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Un futuro più giusto. Rabbia, conflitto e giustizia sociale - Fabrizio Barca e Patrizia Lu, Sintesi del corso di Sociologia

Riassunto: Un futuro più giusto. Rabbia, conflitto e giustizia sociale - Fabrizio Barca e Patrizia Luongo

Tipologia: Sintesi del corso

2023/2024

In vendita dal 13/05/2024

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Scarica Un futuro più giusto. Rabbia, conflitto e giustizia sociale - Fabrizio Barca e Patrizia Lu e più Sintesi del corso in PDF di Sociologia solo su Docsity! Un futuro più giusto. Rabbia, conflitto e giustizia sociale - Fabrizio Barca e Patrizia Luongo Indice Capitolo 1 - Un progetto per un futuro più giusto ........................................................................................ 1 Capitolo 2 - Ingiustizia sociale: i fatti e le cause ............................................................................................ 3 2.1 l’interpretazione dominante .................................................................................................................. 3 2.2 I progetti di emancipazione sociale del trentennio post bellico: le responsabilità ........................... 4 2.3 Il progetto neoliberista .......................................................................................................................... 4 2.4 Tre leve, tre cause: politiche, potere negoziale del lavoro, senso comune ......................................... 5 2.5 Il caso Italia ............................................................................................................................................ 5 2.6 Allora esiste un’alternativa ................................................................................................................... 5 Capitolo 3 - Disuguaglianza di ricchezza e progetti politici ......................................................................... 6 3.1 Ricchezza privata e comune .................................................................................................................. 6 3.2 Gli effetti sul cambiamento tecnologico ............................................................................................... 6 3.3 Gli effetti sull’equilibrio di potere tra lavoro e chi controlla l’impresa ............................................ 6 3.4 Gli effetti sul passaggio generazionale ................................................................................................. 6 3.5 Rabbia e progetto autoritario ............................................................................................................... 7 3.6 La strada politica per un progetto di emancipazione sociale ............................................................. 7 3.7 Forme di azione politica ........................................................................................................................ 7 3.9 Requisiti di un pubblico confronto e alleanze ..................................................................................... 8 Capitolo 4 - Un cambiamento tecnologico per la giustizia sociale ............................................................... 8 4.1 Le 15 proposte dell’Alleanza ForumDD .............................................................................................. 8 Capitolo 5 - Un lavoro con più forza per contare .......................................................................................... 9 5.1 Ridiamo dignità al lavoro ...................................................................................................................... 9 5.2 Una partecipazione strategica di lavoratori e lavoratrici aperta alla cittadinanza ....................... 10 Capitolo 6 - Un passaggio generazionale più giusto .................................................................................... 11 L’ingiustizia da combattere: crisi generazionale e ricchezza ....................................................................... 11 Le cause dell’ingiustizia .............................................................................................................................. 