l'indagato) ne sia privo, essi devono chiedere il nominativo del difensore d'ufficio ad un apposito ufficio presso l'ordine forense di ciascun capoluogo di corte d'appello. Il magistrato o l'ufficiale di polizia danno avviso dell'atto, che sta per essere compiuto, al difensore il cui nominativo è comunicato dall'ufficio centralizzato (art. 97, comma 3). Il difensore d'ufficio ha l'obbligo di prestare il patrocinio e può essere sostituito soltanto per giustificato motivo. La funzione della difesa d'ufficio. La difesa d'ufficio non ha una funzione di "assistenza sociale", bensì unicamente quella di attuare il contraddittorio in un processo basato sul principio dialetco. Il suo unico scopo è quello di attuare un minimo di "eguaglianza delle armi". Ovviamente l'imputato assistito da un difensore d'ufficio ha piena libertà di scelta della linea difensiva: egli può togliere effetto all'atto compiuto dal difensore (art. 99, comma 2); può nominarne uno di fiducia, così che «il difensore d'ufficio cessa delle sue funzioni» . A sua volta, il difensore d'ufficio, poiché non svolge una funzione di assistenza sociale, ha diritto ad essere retribuito. Tra l'altro, il codice afferma la stabilità dell'incarico e sanziona l'abbandono della difesa (art. 105). Il sostituto del difensore di fiducia o d’ufficio —> Il difensore, qualunque sia la parte che lo abbia designato, ha il potere di nominare un sostituto nelle forme dell'art. 96, comma 2 (cioè sia per scritto, sia con dichiarazione del sostituto stesso che riferisca di essere stato nominato a tal fine; la dichiarazione è messa a verbale). Il sostituto «esercita i dirit e assume i doveri del difensore medesimo». La nomina del sostituto non è condizionata al caso di impedimento del titolare e può avvenire per qualsiasi motivo. Il potere di sostituzione del difensore incontra limitazioni tutte le volte in cui debbano essere compiuti at per i quali è necessaria la procura. c. Il difensore della persona offesa. L'offeso può nominare il difensore nelle medesime forme semplificate che sono previste per il difensore dell'imputato (artt. 96, comma 2 e 101). 82 - Le persone offese da reati di violenza familiare o di genere sono state ammesse al patrocinio a spese dello Stato in deroga ai limiti di reddito. - Lo stesso è avvenuto in favore degli orfani di crimini domestici. - In favore della persona che è stata comunque prosciolta (anche con archiviazione) dall' imputazione di omicidio verificatosi in presenza di legitma difesa domiciliare. f. L'incompatibilità del difensore. L'art. 106, comma 1 prevede la possibilità che la difesa di più imputati sia assunta da un difensore comune «purché le diverse posizioni non siano tra loro incompatibili». L'incompatibilità non deriva dalla semplice diversità tra le affermazioni di diversi imputati o tra le loro posizioni processuali. Per l'incompatibilità deve sussistere in concreto un nesso di interdipendenza in base al quale un imputato abbia effetvamente interesse a sostenere una tesi difensiva sfavorevole ad un altro imputato. Quando l'autorità giudiziaria rileva la sussistenza di una situazione di incompatibilità, deve indicarla, esporne i motivi e fissare un termine per rimuoverla. L'incompatibilità può essere eliminata in due modi: • mediante la rinuncia del difensore a sostenere una o più difese (art. 107, comma 1); • mediante la revoca della nomina da parte di uno degli imputati (art. 107, comma 4). Nel caso in cui l'incompatibilità non venga rimossa entro il termine fissato, il giudice la dichiara e provvede a sostituire il difensore incompatibile con un difensore d'ufficio (artt. 106, comma 3 e 97). Se l'incompatibilità è rilevata nel corso delle indagini preliminari, il provvedimento di sostituzione è adottato dal giudice su richiesta del PM o di taluna delle parti private, sentite le parti interessate. Il Parlamento ha introdotto nell'art. 106 un nuovo comma 4-bis, in base al quale un difensore non può assistere «più imputati che abbiano reso dichiarazioni concernenti la responsabilità di altro imputato nel medesimo procedimento» o in un procedimento connesso (art. 12) o collegato (art. 371, co. 2, lett. b). 