Scarica UNA SCUOLA PER L'EMANCIPAZIONE - PHILIPPE MEIRIEU e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Psicologia Generale solo su Docsity! UNA SCUOLA PER L’EMANCIPAZIONE – MEIRIEU Introduzione, con i tempi che corrono… CHIARIRE I MALINTESI E TORNARE ALL’ESSENZIALE -> Meirieu e Bottero chiariscono fin da subito di non appartenere ai teorici del declino che rimpiangono la scuola del passato in gran parte mitizzata ma che, come i ragazzi di Barbiana e di Lorenzo Milani, si sono ribellati contro l'aumento delle differenze a scuola, un fenomeno che distrugge nel profondo le relazioni sociali. I due autori chiariscono di non far parte neanche di quei tecnofobi che credono che senza video e tecnologie digitali il mondo sarebbe ancora l'età dell'oro: questo non esclude la preoccupazione per la totemizzazione delle tecnologie, il cui uso incontrollato prepara l’avvento di quelle che Deleuze chiamava le società di controllo. Il loro scopo è offrire agli studenti riferimenti storici precisi e aiutarli a incontrare le grandi opere della cultura, una ricca padronanza della lingua orale e scritta. Meirieu e Bottero non credono che la pedagogia sia una scienza, ma un'arte di fare (Michel de Cereau) che coniuga tre poli: - Assiologico, con cui si definiscono le finalità; - epistemico che comprende i saperi da trasmettere e la conoscenza delle modalità di sviluppo del ragazzo; - pratico, con cui si costruiscono istituzioni, metodi e strumenti di lavoro. Se è vero che le ricerche devono essere scientifiche, le pratiche non possono né devono esserlo, poiché negherebbero lo status di individuo in continua evoluzione a coloro a cui si rivolgono. A volte, In Francia, si sostiene che Philippe Meirieu abbia condizionato in modo determinante lo sviluppo del sistema scolastico degli ultimi decenni: pur avendo avanzato in molte occasioni proposte di riforma, nessuna è stato seriamente accolta dal ministero francese dell'istruzione es. L'istituzione di una scuola di base comune dai tre ai 16 anni senza interruzioni improvvise con sostegni personalizzati ecc. Per quanto riguarda l'influenza della pedagogia sull'evoluzione del sistema scolastico, anche in Italia negli anni 70 del 900, quando sono state varate importanti riforme, l'organizzazione è sempre stata gestita da politici legati alla tradizionale forma scolastica: sono stati introdotti dei cambiamenti con la scuola di massa (istituzione della scuola a tempo pieno, integrazione scolastica di alunni disabili) che non hanno determinato la modifica dell'organizzazione didattica generale. Vi sono molte credenze false sull'influenza della pedagogia in questo campo: In Francia come in Italia c’è l pensiero che la scuola sarebbe in crisi perché irresponsabili innovatori, figli del ‘68, avrebbero agito in modo subdolo per fare in modo che d'insegnanti sottoponessero continuamente a discussione assembleare le consegne date agli allievi e che si abbandonasse l'esercizio dell'autorità. Emblematico in Italia è il caso di Lorenzo Milani, accusato di aver rovinato la scuola diffondendone ideologia egualitaria e conflittuale avrebbe abbassato il livello di saperi trasmessi a scuola; tutto ciò non ha fondamento. Qualche volta gli educatori del progressismo pedagogico (le pedagogie che si sono sviluppate come riflessione sulle esperienze dell'educazione nuova) hanno avuto accesso al dibattito pubblico, ma non hanno mai realmente esercitato il potere nell'istituzione che è rimasto sempre nelle mani dei conservatori, prima di passare nelle mani del progressismo amministrativo. È stato gradualmente integrato un modello manageriale e tecnocratico che, con lo stile autoritario, ha imposto i suoi principi: valutazione delle competenze, competizione tra scuole e stati. I fondamenti della pedagogia che le autorità pubbliche non hanno mai realmente preso in considerazione né in Italia né in Francia, pur essendosi sviluppati nel XVIII secolo, sono ancora oggi di grande attualità: - ogni essere umano è educabile e può imparare a crescere; - nessuno deve essere escluso dal diritto all'educazione, indipendentemente dall'aspetto fisico, nazionalità e religione; - è un dovere assoluto trasmettere alle generazioni future i principali saperi che l'umanità ha elaborato; - la trasmissione non si può realizzare con l'imposizione, è necessario risvegliare l'attenzione e proporre allievi attività che possano aiutarli a raggiungerla; - nessuno può imparare al posto di un altro; - tenere conto dell'unicità di ciascun individuo, importanza della cooperazione; - la vera cooperazione deve essere organizzata con metodo; - Che la scuola inserisca gli studenti in un'organizzazione sociale che li divide in ideatori, scioperanti, oppure al contrario aiutarli a integrarsi in gruppi in cui saranno riconosciuti per la ricchezza dei contributi che daranno. TRA IL DIRE E IL FARE: UNA DISTANZA CHE VA GRADUALMENTE RIDOTTA La pedagogia è semplice, a rischio di apparire dogmatica, nelle sue finalità; complessa, a rischio di apparire un linguaggio per iniziati, nelle sue modalità. È chiara nei suoi obiettivi, sofisticata nei metodi che rivede costantemente, idealista e impegnata nel quotidiano. In questo modo, Meirieu ha condotto le sue ricerche e svolto il suo lavoro: ha voluto essere sempre vicino al lavoro sul campo e alle preoccupazioni dei pratici dell'educazione. Non ha mai smesso di insegnare, anche quando aveva responsabilità istituzionali, ha lavorato costantemente sul rapporto tra finalità e pratiche che segna la vita quotidiana di ogni insegnante. È stato criticato sia dai filosofi, che lo hanno