11 1 Capitolo 1 - Un progetto per un futuro più giusto Il divario fra le imprese che innovano e pagano dignitosi salari e imprese che sopravvivono solo grazie a salari da fame è grande, soprattutto a sfavore delle donne. C’è un forte incremento della disuguaglianza nella ricchezza privata che si somma alle disuguaglianze nella qualità dell’ambiente, fenomeno che si verifica maggiormente nel Sud Italia il cui impatto sacrifica bambini e bambini più che in passato. La povertà educativa tocca vette importanti in alcune aree a causa dell’abbandono scolastico che causa immobilità sociale e ostacolano il pieno sviluppo individuale. Da un lato contesti di eccellenza nella cura della salute, dall’altro luoghi dove viene negato il diritto di un servizio universale di qualità. Divari fra isole territoriali di successo, e altre soggette a emorragie demografiche e marginalità la cui rabbia nata da queste condizioni diviene muro e regressione civile, sebbene non manchino le esperienze di auto-organizzazione che mirano al recupero della ricchezza comune. C’è uno scontro continuo tra segnali di un paese ancora culturalmente attivo, e altri i quali fanno riferimento all’ineluttabilità della condizione per giustificare la sfiducia e la rassegnazione. In ogni società lo sviluppo non è omogeneo ed esistono divari territoriali. Questi divari sono in parte frutto della casualità di tutti i processi evolutivi, ma sono anche frutto di processi sistemici e di rapporti di forze all’interno della società e della politica. Il pieno sviluppo della persona incontra ostacoli ingiustificabili, vi è la percezione di non riconoscimento da parte di vaste fasce sociali dei territori marginalizzati, l’assenza di prospettive di cambiamento confermata dalla quasi immobilità sociale. Permane e si rinforza il divario di genere dovuto da ostacoli messi davanti alla parità di genere come la disparità salariale, ricatti e molestie nel mondo del lavoro. La negazione al diritto genitoriale degli omosessuali (con paradossale lamento della decrescita della natalità). L’ingiustizia sociale nell’Occidente segna lo stato generale delle cose. Il tema non è la crisi del capitalismo, come argomenta Branko Milanovic il capitalismo oggi è più forte che mai. Il tema è semmai che questo capitalismo è troppo forte. Ha prodotto squilibri di potere, effetti sulle relazioni umane e sul rapporto con l’ecosistema tali da suscitare in Occidente rabbia e paura profonde, sfiducia in coloro che governano. La crisi globale Covid-19 ha fatto emergere molte disuguaglianze che segnavano la normalità. Possiamo immaginarla come una crisi a doppia faccia: da un lato la crisi ecologica del pianeta, dall’altra le disuguaglianze preesistenti che hanno amplificato la diffusione degli effetti sanitari, economici e sociali del virus. Alcuni aspetti sono stati messi in evidenza in relazione alla crisi globale Covid-19: l’assoluta impreparazione alla pandemia, connessa ai processi di privatizzazione della conoscenza, il rischio era noto da tempo, oltre al fatto che la tecnologia impiegata per la produzione dei vaccini era ferma dagli anni Sessanta a causa della non convenienza degli investimenti; il fallimento della cooperazione politica internazionale; scarsa possibilità per milioni di italiani di reggere a un periodo di oltre un mese in assenza di entrate fiscali; una sanità indebolita da continui disinvestimenti e tagli. Ciò può e deve diventare uno sprone per cambiare rotta. Possiamo prevedere tre diverse opzioni strategiche che si contenderanno l’egemonia culturale nel costruire l’uscita dalla crisi. Una prima opzione chiamata Normalità e progresso che proporrà come obiettivo la normalità con più attenzione alle disuguaglianze, presentando la digitalizzazione come un processo progressista, promettendo semplificazione. Una seconda opzione che si può definire Sicurezza e identità e offrirà alle disuguaglianze la compensazione di uno Stato accentrato che prenda decisioni senza la pretesa di un pubblico confronto, controlli e sanzioni ai comportamenti difformi. Una terza soluzione può essere quella che possiamo chiamare Giustizia sociale e ambientale che modifichi gli equilibri di potere e i dispostivi che producono disuguaglianze, che crei uno spazio di confronto acceso e informato che possa produrre un salto di qualità del settore pubblico e delle sue amministrazioni. È in questo modo che possiamo raggiungere risultati come lavori stabili e di qualità, una libera circolazione della conoscenza, una drastica riduzione della povertà educativa. È questo il progetto che muove i membri del Forum Disuguaglianze Diversità. Come? Come la costituzione chiede alla nostra Repubblica di fare. Il futuro non è segnato, dipenderà dalle nostre scelte, è possibile cambiare rotta, ma non è facile perché il cambio di rotta ha molti avversari poiché per molti è conveniente che questo non avvenga. Ecco perché è necessario che ogni proposta nasca da un confronto acceso, informato e aperto. Ad aprire i primi spiragli del cambiamento sono le azioni pubbliche per l’emergenza Covid-19, avviando politiche di protezione sociale e di offerta di liquidità alle imprese, realizzando piani di ripresa delle attività attraverso forme di governance estesa a tutti gli stakeholders. Per lo sviluppo di giustizia sociale e ambiente le risposte che dà il ForumDD passano per il venir meno della possibilità di pagare salari miseri o lavoro irregolare, per un’accelerazione decisa dello spostamento verso