Scarica Videogame Cult-Elena Marcheschi e più Dispense in PDF di Arte solo su Docsity! Il titolo "videogame cult. Formazione,arte, musica”: sintetizza i contenuti e le motivazioni che hanno sostenuto la pubblicazione: da un lato chiarisce la diversità di sguardi e prospettive, dall’altro mette in evidenza, con forza, come i videogame abbiano conquistato gran parte della mediasfera contemporanea, non solo perché mezzi di intrattenimento, ma in quanto prodotti di un’industria culturale , che a sua volta, intrattiene scambi intermediali sempre più intensi con il cinema, la televisione, le arti contemporanee, ecc. Videogame cult perché con i videogiochi ci confrontiamo ogni giorno, direttamente o indirettamente. Parte 1: pedagogia, etica, filosofia Emozioni, apprendimento, creatività e videogiochi Maria Antonella Galanti 1. Videogiochi e intelligenza emotiva Conflitto generazionale, considerati negativamente dalle figure con funzione educativa (diversivo). La magia della multisensorialità, che nel caso della narrazione scritta è creata dal nostro cervello, è già una proprietà dei videogiochi. Nei videogiochi il protagonista è il giocatore stesso che non simula psicologicamente movimenti e azioni, ma si muove realmente sulla scena. Un aspetto importante è la loro capacità di incrementare l’intelligenza emozionale in alcuni suoi aspetti primari, nello studio di goleman si individuano due tipologie di intelligenza emozionale; una relativa alla sfera delle relazioni intime e privata, l’altra legata alla socialità più ampia. La prima permette di interpretare e fornire di senso anche le proprie emozioni negative trasformandole in risorse atte a comprendere esperienze da cui sono generate e a valutare se stessi e le proprie potenzialità (la rabbia legata alla frustrazione). A livello sociale l’intelligenza emotiva riguarda la capacità di relazionarsi con gli altri in maniera costruttiva resa possibile da quella empatica, questa può essere incoraggiata e persino appresa. L’intelligenza formale tende a deteriorarsi con l’aumentare dell’età, quella emotiva migliora grazie all’esperienza. Secondo Gardner ogni persona ha tutti i tipi di intelligenza, con diversi livelli di combinazione. Compie lo studio su persone colpite da ictus, andando oltre la vecchia concezione di intelligenza come facoltà unitaria e misurabile attraverso il QI, in quanto un valore alto non corrisponde al successo affettivo, sociale e professionale. Antonio Damasio compie numerosi studi sulla memoria, sulle emozioni e sul loro funzionamento nei pazienti con sindrome di Alzheimer. Afferma che la dimensione emozionale dell’intelligenza non è semplicemente un complemento o uno sfondo rispetto a quella formale, ma è l’elemento determinante perché permette di prendere decisioni, scelte e soluzioni. I pazienti di damasio indicano difficoltà nel prendere decisioni anche se comprendono la situazione. I videogiochi riguardano l’intelligenza emozionale proprio perché fortificano la capacità decisionale, e rendono possibili emozioni negative facendole esprimere in forma paradossale (immaginazione e illusione). La correlazione in base al raggiungimento di uno stato di maggiore benessere psicofisico, valutata tramite misurazione dell’arousal, il grado di attivazione fisiologica del sistema nervoso al momento dell’esposizione allo stimolo. È una condizione momentanea nella quale il sistema nervoso si mostra in uno stato di allerta cognitiva e di eccitazione. Si manifesta con una produzione maggiore di neurotrasmettitori, secondo goleman regolano l’intelligenza emotiva. Si misura con il battito e frequenza cardiaca, l’innalzamento della pressione, sudorazione, disagio ecc. Tra videogiochi e arousal, avvenne un esperimento in alcuni soggetti sottoposti al compito di riconoscere emozioni positive e negative, dopo questo veniva proposto un gioco (dance dance revolution: ripetere i movimenti del ballerino virtuale), al termine veniva misurata la creatività nei soggetti tramite un test, finalizzato a determinare il grado di pensiero divergente e creativo. Risultati mostrano forte correlazione tra intensità del grado di attivazione del soggetto, creatività e utilizzazione dei videogiochi. Il videogioco incoraggia l'acquisizione di conoscenze non per astrazione, ma per immersione totale, con coinvolgimento emozionale più intenso. 2. La demonizzazione sociale dei videogiochi e l’importanza di una diversa e più complessa visione critica L’uso dei videogiochi viene centellinato, presentato come alternativa all’apprendimento, fatto oggetto di rimprovero e colpevolizzazione e su questo scuola e famiglia stringono una nociva alleanza. Pregiudizi e paura dei linguaggi e mezzi di comunicazione nuovi, protesi attraverso le quali gli esseri umani cercano da sempre di superare ostacoli e limiti spazio-temporali. Gli esseri umani creano strumenti per superare i propri limiti e poi se ne spaventano. La musica nei videogiochi non è semplicemente uno sfondo o una cornice, viene utilizzata per enfatizzare azioni del giocatore e per fornire suggestioni emotive. Deve considerare il giocatore evidenziando la presenza in uno spazio, così come le modulazioni emozionali nel passaggio dal combattimento alla tranquillità. (musica ibrida). Una delle critiche maggiori è la possibilità che il videogioco instauri una forte e patologica dipendenza, ma questo non è causato dall’oggetto ma da noi. Atteggiamenti predicatori degli adulti che non sono credibili. Etica del e nel videogioco. Il caso degli advergames Veronica Neri 1. Videogiochi come strategia comunicativa. Tra realtà e finzione Secondo Ortoleva l’industria dei videogame risulta attualmente in costante crescita, considerato produttore di mero divertissement nel contesto comunicativo della rete. Può simulare sempre più la realtà oggettuale modificandola in base agli obiettivi del gioco, con realtà ibride o modi impossibili che coinvolgono l’utente in un universo altro. Esistenza social gaming (farmville). I serious games, utilizzati per apportare cambiamenti nel sistema sociale e esperienziale degli individui, nati intorno agli anni ’90 del secolo scorso, diffusi grazie al lavoro di Sawyer il cui compito non è l’intrattenimento. È un’esperienza videoludica, ma veicolano un messaggio, per rafforzare abilità e conoscenze. Multimediali, potenziano l’interattività tra soggetti e sviluppano la complessità di pensiero per risolvere criticità della vita o della società. Tra cui troviamo gli edutainment e gli advergames, la più sviluppata ad oggi, a supporto del marketing e dell’advertising. 