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TRADUZIONE LETTERALE ENEIDE LIBRO IV, Esercizi di Letteratura latina

Traduzione letterale più commento ai versi1-104; 296-449; 584-629

Tipologia: Esercizi

2019/2020
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Caricato il 06/11/2020

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tes22 🇮🇹

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Scarica TRADUZIONE LETTERALE ENEIDE LIBRO IV e più Esercizi in PDF di Letteratura latina solo su Docsity! TRADUZIONE ENEIDE – LIBRO IV Siamo nel palazzo regale di Didone, a Cartagine. La passione è proprio l’inizio del libro IV dell’Eneide, uno dei più conosciuti. Una sorta di tragedia, tant’è vero che poi è diventata ispirazione per delle tragedie vere e proprie. È terminato il racconto il racconto di Enea (narratore di 2 grado che ci ha raccontato, attraverso un flashback, tutte le vicende le hanno portato a Cartagine) quando si apre il IV libro e riprende la parola il narratore di 1 grado. Didone trascorre una notte insonne, combattuta tra la passione per Enea e la fedeltà verso il defunto marito Sicheo (ucciso dal fratello di Didone, Pigmalione, per avarizia). Il mattino seguente confida tutto alla sorella Anna, che la incoraggia nei sentimenti verso Enea, non solo perché Didone è ancora troppo giovane per rinunciare ad un marito e all’amore, ma anche perché Enea potrebbe essere un valido aiuto nel governo e nella difesa di Cartagine. Da questo momento la regina lascia che la passione per l’eroe la pervada completamente. Intanto Giunone e Venere, spinte da motivazioni diverse (Venere, madre di Enea, per assicurare al figlio il massimo appoggio da parte dei Cartaginesi, Giunone – già ostile ai Troiani perché Paride aveva dato la mela ad Afrodite – per impedire a Enea e ai Troiani di giungere sulle coste dell’Italia e di dar vita ad una nuova e potente civiltà che provocherà la rovina della sua diletta Cartagine), si accordano per favorire le nozze. Durante una battuta di caccia Giunone scatena un furioso temporale, e Didone ed Enea sono costretti a rifugiarsi in una grotta, dove celebrano le loro nozze. La notizia viene diffusa dalla Fama. Iarba, figlio di Giove, che vendette a Didone la terra sulla quale poi Didone fonderà Cartagine, essendo stato respinto da Didone – che aveva rifiutato vari pretendenti perché voleva restare fedele alla memoria del marito – , si lamneta col padre. Giove allora manda Mercurio a Cartagine per invitare Enea a partire e a perseguire la sua missione senza lasciarsi distrarre. L’eroe si piega alla volontà divina. L’ultimo colloquio tra i due è drammatico: alle motivazioni di Enea, Didone risponde con disperazione e velate minacce. Mentre i Troiani si preparano a partire, Didone cova dentro di sé un immenso dolore. Si finge rasserenata e chiede alla sorella Anna di aiutarla a preparare una pira per bruciare le vesti e le armi di Enea, e il letto nuziale (il talamo). Questo sacrilegio può scioglierla dalla passione per Enea. In realtà, la regina medita il suicidio, e quando le navi troiane salpano, Didone sale sulla pira, lancia maledizioni contro Enea e i suoi discendenti e si conficca nel petto la spada dell’eroe. “Ma la regina, tormentata già da tempo da un grande affanno, alimenta la ferita nelle vene ed è consumata da un fuoco cieco. Le ritorna spesso in mente il grande valore dell’eroe e il grande onore della stirpe: restano impressi nel cuore il volto e le parole e l’affanno non concede alle membra il placido sonno. L’aurora seguente illuminava le terre con la luce del sole e aveva allontanato dal cielo l’umida ombra (la notte), quando Didone, pazza, così parla alla sorella concorde: “Anna, sorella, che sogni mi tengono sospesa e mi atteriscono! Che ospite particolare è questo che è giunto qui nel nostro palazzo, presentandosi come nel volto, così nel forte petto e nelle spalle. Credo davvero, e non è fede illusoria, che sia di stirpe divina. Il timore rivela gli animi ignobili. Ahimè, da quali fati