produzioni verdi, sfruttando il vantaggio che abbiamo in termini di 4 2.2 I progetti di emancipazione sociale del trentennio post bellico: le responsabilità Di fronte alle nuove sfide sono mancate le reazioni che avevano precedentemente segnato il periodo postbellico ai due lati dell’Atlantico seppur in modi diversi. Si trattava di progetti di cultura socialdemocratica, cristiano-sociale organizzati in partiti di massa che hanno orientato le scelte politiche a obiettivi a lungo termine e con gradi diversi di accordo con le élite economiche che hanno prodotto risultati in termini di giustizia sociale. Tutti questi progetti però avevano manifestato alcuni limiti che hanno pesato al momento dei grandi cambiamenti. Le disuguaglianze erano state affrontate soprattutto con soluzioni redistributive, espandendo i meccanismi di trasferimento monetario a persone e imprese anziché con interventi sui processi di formazione dei redditi da cui le disuguaglianze originano. L’interventismo pubblico nella regolazione del conflitto tra finanziatori e imprenditori agivano in modo crescente come un disincentivo dell’autonomia imprenditoriale, sostituendola con una logico burocratico-statalista. In questo contesto, l’esplodere negli anni Sessanta della controcultura, di nuove aspirazioni, l’attenzione alla diversità, fa emergere la contraddizione tra capitalismo ed ecosistema, individuando la connessione tra giustizia sociale e ambientale, il permanere della condizione di subalternità delle donne, il persistere di una logica razzista postcoloniale. Al tempo stesso le nuove idee mettono in discussione la logica produttivistica che toglie valore al senso e alla pratica dell’uomo e contestano l’ascensore sociale come obiettivo se esso significa uniformarsi a uno standard di vita stabilito da poteri economici, chiedendo infine nuove forme di partecipazione dentro i partiti e nell’assunzione di pubbliche decisioni. In Italia a partire dagli anni ‘70 avviene la riforma del diritto di famiglia, la riforma dell’assistenza psichiatrica, le leggi su divorzio e aborto, l’introduzione nelle scuole dell’insegnante di sostegno, la riforma sanitaria. Ma negli anni ‘80 questo processo verrà fermato dall’affermazione culturale neoliberista, più tardi globalizzazione e tecnologia aggraveranno ulteriormente le difficoltà. A quel punto anziché adoperarsi per cogliere la parte potenzialmente emancipante della digitalizzazione i partiti di massa useranno l’alibi della società liquida per motivare l’incapacità di rappresentarla. Si convinceranno e convinceranno che le disuguaglianze hanno origine da comportamenti individuali e non da processi collettivi. E così renderanno effettivamente la società liquida. I partiti cesseranno di offrirsi come nei precedenti trent’anni come luogo di confronto acceso e informato e rinunceranno a ricercare una fidelizzazione degli elettori attorno a obiettivi, ripiegando su una rappresentanza speculativa e occasionale. 2.3 Il progetto neoliberista Quello che chiamiamo progetto neoliberista è l’esito di processi diversi, ma è possibile trattarlo come unico progetto in quanto in ogni paese in cui è stato adottato ha prodotto risultati comuni e omogenei. Il neoliberismo attribuisce all’impresa capitalistica la capacità di conseguire il benessere collettivo e alla crescita la virtù di conseguire prima o poi la giustizia sociale. Lascia il capitalismo agire come incontrastata istituzione culturale e politica. Mette lo stato al servizio degli obiettivi strategici delle élite economiche. L’identità di classe viene oscurata a causa dell’assenza di controllo di mezzi materiali e immateriali con cui svolgiamo il nostro lavoro. I cittadini contano votando, non invece partecipando e usando la propria voce. Di fronte ai fenomeni esterni che sfidano l’Occidente il neoliberismo sembra offrire una risposta a prima vista rassicurante e di semplificazione, una semplificazione tecnocratica, come se le risposte derivassero dalla massimizzazione di un’efficienza univocamente definibile, mentre invece esse celano decisioni politiche e preferenze per alcuni gruppi sociali, e in queste scelte il metro sociale è assente. Si conia l’espressione TINA, there is no alternative e l’espressione best practice come se il best riguardasse tutti. La politica si riduce all’economia e il conflitto tra progetti diversi come dovrebbe accadere in democrazia è eliminato. È l’opposto del progetto emancipatorio racchiuso nell’Art. 3 dove il concetto di libertà è sostanziale. Invece si attua quello che è il rifugio dalla complessità, attraente per chi non vuole avere a che fare con la misurazione con un popolo variegato e difficile. Nel mortificare il pubblico confronto si restringe il canale attraverso cui tutti noi verifichiamo con gli altri le nostre aspirazioni e identifichiamo gli ostacoli che le bloccano. Si consumano qui i due vizi capitali del neoliberismo, l’assunzione di decisione su una base di conosce assai inferiore a ciò che sarebbe disponibile e l’impossibilità di trovare giuste soluzioni venendo a mancare il luogo in cui le opinioni delle persone possono scontrarsi, influenzarsi. Nella sua operazione culturale egemone il neoliberismo riesce a recuperare al proprio disegno gli impulsi innovativi della controcultura degli anni ’60, diversità, antistatalismo, nuovi diritti civili vengono trasfigurati in un individualismo opportunista. 