2. Il caso degli advergames Appaiono come una delle ultime tendenze del digital advertising. Termine composto da advert “indirizzare” e game “gioco”, coniato da ferguson e bilinski, nel 1998. Idearono un videogame a stampo parodistico, diffuso via email, con protagonista Bill Clinton. È un gioco interattivo finalizzato a comunicare messaggi pubblicitari, per promuovere l’immagine e la visibilità di un marchio, enfatizzando l’azienda e muovendo all’acquisto. Il bene e il servizio pubblicizzati diventano dei virtual goods che consentono il raggiungimento di obiettivi nel gioco. Si dividono in due categorie: la prima con messaggi pubblicitari o la presenza di brand o del bene di commercio all’interno del gioco; la seconda, propone la pubblicità prima o subito dopo l’esperienza videoludica (vicino all’immagine di ingresso nel gioco). indipendenza: la costruzione del modello storiografico conduce a nuova conoscenza, ma non assume mai la forma di una teoria completa.la ricerca storiografica mette a capo degli oggetti, che svolgono una funzione rappresentativa, i quali ci permettono di agganciarsi a una certa fase della storia del nostro mondo. Cosa si intende per natura rappresentazionale dell’oggetto storiografico? Com'è noto quello di rappresentare è un concetto articolato e controverso. Rappresentazione e rappresentazionalismo sono concetti distinti e indipendenti, e gli oggetti storiografici rappresentano. Ma cosa? Il passato, ma non per questo devono essere riproduzioni esatte degli eventi passati. Per due ragioni: non sappiamo come fossero gli eventi del passato, e in secondo luogo gli oggetti storiografici non mirano a essere copie di un oggetto, ma articolano gli aspetti dei documenti storici rilevanti dal punto di vista epistemico. Questi modelli trascelgono alcuni aspetti dei documenti storici e li sintetizzano in una totalità narrativa il più possibile coerente. Pongono delle restrizioni sulle conseguenze che è lecito attendersi data la loro verità e stabiliscono legami di tipo casuale: affermano che se l’antecedente della relazione non dovesse verificarsi allora viene meno anche il conseguente. È possibile però immaginare condizioni controfattuali, che variano l’antecedente, determinando una modifica nel conseguente. 3. I videogiochi come oggetti epistemici Punti osservati in precedenza: natura modellistica degli oggetti storiografici, ruolo modelli come scenari controfattuali per la postazione di legami causali fra oggetti storiografici. I modelli storiografici costruiscono scenari robusti che supportino attività di manipolazione degli antecedenti. Se un giocatore in un videogioco di ambientazione storica modifica un evento, si ottiene la costituzione di uno scenario alternativo che il giocatore modifica a suo piacimento. Nel momento della modifica all’azione si accompagna la componente cognitiva che getta sia luce sulla natura degli oggetti che consente di acquisire conoscenza diretta dei vincoli normativi imposti dal gioco. (conseguenze dovute alle decisioni) La capacità dei videogiochi di creare scenari controfattuali fa si che abbiano potere espressivo, rende visibili le strutture concettuali che rimangono implicite e non esplicite negli oggetti storiografici Rapporto fra i due modelli: storiografico e videogioco. I videogiochi possono condurre i fruitori ad acquisire conoscenza storiografica in una forma diversa dalla conoscenza espressa dai libri. Alcuni modelli si limitano a rappresentare la conoscenza espressa nella teoria corrispondente, altri presentano autonomia della teoria. Maggiore è l’autonomia della teoria, maggiore è la produttività epistemica. Insegnare a giocare, imparare a giocare Donatella Fantozzi 1. Il gioco e il suo fantasma Il gioco è spesso indicato come azione slot senza un fine produttivo riconosciuto, connotato negativamente, opposto al fare, imparare e crescere. Il termine gioco è relegato in spazi di risulta, in tempi rubati altri impegni ritenuti più importanti, portando a considerare il divertirci una cosa non seria. Il gioco nelle situazioni di crisi e nei momenti di ansia, apre la via verso obiettivi altri, tra cui l’apprendimento strutturato. In altri casi viene escluso perché visto come opposizione a serietà e impegno. Si delineano due posizioni: una per cui il gioco è uno strumento per divertirsi, in favore al rilassamento, ma confinato in tempi e spazi marginali e a condizione che siano assolti tutti gli altri doveri. in opposizione coloro che capiscono il senso profondo del gioco nella formazione della personalità. 2. Insegnare a giocare, imparare a giocare. Freud: gioco funzione catartica rispetto alle esperienze dolorose e traumatiche Piget; gioco simbolico importante per la costruzione dell’immagine mentale Vygotskij: nel gioco è come se esso (il bambino) crescesse di un palmo Dewey: trova il nesso tra gioco e lavoro, incoraggiando gli educatori a inserire l’attività nella realtà, come montessori che vede il gioco come un addestramento all’attività sensoriale, percettiva e mentale, utile allo svolgimento del lavoro. 3. Apprendimento e informativa: analfabetismo funzionale? L’approccio a strumenti informatici ha riscontrato resistenze proprio da parte dei docenti, sulla base di una falsa credenza che la mente del bambino non sia in grado di usare l’elettronica. Oltre alla diffusa idea che l’informatica sia nociva per lo sviluppo. Ma avviene anche l’opposto, ovvero soggetti che esaltano i computer confondendo la funzione del mediatore. L’errore di base è pensare come fine e non come mezzo e strumenti. La scuola dovrebbe formare al corretto uso di questi strumenti, andando a sopperire dove la famiglia non arriva, come delle indicazioni del Miur l’educazione nell’era digitale non deve porre al centro la tecnologia, ma i nuovi modelli di interazione didattica che la utilizzano. I software didattici presenti dagli anno ’70, sono utilizzati solo in situazioni di fragilità, disabilità o in disturbi specifici dell’apprendimento. Tali strumenti aiutano le funzioni cognitive del bambino, attraverso la comprensione di contenuti didattici e delle regole, verso lo sviluppo del pensiero computazionale. Parte 2: comunicazione, arte e conservazione La comunicazione nel video Game Marco Alfieri 1.Introduzione Inventati nella seconda metà del ventesimo secolo i videogiochi sono stati fin da subito posti al centro dell'attenzione mondiale. 