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Traduzioni e analisi delle satire di orazio, Schemi e mappe concettuali di Letteratura latina

Traduzioni e analisi delle satire di orazio

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

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Scarica Traduzioni e analisi delle satire di orazio e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Letteratura latina solo su Docsity! ORAZIO LETTERATURA LATINA GIOVANNI CALCAGNO ORAZIO Quinto Orazio Flacco nasce l’8 Dicembre del 65 a.C. a Venosa (paesino a confine con la Lucania e l’Apulia). Nella Satira I del Libro II al v. 34 dice “Lucanus an Apulus anceps” (non so se sono Lucano o Apulo). Per queste indicazioni sulla vita ci aiuta molto la biografia Vita Horatii giunta da Svetonio (anche se non sappiamo se fu veramente redatta da Svetonio). Venosa aveva una storia particolare, era un municipium colonizzato dai romani nel 292 a.C., aveva avuto delle traversìe perché era stato occupato dai veterani di Silla subito dopo la guerra tra gli alleati italici contro Roma. Orazio ama molto spesso tornare con la memoria ai luoghi dell’infanzia. Per questo sarà particolarmente amato da Pascoli perché uno dei temi è quello dell’angulus, della fuga dal mondo esterno, un rifugio, un nascondiglio. Gli elementi dell’infanzia ritornano spesso, negli Epodi e nei Carmina soprattutto: il fiume Ofanto (Aulficus) vicino Venosa; oppure il monte Saraceno (Matino); i boschi di querce di Venosa. Questi elementi si configurano come rifugio dalla vita mondana di Roma e come scudo dalla guerra civile. Il padre era un liberto faceva un lavoro praeco (banditore) e coacto, ovvero riscossore di denaro dagli acquirenti alle aste. È lo stesso Orazio a dircelo nella Satira VI del Libro I. Quindi di certo non apparteneva ad un rango sociale elevato; tra l’altro l’inferiorità sociale emerge quando Orazio sottolinea le virtù del padre che fece molti sacrifici per mandarlo alla scuola migliore di Venosa e dirà che sentiva la differenza di rango rispetto ai figli dei centurioni. Orazio si vanta di aver raggiunto risultati migliori rispetto a quelli dei figli delle famiglie più ricche. Sottolinea la bravura del padre nella gestione delle finanze, infatti riuscì a fare anche un viaggio di formazione in Grecia (ad Atene) dove trovò come compagni Bruto, il figlio di Cicerone, Valerio Messalla,… Nonostante questo step ricorderà gli anni di Venosa con grande ammirazione per il suo maestro il famoso Orbilio detto plagosus (colpiva con la plaga quando sbagliava a citare a memoria Livio Andronico – Odusia e Omero). Durante la sua esperienza ad Atene conobbe Bruto, uno studente molto intelligente, e ne rimase affascinato. Proprio in quel periodo Bruto si faceva avanti come il campione della libertas e proprio in questi conversari attirò l’attenzione dei suoi compagni e a scuola preparò l’attacco con le forze cesariane (44 a.c.). Di questo ci parla Plutarco nella Vita di Bruto. Fu così che Orazio decise di arruolarsi e Bruto gli diede Tradizione manoscritta Non abbiamo manoscritti di Orazio più antichi del IX sec. Comincia a diffondersi nella corte carolingia. I codici di Orazio sono stati classificati da Friedrich Klingner dividendoli in due gruppi (o famiglie): - Ξ (Xi): comprende 4 mansocritti > A (Parigi- Biblioteca Nazionale di Francia); B (Berna); C/E (Monaco di Baviera); CLN 14655; - Ψ (Psi): R (Reginensis – Biblioteca Vaticana – IX sec.); etc… A monte di questi due gruppi abbiamo due subarchetipi databili al V – VI sec. che probabilmente provengono da un unico manoscritto più antico. Bisogna aggiungere che a questa bipartizione si deve aggiungere un terzo gruppo definito Q che deriva da una conflatio (una unificazione) delle due famiglie Ξ e Ψ. - Q: a (Biblioteca ambrosiana); CLM (Monaco di Baviera); … A questa triplice classificazione dovuta a Klingner sfugge un numero assai ragguardevole di manoscritti da inserire in uno stemma codicum. Ci sono più di 250 manoscritti oraziani che precedono il XIV secolo e per questa difficoltà di trovare analogie o differenze tra i vari codici che non può essere proposto uno stemma codicum collegato ai due gruppi Ξ e Ψ. Quindi ricapitolando abbiamo: 1. Ω > archetipo originario di età tardoantica di cui non sappiamo molto (supponiamo inizio VI sec.) 2. Ξ e Ψ > subarchetipi di Ω 3. Blandinius (o Blandinianus) vetustissimus > vetustissimus significa antichissimo e quindi probabilmente