5 2.4 Tre leve, tre cause: politiche, potere negoziale del lavoro, senso comune Indicate da Atkinson come causa dello stato attuale delle disuguaglianza, si è verificata un’inversione di 180° delle politiche, l’indebolimento del potere negoziale del lavoro e un cambiamento radicale nel senso comune. Politiche: sul piano internazionale vengono sbilanciati gli accordi del dopoguerra, la liberalizzazione dei movimenti di capitale non più attenta alla tutela degli effetti sui sistemi sociali nazionali sposta il potere da chi controlla lo stato a chi controlla i capitali. Cambia il taglio delle politiche macroeconomiche e redistributive che avevano dominato il dopoguerra. Vengono accantonati gli obiettivi di piena occupazione e indebolite le politiche di regolazione dei mercati, negli USA ad esempio viene depotenziato il ruolo dei tribunali nel risolvere i conflitti azionisti-manager nelle società a proprietà diffusa. L’impianto ora descritto sottrae le politiche al pubblico dibattito e impedisce di adattarle ai singoli contesti prevalendo l’omogeneità di luoghi e persone. A ciò si aggiunge l’affermarsi di un terzo indirizzo che ha contribuito ad aggravare le disuguaglianze territoriali e a crearne di nuove, l’elargizione ai territori di sussidi pubblici al di fuori di qual si voglia strategia con il fine unico di rendere meno cogenti le disuguaglianze. Si tratta di massicci finanziamenti pubblici che non partono da una strategia che presupponga un’analisi dibattuta in modo acceso e informato; invece, il fine è spendere e smorzare la voce dei cittadini. Il risultato è stato disastroso ovunque e hanno incentivato le classi dirigenti locali a trasformarsi in retiners, intermediari di consenso elettorale in cambio di sussidi. 2.5 Il caso Italia La tesi secondo cui il neoliberismo spiegherebbe anche in Italia le attuali disuguaglianze incontra un’obiezione, in Italia di neoliberismo se ne sarebbe visto ben poco. Paradossalmente la causa sarebbe da ricercare nel fatto che l’Italia sia stata refrattaria a farsi neoliberalizzare. Questa tesi commette un duplice errore, essa trascura che le scelte neoliberiste prima descritte siano state fatte anche in Italia e prende per cause quelle che invece sono situazioni aggravanti, che hanno invece “solo” accentuato l’impatto del neoliberismo. Alcune scelte neoliberiste ben note e studiate sono state ad esempio le leggi che hanno indebolito il potere negoziale del sindacato, le privatizzazioni, la rinuncia a dare missioni strategiche alle imprese rimaste pubbliche, la drastica riduzione degli investimenti pubblici e dei finanziamenti all’istruzione, l’erosione della sanità pubblica. È utile invece rilevare due specificità italiane che hanno aggravato l’effetto di questa politica. Hanno sicuramente pesato l’arcaicità delle amministrazioni pubbliche e la tendenza a deresponsabilizzare il governo dai poteri e dalle procedure pubbliche; ne derivano conseguenze come la priorità delle procedure sui risultati. Si tratta di una situazione sistematicamente peggiore nel Sud Italia, coinvolge in modo pesate il sistema scolastico partendo dagli edifici strutturali ai sistemi arcaici di insegnamento. Ci sono eccezioni in tante nicchie di qualità, anche al Sud, ma non fanno sistema. Ha poi pesato la natura del sistema produttivo italiano caratterizzato dalla prevalenza di piccole e medie imprese PMI; la loro debolezza non sta nella piccola dimensione in sé ma negli ostacoli che le separano dalla crescita dimensionale e dal rinnovamento della produttività. l’Italia industriale si è così sempre affidata alle grandi imprese pubbliche grazie anche a scelte neoliberali che hanno tagliato le gambe alle PMI nel momento in cui si è optato per una privatizzazione della conoscenza e delle piattaforme digitali o quanto meno accessibili a prezzi proibitivi. In Germania lo stesso sistema si è invece adeguato costruendo un’organizzazione che coordina e centralizza produzione e innovazione per le PMI, la Fraunhofer. 