giudicato presuntuoso e inutilmente tecnico, sia dagli scienziati, troppo approssimativo e generico. La posizione dell'educatore è scomoda, poiché non è facile trasgredire l'abituale divisione dei compiti che la maggior parte degli intellettuali si è data per garantirsi tranquillità, secondo la quale si deve prendere la parola solo all'interno della propria cerchia, discutere solo con coloro che hanno gli stessi riferimenti. Meirieu è stato attaccato per più di quarant'anni, considerato un sabotatore della scuola perché ricordava che non basta insegnare per far apprendere qualcosa agli allievi. Anche in Italia la pedagogia è stata messa spesso sul banco degli imputati; in generale, tanti educatori sono stati oggetto di attacchi, le polemiche sui media e i social network hanno ulteriormente accentuato il fenomeno: nell'immediato bisogno, bisogna rispondere con un tweet o su un sito Internet. ignora la vera pedagogia che, ben consapevole delle naturali tensioni presenti nelle relazioni formative, cerca ogni giorno di coniugare il piacere lo sforzo nei percorsi di apprendimento. 2. Non basta passare al vaglio della critica i luoghi comuni dell'anti pedagogismo e dell'iper pedagogismo: è necessario scendere nell'arena per dimostrare che la pedagogia, se definita in modo rigoroso, aiuta a riprendere le questioni più vive che oggi impegnano gli attori dell'educazione. Si prende in esame il ruolo delle neuroscienze per migliorare le tecniche di insegnamento, le funzioni delle valutazioni internazionali, l'importanza della formazione ai valori della collettività... affinché in Francia come in Italia riprenda vita un vero dibattito comune sull’educazione. PRIMA PARTE: SUL CRINALE CAPITOLO 1: PER PREPARARE LO SFONDO Testimonianza della lotta di idee è la creazione nel 1921 della LEGA INTERNAZIONALE DELL’EDUCAZIONE NUOVA a cui parteciparono personalità molto diverse tra loro: Neill, studioso della psicoanalisi; Maria Montessori, specialista nell'educazione dei ritardi mentali; Jean Piaget, impegnato nelle operazioni mentali che caratterizzano lo sviluppo del bambino; Freinet, Dewey, filosofo americano che vedeva nell'educazione fondata sull'azione consapevole il fondamento della democrazia; Adolf Ferrier, volto a valorizzare le le attitudini di ciascuno; Elizabeth Rottern, femminista; Roger Cousinet, autore dell'espressione “bisogna che l'insegnante smetta di insegnare perché gli allievi possano cominciare ad imparare”. Questi educatori hanno fatto propri alcuni principi unificanti: - l'educazione deve rispettare l'individualità del ragazzo; gli studi devono dare libero corso ai suoi interessi innati, quelli che spontaneamente si risvegliano in lui; la competizione egoista deve sparire dall'educazione ed essere sostituita dalla cooperazione che insegna al ragazzo a mettere la sua individualità al servizio della collettività; ogni età ha una specificità, l'insegnante deve rinforzare il senso di responsabilità individuale e sociale. Ciò che unisce costoro è il rifiuto della scuola tradizionale: tutti i partecipanti al Congresso di Calais, durante la quale la lega è stata fondata, sottoscrivono l'allegoria con cui Adolf Ferrier conclude il suo discorso (la scuola è stata creata su indicazioni del diavolo; il bambino ama muoversi, ma è costretto a restare immobile; ama entusiasmarsi ma sono state inventate le punizioni; i bambini hanno imparato ciò che non avrebbero mai imparato: a dissimulare, ingannare e mentire). La discussione sull'educazione è bloccata nell'opposizione tra scuola tradizionale e pedagogia nuova, un contrasto archetipico che va ben oltre alle azioni concrete a cui i suoi protagonisti fanno riferimento: - Jules Ferry, riferimento della pedagogia tradizionale, hai elogiato i metodi nuovi che consistono nel non dettare più le regole al ragazzo ma fargliele scoprire; - Analogamente, alcuni tra gli educatori più radicali hanno fatto affermazioni come fossero sostenitori della pedagogia tradizionale; Sebastian Faure, ricorda la dimensione castrante di ogni tipo di educazione, tant'è che il ruolo dell'educazione è di ripulire ed eliminare nel ragazzo le cattive disposizioni. L'opposizione si sgretolerebbe se si osservassero da vicino le pratiche degli avversari: è improbabile che un educatore sostenitore dei metodi attivi non abbia mai fatto una lezione/corso cattedratico o che un sostenitore dei metodi di tradizionali non abbia mai mobilitato i suoi allievi. CAPITOLO 2: UNA LOTTA CORPO A CORPO Assistiamo periodicamente a tentativi di conciliare aspetti apparentemente in contrasto tra di loro: il rispetto del ragazzo e la necessità di essere esigenti nei suoi confronti, il piacere di apprendere e la formazione della volontà. Meirieu tenta di smascherare queste finte opposizioni e chiarire che se si vogliono analizzare i luoghi comuni, non è difficile dimostrare che rispettare l'allievo non significa abbandonarlo a se stesso ma sostenerlo affinché possa superarsi. Egli è prigioniero di questa opposizione, condannato a essere sospettato di collusione con l'avversario da parte degli innovatori e dei sostenitori della pedagogia tradizionale. Gli avversari della pedagogia rifiutano a priori tutti i contributi dell'educazione nuova e fanno della fedeltà ad alcune affermazioni dogmatiche - il carattere sacro del voto e la separazione tra le discipline - la conditio sine qua non dell'apertura di qualsiasi dialogo. Quest’asimmetria è ampiamente rilanciata dai social network dove il dialogo diventa impossibile, il dibattito democratico si trasforma in un match di boxe a livello ideologico. Primo