di età tardo antica ma è un codice che non possediamo e che non sappiamo datare con precisione (probabilmente VIII – IX sec). Prende questo nome perché doveva essere conservato nel Monastero belga di S. Pietro a Blandigny presso Gand. Purtroppo però questo monastero subì un incendio nel 1566 e buona parte dei manoscritti andarono perduti. Però quelle lezioni che erano contenute nel Blandinus ci sono note grazie alle collazioni e alle note dei filologi che si erano recati a Gand prima dell’incendio. Uno dei filologi fu Jacob Cruquius che ci riporta una collazione importantissima. C’è da ricordare che conserviamo una copia del XV secolo del manoscritto Blandinus, conservata a Gotha. Ma allora possiamo considerare chiusa la questione? No, perché questa copia è lacunosa: manca Ars Poetica, III libro delle Odi e buona parte anche del IV. All’inizio del secolo scorso lo studioso Wollmer avanzò un’ipotesi, cioè l’archetipo Ω del VI sec. fosse un codice da identificare con la copia posseduta da Vettio Agorio Basilio Mavorzio (console dell’impero romano d’Oriente, vissuto nella prima metà del VI sec.) e quindi fosse il genitore di tutti i manoscritti che noi oggi possediamo. Wollmer pensò questo perché ci sono tre manoscritti oraziani A (Parigi), λ (lambda), L (minuscola - Laiden) che alla fine dei quali c’è riportata una frase, la cosiddetta subscriptio, ed è la sede in cui si autodichiara chi ha scritto l’opera e come ha lavorato sul testo. In questi tre codici leggiamo: “Legi et ut potui emendavi, conferente mihi magistro Felice, oratore urbis Romae” (ho letto e per come ho potuto ho corretto confrontandomi con il maestro Felix, oratore della città di Roma) Chi parla è proprio Mavorzio che insieme a questo grammatico di nome Felix e avrebbe allestito questo codice. Al momento però a causa delle lezioni diverse non è possibile affermare che tutte e tre i manoscritti derivino da Ω e che questo sia l’archetipo. In questo caso si parla di recensio aperta. Introduzione alla Satira 1, 5 Satira V del I libro, descrive un viaggio fatto da Orazio da Roma a Brindisi, per questo nota come iter Brundisinum. Rispetto al tema dell’evidentia presenta delle caratteristiche: Orazio ci offre quadretti descrittivi di persone luoghi e circostanze particolarmente vividi e pittoreschi. Infatti sembra soffermarsi di più su questi dettagli piuttosto che sulle ragioni che lo stanno portando a Brindisi. È un testo molto problemtico perché lascia scettici alcuni studiosi: 1. Intenti del viaggio: i dettagli sono poveri e a stento riusciamo a capire che si tratta di una missione diplomatica e dobbiamo ricostruire il motivo di questo viaggio incrociando varie informazioni 2. Incertezza sulle tappe stesse del viaggio 3. Chiusa della satira: è improvvisa, come se Orazio ad un certo punto avrebbe sentito l’esigenza di chiudere velocemente la satira. Tanto che uno studioso, Ronconi, spese parole molto critiche nei confronti di questa satira. “pare che il poeta tiri qui un sospiro di sollievo… e va bene per il viaggio faticoso e disagiato, nonostante la compagnia lieta e cara al viaggiatore, ma la satira non è in confronto alle altre longa bensì rientra nell’estensione media delle altre”. Ciò significa che la stanchezza non è giustificata dalla lunghezza del testo che è più o meno in linea con le altre. È come se fosse stanco già all’inizio. 4. Individuare la struttura è molto complicato: ci sono 4 fasi del viaggio: a. I fase (versi da 1 a 26): Orazio parte da Roma e arriva presso una cittadina che si chiama Anxu. In questa prima fase è accompagnato da un retore che lui chiama Eliodoro b. II fase (da 27 a 51): si sposta da Anxur a Caudio. Qui Orazio ha altri compagni c. III fase (da 51 a 76): lite tra Sarmento e Messio Cicirro e si conclude con l’arrivo a Benevento d. IV fase (da 77 a 104): è un percorso nell’Apulia 5. Durata del viaggio: circa 13-15 giorni. Non è chiara perché Orazio non ci dice tutte le tappe che ha fatto. E anche quando ci dice ad esempio che arrivò ad Anxur, non significa che Anxur era una tappa canonica per arrivare da Roma a Brindisi. 6. Quante miglia percorre: al v. 25 per descrivere il suo spostamento da un tempio ad Anxur ci dice che percorre tre miglia. Oppure al v. 86 ci dice che per raggiungere un’altra località da Trevico attraversa 26 miglia per raggiungere una città di cui non è possibile dire il nome (probabilmente per questioni di metrica). 