2.Definizioni Per comunicazione si intende il processo e la modalità di trasmissione di un'informazione da un individuo a un altro, Attraverso lo scambio di un messaggio elaborato secondo le regole di un determinato codice. Il videogioco è un gioco gestito da dispositivo elettronico che consente di interagire con le immagini uno schermo. Nel videogioco l'informazione trasmessa è il contenuto artistico il destinatario è il videogiocatore informazione viene percepita attraverso i sensi. Come mezzo la quasi totalità dei videogiochi utilizzano il canale visivo e quello uditivo per trasmettere il loro contenuto al viaggiatore in parte anche il senso tattile, poiché alcuni dispositivi offrono al developer la possibilità di dare un feedback vibrazionale sul controller. Soltanto negli anni odierni sono state inventati dispositivi in grado di dare feedback tattili coerenti con lo spazio di gioco VRGluv e Teslasuit. Per il senso olfattivo abbiamo il device Nosulus Rift con matrice puramente goliardica con l'uscita del titolo south park:The Fractured But Whole. 3. Protocollo di comunicazione Abbiamo quattro tipologie di comunicazione: unilaterale, bilaterale, comunicazione tramite artefatto e comunicazione tramite videoGame: ● Nella comunicazione unilaterale è presente un soggetto mittente è un numero variabile di destinatari, la si può trovare tutte le volte in cui c'è un'esibizione di un contenuto non interattivo in tempo reale. I punti di forza sono 2: la chiarezza nella trasmissione del messaggio e le estendibilità a destinatari multipli. L’aspetto negativo è il poco coinvolgimento del mittente. ● Nella comunicazione bilaterale sono presenti un mittente e un destinatario, la comunicazione avviene in entrambi i versi. Al termine della trasmissione di un messaggio i 2 ruoli vengono scambiati. È la tipologia di comunicazione più HumanFriendly; il poter interagire con il proprio interlocutore fornisce un coinvolgimento, una curiosità e un interesse nel proseguire la comunicazione. Un aspetto negativo della comunicazione bilaterale si riscontra nel fatto che è estendibile all'aumentare dei partecipanti; aumentano le interazioni ma diminuisce la chiarezza del messaggio e sempre più persone saranno meno coinvolte. ● Nella comunicazione tramite artefatto il mittente, tramite lo strumento di codifica, crea un artefatto. La comunicazione avviene in differita unilateralmente tra il mittente e i fruitori dell'artefatto. Presenta gli stessi vantaggi della comunicazione unilaterale, con l'aggiunta della possibilità di replicazione e il potere fruire di tale messaggio per l'eternità. È l'opportunità di poter commercializzare tale artefatto molto più facilmente di qualsiasi altro tipo di comunicazione in tempo reale. Lati negativi di questa tipologia di comunicazione sono analoghi a quelli della comunicazione unilaterale con l'aggiunta della quantità di tempo, talenti e risorse per poter creare l'artefatto. ● Nella comunicazione tramite videogame i developer sviluppano un videogame tramite la programmazione. I giocatori possono usufruire del videogioco sia singolarmente che in gruppi di due o più persone. Il videogioco porta con sé un'alta dose di interattività, introducendo i pro della comunicazione bilaterale all'interno dei vantaggi dei tipi di comunicazione unilaterale. Il giocatore può interagire, con la trama o con gli npc. Nei giochi multiplayer, i videogiocatori possono interagire tra di loro. Un'altra sottocategoria dei videogiochi multiplayer è quella degli mmo: Massively Multiplayer Online. 4. Breve storia dei videogiochi Il messaggio che viene comunicato con un videogioco è strettamente collegato con le tecnologie utilizzate per realizzarlo. Il primo gioco elettronico interattivo conosciuto risale al 1947 e prende il nome di Cathode- ray tube amusement device, ideato e realizzato da Thomas Goldsmith e Estle Ray Mann. Le limitazioni hardware impongono sempre forti restrizioni al livello di gameplay e, di conseguenza, potenti vincoli sul messaggio che si puờ comunicare. La prima versione di Pong risale al 1958, ed è stata inventata dal fisico William Higinbotham. Soltanto nel 1972 Pong diventa il primo videogioco distribuito su scala mondiale. L'età d'oro dei videogiochi ha inizio alla fine degli anni ‘70 con la comparsa dei celebri Space Invaders, Pac-Man e Asteroids. La presenza di un hardware estremamente arretrato è stato per Space Invaders uno dei motivi principali del suo successo. Nel gioco è necessario sparare a degli alieni in movimento per completare i vari livelli, questa logica di gioco perfettamente sensata nasce in realtà da un bug, il gioco, avendo meno sprite nel livello, può computare le istruzioni più velocemente e il movimento degli alieni risulta effettivamente più rapido. Gli anni '80 rappresentano il "Rinascimento" dei videogiochi, inizia il periodo in cui gli sviluppatori possono programmare videogiochi con la possibilità di poter salvare il gioco per poi riprenderlo in un secondo momento. Questa evoluzione rappresenta un avanzamento Miltos Manetas, artista greco cresciuto in Italia e formatosi presso l'accademia delle Belle Arti di Brera, nel manifesto of art after videogame del 2014 ha teorizzato l'arte postvideogame, di cui lui stesso è uno dei maggiori esploratori. L'artista considera i videogiochi estensioni della realtà, inserendoli in un processo che inizia con i poemi epici di Omero e Mahabharata e passa attraverso la Bibbia, anche il videogame è fortemente radicato nella cultura, la influenza e si lascia influenzare, questo rapporto è esplicitato attraverso l'utilizzo di tecniche artistiche tradizionali usando le parole di Matteo Bittanti, come <raccordo analogico e (im)impossibile matrimonio tra due forme iconografiche a lungo estranee>, ridefinendo <i confini tra apparenza e sostanza>. Il videogame è visto dall'artista come qualcosa di fortemente legato alla realtà, e per questo la sua riflessione si estende a tutto ciò che connette questi mondi al mondo reale. Questo rapporto con la realtà emerge in molti degli artisti che si occupano di Game Art. Il collettivo russo AES-F, degli anni '80 è a proprio agio sia con i nuovi media, sia con quelli tradizionali. Nella serie fotografica Action Half Life (2003-2005), gli artisti si ispirano ai videogiochi di guerra, si tratta di una realtà mediata, cinematografica, che diventa <rappresentazione, il più possibile sincera, di una realtà che ormai sempre più spesso osserviamo con gli occhi dei media>. Le opere dello scultore e grafico americano Jason Freeny si situano in una zona grigia tra realtà