Scarica Umberto Eco - Dire quasi la stessa cosa e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Traduzione solo su Docsity! UMBERTO ECO DIRE LA STESSA COSA Riassunto 1. 1 Sommario 1. I sinonimi di Altavista....................................................................................................................................4 1.1. Equivalenza di significato e sinonimia....................................................................................................4 1.2. Capire i contesti.....................................................................................................................................5 2. Dal sistema al testo.......................................................................................................................................7 2.1. La presunta incommensurabilità dei sistemi.........................................................................................7 2.2. La traduzione riguarda mondi possibili..................................................................................................8 2.3. I testi come sostanze.............................................................................................................................9 3. Reversibilità ed effetto................................................................................................................................12 3.1. La reversibilità ideale...........................................................................................................................12 3.2. Un continuum di reversibilità..............................................................................................................12 3.3. Far sentire............................................................................................................................................14 3.4. Riprodurre lo stesso effetto.................................................................................................................14 4. Significato, interpretazioni, negoziazione...................................................................................................15 4.1. Significato e interpretanti....................................................................................................................15 4.2. Tipi cognitivi e contenuti nucleari........................................................................................................15 4.3. Negoziare: topo o ratto?......................................................................................................................16 5. Perdite e compensazioni.............................................................................................................................18 5.1. Perdite.................................................................................................................................................18 5.2. Perdite per accordo tra le parti............................................................................................................18 5.3. Compensazioni.....................................................................................................................................18 5.4. Evitare di arricchire il testo..................................................................................................................19 5.5. Migliorare il testo?...............................................................................................................................20 5.6. Compensare rifacendo.........................................................................................................................21 6. Riferimento e senso profondo....................................................................................................................24 6.1. Violare il riferimento............................................................................................................................24 6.2. Riferimento e stile................................................................................................................................25 6.3. Riferimento e storia “profonda”..........................................................................................................25 6.4. Livelli di fabula.....................................................................................................................................27 7. Fonti, foci, delta, estuari.............................................................................................................................28 7.1. Tradurre da cultura a cultura...............................................................................................................28 7.2. La ricerca di Averroè............................................................................................................................28 7.3. Alcuni casi............................................................................................................................................29 7.4. Fonte e destinazione............................................................................................................................30 7.5. Addomesticare e straniare...................................................................................................................30 2 Altavista aveva sicuramente in mente una definizione dizionariale perché è vero che work in italiano può essere tradotto come impianti e a sua volta impianti può essere tradotto in inglese come plants o systems. Ma allora ciò significherebbe rinunciare all’idea che tradurre significhi solo “trasferire o volgere da un insieme di simboli a un altro” perché una certa parola in una lingua naturale alfa ha più di un termine corrispondente in una lingua naturale beta. Inoltre, il problema si pone anche al solo parlante inglese. Perché work può significare un’attività, un task, un duty e molte altre cose. Ma quando una sola parola esprime due cose diverse, non parliamo più di sinonimia ma di omonimia. Si ha sinonimia quando due diverse parole esprimono lo stesso concetto, si ha omonimia quando la stessa parola esprime due cose diverse. Se nel lessico di una lingua ci fossero solo sinonimi, essa sarebbe ricchissima e avremmo diversi modi per esprimere lo stesso concetto; se invece avesse tanti omonimi la lingua sarebbe assai povera, dove per esempio svariatissimi oggetti potrebbero essere chiamati il coso. Dunque, per individuare due termini sinonimi nel confronto tra una lingua e un’altra, bisogna prima disambiguare gli omonimi all’interno della lingua che si vuole tradurre. Cosa che Altavista non è capace di fare, mentre lo è un parlante inglese quando decide come intendere work rispetto al contesto verbale in cui appare o alla situazione in cui viene pronunciato. Le parole, quindi, assumono diversi significati a seconda del contesto. Ad esempio, bachelor può essere tradotto come soltero, scapolo in un contesto umano legato a questioni attinenti al matrimonio, mentre invece in un contesto universitario può essere una persona che ha ricevuto un BA e in un contesto medievale il paggio di un cavaliere. Ed è questo il problema di Altavista, che non aveva un dizionario che contenga quelle che in semantica si chiamano “selezioni contestuali”, ossia, non aveva un dizionario onomastico che stabilisse che Shakespeare era un celebre poeta. 1.2. Capire i contesti Il significato di una parola è tutto ciò che noi troviamo in corrispondenza alla parola voce, di solito scritto in grassetto. Leggendo le definizioni della voce ci si rende conto che 1) include varie accezioni o sensi della parola stessa e che 2) queste accezioni non possono essere espressi da un sinonimo ma da una definizione. I lessicografi non solo fanno seguire le voci da definizioni ma provvedono anche istruzioni per la loro disambiguazione contestuale, e questo aiuta moltissimo a decidere quale possa essere il termine equivalente in un'altra lingua naturale. Partendo dal presupposto che Altavista abbia delle regole di disambiguazione contestuali, gli viene dato un contesto abbastanza vasto ossia l’inizio del Genesi nella traduzione inglese detta di King James e viene chiesto di tradurlo in spagnolo. Altavista, dal punto di vista lessicale, non ha torto: se God called the light Day in spagnolo diventa la storia di un dio che ha chiamato un giorno leggero (y el dios llamó el día ligero) perché non doveva intendere face come cara piuttosto che come surface? Al massimo poteva comprendere che that it non si traduce come qu eque. Inoltre ha inteso beginning non come un sostantivo ma come un aggettivo 5 perché è sprovvisto di informazione biblico-teologica e non vede differenze tra un Dio che sta all’inizio e un Dio che sta iniziando qualcosa. Questo ci fa pensare che una traduzione non dipenda solo dal contesto linguistico ma anche da qualcosa che sta al di fuori del testo e che chiameremmo informazione circa il testo o informazione enciclopedica. Altavista, dunque, sembra essere sprovvisto anche delle selezioni contestuali perché dimostra di non sapere che la parola spirit acquista diversi significati a seconda se viene pronunciata in una chiesa o in un bar. Successivamente il testo è stato ritradotto in inglese dallo spagnolo e si nota che è vittima degli errori del precedente salvo che traduce lo spagnolo medio con means, ma anche de lac aguas con of waters, non avendo l’informazione enciclopedica che non esistono waters of waters. Ma a questo problema ha posto rimedio la traduzione in tedesco in cui viene ripresa l’idea di un Dio che ricomincia, ma traduce earth con Masse, form con formular, ripete gli errori precedenti per cui il mondo è senza forma e senza vuoto, e il giorno leggero; l’alcool divino diventa spiritus, il that that diventa das das. Per tradurre created viene usato il verbo herstellen, sa che va coniugato come ich stelle her o ich stellte her, per qualche regola sintattica sa che deve porre her alla fine della frase ma non si rende conto che la frase finisce con Himmel e lo pone troppo avanti. Il testo poi viene ritradotto in inglese dal tedesco: di fronte al tedesco stellte….her Altavista non riconosca un verbo composta e intende her singolarmente come ago; Spiritus ridiventa qualcosa di alcolico e non riesce a tradurre wassert. Infine, viene ritradotto in italiano. Qualcuno può dire che il servizio di traduzione di Altavista essendo gratuito non si possono avere eccessive pretese. Ma lo stesso traduttore Bernardo Draghi ha sottoposto l’inizio del capitolo 10 di Moby Dick a quello che lui indica come “un noto software di traduzione, venduto al prezzo di circa un milione di lire”. In conclusione, la sinonimia secca non esiste, tranne forse in alcuni casi come husband ma anche in questo caso ci sarebbe da discutere perché husband in inglese arcaico significa anche buon economo, in linguaggio marinaresco è un “capitano d’armamento” o “raccomandatario” e, anche se raramente, un animale usato per incroci. 6 2. Dal sistema al testo Altavista probabilmente possiede delle istruzioni circa le corrispondenze tra termine e termine fra due o più lingue. Ma se la traduzione riguardasse i rapporti tra due lingue allora l’esempio principe di traduzione soddisfacente sarebbe il dizionario bilingue. Tuttavia, il dizionario è uno strumento per tradurre, non una traduzione, altrimenti gli studenti avrebbero il massimo dei voti nella versione di latino solo esibendo il dizionario latino- italiano. Gli studenti non devono, infatti, provare che posseggono il dizionario ma provare la loro abilità traducendo un testo singolo. La traduzione, dunque, non avviene tra sistemi ma tra testi. 