7. L’utilizzo di avverbi di transizione: per indicare il passaggio da una località e l’altra utilizza avverbi come inde, deinde, ex illo, hinc, etc… e ciò sicuramente non ci aiuta a capire bene. Quindi la satira più che una cronaca di viaggio è più una serie di appunti (meno curati dei commentarii di Cesare). Ciò che prevale è l’interesse per le digressioni, per le scenette, si perde con grande sapienza artistica nelle scene di vita quotidiana in regioni che sono lontane dalla Magna Roma. E proprio la lontananza da Roma lo dispiace. Inoltre l’intenzione del viaggio è molto complicata: il contesto politico è quello della tensione tra i tre triumviri Ottaviano (Augusto), Marco Antonio e Lepido. Lepido all’indomani del Foedus Brundisinum era già stato marginalizzato dagli altri due triumviri, ma nonostante il matrimonio di Antonio con la sorella di Ottaviano non trovano un accordo e nel 37 a.C. le cose precipitano. Ottaviano decide di mandare a Roma Mecenate e un gruppo di intellettuali, tra i quali c’era anche Orazio, per incontrare Antonio che nel frattempo è atteso a Brindisi, ma arrivando con 300 navi, spaventa gli abitanti di Brindisi che si barricano e lo costringono a virare verso Taranto. Infatti la missione di Mecenate viene spostata a Taranto dove si celebrerà la Pax Tarentina che per qualche mese darà una tregua prima della battaglia di Azio (31 a.C.). Questi motivi politici riusciamo a ricostruirli solo grazie a pochi dettagli. Ma ricostruiamo questo contesto grazie ai commenti ad Orazio: Elio Acrone, Porfirione, etc… I motivi politici comunque rimangono sempre sullo sfondo. Anzi, se Orazio può minimizzarli lo fa volentieri: quando deve dire che si va a Brindisi per discutere “Magnas Res” (cose molto grosse), subito dopo fa capire che a lui non importa. La ragione di questa satira è un gioco letterario? Gioca su un tema tipico della letteratura odeporica3 che aveva un’illustre precedente, Lucilio. Lucilio aveva fatto un viaggio verso la Sicilia e aveva scritto l’Iter Siculum. Orazio vuole dare semplicemente mostra delle sue qualità letterarie, di imitatio nei confronti del padre della satira, ovvero Lucilio, trattando il tema del viaggio. Orazio si diverte a descrivere scene di vita quotidiana: modi di reagire di locandieri, la violenza verbale, le fanciulle che facilmente si concedono ai viandanti, etc… ci dipinge un quadro della provincia romana. Ma se andiamo ad indagare a fondo queste scenette vediamo emergere un particolare sentimento, cioè il sentimento che di volta in volta lega Orazio ai personaggi con cui interagisce: c’è una sapiente variatio nella descrizione dell’approccio con i vari personaggi. Questo aspetto è veramente l’aspetto dominante della satira. Ad esempio quando Orazio deve descrivere il suo rapporto con i politici il tono è freddo (quando incontra Mecenate dice optimus, un termine molto distaccato – ancora siamo all’inizio dell’amicizia); quando incontra Fonteio Capitone lo definisce impassibile come una statua “ad unguem factus homo” (fatto con l’unghia). Con Virgilio invece si evidenzia subito il rapporto di grande confidenza e i due si rifiuteranno di giocare a palla subito dopo aver consumato il pasto, perché entrambi affetti da dei fastidi: Virgilio soffre di mal di stomaco, Orazio ha una malattia agli occhi (forse congiuntivite). Con Tucca e con Vario si sbilancia nella dimostrazione degli affetti: “nil ego contulerim iucundo sanus amico” ovvero (non riuscirai a confrontare niente al mondo con la gioia che mi dà un amico). Quindi i temi principali sono l’amicizia e soprattutto il viaggio sentimentale. Il fatto che la meta sia vicino a Venosa è un po’ come un ritorno alle origini. Non è un caso che a questa satira si ispirerà Vicenzo Consolo che nel suo romanzo Retablo che si delinea come un “iter Siculum”: c’è questo personaggio che torna in Sicilia e si interroga sul senso del viaggio e perché si va verso quest’isola per vedere le vestigia e i resti del passato. Orazio quando si avvierà per la via Appia, anche se non lo dice, la via Appia nel I sec. a.C. era costellata nei margini dalle tombe degli illustri personaggi del passato. L’idea stessa che la satira si conclude senza meta diventa metafora di un viaggio che inizia per raggiungere un risultato e alla fine non si raggiunge l’obiettivo prefissato. Anche l’Odissea ha questa metafora, ed implica un cambiamento nel suo protagonista. Non è un caso che il primo verso della satira, come è stato notato dallo studioso tedesco Ellers, riecheggia i v.39-40 del IX libro dell’Odissea: “Mi spinse prima il vento ad Ismaro, presso i Cicóni”. Cioè fu il vento a spingere l’eroe. Un eroe passivo. Quindi c’è un’analogia tra Odisseo e Orazio. Ma ricordiamoci che Orazio sta scrivendo una satira e il bersaglio principale è sicuramente l’epos. Questa satira può configurarsi come un’anti-odissea. 