round: quando chi sa dimentica il percorso dell'apprendimento -> Meirieu si difende dagli attacchi di coloro che pensano che qualunque riflessione sulle condizioni dell'apprendimento comprometta la qualità della trasmissione del sapere, come se il lavoro sulle pratiche pedagogiche e l'attenzione ai saperi da trasmettere fossero in contrasto tra di loro. L'autore lo definisce un atteggiamento da illusionista colpito da amnesia: ci si dimentica che se la comprensione può sembrare un colpo di fulmine è perché giunge alla fine di un percorso per tentativi; sono grazie a un'attività intellettuale - che l'insegnante mette in moto - il soggetto è in grado di metterle in relazione e costruire un concetto. Secondo round: quando si crede che basti spiegare bene perché gli allievi apprendano -> bisogna dimostrare che le attività intellettuali non sono affatto spontanee e che, se alcuni allievi possono praticarle da soli senza difficoltà, altri restano incapaci di comprenderle. Lo sforzo dell'insegnante per portare le conoscenze che deve trasmettere al più alto livello di intelligibilità è sempre necessario ma non è mai sufficiente: spesso si incontrano resistenze verso coloro che sembra non possano imparare, non vogliono imparare. Non è politicamente corretto escludere sistematicamente questi soggetti; spesso ci si limita ad orientarne alcuni, ignorando gli altri, marginalizzandoli progressivamente. Terzo round: quando non si finisce mai di individuare dei prerequisiti -> trasformare gli obiettivi in prerequisiti, onnipresenti in ogni istituzione scolastica: si tende a rifugiarsi dietro il comodo alibi dei prerequisiti, facendo figurare come sia impossibile lavorare con allievi che non li possiedono, addossando la responsabilità ai colleghi della classe inferiore. Si confondono i prerequisiti funzionali, precise conoscenze per approcciare a nuovi saperi, e i prerequisiti strutturali che rinviano a capacità come l'attenzione, la motivazione, la capacità organizzativa che sono in realtà obiettivi della scuola, non prerequisiti. La motivazione non precede mai l'ingresso nella disciplina, perché non si può essere motivati da ciò che si ignora… è compito dell'insegnante suscitare il desiderio di impegnarsi nell'apprendimento. Quarto round: quando si vuole lottare contro l'egualitarismo in nome del mito dell'omogeneità -> pedagogia differenziata vista come un'impostura, poiché non sarebbe possibile adattare l'insegnamento ad ogni allievo, privato di quelle capacità di adattamento che è necessario formare. L'educatore è sospettato di odiare l'eccellenza in nome dell'uguaglianza, di sottomettere soggetti a una mediocrità generalizzata. Meirieu ricorda come l'organizzazione dell'istituzione scolastica oggi, in classi da 24 a 30 allievi della stessa età e dello stesso livello che fanno la stessa cosa nello stesso tempo sotto l'autorità di un'insegnante, non è un'essenza eterna, ma frutto di una scelta politica di Francois Guizot nel 1932, accompagnata da un determinato modello come la sistematizzazione del dettato, esercizio tipico del modello dell'insegnamento simultaneo. L'omogeneità all'interno di una classe è: - illusione perché in tutte le classi ci sono differenze tra le sensibilità degli allievi, i loro apprendimenti precedenti e i loro modi di imparare; - occasione perduta perché così ci si preleva delle interazioni tra le allievi; - trappola istituzionale perché, privilegiando l'insegnamento frontale, si escludono gli allievi che fanno difficoltà a comprendere questo o quel concetto. Per questa ragione, educatori come Meirieu formati alla pedagogia differenziata, difendono un modo differente di concepire l'organizzazione dell'insegnamento: affermare obiettivi comuni e moltiplicare le possibilità per acquisirli, diversificando i metodi e utilizzando le interazioni tra gli come nel caso di Korczak -> nel 1921 scrive la prima dichiarazione dei diritti del bambino, trascorre la sua vita lavorare con orfani, ragazzi tanto rissosi da rendere violenta la vita quotidiana e difficile qualsiasi percorso di apprendimento. L'educatore impone ai ragazzi un vincolo, ma è un bel vincolo, poiché tramite uno strano sistema di punti, permette loro di riflettere prima di agire. Osserva che gli orfani si comportano con gli educatori come dei vampiri, attaccandosi a loro per esigere una risposta immediata come se l'educatore fosse lì solo per loro; mette in atto il sistema della scatola delle lettere: ogni domanda deve essere espressa per iscritto e l'interessato riceve la risposta il giorno dopo, imparando ad attendere una risposta invece di esigerla subito, impara anche ciò che è più importante e ciò che lo è meno. Liberarci dagli stereotipi grazie alla riflessione -> l'educatore cerca e propone in modo instancabile vincoli fecondi che, lungi dal comprimere la libertà, permettono al soggetto di costruirla. CAPITOLO 6: NÉ FRANKESTEIN NÉ MUNCHHAUSEN… GEPPETTO! C'è una linea di passaggio possibile tra le posizioni ingenue che confondono spontaneità e libertà e quelle che si ostinano a imporre dei prerequisiti alla possibilità per il ragazzo di esprimersi, rinviando sempre a dopo l'emergere di un soggetto libero e creativo. Questa linea è la sola via possibile tra l'illusione dell'onnipotenza (mito del dottor Frankenstein che crede di poter fabbricare e dominare l'altro) e la teorizzazione della propria impotenza (barone di munchausen che crede di poter uscire dall'oceano e sfuggire all'annegamento tirandosi da solo per i capelli). L'educatore si riconosce più volentieri in Geppetto, che pur con uno strano tozzo di legno