Scarica Virgilio, Eneide, libro IV (traduzione, metrica, analisi, paradigmi); prof. Piazzi, UniPi e più Dispense in PDF di Lingua Latina solo su Docsity! Virgilio, Eneide, Libro IV vv.1-25 Scansione metrica: Á̄t rēgī́nă grăuī́ iāmdū́dūm sā́ucĭă cū́ra Vū́lnŭs ălī́t uēnī́s ēt cǽ̄cō cāŕpĭtŭr í̄gni. Mūĺtă uĭrī́ uīrtū́s ănĭmṓ mūltū́squĕ rĕcū́rsat Gḗntĭs hŏnṓs: hǣrḗnt īnfī́xī pḗctŏrĕ uū́ltus Vḗrbăquĕ, nḗc plăcĭdāḿ mēmbrīś dāt cūŕă quĭḗtem. Pṓstĕră Phœ́̄bēā́ lūstrā́bāt lāḿpădĕ tḗrras V́̄mēntḗmque Āurṓră pŏlṓ dīmṓuĕrăt ūḿbram, ‿ Cū́m sīc ū́nănĭmam ā́llŏquĭtū́r mălĕ sā́nă sŏrṓrem: ‿ "Á̄nnă sŏrṓr, quǣ mḗ sūspḗnsam īnsṓmnĭă tḗrrent! ‿ Quī́s nŏuŭs hī́c nōstrīś sūccḗssīt sḗdĭbŭs hṓspes, Quḗm sēse ṓrĕ fĕrḗns, quām fṓrtī pḗctŏre ĕt ā́rmis! ‿ ‿ Crḗdo ĕquĭdḗm, nēc uā́nă fĭdḗs, gĕnŭs ḗssĕ dĕṓrum. ‿ Dḗgĕnĕrḗs ănĭmṓs tĭmŏr āŕgŭĭt. hḗu, quĭbŭs í̄lle Iā́ctātū́s fātīś! quǣ bḗlla ēxhā́ustă cănḗbat! ‿ Sī́ mĭhĭ nṓn ănĭmṓ fīxum ī́mmōtūḿquĕ sĕdḗret ‿ Nḗ cūi mḗ uīnclṓ uēllḗm sŏcĭā́rĕ iŭgāĺi, Pṓstquām prīḿŭs ămṓr dēcḗptām mṓrtĕ fĕfḗllit; Sī́ nōn pḗrtǣsūḿ thălămī́ tǣdǽ̄quĕ fŭī́sset, Hū́ic ūnī́ fōrsā́n pŏtŭī́ sūccū́mbĕrĕ cūĺpæ. Á̄nnă, fătḗbŏr ĕnī́m, mĭsĕrī́ pōst fā́tă Sy̆chǽ̄i Cṓniŭgĭs ḗt spārsṓs frātḗrnā cǽ̄dĕ pĕnā́tis Sṓlŭs hĭc í̄nflēxī́t sēnsū́s ănĭmū́mquĕ lăbā́ntem Í̄mpŭlĭt. ā́dgnōscṓ uĕtĕrī́s uēstī́gĭă flā́mmæ. Sḗd mĭhĭ uḗl tēllūś ōptḗm prĭŭs ī́mă dĕhī́scat Vḗl pătĕr ṓmnĭpŏtḗns ăbĭgā́t mē fūĺmĭne ăd ū́mbras, ‿ Particolarità: v.15: sinalefe tra fixum e immotumque. -um non si considera come sillaba. Traduzione: Ma la regina, ormai da tempo trafitta da un profondo affanno, nutre nelle vene una ferita ed è consumata da un fuoco nascosto. Torna in mentre il grande valore dell’eroe e il grande onore della stirpe; restano impressi nel cuore il volto e le parole e la passione non concede alle membra una quiete tranquilla. Con la lampada febea illuminava le terre la seguente Aurora e aveva rimosso dal cielo l’umida ombra, quando non sana così di rivolge alla fedele sorella: <<Anna, sorella, che visioni atterriscono me incerta! Quale ospite straordinario è venuto qui nelle nostre dimore, quale presentandosi nell’aspetto, quanto di forte petto e di armi credo davvero, fede non vana, che sia di stirpe degli dei. La paura rivela gli animi ignobili. Ah, egli da quali destini è stato sospinto! Quali guerre sostenute cantava! Se nel cuore non mi restasse fisso e irremovibile che io non voglia unirmi con qualcuno nel vincolo matrimoniale dopo che il primo amore ingannò me tradita con la morte, se non provassi odio del talamo e della fiaccola nunziale, per questo solo forse avrei potuto cedere alla colpa. Anna (lo confesserò infatti) dopo le sorti dell’’infelice Sicheo marito e dopo le stanze cosparse di sangue fraterno, solo costui ha scosso i sensi e l’animo vacillante ha colpito. Riconosco i segni dell’antica fiamma. Ma prima vorrei o che la terra mi si aprisse profonda o che il padre onnipotente con il fulmine mi spingesse tra le ombre, Particolarità: * Questo inizio si pone in contrasto con la fine del libro III che segnava la fine del racconto di Enea. Il libro III si concludeva con un’immagine di silenzio: Enea aveva finito di parlare e tace, così come il libro II si apriva con i partecipanti al bacchetto che tacciono e trattengono le bocche attenti, così l’ultimo verso del libro III era conticuit tandem factoque hic fine quievit. v.1 At: avverbio che ha una funzione di trapasso, che può anche avere una funzione lievemente avversativa; riprende l’analoga particella greca autar. v.1 regina: il fatto che all’inizio della sua tragedia sia regina ci rimanda alle caratteristiche della tragedia, che di solito mette in scena personaggi illustri che decadono. v.1 saucia: questo aggettivo ci riporta a una metafora. L’immagine della ferita d’amore è molto presente nella tragedia greca (Medea, Fedra, ecc.); immagine dell’eros come malattia e come ferita. Immagine tipico anche dell’epigramma d’amore ellenistico. Saucius ha un valore molto concreto. Altri esempi: 1) Ennio, Medea: Medea animo aegro amore saevo saucia; 2) Plauto, Persa: saucius factus sum in Venris proelio; Lucrezio, libro IV: idque petit corpus, mens unde est saucia amore; 4) Catullo, 64: multiplices animo volvebat saucia curas; 5) Ovidio, Heroides 5: e nostro saucius igne fuit, 12: ut positum tetigi thalamo male saucia lectum. v.1 iamdudum: avverbio temporale. v.1 gravi [...] cura: iperbato. vv.1-2: cfr. Lucrezio tabescunt vulnere caeco. v.2 vulnus [...] venis: allitterazione. v.2 caeco carpitus: allitterazione. v.2 carpitur: Traina dice che carpo indica un movimento di cogliere che però indica anche un movimento che dal tutto strappa una parte. v.3 viri virtus: allitterazione. vv.3-4: enjambement rejet (quando la parola del secondo verso è ulteriormente isolata da un segno di interpunzione). v.5 cura: i primi cinque versi sono aperti e chiusi dal tema della cura. Soprattutto a partire dalla poesia augustea, diventa usuale per indicare la sofferenza d’amore. Nelle Bucoliche, Licoride viene definita come cura. Etimologia di Festo, grammatico, cura dicta est... quia cor urat. Etimologia ripresa di Isidoro: cura dicta est quod cur urat. Dopotutto Virgilio in questi versi associa la sofferenza al fuoco. v.10 novos: arcaismo per novus. v.10: hic: o avverbio “qui” o pronome dimostrativo hic, haec, hoc “questo” e quindi il verso si può anche tradurre con “Quale straordinario ospite questo è giunto nelle nostre sedi”. v.11 quem sese [...] ferens: quem dipende da ferens ed è predicativo di sese. v.11 ore: ablativo di limitazione. v.11 forti pectore et armis: ablativo di qualità. Teoricamente è possibile anche che armis venisse da armus “braccio, spalla”, quindi sarebbe “quanto di forte petto e di braccia”. Il termine armus però è usato soprattutto per gli animali, quindi sarebbe strano detto di Enea. Invece come ablativo di arma si collega anche a un verso successivo (v.14); credo che così sia molto più consono al contesto. v.12 genus esse deorum: in effetti, Enea è figlio di Venere. Quando invece Didone sarà adirata contro Enea che esprime la sua volontà di partire, Didone, per esprimere tutto il suo dispezzo, dirà “non sei figlio di una dea”. v.13 degeneres: legato al termine genus, quindi alla nobiltà (in questo persona inferiore moralmente rispetto ai suoi antenati). v.14 iactatus: sottinteso est. Questo termine ritorna in due momenti abbastanza importanti. 1) Aen. 1, 1-7: Arma uirumque cano, Troiae qui primus ab oris / Italiam fato profugus Lauiniaque uenit / litora, multum ille et terris iactatus et alto / ui superum, saeuae memorem Iunonis ob iram, / multa quoque et bello passus, dum conderet urbem / inferretque deos Latio; genus unde Latinum / Albanique patres atque altae moenia Romae. 2) Aen. 6, 692-693: Quas ego te terras et quanta per aequora uectum / accipio, quantis iactatum, nate, periclis! Dū́m pĕlăgṓ dēsǽ̄uĭt hĭḗmps ĕt ăquṓsŭs Ŏrī́on, Quā́ssātǽ̄quĕ rătḗs, dūm nṓn trāctā́bĭlĕ cǽ̄lum." Particolarità: v.27: sinalefe fra violo e aut. v.29: sinalefe tra ille e habeat (la h non impedisce la sinalefe). v.35: sinalefe tra cinerem e aut. v.35: sinalefe tra esto e aegram. v.38: sinalefe fra placitone e etiam. v.40: sinalefe tra Gaetulae e urbes. v.41: sinalefe tra Numidae e infreni. Traduzione: le ombre pallide nell’Erebo e nella notte profonda prima che io ti offendo, oh Pudore, o infrango le tue leggi. Colui che per primo mi unì a sé, il mio amore ha portato via; quello lo abbia con sé e lo conservi nella tomba.’ Così parlando, riempì la veste di lacrime sgorgate. Anna risponde: ‘Oh più cara della luce per la sorella, forse che in solitudine ti consumerai per tutta la giovinezza addolorata e non conoscerai i dolci figli né le gioie di Venere? Credi che la cenere o i Mani sepolti si curino di ciò? Sia: nessun marito un tempo piegò (te) afflitta, non della Libia, non prima da Tiro; (è stato) disprezzato Iarba e altri capi, che l’Africa, terra di trionfi ricca, alimenta: combatterai anche contro un amore gradito? Non (ti) viene in mente nei territori di chi ti sei insediata? Di qua le città getule, popolo invincibile in guerra, e i Numidi sfrenati (ti) circondano e la Sirte inospitale, qua una regione desolata dalla sete e, infurianti ovunque, i Barcei. Perché dovrei dire delle guerre che sorgono da Tiro e delle minacce del fratello? Credo davvero che grazie agli dei auspici e con Giunone favorevole le navi troiane abbiano seguito questa rotta grazie al vento. Quale vedrai sorgere questa città, oh sorella, quali regni fiorire da un tale matrimonio! Con le armi troiane che aiutano a quanto grandi imprese si innalzerà la gloria punica! Ma tu chiedi il favore agli dei e, dopo aver compiuto i riti sacri, prolunga l’ospitalità e intreccia cause del trattenere, finché sul mare infuria l’inverno e il piovoso Orione, (finché) le navi (sono) distrutte, finché il cielo non (è) trattabile.>> Particolarità: v.26 pallentis: arcaismo per pallentes. v.26 Erebo: esiste anche la variante erebi (gen., “le ombre dell’Erebo”), che sembra una lezione più banale. v.27 Pudor: entità personificata; a Roma esisteva il culto della dea Pudicitia. v.28 meos [...] amores: spesso quando si parla di stati d’animo in latino il plurale ha un valore più concreto. Amor al singolare è il sentimento di amore astratto, amores al plurale indica concretamente le manifestazioni concrete di amore. Anche se spesso in poesia troviamo dei plurali non motivati dal punto di vista del senso, ma motivati da ragione metrica (i cosiddetti plurali poetici). v.29 habeat, servet: congiuntivi esortativi. v.29 secum servetque sepulcro: allitterazione. v.30 effata: il participio passato dei verbi deponenti ha valore attivo. v.30 sinum: nel suo primo significato è una piega della veste, poi per traslato può indicare il seno e il petto. v.30 lacrimis [...] obortis: siamo al confine tra ablativo assoluto e ablativo strumentale, ma propenderei per quest’ultima definizione. v.32 -ne: particella enclitica interrogativa. v.32 carpere: forma alternativa per carperis. Valore mediale più che evro e proprio passivo. v.33 noris: forma sincopata per noveris, futuro anteriore con valore di futuro semplice, perché è un verbo che ha solo il perfetto. v.33 nec: anastrofe (inversione della posizione). v.34 manis: forma poetica (arcaismo o poetismo), equivale a manes. v.34 id cinerem aut manis [...] curare sepultos: frase infinitiva. v.35 esto: imperativo futuro di sum. v.35 quondam: avverbio di tempo. v.35 flexere: indicativo perfetto terza persona plur., desinenza arcaica e poetica. In latino c’erano due desinenze del perfetto terza persona plurale: -ēre e -ĕrunt. La desinenza più comune del latino classico diventa -ērunt, che è una specie di conflazione delle due. v.36 Tyro: ablativo di origine. v.36 Iarbas: quello che era stato il pretendente di Didone. v.37 ductores: da ductor, forma arcaica di dux. v.38 -ne: particella enclitica interrogativa. vv.40, 41 Gaetulae, Numidae: popolazioni note anche ai romani. v.41 infreni: si riferisce in particolare al fatto che cavalcavano senza briglie. v.41 Syrtis: zona note per secce dove le navi si andavano a incagliare. v.43 dicam: congiuntivo dubitativo. v.44: uno dei versi incompiuti (tibicine, ‘puntelli’ o hemistichia). Una delle tracce dell’incompiutezza del poema. v.45 Dis [...] auspicibus, Iunone secunda: ablativi assoluti (che possono essere anche senza verbo). v.45 auspicibus: da auspex, a sua volta da avis e specio (perché gli auspici si traevano anche osservando il volo degli uccelli). v.45 Iunone secunda: può suonare ironico. v.46 carinas: sineddoche per ‘nave’ (una parte per il tutto). v.48 Teucrum = Teucorum. v.50 posce deos veniam: veniam regge qui il doppio accusativo. v.50 sacris litatis: ablativo assoluto. v.51 indulge hospitio: indulgeo regge il dativo. v.51 morandi: gerundio al genitivo. v.52 dum: introduce una frase temporale. v.52 aquosus: gli aggettivi in -osus indicano l’idea di pienezza. v.53: verso ‘essere’ sottinteso. v.53 non tractabile: litote (figura che consiste nel negare il contrario di ciò che si vuole dire). Paradigmi: - pallentis: palleo, palles, pallui, pallēre. - violo: violo, violas, violavi, violatum, violare. - resolvo: resolvo, resolvis, resolvi, resolutum, resolvĕre. - iunxit: iungo, iungis, iunxi, iunctum, iungĕre. - abstulit: aufero, aufers, abstuli, ablatum, auferre. - servet: servo, servas, servavi, servatum, servare. - effata: efficio, efficis, effeci, effectum, efficĕre. - implevit: impleo, imples, implevi, impletum, implēre. - obortis: oborior, oboriris, obortus sum, oboriri. - refert: refero, refers, retuli, relatum, referre. - dilecta: diligo, diligis, dilexi, dilectum, diligĕre. - maerens: maereo, maeres, maerui, maerēre. - carpere: carpo, carpis, carpsi, carptum, carpĕre. - natos: nascor, nascĕris, natus sum, nasci. - noris: novi, novisse. - credis: credo, credis, credidi, creditum, credĕre. - curare: curo, curas, curavi, curatum, curare. - sepultos: sepelio, sepelis, sepelivi, sepultum, sepelire. - flexere: flecto, flectis, flexi, flexum, flectĕre. - despectus: despicio, despicis, despexi, despectum, despicĕre. - alit: alo, alis, alui, altum, alĕre. - pugnabis: pungo, pugnas, pugnavi, pugnatum, pugnare. - venit: venio, venis, veni, ventum, venire. - consederis: consedeo, consedes, consedēre. - cingunt: cingo, cingis, cinxi, cinctum, cingĕre. - deserta: desero, deseris, deserui, desertum, deserĕre. - furentes: furo, furis, furĕre. - surgentia: surgeo, surges, surrexi, surrectum, surgĕre. - dicam: dico, dicis, dixi, dictum, dicĕre. - tenuisse: teneo, tenes, tenui, tentum, tenēre. - cernes: cerno, cernis, crevi, cretum, cernĕre. - comitantibus: comito, comitas, comitavi, comitatum, comitare. - attollet: attollo, attollis, attollĕre. - posce: posco, poscis, poposci, poscĕre. - litatis: lito, litas, litavi, litatum, litare. - indulge: indulgeo, indulges, indulsi, indultum, indulgēre. - innecte: innecto, innectis, innexui, innexum, innectĕre.. - morandi: moro, moras, morare. - desaevit: desaevio, desaevis, desaevivi, desaevitum, desaevire. - quassatae: quasso, quassas, quassavi, quassatum, quassare. vv.54-83 Scansione metrica: Hī́s dīctī́s īmpḗnso ănĭmūḿ flāmmā́uĭt ămṓre ‿ Spḗmquĕ dĕdī́t dŭbĭǽ̄ mēntī́ sōluī́tquĕ pŭdṓrem. Prī́ncĭpĭṓ dēlū́bra ădĕū́nt pācḗmquĕ pĕr ā́ras ‿ Ḗxquīrū́nt; māctā́nt lēctā́s dē mṓrĕ bĭdḗntis Lḗgĭfĕrǽ̄ Cĕrĕrī́ Phœ̄bṓquĕ pătrī́quĕ Ly̆ǽ̄o, Iū́nōni ā́nte ōmnī́s, cūi uī́nclă iŭgāĺĭă cū́ræ. ‿ ‿ Í̄psă tĕnḗns dēxtrā́ pătĕrā́m pūlchḗrrĭmă Dī́do Cā́ndēntī́s uāccǽ̄ mĕdĭa ī́ntēr cṓrnŭă fū́ndit, ‿ Á̄ut ānte ṓră dĕū́m pīnguī́s spătĭāt́ŭr ăd á̄ras, ‿ Í̄nstāurā́tquĕ dĭḗm dōnī́s, pĕcŭdū́mquĕ rĕclū́sis Pḗctŏrĭbū́s ĭnhĭā́ns spīrā́ntĭă cṓnsŭlĭt ḗxta. Hḗu, uātum ī́gnārǽ̄ mēntḗs! quīd uṓtă fŭrḗntem, ‿ Quī́d dēlū́bră iŭuā́nt? ēst mṓllīs flā́mmă mĕdū́llas Í̄ntĕrĕa ḗt tăcĭtū́m uīuī́t sūb pḗctŏrĕ uūĺnus. ‿ V́̄rĭtŭr í̄nfēlī́x Dīdṓ tōtā́quĕ uăgāt́ur V́̄rbĕ fŭrḗns, quālī́s cōniḗctā cḗruă săgī́tta, Quā́m prŏcŭl í̄ncāutā́m nĕmŏra ī́ntēr Crḗsĭă fī́xit ‿ Pā́stŏr ăgḗns tēlī́s līquī́tquĕ uŏlāt́ĭlĕ fḗrrum Nḗscĭŭs: īĺlă fŭgā́ sīluā́s sāltū́squĕ pĕrā́grat Dī́ctǣṓs; hǣrḗt lătĕrī́ lētā́lĭs hărū́ndo. Nū́nc mĕdĭa Ǣ́nēā́n sēcūḿ pēr mœ́̄nĭă dū́cit ‿ Sī́dŏnĭā́sque ōstḗntăt ŏpḗs ūrbḗmquĕ părāt́am, ‿ Í̄ncĭpĭt ḗffārī́ mĕdĭā́que īn uṓcĕ rĕsīśtit; ‿ Nū́nc ĕădḗm lābḗntĕ dĭḗ cōnuī́uĭă quǽ̄rit, Í̄lĭăcṓsque ĭtĕrū́m dēmḗns āudī́rĕ lăbṓres ‿ Ḗxpōscī́t pēndḗtque ĭtĕrū́m nārrā́ntĭs ăb ṓre. ‿ Pṓst ŭbĭ dī́grēssī́, lūmḗnque ōbscūŕă uĭcī́ssim ‿ Lū́nă prĕmī́t suādḗntquĕ cădḗntĭă sī́dĕră sṓmnos, Sṓlă dŏmṓ mǣrḗt uăcŭā́ strātī́squĕ rĕlī́ctis v.76: il motivo del non riuscire a parlare è topico, lo troviamo pure nella cosiddetta Ode del sublime di Catullo. v.77: da questo verso e dall’ubi digressi (v.80) ricaviamo che Enea in questa fase non vive nel palazzo di Didone, ma probabilmente sta in una sorta di accampamento sulla spiaggia dove sono naufragate le navi e si reca alla reggia solo per banchettare. v.77 eadem: potrebbe anche essere un pronome al nom. sing. f. (“la stessa Didone...”). v.77 labente die: ablativo assoluto. v.78 demens: l’elemento della perdita del controllo è già molto presente e sottolineato da Virgilio. v.78: Virgilio ama sottolineare il verso con l’aggettivo e il sostantivo corrispondente (iperbato a cornice). v.78 labores: il labor è una parola chiave riferita a Enea e ai troiani. vv.80-81 lumen obscura [...] luna premit: lumen compl. ogg., obscura luna: sogg. v.80 ubi digressi: sunt sottinteso; composto di gradior che subisce apofonia. vv.80-83: quello della notte che dovrebbe portare riposo a tutti ma non al personaggio di cui si sta parlando è un motivo topico dell’epica, qui è solo accennato ma poi tornerà all’interno del libro. v.82 stratis relictis: queste coperte dovrebbero essere quelle dei banchetti, in cui si banchettava sui triclini che erano coperti. v.83 absens absentem: poliptoto (ripetizione della stessa parola in forme diverse); questa figura si utilizza per sottolineare un concetto, che è quello della ossessiva presenza nell’assenza. Ritroveremo questo concetto anche nell’Heroide 7 di Ovidio, vv.25-26, quella di Didone (“Enea sta sempre davanti agli occhi di me sveglia, la notte e il giorno riportano alla mente Enea”). Paradigmi: - dictis: dico, dicis, dixi, dictum, dicĕre. - inflammavit: inflammo, inflammas, inflammavi, inflammatum, inflammare. - dedit: do, das, dedi, datum, dare. - solvit: solvo, solvis, solvi, solutum, solvĕre. - adeunt: adeo, adis, adivi, aditum, adire. - exquirunt: exquiro, exquiris, exquisivi, exquisitum, exquirĕre. - mactant: macto, mactas, mactavi, mactatum, mactare. - tenens: teneo, tenes, tenui, tentum, tenēre. - candentis: candeo, candes, candui, candēre. - fundit: fundo, fundis, fudi, fusum, fundĕre. - spatiatur: spatior, spatiaris, spatiatus sum, spatiari. - instaurat: instauro, instauras, instauravi, instauratum, instaurare. - reclusis: recudo, recludis, reclusi, reclusum, recludĕre. - inhians: inhio, inhias, inhiavi, inhiatum, inhiare. - spirantia: spiro, spiras, spiravi, spiratum, spirare. - consulit: cunsulo, cunsulis, consului, consultum, consulĕre. - furentem: furo, furis, furĕre. - iuvant: iuvo, iuvas, iuvi, iutum, iuvare. - vivit: vivo, vivis, vixi, victum, vivĕre. - uritur: uro, uris, ussi, ustum, urĕre. - vagatur: vagor, vagaris, vagatus sum, vagari. - coniecta: conicio, conicis, conieci, coniectum, conicĕre.. - fixit: figo, figis, fixi, fixum, figĕre. - agens: ago, agis, egi, actum, agĕre. - liquit: linquo, linquis, liqui, lictum, linquĕre. - nescius: nescio, nescis, nescivi, nescitum, nescire. - peragrat: peragro, peragras, peragravi, peragratum, peragrare. - haeret: haereo, haeres, haesi, haesum, haerēre. - ducit: duco, ducis, duxi, ductum, ducĕre. - ostentat: ostento, ostentas, ostentavi, ostentatum, ostentare. - paratam: paro, paras, paravi, paratum, parare - incipit: incipio, incipis, incepi, inceptum, incipĕre. - effari: effor, effaris, effatus sum, effari. - resistit: resisto, resistis, restiti, resistĕre. - labente: labor, labĕris, lapsus sum, labi. - quaerit: quaero, quaeris, quaesivi, quaesitum, quaerĕre. - audire: audio, audis, audivi, auditum, audire. - exposcit: exposco, exposcis, expoposci, exposcĕre. - pendet: pendeo, pendes, pependi, pendēre. - narrantis: narro, narras, narravi, narratum, narrare. - digressi: digredior, digredĕris, digressus sum, digredi. - premit: premo, premis, pressi, pressum, premĕre. - suadent: suadeo, suades, suasi, suasum, suadēre. - cadentia: cado, cadis, cecidi, cadĕre. - maeret: maereo, maeres, maerui, maerĕre. - relictis: relinquo, relinquis, reliqui, relictum, relinquĕre. - incubat: incubo, incubas, incubui, incubitum, incubare. - absens: absum, abes, abfui, abesse. - videt: video, vides, vidi, visum, vidēre. vv.84-109 Scansione metrica: Á̄ut grĕmĭo Á̄scănĭūḿ gĕnĭtṓrĭs ĭmā́gĭnĕ cā́pta ‿ Dḗtĭnĕt, í̄nfāndūḿ sī fāĺlĕrĕ pṓssĭt ămṓrem. Nṓn cœ̄ptae ā́dsūrgū́nt tūrrḗs, nōn á̄rmă iŭuḗntus ‿ Ḗxērcḗt pōrtū́sue āut prṓpūgnā́cŭlă bḗllo ‿ Tū́tă părā́nt: pēndḗnt ŏpĕra ī́ntērrū́ptă mĭnǽ̄que ‿ Mūŕōrum ī́ngēntḗs ǣquāt́ăquĕ má̄chĭnă cǽ̄lo. ‿ Quā́m sĭmŭl ā́c tālī́ pērsḗnsīt pḗstĕ tĕnḗri Cā́ră Iŏuī́s cōniū́nx nēc fā́mam ōbstāŕĕ fŭrṓri, ‿ Tāĺĭbŭs ā́ggrĕdĭtūŕ Vĕnĕrḗm Sātū́rnĭă dī́ctis: "Ḗgrĕgĭāḿ uērṓ lāudem ḗt spŏlĭa ā́mplă rĕfḗrtis ‿ ‿ Tū́quĕ pŭḗrquĕ tŭū́s (māgnum ḗt mĕmŏrā́bĭlĕ nṓmen), ‿ V́̄nă dŏlṓ dīuūḿ sī fḗmĭnă uī́ctă dŭṓrumst. Nḗc me ădĕṓ fāllī́t uĕrĭtā́m tē mœ́̄nĭă nṓstra ‿ Sū́spēctā́s hăbŭī́ssĕ dŏmṓs Kārthā́gĭnĭs āĺtæ. Sḗd quĭs ĕrī́t mŏdŭs, ā́ut quō nū́nc cērtāḿĭnĕ tā́nto? Quī́n pŏtĭū́s pācem ǽ̄tērnā́m pāctṓsque hy̆mĕnǽ̄os ‿ ‿ Ḗxērcḗmŭs? hăbḗs tōtā́ quōd mḗntĕ pĕtī́sti: Á̄rdĕt ămā́ns Dīdṓ trāxīt́quĕ pĕr ṓssă fŭrṓrem. Cṓmmūnem hū́nc ērgṓ pŏpŭlū́m părĭbū́squĕ rĕgā́mus ‿ Á̄uspĭcĭīś; lĭcĕāt́ Phry̆gĭṓ sēruīŕĕ mărī́to Dṓtālī́squĕ tŭǽ̄ Ty̆rĭṓs pērmīt́tĕrĕ dḗxtræ." Ṓllī (sḗnsĭt ĕnī́m sĭmŭlā́tā mḗntĕ lŏcū́tam, Quṓ rēgnum Īt́ălĭǽ̄ Lĭby̆cā́s āuḗrtĕrĕt ṓras) ‿ Sīć cōntrā́st īngrḗssă Vĕnū́s: "quīs tā́lĭă dḗmens Á̄bnŭăt ā́ut tēcūḿ mālī́t cōntḗndĕrĕ bḗllo? Sī́ mŏdŏ quṓd mĕmŏrāś fāctū́m fōrtū́nă sĕquāt́ur. Particolarità: v.84: sinalefe tra gremio e Ascanium. v.88: sinalefe tra opra e interrupta. v.89: sinalefe tra murorum e ingentes. Traduzione: o in grembo Ascanio, presa dall’immagine del padre, tiene, se possa ingannare l’amore indicibile. Le torri iniziate non si elevano, la gioventù nelle armi non si esercita e non porti o difese per la guerra sicure prepara: restano in sospeso le opere interrotte e le minacce grandi delle mura e le impalcature che arrivano al cielo. Appena la cara sposa di Giove si accorse che da una tale peste Didone era avvinta e che il buon nome non ostacolava la follia, la figlia di Saturno si rivolge a Venere con tali parole: “Davvero riportate una gloria eccellente e magnifiche spoglie tu e tuo figlio, una grande e memorabile fama, se una sola donna è vinta dall’inganno di due dei. E di certo non mi sfugge che tu, temendo le nostre mura, hai avuto sospette le case dell’alta Cartagine. Ma quale sarà il limite e dove (ci dirigiamo) ora con una così grande contesa? Perché piuttosto una pace eterna e nozze pattuite non realizziamo? Tu hai ciò che hai cercato con tutta la tua mente: Didone amante arde e ha assorbito la follia nelle ossa. Dunque governiamo questo popolo in comune con pari auspici, (le) sia concesso di sottomettersi a un marito frigio e di affidare alla tua destra i Tiri come dote.” A lei (sentì infatti colei che parlava con mente ingannevole, per sviare il regno d’Italia sulle coste libiche) così cominciò Venere in risposta: “Chi dissennato tali cose rifiuterebbe o preferirebbe contendere con te in guerra? Purché la fortuna assecondi ciò che proponi (quando sarà) fatto. Particolarità: v.90 Quam: nesso relativo. v.90 peste: rinvia alla metafora dell’amore/malattia. v.91 cara: aggettivo con valore esornativo, nesso che troviamo anche in Omero. Giunone era cara fino a un certo punto a Giove che le fa sempre delle grandi corna! v.92 adgreditur: sfumatura di aggressività. v.93 spolia ampla: espressione del linguaggio militare. vv.93-97: in questa scena abbiamo un dialogo fra Venere e Giunone. Venere è riuscita a far innamorare Didone, e a questo punto Giunone le rinfaccia questa sua responsabilità. L’inizio del discorso di Giunone è fortemente sarcastico. Non solo una donna mortale viene vinta da un dio, ma addirittura una donna mortale da due dei. In sostanza le dice che le piace vincere facile. Doppia antitesi tra donna mortale-dei e uno-due. v.94 puer: Cupido è rappresentato come un amorino. v.94 nomen: in qualche edizione si trova numen, lezione maggioritaria dei codici. In questo caso sarebbe un'apposizione di tuque puerque tuus. Per una serie di motivi, tra cui l'imitazione che Ovidio fa di questi versi, viene preferita la lezione nomen. v.96 veritam: il participio passato dei verbi deponenti ha valore attivo. v.98 quo: sottinteso tendis o tendimus. v.99: Giunone qui si presenta come divinità che tutela i matrimoni. Normalmente Venere e Giunone si trovano da due parti opposte (Giunone protegge Cartagine), ma momentaneamente si trovano a volere la stessa cosa, perché Giunone vorrebbe che Enea non andasse mai nel Lazio e quindi è favorevole al fatto che Didone sposi Enea; Venere sa benissimo qual è il corso del fato ma momentaneamente vuole anche lei che Enea si fermi a Cartagine per recuperare forze. v.101 amans: participio con valore predicativo. v.101 per ossa furorem: anche nel libro I si diceva che il dio Amore dovesse accendere il fuoco nelle ossa. Immagine di un amore che si è profondamente insediato nel cuore di Didone. v.102 Communem: come predicativo di populum può essere reso con un avverbio. v.102 regamus: congiuntivo esortativo. v.103 liceat: congiuntivo esortativo. v.105 Olli: forma arcaica per illi; arcaismo che troviamo in Ennio, in Lucrezio e talvolta in Virgilio. v.105 locutam: sottinteso esse; frase infinitiva. v.106: proposizione finale. v.108 abnuat: congiuntivo potenziale. v.117 venatum: supino attivo con valore finale. v.117 miserrima: l’aggettivo miser si specializza per connotare qualcuno che è perdutamente innamorato; lo troviamo spesso in Catullo in riferimento a Catullo stesso. vv.118-119 ubi primos [...] extulerit Titan: perifrasi di gusto epico. v.118 primos [...] ortus: plurale poetico v.119 Titan: il sole, figlio del titano Iperione. v.120 commixta grandine nimbum: viene ripreso al v.161. v.123 diffugiunt: dis+fugio. v.124: iperbato a cornice che visualizza la grotta; l’anastrofe della congiunzione et e l’allitterazione avvicinano Dido e il dux; sono diventati una cosa sola anche a livello formale (questo verso ritorna al v.165). troveremo molti richiami di quello che stiamo leggendo nella narrazione in terza persona successiva. vv.124-125: rejet (tipo particolare di enjambement, perché dopo devenient c’è un punto). v.126: Conte ha messo questo verso tra parentesi quadre perché lo considera come interpolato. È un verso che si legge nei manoscritti ma che l’editore considera come sospetto perché è uguale al v.73 dell’ Eneide (libro I). in particolare, è sempre un verso in cui Giunone sta parlando, ma con Eolo, quando gli chiede di scatenare la tempesta che poi farà naufragare i troiani sulle coste dell’Africa. In cambio di questo favore, gli promette in sposa una ninfa. già due editori dell’ ’800 lo hanno spunto. Conte dice che è perché l’aggettivo propriam sembra adatto a En. I 73 ma non adatto a questo contesto. Un interpolatore potrebbe aver voluto espandere questo discorso di Giunone. v.127 adnuit: nel discorso di Venere (v.108) c’era il verso contrario (abnuit); fanno riferimento al cenno del capo (nutus). v.127 Cytherea: luogo dalle cui acque sarebbe nata Venere. v.127 dolis [...] repertis: potrebbe essere o un ablativo strumentale (“per gli inganni scoperti”) o un ablativo assoluto (“essendo stati scoperti gli inganni”). v.129: perifrasi di gusto epico. v.130 iubare exorto: ablativo assoluto. v.130 iubare: iubar, iubaris è un termina arcaico usato anche da Ennio. v.131 retia, plagae: le retia sarebbero per catturare gli uccelli e le plagae sarebbero per catturare i quadrupedi. v.131 rara: ci torna un po’ male col fatto che siano per catturare gli uccelli, potrebbe essere solo un termine esornativo. v.131 lato [...] ferro: enallage o ipallage (scambio di attributi). v.131: frase nominale. v.132 Massyli: popolazione dell’Africa settentrionale. v.132 vis: clausola di esametro monosillabica, non molto frequente nel latino classico (è più frequente nel latino arcaico, in Ennio e anche in Lucrezio). Il monosillabo in clausola può avere o una funzione di richiamo di formule di carattere epico di tipo arcaico (come questo caso) oppure era sentito con una connotazione un po’ colloquiale; quindi, li potremmo trovare nella satira (tipo di poesia più basso a livello stilistico rispetto all’epica, che mima un po’ la lingua parlata, ad esempio le poesie di Orazio sono dette sermones). Sostantivo v.132 odora canum vis: qui Virgilio utilizza questa perifrasi che è tipico della lingua omerica. In essa troviamo delle perifrasi con il sostantivo e il genitivo. Si usa un astratto per il concreto (es. virum vis, equum vis). v.135 stat sonipes, frena ferox: allitterazioni. Virgilio è molto attento agli effetti fonici. v.136 sonipes: aggettivo composto di tipo elevato, epico; letteralmente vuol dire “dal piede risuonante”. v.136: in quanto regina, Didone esce per ultima. v.137 Sidoniam: città della Fenicia da cui proveniva Didone. v.137 Sidoniam [...] chlamydem: accusativo di relazione o alla greca dipendente da circumdata. vv.137-139: i colori che dominano sono la porpora e l’oro, che sono simboli della regalità. Grande dispiegamento di mezzi per questa caccia. v.138 in aurum: potrebbe esser una fibbia d’oro che lega i capelli di Didone o sono i capelli stessi dorati nel senso di biondi. Paradigmi: - surgens: surgo, surgis, surrexi, surrectum, surgĕre. - reliquit: relinquo, relinquis, reliqui, relictum, relinquĕre. - exorto: exorior, exoriris, exortus sum, exoriri. - delecta: diligo, diligis, dilexi, dilectum, diligĕre. - ruunt: ruo, ruis, rui, ruĕre. - cunctantem: cuncto, cuncta, cunctatum, cunctare. - exspectant: expecto, expectas, expectavi, expectatum, expectare. - stat: sto, stas, steti, statum, stare. - spumantia: spumo, spumas, spumavi, spumatum, spumare. - mandit: mando, mandis, mandi, mansum, mandĕre. - progreditur: progredior, progredĕris, progressus sum, progredi. - stipante: stipo, stipas, stipavi, stipatum, stipare. - picto: pingo, pingis, pinxi, pictum, pingĕre. - circumdata: circumdo, circumdas, circumdavi, circumdatum, circumdare. - nodantur: nodo, nodas, nodavi nodatum, nodare. vv.139-170 Scansione metrica: Á̄urĕă pū́rpŭrĕā́m sūbnḗctīt fī́bŭlă uḗstem. Nḗc nōn ḗt Phry̆gĭī́ cŏmĭtḗs ēt lǽ̄tŭs Ĭū́lus Í̄ncēdū́nt. Īpse ā́nte ălĭṓs pūlchḗrrĭmŭs ṓmnis ‿ ‿ Í̄nfērt sḗ sŏcĭum Ǣ́nēā́s ātque ā́gmĭnă iū́ngit. ‿ ‿ Quā́lĭs ŭbi hī́bērnā́m Ly̆cĭā́m Xānthī́quĕ flŭḗnta ‿ Dḗsĕrĭt ā́c Dēlūḿ mātḗrnam īnuīśĭt Ăpṓllo ‿ Í̄nstāurā́tquĕ chŏrṓs, mīxtī́que āltā́rĭă cī́rcum ‿ Crḗtēsquḗ Dry̆ŏpḗsquĕ frĕmū́nt pīctī́que Ăgăthȳ́rsi: ‿ Í̄psĕ iŭgī́s Cȳnthī́ grădĭtūŕ mōllī́quĕ flŭḗntem Frṓndĕ prĕmīt́ crīnḗm fīngḗns ātque īḿplĭcăt ā́uro, ‿ Tḗlă sŏnā́nt ŭmĕrīś: hāut īĺlō sḗgnĭŏr ī́bat Ǣ́nēā́s, tāntum ḗgrĕgĭṓ dĕcŭs ḗnĭtĕt ṓre. ‿ Pṓstquam āltṓs uēntum ī́n mōntī́s ātque ī́nuĭă lū́stra, ‿ ‿ ‿ Ḗccĕ fĕrǽ̄ sāxī́ dēiḗctǣ uḗrtĭcĕ cā́præ Dḗcūrrḗrĕ iŭgī́s; ălĭā́ dē pāŕtĕ pătḗntis Trā́nsmīttū́nt cūrsū́ cāmpṓs ātque ā́gmĭnă cḗrui ‿ Pū́luĕrŭlḗntă fŭgā́ glŏmĕrā́nt mōntī́squĕ rĕlī́nquunt. Á̄t pŭĕr Á̄scănĭū́s mĕdĭī́s īn uā́llĭbŭs á̄cri Gā́udĕt ĕquṓ iāmque hṓs cūrsū́, iām prǽ̄tĕrĭt ī́llos, ‿ Spū́māntḗmquĕ dărī́ pĕcŏra ī́ntĕr ĭnḗrtĭă uṓtis ‿ Ṓptăt ăprum, ā́ut fūluū́m dēscḗndĕrĕ mṓntĕ lĕṓnem. ‿ Í̄ntĕrĕā́ māgnṓ mīscḗrī mū́rmŭrĕ cǽ̄lum Í̄ncĭpĭt, ī́nsĕquĭtū́r cōmmī́xtā grā́ndĭnĕ nī́mbus, Ḗt Ty̆rĭī́ cŏmĭtḗs pāssim ḗt Trōiā́nă iŭuḗntus ‿ Dā́rdănĭū́squĕ nĕpṓs Vĕnĕrī́s dīuḗrsă pĕr ā́gros Tḗctă mĕtū́ pĕtĭḗrĕ; rŭū́nt dē mṓntĭbŭs á̄mnes. Spḗlūncā́m Dīdṓ dūx ḗt Trōiā́nŭs ĕā́ndem Dḗuĕnĭū́nt. Prīma ḗt Tēllū́s ēt prṓnŭbă Iū́no ‿ Dā́nt sīgnūḿ; fūlsḗre īgnḗs ēt cṓnscĭŭs ǽ̄ther ‿ Cṓnūbiī́s, sūmmṓque ŭlŭlā́rūnt uḗrtĭcĕ Nȳ́mphæ. ‿ Í̄llĕ dĭḗs prīmū́s lētī́ prīmū́squĕ mălṓrum Cā́usă fŭī́t; nĕque ĕnī́m spĕcĭḗ fāmā́uĕ mŏuḗtur‿ Traduzione: una fibbia aurea allaccia la veste purpurea. E anche i compagni troiani e Iulo festoso Avanzano. Egli stesso, davanti a tutti gli altri, bellissimi, Enea, si unisce come compagno e serra le schiere. Come quando lascia la Licia invernale e le correnti dello Xanto Apollo lascia e torna a vedere la materna Delo e rinnova le danze, e mescolati intorno agli altari si agitano i cretesi e i driopi e gli agatirsi variopinti; lui stesso avanza per i giochi del Cinto e con fronda cedevole stringe la chioma fluente lisciando(la) e (la) intreccia nell’oro, risuonano i dardi sulle spalle: non più pigro di quello andava Enea, altrettanta bellezza risplende sul nobile volto. Dopo che si giunse sugli alti monti e alle tane impervie, ecco le capre selvatiche cacciate da una vetta di una roccia correre giù dalle balze; dall’altra parte, gli aperti campi i cervi attraversano di corsa e in schiere polverose nella fuga si uniscono e lasciano i monti. Frattanto il fanciullo Ascanio, in mezzo alle valli, del focoso cavallo gode e supera al galoppo ora questi, ora quelli e con preghiere che in mezzo animali innocui venga inviato uno schiumante cinghiale desidera o che discenda dalla montagna un fulvo leone. Nel frattempo il cielo ad essere sconvolto da un grande boato inizia, segue un acquazzone misto a grandine; e compagni tirii di qua e di là e la gioventù troiana e il nipote dardanio di Venere attraverso i campi sparsi ripari cercarono per la paura; corrono i torrenti dai monti. Didone e il comandante troiano alla stessa grotta arrivano. Per prima sia la terra sia Giunone pronuba danno il segnale: brillarono i fulmini e il cielo, testimone dell’unione, e dalla cima più alta ulularono le ninfe. Quel giorno per primo della rovina e per primo dei mali fu causa; infatti non è mossa né dall’apparenza né dal buon nome Particolarità: * In questo passo si riprendono delle scene che abbiamo già visto nel dialogo tra Venere e Giunone. Sono molto presenti gli elementi primordiali della natura: terra, aria, fuoco, acqua. vv.138-139 auro, crines nodantur in aurum, aurea: poliptoto. v.139: struttura a V perché aurea è concordato con fibula e purpuream con vestem, detto versus aureus. Il verso aureo è una conseguenza estrema del dotare ogni sostantivo del verso di un aggettivo, questo favorisce una struttura simmetrica. In poesia, si tendono a usare aggettivi con valore puramente esornativo – che in prosa sarebbero evitati – perché la poesia ha un certo tasso di ridondanza; questo era noto già alla teorizzazione poetica degli antichi: Aristotele lo dice nella sua Poetica, scrivendo che in poesia si possono usare aggettivi tautologici. Questo lo nota anche Quintiliano successivamente, quando parla dell’uso che i poeti fanno dell’epiteto (epiteto ornante). v.140 Nec non et: = et etiam. La locuzione proviene dal linguaggio familiare. v.141 pulcherrimus: così come era stata definita Didone pulcherrima al v.60, il che crea un ulteriore legame tra i due personaggi. vv.143-150: similitudine di Enea con Apollo. È una similitudine in parte di stile omerico, anche se una similitudine con Apollo la troviamo in Apollonio Rodio nelle Argonautiche che abbiamo più volte ricordato come modello per il IV dell’Eneide. In particolare, la vicenda d’amore tra Medea e Giasone costituisce un modello per questa di Enea e Didone. Giasone, che avanza in mezzo alla folla, in questa opera è paragonato ad Apollo che si reca nei suoi luoghi di culto. Quindi anche in lui viene ricordata la Licia, regione dell’Asia minore dove secondo la tradizione Apollo trascorreva i mesi invernali. v.143 Xanthique: nome di vari fiumi, questo è quello della Licia. Ce n’è uno anche vicino a Troia. v.144 Delum: isola dell’Egeo dove si riteneva che fosse nato Apollo, isola dove si riteneva avesse trovato rifugio Latona, madre di Apollo e Artemide, costretta a vagabondare dalla gelosia di Era, essendo una delle figure amate da Giove. Nell’isola di Delo partorisce i due gemelli. C’è anche un famoso santuario di Apollo. v.146 dryopesque: popolazione proveniente dal monte Parnaso. v.146 Agathyrsi: popolazione scitica proveniente dalla zona dell’Epiro. v.146 pictique: qualcuno l’ha inteso in riferimento a tatuaggi, vesti o capelli. Tṓt uĭgĭlḗs ŏcŭlī́ sūbtḗr (mīrā́bĭlĕ dī́ctu), Tṓt līnguǽ̄, tŏtĭdem ṓră sŏnā́nt, tōt sū́rrĭgĭt ā́uris. ‿ Nṓctĕ uŏlā́t cǣlī́ mĕdĭṓ tērrǽ̄quĕ pĕr ūḿbram Strī́dēns, nḗc dūlcī́ dēclī́nāt lū́mĭnă sṓmno; Lū́cĕ sĕdḗt cūstṓs āut sū́mmī cūĺmĭnĕ tḗcti Tū́rrĭbŭs ā́ut āltī́s, ēt mā́gnās tḗrrĭtăt ū́rbes, Tāḿ fīctī́ prāuī́quĕ tĕnā́x quām nū́ntĭă uḗri. Hǽ̄c tūm mū́ltĭplĭcī́ pŏpŭlṓs sērmṓnĕ rĕplḗbat Gā́udēns, ḗt părĭtḗr fācta ā́tque īnfḗctă cănḗbat: ‿ ‿ Vḗnīsse Ǣ́nēā́n Trōiā́nō sā́nguĭnĕ crḗtum, ‿ Cū́i sē pū́lchră uĭrṓ dīgnḗtūr iū́ngĕrĕ Dī́do; Nū́nc hĭĕmem ī́ntēr sḗ lūxū,́ quām lṓngă, fŏuḗre ‿ Rḗgnōrum ī́mmĕmŏrḗs tūrpī́quĕ cŭpī́dĭnĕ cā́ptos. ‿ Hǽ̄c pāssī́m dĕă fœ́̄dă uĭrūḿ dīffū́ndĭt ĭn ṓra. Prṓtĭnŭs ā́d rēgḗm cūrsū́s dētṓrquĕt Ĭāŕban Í̄ncēndīt́que ănĭmūḿ dīctī́s ātque ā́ggĕrăt ī́ras. ‿ ‿ Hī́c Hāmmṓnĕ sătūś rāptā́ Gărămā́ntĭdĕ nȳ́mpha Traduzione: Didone e ormai non pensa a un amore furtivo; (lo) chiama matrimonio, con questo nome nascose la colpa. Subito la fama va attraverso le grandi città della Libia, fama, male del quale nessun altro (è) più veloce: è forte per il movimento e acquista forze con l’andare; piccola dapprima per la paura, poi si solleva nell’aria e avanza sulla terra e nasconde il capo tra le nubi. La Terra madre, irritata dall’ira degli dei, quella ultima, come raccontano, come sorella a Ceo e a Encelado generò celere nei piedi e nelle ali veloci, mostro orribile, enorme, al quale quante piume sono in corpo, tanti vigili occhi di sotto (cosa mirabile a dirsi), tante lingue, altrettante bocche gridano, tante orecchie drizza. Di notte vola tra cielo e terra attraverso l’ombra stridendo e non chiude gli occhi al dolce sonno; di giorno siede come vedetta o sulla sommità di un alto edificio, o su alte torri e terrorizza grandi città, tanto tenace nel falso e nel male, quanto messaggera del