3 Illustra le persone, gli eventi, ciò che vede l'autore che si trova in un paese straniero o un luogo inconsueto; può anche avere la forma del cosiddetto diario di viaggio. hoc iter ìgnavì divisimus, altius ac nos 5 praecinctis unùm: minus est gravis Appia tardis. hic ego propter aquàm, quod eràt deterrima7, ventri indicò bellùm, cenantis haud anim(o) aequo8 exspectàns comitès9. iam nox inducere terris ignavi, divisimus hoc iter, unum praecinctis altius 5 ac nos: Appia minus gravis est tardis. hic ego indico bellum ventri propter aquam, quod erat deterrima, exspectans animo haud aequo comites cenantis. Noi pigroni dividemmo questo viaggio, uno solo per coloro che tengono cinta la veste più in alto che noi: l’Appia è meno dura per i lenti. Qui io dichiaro guerra allo stomaco per l’acqua perché era pessima, mentre sto a guardare con animo non spianato i miei compagni che mangiano Parodia di Catone Catone, così come ci ricorda Varrone, era ricordato da tutti come grande marciatore, aveva l’abitudine di camminare tantissimo e correre. Col suo carattere austero rifiutava la carrozza. 7 Acqua vicino ai luoghi paludosi 8 Il v.8 mette insieme espressioni solenni (indico bellum) e banalità. Il ritmo è spondaico che di solito denota gravitas sacrale. Inoltre l’espressione animo aequo fa parte del campo della filosofia > Satira 2,3 v.14-16 > “vitanda est improba Siren / desidia aut quidquid vita meliore parasti / ponendum aequo animo.” (qualunque cosa hai preparato nella tua vita perché sia migliore deve essere collocata, ben disposta con animo equilibrato) 9 Sorge spontanea la domanda: ma adesso quanti sono i compagni? exspectàns comitès. Iam nox inducere terris umbras et caelò diffundere signa parabat: 10 tum pueri nautìs, puerìs convicia nautae ingerer(e): «hùc adpelle»; «trecentos inseris»; «ohe, iam satis est.» d(um) aes exigitùr, dum mula ligatur, tot(a) abit hora. ì culicès ranaeque palustres avertunt somnòs; absentem cantat10 amicam 15 multa prolutùs vappà naut(a) atque viator certatìm; tandèm fessùs dormire viator iam nox parabat inducere umbras terris et diffundere signa caelo: 10 tum pueri ingerere convicia nautis, nautae pueris « adpelle huc »; «ohe inseris trecentos » «iam satis est.» dum aes exigitu, dum mula ligatur, tota hora abit. mali culices ranaeque palustres avertunt somnos; nauta prolutus vappa 15 atque viator cantat certatim multa absentem amicam; già la notte si preparava a sospingere le ombre sulle terre e a spargere le costellazioni nel cielo: ecco che i garzoni ingaggiano litigi con i barcaioli, e i barcaioli con i garzoni: “accosta qua” “ohe ce ne ficchi trecento” “già sono troppi” mentre è riscosso il denaro, mentre viene legata la mula, se ne va tutta un’ora. Fastidiose zanzare e rane di palude disturbano i sonni; il barcaiolo inzuppato di vino e il viandante cantano a gara a gran voce l’amica lontana (la prostituta) Siamo nella notte tra la seconda e la terza giornata che passerà tutta su questo canale da Forappio alla Fonte di Feronia (tempio di Giunone). C’è subito un comico contrasto, un incipit poetico (tipico incipit virgiliano) e poi una scena comica. 10 Cantat è nei codici zR2 della famiglia Ξ (xi) ; ut cantat è di vari codici insieme a Ψ (Psi). tandem fessus dormire viator incipit ac missaè pastùm retinacula mulae nauta pigèr saxò religàt stertitque supinus. tandem viator fessus incipit dormire ac piger nauta religat saxo retinacula mulae missae pastum et stertit supinus. Alla fine il viandante stanco comincia a dormire e il pigro barcaiolo fissa ad una pietra i finimenti della mula mandata al pascolo e si addormenta a pancia in su. huc venturus eràt Maecenas optimus atque Cocceiùs12, missì magnìs de rebus uterque legat(i), aversòs solitì conponere amicos. 29 huc optimus Maecenas erat venturus atque Cocceius, legati missi uterque de rebus magnis, soliti conponere aversos amicos. 29 qui l’ottimo Mecenate era in procinto di arrivare e (anche) Cocceio, ambasciatori mandati ciascuno dei due per questioni grosse, abituati a riconciliare amici che hanno litigato. 