egli è stato agitato! Quali guerre affrontate cantava! Se non mi risiedesse nell’animo fisso e immobile (il proposito) di non volermi unire a nessuno nel vincolo coniugale, dopo che il primo amore mi ingannò con la morte e mi sfuggì; se non avessi in odio il talamo e le fiaccole nuziali, forse avrei potuto soccombere a quest’unica colpa /per questo solo forse avrei potuto soccombere alla colpa. Anna, lo confesserò dunque, dopo la morte del misero sposo, Sicheo, e dopo che i Penati furono sparsi di sangue fraterno, solo lui mi ha scosso i sensi e mi ha colpito il cuore facendolo vacillare. Riconosco i segni dell’antica fiamma. Ma vorrei che prima o la terra mi si aprisse profonda o che il padre onnipotente mi precipitasse con la folgore tra le ombre, le pallide ombre nell’Erebo e verso la notte profonda, prima che io, o Pudore, ti violi o sciolga i tuoi giuramenti. Colui che per primo mi unì a sé mi ha rubato l’amore; quello lo tenga con sé e lo custodisca nel sepolcro.” Dopo aver detto così, riempì il seno di lacrime sgorgate. V.30 A questo punto subentra la figura della sorella Anna. Anna è la confidente di Didone  questo è un ruolo tragico di solito assorto alla nutrice nella tragedia. Pur volendo il suo bene, la porterà alla rovina. Anna è la voce nascosta di Didone. Anna le dà il coraggio e la spinge ad abbandonarsi, a lasciarsi andare totalmente alla passione per Enea. “Mani”, al v.34, sono gli antenati, che sono quasi divinizzati, infatti sono scritti in maiuscolo: anime dei defunti che erano come una presenza. Anna dice di riflettere sull’eventualità di un suo matrimonio con Enea: potrebbe essere fiera di diventare la donna di un tale eroe e grazie a questa unione la città di Cartagine sarebbe ancora più gloriosa. Quindi Didone deve pregare gli dei perché i troiani rimangano a Cartagine, deve compiere sacrifici (necessari per ingraziarsi gli dei), deve cercare di moltiplicare le cause perché loro restino. Anna risponde: “O tu che a tua sorella (per tua sorella) sei più cara della luce, sola passerai l’intera giovinezza affliggendoti e non conoscerai la dolcezza dei figli né le gioie di Venere (=amore)? Credi che le ceneri e le ombre dei sepolti (i Mani) si occupino di questo? Sia pure; un tempo nessun pretendente riuscì a piegare te afflitta né in Libia né, prima, a Tiro; fu rifiutato Iarba e gli altri condottieri, che l’Africa, terra ricca di trionfi, nutre. Ma resisterai anche ad un amore gradito? Non ti viene in mente nei territori di chi sei stanziata? Da una parte le città dei Getuli, popolazione invincibile in guerra, gli sfrenati Numidi e le inospitali Sirti ci circondano, dall’altra una regione deserta per siccità e per un lungo tratto i furenti Barcei. E che dire delle guerre che sorgono da Tiro e delle minacce di tuo fratello? Io credo davvero che, auspici gli dei e favorevole Giunone, le navi troiane col vento seguirono questa rotta . quale vedrai questa città, sorella, e quali regni sorgere da un tale matrimonio! Con l’aiuto delle armi dei Teucri per quante grandi imprese si innalzerebbe la gloria punica! Tu ora richiedi la grazia degli dei e, celebrati i riti sacri, prolunga l’ospitalità, e intreccia cause d’indugio (pretesti), finchè imperversa sul mare l’inverno e il tempestoso Orione, e le navi sono distrutte, finchè il cielo non è favorevole.” Didone era già tentennante; poi, dopo le parole di Anna, rompe gli indugi, non pensa più al marito, è speranzosa e sciolta dal pudore. A questo punto Didone e Anna si recano nei templi e invocano la pace, sacrificano, secondo il rito, scelte pecore bidenti (pecore di due anni di età circa,riconoscibili per la lunghezza degli incisivi inferiori): a Cerere, dea dei campi, detta “legislatrice” perché gli dei vedevano nell’agricoltura l’attività grazie alla quale l’uomo aveva fondato una società civile; a Febo, altro nome di Apollo, dio del Sole, e al padre Lieo, ovvero Bacco, dio del vino (l’appellativo “Lieo” viene da “lio”, “sciogliere”, e fa riferimento alla capacità del vino