85 La norma è finalizzata ad evitare che il difensore si renda veicolo di uno scambio di informazioni tra imputati che hanno reso dichiarazioni sul fatto altrui e in tal modo possa indurli a conformare le rispetve affermazioni. g. L'abbandono ed il rifiuto della difesa. L'art. 105, comma 1 riconosce al consiglio dell'ordine forense la competenza esclusiva per le sanzioni disciplinari relative ai casi di abbandono della difesa o di rifiuto della difesa di ufficio. L'art. 105, comma 3 dispone che se l'abbandono o il rifiuto sono motivati da violazioni del diritto di difesa (che l'avvocato addebita all'autorità giudiziaria) e il consiglio dell'ordine ritiene giustificato il comportamento del difensore, la sanzione non si applica, anche se il giudice ha escluso la sussistenza della violazione del diritto di difesa. Si tratta di una norma importante, poiché conferma l'indipendenza dell'ordine forense rispetto all'ordine giudiziario. h. Le garanzie per il libero esercizio dell'attività difensiva. La scelta del legislatore è stata quella di assicurare al difensore la possibilità di svolgere la propria atvità di patrocinio e consulenza in favore del cliente senza subire alcun condizionamento. Le garanzie di carattere generale consistono nella forte tutela del segreto professionale assicurata dall'art. 200 c.p.p. agli avvocati, che «non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero». Le garanzie di carattere speciale riguardano la tutela dell'ufficio del difensore e dei colloqui con i clienti e sono finalizzate ad assicurare la libertà di predisposizione delle strategie difensive in un processo di tipo accusatorio. Occorre che la raccolta di elementi di prova da contrapporre alle altre parti in condizioni di parità avvenga in modo riservato e immune da interferenze ad opera dell'autorità inquirente. L'ufficio del difensore. Lo studio legale nel quale opera il difensore ha le seguenti garanzie: - Non è consentita l'intercettazione relativa a comunicazioni svolte tra i difensori, i consulenti tecnici e i loro ausiliari tra di loro, né a comunicazioni svolte tra i medesimi e le persone da loro assistite (art. 103, commi 5 e 7); se casualmente vi fosse stata una intercettazione, questa è inutilizzabile. - Le ispezioni, le perquisizioni ed i sequestri di regola sono vietati, sono ammessi in casi tassativi previsti dalla legge; inoltre, essi devono essere effettuati con determinate modalità da osservarsi a pena di inutilizzabilità dei risultati (art. 103, commi 1 e 2). - Le ispezioni e le perquisizioni sono ammesse quando i difensori risultano essere «imputati»; tali at devono essere disposti «limitatamente ai fini dell'accertamento del reato loro attribuito» (art. 103, comma 1, lett. a). In questo caso il difensore (o altra persona) viene in considerazione come imputato; non viene in questione l'atvità difensiva 86 svolta dal difensore medesimo. - Le ispezioni e le perquisizioni sono ammesse anche «per rilevare le tracce o altri effet materiali del reato» (art. 103, co. 1, lett. b). Si tratta di accertare con quali modalità è stata commessa, ad esempio, la rapina in uno studio di un avvocato. - E ancora, le ispezioni e le perquisizioni sono ammesse «per ricercare cose o persone specificamente predeterminate», che siano nascoste nell'ufficio di un avvocato (art. 103, comma 1, lett. b). Ad esempio, si ricerca un latitante che si sa essere presente nello studio legale. - Il sequestro di carte o documenti relativi all'oggetto della difesa è vietato nell'ufficio del difensore e dei suoi ausiliari «incaricati in relazione al procedimento» (investigatore privato autorizzato e consulente tecnico). Il sequestro è ammesso soltanto in relazione ad ogget « che costituiscano corpo del reato». Gli atti sopra ricordati, nei casi in cui sono ammessi, devono essere compiuti di regola da un giudice personalmente. Nel corso delle indagini possono essere compiuti personalmente dal PM purché autorizzato dal giudice con decreto motivato (art. 103, comma 4). Preavviso al presidente del consiglio dell’ordine —> Il magistrato, quando si accinge a compiere una perquisizione, una ispezione o un sequestro nell'ufficio del difensore, deve preavvisare, a pena di nullità, il presidente del consiglio dell'ordine