2.1. La presunta incommensurabilità dei sistemi Ogni lingua esprime una propria visione del mondo, e queste visioni del mondo sono mutuamente incommensurabili e, pertanto, tradurre da una lingua a un’altra ci espone a incidenti inevitabili. Infatti, Altavista ricorda molto quel jungle linguist descritto da Quine nel saggio “Meaning and Translation” secondo cui è difficile stabilire il significato di un termine anche quando il linguista punta il dito su un coniglio che passa e l’indigeno pronuncia qavagai! L’indigeno sta intendendo che quello è il nome di quel coniglio, dei conigli in generale, che l’erba si sta muovendo? La risposta a ciò è impossibile se il linguista non conosce la cultura indigena. Il linguista, dunque, inizia a elaborare una serie di ipotesi analitiche che lo portano a costruirsi un possibile manuale di traduzione e quindi se ne deduce un principio di indeterminatezza della traduzione. Essa è dovuta al fatto che così come noi parliamo della verità di un’asserzione solo entro i termini di qualche teoria, così possiamo parlare di sinonimia interlinguistica solo nei termini di qualche sistema di ipotesi analitiche. Questo olismo quineano non è molto differente dall’idea che ogni lingua naturale esprima una propria visione del mondo. In che modo questo accade è spiegato dalla semiotica di Hjelmslev (1943). Secondo quest’ultimo, una lingua consiste di un piano dell’espressione e di un piano del contenuto, che rappresenta i concetti esprimibili da quella lingua. Ciascuno dei due piani consiste di forma e sostanza ed entrambi sono il risultato della segmentazione di un continuum o materia pre- linguistica. Prima che una lingua naturale abbia posto un ordine al nostro modo di esprimere l’universo, il continuum o materia è una massa amorfa e parti di essa vengono linguisticamente organizzate per esprimere altre parti della stessa massa. In una lingua naturale la forma dell’espressione seleziona alcuni elementi del continuum di tutte le possibili fonazioni e consiste di un sistema fonologico, repertorio lessicale e regole sintattiche. Si possono generare varie sostanze dell’espressione a tal punto che una stessa frase, come Renzo ama Lucia, pur rimanendo immutata la forma, si incarna in due sostanze diverse a seconda se viene pronunciata da una donna o da un uomo. Dal punto di vista della grammatica di una lingua le sostanze dell’espressione sono irrilevanti mentre invece sono importanti le differenze di forma. Basti pensare come una lingua Alfa consideri pertinenti certi suoni che una 7 Come primo tentativo, si cerca di comprendere il senso letterario e di correlarlo a mondi possibili: se si legge Biancaneve mangia una mela, sapremo che un individuo di sesso femminile sta mordendo, masticando e inghiottendo una mela e si faranno delle ipotesi sul mondo possibile dove si sta svolgendo quella scena. È il mondo in cui viviamo o un mondo favolistico? Se si decidesse nel secondo senso vorrebbe dire che si fa ricorso a competenze enciclopediche, tra le quali anche competenze di genere letterario. Se invece si legge Biancaneve ha mangiato la foglia, si farà ricorso a un’altra serie di conoscenze enciclopediche: si controllerà se per caso Biancaneve non sia una capretta oppure si farà riferimento a un repertorio di espressioni idiomatiche e si comprenderà che mangiare la foglia è un’espressione proverbiale. Inoltre, ad ogni passo si possono individuare le isotopie, ovvero livelli di senso omogenei. Ad esempio, date le due frasi il fantino non era soddisfatto del cavallo e il sarto non era soddisfatto del cavallo, solo individuando le isotopie si è in grado di capire che nel primo caso cavallo è un animale e nel secondo una parte dei pantaloni. Ancora, attiviamo delle sceneggiature comuni, per cui se leggiamo Luigi partì in treno per Roma diamo per implicito che debba essere andato in stazione, acquistato il biglietto e così via. A questo punto possiamo ricostruire, dall’intreccio, della fabula, ossia la sequenza cronologica degli eventi che tuttavia il testo può montare secondo un intreccio differente. Entrambe non sono questioni linguistiche ma strutture che possono essere realizzate in un altro sistema semiotico, nel senso che si può raccontare la stessa fabula dell’Odissea con lo stesso intreccio non solo attraverso una parafrasi ma anche mediante un film o una versione a fumetti. Inoltre fabula e intreccio non esistono solo nei testi narrativi. In A Silvia di Leopardi c’è una fabula e un intreccio. Quanto sia da rispettare l’intreccio in una traduzione ce lo dice il fatto che non ci sarebbe traduzione adeguata di A Silvia che non ne rispettasse, oltre alla fabula, anche l’intreccio. Proprio perché dall’intreccio ricostruisco la fabula, a mano a mano che si prosegue la lettura, si possono tracciare delle proposizioni che riassumono il testo e a una fase più avanzata si possono delineare delle iperproposizioni. Questo incassamento da proposizioni a iperproposizioni sarà ciò che ci consentirà di decidere quale sia la storia profonda che il testo racconta e quali siano eventi marginali. Da qui si può comprendere non solo l’eventuale psicologia dei personaggi ma anche le strutture attanziali. Ad esempio, se leggiamo i Promessi Sposi, possiamo renderci conto che Renzo e Lucia sono privati del loro oggetto del loro desiderio e si trovano di volta in volta di fronte a delle forze oppositrice e adiuvanti. All’inizio incarniamo la forza oppositrice in Don Rodrigo e quella adiuvante in Fra Cristoforo, tuttavia, lo svolgimento testuale ci permette di spostare il personaggio dell’Innominato da forza oppositrice a adiuvante mentre quello della monaca di Monza da adiuvante a oppositrice. Alla fine del romanzo comprenderemo che il vero attante dominante è la Provvidenza. Dunque, la comprensione di una singola frase può di colpo farmi abbandonare un’ipotesi interpretativa che mi aveva sorretto fino alla fine della 10 lettura e la scommessa interpretativa è fondamentale per le decisioni di un traduttore. In realtà ci sono a livello dell’espressione più sostanze che vale anche per sistemi non verbali come quella filmica in cui contano le immagini ma anche il ritmo, parole suoni, quelle in quadro come fenomeni coloristici, rapporti chiaroscurali. In un testo verbale è sicuramente importante la sostanza linguistica. La frase passami il sale, sappiamo che può esprimere rabbia, cortesia, sadismo, timidezza, a seconda di come venga pronunciata e l’enunciatore viene definito colto, illetterato o comico se l’accento è dialettale. Nella frase passami prego il sale – se di me pur ti cale intervengono anche metrica e rima e la difficoltà del traduttore sta nel trovare una rima equivalente anche se si usano parole diverse. In un testo poetico abbiamo dunque una sostanza linguistica, una sostanza metrica ma anche una sostanza fonosimbolica. Tornando a A Silvia, ogni tentativo di tradurre la sua prima strofa risulterebbe inadeguato se non si riuscisse a far si che l’ultima parola della strofa (salivi) fosse un anagramma di Silvia. Tuttavia, è difficile riuscire a fare ciò come si vede nella traduzione fatta da Michel Orcel che è stato costretto a lasciare cadere il rapporto Silvia/salivi. 11 3. Reversibilità ed effetto Spezzando una lancia a favore di Altavista possiamo dire che se qualcuno leggesse l’ultima versione italiana del brano biblico riuscirebbe a capire che si tratta di una cattiva traduzione del Genesi e non di una cattiva traduzione di Pinocchio e anche chi non ha mai sentito citare l’inizio del Genesi si renderebbe conto che si tratta di un brano in cui si descrive come un Dio ha in qualche modo fatto il mondo. Un caso in cui Altavista si è comportato onorevolmente è quello in cui è stata tradotta una versione inglese della prima quartina di Les Chats di Baudelaire. Si può notare come dal punto di vista semantico si è recuperato moltissimo del testo originario e l’unico errore è l’avverbio like inteso come voce verbale. Mentre invece dal punto di vista metrico si mantiene almeno il primo verso alessandrino e una rima. Dunque, possiamo dire che in questo caso il sistema suggerisce una buona definizione del concetto di traduzione “ideale” tra due lingue: il testo B nella lingua Beta è la traduzione del testo A nella lingua Alfa se, ritraducendo B nella lingua Alfa, il testo A2 che si ottiene ha in qualche modo lo stesso senso del testo A. Una traduzione, dunque, anche se sbagliata permette in qualche modo di tornare al testo di partenza. Il qualche modo in questo caso fa riferimento al fatto che permette di dire che la traduzione di Altavista è certamente la traduzione di una versione inglese di quella poesia francese, e non di un’altra. 3.1. La reversibilità ideale L’incipit di Pinocchio è: C’era una volta… - Un re! – diranno subito i miei piccoli lettori. - No ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno. Osservando la traduzione di Cazelles vediamo come Il était une fois, corretta traduzione di c’era una volta, inizia però con una lineetta, come se un personaggio del racconto parlasse ma a parlare è il narratore ed esso non rappresenta una delle dramatis personae. Ma ciò che rimane ambiguo è quel direz-vous che non si sa se è rivolto dai piccoli lettori all’autore o se è l’autore che meta narrativamente commenta una esclamazione che ha attribuito ai lettori rappresentandoli come Lettori Modello o ideali. Quindi, mentre nell’originale il Narratore prende l’iniziativa di evocare il fantasma dei piccoli e ingenui lettori, nella versione Cazelles siamo messi di fronte a un dialogo tra chi parla e chi ascolta come se fossero drumatis personae. Le due traduzioni si pongono su due diverse posizioni in una graduatoria di reversibilità: la prima rende reversibili anche alcuni tratti stilistici e una strategia enunciativa, la seconda lo fa molto meno. Questo ci fa capire che un livello della Manifestazione Lineare è anche quello di grafemi apparentemente trascurabili come le virgolette o le lineette che introducono un dialogo. 3.2. Un continuum di reversibilità 12 4. Significato, interpretazioni, negoziazione Traducendo Sylvie di Nerval ci si rende conto che sia le case del villaggio dove viva la protagonista, Loisy, che la casa della zia, che Sylvie il Narratore visitano a Othys, sono delle chaumières, parola che in italiano non esiste. Il termine francese esprime almeno cinque proprietà: è una casa da contadini, piccola, di solito in pietra, dai tetti di stoppia, umile. Quali di queste proprietà sono pertinenti per il traduttore italiano? I traduttori italiano hanno optato per capanna, casupola, casetta o piccola baita. In questo caso è una chaumière en pierres de grès inégales, e quindi non è una capanna, che in italiano dovrebbe essere in legno o paglia, non è una casetta perché ha il tetto di stoppie, ma non è neppure una baita. È che in molti villaggi francesi dell’epoca le casette dei contadini erano fatte così, senza essere delle villette né delle capanne. Quindi bisogna rinunciare ad alcune proprietà e salvare solo quelle rivelanti per il contesto. Per le case di Loisy si è rinunciato al tetto in stoppia per mettere in evidenza che si trattava di “casupole in pietra”. Per la casa della zia, il testo dice che è in grès che in italiano si traduce “arenaria” ma il termine mi ricorda pietre ben squadrate. Si poteva dire che la casa è di arenaria e pietre diseguali ma la precisazione in italiano lascia in ombra che il tetto fosse di stoppia. Quindi per dare al lettore una impressione visiva della casa si è tralasciato il particolare che fosse di arenaria, si è detto che si trattava di una casetta in pietra precisando che il tetto era di stoppia. 