12 Lucio Cocceio Nerva, era stato console nel 39 a.C. (due anni prima della scrittura della satira) e nipote di Marco Cocceio Nerva bisnonno del futuro imperatore. hic oculìs ego nigra meìs collyria lippus 30 inliner(e). ìntereà Maecenas advenit atque Cocceiùs Capitoque simùl Fonteius, ad unguem factus hom(o), Antonì, non ut magis alter, amicus. hic ego lippus inlinere nigra collyria oculis meis. 30 interea advenit Maecenas atque Cocceius et simul Fonteius Capito, homo factus ad unguem, amicus Antoni, non magis ut alter. Qui io cisposo (con la congiuntivite) mi stavo spalmando sugli occhi dei colliri neri. nel frattempo sopraggiungono Mecenate e Cocceio e insieme Fonteio Capitone, un uomo fatto all’unghia (fatto ad arte), amico di Antonio, come nessun altro In questa scena si manifesta il disinteresse verso la politica da parte di Orazio. Inoltre con l’uso dell’infinito storico sta nobilitando (in modo parodico) il gesto di mettersi il collirio. Questo collirio (unguento) era di colore nero, ce ne parla Celso nel VI libro della sua Ars medica, e ci fa un elenco di questi unguenti. Fundos Aufidiò Luscò praetore libenter linquimus, insanì ridentes praemia scribae, 35 praetext(am) èt latùm clavùm prunaeque vatillum. in Mamurrarùm lassì deind(e) urbe manemus, Murenà praebente domùm, Capitone culinam. linquimus libenter Fundos praetore Aufidio Lusco, ridentes praemia insani scribae, 35 praetextam et latum clavum et prunae vatillum. deinde lassi manemus in urbe Mamurrarum, Murena praebente domum, Capitone culinam. Lasciamo volentieri Fondi (governata) dal pretore Aufidio Lusco, facendoci beffe delle insegne del pazzo scribacchino, la toga pretesta, il laticlavio e il braciere acceso. dopo stanchi ci fermiamo nella città dei Mamurra, mentre Murena (ci) offre la casa, Capitone la cucina. Siamo nella quarta giornata di viaggio. È il momento in cui Orazio insieme ai suoi compagni si sta spostando da Anxur a Fondi, e poi da Fondi a Formia > in totale percorrerà 26 miglia. Questa sosta a Fondi è liquidata molto rapidamente, con un sorta di gioia e anche in modo paròdico: l’ Ablativo assoluto ellittico di sum va bene con la carica di console, ma in questo caso si sta parlando di un pretore di mediocre importanza, di cui Orazio e i suoi compagni si fanno beffe, proprio perché Aufidio Lusco millanta le sue insegne come se fossero altissimi riconoscimenti. La cosa ancora più esilarante è che il pretore si trova davanti a Mecenate che è vestito da eques. Abbiamo una testimonianza di Valleio Patercolo che nella sua opera intitolata Historiae romanae scrive: “Mecenas vixit angusticlavi praemio contentus” (Mecenate viveva soddisfatto di una sola insegna con l’angusticlavio). Giunti nella città di Formia trovano ospitalità nella casa di Murena (Lucio Licinio Varrone Murena) fratello adottivo di Terenzia (futura moglie di Mecenate). Murena farà carriera, sarà console nel 23 a.C. Fonteio Capitone invece offre la cucina: i cibi venivano cotti nella casa di Capitone e venivano consumati a casa di Murena. hinc mulì Capuaè clitellas tempore ponunt. lus(um) it Maecenàs, dormìt(um) ego Vergiliusque; namque pilà lippìs inimic(um) et ludere crudis. hinc nos Coccei recipìt plenissima villa, 50 quae super est Caudì cauponas. nunc mihi paucis hinc muli ponunt clitellas Capuae tempore. Maecenasit lusum, ego Vergiliusque dormitum; namque inimicum ludere pila lippis et crudis. hinc villa plenissima Coccei recipit nos, 50 quae est super cauponas Caudi. Dopo i muli depongono la soma a Capua temporaneamente. Mecenate va a giocare, io e Virgilio a dormire; infatti (è) nocivo giocare a palla per i malati alla vista e per i deboli di stomaco. Indi ci accoglie la villa di Cocceio pienissima (di ogni bene), la quale sta sopra le osterie di Caudio. È la sesta giornata di viaggio. Vengono percorse in tutto 38 miglia, ed è la distanza che separa il Ponte Campano da Caudio con sosta intermedia a Capua. Ci sono degli studiosi che ritengono improbabile che con una semplice sosta a Capua (17 miglia da Ponte Campano) abbiano poi percorso altre 21 miglia. Ma potrebbe essere plausibile quello che ci racconta Orazio, perché in questa sosta a Capua non passano la notte, infatti al v.47 dice tempore (per un poco). Nei versi 47-49 descrive l’arrivo a Capua, dove decidono di godersi un po’ di svago. Mecenate gioca a palla e Orazio e Virgilio si riposano. Orazio ha il problema agli occhi, Virgilio mal di stomaco. Orazio rispettava gli insegnamenti di Celso che diceva di rimanere a riposo e in