2.6 Allora esiste un’alternativa Se le disuguaglianze sono frutto d scelte, è possibile tornare a ridurle. Si tratta di modificare un sistema coerente di politiche, di realizzare un cambiamento culturale che modifichi il senso comune prevalente in molti ambiti di vita. Si tratta di un progetto a medio lungo termine che deve collegarsi al contesto europeo ma che deve avviarsi a livello nazionale per un cambiamento dal basso. Questo progetto avrà forti avversari dunque sarà conflittuale che è una cosa ovvia in democrazia, il fondamento che il neoliberismo ha oscurato, minando gli strumenti del pubblico confronto. 6 Capitolo 3 - Disuguaglianza di ricchezza e progetti politici 3.1 Ricchezza privata e comune La disuguaglianza di ricchezza è cresciuta esponenzialmente ed è fattore generativo di disuguaglianza sociale. In assenza di ricchezza privata, per quanto ci si possa impegnare nello studio non si può scegliere l’università adatta, è più difficile rifiutare un lavoro inadeguato, cresce il rischio di dover vivere in un’area degradata. Effetti altrettanto profondi derivano da una cattiva qualità di ricchezza comune, dell’ambiente, del paesaggio, essa riduce le opportunità di vita e apre un divario mortificante rispetto a chi può accedere a una ricchezza comune di qualità. Queste due disuguaglianze si alimentano l’un l’altra incidendo sulla disuguaglianza di istruzione particolarmente grave in Italia. A parità di doti naturali e di istruzione, due persone con e senza ricchezza hanno prospettive di vita diverse. Tre sono i processi che influenzano formazione e distribuzione della ricchezza: cambiamento tecnologico, equilibrio di potere tra lavoro e impresa, passaggio generazionale 3.2 Gli effetti sul cambiamento tecnologico La tecnologia dell’informazione ha in sé il potenziale per ampliare l’accesso alla conoscenza; invece, nonostante indubbi effetti positivi in molti campi sta avvenendo il contrario. Questo paradosso è spiegato è spiegato dalle scelte compiute negli ultimi quarant’anni, vale a dire dalla rinuncia dello Stato a esercitare una funzione strategica e l’indebolimento del potere di confronto e di negoziazione dei sindacati che hanno impedito di direzionare il cambiamento tecnologico nelle giuste direzioni e permesso un processo di concentrazione della conoscenza e quindi del potere e della ricchezza. Le scelte compiute hanno prodotto un paradosso. Alla base del progresso tecnico sta un vasto patrimonio di conoscenze accumulate in forma accessibile a tutti (open science), la qualità e la gratuità dell’accesso a questa hanno un forte potenziale di riduzione delle disuguaglianze. Ma in realtà avviene il contrario, l’open science viene acquistata da grandi imprese private brevettando i risultati prodotti dall’uso che ne fanno. Questo processo di privatizzazione della conoscenza pubblica consente a poche imprese di varia natura di acquisire posizioni monopolistiche e imporre prezzi superiori al costo di produzione di beni e servizi. 3.3 Gli effetti sull’equilibrio di potere tra lavoro e chi controlla l’impresa L’indebolimento delle organizzazioni sindacali, la modifica delle regole del mercato del lavoro, aprono un forte squilibrio nella distribuzione dei diritti e di presa di decisioni nelle imprese. Le conseguenze di questi squilibri come accennato in precedenza sono la crescita delle retribuzioni minime inferiori a quelle della produttività, aumento di cattivi lavori. Molte di queste disuguaglianze si trasformano in disuguaglianze dei mezzi finanziari creando disuguaglianze di opportunità. A questo si aggiunge l’invisibilità di una fetta di lavoratori il cui contratto non fa riferimento ad assicurazioni sociali venuta allo scoperto solo con la crisi Covid-19 3.4 Gli effetti sul passaggio generazionale Nell’avvicinarsi all’età adulta ragazzi e ragazze maturano una consapevolezza della ricchezza familiare su cui potranno contare ben prima dell’eredità, attraverso donazioni non visibili o la garanzia di un aiuto in caso di difficoltà. È giusto che una famiglia possa offrire questa protezione. Non è però giusto che altri ragazzi cresciuti in famiglie non ricche non possano godere di questa protezione, le loro scelte di vita sono inevitabilmente condizionate prima ancora dell’età adulta. È per riequilibrare questo gap che la cultura liberale ha ritenuto utile introdurre imposte progressive sull’eredità. Nell’ultimo quarantennio l’idea di merito divenuta appendice del possesso del patrimonio ha fatto in modo che queste imposte venissero drasticamente ridotte. Italia questo fenomeno ha assunto un carattere estremo fino all’abolizione dell’imposta, reintrodotta ma fortemente depotenziata. Nella stessa direzione hanno operato la riduzione della retribuzione dei giovani e l’aumento del tasso di disoccupazione. Questi fattori riducono la possibilità dei giovani di rimediare all’assenza di ricchezza familiare. Ciò è fonte di forte discriminazione economica e accresce l’ingiustizia sociale. La protezione familiare è una belle opportunità di vita per molti, ma rischia anche di diventare condizionante e limitante per le scelte individuali a favore di quelle genitoriali. 