fa del suo meglio per costruire un meraviglioso burattino; come lui, l'educatore si asciuga una lacrima, è sentimentale, ma la sua fragilità è anche la sua forza. L'educatore scopre molto presto la complessità del suo compito, apprendendo che l'impegno educativo debba avere uno sguardo affettuoso e pudico allo stesso tempo. Eppure, la tenerezza non è percepita come un sentimento importante: le menti forti che disprezzano gli educatori la ignorano, conoscono solo la collera, praticano la rassegnazione aggressiva quando gli esseri viventi oppongono loro resistenza. CAPITOLO 7: TRA DUE MONDI Da quando Rousseau ha indicato la strada, l'educatore è affascinato dalla figura del perseguitato; pochi educatori possono vantare un'esistenza sommersa da sarcasmi e attacchi. Tutti i militanti della pedagogia almeno una volta hanno desiderato di potersi rifugiare in una scuola modello con qualche collega che condivide i loro ideali, al riparo dalle direttive dell'amministrazione e dai genitori che non condividono il loro progetto. Fin dall'inizio del ventesimo secolo, la storia di questi militanti della pedagogia è la storia di un dissidio tra l'aspirazione alla scuola unica, vagheggiata dopo il trauma della Prima guerra mondiale dai Compagni della nuova università (universitaria e socialisti, militanti per la giustizia sociale e la fraternità degli uomini) e una scuola perfetta, adatta agli autentici bisogni del ragazzo. I compagni della nuova università non chiedevano la nazionalizzazione delle scuole libere, ma che esse, come la scuola pubblica, realizzassero la fusione tra la scuola elementare e le prime classi dei licei, molto selettive e all'epoca ancora a pagamento. La presenza dei due percorsi paralleli ai loro occhi rappresentava una separazione insopportabile tra due forme diverse di educazione, modellata e predestinate; essi erano a favore di una scuola come istituzione democratica, capace di offrire a tutti i ragazzi francesi la più ampia istruzione che potesse offrire la patria. Per Demolins, invece, non è il tempo per riforme pedagogiche di una scuola pubblica dannata dall'immobilismo: la Francia è paralizzata da un sistema scolastico che non forma la gioventù allo spirito di iniziative, ragazzi dannati da una generazione di adulti che ha lo sguardo rivolto verso il passato -> è tempo di creare delle scuole nuove fondate sulla vita familiare in campagna, dove sia concesso ampio spazio all'osservazione della natura e l'esplorazione scientifica, in cui gli insegnanti partecipano semplicemente alla vita dei loro allievi, condividendo i loro giochi e interessi. CAPITOLO 8: SCUOLA UNICA O SCUOLE NUOVE? Divisione tra: - SCUOLA UNICA, scuola pubblica verso una maggiore fraternità sociale e giustizia, attenti allo sviluppo dei metodi attivi ma in modo progressivo e omogeneo; - SCUOLE NUOVE, creazione di scuole alternative con l'appoggio di mecenati e su iniziativa di famiglie interessate, privilegiano l'omogeneità ideologica rispetto alla diversità sociale, in nome del “benessere e del corretto sviluppo del ragazzo”. I sostenitori della scuola unica sono sempre stati sospettati di essere promotori di una scuola in cui i ragazzi sarebbero formattati secondo un modello standardizzato; la controparte è sospettata di scardinare il modello repubblicano della scuola e favorire una molteplicità di gruppi esclusivi, in cui l'interesse del ragazzo serve da alibi per coprire gli interessi di classe. Il contrasto tra le due scuole sarà causa di divisioni all'interno dell'educazione nuova: si va verso soluzioni come quella di una scuola nuova situata in campagna, dotata di attrezzature sportive e laboratorio artistici all'ultimo grido, mentre Freinet ne farà una descrizione crudele come scimmie ammaestrate all'educazione naturale e popolare. Lo stesso educatore alla fine creò una scuola indipendente dal potere politico che l'aveva espulso nel piccolo paesino dove insegnava; una scuola che, però, era aperta anche a orfani, figli di operai e di contadini che si sarebbero trovati insieme ad alcuni ragazzi di famiglie più benestanti; oggi la scuola di Freinet di Vence fa parte dell'educazione nazionale ma le circostanze della sua creazione sono importanti sul piano simbolico: la vittoria della scuola ideale sulla scuola unica. CAPITOLO 9: DAL CONSUMISMO SCOLASTICO ALLE SCUOLE ALTERNATIVE Dopo Freinet la situazione è cambiata: prolungamento dell'obbligo scolastico a 16 anni, creazione di una scuola media unica. Da allora ci sono state oscillazioni continue tra la formazione di classi omogenee - per permettere la realizzazione di una pedagogia adatta ai soggetti a rischio ghettizzazione - e di classi eterogenee - per sviluppare il mix sociale e l'aiuto reciproco con il rischio, però, di finire per insegnare solo a una parte degli alunni. Nell'ultimo decennio del ‘900 c'è stata l'istituzionalizzazione delle scuole private, finanziate dallo stato, frequentate in media dal 20% degli allievi; per la prima volta appare la concorrenza tra scuole all'interno del sistema pubblico. Si sviluppa il consumismo scolastico: le strategie delle famiglie per trovare la buona scuola per i loro ragazzi continuano a moltiplicarsi, la zonizzazione (nata per promuovere il mix sociale e l'uguaglianza repubblicana) non rappresenta più un vincolo se si dispone di informazioni e mezzi finanziari sufficienti, i genitori si comportano come se fossero clienti. Da alcuni anni, si assiste a una forte crescita delle scuole private senza contratto con lo stato che si dichiarano alternative; secondo alcuni è colpa dello Stato che non avrebbe