perché questi (o un consigliere da lui delegato) possa «assistere alle operazioni» (art. 103 comma 3). Non è necessario il preavviso al consiglio dell'ordine quando il difensore è egli stesso imputato del reato per cui si procede. Inutilizzabilità —> I risultati delle ispezioni, perquisizioni, sequestri, intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, che comunque siano stati eseguiti in violazione delle disposizioni, non possono essere utilizzati ai sensi e nei limiti dell'art. 103, comma 7. I colloqui del difensore con l'imputato. Il codice vuole assicurare all'indagato la possibilità di entrare immediatamente in contatto con l'avvocato al fine di concordare le strategie difensive. L'imputato che non conosce la lingua italiana ha diritto di farsi assistere gratuitamente, indipendentemente dall'esito del procedimento, da un interprete per le comunicazioni con il difensore prima di rendere un interrogatorio o al fine di presentare una richiesta o una memoria nel corso del procedimento. 7. La persona offesa dal reato e la parte civile. a. La persona offesa dal reato. 87 A prescindere dall'essere minorenne o maggiorenne, la persona offesa gode delle medesime protezioni qualora si trovi in concreto in condizioni di particolare vulnerabilità. In tal caso, le protezioni potrebbero essere applicate in astratto per qualsiasi reato: è soltanto necessario che siano presenti le condizioni soggetve ed oggetve previste dall'art. 90- quater. • Sotto un profilo soggetvo —> la condizione di particolare vulnerabilità è desunta, oltre che «dall'età e dallo stato di infermità o di deficienza psichica» della persona offesa, anche «dal tipo di reato, dalle modalità e circostanze del fatto per cui si procede». • Sotto un profilo oggetvo —> per la valutazione della particolare vulnerabilità «si tiene conto se il fatto risulta commesso con violenza alla persona o con odio razziale, se è riconducibile ad ambiti di criminalità organizzata o di terrorismo, anche internazionale, o di tratta degli esseri umani, se si caratterizza per finalità di discriminazione, e se la persona offesa è affetvamente, psicologicamente o economicamente dipendente dall'autore del reato». I poteri di controllo sulla eventuale inattività del PM —> Infine, alla persona offesa sono riconosciuti poteri di tipo prettamente “penalistico”, che cioè tendono a tutelare il suo interesse ad ottenere il rinvio a giudizio dell'imputato. All'offeso gli sono attribuiti poteri di controllo sulla eventuale inattività del PM; La figura del querelante —> inquadrata dalla riforma cartabia, la persona offesa è informata circa: - le modalità di presentazione degli atti di denuncia o querela (lett. a); - è avvisata dell’obbligo del querelante di dichiarare o eleggere domicilio per la comunicazione e la notificazione degli atti del procedimento. Il domicilio può anche essere dichiarato successivamente, e può anche essere modificato in modo); ove abbia nominato un difensore, il querelante sarà domiciliato presso quest’ultimo; in caso di mancanza, insufficienza o inidoneità della dichiarazione o elezione di domicilio, le notificazioni al querelante saranno effettuate mediante deposito presso la segreteria del PM procedente o presso la cancelleria del giudice procedente (lett. a-quinquies). L’avviso precisa, poi, che la mancata comparizione senza giustificato motivo della persona offesa che abbia proposto querela all’udienza alla quale sia stata citata in qualità di testimone comporta la remissione tacita di querela. b. La parte civile. Il reato, oltre a costituire un'offesa ad un bene giuridico, può aver provocato in concreto un danno. In tal caso colui che ha commesso il reato è obbligato a risarcire il danno e, se del caso, a restituire la cosa sottratta (art. 185 c.p.). 