astinenza per far guarire la malattia agli occhi. Sul mal di stomaco di Virgilio abbiamo una testimonianza di Agrone che commenta il termine crudis: “Ad Vergilium rettulit qui difficile digerebat dicebatur enim stomacum dolere Vergilius”. Anche Donato (commentatore di Virgilio) ci conferma questa notizia: “Nam plerumque a stomaco et a faucibus ac dolore capitis laboravat, sanguine me etiam saepe reiecit ” (Infatti il più delle volte Virgilio si affaticava perché aveva mal di stomaco, ma di denti e mal di testa, sputava sangue qualche volta). Ma oltre alla tutela del proprio fragile corpo Orazio e Virgilio rispettano i precetti epicurei, ovvero una vita abbastanza rigida e contro i piaceri non necessari. nunc mihi paucis Sarmentì scurraè pugnàm Messique Cicirri, Musa, velìm memorès et quo patre natus uterque contulerìt litìs. Messì clarùm genus Osci; Sarmentì domin(a) èxstat: ab his maioribus orti 55 ad pugnàm venere. priòr Sarmentus «equi te esse ferì similèm dicò.» ridemus, et ipse Messiùs «accipiò,» caput èt movet. «ò tua cornu nunc Musa velim memores mihi paucis pugnam scurrae Sarmenti Messique Cicirri, et quo patre natus uterque contulerit litis. Genus Messi clarum Osci; domina Sarmenti exstat: orti ab his maioribus 55 venere ad pugnam. Sarmentus prior «dico te esse similem feri equi.» ridemus, et ipse Messius «accipio» et caput movet. Ora oh Musa io vorrei che tu ricordassi a me in poche parole la battaglia tra il buffone Sarmento e Messio Cicirro, e nato da quale padre l’uno e l’altro siano discesi a contesa. La stirpe di Messio (è) illustre, gli Osci; la padrona di Sarmento è ancora viva: nati da questi antenati vennero a battaglia. Per primo Sarmento “io dico che tu sei simile ad un cavallo selvaggio”. Noi ridiamo, e lo stesso Messio “sono d’accordo” e muove il capo. Per descrivere meglio questi personaggi dobbiamo incrociare delle informazioni: - Nella satira 5, 3 di Giovenale viene citato un Sarmento etrusco che era diventato schiavo di un personaggio romano che militava tra le fila di Pompeo, un certo Favonio. Dalle mani di Favonio questo schiavo passò a Mecenate. Probabilmente Sarmento partecipa a questa missione ed è ancora schiavo. In Plutarco nella Vita di Antonio par. 59: ci viene detto che Sarmento nel periodo in cui frequentava Mecenate si era fatto notare da Antonio. - Per quanto riguarda Cicirro, Esichio (grammatico greco del V secolo) cita Chichiros come soprannome di un gallo da combattimento. Siccome Orazio sta facendo la parodia e molto spesso in latino “nomen omen”, ovvero al nome corrispondono delle qualità, si è pensato che Messio fosse una maschera dell’Atellana: nel 1897 uno studioso tedesco fece uno studio intitolato Pulcinella, e siccome Pulcinella significa piccolo pulcino, forse era l’evoluzione dell’originario Cicirrus dell’Atellania, una sorta di uomo-gallo. Resta però il quesito sul perché Sarmento gli dica che è pazzo come un cavallo. Ma perché questi personaggi sono lì, come spuntano? Si potrebbe pensare che entrambi fossero al seguito di Mecenate, perché molto frequentemente capitava che un magistrato si portasse dietro qualche comico per allietare il viaggio. Questo si può ipotizzare per Sarmento, ma molto più complicata è la questione di Cicirro. Quest’ultimo potrebbe essere un abitante del luogo. Antonio La Penna nel 1967 dice che non dobbiamo per forza far risalire il cognome al ruolo o alla professione. Il fatto che lo paragona ad un cavallo, poi ad un ciclope, è sintomo del fatto che aveva qualche difetto fisico che suscitava il riso. «o tua cornu ni foret exsectò frons» ìnquit, «quid facerès, cum sic mutilùs minitaris?» at illi foeda cicàtrix 60 saetosàm laevì frontèm turpaverat oris. «o ni tua frons foret cornu exsecto» inquit, «quid faceres, cum sic mutilus minitaris?» at illi foeda cicatrix 60 turpaverat frontem saetosam laevi oris. “oh se la tua fronte non fosse con il corno tagliato” dice “che cosa faresti, visto che anche così mutilo (come sei) minacci?” infatti a lui una disgustosa cicatrice aveva deturpato la fronte setosa del volto sinistro. Sarmento incomincia a farsi beffe di Cicirro, infatti Orazio ci racconta che Cicirro ha un difetto fisico molto evidente, una protuberanza simile ad un corno sulla parte della testa sotto l’attaccatura dei capelli. Forse proprio per questo è chiamato Cicirro, perché la protuberanza fa pensare ad una cresta. Viene assimilato ad un cavallo selvaggio, il meno comune che esista, quindi l’unicorno. È