preso sul serio il problema dell’eterogeneità sociale nella scuola. Per Meirieu questo fenomeno si spiega con un effetto forbice: - crisi di sfiducia dei cittadini nei confronti delle grandi istituzioni, conseguenza della crescita dell'individualismo sociale: ognuno di noi vuole essere riconosciuto come un'eccezione che richiede un trattamento particolare… molti genitori non si accontentano di scegliere la scuola e gli insegnanti del figlio, ma vogliono anche sapere esattamente cosa accade in classe. - resistenza dell'istituzione scolastica nei confronti dell'innovazione pedagogica, permanenza di una forma scolastica in cui è difficile mobilitare gli allievi su progetti collettivi, mantenere un rapporto con la natura ecc. Per questo, nei media le scuole alternative si presentano come la personificazione del progresso pedagogico, sono esaltate dai giornalisti che esortano a fare di tutto per stare bene con sé stessi, mentre sono sempre di più i francesi che vivono la scuola pubblica come una camicia di forza insopportabile. C'è stata addirittura una petizione nel 2014 che ha proposto una scelta tra le scuole tradizionali e le scuole nuove ai genitori; un doppio o triplo canale formativo produrrebbe la scomparsa di ogni forma di crogiolo repubblicano e rappresenterebbe un pericolo per il futuro della società francese. È preferibile impegnarsi in un'altra direzione: l'integrazione in tutta la scuola pubblica dell'insieme dei contributi provenienti dalla pedagogia, con insegnanti capaci di costruire progetti di scuola di cui possono rendere conto ai genitori in un dialogo sereno. CAPITOLO 10: LA GRANDE AMBIGUITA’ DELL’AUTONOMIA SCOLASTICA Il contrasto tra la scuola unica e scuola ideale si nasconde dietro l'ambiguità del concetto di autonomia degli istituti scolastici. È andata in frantumi la rappresentazione di un funzionamento piramidale del sistema scolastico, ritenuto qualcosa di omogeneo su tutto il territorio; questo progetto era illusorio e impossibile da mettere in atto fin dall'inizio, perché i contesti, le storie locali, le specificità delle persone non permettono di ottenere un'assoluta omogeneità nel funzionamento della scuola. Omogeneità che non terrebbe conto delle disuguaglianze sociali. L'aspirazione a una verticalità che garantirebbe l'assenza di differenziazione tra le situazioni e le persone, nella scuola è stata sostituita da un’orizzontalità che rende possibile il lavoro collettivo e che offra maggiore libertà individuale agli studenti. Questa scelta è frutto della decisione politica della sinistra di Alain Savary nel 1981 che propone anche le ZEP, zone di educazione prioritaria, ossia offerte scolastiche differenziate in presenza di diverse situazioni sociali. CAPITOLO 11: UN CRINALE IMPRATICABILE? educatori puntano al successo formativo degli allievi ma poi, di fatto, ciascuno fa riferimento a una sua concezione educativa. Caso dell'istruzione programmata e della pedagogia differenziata, spesso confuse tra loro: - istruzione programmata ideata da Skinner negli anni ‘50: egli propone la programmazione individuale degli apprendimenti a partire da una valutazione iniziale più precisa possibile; - pedagogia differenziata varia le situazioni di apprendimento e ne regola l'uso con gli allievi analizzando i loro risultati: utilizza sia lo sguardo personalizzato su ciascuno che la promozione della cooperazione tra tutti, è sensibile alla diversità degli approcci ma anche alle esigenze di raggiungere obiettivi comuni, alla formazione dell'autonomia; utilizza gli strumenti elaborati dalle pedagogie attive come il gruppo cooperativo e l'apprendimento graduale di strategie cognitive efficaci. CAPITOLO 4: PEDAGOGIE CHE MANCANO DI UNA DIMENSIONE ESSENZIALE L'identità di una pedagogia si definisce individuando i tre poli che mette in relazione (finalità, conoscenze e strumenti). A volte, proposte che vorrebbero essere pedagogiche nascondono o escludono una di queste dimensioni, percorrendo così derive pericolose. Ci sono pedagogie che si accontentano di sovrapporre finalità e pratiche senza preoccuparsi di indagare, grazie alle conoscenze disponibili, se le pratiche sono coerenti con le finalità. Esempio: individuate due finalità importanti, solidarietà e fraternità, le si vuole raggiungere attraverso la cooperazione, si realizzano lavori di gruppo o progetti collettivi… ma siamo certi che queste attività formino alla vera cooperazione? La psicosociologia ci insegna che, perché ciascuno possa dare un contributo al progetto comune, è necessario che in un gruppo ci sia una rete di comunicazione omogenea e che ciascuno abbia qualcosa da apportare agli altri, che nessuno sia emarginato e che nessuno prende il potere in modo indebito. Ciò vale anche per la lezione, confronto diretto e formativo tra il sapere dell'insegnante che espone elementi degli allievi a cui è diretta; secondo Meirieu nessuna società può fare a meno di questa forma di trasmissione, ma resta il problema, spesso ignorato, delle condizioni della sua efficacia. Coniugare finalità e pratiche senza preoccuparsi di sostenere questa relazione minaccia la pedagogia. Ci sono anche quelli che pensano di poter fondare le pratiche pedagogiche sui soli dati scientifici; lo scientismo, che si presenta come l'avanguardia della modernità, è in realtà una vecchia illusione che ha radici antiche. Nel XIII secolo Federico II alla guida del sacro romano impero germanico si circondò dei più grandi scienziati dell'epoca per risolvere una questione decisiva per l'educazione dei ragazzi, ossia quale fosse la loro lingua naturale, quella