90 L'illecito penale e l'illecito civile derivano dal medesimo titolo, e cioè dal fatto di reato. Il danno risarcibile può manifestarsi nelle forme del danno patrimoniale e del danno non patrimoniale. - Il danno patrimoniale —> consiste nella privazione o diminuzione del patrimonio nelle forme del danno emergente (es. le spese sostenute per curare le ferite) e del lucro cessante (es. la persona offesa ha avuto un'invalidità temporanea o permanente che le impedisce di lavorare e, quindi, di guadagnare). Il danno patrimoniale viene quantificato "per equivalente pecuniario" nel senso che mediante il risarcimento si deve ripristinare quella situazione economica e patrimoniale del danneggiato che era preesistente e che avrebbe potuto proseguire, se non fosse stato commesso il reato. - Il danno non patrimoniale (comunemente "danno morale") consiste nelle sofferenze fisiche e psichiche patite a causa del reato (art. 2059 c.c.). Si tratta di un danno che non può essere quantificato "per equivalente" poiché non è possibile ripristinare la situazione anteriore al reato; il danno non patrimoniale viene calcolato con modalità di tipo "satisfatvo". Il giudice in via equitativa determina una cifra di denaro che possa dare una soddisfazione tale da compensare le sofferenze patite. Secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c., il danno non patrimoniale è risarcibile in due ordini di casi, • in primo luogo, quando la risarcibilità è prevista in modo espresso dalla legge (es. art. 185 c.p.), • in secondo luogo, quando, pur in assenza di una previsione normativa, il danno non patrimoniale deriva dalla lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione. La persona danneggiata dal reato —> è la persona, che ha subito un danno patrimoniale o non patrimoniale in conseguenza del reato e ha diritto al risarcimento del danno (art. 185 c.p.). L'azione tendente a conseguire l'accertamento della responsabilità dell'imputato e la condanna di costui al risarcimento del danno può essere esercitata, in alternativa: • davanti al giudice civile in un autonomo procedimento, oppure • davanti al giudice penale, ma soltanto dopo che il PM ha esercitato l'azione penale (art. 74). In quest'ultimo caso, il danneggiato esercita l'azione civile costituendosi parte civile nel processo penale (art. 76 c.p.p.). Dall'art. 74 si ricava un limite di carattere sistematico —> l’azione che il danneggiato esercita nel processo penale è soltanto quella tendente ad ottenere la condanna al risarcimento del danno o le restituzioni ai sensi dell'art. 185 c.p.: nel processo penale non possono essere esercitate altre azioni civili aventi differenti ogget (es. 91 disconoscimento di paternità). Si può dedurre che molto spesso la medesima persona riveste sia la qualifica di persona offesa dal reato, sia la qualifica di persona danneggiata dal reato. L'essere persona offesa dal reato comporta la qualifica di "soggetto" del procedimento con tutti i diritti e le facoltà (art. 90). L'essere soltanto danneggiato dal reato, e non anche persona offesa, non fa assumere la qualifica di"soggetto" del procedimento; pertanto al danneggiato dal reato in quanto tale (es. in occasione di un illecito penale) non spettano i dirit e le facoltà della persona offesa. Le regole per l'esercizio dell'azione civile nel processo penale. L'esercizio dell'azione civile nel processo penale è fondato su 2 regole non espresse, ma che si ricavano dalla normativa del codice. - In primo luogo l'azione civile resta "ospite" nel processo penale —> ciò comporta che l'azione civile mantenga la sua natura e le sue caratteristiche civilistiche. L'azione resta facoltativa e disponibile, nel senso che il danneggiato in ogni momento del processo penale può revocare la costituzione di parte civile (art. 82). Inoltre, il giudice penale, nell'accertare i danni e nel condannare al risarcimento l'imputato colpevole, non può andare oltre i limiti della domanda, e cioè della quantità del risarcimento richiesto dalla parte civile. - in secondo luogo l'azione civile subisce la regolamentazione di quest’ultimo —> cioè la prevalenza della normativa del processo penale, comporta che, al di fuori di quanto atene alla natura "civilistica" dell'azione, i poteri ed il comportamento processuale della parte civile sono disciplinati dal codice di procedura penale. I doveri della parte civile. Un esempio della prevalenza del processo penale si trova nella norma che impone alla parte civile di deporre con l'obbligo, penalmente sanzionato, di dire la verità, quando sia citata come testimone. Viceversa, nel processo civile —> le parti non possono essere chiamate