4.1. Significato e interpretanti Si è detto che il significato è tutto quello che una voce di dizionario o di enciclopedia fa corrispondere a un dato termine. Questo criterio è coerente con una semiotica ispirata a Charles Sanders Pierce. Per Pierce per stabilire il significato di un segno o insieme di segni è necessario sostituirlo con un altro segno o insieme di segni, che a sua volta è interpretabile da un altro segno o insieme di segni, e così via ad infinitum. A livello lessicale, l’interpretante potrebbe essere un sinonimo, un segno in un altro sistema semiotico, o anche un discorso complesso che non solo traduce ma sviluppa anche tutte le possibilità logiche implicate dal segno. Tornando a chaumière, la serie dei suoi interpretanti è data dalle proprietà, poi dalle immagini del tipo di abitazione e tutte le connotazioni rurali che il termine evoca. Ma l’interpretante può essere una risposta comportamentale ed emotiva, Pierce avrebbe parlato di energetic interpretant, ossia che una risata può essere interpretata come una battuta spiritosa. Ma proprio una nozione così ampia di interpretante ci dice che se una traduzione è una interpretazione, non sempre una interpretazione è una traduzione. Infatti, la risata che consegue alla battuta ci dice che si trattava di una battuta, ma non ne esplicita il contenuto. 4.2. Tipi cognitivi e contenuti nucleari La nozione di significato può anche essere messa sotto il concetto di negoziazione. Si negozia il significato che la traduzione deve esprimere perché si negozia sempre, nella vita quotidiana, il significato che dobbiamo attribuire alle espressioni che usiamo. La gente di solito si trova d’accordo nel riconoscere certi oggetti come acconsentire che per strada sta passando un gatto piuttosto che un cane, o che un edificio di due piani è una casa mentre invece uno di dieci piani è un grattacielo. 15 Questo significa che possediamo una sorta di schema mentale in base al quale siamo capaci di riconoscere un determinato oggetto. Non sappiamo che cosa qualcuno abbia nella testa quando riconosce un topo o comprende la parola topo ma lo sappiamo solo dopo che questo qualcuno ha interpretato la parola topo per permettere a qualcuno, che non ha mai visto topi, di riconoscerli. Allo stesso modo non sappiamo che cosa accade nella testa di chi riconosce un topo, ma sappiamo attraverso quali interpretanti qualcuno spiega agli altri cosa sia un topo. Questo insieme di interpretazioni vengono chiamate Contenuto Nucleare della parola topo. Il Contenuto Nucleare è visibile, toccabile, confrontabile perché viene espresso attraverso suoni, immagini eccetera. Esso rappresenta le nozioni minime, i requisiti necessari per poter riconoscere un dato concetto. Come esempio, prendiamo la definizione di topo. Se questa deve permettere di poter identificare un topo, o comunque di rappresentarlo mentalmente, allora la definizione strettamente dizionariale “mammifero, muride, roditore” non è sufficiente. Ma sarà insufficiente anche la definizione proposta dall’Enciclopedia Britannica, che parte da una definizione zoologica, specifica le aree in cui prospera, i suoi processi riproduttivi, la sua vita sociale e così via. A queste due Wierzbicka oppone la propria definizione che contiene termini primitivi: il topo viene descritto come grigiastro o brunastro, hanno le gambe corte tali che non si vedono quando camminano, la testa sembra non essere separata dal corpo, il corpo sembra una cosa piccola con una lunga coda senza peli, ha pochi peli duri che spuntano da entrambi i lati, hanno due orecchie rotonde alla sommità della testa. Queste sono le condizioni minime. Uno zoologo invece sa sui topi tante altre cose che un parlante normale non sa e questa viene definita “conoscenza allargata” che comprende anche nozioni non indispensabili al riconoscimento percettivo. Parleremo dunque di Contenuto Molare. Mentre a livello del Contenuto Nucleare ci dovrebbe essere un consenso generalizzato, il Contenuto Molare rappresenta un vasto insieme di competenze settoriali. Uno zoologo conosce benissimo la differenza tra topo e ratto, così dovrebbe conoscerla un traduttore di un trattato zoologico. Ma supponiamo che io e uno zoologo vediamo, in una stanza, guizzare una piccola forma affusolata. Entrambi grideremmo Attenti, un topo! E in questi casi entrambi ci siamo ridotti allo stesso Tipo Cognitivo. Lo zoologo ha dunque ridotto il suo patrimonio di conoscenza, anche se avrebbe potuto riconoscere nell’animaletto una sottospecie di muridi che nei suoi trattati ha un nome ben preciso, e si è uniformato al mio Contenuto Nucleare. È avvenuto un implicito atto di negoziazione. 4.3. Negoziare: topo o ratto? Sarebbe facile dire che tradurre significa semplicemente rendere il termine mouse, souris, topo o Maus in uno che meglio convoglia il Contenuto Nucleare corrispondente. Un traduttore infatti traduce testi, e può darsi che, una volta chiarito il Contenuto Nucleare di un termine, decida, per fedeltà alle intenzioni del testo, di negoziare vistose violazioni di un astratto principio di letteralità. Un esempio è la traduzione italiana della scena di Amleto dove Amleto, gridando How 16 now! A rat? Sguaina la spada e trafigge la tenda uccidendo Polonio. Tutte le versioni italiane traducono Cosa c’è, un topo? O Come? Un topo? Non si dubita che molti traduttori sapessero che non solo rat significhi un animale ma significa anche per connotazione “a contemptible person” e che to smell a rat significa sentire odore di complotto. Ma la parola italiana ratto non ha queste connotazioni, inoltre in ogni situazione in cui qualcuno è spaventato da un roditore, il grido tradizionale è un topo! Quindi, per rendere al lettore italiano il grido di sorpresa era più conveniente fargli urlare un topo? Piuttosto che un ratto? 17 partendo dal principio che anche il lettore originario fosse in grado di disambiguare le espressioni incerte. 2. Il secondo caso si dà quando l’autore originario ha commesso un peccato di non voluta ambiguità e quindi il traduttore non solo risolve il punto nel testo di arrivo, ma illumina l’autore inducendolo, in una edizione successiva dell’opera originale, a chiarire meglio quanto intendeva dire. 3. Il terzo caso si ha quando l’autore non voleva essere ambiguo, lo è stato per sventatezza, ma il lettore (ossia il traduttore) ritiene che quell’ambiguità sia interessante. Allora il traduttore farà del suo meglio per renderla perché avrebbe scoperto che l’intentio operis appare più maliziosa dell’intentio auctoris. 4. Il quarto caso si ha quando l’autore e il testo volevano essere ambigui e quindi in questo caso il traduttore deve rispettare l’ambiguità. 5.5. Migliorare il testo? Ci sono vari casi in cui pensiamo che una traduzione migliori il testo, come ad esempio i miglioramenti preterintenzionali, che non risultano da una modificazione voluta ma da una scelta letterale obbligatoria. Il Cyrano de Bergerac, ad esempio, risulta essere migliore dell’originale di Rostand. Nell’ultima scena Cyrano muore, la sua voce si affievolisce, ha un ultimo sussulto di energia e pronuncia come ultima frase mon panache, che in italiano si traduce in pennacchio mio. A causa dell’accento francese cade e si affievolisce in un sussurro ed è per questo motivo Rostand pone alla fine un punto fermo e non un punto esclamativo. La traduzione italiana è invece un acuto melodrammatico. Mentre alla lettura è meglio il francese, sul palcoscenico quel sussurro francese è la cosa più difficile da recitare perché, nel pronunciarlo, il morente dovrebbe in qualche modo risollevarsi ma la voce gli manca. In italiano, invece, se il pennacchio non è gridato, ma sussurrato, la lingua gli suggerisce il gesto e si ha l’impressione che il morente si risollevi mentre la voce gli si spegne. Ci sono casi in cui il traduttore perde qualcosa ma perdendo qualcosa guadagna qualcos’altro. Un caso è quello segnalato da Fujimura che ha consultato le traduzioni in altre lingue e ha individuato un errore di Bill Weaver nella traduzione inglese. Weaver ha inteso le ciurmerie come “cosa da ciurma” e ha tradotto celestial crews. Il fatto che in quel cielo si aggirino equipaggi celesti aggiunge un tocco surreale a quella visione. Tuttavia, il traduttore non deve proporsi di migliorare il testo. Un caso limite in cui la tentazione del miglioramento è forte è un caso di esperienza personale di Eco quando aveva risposto a un invito di Calvino proponendo di tradurre Il conte di Monte-Cristo di Dumas. Ha sempre considerato quest’opera un capolavoro della narratività ma sostenere la forza narrativa non significa dire che si tratti di un’opera d’arte perfetta e ci si riferisce ad essi come capolavori della “paraletteratura”. La paraletteratura, dunque, esiste e si tratta di merce seriale, romanzi gialli o rosa da leggere in spiaggia che hanno il fine di divertire e non si pongono alcun problema di stile o di invenzione. Che cosa siano i romanzi di Dumas 20 appare chiaro quando rileggiamo Sue, da cui Dumas ha tratto suggerimenti. Ad esempio, il Monte-Cristo, con la sua celebrazione del giustiziere vendicatore, è stato scritto sulla scia del successo dei Misteri di Parigi di Sue. Tuttavia, se rileggiamo quest’ultimo ci accorgiamo che le lungaggini rendono di piombo quel libro mentre invece I tre moschettieri sono un libro scattante. Quindi possiamo dire che Dumas ha uno stile migliore di quello di Sue. Questo significa che esistono virtù di scrittura che non necessariamente si identificano né con il lessico né con la sintassi ma con tecniche di ritmo e accorto dosaggio narrative, che fanno passare il confine tra letteratura e paraletteratura. Nel Monte-Cristo, sotto l’addensarsi di vicende infinite e infiniti colpi di scena emergono alcune strutture che possiamo definire “cristologiche”. Inoltre, ci offre la vertigine dell’agnizione, molla narrativa fondamentale sin dai tragici greci, ma non una sola volta come bastava ad Aristotele, ce ne una catena e ogni volta è soddisfacente. Ci sono dunque tutte le ragioni per cui il Monte Cristo possa essere un romanzo mozzafiato, eppure Casablanca diventa un film di culto perché procede svelto come I tre moschettieri mentre il Monte-Cristo è fangoso ed ansimante. Denso di ridondanze, ripete lo stesso aggettivo a una riga di distanza, s’impantana in disgressioni. Questo è spiegato dal fatto che Dumas era pagato un tanto a riga e perché il racconto appariva a puntate e occorreva ricordare al lettore smemorato quello che era accaduto la puntata precedente. Ma in una traduzione fatta oggi si devono ancora tenere in considerazione le stesse esigenze? Lo stesso Dumas non avrebbe provveduto egli stesso con maggior speditezza se avesse saputo che i suoi lettori si erano già educati su Hemingway o su Hammett? Non si potrebbe sveltire il Monte-Cristo dove la ridondanza è inutile? Ad esempio, Dumas dice sempre che qualcuno si alza dalla sedia dove era seduto, ma da quale sedia avrebbe dovuto alzarsi? E dunque non è sufficiente tradurre che si alzava dalla sedia o che si alzava e basta, se era già sottinteso che si trovasse a tavola? Per non dire della tentazione di eliminare tutti i Monsieur. Il francese usa monsieur più di quanto l’italiano usi signore: ancora oggi accade in Francia che due vicini di casa, entrando in ascensore, possano salutarsi con bonjour, monsieur mentre in italiano basa solo buongiorno. Soprattutto nei romanzi del XIX secolo se ne trovano un sacco. Occorre tradurli anche quando parlano tra loro due persone di pari condizione? La presenza di tutti quei monsieur non solo manteneva il tono francese e XIX secolo ma metteva in scena delle strategie conversazionali essenziali per capire i rapporti tra i personaggi. E quindi tutte quelle lungaggini avevano una strategia fondamentale ossia creare attesa. Per questo motivo possiamo dire che il Monte-Cristo è, per la strategia narrativa usata, se non ben scritto certamente scritto come si deve. Dumas l’aveva capito: se I tre moschettieri deve filare svelto perché tutti siamo interessati a sapere come gli altri come se la cavano, il Monte-Cristo deve procedere adagio perché è del nostro spasimo che racconta. 