che avrebbero parlato spontaneamente se nessuno adulto avesse rivolto loro la parola, senza condizionamenti esterni. Fece un esperimento, portando via da alcune famiglie dei bambini appena nati e facendoli accudire da nutrici che non pronunciavano parola; senza relazioni affettive, questi bambini morivano prematuramente. Oggi gli uomini sono ancora affascinati dall'idea che si possa arrivare a conoscere le leggi naturali del bambino. Pensiamo alla psicopedagogia di Piaget che cerca di descrivere le operazioni mentali che si realizzano nella mente del bambino; la neuro pedagogia, secondo la quale, grazie alla conoscenza del funzionamento dei meccanismi cerebrali sarebbe possibile far apprendere tutto ai ragazzi, orientare i loro comportamenti era la loro motivazione. Queste scienze offrirebbero degli strumenti per stimolare le attività neuronali che possano modificare lo stato mentale affettivo del ragazzo. A volte, la cooperazione viene descritta come neuroscienza, ma ciò significa ignorare la storia della pedagogia. Alcuni esponenti, come Alexandre, si pronunciano affermando che la scuola è una tecnologia obsoleta e che ci sia bisogno della sua industrializzazione e robotizzazione; secondo quest'ultimo, è anche possibile conoscere velocemente le caratteristiche cognitive, affettive e sociali di un individuo a partire dall'analisi del suo smartphone. CAPITOLO 5: LE NEUROSCIENZE NON CI DIRANNO MAI COME FARE SCUOLA La maggior parte dei neuroscienziati non pretende di fondare una neuro pedagogia; meritano di essere ascoltati, non è possibile sottostimare le conoscenze oggi acquisite in questo campo di ricerca. La risonanza magnetica cerebrale non è praticabile in tutte le situazioni di apprendimento, ma la neuroimaging esercita un grande fascino, poiché rende visibile ciò che fino ad ora era considerato inaccessibile: la nostra attività mentale, facendoci vedere delle correlazioni tra certe zone cerebrali e certi comportamenti. Le neuroscienze hanno permesso l'acquisizione di conoscenze cruciali che hanno cambiato la nostra visione dell'educazione, ad esempio la plasticità mentale: Una predisposizione non è mai una predestinazione, i neuroscienziati devono essere attenti a differenziare ma senza rinunciare a farli scoprire prospettive e viene esplorate. Non si deve usare l'analisi del cervello come una scusa, attribuire un'insufficienza a un problema neuronale. I limiti della neuroscienza stanno nel fatto che a volte si pretende di fondare una pedagogia ma, pur offrendo importanti elementi sull'acquisizione alla memorizzazione delle conoscenze, non riescono a indicarci delle pratiche: insistono sul fatto che l'apprendimento è tanto più efficiente quanto più il feedback è positivo e veloce, precisano che le conoscenze si radicano nel cervello e le connessioni neuronali si strutturano in modo duraturo se il sentiero viene percorso regolarmente. La stessa prudenza va usata all'apprendimento della lettura; è interessante sapere che l'attività dei neuroni della visione a permettere di acquisire la capacità di lettura. Grazie alle neuroscienze, si comprendono meglio anche i problemi di alcuni ragazzi che non comprendono che una lettera può cambiare il senso di una parola, che non sono capaci di leggere una parola nuova. Vi è però una sfida politica: bisogna specificare che le nuove scoperte scientifiche non eliminano quelle precedenti o l’azione clinica dello psicologo. Inoltre, la comprensione dell'essere umano non è limitata a una sola delle sue dimensioni: gli approcci cognitivo e affettivo delle neuroscienze non rendono inutile la ricerca delle sue dimensioni sociali e culturali. Nessuna scienza, però, ci può esentare dallo svolgere un lavoro educativo che consiste nel rendere le conoscenze e i saperi desiderabili dal ragazzo grazie alla nostra capacità inventiva; ci sono le scienze dell'educazione, ma non ci sarà mai una singola scienza dell’insegnamento perché, se esistesse, sarebbe una scienza dell'addestramento. CAP 6: QUALI FINALITA’ EDUCATIVE PER FAR FRONTE ALLE SFIDE DI OGGI? Alain ci spiega come insegnare non sia facile: quando un ragazzo non dimostra nessuna attitudine per la matematica, significa che bisogna insegnargliela. È molto più semplice rassegnarsi a un giudizio sommario, quando si dice che il ragazzo in questione non è intelligente, ma questo atteggiamento non è permesso. Dobbiamo dunque a tutti un'educazione degna dell'uomo, c'è bisogno di una scuola che ostacoli tutti gli atteggiamenti rinunciatari, le marginalizzazioni e le possibili esclusioni di varie categorie; questi atteggiamenti paralizzano la ricerca educativa, fanno arretrare la speranza di conquistare una democrazia viva. L’iper-modernità è segnata anche da altri fenomeni, come il fatto che il figlio sia oggetto di grande protezione. I genitori lo ritengono eccezionale, non sono disposti ad accettare che le istituzioni lo- come il primo che passa. Gli insegnanti sono testimoni di ciò: tutti i giorni entrano in classe genitori che chiedono spiegazioni, esigono cambiamenti di pratiche didattiche quanto pensano che danneggino i loro figli; sicuramente, ciò è la conseguenza dell'assenza di un progetto politico educativo nazionale chiaro e convincente, in grado di ispirare fiducia. CAP 7: QUALI CONOSCENZE MOBILITARE PER RAGGIUNGERE LE FINALITA’? Per cercare di raggiungere le sue finalità, la pedagogia deve fare leva sulle conoscenze e le ricerche che possono offrire un utile contributo. Meirieu indica tre tipi di contributi: - FENOMENOLOGIA, Idee sulla costruzione del soggetto; - TEORIE DELLO SVILUPPO di Wallon, Vygotsky