a deporre come testimoni con l'obbligo, penalmente sanzionato, di dire la verità (art. 246 c.p.c.). Una conferma della natura civilistica dell’azione —> sta invece nel fatto che la parte civile può chiedere al giudice penale di condannare l'imputato a pagare una provvisionale. Il giudice deve disporre la provvisionale nei limiti in cui sia già acquisita la prova del danno (art. 539 c.p.p.); tale condanna è immediatamente esecutiva in primo grado (art. 540 c.p.p.). Uno svantaggio di costituirsi parere civile consiste nell'effetto di giudicato di quella sentenza di assoluzione che, se afferma l'innocenza dell'imputato con le formule ampie previste dall'art.652, impedisce al giudice civile di condannare al risarcimento del 92 Di tale soggetto il codice prevede in via generale la possibilità di intervento nel procedimento penale, rinviando a successive leggi che autorizzano singoli enti (art. 91). L'ente rappresentativo ha poteri processuali simili a quelli esercitabili dalla persona offesa dal reato. Il punto di partenza è dato dall'art. 91 del codice, secondo cui l'ente può «esercitare in ogni stato e grado del procedimento i dirit e le facoltà attribuiti alla persona offesa dal reato». Da ciò si ricava che l'ente è un "soggetto" del procedimento e non una "parte". Il difensore che rappresenta l'ente può partecipare all'udienza preliminare e al dibatmento; in tale sede può chiedere al presidente di rivolgere domande alle persone sottoposte ad esame incrociato e può altresì chiedere l'ammissione di nuovi mezzi di prova (art. 505). Il codice lascia aperta la strada alla possibilità che, in base a future leggi, enti esponenziali di interessi lesi intervengano nel procedimento penale; tuttavia, permette l'intervento di questi ultimi ancorandolo a rigidi requisiti che hanno (o dovrebbero avere) la funzione di evitare che venga snaturata la parità delle parti nel processo penale. - Primo requisito si richiede che l'ente colletvo sia riconosciuto in forza di legge e che tale riconoscimento sia intervenuto anteriormente alla commissione del reato. - Secondo requisito si impone che l'ente sia "rappresentativo", e cioè abbia come finalità la tutela dell'interesse (colletvo o diffuso) leso dal reato; è necessario anche che l'ente non abbia scopo di lucro. - Infine, si richiede il consenso della persona offesa dal reato (art. 92), ovviamente se tale persona è identificabile. Quest'ultima può prestare il proprio consenso a non più di un ente e può revocare il consenso col limite che, in caso di revoca, non può più prestarlo né allo stesso, né ad altri enti. L'ente che adempia ai predet requisiti può presentare all'autorità procedente un atto di intervento. In tal modo può esercitare nel procedimento penale, per mezzo di un difensore, i dirit e le facoltà che il codice attribuisce alla persona offesa dal reato. L'ente non è una parte, bensì è una persona offesa di creazione politica; in questa sua qualità può svolgere la funzione di accusa, senza essere titolare dell'azione penale. b. Il responsabile civile. Il responsabile civile —> è il soggetto obbligato a risarcire il danno causato dall'autore del reato. Può essere citato nel processo penale a richiesta della parte civile (art. 83) o può intervenire volontariamente quando vi è stata costituzione di parte civile (art. 85). Il codice di procedura penale fa riferimento ad un istituto civilistico, cioè al responsabile civile per un fatto altrui. 95 Il responsabile civile è un soggetto che non ha partecipato al compimento dell'illecito penale, ma è chiamato a risarcire il danno provocato dalla persona che ha commesso tale fatto illecito. Se il danneggiato esercita, nel processo penale, l'azione civile risarcitoria contro l'imputato, può anche scegliere, se crede, di chiedere la condanna del responsabile civile; in tal caso, deve domandare al giudice di essere autorizzato a citare il responsabile civile, al più tardi, per il dibatmento (art. 83). L'intervento volontario del responsabile civile. Quando vi è stata costituzione di parte civile, il responsabile civile può anche intervenire volontariamente nel processo penale (art. 85); e ciò può fare al fine di chiedere l'ammissione di prove che lo liberino