5.6. Compensare rifacendo Ci sono situazioni in cui, per rispettare l’effetto che il testo voleva ottenere, si è autorizzati a tentare rifacimenti parziali o locali. 21 Un primo esempio è dato dalla traduzione spagnola dell’Isola del giorno prima, di Eco. Egli aveva avvisato i traduttori che il testo usava un lessico barocco e molte volte i personaggi usavano brani della poesia barocca italiana dell’epoca. La traduttrice spagnola, Helena Lozano, che aveva a che fare con una letteratura spagnola del Siglo de Oro molto affine al concettismo italiano, ha optato per un rifacimento. In un brano che esprime ardori amorosi incontrollati, poco contava cosa dicesse effettivamente l’amante ma importava solo che lo dicesse nei modi del discorso amoroso del Siglo de Oro. La scelta dei testi è stata fatta tenendo in considerazione il carattere ricreativo delle traduzioni dell’epoca: si identificava un nucleo funzionale e lo si sviluppava a modo proprio. In questo caso le isotopie che contavano erano l’identificazione Lilia/fiore. In questo caso il rifacimento è un atto di fedeltà e il testo prodotto da Lozano produca esattamente l’effetto che l’originale voleva produrre. Un altro caso di rifacimento parziale, ed il più interessante, è la traduzione del primo capitolo del Baudolino di Eco. In esso aveva inventato una lingua pseudo- piemontese, scritta da un ragazzo analfabeta del XII secolo. Aveva segnalato ai traduttori che dovevano ricreare una situazione linguistica analoga, ma si rendeva conto che il problema sarebbe cambiato da paese a paese. Chi si è posto problemi filologici è stata Helena Lozano che ha deciso di rendere il testo in uno spagnolo inventato che ricordasse El Cantar de mio Cid e la Fazienda de Ultramar. Però si pone anche il problema di preservare alcune sonorità originali senza tentare di rifarle a tutti i costi in spagnolo medievale. Per l’espressione Fistiorbo che fatica skrivere mi fa già male tuti i diti, appurato che fistiorbo è una imprecazione dialettale che significa “che tu potessi diventare cieco”, Lozano decide di latinizzare. Considerazioni analoghe ha intrapreso Arenas Noguera per la traduzione catalana, almeno per il primo brano, mentre per il secondo ha tentato una traduzione letterale. Schifano, invece, tenta un adattamento francesizzante: parimenti a fistiorbo, si rifà a un equivalente espressione popolare francese ossia morsoeil. Weaver, invece, domestica e modernizza e ricorre a un inglese volgare quasi contemporaneo. Più interessante è il comportamento di Kroeber. Il fistiorbo diventa un verflixt swer, ma sembra che per esigenza filologica il traduttore voglia mantenere l’originale nell’altro brano. Entra qui in gioco un problema molto delicato che è quello delle oscenità. L’italiano ne è ricco mentre il tedesco è più contenuto. Così una esclamazione che in italiano sarebbe sconveniente ma non inusuale e connoterebbe origine e livello sociale del parlante, in tedesco sarebbe blasfema e volgare. All’inizio del secondo capitolo, Baudolino entra caracollando nella chiesa di Santa Sophia in Costantinopoli e, per esprimere la sua indignazione verso i crociati che stanno saccheggiando gli arredi sacri, pronuncia alcune bestemmie. L’effetto vuole essere comico e pertanto pronuncia frasi come “ventrediddio” “madonna lupa” “mortediddio” eccetera. Weaver li ha tradotti con “God’s belly”, “by the virgin”, “’’sdeath”. Certamente ha perduto l’effetto popolare di quel madonna lupa ma è noto che gli anglosassoni non hanno la stessa confidenza con le cose sacre che esibiscono le popolazioni cattoliche. I traduttori in spagnolo, brasiliano, francese e 22 l’enciclopedia per vedere se l’asserzione sia corretta, nel secondo caso possiamo controllare de visu. Possono anche esserci dei testi che non comprendono atti di riferimento come un dizionario o una grammatica, ma nella maggior parte dei casi i testi mettono in gioco atti di riferimento. Il testo di un articolo di giornale, che asserisce che il personaggio politico è morto, richiede che si controlli in qualche modo se quanto detto è vero. Un testo narrativo che dica che il principe Andreij è morto ci impegna ad accettare l’idea che il principe sia davvero morto così che il lettore protesterebbe se lo vedesse riapparire nel seguito del romanzo. Il traduttore, dunque, non dovrebbe permettersi di cambiare i riferimenti del testo narrativo e infatti nessun traduttore oserebbe dire, nella sua versione, che David Copperfield viveva a Madrid o che Don Chisciotte viveva in un castello della Guascogna. 6.2. Riferimento e stile Ci sono casi in cui il riferimento può essere disatteso per poter rendere l’intenzione stilistica del testo originale. L’isola del giorno prima si basa su rifacimento dello stile barocco, con molte citazioni di poeti e prosatori dell’epoca. Eco ha incitato i traduttori a non tradurre letteralmente dal testo ma a trovare equivalenti nella poesia secentesca della loro tradizione letteraria. Nel capitolo 32 il protagonista descrive i coralli dell’oceano Pacifico e, siccome li vede per la prima volta, ricorre a metafore e a similitudini. Dovendo nominare diverse sfumature dello stesso colore, non poteva ripetere più volte termini come rosso o carminio ma doveva variare attraverso l’uso di sinonimi. Questo anche per creare delle ipotiposi, ossia dare al lettore l’impressione “visiva” di una immensa quantità di colori diversi. C’era, dunque, un doppio problema per il traduttore: trovare adeguati riferimenti cromatici nella propria lingua e altrettanti termini più o meno sinonimi per lo stesso colore. Non è detto che questa operazione possa riuscire in qualsiasi lingua, e quindi Eco ha invitato i traduttori, nel caso in cui non avessero sinonimi per lo stesso colore a cambiare liberamente di tinta. Non era importante che un dato corallo fosse rosso o giallo ma che lo stesso termine non occorresse due volte nello stesso contesto e che il lettore abbia una vasta varietà cromatica. 6.3. Riferimento e storia “profonda” Nella traduzione inglese del Pendolo di Foucalt, ci sono state delle difficoltà davanti al seguente dialogo: Diollatevi: Dio ha creato il mondo parlando, mica ha mandato un telegramma. Belbo: Fiat lux, stop. Segue lettera. Casaubon: Ai Tessalonicesi, immagino. È uno scambio di battute goliardico ma importante per caratterizzare lo stile mentale dei personaggi. Queste battute si basavano sul fatto che in italiano si usa la stessa parola, lettera, sia per indicare le missive postali che per i messaggi di san Paolo. Però in inglese quelle di San Paolo non sono dette letters ma epistles e quindi 25 se Belbo parlasse di letter non si capirebbe il riferimento paolino, e se parlasse di epistle non si capirebbe il riferimento al telegramma. Quindi il dialogo viene alterato: diollatevi: God created the world by speaking. He didn’t send a telegram. Belbo: Fiat lux, stop. Casaubon: epistle follows. Quindi mentre in italiano il gioco era basato su una identità lessicale, in inglese si basa su una identità di significato. In questo caso Eco ha invitato il traduttore a trascurare il significato letterale dell’originale per preservare il “senso profondo”. Infatti, il traduttore aveva compreso che una traduzione letterale non avrebbe funzionato ed Eco si è limitato a suggerire una soluzione. Di solito non è tanto l’autore a influenzare il traduttore quando il traduttore che chiedendo conforto all’autore circa una modifica, quest’ultimo gli permette di capire quale sia il vero senso di quello che l’autore aveva scritto. Sempre in quest’opera, Eco mette in bocca ai personaggi mole citazioni letterarie, la cui funzione è quella di mostrare l’incapacità di questi personaggi di guardare al mondo se non per interposta citazione. Nel capitolo 57, descrivendo un viaggio in macchina tra le colline, il testo italiano cita “al di là della siepe” che rimanda all’Infinito di Leopardi. È stata utilizzata per mostrare che Diotallevi riusciva ad avere una esperienza del paesaggio solo riconducendola alla sua esperienza della poesia. È stato detto ai traduttori che la siepe non era importante, neppure il richiamo a Leopardi, ma che ci doveva essere a tutti i costi un richiamo letterario. Dunque, ciascun traduttore ha inserito un richiamo a un passo della propria letteratura, riconoscibile dal lettore a cui la traduzione mirava. Soluzione uguale è stata adottata per un esempio analogo nel capitolo 29 quando dice “che non spirava un alito di vento”, citazione manzoniana. Il problema è che tutte queste traduzioni sono referenzialmente false perché l’originale dice che Casaubon aveva detto p mentre quello inglese dice che aveva detto q. Si può avere una traduzione che preserva il senso del testo cambiando il suo riferimento? Si dirà che gli atti di riferimento in un mondo fittizio sono soggetti a minori controlli rispetto a un giornale. Ma allora cosa si direbbe se un traduttore francese traducesse il famoso to be or not to be in vivre ou bien mourir? Si direbbe che un testo celebre come Amleto non possa essere cambiato, mentre con Il pendolo di Foucalt ognuno può fare quello che vuole. Eppure, abbiamo visto come in una traduzione italiana sia stato lecite dire che Amleto asserisca di aver avvertito un topo, e cioè un mouse, piuttosto che un rat. Perché una licenza è accettabile e l’altra non lo potrebbe mai essere? È chiaro che solo attraverso questa infedeltà il traduttore poteva suggerire il senso degli episodi e per prendere questa decisione il traduttore doveva interpretare l’intero testo. Interpretare significa fare una scommessa sul senso del testo. Questo senso è solo il risultato di una serie di inferenze che possono essere condivise o meno da altri lettori. E ogni interpretazione rimane una scommessa. 26 6.4. Livelli di fabula Per essere fedele a senso profondo di un testo, una traduzione può cambiare il riferimento. Ma fino a che punto? Dobbiamo quindi tornare alle distinzioni tra fabula e intreccio. Rispettare la fabula significa rispettare il riferimento di un testo a mondi possibili narrativi. Se un romanzo racconta che il maggiordomo scopre il cadavere del conte nella sala da pranzo con un pugnale alla schiena, non si può tradurre che lo scopre impiccato. Se torniamo all’esempio di Diotallevi e della siepe, vediamo che i traduttori hanno cambiato fabula: nel mondo possibile dell’originale c’era una siepe e nel mondo possibile della traduzione spagnola c’è una pianura spaziosa. Ma quale era la fabula raccontata? Che diotallevi avesse visto una siepe o che fosse ammalato di letteratura tanto da non sapere percepire la natura se non attraverso la cultura? In un romanzo il livello del contenuto non è fatto solo di eventi bruti ma anche da sfumature psicologiche e il traduttore deve decidere quale sia il livello o i livelli di contenuto che la traduzione deve trasmettere. Si è detto che ogni frase che appare nella Manifestazione Lineare può essere riassunta da una microproposizione. A loro volta, queste nel corso della lettura, vengono incassate in macroproposizioni più ampie. E l’intero romanzo può essere riassunto dalla ipermacroproposizione. Se le storie sono così incassate, a che livello il traduttore può cambiare una storia superficiale per preservare una profonda? Ogni testo consenta una risposta diversa ma possiamo dire che si può cambiare il significato di una singola frase per preservare il senso della micropoposizione che la riassume. 