vero. Questa con molteplici discorsi riempiva allora i popoli esultando e cantava al tempo stesso cose avvenute e non avvenute: (diceva) che era venuto Enea nato da sangue troiano, al quale la bella Didone non si degna di congiungersi; ora trascorrevano l’inverno tra loro quanto è lungo nella mollezza dimentichi dei regni e presi da turpe passione. Queste cose la dea turpe diffonde in giro sulla bocca. Subito rivolge i suoi passi al re Iarba e con le parole infiamma l’animo e accresce l’ira. Costui, generato da Ammone, sedotta la ninfa Garamantide, Particolarità: vv.174-183: è una descrizione della fama personificata, un accenno della fama personificata c’è già nell’Odissea, dove la voce dell’uccisione dei proci si diffonde come messaggera. Qui si fa riferimento alla genealogia della fama. La terra madre era adirata con gli dei dell’Olimpo che le avevano ucciso i figli titani che avevano provato a scalare l’Olimpo. Questa fama non solo diffonde notizie vere, ma anche non vere. La personificazione è tipica della retorica antica e del genere epico, in Omero, per esempio, abbiamo la personificazione della Discordia, Eris. Virgilio può aver tenuto conto di questa descrizione perché ci sono dei punti di contatto (v.176). In Lucrezio troviamo la personificazione della Religio (libro I), che viene rappresentata come una specie di mostro che incombe sull’umanità oppressa fino a quando Epicuro non la sconfigge in un simbolico duello; in Lucrezio c’è la personificazione anche della natura (fine libro III), è una prosopopea: personificazione. Nelle Metamorfosi di Ovidio c’è la personificazione dell’Invidia e della Fame; alla fine del libro Ovidio descrive non tanto la Fama quanto la dimora della Fama. Virgilio potrebbe anche aver tenuto presente qualche rappresentazione pittorica che rappresenti la Fama. v.173-174 Fama [...] Fama: anadiplosi. v.174 quo: un’altra lezione è qua (“della quale nessun altro male è più veloce”). v.175: chiasmo. v.175 eundo: gerundio con valore di ablativo strumentale. v.176 metu: abbiamo anche la variante initu. Conte propone metu sulla base del confronto con Lucrezio e anche perché altrimenti vorrebbe dire (“piccola dapprima per la paura”). v.176 mox sese attollit in auras: espressione iperbolica. v.178 ira [...] deorum: potrebbe essere sia l’ira degli dei, che l’ira della Terra. v.179 extremam: predicativo dell’oggetto. v.179 ut perhibent: fa riferimento alla Teogonia di Esiodo. v.179 Coeo Encelado: un titano e un gigante; del secondo Virgilio parla anche nel libro III, dove dice che è sepolto sotto l’Etna. In seguito alla gigantomachia, Encelado cercò di fuggire ma la dea Atena lo sotterrò gettandogli sopra la Sicilia. Il gigante è come imprigionato sotto la Sicilia: l’attività vulcanica dell’Etna sarebbe generata dal suo respiro infuocato. Anche i terremoti di quella zona vengono spiegati come effetto del rotolarsi del gigante. v.180: chiasmo. v.180 pedibus [...] pernicibus alis: ablativo di limitazione. v.181 monstrum horrendum ingens: la doppia sinalefe dà l’idea dell’immensità. v.18 monstrum horrendum: espressione usata anche per Polifemo. v.181 ingens: aggettivo di stile epico che Virgilio ama molto. v.182 mirabile dictu: espressione che Virgilio utilizza spesso. v.182 dictu: supino passivo. vv.181-183: questa descrizione è imitata da Tasso nella Gerusalemme liberata. v.186 custos: predicativo del soggetto. v.188 ficti pravique: genitivo di relazione. v.188 tenax: da teneo con suffisso -ax, che spesso è peggiorativo. v.190 facta atque infecta: antitesi, ma anche figura etimologica perché la radice è quella del verbo fare per entrambi. v.193 quam longa: sottinteso est. v.193 fovere: fa parte di una infinitiva che dipende da un verbo di dire sottinteso. Verbo malizioso perché in realtà vuol dire ‘riscaldare’ e allude anche al rapporto erotico fra i tra i due, è un doppio senso. v.194 immemores regnorum: in realtà Enea non sta oziando, ma si sta dedicando alla costruzione di una città che in realtà non è sua. v.196 Iarban: re africano figlio di Giove Ammone, divinità libica e egizia che poi viene identificato con Giove. In qualità di figlio, si va a lamentare da Giove per il fatto che Didone l’ha trascurato e si è concessa all’eroe straniero che viene descritto da Iarba come un uomo effemminato (essendo orientale rispetto all’Africa). v.197: dicolon abundans (espressione ridondante che dice due volte la stessa cosa, ovviamente in maniera variata.3 Molto cara a Virgilio. v.197 aggerat: come se l’ira fosse un mucchio a cui viene sempre aggiunto qualcosa (ager ‘mucchio, catasta’). v.197 iras: plurale poetico. v.198 rapta Garamantide nympha: ablativo assoluto. Paradigmi: 3 Esempi di dicolon abundans nell’Eneide: 2, 1 conticuere omnes intentique ora tenebant. 4, 281 ardet abire fuga dulcisque relinquere terras. 3, 315 "vivo equidem vitamque extrema per omnia duco". 4, 101 ardet amans Dido traxitque per ossa furorem. 4, 51 indulge hospitio causasque innecte morandi. - meditatur: meditor, meditaris, meditatus sum, meditari. - vocat: voco, vocas, vocavi, vocatum, vocare. - praetexit: praetego, praetegis, praetexi, praetectum, praetegĕre. - viget: vigeo, viges, vigui, vigēre. - adquirit: adquiro, adquiris, adquisivi, adquisitum, adquirĕre. - eundo: eo, is, ivi, itum, ire. - attollit: attollo, attollis, attollĕre. - ingreditur: ingredior, ingredĕris, ingressus sum, ingredi. - condit: condo, condis, condidi, conditum, condĕre. - inritata: inrito, inritas, inritavi, inritatum, inritare. - perhibent: perhibeo, perhibes, perhibui, perhibitum, perhibēre. - progenuit: progeno, progenis, progenui, progenitum, progenĕre. - dictu: dico, dicis, dixi, dictum, dicĕre. - sonant: sono, sonas, sonui, sonitum, sonare. - subrigit: subrigo, subrigis, subrexi, subrectum, subrigĕre. - volat: volo, volas, volavi, volatum, volare. - stridens: strideo, strides, stridi, stridēre. - declinat: declino, declinas, declinavi, declinatum, declinare. - sedet: sedeo, sedes, sedi, sessum, sedēre. - territat: terreo, terres, terrui, territum, terrēre. - replebat: repleo, reples, replevi, repletum, replēre. - gaudens: gaudeo, gaudes, gavisus sum, gavisum, gaudēre. - facta: facio, facis, feci, factum, facĕre. - canebat: cano, canis, cecini, cantum, canĕre. - venisse: venio, venis, veni, ventum, venire. - cretum: cresco, crescis, crevi, cretum, crescĕre. - dignetur: dignor, dignaris, dignatus sum, dignari. - iungere: iungo, iungis, iunxi, iunctum, iungĕre. - fovere: foveo, foves, fovi, fotum, fovēre. - captos: capio, capis, cepi, captum, capĕre. - diffundit: diffundo, diffundia, diffudi, diffusum, diffundĕre. - detorquet: detorqueo, detorques, detorsi, detortum, detorquēre. - incendit: incendo, incendis, incendi, incensum, incendĕre. - aggerat: aggero, aggeras, aggeravi, aggeratum, aggerare. - satus: sero, seris, serui, sertum, serĕre. - rapta: rapio, rapis, rapui, raptum, rapĕre. vv.199-227 Scansione metrica: Tḗmplă Iŏuī́ cēntūḿ lātī́s īmmā́nĭă rḗgnis, Cḗntum ārā́s pŏsŭī́t uĭgĭlḗmquĕ săcrā́uĕrăt ī́gnem, ‿ Ḗxcŭbĭā́s dīuum ǽ̄tērnā́s, pĕcŭdūḿquĕ crŭṓre ‿ Pī́nguĕ sŏlum ḗt uărĭī́s flōrḗntĭă lī́mĭnă sḗrtis. ‿ Í̄sque āmḗns ănĭmi ḗt rūmṓre āccḗnsŭs ămā́ro ‿ ‿ ‿ Dī́cĭtŭr ā́nte ārā́s mĕdĭa ī́ntēr nūḿĭnă dī́uum ‿ ‿ Mūĺtă Iŏuḗm mănĭbū́s sūpplḗx ōrā́ssĕ sŭpī́nis: "Iū́ppĭtĕr ṓmnĭpŏtḗns, cūi nū́nc Māurūśĭă pī́ctis Gḗns ĕpŭlāt́ă tŏrī́s Lēnǽ̄ūm lī́băt hŏnṓrem, Á̄spĭcĭs hǽ̄c? ān tḗ, gĕnĭtṓr, cūm fū́lmĭnă tṓrques Nḗquīquam hṓrrēmū́s, cǣcī́que īn nū́bĭbŭs í̄gnes ‿ ‿ Tḗrrĭfĭcā́nt ănĭmṓs ĕt ĭnā́nĭă mū́rmŭră mí̄scent? Fḗmĭnă, quǽ̄ nōstrī́s ērrā́ns īn fí̄nĭbŭs ū́rbem Ḗxĭgŭā́m prĕtĭṓ pŏsŭī́t, cūi līt́ŭs ărā́ndum Cū́iquĕ lŏcī́ lēgḗs dĕdĭmū́s, cōnū́bĭă nṓstra Nā́uĭgĕt! hǽ̄c sūmmā́st, hīc nṓstrī nū́ntĭŭs ḗsto." Dī́xĕrăt. í̄llĕ pătrī́s māgnī́ pārḗrĕ părā́bat Í̄mpĕrĭo: ḗt prīmū́m pĕdĭbū́s tālā́rĭă nḗctit ‿ Á̄urĕă, quǽ̄ sūblīḿem ālī́s sīue ǽ̄quŏră sū́pra ‿ ‿ Sḗu tērrāḿ răpĭdṓ părĭtḗr cūm flā́mĭnĕ pṓrtant. Tū́m uīrgā́m căpĭt: hā́c ănĭmā́s īlle ḗuŏcăt Ṓrco ‿ Pāĺlēntī́s, ălĭā́s sūb Tā́rtără trī́stĭă mí̄ttit, Dā́t sōmnṓs ădĭmī́tque, ēt lūḿĭnă mṓrtĕ rĕsī́gnat. ‿ Í̄llā frḗtŭs ăgī́t uēntṓs ēt tūŕbĭdă trā́nat Nū́bĭlă. Iāḿquĕ uŏlā́ns ăpĭcem ḗt lătĕra ā́rdŭă cḗrnit ‿ ‿ Á̄tlāntī́s dūrī́ cǣlū́m quī uḗrtĭcĕ fūĺcit, Á̄tlāntī́s, cīnctum ā́dsĭdŭḗ cūi nū́bĭbŭs āt́ris ‿ Pī́nĭfĕrū́m căpŭt ḗt uēntṓ pūlsāt́ŭr ĕt ī́mbri, Nī́x ŭmĕrṓs īnfū́să tĕgī́t, tūm flūḿĭnă mḗnto Prǽ̄cĭpĭtā́nt sĕnĭs, ḗt glăcĭḗ rĭgĕt hṓrrĭdă bā́rba. Hī́c prīmū́m părĭbūś nītḗns Cȳllḗnĭŭs á̄lis Cṓnstĭtĭt: hī́nc tōtṓ prǣcḗps sē cṓrpŏre ăd ū́ndas ‿ Mī́sĭt ăuī́ sĭmĭlī́s, quǣ cí̄rcūm līt́ŏră, cī́rcum Pīścōsṓs scŏpŭlṓs hŭmĭlī́s uŏlăt ǽ̄quŏră iū́xta: Traduzione: promise e (non) per questo due volte (lo) ha sottratto dalle armi dei greci; ma (promise) che sarebbe stato tale che l’Italia piena di regni e fremente di guerra governasse, (che) la stirpe dall’antico sangue di Teucro diffondesse e (che) sottomettesse tutto il mondo alle leggi. Se non (lo) accende la gloria di tanto grandi imprese e non affronta lui stesso la fatica per la propria fama, forse rifiuta ad Ascanio, lui padre, i colli romani? Che cosa progetta? o con quale speranza indugia tra genti nemiche e non guarda la discendenza ausonia e le terre lavinie? Navighi; questo è tutto e questo sia il nostro messaggio.” Aveva parlato. Quello si preparava a ubbidire all’ordine del grande padre: e per prima cosa lega ai piedi i calzari dorati, che con le ali alto o sopra le acque o sulla terra lo sollevano insieme al rapido soffio. Poi prende la verga; con questa egli richiama dall’Orco le anime pallide, altre spedisce nel triste Tartaro, dà e toglie i sonni e apre gli occhi con la morte. Fiducioso in quella, spinge i venti e attraversa le tempestose Nubi. E già volando vede la vetta e i fianchi ripidi del duro Atlante, il quale con la testa sostiene il cielo, di Atlante, al quale, sempre circondata da nubi scure, la testa folta di pini è battuta sia dal vento sia dalla pioggia; la neve caduta copre le spalle; allora fiumi dal mento del vecchio scorrono e la barba ispida è dura per il ghiaccio. Qui dapprima il Cillenio, librandosi con le ali aperte, si fermò; da qui in giù con il corpo sulle onde si lanciò, simile a un uccello che intorno alle spiagge, intorno agli scogli pescosi vola basso vicino alle acque: vv.227-228: fa riferimento a un episodio del libro V dell’Iliade in cui Enea era incalzato da Diomede. Stava avendo la peggio quando Venere scende in campo e lo copre con un lembo del suo peplo. Diomede insegue la stessa Venere e addirittura la ferisce a una mano. Lei fa cadere Enea che viene però raccolto e salvato da Apollo, un altro dio che parteggia per i troiani. Apollo lo avvolge con una nube e lo porta fuori dalla battaglia. Il secondo episodio è raccontato dallo stesso Enea nel libro II quando, durante l’ultima notte di Troia, Venere scorta Enea attraverso la città in fiamme in modo che possa fuggire. v.229 fore: infinito futuro del verbo sum (futurum esse). vv.229-231: qui gravidam [...] mitteret orbem: relativa impropria con sfumatura consecutiva. v.229 gravidam imperiis belloque frementem: chiasmo. v.233 super: equivale a pro e regge l’ablativo sua... laude. v.234 Ascanione: -ne particella enclitica con valore interrogativo. v.234 pater: predicativo del soggetto sottinteso. v.234 Ascanione pater: giustapposizione che crea una forte antitesi tra padre e figlio. v.235 inimica: prefigura il conflitto futuro tra Roma e Cartagine. v.236 Ausoniam: uno dei termini con cui si definisce poeticamente l’Italia. inizialmente indicavano la popolazione dell’Italia centrale, poi per estensione tutta l’Italia. v.237 Naviget: congiuntivo esortativo. v.237 nostri: genitivo soggettivo. v.237 esto: imperativo futuro di sum. Ha valore solenne (usato per esempio nelle leggi). Potrebbe anche essere una seconda persona (“qui sarai nostro messaggero”). v.238 patris, parere, parabat: triplice allitterazione che sottolinea la prontezza di Mercurio all’ordine. v.240 sublimem: aggettivo con valore predicativo dell’oggetto. v.241 rapido [...] flamine: lieve enallage, perché è il dio ad essere rapido e non il soffio di vento. v.243 pallentis: = pallentes. v.243 Tartara tristia: iunctura allitterante. v.243 Tartara: zona dove sono puniti alcuni dannati (Tantalo, Sisifo, Tizio). v.244 lumina morte resignat: verbo resignare è usato da Virgilio solo qui. È usato in altri autori con il significato di ‘togliere il sigillo, aprire’. Già i commentatori antichi avvertivano