da responsabilità o che dimostrino l'innocenza dell'imputato. Pertanto il responsabile civile è "parte" fin dal momento in cui è stato citato o è intervenuto volontariamente; ma è una parte "eventuale" del processo penale. La citazione del responsabile civile e l'intervento volontario del medesimo perdono efficacia se la costituzione di parte civile è revocata o se è ordinata l'esclusione della medesima (artt. 83 co. 6; 85 co. 4). c. La persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria. La persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria —> È una parte "eventuale" del processo penale —> essa è citata a richiesta del PM o dell'imputato (art. 89). La natura giuridica dell’istituto trae la sua origine da una particolare forma di responsabilità verso lo Stato a carico di un soggetto diverso dall'autore del reato. La responsabilità si atva quando l'autore del reato, che sia stato condannato e sottoposto ad esecuzione per una pena pecuniaria (multa o ammenda), sia insolvibile. In base all'art. 196 i sogget civilmente obbligati al pagamento della pena pecuniaria sono individuati nelle persone che sono rivestite di autorità, direzione o vigilanza sull'autore del reato, se si tratta di violazioni di disposizioni che le predette persone erano tenute a far osservare. In base al successivo art. 197 altri sogget civilmente obbligati sono individuati negli enti forniti di personalità giuridica, qualora sia pronunciata condanna contro chi ne abbia la rappresentanza o l'amministrazione o ne sia dipendente, quando si tratta di reato che costituisca violazione degli obblighi inerenti alla qualità rivestita dal colpevole ovvero sia commesso nell'interesse della persona giuridica. 96 La responsabilità è civile (e cioè atene al pagamento di una somma), ma la fonte è la condanna penale alla multa o all'ammenda. Pertanto la persona civilmente obbligata è una "parte eventuale" del processo in relazione all'azione penale esercitata dal PM. Soltanto dopo che la persona civilmente obbligata è stata citata su richiesta del PM o dell'imputato, questa diventa "parte" del processo penale ed il giudice deciderà in sentenza sui suoi obblighi. d. Gli enti responsabili in via amministrativa per i reati commessi da loro rappresentanti o dirigenti. Un nuovo tipo di responsabilità amministrativa è attribuita alle persone giuridiche ed alle società e associazioni in relazione ai reati commessi, nell'interesse o a vantaggio dell'ente, da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, amministrazione o direzione dell'ente medesimo o che ne assumono, anche di fatto, la gestione e il controllo; o ancora, da persone in posizione subordinata in caso di omesso controllo da parte dei sogget in posizione apicale Si tratta di una responsabilità limitata a reati espressamente elencati dalla legge, tra cui i delit di concussione e corruzione (art. 25), nonché i delit di indebita percezione di erogazioni ecc. Agli enti è addebitata una responsabilità di tipo amministrativo, anche se questa è accertata all'interno di un procedimento penale; nei confronti degli enti sono applicabili sanzioni pecuniarie ed interditve (ad es. interdizione dall' esercizio dell'atvità; sospensione o revoca di autorizzazioni; divieto di contrattare con la pubblica amministrazione; esclusione di agevolazioni). Nei procedimenti per i reati menzionati il PM cita l'ente in qualità di parte. L'ente che intende partecipare atvamente al procedimento penale si costituisce con una dichiarazione scritta che deve contenere, a pena di inammissibilità, la propria denominazione e le generalità del legale rappresentante, il nome e il cognome del difensore, l'indicazione della procura, la sottoscrizione del difensore e l'elezione di domicilio (art. 39). Se l'ente sceglie di non partecipare al procedimento e, pertanto, non si costituisce, nella fase processuale viene dichiarato «contumace» (nuovo istituto dell'assenza). CAPITOLO II GLI ATTI Gli atti del procedimento penale. a. Considerazioni preliminari. Atti analogici e informatici. atto del procedimento penale —> quell'atto che è compiuto da uno dei soggetti del procedimento e che è finalizzato alla pronuncia di un provvedimento penale. 97