27 7.4. Fonte e destinazione Il caso estremo di Guerra e Pace ci ricorda che una traduzione può essere sia target che source oriented, ossia che può essere orientata al testo di partenza o al testo di destinazione. Quando si fa una traduzione ci si domanda se essa debba condurre il lettore a immedesimarsi in una certa epoca e in un certo ambiente culturale, quello del testo originale, o se debba rendere l’epoca e l’ambiente accessibile al lettore della lingua e cultura di arrivo. In altre parole, data una traduzione da Omero, il traduttore dovrebbe trasformare i propri lettori in lettori greci dei tempi omerici o costringere Omero a scrivere come se fosse un autore dei tempi nostri? Si consideri il fatto che le traduzioni invecchiano. L’inglese di Shakespeare rimane sempre lo stesso ma l’italiano delle traduzioni shakespeariane di un secolo fa denuncia la propria età. Questo significa che i traduttori, anche quando non ne avevano intenzione, anche quando vogliono restituirci il sapore della lingua e del periodo storico di origine, in realtà modernizzano l’originale. 7.5. Addomesticare e straniare Per modernizzare e arcaizzare non si tratta della stessa opposizione che si pone tra foreignizing e domesticating, ovvero straniamento e addomesticamento. L’esempio più provocatorio di addomesticamento è la traduzione biblica di Lutero di Matteo 12,34 che traduceva ex abundantia cordis os loquitur in dall’abbondanza del cuore parla la bocca e ut quid perditio ista unguenti facta est? In perché è avvenuta questa perdita d’unguento? A proposito di straniamento, Venuti cita il dibattito tra Arnold e Newman sulle traduzioni omeriche: Arnold affermava che Omero andava reso in esametri e in inglese moderno per mantenere la traduzione in accordo con la ricezione corrente di Omero negli ambienti accademici. Newman, al contrario, non solo aveva costruito apposta un lessico arcaico ma aveva usato un verso da ballata per rendere evidente che Omero era poeta popolare e non di élite. Venuti osserva che Arnold stava addomesticando per ragioni accademiche, mentre Newman stava straniando per ragioni populistiche. Short, invece, fa l’esempio dell’espressione francese mon petit chou e rivela che tradurla my little cabbage ovvero mio cavoletto si otterrebbe un effetto comico e offensivo. Egli propone sweetheart, ossia tesoro, ma riconosce che così si perderebbe il contrasto affettuoso-umoristico. Sweetheart o tesoro sarebbe un esempio di addomesticamento e si ritiene che sarebbe meglio, visto che l’azione si svolge in Francia, di lasciare l’espressione originale. La frase Jane, i find you very attractive viene resa in italiano con Jane, vi trovo molto attraente. È una traduzione che anglicizza troppo e per due ragioni: 1. Anche se i dizionari permettono di tradurre attractive con attraente, in italiano in casi simili diremmo bella, affascinante. 2. Se un parlante inglese chiama Jane per nome di battesimo, significa che c’è un rapporto amichevole e in italiano si dovrebbe usare il tu. 30 Così, nel tentativo di anglicizzare, la traduzione non esprime né i sentimenti del parlante né i rapporti che intercorrono tra gli interlocutori. I traduttori italiani sono sempre d’accordo nell’addomesticare quando si traduce Londra per London e Parigi con Paris, ma per Bolzano/Bozen e Kaliningrad/Konigsberg diventa materia di negoziazione: se in un romanzo russo si parla di Kaliningrad ed è importante l’atmosfera sovietica della storia, sarebbe una perdita parlare di Konigsberg. La stessa Aira Buffa racconta il suo imbarazzo nel tradurre in finlandese il Nome della Rosa soprattutto nel decidere se nazionalizzare i nomi, dato che chiamare qualcuno Kaarle suonava troppo finlandese e faceva perdere la distanza culturale mentre invece chiamare Guglielmo da Barskerville come Vilhelm gli avrebbe fatto assumere la cittadinanza finlandese. Per cui si è attenuta, per sottolineare il fatto che era inglese, a William. Tra i casi più risibili di addomesticamento c’è la versione italiana del film Going my way del 1944 che era uno dei primi film americani esportati in Europa dopo la liberazione, doppiato negli Stati Uniti da italo-americani con un accento comico che ricorda i dialoghi di Stanlio e Ollio. I distributori avevano pensato che, poiché gli italiani erano ignari delle cose americane, non avrebbero capito i nomi stranieri e quindi avevano assegnati nomi italiani. Father O’Malley diventa Padre Bonelli e via di seguito. Talora i casi di addomesticamento sono indispensabili perché si deve rendere il testo consono al genio della lingua di destinazione. Ad esempio, Bill Weaver ha scritto due diari delle due traduzioni del Pendolo di Foucault e dell’Isola del giorno prima. Uno dei problemi che si è ritrovato è quello dei tempi verbali: i trapassati prossimi italiani rischiano di essere fastidiosi in inglese e si tende ad usare il past simple. Questo probabilmente perché l’italiano ha una sensibilità diversa da quella inglese. 7.6. Modernizzare e arcaicizzare In questo contesto vediamo varie traduzioni del libro della Bibbia chiamato Ecclesiaste. Il titolo originario ebraico è Qohèlèt che richiama l’etimo qahal che significa assemblea. Siccome il termine greco per assemblea è Ekklesia, allora Ecclesiaste non è una cattiva traduzione. Possiamo vedere come diverse traduzioni cercano o di rendere la natura di questa figura accessibile alla cultura dei destinatari o di condurre i destinatari a capire il mondo ebraico di cui si parla. La Vulgata tiene conto che i lettori del suo tempo sapevano che Ekklesia significasse Assemblea, mentre invece le versioni di King James e Lutero modernizzano e parlano di un Predicatore. Le prime quattro traduzioni rendono habèl con vanità, sapendo che questo termine all’epoca non si riferiva alla cura del proprio aspetto ma all’inconsistenza del tutto. Ceronetti sottolinea che la vanitas cristiana è legata alla nostra esistenza terrena, destinata un giorno a scomparire mentre invece quello di cui parla Ecclesiaste è un dissolversi. 31 Dopo la Bibbia, Dante. I tentativi di rendere la metrica, la terza rima e il lessico dantesco sono stati infiniti. Esaminiamo i tre incipit francesi. Risset afferma che per quanto questi valori di sostanza sono fondamentali, sono impossibili da recuperare nella traduzione. Nell’introduzione al suo lavoro afferma che nessun testo poetico può essere trasposto in un altro idioma senza perdere dolcezza e armonia. Quindi, se la traduzione sarà sempre una riduzione, è inutile cercare di salvare in un’altra lingua la terza rima senza risultare in qualcosa di forzato e meccanico, tradendo un altro aspetto di Dante, ossia quello dell’invenzione sovrana. Inoltre, ricorda il primo traduttore francese della Commedia, Rivarol, che trovava la lingua francese troppo casta e timorata per potersi misurare con gli enigmi e gli orrori danteschi. Cercare di rifare gli arcaismi del poema rinvierebbe a un Medioevo latino e non francese e darebbe al testo un sapore nostalgico mentre invece Dante è un poeta tutto teso verso il futuro. 7.7. Situazioni miste Per mostrare come la doppia opposizione straniare/addomesticare e arcaicizzare/modernizzare possa produrre varie combinazioni, si può vedere Il Nome della Rosa. L’autore ha usato delle citazioni latine per fare in modo che il lettore si immedesimasse non solo coi suoi costumi e rituali ma anche col suo linguaggio. Tuttavia, l’editore americano temeva che molti termini latini risultassero incomprensibili per i suoi lettori e Weaver ha abbreviato citazioni troppo lunghe inserendovi parafrasi in inglese. Per un lettore slavo queste frasi e parole in latino, in un alfabeto cirillico, non avrebbero significato nulla, perché il latino per un lettore russo non evoca né Medioevo né ambiente ecclesiastico. Così la traduttrice ha suggerito di usare l’antico slavonico ecclesiastico della chiesa ortodossa medievale. Un esempio tragicamente divertente di un tentativo mal riuscito di modernizzare e addomesticare è la traduzione del sillogismo presente nella sua opera La ricerca della lingua perfetta. Tutto quello che è magnificato dalla grandezza è grande – ma la bontà è ciò che è magnificato dalla grandezza – dunque la bontà è grande. Il traduttore ha pensato che il ragionamento di Lullo fosse troppo astratto e che bisognava andare incontro al lettore e ha tradotto: All cats are mammals, Suzy is a cat, therefore Suzy is a mammal. È ovvio che la traduzione non è letterale e non rispetta nemmeno i riferimenti dell’originale. Inoltre, ha anche tradito il senso profondo del discorso. 32 l’ekfrasi come esercizio retorico ma come strumento che tende ad attrarre l’attenzione sull’immagine che intende evocare. Due esempi sono due ekfrasi occulte dall’Isola del giorno prima, ispirate una a Geroges de la Tour e l’altra a Vermeer. Eco, scrivendo, si ispirava al quadro e si ingegnava a descriverlo nel modo più vivido possibile, ma di fatto non ha presentato l’esercizio come ekfrasi ma invitava il lettore a pensare che stesse descrivendo una scena reale. Ciò gli permetteva delle piccole licenze. 35 9. Far sentire il rinvio testuale La citazione intertestuale, ossia il costellare un racconto o una poesia di richiami ad altre opere e situazioni letterarie, è di molta arte detta post-moderna e di quella che Linda Hutcheon ha chiamato metafiction. L’autore fa allusioni non esplicite a opere precedenti, accettando una doppia lettura: (i) il lettore che non individua la citazione segue lo stesso lo svolgersi del discorso come se ciò che gli viene raccontato fosse nuovo e inaspettato; (ii) il lettore colto individua il rinvio e lo sente come citazione maliziosa. In questi casi si parla di ironia ipertestuale, suscitando obiezioni presso i cultori di retorica, perché si ha ironia quando maliziosamente si dice il contrario di quello che il destinatario crede o sa essere il vero. Ma il termine è nato in ambiente anglosassone, dove espressioni come “ironically” viene usato più ampiamente intendendo “paradossalmente” o “in modo inatteso, contro ogni aspettativa”. Quando un testo ne cita un altro senza darlo a vedere, si ha quella che può essere definita una strizzata d’occhio al possibile lettore competente e se ironica c’è è perché si vuole intendere il contrario di quello che il testo implicitamente citato diceva. Alcune volte l’accento intertestuale è così impercettibile che anche se c’è un atteggiamento malizioso sta dalla parte dell’autore empirico, mentre invece il testo non fa nulla per essere colto. Questi casi hanno qualcosa a che fare col problema della traduzione, dove chi traduce dovrebbe fare del meglio per esprimere quello che il testo fonte dice. Possiamo considerare due casi: nel primo il rinvio è trasparente come ad esempio uno sfasciatore di telai meccanici si domandasse se convenga “tessere o non tessere” facendo riferimento a “essere o non essere”. Il secondo caso è quello in cui il rinvio non è trasparente o non trasparente per la cultura del traduttore. Se i traduttori non colgono il rinvio ed è l’autore che li invita a sottolinearlo, allora si può dire che (i) o l’autore ritiene che alcuni lettori possano essere più competenti dei traduttori, (ii) o l’autore sta giocando una partita disperata in cui il testo è più ottuso di lui e non vede perché i traduttori non debbano compiacerlo. I testi, inoltre, possono essere letti in modo ingenuo, senza cogliere i rinvii intertestuali o può venire letto nella piena coscienza di questi rinvii. 