e Bruner; - Ciò che ci viene consegnato dall’ANALISI ISTITUZIONALE. La fenomenologia è una corrente filosofica fondata da Husserl, promossa in Francia da Paul Ricoeur e Sartre; evidenzia l'importanza dell'intenzionalità -> l'essere umano è caratterizzato dal fatto di essere sempre “in progetto”. L'uomo non ha un'essenza o una natura definitiva, la metafora della sua esistenza potrebbe essere quella della fiamma di una candela che si compone in ricompone ad ogni istante con estrema fragilità. Sartre dice che siamo condannati ad essere liberi, chiamati a decidere in ogni momento ciò che vogliamo diventare; è però faticoso e rischioso doversi reinventare ad ogni istante. Le teorie dello sviluppo di Wallon, Vygotsky e Bruner ci spiegano le condizioni necessarie per favorire lo sviluppo del ragazzo; tutti e tre insistono sull'importanza delle interazioni tra un soggetto e il suo ambiente, questione essenziale per la pedagogia: dato che solo il soggetto può decidere di apprendere e di crescere, diventa determinante l'ambiente materiale umano che lo circonda. Wallon afferma che lo sviluppo è discontinuo, segnato da crisi caratterizzate da riorganizzazioni psicologiche e in ogni stadio le interazioni con gli altri sono conoscenze essenziali, sia tecniche che sociali -> il rapporto con il concreto è da sempre un rapporto di interazione fondamentale. Infatti, i ragazzi, a causa dei videogiochi, sviluppano l’iper-attenzione dimenticando ogni realtà esterna, salvo poi precipitare in una scarsa attenzione nel momento in cui gli effetti e gli stimoli non sono più presenti; nel mondo dei social network, ritrovare il contatto con il mondo e gli esseri umani in carne ed ossa è una fondamentale priorità educativa: l'educazione ha bisogno di rimettere la nobiltà del fare al centro dell'apprendimento. CAPITOLO 10: REALIZZARE UNA VALUTAZIONE ESIGENTE Ascoltando tutti i discorsi sulla scuola si potrebbe pensare che la necessità di essere esigenti sia l'opinione più condivisa; in tutte le discipline, l'insegnante deve essere esigente con ciascun allievo e ogni allievo deve esserlo con sé stesso. Sta qui la vera sfida educativa. Se l'allievo non prende seriamente il suo lavoro e si sforza di migliorare solo in risposta alle attese degli adulti, niente ci assicura che non si lascerà prendere dalla faciloneria quando la pressione degli adulti si allontanerà. Anna Arendt spiega che ogni educazione deve avere una conclusione, se non fosse altro perché una società democratica deve stabilire un confine tra i ragazzi - quelli che devono essere educati - e gli adulti - che non devono più essere educati. Per comprendere come si può formare il vincolo dell'essere esigenti in un ragazzo, si possono richiamare alcuni elementi messi in evidenza da Piaget: il bambino passa prima di tutto dall'egocentrismo, interpreta tutti gli eventi che gli accadono come se lo riguardassero direttamente, come se fosse al centro del mondo. Per entrare in relazione con il mondo il soggetto deve pian piano decentrarsi -> ci può arrivare confrontandosi con gli altri -> questa capacità di entrare in comunicazione con l'altro per perfezionarsi è qualcosa che si costruisce nel tempo. Ad esempio, Meirieu nota come sia efficace la pratica del gruppo di correzione reciproca, l'allieva ascolta e completa il punto di vista dell'altro anche perché sa che poi l'altro si esprimerà su di lui, il tutto secondo un protocollo rigoroso di cui l'insegnante è garante. In questa prospettiva, l'unica modalità coerente di valutazione istituzionale degli allievi è quella delle unità di valore, non compensabili tra di loro. La nostra istituzione non ha mai seriamente preso in considerazione una valutazione semplice, coerente ed esigente, perché si metterebbero in discussione due elementi ancora oggi intoccabili: - la forma scolastica tradizionale della classe , che bisognerebbe sostituire con un sistema più flessibile coniugando cicli pluriennali; - il sistema di valutazione tradizionale in cui i voti numerici si compensano tra loro facendo un'assurda media secondo la pedagogia bancaria (l'allievo consegna il compito ed è compensato con un voto positivo o negativo). CAPITOLO 11: TRASMETTERE IL GUSTO DI APPRENDERE Secondo Gauchet stiamo vivendo una mutazione antropologica: se nell'esperienza millenaria il corpo era sempre stato visto come il luogo della sofferenza, oggi grazie alla medicina, all'igiene e all'abbondanza, siamo portati a pensare che il corpo sia il luogo del benessere. Di conseguenza, “la conoscenza, il sapere e la cultura non fanno più sognare”. Possiamo interrogarci sulla presunta scarsa capacità attrattiva della conoscenza nei tempi odierni; molti lamentano l'assenza di interesse da parte dei ragazzi nei confronti dell'attività scolastica ma ignorano che questi ultimi spesso hanno conoscenze approfondite nel campo del digitale, gli argomenti diversi come l'astronautica o la fantascienza. Se la conoscenza in sé non affascina più, sarà forse l'infinita ricchezza di sfumature della conoscenza a mobilitare gli allievi. Questo limite potrebbe essere la possibilità di sbarazzarci definitivamente nel luogo comune della motivazione negli allievi, che troppo spesso tende a diventare un prerequisito per il successo a scuola. Oggi piacere e apprendere sembrano costituire un'espressione ossimorica: il piacere è nel corpo, mentre lo sforzo intellettuale è considerato un'insopportabile mal di testa. L'esempio più significativo di questo fenomeno è l'avviamento al testo scritto: tutti parlano dell'importanza della lettura, ma le competenze scritte di molti