il problema di questo passo. Servio proponeva di dare a resignat il senso di ‘chiudere’. Sono state proposte varie interpretazioni anche il base al significato di morte (per esempio con ab sottinteso, “apre gli occhi chiusi dalla morte”. Però comunque nell’oltretomba si suppone che le anime abbiano gli occhi aperti. v.245 fretus: può reggere l’ablativo. vv.245-246: rejet. v.245 tranat: di solito significa ‘nuotare’, ma qua è lett. ‘nuotare nell’aria’. v.245 turbida tranat: allitterazione. v.247 Atlantis: Atlante è un personaggio noto sin dalla Teogonia di Esiodo che abbiamo già citato a proposito della genealogia della Fama. Era un titano figlio di Giapeto e di una oceanina, Clìmene. Fu condannato a sostenere con la testa e le spalle la volta celeste come punizione per aver combattuto a fianco dei Giganti. Atlante era, oltre che Titano, re della Mauritania, una regione che equivale a parte dell’attuale Algeria e Marocco (diversa dallo stato moderno della Mauritania), in quanto re della Mauritania venne identificato con la catena montuosa che anche oggi si chiama Atlante. Mercurio sorvola l’Atlante che è sì questo personaggio, ma anche diventato una catena montuosa. Infatti Virgilio gioca sull’ambiguità tra una figura antropomorfa che ha una testa, delle spalle, la barba e la montagna: vertex, apex (elementi naturali), latera, caput (elementi antropomorfi). Curiosità: la prima vertebra cervicale della colonna vertebrale si chiama Atlante perché sostiene il peso della testa, un po’ come Atlante che sostiene il peso della volta celeste. Secondo una tradizione che ci è testimoniata da Ovidio nelle Metamorfosi nel libro IV, Atlante fu pietrificato da Pèrseo, eroe che sconfigge la Medusa e dopo averla sconfitta la decapita e si porta dietro come arma pericolosa la testa di Medusa che è capace con il suo sguardo di pietrificare le persone. Perseo pietrifica Atlante per punirlo del fatto che non lo avesse ospitato, e così lo trasforma in una montagna. Il personaggio di Atlante è ricordato anche nel mito delle fatiche di Ercole perché Atlante stava nell’estremo occidente del mondo conosciuto, quindi del Mediterraneo, e lì c’erano anche i pomi delle Esperidi, le mele d’oro custodite nel giardino dove stava Atlante, e una delle fatiche era impadronirsi di queste mele. Atlante si dichiara disposto ad aiutare Ercole e gli dice di andare al suo posto per prendere la volta del cielo per un attimo, e sperava così di potersi liberare di questo carico, però Ercole è più furbo perché gli dice che lo aiuta ma se si mette qualcosa da tenere sotto il ginocchio. È significativo che qui sia Mercurio a vedere Atlante e a fermarcisi sopra: così come in Ovidio, Atlante sarà ricordato nel viaggio di Perseo, che è un eroe che ha dei tratti in comune con il dio Hermes/Mercurio. Anche Perseo è un eroe che vola e si muove con dei calzari alati che ricordano quelli di Mercurio, ha uno sguardo geografico sui luoghi che sorvola, e quindi ci sono sicuramente delle analogie. vv.247,248: anafora con valore espressivo. v.249 piniferum: uno degli aggettivi composti con la radice fer- del verbo fero, aggettivi di gusto arcaico, enniano; questo aggettivo è attestato per la prima volta in Virgilio nelle Bucoliche. Gli aggettivi composti sono tipici della lingua poetica elevata, già Aristotele nella Poetica li indica come un elemento caratterizzante soprattutto della lingua tragica. Il greco, dal punto di vista dei composti, è molto più produttivo del latino e il latino fa un po’ fatica a creare questi composti, ma in poesia ci sono anche in latino. Paradigmi: - promisit: promitto, promittis, promisi, promissum, promittĕre. - vindicat: vindico, vindicas, vindicavi, vindicatum, vindicare. - frementem: fremo, fremis, fremui, fremitum, fremĕre. - regeret: rego, regis, rexi, rectum, regĕre. - proderet: prodo, prodis, prodidi, proditum, prodĕre. - mitteret: mitto, mittis, misi, missum, mittĕre. - accendit: accendo, accendis, accendi, accensum, accendĕre. - molitur: molior, moliris, mollitus sum, moliri. - invidet: invideo, invides, invidi, invisum, invidēre. - struit: struo, struis, struxi, structum, struĕre. - moratur: moror, moraris, moratus sum, morari. - respicit: respicio, respicis, respexi, respectum, respicĕre. - naviget: navigo, navigas, navigavi, navigatum, navigare. - dixerat: dico, dicis, dixi, dictum, dicĕre. - parere: pareo, pares, parui, paritum, parrēe. - parabat: paro, paras, paravi, paratum, parare. - nectit: necto, nectis, nexi, nexum, nectĕre. - portant: porto, portas, portavi, portatum, portare. - capit: capio, capis, cepi, captum, capĕre. - evocat: evoco, evocas, evocavi, evocatum, evocare. - pallentis: palleo, palles, pallui, pallēre. - dat: do, das, dedi, datum, dare. - adimit: adimo, admisi, ademi, ademptum, adimĕre. - resignat: resigno, resignas, resignavi, resignatum, resignare. - tranat: trano, tranas, tranavi, tranatum, tranare. - volans: volo, volas, volavi, volatum, volare. - cernit: cerno, cernis, crevi, cretum, cernĕre. - fulcit: fulcio, fulcis, fulsi, fultum, fulcire. - pulsatur: pulso, pulsas, pulsavi, pulsatum, pulsare. - infusa: infundo, infundis, infudi, infusum, infundĕre. - tegit: tego, tegi, texi, tectum, tegĕre. - praecipitant: praecipito, praecipitas, praecipitavi, praecipitatum, praecipitare. - riget: rigeo, riges, rigēre. - nitens: niteo, nites, nitui, nitēre. - constitit: consto, constas, constiti, constare. vv.256-279 Scansione metrica: Hā́ut ălĭtḗr tērrā́s īntḗr cǣlū́mquĕ uŏlā́bat Līt́ŭs hărḗnōsum ā́d Lĭby̆ǽ̄, uēntṓsquĕ sĕcā́bat ‿ Mā́tērnṓ uĕnĭḗns ăb ăuṓ Cȳllḗnĭă prṓles. V́̄t prīmum ā́lātīś tĕtĭgīt́ māgā́lĭă plā́ntis, ‿ Ǣ́nēā́n fūndā́ntem ārcḗs āc tḗctă nŏuā́ntem ‿ Cṓnspĭcĭt. Á̄tque īllī́ stēllā́tŭs ĭā́spĭdĕ fūĺua ‿ Ḗnsĭs ĕrā́t Ty̆rĭṓque ārdḗbāt mū́rĭcĕ lǽ̄na ‿ Dḗmīssa ḗx ŭmĕrīś, dīuḗs quǣ mū́nĕră Dī́do ‿ Fḗcĕrăt. Ḗt tĕnŭī́ tēlā́s dīscrḗuĕrăt ā́uro. Cṓntĭnŭo ī́nuādīt́: "Tū nū́nc Kārthā́gĭnĭs ā́ltæ ‿ Fū́ndāmḗntă lŏcā́s pūlchrāḿque ūxṓrĭŭs ū́rbem ‿ Ṓrgĭă nṓctūrnū́squĕ uŏcā́t clāmṓrĕ Cĭthǽ̄ron. Tā́ndem hīs Ǽ̄nēā́n cōmpḗllāt uṓcĭbŭs ūĺtro: ‿ "Dī́ssĭmŭlā́re ĕtĭāḿ spērā́stī, pḗrfĭdĕ, tā́ntum ‿ Pṓssĕ nĕfā́s tăcĭtūśquĕ mĕā́ dēcḗdĕrĕ tḗrra? Traduzione: e i capelli si drizzarono per la paura e la voce restò attaccata alle fauci. Arde di partire in fuga e di abbandonare le dolci terre, colpito da così grande ammonimento e dall’ordine degli dei. Ahimè che cosa dovrebbe fare? Dunque affrontare la regina infuriata oserebbe con quale discorso? Quali primi esordi prenderebbe? E rivolge il pensiero veloce ora di qua, ora di là e (lo) trascina in diverse direzioni e (lo) volge ad ogni cosa. A lui che esitava questa parve la soluzione migliore: chiama Mnesteo, Sergesto e il forte Seresto, armino la flotta silenziosi, radunino i compari sulla riva, preparino le attrezzature e, quale sia la causa per il rinnovare queste cose, nascondano; lui intanto, dal momento che la buonissima Didone è ignara e non si aspetta che un amore così grande venga infranto, tenterà delle vie e di parlar(le) quelli che sono i più favorevoli momenti, (quale) sia il modo più adatto alle cose. Tutti rapidamente lieti obbediscono all’ordine ed eseguono con zelo i comandi. Ma la regina intuì (chi potrebbe ingannare un amante?) le insidie e per prima colse i movimenti futuri, temendo tutte le cose sicure. L’empia Fama a lei folle le stesse cose riferì: che la flotta veniva armata e il viaggio veniva preparato. Infuria priva della ragione e ardente attraverso tutta la città eccitata impazza come, quando gli oggetti di culto sono mossi, una Tiade, quando, udito Bacco, la incitano i triennali misteri e la chiama a gran voce il notturno Citerone. Infine si rivolge per prima a Enea con queste parole: Hai sperato anche di poter dissimulare, oh maledetto, un così grande misfatto e (di poterti) allontanare silenzioso dalla mia terra? Particolarità: v.280 arrectae: sottinteso sunt. v.280 horrore: horreo ha come primo significato quello di ‘drizzarsi per l’orrore’. v.281: dicolon abundans. vv.283-284: discorso indiretto libero (via di mezzo tra il discorso diretto e il discorso indiretto). Heu è uno stilema del discorso diretto. Le notazioni patetiche che ci fanno vedere i sentimenti dei personaggi sono rare. Virgilio ne parla poco, mostra poco il dolore di Enea per la separazione di Didone. Questo perché l’amore per Didone è una debolezza per Enea, che gli fa dimenticare la sua missione. In generale, nella letteratura antica, un amore insanus viene di solito attribuito a personaggi femminili, molto meno a personaggi maschili. L’amore distruttivo di personaggi maschili lo vediamo solo nella commedia, in parte nella poesia bucolica e soprattutto nell’elegia. vv.283-284 agat, audeat, sumat: congiuntivi dubitativi. v.283 furentem: qualcuno lo intende come ‘folle d’amore’, ma forse si deve intendere come ‘infuriata’. v.284 prima exordia: espressione pleonastica. v.286 partis: = partes. v.290 rebus novandis: gerundivo al dativo con valore finale. v.291 quando: valore causale. v.292 amores: possiamo chiederci se sia un plurale poetico o se si usi il plurale perché Didone pensa al suo amore per Enea ma anche a quello di lui per lei. v.293 temptaturum: sottinteso esse; infinito futuro. v.293 fandi: gerundio al genitivo. v.295: dicolon abundans. v.295 facessunt: verbo desiderativo da facio. v.296 At regina: ripete quello che era l’inizio del libro. Ora c’è l’inizio della fase più tragica della vicenda, segna un nuovo inizio. v.296 (quis fallere possit amantem?): si intromette di nuovo il narratore, commento simpatetico. v.296 possit: congiuntivo con valore potenziale. v.298 omnia tuta timens: temendo tutte le cose, anche quelle sicure. Questa era l’interpretazione che dava già Servio, quindi come se ci fosse etiam sottinteso. Qualcuno ha proposto: ‘temendo tutte le cose proprio perché tutto sembrava sicuro’. v.298 eadem: potrebbe essere o il neutro plurale retto da detulit, oppure potrebbe stare insieme a impia Fama (femminile). v.299: chiasmo, i due accusativi sono pure legati dall’allitterazione. v.300 animi: genitivo di privazione. v.301 commotis sacris: ablativo assoluto. v.302 Thyias: sta per la baccante. L’immagine di Didone che vaga persa c’era già stata all’inizio del libro (vv.68-69), quando Didone era stata paragonata alla cerva ferita. Thyias (grecismo) è uno degli appellativi delle baccanti, viene probabilmente da un verbo greco che significa fare sacrifici ma anche infuriare, smaniare. Nel carme 64 di Catullo c’è il paragone tra Arianna e la baccante, quando Arianna si sveglia sull’isola di Nasso e si accorge che Teseo è partito. v.302 trieterica: grecismo. v.303 Cithaeron: monte che si trovava fuori dalla città di Tebe, che è il luogo per eccellenza dove si esplicano i culti delle Baccanti e dove è ambientato il mito dello sbranamento del re Penteo che si era opposto al riconoscimento del dio Bacco. Viene punito col fatto che la madre impazzisce in preda all’invasamento del dio e insieme alle altre donne tebane va sul Citerone; quando Penteo va a spiarle, viene scambiato dalla madre per un animale e viene sbranato. Vicenda della tragedia di Euripide, Baccanti. v.305: da questo momento in poi si fronteggiano due discorsi diretti, secondo il modello tragico. L’epica di Virgilio è un’epica drammatica che risente della tragedia attica. I modelli che ha tenuto presenti sono vari: alcuni passi del V libro delle Argonautiche di Apollonio Rodio, dove si fronteggiano Medea e Giasone. Un grande modello anche precedente è costituito dalla Medea di Euripide, dove nel secondo episodio abbiamo i discorsi di Medea e di Giasone che si scontrano. Altro modello è il carme 64 di Catullo , Il lamento di Arianna: epillio, piccolo epos di tipo alessandrino. Quest’ultimo è l’archetipo delle eroine abbandonate della letteratura latina perché è la figura paradigmatica della donna abbandonata che anche in questo caso ha aiutato l’eroe straniero Teseo a uccidere il minotauro, poi fuggita con lui ma viene ricambiata con l’abbandono sull’isola di Nasso. v.305 sperasti: perfetto di forma sincopata che sta per speravisti. v.305 perfide: accusa di non aver rispettato i patti, diventa una tipica accusa rivolta dalle eroine abbandonate ai loro amati ingrati. Perfidus è colui che infrange la fides, letteralmente è lo spergiuro. Anche Arianna accusa Teseo più volte di essere perfidus. Per un lettore romano doveva suonare anche un po’ ironico che colei che è la capostipite