9.1. Suggerire l’intertesto al traduttore Occorre informare il più possibile i propri traduttori di allusioni che potrebbero sfuggire e quindi ogni autore invia loro pagine e pagine di note che rendono espliciti i riferimenti. Eco suggerisce persino il modo in cui possono essere resi percepibili nella loro lingua. Come, ad esempio, ne Il pendolo di Foucalt. Nel capitolo 11, Jim della Canapa vive in un collage di stereotipi avventurosi. L’istruzione ai traduttori diceva che Jim doveva avere un nome che evocasse i mari del Sud e che il problema non fosse la canapa perché poteva vendere anche noci di cocco. Infatti, Jim in francese è diventato Jim de La Papaye, Seven Seas Jim in inglese e Jim el del Canam in spagnolo. Nel capitolo 22, un commissario di polizia dice “La vita non è semplice come nei libri gialli” e Belbo risponde “Lo supponevo”. Nella nota ai traduttori, Eco riferisce loro 36 che è una citazione al poliziotto Cip di Jacovitti e suggeriva al traduttore inglese che poteva cambiare riferimento e far dire, ad esempio, Elementary, my dear Watson. Nell’Isola del giorno prima ogni capitolo ha un titolo che suggerisce vagamente quello che vi sta accadendo e voleva che i traduttori rendessero il gioco riconoscibile nelle varie lingue. 37 1. Interpretazione per trascrizione 2. Interpretazione intrasistemica 2.1. Intrasemiotica, all’interno di altri sistemi semiotici 2.2. Intralinguistica, all’interno della stessa lingua naturale 2.3. Esecuzione 3. Interpretazione intersistemica 3.1. Con sensibili variazioni nella sostanza 3.1.1. Interpretazione intersemiotica 3.1.2. Interpretazione interlinguistica, o traduzione tra lingue naturali7 3.1.3. Rifacimento 3.2. Con mutazione di materia 3.2.1. Parasinonimia 3.2.2. Adattamento o trasmutazione Possiamo non considerare l’interpretazione per trascrizione perché la trascrizione ubbidisce a stretta codifica e quindi può essere attuata anche da una macchina. Non ha, dunque, una capacità decisionale interpretativa. Al massimo si può notare che fenomeno di trascrizione è anche il rapporto tra un alfabeto e i suoni corrispondenti, come ad esempio l’alfabeto italiano (tranne che per poche eccezioni come c e g dure o dolci, gn o sc). 10.4. Interpretazione intrasemiotica L’interpretazione intrasistematica avviene all’interno di uno stesso sistema semiotico e sono questi i casi in cui Jakobson ha parlato di riformulazione. Possiamo parlare di riformulazione, ad esempio, di un brano musicale trascritto in una diversa tonalità, passando dal maggiore al minore. Oppure quando si riduce di scala o si semplifica una mappa. Ogni volta che si ha una proiezione su scala ridotta cambia la sostanza dell’espressione e questo cambiamento viene accettato come non pertinente per amore di interpretazione. Ad esempio, supponiamo che in una scuola di architettura venga esposto un modello in scala ridotta del Colosseo. Purché il modello conservi immutate le proporzioni, la riduzione in scala non sarebbe pertinente. Purché la colorazione delle superfici riproduca quelle del monumento reale, si può ritenere non pertinente la scelta di costruire il modello in legno, gesso o bronzo. Ma chi usa il modello dovrebbe sapere che sta usando appunto un modello, una sorta di “riassunto” o “parafrasi”. Se invece i rapporti proporzionali sono ben riprodotti, la materia diventerebbe irrilevante e si avrebbe un caso accettabile di interpretazione intrasistematica. Potremmo quindi metaforicamente parlare di “traduzione” in scultura se una statua 40 viene riprodotta mediante calco, rispettando tutte le dimensioni e le proprietà che la materia originale esibisce alla vista e al tatto. 10.5. Interpretazione intralinguistica o riformulazione Qui si situano tutti i casi di interpretazione di una lingua naturale mediante sé stessa, come la sinonimia secca, come madre=mamma, la definizione, la parafrasi, il commento, il riassunto, fino alla parodia. In tutti questi casi il fatto che uno stesso contenuto viene espresso con sostanze diverse viene ammesso per amore di interpretazione. La riformulazione non è traduzione, e questo può essere visto in molti casi. Infatti, il caso più elementare di riformulazione è la definizione. Se immaginiamo di sostituire i termini di un testo di Shakespeare con le definizioni equivalenti, possiamo notare come, in termini di reversibilità dal testo si potrebbe risalire all’originale, ma nessuno direbbe mai che si tratta di una traduzione shakespeariana. La stessa cosa accadrebbe se sostituissimo i termini con sinonimi. Nemmeno la parafrasi può essere considerata traduzione. Un esempio sono i parafrasi - sommario de i Tales from Shakespeare, da cui non si evince il proposito dominante del testo originale. Dunque, la parafrasi non è traduzione perché non produce lo stesso effetto. 10.6. Prima interpretare, poi tradurre Lepschky parte da come si potrebbe tradurre la frase inglese His friend could not see the window e osserva che per questa semplice frase ci sono 24 possibili traduzioni italiane che combinano, in modo diverso, una serie di scelte, come (i) se il friend sia maschio o femmina, (ii) se could not sia da intendere come imperfetto o passato remoto, (iii) se window vada inteso come finestra, finestrino o sportello. Tuttavia, ammette che le 24 soluzioni esistono solo in astratto perché all’interno del contesto solo una sarebbe appropriata. Quindi i problemi sono tre: (i) Le 24 possibilità esistono solo come potenzialità del sistema linguistico. (ii) Di fronte a una frase un lettore dovrebbe decidere, secondo il contesto, a quale storia si riferisce. (iii) Quindi, per tradurre la frase, si deve prima compiere l’operazione (ii), che è una riformulazione del testo fonte. Tuttavia, la riformulazione non è un esempio di traduzione: il traduttore deve prima riformulare la frase fonte sulla base delle sue congetture sul mondo possibile che essa descrive e poi potrà decidere di tradurre. Tim Parks analizza la traduzione italiana di Papi e Tadini su un brano di “The Dead” dai Dubliners di Joyce in cui si parla di una delicata relazione tra marito e moglie. Il marito sospetta che la moglie abbia avuto un rapporto con un altro uomo e, preso dalla gelosia, mentre la moglie gli sta dormendo accanto, lascia vagare lo sguardo per la stanza. Si appunta soprattutto su accanto e rovesciato. La sua interpretazione del testo è che il marito veda sé stesso nel primo stivale, diritto ma col gambale afflosciato e, per opposizione, la moglie nell’altro. L’uso del verbo to lay è 41 importante perché nel paragrafo successivo questo verbo torna due volte per descrivere le posizioni dell’uomo e della moglie. Quindi il testo inglese oppone i due stivali mentre la traduzione italiana suggerisce un’unione. Nella traduzione fatta da Franca Cancogni il lay viene risolto ma rimane un particolare comune alle due traduzione: rendendo fellow con compagno si assegna in italiano un genere allo stivale, mentre sia fellow che boot non hanno genere. Ciò che è interessante nella traduzione di Cancogni è che lo stivale diventa stivaletto non solo perché aggiunge una connotazione di femminilità, sottraendo qualche mascolinità al primo stivale, ma anche perché uno stivaletto femminile si apre naturalmente per dar luogo all’allacciatura, e quindi una volta slacciato può afflosciarsi. Tutto ciò per far capire che bisogna far precedere la traduzione da una lettura critica. I bravi traduttori, prima di iniziare a tradurre, passano molto tempo a leggere e rileggere il testo, e a intendere nel modo più appropriato passi oscuri, termini ambigui o allusioni quasi psicoanalitiche. In questo senso una traduzione indirizza sempre a un certo tipo di lettura dell’opera. 42 modo più “fine” e dettagliato, possiamo dire che il procedimento è espresso dalla formula Dove la sostanza linguistica1 del testo fonte, che esprime il Contenuto1, viene trasformata in una diversa Sostanza Linguistica2 che esprime un Contenuto1a, dove C1a è lo stesso Contenuto1 ma più finemente interpretato. Invece in un processo di traduzione elementare si transige sulle differenze notevoli di sostanza linguistica pur di trasmettere quanto più possibile la stessa informazione e quindi diremmo che una Sostanza Linguistica1 che veicola un Contenuto1 viene trasformata in una Sostanza Linguistica2 che esprima lo stesso Contenuto1 11.4. La sostanza in poesia Vediamo come Les chats di Baudelaire è stato tradotto da Mario Bonfantini. Si nota come si è comportato con una certa disinvoltura rispetto ai valori semantici, per esempio con il discutibile rinvio ai “fedeli d’amore”, ha reso la stagione della maturità con gli anni dell’indolenza, doux con miti e maison con focolare. Sul piano del contenuto sono avvenute alcune variazioni sensibili perché il focolare restringe lo spettro semantico di maison. Infatti, mentre il focolare connota l’intimità e il calore di una casa contadina e tradizionale ed evoca la presenza di un caminetto o una stufa accesi, maison potrebbe anche suggerire che i savants austères abitino in una magione ampia e gelida. In questo senso Bonfantini sembra abbia scelto la formula (ii) piuttosto che la (i). Ma il traduttore è riuscito a volgere le due rime alternate (ABAB) in due rime baciate (AABB) e soprattutto ha rispettato il verso alessandrino usando settenari doppi. Nel resto della traduzione, si può vedere come rispetti la variazione ABBA e renda le restanti due terzini (AAB, CBC) con AAB, CDC, introducendo una licenza che forse avrebbe potuto essere evitata. Dunque, il traduttore ha deciso che l’effetto o scopo principale da rispettare fosse quello poetico e su quello ha giocato tutto. Ci sono infatti testi a cui si riconoscono una qualità estetica perché rendono particolarmente pertinente non solo la sostanza linguistica ma anche quella extralinguistica. E allora le formule (i) e (ii) andrebbero riscritte in: Dove la sostanza dell’espressione del testo di destinazione cerca in qualche modo di essere equivalente sia alla sostanza linguistica SL che alle sostanze extralinguistiche SE del testo fonte ai fini di produrre quasi lo stesso effetto. Nel suo Le ton beau de Marot, Hofstadter esamina diverse traduzioni inglesi della Divina Commedia, partendo dal principio che la caratteristica stilistica e metrica del poema è quella di essere in terzine di endecasillabi con la rima ABA, BCB, CDC. Prende le prime terzine del terzo canto ed esamina alcune traduzioni inglesi, in cui si è rinunciato non solo alla rima, ma neppure si è rispettata la scansione del 45 pensiero dantesco in terzine. Nota, tra l’altro, che in questo canto Dante ha 45 terzine, mentre Pinsky ne ha solo 37. Critica allo stesso modo Heaney, che anch’esso non mantiene né rima né metro, ma salva la traduzione di Mark Musa, il quale confessa di aver rinunciato a usare la rima a causa dei pessimi risultati, ma rispetta il metro. È curioso che abbia trascurato Sayers che riesce a preservare quasi sempre il metro e salva in parte la rima. Vediamo ora la parafrasi francese del distico del Roman de la rose, dove la prima traduzione non si discosta dalla parafrasi francese in prosa, dato che non si salvano né metrica né rima. La seconda lascia cadere la rima e cerca di risolvere l’ottonario originale in un quinario doppio e ciò suggerisce al lettore che c’era nel testo originale una metrica, ma non ci dice quale e ce ne offre un’altra in cambio. Il contenuto è salvo ma l’espressione si è o perduta o trasformata. Ma certe volte il rispetto della rima non è sufficiente