e finzione sfumando i confini tra design,arte e scienza, e si approcciano al videogame come parte del repertorio culturale pop, Tra le opere più famose di Freeny ci sono certamente le sezioni anatomiche iperrealiste, sia stampate sia in versione tridimensionale, di personaggi tratti dal mondo dei fumetti, dell'animazione e, naturalmente, dai videogame. Le Gentil Garcon, in collaborazione con il paleontologo François Escuillié ha creato una possibile riproduzione del teschio di Pac-Man ispirandosi ai teschi degli animali predatori, questi due artisti cercano di dare una dimensione "reale" a qualcosa che per definizione reale non è. Pac-Man è anche il protagonista di un'altra opera di Le Gentil Garcon, parte della serie Hyper-Jouets (1999), l'artista cerca di sottrarre i videogiochi alla loro dimensione virtuale rendendoli reali, alla ricerca del "grado zero" dell'interattività e della soddisfazione immediata. Invader, street artist famoso per invadere i muri delle città con piccoli mosaici che riproducono gli invasori di Space Invaders (1978). L'artista ha un obiettivo ben preciso; la volontà di liberare l'arte dai musei e dalle istituzioni che l'artista definisce "alienanti"; Invader considera gli iconici extraterrestri <icone perfette del nostro tempo>. Gli gli space invader sono solo una parte dell'intero repertorio visivo di Invader che, nel tempo si è sviluppato con immagini che non appartengono all'ambito del videogame, ma fanno parte di una cultura più vasta e globalmente condivisa. Jeff Hong è forse quello che più di tutti inserisce il videogioco in un discorso più ampio che attinge a piene mani dalla cultura pop contemporanea; ha lavorato come animation storyboard artist ad alcuni dei più grandi successi Disney; l'artista californiano ha sviluppato alcuni side-project pubblicati sul social network Tumblr, in cui combina un repertorio di immagini che vanno dalle subculture americane al web. In Gumpy Punk Cat, Hong inserisce nelle copertine di album punk il gatto imbronciato. Nella serie Eight Bit Punx, riproduce le copertine dei dischi punk con la tecnica della pixel art. I progetti più interessanti sono senza dubbio Punktendo e Trumptendo, collezioni di mod, nelle quali l'artista sostituisce i protagonisti dei giochi per NES con quelli della scena punk americana e con Donald Trump. Donald Trump's Punch-Out!! (2016), basato sul successo Nintendo Mike Tyson's Punch- Out! (1984), l'unico nemico da battere è Donald Trump. Il fatto che l'avatar del giocatore, un giovane boxeur del Bronx, rimanga invariato,dà al gioco un significato politico ancora più forte. Il caso Rockstar Games, azienda nota per aver sviluppato alcune delle più grandi e discusse serie videoludiche degli ultimi anni, non si limitano a prendere in prestito convenzioni e cliché cinematografici, ma arrivano persino a citare quasi pedissequamente i grandi classici del cinema, sia nelle storie sia nei personaggi, e replicano alcune scene diventate iconiche. L'influenza dei videogame sul cinema, sono particolarmente interessanti quei casi in cui gli elementi del videogioco vengono "intarsiati" nel film. Il panorama mediale audiovisivo che ha più usufruito della forma videogame nelle sue narrazioni è forse il music video grazie alla sua natura "mutevole" e "febbricitante" tende a ibridarsi con facilità con le altre forme d'arte comprese. Il music video, è <una forma che vive nel nostro tempo>. Il videogame rappresenta una fonte straordinariamente sostanziosa di suggestioni sia formali, sia strutturali. I music video diretti da Paul Robertson, game artist che ha collaborato allo sviluppo del videogame Scott Pilgrim vs the World: the Game (2010) in qualità di art director, ben esemplificare come la pixel art, pur appartenendo convenzionalmente all'estetica videoludica, può essere piegata a una narrazione non interattiva. Un discorso analogo vale per il video di White Flag (2016) del duo londinese Delta Heavy nel quale, sempre con la tecnica della pixel art, viene messa in scena una rappresentazione personale delle vicende bibliche che coinvolgono Lucifero. In occasione dell'uscita dell'album Wait for Me nel 2010, il compositore e cantante statunitense Moby ha indetto un concorso per la creazione del video dell’omonimo singolo. Nonostante la scelta dello stesso Moby sia ricaduta sulla proposta di un gruppo di studenti di cinema di Tel Aviv capitanati da Nimrod Shapira, il video di maggior successo sul portale YouTube è quello del finalista Maik Hempel. Laddove Shapira ha optato per una narrazione cinematografica, Hempel ha attinto a piene mani dall'immaginario videoludico, strutturando il video come fosse il livello di un gioco; questo video può essere messo in relazione con veri e propri videogame che traggono argomenti simili come Everyday the Same Dream o Takeshi's Challenge. Molti video creati con la tecnica della pixel art sono stati prodotti dopo il 2000, da un onda di nostalgia verso il ventennio appena concluso. “L'effetto videogame” nelle arti elettroniche Elena Marcheschi 1.Un quadro generale e una posizione di avvio Per chi si avvicina per la prima volta allo studio di questi testi audiovisivi, negli ultimi decenni affermati indubbiamente come prodotti fiorenti dell'industria culturale a livello mondiale, si aprono molteplici prospettive di studio. Una tra queste è proprio quella che ha riguardato la definizione e il riconoscimento del videogame anche come medium artistico'. Studiosi hanno posto l'attenzione da un lato su quelli che potremmo definire videogame "d'autore", dall'altra sulle forme artistiche da essi derivate. 