di sciogliere, di liberare dalle preoccupazioni e talvolta dai limiti); e soprattutto a Giunone, considerata protettrice dei vincoli matrimoniali. Didone inizia a rinnovare ogni giorno le offerte votive; lei cerca di esprimere, in qualche modo, il desiderio di conoscere il suo futuro attraverso i riti, i voti, le offerti sacrificali, l’esame delle viscere degli animali. Ma ormai è pazza, invasata presa dal furore. La ferita dell’amore vive silenziosamente nel cuore. Ottiene in grembo Ascanio, presa dall’immagine del padre, per cercare di ingannare così l’indicibile amore, ma sappiamo che è stato proprio tenendo in grembo Ascanio che lei si è innamorata di Enea. Prendere in braccio Ascanio dà a Didone un temporaneo e illusorio che tu potresti elencare parlando, o regina, v. 335 e non mi rincrescerà di ricordarmi di Elissa, finché avrò memoria di me, finché la vita reggerà queste membra. Sulla questione parlerò poco. Io non ho sperato di nasconderti con l’inganno questa partenza (non credere), né mai ho posto avanti fiaccole nuziali o sono venuto in simili patti. v. 340 Se i fati mi permettessero di condurre la vita secondo la mia autorità e di alleviare gli affanni secondo la mia volontà, per prima cosa abiterei la città di Troia, con le care reliquie dei miei, l’alto palazzo di Priamo sarebbe sopravvissuto e di mia mano avrei costruito una nuova Pergamo ai vinti v. 345 Ma adesso il Grinéo Apollo e i responsi di Licia mi ordinano di raggiungere l’Italia, la grande Italia; questo è il desiderio, questa è la patria. Se le rocche di Cartagine trattengono te che sei fenicia e la vita di una città libica, perché impedire dunque che i Teucri si stabiliscano nella terra Ausonia? v. 350 Anche a noi è concesso ricercare regni stranieri. L’immagine del padre Anchise, ogni volta che con le umide ombre la notte ricopre la terra, ogni volta che sorgono gli astri infuocati, mi rimprovera e mi spaventa nel sonno, adirata; [mi rimproverano] il figlio Ascanio e l’ingiustizia ad una persona cara, v. 355 il quale io privo del regno di Esperia e dei campi concessi dai fati. Adesso perfino il messaggero degli dei mandato da Giove in persona (giuro sulle teste di entrambi) veloce riporta gli ordini nell’aria; io stesso vidi il Dio in una luce chiara che entrava nei muri e ho udito con queste orecchie la voce. v. 360 Smetti di inasprire te e me con i tuoi lamenti: non cerco l’Italia di mia iniziativa. In risposta ad Enea, da v.365 in poi, Didone allora sprigiona una risposta carica di violenza, sdegno e rancore. Gli dice che non è figlio di Venere, una dea, ma è stato cresciuto dalle rocce (perché senza cuore) e da “mammelle delle tigri ircane”  l’Ircania era una regione dell’Asia situata a sud del mar Caspio. “Saturnio” al v.372 è Giove, in quanto figlio di Saturno. Lei, che lo ha accolto, si definisce “folle”. Mentre diceva queste parole già da tempo ella lo guardava ostile rivolgendo gli occhi da una parte all’altra, tutto lo squadra con occhi silenziosi e così, accesa d’ira, esclama: v. 365 “Non ti fu madre una Dea, né Dardano (fu) il fondatore della stirpe, o perfido, ma ti generò il Caucaso ispido d’aspre rocce e tigri Ircane ti porsero le mammelle. Infatti perchè fingo o a quali maggiori [affronti] mi riservo? Forse egli è deplorato per il mio pianto? Forse ha chinato gli occhi? v. 370 Forse, vinto, ha versato lacrime o ha compatito l’amante? quali cose considererò più gravi di queste? Ormai né la grande Giunone né il padre Saturnio guardano queste cose con occhi giusti. In nessun luogo è sicura la lealtà. Lo raccolsi dalla spiaggia naufrago, miserabile, e, folle, lo misi a parte del regno. v. 375 Salvai la flotta perduta e i compagni dalla morte. Ahi, fuori di me sono portata dalle furie! (=ahi sono in preda a una furia rabbiosa!) Adesso l’augure Apollo, adesso i responsi di Licia, adesso perfino, inviato da Giove in persona, il messaggero degli Dei riporta terribili ordini attraverso l’aria. Senza dubbio questa fatica spetta agli dei, una tale preoccupazione