9 Capitolo 5 - Un lavoro con più forza per contare Una delle cause dell’attuale disuguaglianza sociale è la perdita del potere di negoziare le condizioni lavorative e del potere di pesare nelle scelte delle aziende. Così come la diminuzione di retribuzione e la polarizzazione tra buoni e cattivi lavori. Il forte incremento della retribuzione dei manager conferma che solo la detenzioni di una posizione indispensabile percepita per il processo produttivo, consente di accedere in misura crescente alla distribuzione del reddito. Sono fenomeni di potere fra il lavoro e chi controlla il capitale, venuti in evidenza in modo eclatante durante la crisi Covid-19 che ha devastato una platea di lavoratori irregolari, saltuari, somministrati, atipici essendo privi di qualsiasi tutela sociale. Per tutelare le condizioni di lavoro sono da sempre disponibili due strategie tra loro complementari di riequilibrio dei poteri, la negoziazione, storicamente una delle missioni dei sindacati, e la partecipazione al contesto decisionale. La globalizzazione e il cambiamento tecnologico, con lo straordinario aumento dell’offerta di lavoro competitivo, hanno frammentato le filiere del lavoro e reso più difficile la sua organizzazione. Ma questi fattori anziché essere usati per costruire strumenti di riequilibrio a favore del lavoro ne hanno esacerbato la disuguaglianza. L’affermarsi del valore azionario dell’impresa come unico metro di giudizio del successo imprenditoriale ha spinto a relegare in posizione marginale il concetto di responsabilità sociale d’impresa impedendo che le responsabilità dell’imprenditore comprendessero altri stakeholder oltre agli azionisti, in primis lavoratori e lavoratrici. Pure in questo scenario hanno continuato a operare forme di partecipazione dei lavoratori alle decisioni aziendali, in Italia la forma più significativa è l’impresa cooperativa le cui criticità non mettono in ombra le potenzialità di garantire il diretto coinvolgimenti della pluralità di attori che formano un’azienda. Per questo risultato concorrono tutte le proposte elencate fin ora poiché i singoli interventi non produrrebbero il cambiamento radicale necessario a rendere meno evidente il dislivello sociale. 5.1 Ridiamo dignità al lavoro Le cause fin ora trattate relative alla disuguaglianza presente nel mondo del lavoro sono possibili grazie anche i controlli ispettivi inadeguati, dovuti a un sottodimensionamento dell’organico delle istituzioni preposte a questa funzione. Oltre a cause esterne come globalizzazione e innovazione tecnologica, concorrono alla disuguaglianza sociale le politiche neoliberiste che hanno accompagnato questi processi riducendo il potere negoziale del lavoro organizzato. La riduzione delle distanza tra luoghi e persone ha certamente indebolito ulteriormente i lavoratori meno qualificati dei paesi occidentali che sono stati messi in competizione con le grandi massi di lavoro dell’Asia spingendo al ribasso la retribuzione. La sostituzione del lavoro con macchine non è stato il problema in sé, anzi può liberare tempo per lavori migliori, ma questo è vero solo se il cambiamento è indirizzato ad accrescere la sicurezza sul lavoro, ad accrescere, non ridurre, i lavori di cura che chiedono relazioni umane o a promuovere microimprenditorialità genuina. È avvenuto il contrario perché il cambiamento tecnologico non è stato governato. Gli obiettivi: per ridurre il divario sulla giustizia nel mondo del lavoro la proposta è quella di far sì che non ci siano più persone che fanno lo stesso lavoro ma con tutele contrattuali diverse, quella di mettere fuori legge i casi di sfruttamento. Condizioni di lavoro più dignitose garantite da un salario minimo legale e dall’estensione dei contratti collettivi in grado di assicurare condizioni contrattuali previdenziali che avrebbero tutelato una larga fetta di lavoratori precari nella crisi Covid-19. La seguente proposta impedirebbe inoltre agli imprenditori che investono in innovazione e partecipazione dei dipendenti di subire la sleale concorrenza di coloro che possono sfruttare legalmente il lavoro in modo incontrollato. La proposta: è opinione del ForumDD che per perseguire questo obiettivo servano: - dare più forza alla contrattazione sindacale - introdurre il salario minimo - rafforzare le ispezioni sul rispetto dei minimi contrattuali e legali Non sono proposte nuove, ma simultaneamente possono produrre l’impatto desiderato. Quindi mettendo in atto l’Art 39, viene chiesto che venga estesa a tutti i settori l’efficacia dei contratti firmati dalle organizzazioni sindacali, ciò permetterebbe il secondo passo, quello di introdurre il salario minimo orario, una soglia al di sotto della quale non può essere chiesto di lavorare. Questi due interventi devono essere accompagnati dal rafforzamento