del popolo ingannatore per eccellenza dia dello spergiuro a un romano. Con punica fides è detta ironicamente l’affidabilità dei cartaginesi che durante le guerre puniche hanno prevalso sui romani attraverso stratagemmi, in particolare Annibale. Qui il concetto è ribaltato. Ci può essere un certo sarcasmo ante litteram. Un aspetto importante del personaggio di Didone è che dalla sua maledizione si fa discendere l’origine dell’odio dei cartaginesi nei confronti dei romani. Paradigmi: - arrectae: arrigo, arrigis, arrexi, arrectum, arrigĕre. - haesit: haereo, haeres, haesi, haesum, haerēre. - ardet: ardeo, ardes, arsi, ardēre. - abire: absum, abes, abfui, abesse. - relinquere: relinquo, relinquis, relicui, relictum, relinquĕre. - attonitus: attono, attonas, attonui, attonitum, attonare. - agat: ago, agis, egi, actum, agĕre. - ambire: ambio, ambis, ambivi, ambitum, ambire. - furentem: furo, furis, furĕre. - audeat: audeo, audes, ausus sum, ausum, audēre (semideponente). - sumat: sumo, sumis, sumpsi, sumptum, sumĕre. - dividit: divido, dividis, divisi, divisum, dividĕre. - rapit: rapio, rapis, rapui, raptum, rapĕre. - versat: verso, versas, versavi, versatum, versare. - alternanti: alterno, alternas, alternavi, alternatum, alternare. - visa est: videor, vidēris, visus sum, videri. - vocat: voco, vocas, vocavi, vocatum, vocare. - aptent: apto, aptas, aptavi, aptatum, aptare. - cogant: cogo, cogis, coegi, coactum, coegĕre. - parent: pareo, pares, parui, paritum, parēre. - novandis: novo, novas, novavi, novatum, novare. - dissimulent: dissimulo, dissimulas, dissimulavi, dissimulatum, dissimulare. - nesciat: nescio, nescis, nescivi, nescitum, nescire. - rumpi: rumpo, rumpis, rupi, ruptum, rumpĕre. - speret: spero, speras, speravi, speratum sperare. - temptaturum: tempto, temptas, temptavi, temptatum, temptare. - fandi: for, faris, fatus sum, fari. - facessunt: facesso, facessis, facessi, facessitum, facessĕre. - fallere: fallo, fallis, fefelli, falsum, fallĕre. - possit: possum, potes, potui, posse. - amantem: amo, amas, amavi, amatum, amare. - praesensit: praesentio, praesentis, praesensi, praesensum, praesentire. - excepit: excipio, excipisi, excepi, exceptum, excipĕre. - timens: timeo, times, timui, timēre. - detulit: defero, defers, detuli, delatum, deferre. - armari: armo, armas, armavi, armatum, armare. - parari: paro, paras, paravi, paratum, parare. - saevit: saevio, saevis, saevivi, saevitum, saevire. - incensa: incendo, incendis, incendi, incensum, incendĕre. - bacchatur: bacchor, baccharis, bacchatus sum, bacchare. - commotis: commoveo, commoves, commovi, commotum, commovēre. - excita: excito, excitas, excitavi, excitatum, excitare. - audito: audio, audis, audivi, auditum, audire. - stimulant: stimulo, stimulas, stimulavi, stimulatum, stimulare. - compellat: compello, compellas, compellavi, compellatum, compellare. - dissimulare: dissimulo, dissimulas, dissimulavi, dissimulatum, dissimulare. - decedere: decedo, decedis, decessi, decessum, decedĕre. vv.307-338 Scansione metrica: Nḗc tē nṓstĕr ămṓr nēc tḗ dătă dḗxtĕră quṓndam Nḗc mŏrĭtūŕă tĕnḗt crūdḗlī fū́nĕrĕ Dī́do? Quī́n ĕtĭam hī́bērnṓ mōlī́rīs sí̄dĕrĕ clāśsem ‿ Ḗt mĕdĭīś prŏpĕrā́s Ăquĭlṓnĭbŭs ī́rĕ pĕr āĺtum, Crū́dēlī́s? quīd, sí̄ nōn āŕua ălĭḗnă dŏmṓsque ‿ Í̄gnōtā́s pĕtĕrḗs, ēt Trṓia āntī́quă mănḗret, ‿ Trṓiă pĕr ū́ndōsūḿ pĕtĕrḗtūr clā́ssĭbŭs ǽ̄quor? Mḗnĕ fŭgī́s? pĕr ĕgo hā́s lăcrĭmā́s dēxtrāḿquĕ tŭā́m te ‿ (Quā́ndo ălĭū́d mĭhĭ iāḿ mĭsĕrǽ̄ nĭhĭl ī́psă rĕlī́qui), ‿ Pḗr cōnū́bĭă nṓstră, pĕr ī́ncēptṓs hy̆mĕnǽ̄os, Sī́ bĕnĕ quī́d dē tḗ mĕrŭī́, fŭĭt á̄ut tĭbĭ quī́cquam Dū́lcĕ mĕū́m, mĭsĕrḗrĕ dŏmū́s lābḗntĭs ĕt ī́stam, Ṓrō, sī́ quĭs ădhūć prĕcĭbū́s lŏcŭs, ḗxŭĕ mḗntem. Tḗ prōptḗr Lĭby̆cǽ̄ gēntḗs Nŏmădūḿquĕ ty̆rā́nni Ṓdēre, ī́nfēnsī́ Ty̆rĭī́; tē prṓptĕr ĕū́ndem ‿ Ḗxstīnctū́s pŭdŏr ḗt, quā sṓlā sī́dĕra ădī́bam, ‿ v.338 ne finge: spia del fatto che sono due modi di vedere la realtà inconciliabili, ma entrambi convinti della propria ragione. Paradigmi: - data: do, daa, dedi, datum, dare. - moritura: morior, morĕris, mortuus sum, mori. - tenet: teneo, tenes, tenui, tentum, tenēre. - moliri: molior, moliris, molitus sum, moliri. - properas: propero, properas, properavi, properatum, properare. - ire: eo, is, ivi, itum, ire. - peteres: peto, petis, petivi, petitum, petĕre. - maneret: maneo, manes, mansi, mansum, manēre. - fugis: fugio, fugis, fugi, fugitum, fugĕre. - reliqui: relinquo, relinquis, reliqui, relictum, relinquĕre. - inceptos: incipio, incipis, incepi, inceptum, incipĕre. - merui: mereor, merēris, meritus sum, mereri. - miserere: misereo, miseres, miserui, miserēre. - labentis: labor, labĕris, lapsus sum, labi. - oro: oro, oras, oravi, oratum, orare. - exue: exuo, exuis, exui, exutum, exuĕre. - odere: odi, odisti, odisse (difettivo) - exstinctus: exstinguo, exstinguis, exstrinxi, exstinctum, exstinguĕre. - adibam: adeo, adis, adivi, aditum, adire. - deseris: desero, deseris, deserui, desertum, deserĕre. - restat: resto, restas, restiti, restare. - moror: moror, moraris, moratus sum, morari. - destruat: destruo, destruis, destruxi, destructum, destruĕre. - captam: capio, capis, cepi, captum, capĕre. - ducat: duco, ducis, duxi, ductum, ducĕre. - suscepta fuisset: suscipio, suscipis, suscepi, susceptum, suscipĕre. - luderet: ludo, ludis, lusi, lusum, ludĕre. - referret: refero, refers, retuli, relatum, referre. - viderer: videor, vidēris, visus sum, videri. - dixerat: dico, dicis, dixi, dictum, dicĕre. - premebat: premo, premis, pressi, pressum, premĕre. - fando: for, faris, fatus sum, fari. - enumerare: enumero, enumeras, enumeravi, enumeratum, enumerare. - vales: valeo, vales, valui, valitum, valēre. - negabo: nego, negas, negavi, negatum, negare. - promeritam: promereo, promeres, promerui, promeritum, promerēre. - meminisse: memini, meministi, meminisse (difettivo). - pigebit: piget, pigui, pigēre (impersonale). - regit: rego, regis, rexi, rectum, regĕre. - loquar: loquor, loquĕris, locutus sum, loqui. - abscondere: abscondo, abscondis, abscondi, absconditum, abscondĕre. - speravi: spero, speras, speravi, speratum, sperare. - finge: fingo, fingis, finxi, fictum, fingĕre. vv.339-370 Scansione metrica: Prǽ̄tēndī́ tǣdā́s āut hǽ̄c īn fœ́̄dĕră uḗni. Mḗ sī fā́tă mĕī́s pătĕrḗntūr dūćĕrĕ uīt́am Á̄uspĭcĭīś ēt spṓntĕ mĕā́ cōmpṓnĕrĕ cū́ras, V́̄rbēm Trṓiānā́m prīmūḿ dūlcī́squĕ mĕṓrum Rḗlĭquĭāś cŏlĕrḗm, Prĭămī́ tēcta ā́ltă mănḗrent, ‿ Ḗt rĕcĭdī́uă mănū́ pŏsŭī́ssēm Pḗrgămă uī́ctis. Sḗd nūnc Í̄tălĭāḿ māgnāḿ Grȳnḗŭs Ăpṓllo, Í̄tălĭāḿ Ly̆cĭǽ̄ iūssḗrĕ căpḗssĕrĕ sṓrtes; Hī́c ămŏr, hǽ̄c pătrĭā́st. sī tḗ Kārthā́gĭnĭs á̄rces Phœ́̄nīssā́m Lĭby̆cǽ̄que āspḗctūs dḗtĭnĕt ū́rbis, ‿ Quǽ̄ tāndem Á̄usŏnĭā́ Tēucrṓs cōnsī́dĕrĕ tḗrra ‿ Í̄nuĭdĭā́st? ēt nṓs fās ḗxtĕră quǽ̄rĕrĕ rḗgna Mḗ pătrĭs Á̄nchīsǽ̄, quŏtĭḗns ūmḗntĭbŭs ū́mbris Nṓx ŏpĕrīt́ tērrā́s, quŏtĭḗns āstra ī́gnĕă sū́rgunt, ‿ Á̄dmŏnĕt í̄n sōmnī́s ēt tūŕbĭdă tḗrrĕt ĭmā́go Mḗ pŭĕr Á̄scănĭū́s căpĭtī́sque īniū́rĭă cā́ri, ‿ Quḗm rēgno Hḗspĕrĭǽ̄ frāudo ḗt fātā́lĭbŭs āŕuis. ‿ ‿ Nū́nc ĕtĭam ī́ntērprḗs dīuū́m Iŏuĕ mí̄ssŭs ăb í̄pso ‿ (Tḗstŏr ŭtrū́mquĕ căpū́t) cĕlĕrī́s māndā́tă pĕr ā́uras Dḗtŭlĭt: ī́psĕ dĕūḿ mănĭfḗsto īn lūḿĭnĕ uī́di ‿ Í̄ntrāntḗm mūrṓs uōcḗmque hīs á̄urĭbŭs hā́usi. ‿ Dḗsĭnĕ mḗquĕ tŭī́s īncḗndĕrĕ tḗquĕ quĕrḗlis; Italiam non sponte sequor." Tāĺĭă dī́cēntḗm iāmdū́dum āuḗrsă tŭḗtur ‿ Hū́c īllū́c uōluḗns ŏcŭlṓs tōtūḿquĕ pĕrḗrrat Lū́mĭnĭbū́s tăcĭtīś ēt sī́c āccḗnsă prŏfā́tur: "Nḗc tĭbĭ dī́uă părḗns gĕnĕrī́s nēc Dāŕdănŭs á̄uctor, Pḗrfĭdĕ, sḗd dūrī́s gĕnŭīt́ tē cā́utĭbŭs hṓrrens Cā́ucăsŭs Hȳ́rcānǽ̄que ādmṓrūnt ū́bĕră tī́gres. ‿ Nā́m quīd dī́ssĭmŭlo ā́ut quǣ me ā́d māiṓră rĕsḗruo? ‿ ‿ Nū́m flētu ī́ngĕmŭī́t nōstrṓ? nūm lūḿĭnă flḗxit? ‿ Nū́m lăcrĭmā́s uīctū́s dĕdĭt ā́ut mĭsĕrā́tŭs ămā́ntemst? Traduzione: fiaccole innalzato né sono sceso a questi patti. Se i destini mi permettessero di vivere la vita secondo i miei auspici e di risolvere gli affanni secondo il mio volere, io innanzitutto la città troiana e i dolci resti dei miei onorerei [le alte rocche di Priamo sarebbero in piedi] e avrei ricostruito con la mano una nuova Pergamo per i vinti. Ma ora Apollo Grineo e gli oracoli della Licia la grande Italia mi ordinarono di raggiungere; questo (è) l’amore, questa è la patria. Se la rocca di Cartagine e la vista di una città libica trattiene te fenicia, perché che i teucri (si) stabiliscano infine nella terra ausonia è sfavore? È lecito che anche noi cerchiamo terre straniere. L’immagine del padre Anchise, ogni volta che di ombre umide La notte copre le terre, ogni volta che sorgono gli astri fiammeggianti, mi ammonisce nei sogni e adirata mi spaventa; (così) il fanciullo Ascanio e l’offesa di una persona cara, che privo del regno di Esperia e dei campi fatali. Ora anche il messaggero degli dei mandato da Giove in persona (lo giuro su entrambe le teste) ordini veloce attraverso l’aria ha portato: io stesso ho visto il dio in una luce abbagliante che entrava in queste mura e ho assorbito la voce con queste orecchie. Smetti di affliggere me e te con i tuoi lamenti: non spontaneamente seguo l’Italia.’ mentre lui diceva tali cose, già da tempo (lo) guardava ostile roteando gli occhi di qua e di là e lo squadra tutto con occhi silenziosi e così, furibonda, parla: “Non ti (fu) madre la dea né Dardano (fu) capostipite della stirpe, oh spergiuro, ma (ti) generò l’irto di dure rocce Caucaso e le tigri ircane (ti) porsero le mammelle. Infatti perché fingo o a quali cose peggiori mi espongo? Forse per il nostro pianto ha pianto? Forse ha abbassato gli occhi? Forse, vinto, ha versato lacrime o ha avuto pietà dell’amante? Particolarità: v.339 foedera: stessa radice di fides. vv.340-344: periodo ipotetico dell’irrealtà. v.340 me: in posizione enfatica; soggetto delle infinitive ducere (v.340) e componere (v.341). v.343 colerem: può significare sia abitare che onorare. Qua ci sono entrambi i significati. È come se ci fosse un lieve zeugma (utilizzare lo stesso verbo con due significati diversi per due elementi diversi). v.343 [Priami tecta alta manerent]: viene il sospetto che si tratti di un’aggiunta perché è quasi uguale a una clausola di un verso del libro II. Dal punto di vista sintattico, interrompe un po’il periodo perché c’è un cambio di soggetto, sembra quindi stonare sintatticamente con il contesto. Se lo consideriamo un’aggiunta, dobbiamo comunque considerare che il v.343 fosse mutilo. v.344 Pergama: nome della rocca di Troia. v.347 hic amor, haec patria est: il suo, quindi, non è solo senso del dovere. v.347-350: c’è una parte di amore anche nel cercare una patria nuova, tant’è che poi fa un paragone con la situazione di Didone. Alla fine, questa somiglianza era stata anche uno dei motivi del loro primo avvicinamento. v.350 fas: sottinteso est. v.359 intrantem: participio con valore predicativo. v.361: uno dei versi mutili; uno dei vari segni di mancanza di revisione finale da parte dell’autore. In questo caso, sembrerebbe quasi voluto. Servio, nel suo commento, dice che questa fine di discorso è particolarmente efficace. Non sappiamo se Virgilio avrebbe voluto completare il verso o come. v.364 tacitis: enallage (analizzata da Conte, Virgilio. L’epica del sentimento). Figura molto amata da Virgilio che consente di creare un effetto di straniamento attraverso una combinazione di parole. Aristotele, Poetica: la lingua poetica si caratterizza per l’effetto di straniamento rispetto alla lingua comune. Questo effetto si può ottenere tramite l’uso di composti, di neologismi. Una figura come l’enallage lavora sulla combinazione. È un tratto di stile che già i commentatori antichi notavano e alcuni, che erano detrattori del suo stile, lo accusavano di usare uno stile affettato v.365 Dardanus: capostipite dei troiani, che proveniva dall’Italia. v.367 admorunt: forma sincopata per admoverunt. vv.365-367: questo topos, l’attribuzione di immaginari genitori crudeli, risale a Omero. All’inizio del libro, Didone diceva alla sorella anna (v.12) che Enea doveva essere di stirpe divina. v.367 Hyrcaneae [...] tigres: epiteto geografico che si riferisce a una zona vicina al mar Caspio. v.369: Didone inizia a parlare di Enea in terza persona. Significativo del distanziamento tra i due e anche del passaggio da dialogo a monologo. Invece poi, nella parte finale del discorso, tornerà a parlare con imperativi (parte della maledizione). v.370 fletu: forma arcaica di dativo (invece di -ui), perché di solito il verbo ingemesco si costruisce