v. 380 turba la (loro) quiete. Io non ti trattengo né ribatto le tue parole: va’, insegui l’Italia nei venti, raggiungi i regni attraverso le onde; spero davvero che in mezzo agli scogli, se gli dei giusti possono qualcosa, tu sconterai i castighi e spesso Didone per nome invocherai. Io ti seguirò lontana con nere fiaccole v. 385 e, quando la fredda morte avrà separato le membra dall’anima, sarò in tutti i luoghi come un fantasma. Sconterai la pena, disonesto! Io lo verrò a sapere, e questa notizia giungerà a me fra i Mani profondi”. Con queste parole interrompe a metà il discorso e afflitta fugge la luce e si volta e si sottrae allo sguardo, v. 390 lasciandolo molto titubante per il timore e desideroso di dire molte cose. Le ancelle accolgono e portano il corpo svenuto nella camera marmorea e lo adagiano sul letto. A questo punto Enea, nonostante voglia confortare la dolente Didone, ritorna alle navi. Iniziano i preparativi; Didone osserva tutto. Vengono descritti i preparativi. Ma il pio Enea, sebbene desideri calmare lei dolente consolandola e allontanare gli affanni con le parole, v. 395 molto gemendo e turbato nell’animo dal grande amore, tuttavia esegue gli ordini degli Dei e ritorna alla flotta. Allora davvero i Teucri si adoperano e trascinano da tutta la spiaggia le alte navi. Galleggiano le chiglie unte e dai boschi portano remi frondosi e legni v, 400 non lavorati, per il desiderio di fuga. Avresti visto che uscivano e accorrevano da tutta la città, come quando le formiche saccheggiano un grande mucchio di grano memori dell’inverno e lo ripongono nella tana: va sul campo il nero esercito e trasportano insieme la preda attraverso l’erba v. 405 per uno stretto sentiero, alcune portano sforzandosi con le spalle grandi chicchi, alcune radunano le schiere e puniscono i ritardi; tutto il sentiero brulica per il lavoro. Quali sentimenti (avevi), o Didone, in quel momento vedendo tali cose e quali gemiti emettevi, quando vedevi la spiaggia, per largo tratto, brulicare v. 410 dalla rocca alta e vedevi davanti agli occhi che tutto il mare era agitato da così tante grida. O Amore crudele, a che cosa non obblighi i cuori umani! E’ costretta a ricorrere di nuovo alle lacrime, di nuovo a tentarlo pregando e, supplichevole, a sottomettere l’orgoglio all’amore, v. 415 per non lasciare nulla di intentato, destinata a morire invano. Didone cerca conforto ancora una volta, travolta dalle lacrime, nella sorella Anna, chiedendole, per il rispetto che Enea nutriva nei suoi confronti, quantomeno di convincere Enea a rinviare la partenza, ma Enea non vuole sentir ragioni, le sue orecchie sono ormai chiuse dagli dei, dal fato. “Anna, vedi come ci si affretta intorno a tutta la spiaggia; si sono radunati da ogni dove; le vele già chiamano i venti, [lett. già il càrbaso (= tessuto di lino e cotone) chiama i venti] gli allegri marinai hanno posto corone [di fiori] sulle poppe. Io, se ho potuto presagire questo dolore così grande, v. 420 potrò anche sopportarlo, o sorella. Tuttavia a me misera questo solo [favore] esegui, Anna; infatti quel truffatore venerava te sola, a te rivelava anche i pensieri segreti; tu sola conoscevi dell’uomo i momenti favorevoli per avvicinarlo. Va’, o sorella, e supplice rivolgiti al superbo nemico. v. 425 Io non ho giurato con i Danai (i Greci) in Aulide di distruggere il popolo troiano e non ho inviato una flotta a Pergamo né ho profanato il cenere e i Mani del padre Anchise: perché si rifiuta di accogliere le mie parole nelle sue crudeli orecchie? Dove corre? Dia questo estremo dono alla povera amante: v. 430 aspetti una partenza agevole e venti propizi (lett. venti che portano). Non chiedo più il matrimonio di un tempo, che ha tradito, né che si privi del bel Lazio e rinunci al regno; chiedo un po’ di tempo, uno spazio di pace al furore, finché la mia sorte non insegni a me vinta a soffrire. v. 435 Chiedo questa estrema grazia (abbi pietà di tua sorella) che, quando me la avrà concessa, io (gli) restituirò raddoppiata con la