delle risorse umane e di cogenza dei meccanismi ispettivi per colpire e prevenire irregolarità contrattuali. Ci sono argomenti contrari al salario minimo secondo i quali produrrebbe disoccupazione, ma 10 non ci sono evidenze statistiche sulla base di altri paesi che affermano che il salario minimo impatta l’occupazione. Il minimo retributivo invece spingerebbe a quelle piccole imprese a compensare la loro inefficienza con salari non dignitosi. Non convince poi l’ipotesi secondo cui l’introduzione di questa misura taglierebbe le gambe alla contrattazione. Resta evidente che per ottenere condizioni di tutela della propria dignità resta decisivo il ruolo della contrattazione nazionale, territoriale e di impresa. La retribuzione oraria minima non dovrebbe essere inferiore a 10 euro netti. Messa a terra: per l’attuazione di queste misure hanno un ruolo fondamentale organizzazioni sindacali, governo e parlamento. La spinta viene anche dall’Unione Europea la cui Presidente della Commissione ha annunciato che sarebbe stato proposto uno strumento legale per assicurare che in ogni paese membro i lavoratori abbiano un salario minimo equo. Parallelamente vi è una spinta per assicurare maggiori tutele per alcune categorie di lavoro come i riders da parte di amministrazioni comunali autonome e da alcune sentenze enunciate presso la corte d’appello di Torino e dalla corte di cassazione. Certo i riders costituiscono solo il 10% dei lavoratori della gig economy ma è uno sprone per le organizzazioni sindacali ad agire a livello sistematico. 5.2 Una partecipazione strategica di lavoratori e lavoratrici aperta alla cittadinanza L’attuale disuguaglianza nei redditi e nella ricchezza ha origine anche nello squilibrio che si è aperto nella distribuzione dei diritti di controllo e di presa di decisioni nelle imprese. La visione dell’impresa come unicamente rivolta a massimizzare il valore patrimoniale ha messo in ombra la prospettiva della giustizia sociale. Oggi i lavoratori non hanno un luogo per influenzare in modo strutturato e continuativo le scelte dell’impresa, come invece hanno gli azionisti o i top management. Certo i lavoratori dipendenti hanno la contrattazione ma non vale per la massa crescente di precariato. L’assenza di un simile luogo pesa. Le scosse impresse della globalizzazione impongono una continua rivalutazione delle strategie aziendali e vanno regolamentate le contrattazioni dei lavori nati grazie all’avanzare della tecnologia. La recuperata capacità di indirizzo dello Stato non è sufficiente a raggiungere gli obiettivi, serve che questi obiettivi vengano raggiunti dal confronto territoriale che coinvolga in modo profondo le imprese. Obiettivi: il governo d’impresa è e deve tornare ad essere considerato una questione sociale. E ciò a sua volta richiede che siano rimossi due ostacoli esistenti a scegliere come utilizzare e sviluppare le proprie abilità e per gli altri stakeholder a far pesare la propria voce. Questo obiettivo di articola in due fasi, primo costruire il luogo di confronto, decisione e influenza sulle scelte aziendali territorio per territorio in maniera sistematica, secondo promuovere un maggior ricorso alla forma cooperativa per subentrare nel controllo delle aziende. Nell’Unione Europea la rendicontazione sociale è divenuta obbligatoria per le grandi società. In Gran Bretagna il nuovo codice di governo per le società quotate raccomanda la considerazione degli interessi del lavoro indicando varie strade del coinvolgimento nei processi decisionali. In Italia nel 2018 Confindustria CGIL CISL e UIL hanno raggiunto un’intesa con sui CONTENUTI E INDIRIZZI DELLE RELAZIONI INDUSTRIALI E DELLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA che auspica che si sviluppino forme e strumenti della partecipazione organizzativa, considerando un’opportunità la valorizzazione di partecipazione nei processi di definizione degli indirizzi strategici dell’impresa. Le proposte: si avanzano due distinte proposte: 1. Consigli del lavoro e della cittadinanza. Questa proposta risponde sia all’esigenza di dare attuazione alla partecipazione strategica del lavoro sia a quella di far pesare nell’impresa l’esito di un confronto aperto a molti interessi e valori. I consigli del lavoro sono organismi di rappresentanza istituzionalizzata dei lavoratori in Europa e che diventano parte costitutiva della governance dell’impresa. La differenza con la forma tradizionale è che viene richiesta la partecipazione di tutti i lavoratori e lavoratrici che contribuiscono alla crescita dell’impresa e la partecipazione degli altri principali stakeholders. Il consiglio può esercitare tre tipologie di diritti, diritto di informazione, diritto/potere di essere consultato e di esprimere una proposta o controproposta che abbia la possibilità di incidere direttamente, diritto