un personaggio dove Orazio concentra un vortice di modelli letterari: - Ciclope: Omero; - Gallo: Commedia Atellana; - Unicorno: Poesia solenne. Secondo alcuni studiosi l’accostamento ad un cavallo selvaggio non rimanda ad un unicorno, ma ad un rinoceronte: se torniamo all’Iter Siculum di Lucilio nei v.117-118, quando si scontrano i due gladiatori, ad un certo punto uno dei due paragona l’avversario ad un rinoceronte. C’è da considerare che per gli antichi il rinoceronte è assimilabile ad un bue, infatti lo chiamavano bos egyptius (bue egiziano). rogabat dènique cur umquàm fugisset, cui satis una farris libra forèt, gracilì sic tamque pusillo. prorsus iùcundè cenàm producimus illam. 70 denique rogabat, cur umquam fugisset, cui satis foret una libra farris, sic gracili tamque pusillo. prorsus iucunde producimus illam cenam. 70 infine gli chiedeva perché mai fosse fuggito, che sufficiente fosse (a lui) una libbra di farro, così magro e tanto piccolo. davvero in allegria prolungammo quella cena. Orazio in un certo senso si fa beffe delle leggi romane: in una delle leggi delle XII tavole (riportate da Gellio) si dice che una libbra di farro al giorno era la quantità minima di cibo assegnata a chi stava in prigione con l’accusa di debiti. Donato in un commento al Formio di Terenzio scrive che uno schiavo aveva bisogno di 100 libbre di frumento al mese. Probabilmente lo schiavo ne riceveva 100 al mese, mentre l’ergastolano 30. tèndimus hinc rectà Benevènt(um), ubi sedulus hospes paene macròs arsìt dum tùrdos versat in igni. nam vaga pèr veterèm dilapso flamma culinam Volcanò summùm properabat lambere tectum. convivàs avidòs cenàm servosque timentis 75 tum raper(e) àtqu(e) omnìs restinguere velle videres. hinc tendimus recta (via) Beneventum, ubi hospes sedulus paene arsit dum versat in igni macros turdos16. nam flamma vaga per veterem culinam dilapso Volcano properabat lambere summum tectum. tum videres convivas avidos rapere cenam 75 servosque timentis atque omnis velle restinguere. Da qui ci muoviamo direttamente verso Benevento, dove un oste servizievole quasi andò a fuoco mentre girava sulla fiamma i magri tordi. infatti la fiamma vaga attraverso la vecchia cucina sparsosi il fuoco arrivava a lambire la sommità del tetto. Allora avresti potuto vedere i commensali affamati rapire la cena e i servi impauriti e tutti volere spegnere. Inizia la settima giornata di viaggio. Secondo alcuni si parla del tratto di viaggio che va da Caudio a Trevico e sarebbero circa 36 miglia. Altri invece ipotizzano che Benevento sia una tappa intermedia e quindi 11 miglia. Al v. 70 Orazio ci ricorda che hanno prolungato la cena, quindi essendo una sosta molto lunga probabilmente è più logico pensare ad una tappa più breve, quindi Benevento. È una scena molto comica di cui si ricorderà Orazio nella cena di Nasidieno, ricco cavaliere Romano, che preparò squisitissimi banchetti ai suoi ospiti, ma ad un certo punto crolla il baldacchino. Orazio adora le scene di convivialità in cui all’eccessiva preoccupazione del padrone di casa nel fare bella figura, la sorte scombina i piani. È un contrasto tra le previsioni umane e quello che il destino riserva. 16 Questo dettaglio sulla magrezza dei tordi ha fatto supporre a Porfirione che fosse l’indizio di un’indicazione cronologica: in primavera i tordi sono più magri perché si nutrono male incipit ex illò montìs Apulia notos ostentare mihì, quos torret Atabulus et quos nunqu(am) erepsemùs, nisi nòs vicina Trivìci villa recepissèt lacrimoso non sine fumo, 80 udos cum foliìs ramòs urente camino. ex illo Apulia incipit ostentare mihi notos montis, quos Atabulus torret et quos nunquam erepsemus, nisi recepisset nos vicina villa Trivici non sine fumo lacrimoso, 80 camino urente udos ramos cum foliis. Da quel punto l’Apulia comincia a rivelarmi monti noti, che l’Atabolo rende aridi e che noi non avremmo mai valicato se non avesse accolti noi la vicina locanda di Trevico non senza fumo lacrimoso (che fa lacrimare), giacchè il camino bruciava rami umidi (verdi) con le foglie. Siamo all’ottava giornata che vede questi viaggiatori lasciare Benevento e anche la via Appia. Imboccano la via che porta a Brindisi, la via Minucia (futura via Traiana). È una via meno scorrevole perché non lastricata. Fanno tappa a Trevico, a Canosa, a Forum Novum (oggi Piano di Sant’Arcangelo), etc… e altre città che Orazio omette. Nel fermarsi in questa casa di Trevico qui c’è un altro problema