2. Coordinate teoriche e premessa metodologica A partire dagli anni '80 del secolo scorso, l'avvento del digitale ha sostenuto un accelerazione nell'evoluzione tecnologica che ha coinvolto i media tradizionali. Dall'idea di cultura convergente elaborata da Henry Jenkins, fenomeno complesso di scambi e fusioni che prevedono <[...] il flusso dei contenuti su più piattaforme, la cooperazione tra più settori dell'industria dei media e il migrare del pubblico alla ricerca continua di nuove esperienze e di intrattenimento>. Una definizione che propone una lettura delle mutazioni tecnologiche, industriali, economiche e socioculturali contemporanee, e che assimila l'idea di rimediazione tra vecchi e i nuovi media già proposta da Bolter e Grusin. La convergenza mediale implica dunque la consistenza e la cooperazione tra sistemi mediali, in cui i contenuti migrano tra dispositivi diversi sottoponendosi a delle trasformazioni, e si attuano anche scambi e riformulazioni estetiche, linguistiche e formali. Ed è proprio la convergenza a rendere possibili strategie crossmediali e transmediali. Come ha sottolineato Federico Zecca riguardano sia la distribuzione dei medesimi contenuti su diverse piattaforme per quanto attiene la crossmedialità, ma anche la trasformazione di quegli stessi contenuti, col fine di creare esperienze di fruizione articolate di uno stesso elemento di partenza per quanto concerne la transmedialità. Il riconoscimento e la comprensione di una tale circolarità, che è contenutistica, tecnologica e linguistica; fa luce su una contemporaneità in cui si sono potenziati e resi più fluidi quegli scambi, quei rimandi, quelle citazioni che già erano in atto precedentemente al cosiddetto digital turn, come gli studi sulla natura storico-critici del video, abbiano coralmente sottolineato la sua natura di "ponte" descrivendolo come un linguaggio naturalmente a- specifico, disponibile a dialogare con le arti figurative, con quelle performative, col cinema, con la fotografia e aperto, dunque, a ogni forma di scambio e commistione. Questa attitudine all'accoglienza, ha aperto la strada al mondo videoludico, che è stato recepito dagli artisti operanti nell'ambito dell'arte elettronica con modalità assai diverse. L’ambito della produzione monocanale, implica la perdita di un elemento fondamentale dell'esperienza videoludica, ovvero il suo carattere pienamente e prettamente interattivo. I prodotti audiovisivi che verranno qui analizzati prevedono una posizione spettatoriale di tipo cinematografico classico. La mancanza dell'azione diretta fa sì che lo spettatore non diventi parte della produzione dell'evento "ludico" rappresentato. 3. Studio di casi. In Maître Cube (1985, 4'17"), realizzata dall'artista francese Marc Caro, assistiamo alle evoluzioni di un personaggio virtuale che l'autore ha configurato in forme bidimensionali e tridimensionali. II protagonista viene trasformato in vari e deformati alter ego e, calato in un "non-paesaggio", appare impegnato in una serie di azioni che prendono forma come nel passaggio dei livelli di un videogame. Pur non "manovrando" il protagonista del video, lo spettatore reagisce empaticamente alle sue curiose e perturbanti vicende. L'immaginario del video, porta alla memoria esperienze di videogame arcaiche, dove la storia risultava abbozzata, la semplicità di azioni reiterata, i personaggi modellati su paesaggi privi di istanze pseudo-mimetiche o di verosimiglianza. Il video recupera dal videogame non solo l'idea ludica del personaggio che si muove in un paesaggio che riformula sensorialmente le leggi della fisica, ma anche il panorama sonoro semplice, sintetizzato, basato su pattern ripetitivi. Kehaline kasvatus/Physical Education (2008, 6'10"), realizzato dall'artista estone Andre Tenusaar, è il secondo caso di studio di questa analisi. Analogamente al video precedente, sospesa in uno spazio cosmico stellato privo di coordinate spaziali, sempre la stessa giovane moltiplicata, si impegna in vari sport. Lo spettatore assiste ad azioni che si svolgono in uno spazio in continua evoluzione e dove prospettive e punti di riferimento si scardinano. La composizione del numero delle atlete cambia a seconda dello sport che viene presentato e il passaggio da uno all'altro avviene non come accadrebbe nei videogame ma con la repentina intrusione di uno sport nell'altro. L'artista ripropone un variegato universo Il problema dell'esperienza estetica rivela come fondamentale la necessità di vivere esperienze altre che fanno riferimento a uno stato di coscienza in cui l'attività percettiva e cognitiva si svolge secondo dinamiche diverse da quelle dell'esperienza quotidiana. L'ambiente virtuale tout court non è necessariamente un ambiente “artistico”, trattasi nella maggioranza dei casi di un ambiente ludico, ne deriva che esso abbia in comune con l'arte almeno tre aspetti rilevanti: l'essenza creativa, la capacità di veicolare emozioni, l'autoriflessione. Il terzo punto include sia la capacità di godere di ciò che non è reale come se lo fosse, sia la capacità di riflettere criticamente sulla realtà stessa, una prospettiva rara È evidente come lo studio delle pratiche performative intrecci discipline e approcci diversi e sviluppi analisi comparate tese più che alla concettualizzazione alla decrittazione dei comportamenti umani in determinati contesti, specifici habitat socioculturali e particolari situazioni che potremmo definire "festive" lato sensu. La linea di ricerca van Gennep-Turner-Schechner ha affrontato il concetto di liminalità, di "soglia" dell'esperienza, introducendo il termine liminoide a definire dinamiche performative che assomigliano a quelle liminali. Esiste una stretta connessione tra esperienze rituali, di gioco e di (auto)rappresentazione tra modi di agire che investono la soddisfazione dei bisogni primari e comportamenti che soddisfano desideri e aspettative di benessere anche estreme. Tutto ciò suggerisce l'esistenza di confini ormai labili e fluidi, soprattutto a partire dal momento in cui la società ha abdicato alle distinzioni canoniche tra lavoro/tempo libero o tra negotium e otium mentre le nuove tecnologie digitali hanno reso possibili forme di comunicazione e presenza virtuali. Il "(come) se" permette dunque di sperimentare al'interno di un territorio protetto quale il setting scenico, possibilità di costruire vite altre. L'opsis aristotelica, la visione, ovvero il guardare, è rivolta al verosimile, che Aristotele nella Poetica definisce come ciò che sembra vero ma vero non è. Pertanto la scena definisce situazioni verosimili ma fittizie, credibili sul piano della coerenza logica e spazio-temporale, ma che contengono un alto tasso di potenzialità espressive. Il verosimile è una categoria fenomenica che può essere applicata alla realtà virtuale proprio secondo la prospettiva dell'illusione scenica". Si tratta di un "patto comunicativo" tra utenti che delinea una condizione intermedia tra la presenza di sé e l'abbandono all'illusione. Il richiamo al gioco è già contenuto nell'etimo del termine "illusione": in-ludere, ossia entrare in una dimensione ludica, immaginaria e fantastica, in cui si mette in atto una volontaria sospensione dell'incredulità, suspension of disbelief e si crede senza credere fino in fondo. L'introduzione del termine utopia in questo contesto non è singolare; il concetto di utopia, nell'accezione più propriamente politica di