di codecisione, cioè il diritto di esprimere consenso vincolante su proposte aziendali. Al fine di svolgere il proprio compito il consiglio deve disporre di un supporto tecnico con l’obiettivo che il consiglio divenga un centro di competenze capace di mettere insieme le conoscenze e di far crescere le competenze di tutti i suoi partecipanti 11 2. Lavoratori e lavoratrici proprietari. La pratica dei workers buyout è attiva da tempo in Italia. (legge Marcora 1985). Si tratta di un meccanismo per cui lavoratori e lavoratrici negoziando con il settore cooperativo si costituiscono in una cooperativa e acquistano un’azienda in difficoltà. Si tratta di cooperazioni che in generale uniscono un connotato di efficienza economica legato alla valorizzazione di un patrimonio aziendale altrimenti destinato a perdersi a effetti positivi in termini di giustizia sociale aprendo nuove prospettive di autonomia e a ovviare al problema generazionale laddove venga ereditata un’azienda ma non le capacità imprenditoriali. Dalle indagini condotte i risultati sono positivi sebbene vi sia un rischio di abuso di questa possibilità. Per utilizzare al massimo il WBO è necessario sopprimere alcuni punti di debolezza conosciuti a chi è nel settore da anni ma che sono sfuggiti alla politica. La strategia d’azione consiste nel rafforzare la formazione e la competenza manageriale di chi ne fa parte, nell’incoraggiare fiscalmente attraverso la non imponibilità ai fini IRPEF dell’indennità di mobilità richiesta anticipatamente dai lavoratori per la costituzione di una società cooperativa, il rafforzamento della legge Marcora per la promozione dei WBO ad esempio prevedendo la non assoggettabilità a IRPEF del TFR per l’acquisto dei lavoratori di imprese che non hanno eredi, e l’opzione del WBO dovrebbe essere la prima a essere presa in considerazione in caso di crisi aziendale. Capitolo 6 - Un passaggio generazionale più giusto L’ingiustizia da combattere: crisi generazionale e ricchezza L’Italia è nel pieno di una crisi generazionale. L’influenza dei giovani sulle decisioni è inesistente. Chi può emigra senza poi tornare nei luoghi di provenienza che si impoveriscono irrimediabilmente. La Repubblica ha scarsa capacità di dotare i giovani di competenze e strumenti e delle opportunità per essere vincenti. In assenza di questa tutela pubblica, rimane solo quella privata familiare. La soluzione pensata dal ForumDD è quella di affiancare alla tutela familiare una tutela pubblica su cui i giovani sanno che potranno utilizzare per sviluppare le proprie aspirazioni. Certo una dotazione di ricchezza una tantum non basta, la situazione attuale è il risultato di decenni di politiche penalizzanti. Ancora è necessario un fronte di intervento nel campo dell’istruzione obbligatoria che prenda di petto il fallimento educativo avvenuto soprattutto in specifiche aree territoriali. Non si deve sfuggire però al tema dei mezzi finanziari su cui contare quando ragazzi e ragazze iniziano a farsi domande sul proprio futuro. È compito dello Stato assicurare in questa dimensione il massimo dell’uguaglianza di opportunità attraverso servizi universali di accompagnamento alle scelte. Le cause dell’ingiustizia Una delle principali fonti di disuguaglianza è la ricchezza privata e l’eredità su cui si potrà fare affidamento nel momento della successione sulla quale è stata negli anni via via ridotta l’imposta. L’azione redistributiva pubblica non solo non ha compensato la concentrazione di della ricchezza ma ha ampliato il fenomeno. Non deve dunque sorprendere la forte persistenza delle disuguaglianze di ricchezza al succedersi delle generazioni. È necessaria ed è possibile un’inversione di rotta. Obiettivi: l’obiettivo è quello di ridurre il divario di opportunità a causa della ricchezza familiare. Si deve assicurare con le imposte raccolte che anche chi non riceve lasciti abbia le stesse possibilità di beneficiare del passaggio generazionale di ricchezza dell’intera generazione. La proposta: la proposta è quella di muoversi su due direzioni complementari suggerite da Atkinson. Il ForumDD dunque propone un meccanismo che nel momento del passaggio generazionale combini due strumenti: il prelievo progressivo sulla ricchezza e donazioni ricevuti nell’arco dell’intera vita e un’eredità universale incondizionata al raggiungimento dell’età adulta. Per raggiungere appieno l’obiettivo è necessario nel caso dell’eredità immobiliare una riforma catastale che aggiorni la rendita catastale perché altrimenti si crea una grave iniquità, cioè, ricevere da un genitore in eredità un immobile che vale sul mercato 5 milioni ma accatastata per 1 milione comporta che l’imposta dovuta non sia adeguata al valore dell’abitazione. Resta da valutare il problema della liquidità con cui gli ereditieri sono chiamati a pagare le loro imposte.