morte/ alla mia morte”. Con queste parole pregava, e tali pianti la miserissima sorella porta e riferisce. Ma quello non è smosso da nessun pianto o ascolta arrendevole nessuna parola: v. 440 i fati si oppongono e un dio chiude le orecchie indulgenti dell’uomo. E come quando i venti alpini gareggiano tra di loro con folate ora qui ora lì per sradicare una quercia salda dal vecchio tronco; si alza uno strepito e le alte fronde ricoprono il suolo, dopo che il tronco è stato scosso; v. 445 essa rimane ancorata alle rocce e come con la cima tende ai venti del cielo, altrettanto con la radice verso il Tartaro (l’inferno); non diversamente l’eroe è scosso di qua e di là dalle assidue preghiere e nel suo cuore generoso sente gli affanni; ma il proposito rimane irremovibile; le lacrime scorrono a vuoto. Al v. 584 “croceo letto” vuol dire color giallo zafferano (“croco” sarebbe lo zafferano). Il letto di Aurora. Infatti gli antichi immaginavano che Aurora giacesse col suo amato Titone (il mito dice che si amavano talmente tanto che Aurora ottenne dagli dei che Titone fosse immortale, però si dimenticò di chiedere che non invecchiasse). Quindi Aurora lascia il letto d’amore di Titone e cospargeva di nuova luca la terra  L’Aurora è la divinità che effonde nuovamente la luce nel cielo prima che sorga il sole. “lo straniero se ne andrà schernendo così il mio regno?”  la parola “straniero” al v.591 fa capire come non sia più il suo sposo. “Infelice Didone, adesso le empie azioni ti toccano?”  le “empie azioni” potrebbe riferirsi nache alla mancanza di fedeltà nei confronti di Sicheo. “Avrebbe dovuto pensarci prima, quando lo aveva fatto diventare re”. E’ come se parlasse a se stessa; si vede tutto il forte dissidio interiore di Didone. “Ecco la lealtà di chi si dice che rechi con sé i patri Penati e in spalla il padre”  qui abbiamo anche una sorta di ironia che sconfina nel sarcasmo. Cerca di ridicolizzare l’immagine del “pius” Enea. “Incerta sarebbe stata la lotta, ma io sono destinata comunque a morire”: potevo capirlo prima, ucciderli e poi magari morire anche io, ma morire combattendo. Da v.607 Didone inizia a implorare gli dei. Didone chiede a queste divinità che Enea sia travagliato dalle armi e dalla guerrra, strappato dalle braccia di Iulio, che veda le morti dei suoi uomini, che non goda del suo regno. La profezia di Didone si realizzerà in un certo senso: quando Enea arriverà nel Lazio, dovrà subire una reazione da parte del popolo dei Latini che si ribellerà e inizierà poi una guerra sanguinosa, che verrà descritta dal libro VII al libro XII dell’Eneide; temporaneamente sarà lontano dall’abbraccio del figlio; infine vuole il mito che Enea sia morto dopo 3 anni la vittoria sui Latini, annegato. Non contenta della maledizione che ha già scagliato contro Enea, vorrebbe che i suoi uomini, “Tirii” (cioè i Fenici provenienti da Tiro, ovvero i Cartaginesi) perpetuassero quest’odio, generazione dopo generazione  questo effettivamente accadrà con le guerre puniche. La stirpe dei Cartaginesi avrà in odio la stirpe dei romani, discendenti dei Troiani. La storia d’amore tra Enea e Didone assume anche una valenza ideologica: nella passione della regina di Cartagine per l’eroe, Virgilio individua l’origine mitica del rapporto tra Roma e Cartagine e la causa della loro inimicizia (causa eziologica). “Epulandum” (v.602) è un gerundivo concordato ad “Asianum”  si tratta di un riferimento all’empio banchetto di Tieste: Atreo, padre di Agamennone e Menelao, era venuto a contesa per il trono con il fratello Tieste; Atreo, fingendo una riconciliazione, offrì al fratello un banchetto, ma tra le varie portate erano stati imbanditi anche i corpi dei figli di Tieste, così divorati empiamente dal padre. Inizia con “Sol”, al v.607, la maledizione che Didone scaglia contro Enea e la sua discendenza, speranzosa che gli dei riportino giustizia; il sole veniva spesso invocato nei giuramenti perché trovandosi in cielo era capace di vedere tutte le azioni compiute sulla Terra.