creazione di un "mondo diverso", ha coinciso con la necessità di reperire spazi fisici e mentali alternativi, al fine di ritrovare una vitalità perduta. Second Life viene definito come un "mondo virtuale", ossia un MUVE (Multi-user virtual environment), presentato il 23 giugno del 2003 dalla società americana Linden Lab fondata dallo scienziato e imprenditore Philip Rosedale. Tale piattaforma informatica, integra strumenti di comunicazione sincroni e asincroni trovando applicazione in numerosi campi di attività. Gli utenti devono costruirsi un Avatar tridimensionale, potendo socializzare, parlare, scrivere, comprare e vendere tramite la valuta “locale”. Second Life rappresenta un laboratorio virtuale di sperimentazione di un altro sé, il termine Avatar non è che la versione hindi e la resa anglosassone del sanscrito Avatāra con cui si indica l'apparizione della divinità sulla terra, Come si legge nel poema epico indiano Mahabharata la rinascita di sé in nuova forma avviene quando l'ordine (Dharma: “ come le cose sono") viene a mancare e il disordine avanza. L'Avatar si palesa per ristabilire l'ordine'. Nel momento in cui, pertanto, nasce un Nuovo Mondo, l'utopia si manifesta nella creazione di un non-luogo ove sono evidenti rapporti di reciproco scambio tra individui facenti parte di una medesima circostanza, il fatto che in Second Life l'interazione tra soggetti Avatar avvenga in un non-luogo, un luogo-modello utopico, consente alcune riflessioni di carattere teatro-logico e di estetica della rappresentazione. Da un lato l'assunzione di una persona (maschera) con caratteristiche simili alle proprie dall'altro la creazione di un nuovo sistema di rapporti individuo-società stimola a una riformulazione dell'échein aristotelico. La particolare condizione derivante dal cerchio magico del gioco che costituisce un territorio protetto, al contempo "libero" autorizza l'utente ad abbandonare temporaneamente alla libido agendi già tipica del gioco teatrale e ancor di più della performance. Si dovrà ipotizzare che la traiettoria di Second Life abbia avuto breve durata perché tutti i meccanismi che la piattaforma coinvolge hanno subito la concorrenza spietata di analoghi sistemi alternativi ossia con maggiori potenzialità di sharing. Second Life resta un esperimento interessante e un case study particolarmente stimolante anche sotto l'aspetto performativo, sia come prova di mimesis videoludica sia perché l'elemento centrale è costituito non tanto dall'interazione tra utente e mondo virtuale ma dall'atto creativo dell'utente che è egli stesso ideatore di quel mondo e artefice di una seconda chance di vita non un nuovo teatro ma un nuovo mondo, altrove. Culture underground e scene indipendenti come milieu di convergenza mediale: Los Angeles tra il 1970 e il 200 Maria Teresa Soldani 1. Cosa significa indie? Nel novembre del 2014 il Museum of Popular Culture di Seattle dedica un allestimento permanente ai videogame indipendenti. Indie Games Revolution è una mostra multimediale che racconta una storia culturale attraverso venti postazioni dove giocare, affiancate da apparati testuali. La mostra è un’ottima lente per osservare come alcuni aspetti cruciali che caratterizzano il fenomeno di convergenza mediale degli indie games si mettano subito in relazione con quella cultura underground che si sviluppa negli Stati Uniti dalla metà degli anni ’70, in cui media e arti sono interconnesse. Tra gli apparati di presentazione emerge il concept della mostra, in cui è enfatizzata l’espressione video games culture, assonante a espressioni con cui sono state analizzate e definite altre scene culturali indipendenti. Il primo video ci mette di fronte a due fondamenti dello storytelling delle/sulle culture indie: il racconto in prima persona per voce dei protagonisti delle game scenes attraverso lo strumento dell’intervista; il ricorso a discorsi sulle medesime culture. Nel video a inizio mostra, What is indie?, alla domanda ricorrente sul tema i protagonisti rispondono evidenziandone: la natura per negativo; il pluralismo, le differenti identità personali e le pratiche condivise; il parallelismo col coevo fenomeno musicale e l’assenza di una tradizione unilaterale; lo spirito della cultura “dal basso” libero da logiche di mercato, alternativo a quello mainstream. Nella mostra l’universo indie games è raccontato in maniera mediata dai curatori che ne offre un’interpretazione istituzionale, ma si racconta in maniera diretta per voce dei protagonisti articolando una “narrazione transmediale” ed emergendo come “cultura convergente”. Modalità e contenuti della mostra enfatizzando un aspetto della cultura del videogame indie: l’autenticità, frutto dell’immediatezza esperienziale che caratterizza questi media e della loro appartenenza a una cultura comune. Gli indie games sembrano attuare quella rimediazione teorizzata da Bolter e Grusin soprattutto in relazione ai media digitali, con la doppia logica dell’immediatezza e dell’ipermediazione. 2. Do-It-Yourself: il network (di rimediazione) Nel corso della storia statunitense i media audiovisivi hanno sviluppato una componente di ricerca legata ad un approccio amatoriale ed indipendente. Possiamo definire questa modalità un “topos”, un tema ricorrente di quella cultura audiovisiva nell’accezione formulata da Huhtamo, legato a forme filmiche e modalità precise che vanno a definire una genealogia dell’avanguardia americana. Ci sono modalità proprie del videogame in termini di rimediazione reciproca. Le tracce di queste possono essere ricondotte a un ethos e un modus operandi attivo nelle culture Do-It-Yourself. La rimediazione reciproca tra videogame e film si attua sui piani della produzione, del montaggio e del design, testimoniando come ci sia una “convergenza” tra culture indie differenti. Due punti di intersezione tra cinema e videogame riguardano il confronto sul montaggio e la posizione del giocatore durante il gameplay. La differenza tra il montaggio filmico e quello del videogame sta nel fatto che il primo sia predeterminato dalle scelte del montatore, subite passivamente dallo spettatore, mentre il secondo sia realizzato passo dopo passo dal giocatore e dal programmatore che fornisce la condizione per la strutturazione della personale partita del giocatore. Un’altra peculiarità del videogame è quella di avere un giocatore come produttore, regista, attore e spettatore del gioco. 