col fuoco: vengono bruciati legni verdi e con foglie creando fumo e accentuando il problema agli occhi di Orazio. Il v.77 sembra annunciare una sezione lirico-nostalgica perché appaiano questi monti all’orizzonte. Questi monti perdono subito l’aspetto nostalgico, perché Orazio dice: “quos nunquam erepsemus”, cioè “non vi avremmo mai valicati se non ci avessero accolto a Trevico” Al v.78 si parla dell’Atabolo, ovvero il Libeccio, un vento noto che tempestava la Puglia. Ce lo dice Seneca nel V libro delle Naturales Quaestiones “Atabulus Apuliam infestat” nam Canusì17 lapidòsus, aquaè non ditior urna: qui locus à fortì Diomedè (e)st cònditus olim. flentibus hinc Variùs discedit maestus amicis. 93 nam Canusi (panis est) lapidosus, non ditior urna aquae: locus qui est conditus olim a forti Diomede. hinc Varius maestus discedit amicis flentibus. 93 infatti a Canosa (il pane) è pietroso, non più ricca di un’urna d’acqua: località che è stata fondata un tempo dal forte Diomede. Qui Vario triste si separa dagli amici che piangono. Passiamo alla decima giornata. Siamo a Canosa a 35 miglia, per una tappa rapidissima. La scarsa qualità del pane dipende dalla cattiva qualità delle macine (ipotesi di Heinze e Kiessling), per altri invece l’ipotesi è che Canosa fosse povera d’acqua (perché non ditior urna aquae). Alcuni studiosi propongono di tradurre “non ditior urna aquae” con sottinteso “quam in oppidulo”, cioè con urna soggetto: a Canosa il pane è duro come la pietra, e l’urna non è più ricca di acqua rispetto all’urna della cittadina (nominata prima). 17 Cittadina che ha origini eroiche. Si tratta di un locus a forti Diomede est, quindi fondata da Diomede. Anche in un Epodo I v.29-30 Orazio cita questa città. Diomede in ritorno da Troia (fuggiasco come Odisseo) avrebbe fatto sosta nell’Apulia fondando varie città. Altre città vantano le stesse origini (Strabone). Nel I secolo a.C. la gentes di queste città avevano l’esigenza di farsi riconoscere queste nobili origi per vantare diritti inde Rubòs fessì pervènimus, utpote longum carpentès iter èt factùm corrùptius imbri. 95 postera tempestàs meliòr, via peior ad usque Bari moenia piscosì; dein Gnatia Lymphis inde fessi pervènimus Rubos, utpote carpentes iter longum et factum corruptius imbri. 95 tempestas postera melior (est), via peior ad usque Bari moenia piscosi; quindi stanchi arrivammo a Ruvo, dato che abbiamo arrancato su una strada lunga e resa più disagevole dalla pioggia. il tempo del giorno dopo (è) migliore, la via è peggiore fino alle mura della pescosa Bari; Siamo nella undicesima giornate. Ci sono 23 miglia da Canosa a Ruvo, che si trova in una strada meno agevole, la Via Minucia. La dodicesima giornata, da Ruvo a Bari, anche qui 23 miglia. dein Gnatia Lymphis iratìs exstructa dedìt risusque iocosque, dum à sine tura liquescere limine sacro pèrsuadère cupìt. credàt Iudaeus Apella, 100 non ego; namque deòs didicì sècur(um) ager(e) aèvom nec, siquìd mirì faciàt natura, deòs id tristis ex altò caelì demittere tecto. Brundisiùm longaè finìs chartaeque viaeque (e)st. dein Gnatia exstructa iratis Lymphis dedit risusque iocosque, dum cupit persuadere limine sacro tura liquescere sine flamma. Iudaeus Apella credat18, 100 non ego; namque didici deos agere aevom securum nec, siquid natura faciat miri, deos demittere id tristis ex alto tecto caeli19. Brundisium est finis longae chartaeque viaeque. Poi Gnatia costruita mentre le ninfe erano irate diede risate e scherzi (ci diedero occasione per ridere e scherzare), mentre desidera persuadere (farci credere) che in una soglia (in un luogo) sacra gli incensi si sciolgono senza la fiamma. L’ebreo Apella creda (a questo), non io; infatti ho imparato che gli Dei conducono una vita separata dalle preoccupazioni (indifferenza) né se la natura fa qualcosa di mirabile (è da credere che) gli Dei la mandino dall’alto tetto del cielo (perché) furiosi. Brindisi è la fine della lunga carta e del lungo cammino. Siamo alla tredicesima tappa, nel viaggio che va da Bari a Egnazia. L’ultima giornata di viaggio, da Egnazia a Brindisi, è ridotta ad un solo verso (v.104). 18 Orazio parla degli ebrei come creduloni, probabilmente a causa dei loro riti che apparivano molto strani ai romani. Inoltre il nome Apella è per Porfirione volutamente scelto da Orazio, perché “A pella” vuol dire senza pelle, quindi probabilmente sta sbeffeggiando l’usanza della circoncisione. 19 È un omaggio a Lucrezio De Rerum Natura III