a mantenere l’effetto del testo. Il testo di The Love Song of J.Alfred Prufrock di Eliot gioca su rime o assonanze e un traduttore può rinunciare a queste per evitare soluzioni grottesche, come fanno Berti e Sanesi. Pierre Leyris, invece, cerca di mantenere un effetto rima, mutando il significato dell’espressione fonte. Si ha l’impressione, però, che, pur salvando la rima, si sia perduta l’arguzia dell’assonanza originale. Nelle traduzioni italiane di Berti e di Sanesi si perdono la metrica, le rime e le assonanze. Eco quindi si è detto che se Eliot aveva usato metri e rime, bisognava fare del proprio meglio per conservarle ed ha provato a fare un tentativo, ma poi si è fermato. Ha avuto subito l’impressione di trovarsi di fronte a una poesia italiana di fine XIX o inizio XX secolo perché è vero che il Prufrock era stato scritto nel 1911 ma si è chiesto se il contesto in cui scriveva Eliot in lingua inglese era lo stesso in cui poteva scrivere Lorenzo Stecchetti. La sua traduzione avrebbe anche potuto essere accettabile se l’avesse fatta e pubblicata nel primo decennio del secolo scorso. La traduzione di Berti è degli anni Quaranta e quella di Sanesi è degli anni Sessanta e quindi la cultura italiana ha dunque ricevuto Eliot come poeta contemporaneo. Entra qui in gioco la nozione di orizzonte del traduttore: ogni traduzione si muove in un orizzonte di tradizioni e convenzioni letterarie che influenzano le scelte di gusto. Berti e Sanesi si muovevano nell’orizzonte letterario italiano degli anni Quaranta- Sessanta e per questo hanno fatto le scelte che hanno fatto. Le traduzioni italiane sono state determinate sia dal momento storico in cui sono state fatte che dalla tradizione traduttoria in cui si inserivano. Nel fare questo i due traduttori hanno certamente agito in senso target-oriented e hanno scelto del testo la autoevidente sequenza delle immagini evocate senza tentare di inserire la rima. Altro esempio è la versione del Conte di Montecristo di Franceschini. Sappiamo che Edmond Dantès viene raggiunto nella cella da un personaggio che nel capitolo XIV era stato nominato come abbé Faria. Oggi sappiamo che costui non era un personaggio fittizio ma un portoghese professore di filosofia. Nella traduzione Franceschini non dice mai che Faria sia un abbé, a tal punto che il capitolo XVII, che 46 in francese è intitolato “La chambre de l’abbé”, nella versione italiana diventa “La cella dello scienziato”. La storia, seppur di poco, cambia. Si pensa che lo abbia fatto per furore anticlericale: il titolo di abbé in Francia viene dato a ogni ecclesiastico secolare, e in italiano potrebbe diventare don o reverendo, altrimenti si penserebbe a un abate. Può darsi che il traduttore abbia pensato che don Faria avrebbe ridotto la figura alle dimensioni di un curato di campagna e si è sentito imbarazzato. Ma è proprio qui che dovrebbe funzionare la nozione di orizzonte del traduttore: sia come sia, l’abate Faria è abate anche in Italia, e come tale è stato nominato nel corso di tante traduzioni precedenti. 47 fiumi. Non li elimina per motivi di comprensibilità, perché nomi come Honddu o Zwaerte possono risultare incomprensibili sia al lettore inglese che a quello italiano, e se il lettore inglese può sopportare 277 fiumi, può farlo anche il lettore italiano. È chiaro che a Joyce dei fiumi non gli importava, a lui interessava giocare con l’italiano e creare neologismi, scartando quelli che non gli suonavano dentro. Ha buttato via quasi nove decimi di fiumi pur di poter usare chiacchericcianti, baleneone, quinciequindi, frusciacque. Ultimo esempio di rifacimento è to call a spade a spade, che corrisponde al nostro dire pane al pane. Spade inoltre richiama spade ma anche l’idea di fiume perché a spate of words significa un fiume di parole. Sharee mette insieme share e il fiume Shari, ebro pone insieme hebrew e l’Ebro, skol school e il fiume Skollis. For coxyt sake richiama sia il fiume infernale Cocito che for God’s sake. Nella versione francese, si è cercato di salvare alcuni nomi di fiumi, risolvendo l’ultima invocazione con una allusione blasfema. Nella traduzione italiana fatta da Schenoni, invece, il gioco di parole call a spade a spade segue la versione di Joyce. Utilizza, infatti, Piena (e dì piena alla piena), che ha a che fare con i fiumi, recuperando, in questo modo, anche alcuni fiumi che il testo originale nomina solo alcune pagine dopo come Pian Creek, Piana and Pienaars. Salva anche i fiumi Shari, Ebro e Skol, elimina l’allusione teologica all’eresia legando il Cocito al cogito cartesiano. Joyce recupera insieme a Pian Creek, Piana e Pienaars, anche Tamigi e rendere to call a spate a spate come Schenoni (chiama piena piena). Ma a lui questo non basta perché avverte che il senso profondo del brano è quello di una perplessa e diabolica incertezza di fronte ai misteri di una lingua franca che deriva da lingue diverse e non risponde al genio di nessuna e lascia l’impressione di un complotto contro l’unica vera e irraggiungibile lingua ossia la lingua sancta. Per cui ogni eresiarca è antitrinitario e decide di tradurre con Ostrigotta, ora capesco. Abbiamo una esclamazione di disappunto e stupore ostregheta (addolcimento di una bestemmia veneta), un richiamo a lingue incomprensibili (ostrogoto) e Gott. Ma ostrigotta suggerisce anche I got it e ora capesco fonde capire e uscire, uscirne, forse, o d’imbarazzo o dal labirinto del Finnegans. La verità è che l’unica cosa che importava a Joyce era quella di creare una nuova espressione. Se dalla traduzione di Schenoni, volgendola in inglese, si potrebbe ottenere qualcosa simile all’originale, questo con Joyce non è possibile perché si avrebbe un altro testo. Dunque, il Joyce italiano non è un esempio di traduzione “fedele”, eppure leggendo la sua traduzione, si comprendono i meccanismi profondi e il tipo di partita che si vuole giocare con il lessico. 50 13. Quando cambia la materia Eco ricorda un gioco, le Belle Statuine, dove un gruppo doveva rappresentare visualmente, e usando il proprio corpo, un’opera d’arte che l’altro gruppo doveva indovinare. Tre ragazze si sono esibite trasformando in smorfie i tratti del viso. I più bravi hanno subito indovinato essere le Damoiselles d’Avignon di Picasso perché conoscevano l’opera e l’autore, ma se qualcuno non conosceva né l’uno né l’altro, sarebbe stato molto più difficile. Si trattava di un adattamento con passaggio dalla materia grafico-cromatica a materia coreografica. Questo procedimento sembra molto simile all’ekfrasi ma mentre quest’ultimo il quadro viene interpretato attraverso una materia verbale, nel caso delle belle statuine, una materia coreografica interpretava un quadro. Anche in questo caso sono traduzioni? 13.1. Parasinonimia Si definisce parasinonimia casi specifici d’interpretazione in cui, per chiarire il significato di una parola o di un enunciato, si fa ricorso a un interpretante espresso in diversa materia semiotica (o viceversa). Sono casi un dito puntato che chiarisce l’espressione quello là, ma anche i casi in cui per spiegare a qualcuno cosa sia una chaumière disegno una casetta dai tetti di stoppia. In molti di questi casi molte interpretazioni sono casi di traduzioni. Alcuni parasinonimi appaiono in praesentia, per esempio quando in un aeroporto accanto alla scritta verbale partenze appare anche lo schema di un aereo che prende il volo. Altri casi di parasinonimia sono difficilmente definibili come traduzioni, e tra essi poniamo anche il gesto di chi volendo spiegare cosa sia la Quinta sinfonia in do minore di Beethoven, facesse ascoltare l’intera composizione, o la spiegazione di chi, richiesto di dire che cosa sia una composizione che la radio sta trasmettendo, dicesse che si tratta della Quinta sinfonia in do minore. 13.2. Trasmutazioni e adattamenti Fabbri afferma che il vero limite della traduzione sarebbe nella diversità delle materie dell’espressione e fa l’esempio di una sequenza di Prova d’orchestra di Fellini dove c’è il direttore d’orchestra che è di spalle. Ben presto, però, lo spettatore si rende conto che l’inquadratura attraverso la quale questo personaggio viene visto è soggettivo perché il punto di vista sta dalla parte di una persona che segue i movimenti del direttore e che cammina come se camminasse lui. Fin qui è possibile tradurlo in termini linguistici perfetti. Poco dopo, però, la macchina da presa supera il personaggio che prima si vedeva di spalle e con un lento movimento progressivo arriva fino ad inquadrarlo di fronte. Quella soggettività, con il movimento lento della camera, diventa oggettiva. Il problema è quale linguaggio verbale è capace di rendere, cioè di tradurre, quel momento intermedio in cui la ripresa non è ancora diventata impersonale ma già non è più soggettiva. È impossibile tradurlo a parole. La diversità di materia è, infatti, un problema fondamentale per ogni teoria semiotica. Si pensi solo alle diatribe sull’onnipotenza del linguaggio verbale: seppure si considera il linguaggio verbale come il sistema più 51 potente, non è onnipotente del tutto. Hjelmslev, quindi, distingue tra linguaggi limitati e linguaggi illimitati. Il linguaggio delle formule logiche è limitato rispetto al linguaggio di una lingua naturale. In The Raven di Poe, molte sono le licenze che un traduttore potrebbe permettersi pur di rendere lo stesso effetto che il testo fonte voleva creare. Ad esempio, per conservare il ritmo o la rima si potrebbe decidere di cambiare il pallid bust of Pallas in quello di qualche altra divinità, purchè il busto rimanga bianco. Con quel busto, Poe voleva creare un contrasto tra la nerezza del corvo e la bianchezza della statua ma nella Philosophy of Compositzon ci avverte che fu scelto prima come il più adatto all’erudizione dell’amante e poi per la sonorità stessa della parola Pallade. Dunque, purchè si realizzi una qualche sonorità appropriata, il busto potrebbe diventare anche quello di uno delle nove Muse e con questo ci troveremmo davanti a un procedimento di rifacimento. Se volessimo trasporre l’opera da una lingua naturale a immagine, traducendolo in un quadro, l’artista potrebbe essere capace di farci provare emozioni affini a quelle indotte dalla poesia, il buio della notte, l’atmosfera malinconica, eccetera, ma riuscirebbe a dirci qualcosa della Lenore invocata dal testo? Forse facendola apparire come un bianco fantasma ma in questo modo saremmo obbligati a vedere qualcosa di questa donna che nel testo appare come puro suono e si avrebbe una mutazione di materia. Un altro esempio sono le immagini che accompagnano il testo tedesco di Hoffmann in cui si dice che Die Sonne lud den Mond zum Essen, che tradotto in italiano sarebbe il sole invitò la luna a cena. Si vede che il sole in tedesco è femminile, mentre in italiano maschile e la luna in tedesco è maschile, mentre in italiano femminile. Nelle illustrazioni però, il sole è rappresentato come una signora e la luna come un uomo e questo suona molto strano per francesi, italiani e spagnoli. Nel Settimo sigillo di Bergman appare la Morte che gioca a scacchi col protagonista. Ma ciò che definiamo come femminile è in realtà maschile. Perché in tedesco, spagnolo o francese la morte è femminile, ma nel film è rappresentato come uomo. Questo dimostra come la trasmutazione di materia aggiunga significati o renda rilevanti connotazioni che non erano originalmente tali. 13.3. Trasmutazioni per manipolazione I casi più comuni di adattamento o trasmutazione sono quelli della versione di un romanzo in film, una favola in un balletto o come accade in Fantasia di Walt Disney. Le variazioni sono molteplici ma si deve parlare sempre di trasmutazioni o adattamenti per distinguerle dalle traduzioni propriamente dette. Una traduzione propriamente detta può darsi sia in presenza del testo originario, le traduzioni con testo originale a fronte, che in sua assenza, le più comuni. Diverso è per le trasmutazioni perché, ad esempio, l’adattamento di un brano musicale a balletto pone in presenza simultanea musica e azione coreografica in modo da sostenersi a vicenda. Queste interpretazioni servono a far anche apprezzare meglio l’opera fonte e si parla di casi di interpretazione per manipolazione. 