3. Il senso di appartenenza (belonging) Il punto di partenza nelle (auto)narrazioni delle scene indipendenti è rappresentato dalla dialettica us VS them, declinata in generale in underground VS mainstream. Questa distinzione si gioca in maniera inedita su un piano infrastrutturale di produzione, distribuzione e promozione attraverso la creazione di un network di nuclei operativi mediatizzati che operano a livello locale e trans-locale. Questa capacità operativa e performativa rappresenta la discriminante tra le precedenti produzioni musicali e cinematografiche condotte in autonomia rispetto ai monopoli e quelle che vengono riconosciute come corpora indipendenti. Dagli anni ’70 diventano poi centrali i luoghi dove si attivano pratiche culturali condivise tra membri che partecipano alla produzione, alla fruizione e alla circolazione del proprio lavoro e di quello altrui. Questi nuclei vengono definiti “scene musicali” e studiati in relazione alla cultura dell’alternative rock che si sviluppa a New York, Los Angeles e Austin. Le comunità musicali sono caratterizzate da: una composizione stabile dei membri, dall’esplorazione di uno o più idiomi musicali radicati in un patrimonio situato geograficamente; dal collegamento effettivo tra le pratiche contemporanee e quelle riferibili a un patrimonio e a una tradizione musicali; dalla continuità storica, con la stabilizzazione di forme e pratiche. Nelle scene alternative rock, diversamente, sono presenti: un ampio spettro di pratiche musicali differenti coesistenti nello stesso contesto culturale; l’interazione e la convergenza tra pratiche diverse all’interno di “processi di conservare e studiare il videogioco. Concetti come preservazione e patrimonio sono accostati anche al videogioco dando importanza sociale e culturale. Affiancare il videogioco ai libri e ai fondi fotografici e cartacei conservati presso la Biblioteca Renzo Renzi diventa una precisa posizione politica. Il rapporto tra i media si fa orizzontale. Il nucleo principale dell’archivio è rappresentato dal fondo dei giochi attorno al quale ruotano altre tipologie di materiale e numerose attività. L’archivio è anche uno spazio di promozione sul discorso del videogioco. Altro filone è rappresentato dai laboratori concepiti per le scuole medie e superiori. A dimostrazione che la canonica opposizione tra gioco e studio può essere scardinata. Il fondo dell’archivio è un punto di partenza. 2. Le problematiche della salvaguardia L’archivio presuppone anche una selezione. La questione della selezione è intricata e può contare su una trattazione teorica. Cosa conviene conservare? L’archivio videoludico ha visto aumentare il numero dei propri titoli. La mano dell’archivista ha dovuto operare delle scelte. Entra un fattore soggettivo legato a considerazioni oggettive, connesse agli spazi a disposizione e alla natura del contesto. Il fatto umano va di pari passo con considerazioni più ampie. La selezione prevede per forza una perdita. L’opera di selezione può diventare elemento qualificante. Chi seleziona esprime un giudizio, attribuisce un valore a ciò che decide di conservare. Si è partiti dal presupposto che la salvaguardia dei giochi riguardi il supporto fisico. Vi sono sia ragioni storiche che teoriche. Con l’avvento di Internet, le modalità di pubblicazione dei giochi hanno iniziato a basarsi sul doppio binario del fisico e del digitale. Se il digitale risolve il problema della limitatezza degli spazi reali, apre una serie di problematiche che vengono sottovalutate. Accessibilità è una parola chiave all’interno di un archivio. Il digitale non è sinonimo di eternità. A partire dal 2014, l’archivio videoludico ha visto incrementare di titoli in formato digitale, che vengono acquisiti e riscattati all’interno dei vari store digitali. Ciò accade perché i publisher partner dell’archivio hanno diminuito nel corso degli anni l’invio di giochi in formato fisico a favore di quelli in formato digitale. Un compromesso accettabile perché consente di far fruire le opere agli utenti, ma che rende l’idea di quanto le pratiche di conservazione debbano sempre più spesso fare i conti col digitale. 3. Giochi intermediali Un deciso ristoro viene fornito dalle feconde opportunità legate alla disseminazione del patrimonio. Da questo punto di vista, il settore videoludico si rivela terreno fertile. Il fondo dei giochi consente agli utenti di intraprendere percorsi di riscoperta e all’archivio di concepire itinerari tematizzati che valorizzano determinati titoli, generi e autori. In linea col contesto in cui l’archivio è inserito, a essere sottolineato è il rapporto tra i media, quelle prospettive inter e crossmediali che sempre più spesso caratterizzano la produzione contemporanea. L’obiettivo è abbattere i muri e mettere in evidenza quanto i media non ragionino per comparti stagni, ma con attivi scambi. Uno degli approcci utilizzati dall’archivio nella scuola consiste nel suggerire, nell’evidenziare spunti e creare accostamenti con le materie studiate in classe. Nel momento in cui si attivano queste connessioni è importante consentire a chiunque di poter accedere gratuitamente al materiale. L’accessibilità è fattrice positiva per gli utenti, ma anche per il fondo stesso. Parte III – Musica Retrogaming, chiptuning, pixelarting. Pratiche, ideologie e paradossi della videogame culture tra musica e video Alessandro Cecchi Il videogame è stato considerato a lungo un prodotto dell’industria dell’intrattenimento non meritevole di attenzione da parte degli studiosi. Intorno alla svolta del XXI secolo il fenomeno è stato ricompreso nel contesto della produzione, diffusione e fruizione dei media audiovisivi. Si tratta di un medium irriducibile sia agli altri media audiovisivi, sia alle tipologie di performance agonistica, ludica o artistica. È proprio la caratteristica combinazione multisensoriale a fare del videogame un’esperienza tra le più ricche e stimolanti. Tutto questo, se da un lato porta a forme di dipendenza, dall’altro fa del videogame un medium che induce a riflettere sul complesso inestricabile di mente e corpo e sulla loro estensione tecnologica. Per le sue caratteristiche, il videogame è sembrato un candidato ideale per implementare prospettive di ricerca che mirassero a ripensare e a superare la demarcazione tra soggetto e oggetto di esperienza. Tale esigenza è stata posta e risolta con un richiamo alla psicologia ecologica di Gibson. Le applicazioni di questo paradigma sono state in genere limitare all’esperienza “endogena” del videogame, cioè alla prospettiva del giocatore nella sua identificazione con un