allievi si rivelano insufficienti. Nonostante ci sia un frequente scambio di messaggi sugli smartphone, quando si chiede un allievo di costruire un testo le parole mancano. La scrittura è infatti per molti un qualcosa di complesso e ansiogeno; Gaston Bchelard chiamava un interesse poetico quell'interesse che permette agli esseri umani di sfidare gli ostacoli più difficili -> la scuola deve insegnare questo interesse poetico che non richiama la domanda “a cosa mi serve la scrittura?”, ma piuttosto “da cosa mi può liberare?” -> la scrittura è liberazione della memoria, dall'urgenza, dell'immaginazione, dalla fugacità del tempo. È compito della scuola aiutare gli allievi ad accorgersi che gli apprendimenti realizzati non sono semplicemente strumenti utili a superare gli esami, ma un modo di prendere parte alla storia dell'umanità in vista della sua emancipazione. Sta a noi far fare agli allievi un percorso intellettuale che restituisca i saperi e metta in luce le loro sfide. Tenere vive le domande è una delle chiavi per permettere agli allievi di trovare o ritrovare il gusto di apprendere; per mantenerle vive bisogna collocarle all'interno di una storia, condividerle in un gruppo. È una sfida di capitale importanza: per Meirieu o saremo in grado di spiegare alle nuove generazioni che possono trovare gioia nella condivisione di ciò che è esauribile – conoscenze, saperi - poi li abbandoneremo al consumo compulsivo di ciò che si esaurisce facilmente. CAPITOLO 12: COSTRUIRE IL SENSO DEL GRUPPO PER FORMARE I CITTADINI La legge di Rifondazione della scuola nel 2013 afferma che il servizio pubblico riconosce che tutti i ragazzi hanno la capacità di apprendere e migliorare e che si è attenti all'inclusione di tutti, senza alcuna distinzione. La scuola della Repubblica, che vede nell'istruzione obbligatoria (oggi dai tre ai 16 anni) il fondamento delle relazioni sociali e della costruzione democratica del bene comune, non può rassegnarsi a emarginare anche un solo ragazzo, qualunque sia la sua origine e la sua difficoltà. In un primo momento il concetto di scuola inclusiva indicava la necessità di organizzare una scuola tenendo conto dei ragazzi con bisogni educativi speciali, con disabilità o problemi psicologici. Oggi lo stesso concerto indica una scuola che accetta tutte le differenze, senza rinunciare a creare uno spazio comune di convivenza. Questo progetto si scontra ancora con molti pregiudizi: è difficile immaginare giovane adulti che ritornano sui banchi della scuola secondaria, dopo averla abbandonata qualche anno prima, insieme ai ragazzi di 15 anni; si esita ancora a mettere nelle stesse classi ragazzi con culture differenti. Per realizzare una scuola inclusiva sono necessarie particolari condizioni: - attività che integrano realmente; - un accompagnamento personalizzato che si realizza per ragazzi portatori di disabilità. La scuola inclusiva concepita in questo modo è ancora tutta da costruire; bisogna affiancare all'insegnante un personale specializzato capace di gestire le difficoltà. La nostra istituzione scolastica, infatti, tende ad escludere coloro che non riesce ad adattare al modello; gli allievi in difficoltà vengono assegnati a strutture esterne alla classe e alla scuola, con tante associazioni e volontari che si offrono per il compito la questione. Questa esternalizzazione si caratterizza per due fenomeni: - la sistematica trasformazione delle difficoltà scolastiche in problemi medici; la medicina non può curare tutti i problemi sociali, né ci può esentare dall’assumerci le nostre responsabilità educative. - l'affidamento alla concorrenza di mercato, un mercato ricco di offerte con l'obiettivo di riconciliare il ragazzo con la scuola e aiutare l'attività scolastica. Come nota lo psichiatra infantile Pierre Delion, non si capisce come si potrebbe riconciliare un ragazzo ritenuto iperattivo e con disturbi dell'attenzione se gli si fa realizzare il lavoro scolastico fuori dalla classe. Il ministero dell'istruzione ha introdotto l'obiettivo apprendere ad apprendere: espressione da cui diffidare poiché non c'è una formula magica per memorizzare una carta geografica o una poesia, non c'è memoria senza contenuto; si apprende a lavorare ed è in classe con l'insegnante che la trasmissione dei contenuti deve realizzarsi in un gruppo che lavori realmente e si confronti. Inoltre, a scuola non si impareranno solo le discipline scolastiche ma anche quella della cittadinanza democratica che siamo chiamati a formare; prima di essere insegnante di matematica, ogni insegnante è insegnante di scuola. Un elemento essenziale è la cooperazione, l'aiuto reciproco tra allievi; la nostra scuola si priva troppo spesso di questo strumento per sostenere la loro crescita intellettuale, di un aiuto reciproco che va a vantaggio sia di chi aiuta sia di chi è aiutato. In questo modo, gli allievi possono anche scoprire un gruppo, un collettivo, grazie, ad esempio, a giochi cooperativi, alla pratica della discussione, al gruppo di apprendimento dove ciascuno da un contributo specifico. Meirieu crede fermamente che i veri fondamentali che dovrebbero caratterizzare la trasmissione dei saperi scuola e orientare l'elaborazione, la capacità di pensare, di preparare capolavori e l'apprendimento alla cooperazione. Egli rivendica una riflessione pedagogica che non metta da parte la questione delle finalità e dei valori in nome di un'efficacia che punta solamente a dei risultati numerici. Lo studioso francese non crede che in pedagogia esistano norme di azione che funzionino a colpo sicuro, anche se ribattezzate buone