52 Nel film, invece, Aschenbach è un musicista, forse sedotto dal nome che evocava Gustav Mahler. È vero che in una serie di flash back lo si vede dialogare con un amico sostenitore del genio come libera preda delle proprie passioni a cui oppone un ideale classico. Ma queste battute scompaiono di fronte alla presenza continua del commento musicale mahleriano, trascrizione dei sentimenti e ideali del protagonista. L’Aschenbach di Mann è un uomo d’età, solido e posato e questo gli rende più inaccettabile la sua trasformazione. Quello di Visconti, invece, è più giovane, fragile, già sofferente di cuore, pronto a identificarsi in una Venezia fatiscente. Inoltre, l’Aschenbach di Mann è di nascita borghese e il “von” gli viene dato in tarda età come riconoscimento dei suoi meriti culturali, mentre quello di Visconti appare subito come von Aschenbach, già segnato dai sintomi di declino di una nobiltà languente e già malato come la Venezia che lo ospita. La sua attrazione per Tadzio è immediata e lo stesso Tadzio nel racconto è quattordicenne e non c’è sguardo di malizia nei confronti del suo ammiratore, mentre invece quello del film è più grandicello e ogni sguardo che gli rivolge è carico di ambiguità. L’Aschenbach del film sembra soffrire perché in colpa verso la famiglia e perché non era mai stato sfiorato dal mito della bellezza virile, mentre quello del libro entra in crisi perché avverte che il suo universo spirituale e il suo culto della bellezza stanno cambiando segno. Non può sopportare che i suoi ideali estetici si rivelano essere solo il travestimento di un furore carnale a cui non riesce a resistere. Tra film e racconto, l’intreccio rimane più o meno lo stesso, ma non perviene a renderne la fabula profonda. 13.8. Adattamento come nuova opera Ciò non toglie che La morte a Venezia di Visconti sia uno splendido film: la rappresentazione della città è superba, la tensione drammatica è magistrale e se non si sapesse che il film intendeva “tradurre” quel romanzo, usciremmo dalla sala soddisfatti. Visconti ha tratto spunto dalla storia di Mann per raccontare la sua storia. Possiamo parlare di trasmigrazione di un tema. Spaziante osserva che in molti casi di trasmutazione si potrebbe parlare della differenza tra interpretazione e uso. Ad esempio, usare una poesia o un romanzo per sognare ad occhi aperti, grazie a una sollecitazione dal testo, su eventi che non hanno niente a che fare con il testo fonte. Oppure, partire da un testo stimolo per trame idee e ispirazioni per produrre un proprio testo. Che cosa rimane, in questi casi di uso creativo, del testo fonte? Prendiamo come esempio The Orchestra, un film di Rybczynski, dove la musica della Marcia Funebre di Chopin viene mostrata contemporaneamente a una serie di figure mentre posano le mani sul pianoforte. C’è un tentativo di rendere la musica fonte perché i gesti dei personaggi sono determinati dalla ritmica del brano e se levassimo l’audio, solo seguendo i gesti dei personaggi, si potrebbe riprodurre un ritmo simile alla composizione chopiniana. Quindi si può dire che l’opera di Rybczynski è una buona interpretazione dell’opera chopiniana ma le scelte figurative sono fatte dal regista e sono difficili da ricondurre a Chopin. Dunque, siamo di fronte a un caso di uso. Si tratta di un’opera apprezzabile per sé stessa, anche se fa un rimando a Chopin. 55 Il film non prende a pretesto solo Chopin ma anche Ravel e il suo Bolero. Qui l’ossessività della musica è resa da un procedere di personaggi lungo una scala interminabile, proveniente dall’iconografia rivoluzionaria sovietica e questa interpretazione va a merito del regista, non Ravel. Quindi The Orchestra non è una traduzione della composizione chopiniana, ma è un’opera di Rybczynski che ha preso a pretesto Chopin per produrre qualcosa di altamente originale. 56 14. Lingue perfette e colori imperfetti Fin ora abbiamo detto che il traduttore deve negoziare con il fantasma di un autore, con la presenza invadente del testo fonte e anche con l’editore. Ma si può evitare una nozione di traduzione come negoziazione? Bisogna pensare che si possono volgere gli enunciati espressi in una lingua negli enunciati espressi in un’altra lingua perché due diversi enunciati possano esprimere la stessa proposizione. 14.1. Tertium comparationis Per stabilire che gli enunciati, Il pleut, it’s raining, Es regnet, esprimono la stessa proposizione, dovremmo poter esprimere quella proposizione in una sorta di linguaggio neutro. E qui nascono tre possibilità: 1. La prima è che esista una Lingua Perfetta che serva di parametro a tutte le altre lingue. È stata una intuizione di Walter Benjamin: non potendo riprodurre nella lingua di destinazione i significati della lingua-fonte, bisogna affidarsi ad una convergenza tra tutte le lingue in quanto in ciascuna di esse è intesa una sola e medesima cosa, che non è accessibile a nessuna di esse singolarmente, ma solo alla totalità delle loro intenzioni, ossia la pura lingua. Ma questa non è una lingua e possiamo avvertire l’ombra delle lingue sante, qualcosa simile alle lingue pentecostali. 2. La seconda possibilità comprende altre due: o che si può costruire una lingua “razionale” che esprime tutti i concetti astratti di cui ogni cultura si può servire per descrivere il mondo, o una “lingua del pensiero”, radicata nel funzionamento universale della mente umana. Queste due versioni si equivalgono perché in entrambi i casi è necessario proporne la grammatica. 3. Ci deve essere un tertium comparationis che permette di passare dall’espressione di una lingua Alfa a quella di una lingua Beta decidendo che entrambe risultano equivalenti a una proposizione espressa in un metalinguaggio Gamma. Così, dati i tre enunciati piove, il pleut e it’s raining, avrebbero lo stesso contenuto proposizionale esprimibile in Gamma, ed è questo che fa sì che possiamo tradurre l’enunciato italiano in francese o in inglese senza allontanarci troppo dal senso del discorso originario. Ma prendiamo un enunciato poetico di Verlaine il pleure dans mon coeur comme il pleut sur la ville, che traducendolo termine a termine secondo un criterio di sinonimia, in modo che il contenuto proposizionale rimanga immutato, avremmo piange nel mio cuore come piove sulla città. I due enunciati non possono essere considerati equivalenti. Basti pensare al celebre esempio di Jakobson I like Ike, che dal punto di vista della uguaglianza proposizionale può essere tradotto come Io amo Ike, j’aime bien Ike, ma nessuna di esse si tratta di traduzioni appropriate all’originale, che traeva la sua forza da suggestioni foniche, dalla rima e dalla paronomasia. Quindi la nozione di contenuto proposizionale invariante può essere applicabile solo a enunciati molto semplici che esprimono stati del mondo e che non siano né ambigui né autoriflessivi, ossia da essere prodotti ai fini di attrarre l’attenzione sul loro significato ma 57 percettive diverse dagli altri ma le riferiscono allo stesso sistema linguistico usato da tutti. Marshall Sahlins insiste sulla tesi che il colore è una questione culturale e quando si enuncia un termine di colore si sta collegando quel termine con quello che possiamo chiamare un Tipo Cognitivo e un Contenuto Nucleare a esso culturalmente collegato. L’Optical Society of America classifica una quantità tra i 7,5 e i 10 milioni di colore che possono essere discriminati, ma il test di Farnsworth- Munsell dimostra che il tasso medio di discriminazione è insoddisfacente. E quindi la competenza cromatica media è rappresentata dai sette colori dell’arcobaleno. Questa tabella potrebbe essere una sorta di metalinguaggio che può essere usato per poter stabilire a quale porzione dello spettro cromatico ci si sta riferendo. Ma sfortunatamente questo metalinguaggio non ci permette di comprendere cosa volessero dire Aulo Gellio e i suoi amici. Gli Hanunòo delle Filippine riconoscono due livelli di contrasto cromatico. Trascurando il secondo, che comprende centinaia di categorie su cui c’è una scarsa unanimità, il primo livello comprende quattro categorie: all’ingrosso mabi:ru che include nero, violetto, indaco, blu, verde scuro, grigio; malagti che si riferisce al bianco e a toni leggeri di altri colori; macara al castano, rosso, arancio, giallo; malatuy verde chiaro e miscele di verde, giallo, marrone chiaro. Questa divisione dipende da criteri culturali ed esigenze materiali. Solo considerando questo schema che possiamo risolvere l’enigma di Aulo Gellio. Roma nel II secolo d.C. era un affollato crocevia di molte culture: l’impero controllava l’Europa dalla Spagna al Reno, dall’Inghilterra al Nord Africa e al Medio Oriente. Aulo Gellio stava cercando di mettere insieme i codici di almeno due secoli di letteratura latina e di diverse culture non latine. Questo spiegherebbe il disagio cromatico avvertito dal lettore moderno. Determinato dalla sua informazione culturale, Gellio non può affidarsi alle sue percezioni personali e quindi non sapremo mai come percepiva la sua Umwelt. In ogni caso questo episodio ci conferma che (i) esistono segmentazioni diverse del continuum spettrale e (ii) non esiste una lingua universale dei colori ma (iii) non è impossibile traduzione di segmentazione da una lingua all’altra. Ciò che comprendiamo è che i poeti latini non erano interessati ai pigmenti ma agli effetti percettivi dovuti all’azione combinata dalla luce, superfici, natura. Il discorso del poeta ci invitava a riguardare al continuum della nostra esperienza cromatica come se non fosse stato precedentemente segmentato, o come se la segmentazione dovesse essere rimessa in causa. Ci chiede di riconsiderare un cavallo, il mare e i cocomeri per scoprire se non ci sia qualcosa che li accomuna, malgrado le province distinte in cui il nostro codice cromatico li ha relegati. 14.5. Ultimo folio Un traduttore di questi poeti, piuttosto che rifarsi a un dizionario corrente per vedere se una spada può essere davvero detta fulva, deve rifarsi a una tabella comparativa. Solo così può decidere come tradurre, in un contesto, termini come rutilus, luteus o spadix. Se cerchiamo spadix sul dizionario ci da che è un cavallo baio, ma in botanica è un rametto di palma, spadice. Ma il dizionario è solo un punto di partenza, perché bisogna ripensare al mondo come il poeta poteva averlo 60 visto e a questo deve portare l’interpretazione del testo. Dopo di che la scelta del termine sarà o target oriented e quindi tradurremo “rosso nerastro”, o source oriented e tradurremo spadice. La scelta, quindi, sarà questione di negoziazione tra traduttore, lettore e autore. La conclamata “fedeltà” delle traduzioni non è un criterio che porta all’unica traduzione accettabile ma è una tendenza a credere che la traduzione sia sempre possibile se il testo fonte è stato interpretato con appassionata complicità, è l’impegno a identificare quello che è per noi il senso profondo del testo, la capacità di negoziare la soluzione che ci sembra più giusta. Sul dizionario, infatti, tra i sinonimi di fedeltà non c’è esattezza ma lealtà, onestà, rispetto e pietà. 61