avatar da lui guidato nell’ambiente del gioco, il che pertinente all’orizzonte della “rappresentazione”. La psicologia ecologica aiuta a interpretare il rapporto tra individuo e ambiente come un negoziato continuo tra le caratteristiche del primo e le opportunità offerte dal secondo, che di fatto non esistono al di fuori di un contesto di relazione, esse non solo si influenzano a vicenda, ma si articolano in modo tale da rendere impossibile una demarcazione. Si parla di affordances (disposizioni o inviti all’uso) intese come proprietà emergenti dell’interazione individuo/ambiente, un concetto spendibile nell’ambito del videogame in quanto esperienza di gioco. Si è iniziato a cogliere un fenomeno più ampio della popular culture. Da questo punto di vista il videogame si offre come dispositivo culturale. Si tratta di pratiche eterogenee, tra le quali la funzione videoludica può diventare del tutto marginale. Ciò trova riscontro nel discorso sull’archiviazione del videogame. Oggi ci si preoccupa di preservare l’intero contesto culturale del videogame. Per questo è stata proposta un nozione “ampliata” di videogame in quanto oggetto complesso. Ci troviamo di fronte a un nuovo paradigma: il videogame in quanto medium audiovisivo interattivo non è altro che un aspetto di un videogame culture più vasta, una cultura che si afferma oltre il medium e perfino in sua assenza. Questo ripensamento incoraggia l’applicazione della teoria ecologica e del concetto di affordance non più al gioco in quanto rappresentazione, bensì al videogame in quanto dispositivo d’uso. Può avere senso illuminare le affodances del medium videogame rispetto all’ambiente culturale nel quale si trova inserito, cioè nello spazio di negoziazione tra il videogame e l’uso effettivo del medium e della sua “materialità” da parte di individui e gruppi culturalmente situati. Nei termini della teoria dei media si tratterebbe di elaborare una nozione ampliata del concetto di “performatività” che arrivi a intercettare il problema della “realtà” dei media, della loro efficacia sociali, i media non si limitano a “rappresentare” una realtà più o meno funzionale, ma “sono” una realtà. La “performatività” rientra nel ripensamento del concetto di “materialità” dei media attualmente in corso. I concetti e gli strumenti teorici fin qui esaminati sono utili a sviluppare un primo ragionamento su alcuni recenti sviluppi della videogame culture e del fenomeno culturale del retrogaming. Questo fenomeno rientra in minima parte nella categoria del remediation proposta da teorici dei nuovi media. Vi rientra soltanto il fenomeno dell’emulazione, cioè della simulazione dell’esperienza ludica e della configurazione audiovisiva dei primi videogame in sistemi operativi più recenti e tramite apparecchiature tecnologicamente più avanzate che possono sacrificare la tattilità delle origini. Il retrogaming ha poco a che fare con la remediation, si tratta di una delle tante pratiche culturali che si rivolgono con nostalgia alle tecnologie del passato. Nella videogame culture questa va dal recupero e restauro dei videogame delle sale giochi degli anni ’70 e ’80. Il concetto di nostalgia tecnologico- psicologica non esaurisce la portata del retrogaming. Si tratta di pratiche artistiche che riconfigurano le esperienze del passato in modo nuovo e delle quali è opportuno mettere in luce il momento creativo. Due di queste pratiche si fondano sulla disarticolazione e dislocazione delle affordances materiali del videogame delle origini, affordances che nel videogame in quanto medium risultano intrecciate, al punto che tale l’intreccio è essenziale alla sua stessa definizione di videogame. Entrambe fanno riferimento ai primi videogame, arrivando a inglobare la materialità, ma al tempo stesso se ne rendono autonome. La prima si concentra sulla dimensione sonora e musicale, la seconda su quella visuale che vengono identificate in chiptuning e pixelarting. Ciò che tiene unite le due pratiche del chiptuning e del pixelarting è il comune riferimento alla tecnologia dei primi videogame delle sale giochi, delle prime console casalinghe e dei primi home computer, tutto con processori centrali a 8 bit. Le notevoli limitazioni tecniche erano alla base tanto della risoluzione del video, della profondità del colore e della frequenza di aggiornamento, quanto anche delle potenzialità dei generatori di suono programmabili, cioè dei chip sfruttabili anche in senso musicale. Si trattava di programmare generatori di onde sinusoidali, onde quadre, onde triangolari e rumore bianco con relativi filtri. Sia per il suono che per la risoluzione del video, l’epoca delle origini può essere identificata con gli anni che vanno dal 1978 al 1983. Spesso si includono nel novero dei primi videogame anche le evoluzioni successive, per quanto segnate da un progressivo miglioramento della risoluzione del video e della qualità sonora, databili nella seconda metà degli anni ottanta, fino dalla rapida diffusione, fin dai primi anni novanta, di videogame dotati di una gamma di suoni illimitate e di numerosi canali contemporanei. I successivi miglioramenti tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90, a partire dall’impiego di CPU a 16 bit con possibilità più vaste, hanno reso obsolete queste prime esperienze, portando l’industria del videogame al loro quasi completo abbandono già negli anni novanta. Questo passaggio ha determinato la precondizione culturale per lo sviluppo di forme di nostalgia delle limitazioni tecniche delle origini, vissute anche in rapporto alla dimensione estetica, allo stile e al genere. Questo culto delle origini e delle limitazioni tecniche che rendevano necessarie forme di creatività dismesse troppo presto rispetto al pieno sviluppo della loro potenzialità, si è accentuato all’inizio del secolo scorso, caratterizzato da evoluzioni tecnologiche significative da rendere più interessanti i primi videogame. La pratica artistica legata ai pixel si è imposta nel nuovo secolo. Nel momento attuale le applicazioni pixelarting conoscono un momento di enorme successo. La pixel art ha trainato in questi stessi circuiti la chip music, per il riferimento spesso esibito ai videogame delle origini. La pratica del chiptuning sarebbe molto più restìa ad accettare un’integrazione nei circuiti mainstream, proprio perché si concepisce come un dominio artistico che si rende autonomo dalle pratiche che ne hanno determinato la nascita e lo sviluppo. In quest’ultimo caso si manifesta una predilezione per i