con il dativo (‘piangere su qualcosa’). Altrimenti potrebbe anche essere un ablativo strumentale. Paradigmi: - praetendi: praetendo, praetendis, praetendi, praetentum, praetendĕre. - veni: venio, venis, veni, ventum, venire. - paterentur: patior, patĕris, passus sum, pati. - ducere: duco, ducis, duxi, ductum, ducĕre. - componere: compono, componis, composui, compositum, componĕre. - colerem: colo, colis, colui, cultum, colĕre. - manerent: maneo, manes, mansi, mansum, manēre. - posuissem: pono, ponis, posui, positum, ponĕre. - victis: vinco, vincis, vici, victum, vincĕre. - iussere: iubeo, iubes, iussi, iussum, iubēre. - capessere: caepesso, capessis, capessivi, capessĕre. v.384 ignibus: rappresentano metaforicamente il rimorso, dovrebbe essere un’allusione alle fiaccole delle Erinni che perseguitavano i colpevoli di gravi delitti. C’è però anche una certa ironia tragica, perché Didone si ucciderà sulla pira (lo notava già Servio). Immagine ominosa. v.385: lieve improprietà sintattica, perché di solito nell’epica è l’anima che se ne va dal corpo. Forma di enallage (Servio la nota come tale). Allude di nuovo alla propria morte, concetto che comincia a essere introdotto anche se il suicidio verrà ideato più avanti. v.385 frigida: valore causativo perché rende fredda le membra. v.388: probabilmente vuol dire non che tronca il suo discorso (che sembra perfettamente concluso), ma in generale il loro dialogo. v.390 cunctantem [...] parantem: parallelismo tra i due participi. v.390 multa, multa: anafora (uno con valore avverbiale, uno con valore di neutro sostantivato). v.391 famulae: termine elevato al posto di servus. v.392 marmoreo [...] thalamo: dativo di moto. v.393 pius: aggettivo caratterizzante di Enea. Questa è la prima volta nel libro IV in cui Enea viene definito pius, proprio nel momento in cui si accinge ad abbandonare Didone. v.395 animum: accusativo di relazione. v.395 magno [...] amore: ci possiamo chiedere se sia l’amore di Didone o quello di Enea. Paradigmi: - anteferam: antefero, antefers, antetuli, antelatum, anteferre. - aspicit: aspicio, aspicis, aspexi, aspectum, aspicĕre. - egentem: egeo, eges, egui, egēre. - excepi: excipio, excipis, excepi, exceptum, excipĕre. - locavi: loco, locas, locavi, locatum, locare. - amissam: amitto, amittis, amisi, amissum, amittĕre. - reduxi: reduco, reducis, reduxi, reductum, reducĕre. - incensa: incendo, incendis, incendi, incensum, incendĕre. - feror: fero, fers, tuli, latum, ferre. - missum: mitto, mittis, misi, missum, mittĕre. - sollicitat: sollicito, sollicitas, sollicitavi, sollicitatum, sollicitare. - teneo: teneo, tenes, tenui, tentum, tenēre. - dicta: dico, dicis, dixi, dictum, dicĕre. - refello: refello, refellis, refelli, refellĕre. - i: eo, is, ivi, itum, ire. - sequere: sequor, sequeris, secutus sum, sequi. - pete: peto, petis, petivi, petitum, petĕre. - spero: spero, speras, speravi, speratum, sperare. - possunt: possum, potes, potui, posse. - hausurum: haurio, hauris, hausi, haustum, haurire. - vocaturum: voco, vocas, vocavi, vocatum, vocare. - absens: absum, abes, abfui, abesse. - seduxerit: seduco, seducis, seduxi, seductum, seducĕre. - adero: adsum, ades, adfui, adesse. - dabis: do, das, dedi, datum, dare. - audiam: audio, audis, audivi, auditum, audire. - veniet: venio, venis, veni, ventum, venire. - abrumpit: abrumpo, abrumpis, abrupi, abruptum, abrumpĕre. - fugit: fugio, fugis, fugi, fugitum, fugĕre. - avertit: averto, avertis, averti, aversum, avertĕre. - aufert: aufero, aufers, abstuli, ablatum, auferre. - linquens: linquo, linquis, linqui, lictum, linquĕre. - cunctantem: cuncto, cunctas, cunctavi, cunctatum, cunctare. - parantem: paro, paras, paravi, paratum, parare. - suscipiunt: suscipio, suscipis, suscepi, susceptum, suscipĕre. - conlapsa: conlabor, conlabĕris, conlapsus sum, conlabi. - referunt: refero, refers, retuli, relatum, referre. - reponunt: repono, reponis, reposui, repositum, reponĕre. - lenire: lenio, lenis, lenivi, lenitum, lenire. - dolentem: doleo, doles, dolui, dolēre. - solando: solo, solas, solavi, solatum, solare. - cupit: cupio, cupis, cupivi, cupitum, cupĕre. - gemens: gemo, gemis, gemui, gemitum, gemĕre. - labefactus: labefacio, labefacis, labefeci, labefactum, labefacĕre. - iussa: iubeo, iubes, iussi, iussum, iubēre. - exsequitur: exsequor, exsequĕris, exsecutus sum, exsequi. - revisit: reverto, revertis, reverti, reversum, revertĕre. vv.397-422 Scansione metrica: Tū́m uērṓ Tēucri ī́ncūmbū́nt ēt lí̄tŏrĕ cḗlsas ‿ Dḗdūcū́nt tōtṓ nāuī́s. nătăt ū́nctă cărī́na, Frṓndēntīśquĕ fĕrū́nt rēmṓs ēt rṓbŏră sí̄luis Infabricata fugae studio. Mī́grāntī́s cērnā́s tōtā́que ēx ūŕbĕ rŭḗntis. ‿ Á̄c uĕlŭt ī́ngēntḗm fōrmī́cǣ fāŕrĭs ăcḗruum Cū́m pŏpŭlā́nt hĭĕmī́s mĕmŏrḗs tēctṓquĕ rĕpṓnunt, Í̄t nīgrūḿ cāmpī́s āgmḗn prǣdā́mquĕ pĕr hḗrbas Cṓnuēctā́nt cālle ā́ngūstṓ: pārs grā́ndĭă trū́dunt ‿ Ṓbnīxǽ̄ frūmḗnta ŭmĕrī́s, pārs ā́gmĭnă cṓgunt ‿ Cā́stīgā́ntquĕ mŏrā́s, ŏpĕre ṓmnīs sḗmĭtă fḗruet. ‿ Quī́s tĭbĭ tū́m, Dīdṓ, cērnḗntī tā́lĭă sḗnsus, Quṓsuĕ dăbā́s gĕmĭtū́s, cūm līt́ŏră fḗruĕrĕ lā́te Prṓspĭcĕrḗs ārce ḗx sūmmā́, tōtū́mquĕ uĭdḗres ‿ Mī́scēri ā́nte ŏcŭlṓs tāntī́s clāmṓrĭbŭs ǽ̄quor! ‿ ‿ Í̄mprŏbe Ămṓr, quīd nṓn mōrtā́lĭă pḗctŏră cṓgis! ‿ Í̄re ĭtĕrum ī́n lăcrĭmāś, ĭtĕrūḿ tēmptāŕĕ prĕcā́ndo ‿ ‿ Cṓgĭtŭr ḗt sūpplḗx ănĭmṓs sūmmīt́tĕre ămṓri, ‿ Nḗ quĭd ĭnḗxpērtū́m frūstrā́ mŏrĭtū́ră rĕlī́nquat. "Á̄nnă, uĭdḗs tōtṓ prŏpĕrā́rī līt́ŏrĕ cīŕcum: V́̄ndĭquĕ cṓnuēnḗrĕ; uŏcā́t iām cāŕbăsŭs ā́uras, Pū́ppĭbŭs ḗt lǣtī́ nāutae ī́mpŏsŭḗrĕ cŏrṓnas. ‿ Hū́nc ĕgŏ sī́ pŏtŭī́ tāntū́m spērā́rĕ dŏlṓrem, Ḗt pērfḗrrĕ, sŏrṓr, pŏtĕrṓ. Mĭsĕrae hṓc tămĕn ū́num ‿ Ḗxsĕquĕre, Á̄nnă, mĭhī́; sōlā́m nām pḗrfĭdŭs īĺle ‿ Tḗ cŏlĕre, āŕcānṓs ĕtĭāḿ tĭbĭ crḗdĕrĕ sḗnsus; ‿ Traduzione: allora davvero i Teucri si danno da fare e le alte navi trascinano in mare da tutta la spiaggia (galleggia la chiglia spalmata) e portano remi frondosi dai boschi e tronchi freschi per il desiderio di fuga. Avresti potuto vederli uscire e precipitarsi da tutta la città: e come quando le formiche un grande mucchio di grano saccheggiano, memori dell’inverno, e ripongono al sicuro, va la nera schiera attraverso i campi e la preda attraverso le erbe trasportano per uno stretto sentiero; una parte spinge grandi chicchi di frumento, sforzandosi sulle spalle, una parte serra le fila e punisce gli indugi; tutto il sentiero ferve di lavoro. Quale sentimento avevi allora, oh Didone, che vedevi tali cose, o quali gemiti davi, quando la spiaggia animarsi per vasto tratto vedevi dall’alto della reggia, e vedevi tutto il mare essere riempito di tante grida davanti agli occhi! Crudele amore, a cosa non costringi i cuori mortali! Di nuovo ad andare in lacrime, di nuovo a tentare pregando è costretta e a sottomettere supplice l’orgoglio all’amore per non lasciare qualcosa intentato destinata a morire invano. “Anna vedi affaccendarsi ovunque per tutta la spiaggia: da ogni parte si sono radunati; già la vela chiama i venti, e i marinai felici hanno posto corone sulle poppe. Io se ho potuto aspettare un tale grande dolore, potrò anche sopportar(lo), oh sorella. Tuttavia questa sola cosa per l’infelice me esegui, Anna: infatti quello spergiuro sola te onorava, a te affidava anche i pensieri segreti. Particolarità: v.397 celsas: termine poetico. v.398 deducunt: termine tecnico. vv.397-398 celsas [...] navis: epiteto cristallizzato. v.398 carina: sineddoche per la nave. v.401 cernas: funzione di congiuntivo potenziale, sarebbe dovuto essere congiuntivo imperfetto. v.401 migrantis, ruentis: participi con valore predicativo (= migrantes, = ruentis). vv.402-407: la similitudine con le formiche si trova nel libro IV delle Argonautiche di Apollonio Rodio, in Omero si trova la similitudine con le mosche. Ricorda un po’ anche la descrizione delle api nel libro IV delle Georgiche di Virgilio. La similitudime probabilmente significa anche che Didone li vede dall’alto. v.404 nigrum campis agmen: Servio ci dice che questa similitudine c’era già in Ennio ma riferita agli elefanti. v.407 moras: astratto per il concreto. v.407 moras; opere: termini antitetici accostati. vv.408-411: apostrofe diretta del narratore al personaggio. Apostrofe fortemente patetica e simpatetica. Questo è il punto in cui Ovidio può aver introdotto la lettera di Didone a Enea nelle Heroides. v.408 sensus: sottinteso fuit. v.409 fervere: Virgilio utilizza la forma arcaica fervĕre al posto di fervēre. vv.410-411 totum, aequor: fortissimo iperbato in funzione espressiva (rende la vastità del mare). vv.412-414: nelle Argonautiche di Apollonio Rodio c’è un’apostrofe all’amore. Si colloca nel momento in cui gli Argonauti fuggono con il vello d’oro rincorsi dal fratello di Medea e lei tende un agguato al suo proprio fratello in modo tale che Giasone lo uccida. È il momento in cui Medea diventa personaggio tragico, capace di cose terribili. Lo stesso aggettivo che Apollonio utilizza per l’amore, lo stesso viene riferito anche a Giasone (improbus), così come da Virgilio a Enea. v.414 supplex: valore predicativo. v.416 properari: passivo con valore impersonale. v.417 carbasus: grecismo, metonimia (tessuto di cui sono fatte le vele). v.418 laeti: questa felicità contrasta con la disperazione di Didone. v.418 coronas: corone poste sulle navi al momento della partenza per propiziare il viaggio. v.419 hunc [...] dolorem: iperbato a cornice, espressivo perché sembra il dolore sembra riempire tutto il verso. v.422 colere, credere: infiniti storici. vv.422-423: Servio ci diceva che in Varrone esisteva una tradizione secondo la quale la storia d’amore era tra Anna e Enea. È possibile che il riferimento a questa intimità alluda a questa tradizione. poliptoto Paradigmi: - incumbunt: incumbo, incumbis, incubui, inbumbĕre. - deducunt: deduco, deducis, deduxi, deductum, deducĕre. - natat: nato, natas, natavi, natatum, natare. - uncta: ungo, ungis, unxi, unctum, ungĕre. - frondentis: frondeo, frondes, frondui, frondēre. intervento di Mercurio che dice a Enea che non gli conviene rimanere a Cartagine perché Didone potrebbe macchinare qualcosa contro di lui. v.436 dederit: c’è anche la variante dederis. v.436 cumulatam: c’è la variante cumulata. v.436: metafora di tipo economico. v.436 morte: potrebbe essere strumentale, temporale; potrebbe essere la morte naturale di Didone o un riferimento al suicidio che però non viene colto né da Enea né da Anna. v.440 placidas: si potrebbe intendere o come ‘un tempo benevole’ o ‘irremovibili’. v.440 deus: immaginiamo che sia Giove. v.441: la similitudine con la quercia ha una grande tradizione, si trova anche in Omero. In Omero indica forza fisica, in Virgilio forza morale. La similitudine con gli alberi si ritrova anche. In contesto molto diverso nelle Argonautiche di Apollonio Rodio (Medea e Giasone vengono definiti alberi che normalmente stanno fermi ma si muovono quando c’è vento); nello stesso autore si trova un pino a cui viene paragonato un eroe. Questa rappresentazione riscatta un po’ il personaggio di Enea. Paradigmi: - noris: novi, novisti, novisse (difettivo). - adfare: adfor, adfaris, adfatus sum, adfari. - exscindere: exscindo, exscindis, exscidi, exscissum, exscindĕre. - iuravi: iuro, iuras, iuravi, iuratum, iurare. - misi: mitto, mittis, misi, missum, mittĕre. - revelli: revello, revellis, revelli, revulsum, revellĕre. - dicta: dico, dicis, dixi, dictum, dicĕre. - negat: nego, negas, negavi, negatum, negare. - demittere: demitto, demittis, demisi, demissum, demittĕre. - ruit: ruo, ruis, rui, ruĕre. - det: do, das, dedi, datum, dare. - amanti: amo, amas, amavi, amatum, amare. - exspectet: exspecto, exspectas, exspectavi, exspectatum, exspectare. - ferentis: fero, fers, tuli, latum, ferre. - prodidit: prodo, prodis, prodidi, proditum, prodĕre. - oro: oro, oras, oravi, oratum, orare. - careat: careo, cares, carui, carēre. - relinquat: relinquo, relinquis, reliqui, relictum, relinquĕre. - peto: peto, petis, petivi, petitum, petĕre. - victam: vinco, vincis, vici, victum, vincĕre. - doceat: doceo, doces, docui, doctum, docēre. - dolere: doleo, doles, dolui, dolēre. - miserere: miseror, miseraris, miseratus sum, miserari. - cumulatam: cumulo, cumulas, cumulavi, cumulatum, cumulare. - remittam: remitto, remittis, remisi, remissum, remittĕre. - refert: refero, refers, retuli, relatum, referre. - movetur: moveo, moves, movi, motum, movēre. - audit: audio, audis, audivi, auditum, audire. - obstant: obsto, obstas, obsteti, obstatum, obstare. - obstruit: obstruo, obstruis, obstruxi, obstructum, obstruĕre. - eruere: eruo, eruis, erui, erutum, eruĕre. - certant: certo, certas, certavi, certatum, certare. - it: eo, is, ivi, itum, ire. vv.444-471 Scansione metrica: Cṓnstērnū́nt tērrā́m cōncū́ssō stī́pĭtĕ frṓndes; Í̄psa hǣrḗt scŏpŭlī́s ēt quā́ntūm uḗrtĭce ăd á̄uras ‿ ‿ Ǣt́hĕrĭā́s, tāntū́m rādī́ce īn Tāŕtără tḗndit: ‿ Hā́ud sĕcŭs ā́dsĭdŭī́s hīnc āt́que hīnc uṓcĭbŭs hḗros ‿ Tū́ndĭtŭr ḗt māgnṓ pērsḗntīt pḗctŏrĕ cū́ras; Mḗns īmmṓtă mănḗt, lăcrĭmǽ̄ uōluū́ntŭr ĭnā́nes. Tū́m uēro ī́nfēlī́x fātī́s ēxtḗrrĭtă Dī́do ‿ Mṓrtem ōrā́t; tǣdḗt cǣlī́ cōnuḗxă tŭḗri. ‿ Quṓ măgĭs ī́ncēptūḿ pĕrăgāt́ lūcḗmquĕ rĕlī́nquat, Vī́dīt, tūŕĭcrĕmī́s cūm dṓna īmpṓnĕrĕt āŕis ‿ (Hṓrrēndū́m dīctū)́, lătĭcḗs nīgrḗscĕrĕ sā́cros Fū́săque ĭn ṓbscēnū́m sē uḗrtĕrĕ uī́nă crŭṓrem. ‿ Hṓc uīsū́m nūllī́, nōn ī́psi ēffāt́ă sŏrṓri. ‿ Prǽ̄tĕrĕā́ fŭĭt ī́n tēctī́s dē mā́rmŏrĕ tḗmplum Cṓniŭgĭs á̄ntīquī́, mīrṓ quŏd hŏnṓrĕ cŏlḗbat, Vḗllĕrĭbū́s nĭuĕī́s ēt fḗstā frṓndĕ rĕuī́nctum: Hī́nc ēxā́udīrī́ uōcḗs ēt uḗrbă uŏcā́ntis Vī́să uĭrī,́ nōx cūḿ tērrā́s ōbscū́ră tĕnḗret, Sṓlăquĕ cūĺmĭnĭbū́s fērāĺī cāŕmĭnĕ bū́bo Sǽ̄pĕ quĕri ḗt lōngā́s īn flḗtūm dū́cĕrĕ uṓces; ‿ Mūĺtăquĕ prǽ̄tĕrĕā́ uātū́m prǣdī́ctă prĭṓrum Tḗrrĭbĭlī́ mŏnĭtu hṓrrĭfĭcā́nt. ăgĭt í̄psĕ fŭrḗntem ‿ Í̄n sōmnī́s fĕrŭs Ǣ́nēā́s, sēmpḗrquĕ rĕlī́nqui Sṓlă sĭbī,́ sēmpḗr lōngam ī́ncŏmĭtāt́ă uĭdḗtur ‿ Í̄rĕ uĭam ḗt Ty̆rĭṓs dēsḗrtā quǽ̄rĕrĕ tḗrra, ‿ Ḗumĕnĭdū́m uĕlŭtī́ dēmḗns uĭdĕt ā́gmĭnă Pḗntheus Ḗt sōlḗm gĕmĭnum ḗt dŭplĭcḗs se ōstḗndĕrĕ Thḗbas, ‿ ‿ Á̄ut Ăgămḗmnŏnĭū́s scǣnīś ăgĭtā́tŭs Ŏrḗstes, Traduzione: fronde ricoprono la terra squassato il tronco; quella resta abbarbicata alle rocce e per quanto con la cima verso l’aria del cielo si protende, altrettanto con la radice si spinge verso il Tartaro: non diversamente da una parte e dall’altra da parole incalzanti l’eroe è scosso e prova intensamente l’affanno nel grande cuore; la mente rimane irremovibile, le lacrime si volgono vane. Allora davvero Didone, atterrita dai fati, invoca la morte; ha in odio vedere le convessità del cielo. Affinché realizzi di più il progetto e abbandoni la luce, mentre deponeva offerte sugli altari che ardono d’incenso, vide (orribile a dirsi) i liquidi sacri diventare neri e i vini versati mutarsi in sangue funesto; a nessuno rivelò questa visione, neppure alla sorella stessa. Inoltre c’era nel palazzo un tempio di marmo del primo sposo, che onorava con mirabile devozione, cinto di candide bende e di fogliame votivo: di udire da lì la voce e le parole del marito che la chiamava (le) sembrò, quando la notte oscura copriva le terre, e che dai tetti il gufo solitario con verso lugubre spesso si lamentasse e volgesse in pianto i lunghi gridi; e inoltre molte predizioni degli antichi indovini (la) terrorizzano con atroce monito. Lo stesso Enea feroce perseguita lei folle nei sogni, e sempre di essere lasciata sola (le) sembra, sempre una lunga via senza compagni di percorrere (le sembra) e di cercare i Tirii in una terra deserta, come Pènteo folle vede schiere di Eumenidi e (vede) manifestarsi un doppio sole e una duplice Tebe, o Oreste figlio di Agamennone agitato sulla scena, Particolarità: v.448 persentit: per- intensivo. v.449 mens: sede della ragione. v.449 lacrimae volvuntur inanes: sono le lacrime di Enea o sono quelle di Didone riferite dalla sorella Anna, o sono le lacrime della stessa sorella Anna. La similitudine con la quercia fa pensare che siano le lacrime di Enea. Il dolore che Enea prova in questo momento è confermato dall’incontro con l’anima di Didone nell’Ade. v.452 quo: valore finale, soprattutto quando poi c’è magis. v.453 turicremis: aggettivo composto di gusto arcaico attestato in Lucrezio (tus ‘incenso’ + radice di ‘cremare’). v.454 dictu: supino passivo. v.454 nigrescere: verbo incoativo (indica un cambiamento di stato). v.456 effata: sottinteso est. v.457: onoranza romana che qui Virgilio attribuisce in modo anacronistico anche alla Cartagine di Didone. v.458: questo ci rimanda alla versione del mito in cui Didone si uccideva per non risposarsi. v.461 visa: sottinteso est. vv.460-461 verba vocantis visa viri: effetti sonori dati dalle allitterazioni. vv.460-461: nella Eroide di Ovidio c’è il marito che la chiama e le dice “Elissa vieni”. vv.462-463 bubo, queri, fletum, ducere: insistenza sul suono ‘u’, che riproduce il canto di cattivo auspicio del gufo. v.462 sola [...] bubo: iperbato a cornice. vv.460, 462 exaudiri, queri, ducere: infiniti storici o infiniti retti da visa (v.461). v.464 vatum: questo riferimento ai vates ricorda quello che si diceva all’inizio del libro in cui c’era una scena di sacrificio dove lei e la sorella facevano dei sacrifici. v.464 priorum: c’è anche la variante piorum che potrebbe essere una banalizzazione. vv.465-466: questa rappresentazione di Enea che insegue Didone richiama un po’ quella similitudine che c’era all’inizio del libro con la cerva. Il verbo agere per indicare questo inseguire era presente già in quella similitudine (v.69 e seguenti): quando Didone, preda della passione, vaga furens per tutta la città, viene paragonata a una cerva che viene ferita da un pastore che non sa di averla colpita. Già all’inizio del libro abbiamo un segnale di quello che succederà e questo dardo conficcato nel fianco della cerva anticipa la spada di Enea con cui Didone si ucciderà alla fine del libro. vv.466-467 semper [...] sola sibi: allitterazione che sottolinea il sentimento di solitudine. vv.467-468 longam [...] viam: iperbato espressivo perché ci dà l’idea della lunga via. Questa lunga via potrebbe essere anche quella che porta all’aldilà e quindi una prefigurazione della sua morte. v.467 incomitata: riaffiora la paura che i suoi stessi compatrioti le siano diventati ostili, perché preferendo Enea ai pretendenti locali mette in pericolo la sua stessa città. Si tratta di un sogno simbolico che per il mondo antico non è banale. vv.469-471: il delirio di Didone viene paragonato alla follia di Penteo e di Oreste, che sono due personaggi della tragedia. Questo richiama alla mente del lettore il carattere tragico del personaggio di Didone. C’è una consapevolezza da parte di Virgilio della connotazione tragica di questo episodio di Didone. v.469: Penteo era re di Tebe e si era opposto al culto di Bacco/Dioniso e per questo motivo viene punito dal dio che lo fa impazzire; verrà sbranato dalle Baccanti (donne di Tebe che si sono dedicate al culto bacchico e sono anch’essere prese da un delirio). Tra esse c’è Agave, la madre di Penteo. Penteo viene portato a vedere questi riti bacchici e la madre, presa dall’invasamento, lo scambia per un animale e quindi le Baccanti lo sbranano. Questo è il tema delle Baccanti di Euripide, ma è un tema che aveva avuto una sua fortuna anche nella tragedia latina arcaica. Scrissero tragedie sul tema bacchico e su Penteo sia Accio che Pacuvio. Abbiamo pochi frammenti delle Bacchae di Accio e della tragedia Pentheus di Pacuvio. In questi versi Penteo, preda della follia, vede schiere di Eumenidi (che normalmente non sono associate a lui). Esse sono le Furie, le Erinni, quindi dee vendicatrici che perseguitano chi commette un qualche crimine e vengono chiamate anche Eumenidi (cioè ‘benevole’), con un termine apotropaico (qualcosa che vuole allontanare l’influsso maligno di una realtà percepita come dannosa; quindi, un rito apotropaico vuole allontanare i possibili effetti maligni di qualcosa). Queste dee sono spaventose, e vengono chiamate Eumenidi per tenersele buone. v.470: è un riferimento preciso a un punto delle Baccanti di Euripide dove Penteo, in preda alle sue allucinazioni, dice: “Mi sembra di vedere due soli e Tebe dalle sette porte si è sdoppiata”. Particolarità: v.469: quella di Didone è una vera a propria tragedia, perché già Aristotele nella poetica ci dice che la tragedia consiste nel capovolgimento della condizione del personaggio. Di solito, la pena è sproporzionata rispetto all’entità della colpa. Didone, fin dal colloquio con la sorella Anna, si dichiara preoccupata di offendere il pudor (corrispettivo femminile della virtus maschile). Il vero inizio della tragedia è il connubio con Enea. Didone ha una colpa comunque limitata, perché la sua colpa è stata anche favorita dagli dei. La colpa di Didone è da un lato quella di aver rotto la fedeltà al marito defunto, ma dall’altra quella di aver ceduto a questo amore. Il suicidio rimane l’unico gesto di coerenza per il personaggio. Didone non si uccide solo per il dolore per la partenza di Enea, ma anche per il suo senso di colpa, per l’essere venuta meno alla fedeltà verso il merito e verso il suo popolo. v.472: classica rappresentazione delle Furie. v.473 in limine: Servio ci dice che forse Virgilio alludeva a una tragedia di Pacuvio (Dulorestes) dove Oreste si rifugiava in un tempio di Apollo e le Erinni aspettavano sulla soglia. v.473 Dirae: le Erinni alla latina. v.477: dicolon abundans. v.477 spem fronte serenat: enallage (inversione della costruzione). v.478 gratare sorori: risponde a v.435. v.481 Atlas: l’abbiamo già incontrato quando si descriveva il volo di Mercurio. v.482 axem [...] stellis ardentibus aptum: formula che si trova anche in Lucrezio ed è probabilmente di derivazione enniana. v.483 monstrata: sottinteso est. v.485 Hesperidum: figlie di Atlante, custodi di un giardino dalle mele d’oro. v.486: i commentatori si sono chiesti come mai dia questi cibi a un drago che deve stare sveglio; forse per ammansirlo. Secondo altri, non si riferisce al cibo del drago ma si trattava di una mistura che poteva servire per allontanare eventuali ladri delle mele d’oro. vv.478-486: per i romani, spesso la magia poteva sembrare qualcosa da evitare e da guardare con sospetto. Potrebbe quindi sembrare strano che Virgilio attribuisca a Didone la fiducia in certe pratiche. Consideriamo però che Virgilio trasporta il tutto in una dimensione epica e che si tratta di un progetto ad uso di Anna. v.485: questa figura ci ricorda quella di Medea, anch’essa maga. v.490: quello che avviene nell’episodio narrato da Lucano dove la maga Eritto evoca l’anima di un morto che prevede la sorte di Pompeo (necromanzia). vv.490-491 mugire videbis [...] montibus ornos: zeugma. v.493 accingier: (al posto di accingi) desinenza arcaica dell’infinito passivo, usata soprattutto per ragioni metriche. v.495: Servio nota che questo elemento del dono dell’arma è tratto da Omero. Nel libro VII dell’ Iliade è descritto un duello tra Ettore e Aiace che viene interrotto. I due pur essendo nemici si scambiano doni per rispetto reciproco. Entrambi questi doni poi si riveleranno presagi di sventura perché sono collegati entrambi alla morte dei due. Ettore sarà trascinato cadavere legato da quella cintura regalata da Aiace e Aiace si ucciderà con la spada donata da Aiace. Anche Didone si uccide con quest’arma che le ha donato Enea. Un modello importante per questo discorso di Didone è un passo dell’Aiace di Sofocle. Tragedia che si svolge dopo la morte di Achille. Agamennone e Menelao decidono di assegnare le armi di Achille a Ulisse, mentre Aiace si aspettava di riceverle. Aiace, accecato da Atena, impazzisce e credendo di fare strage dei greci che non hanno riconosciuto la sua forza, fa strage di buoi e pecore. Rinsavito, si vergogna di questo gesto e vorrebbe uccidersi per il gesto disonorevole compiuto. Ma viene momentaneamente dissuaso dalla sua concubina. Aiace si mostra apparentemente convinto e si ritira in solitudine in un bosco dove poi si ucciderà veramente. v.496 impius: rovesciamento dell’epiteto tipico di Enea. Paradigmi: - armatam: armo, armas, armavi, armatum, armare. - fugit: fugio, fugis, fugi, fugitum, fugĕre. - sedent: sedeo, sedes, sedi, sessum, sedēre. - concepit: concipio, concipis, concepi, conceptum, concipĕre. - evicta: evinco, evincis, evici, evictum, evincĕre. - decrevit: decerno, decernis, decrevi, decretum, decernĕre. - mori: morior, morĕris, mortuus sum, mori. - exigit: exigo, exigis, exegi, exactum, exigĕre. - dictis: dico, dicis, dixi, dictum, dicĕre. - adgressa: adgredior, adgredĕris, adgressus sum, adgredi. - tegit: tego, tegis, texi, tectum, tegĕre. - serenat: sereno, serenas, serenavi, serenatum, serenare. - inveni: invenio, inveni, inveni, inventum, invenire. - gratare: grato, gratas, gratavi, gratatum, gratare. - reddat: reddo, reddis, reddidi, redditum, reddĕre. - solvat: solvo, solvis, solvi, solutum, solvĕre. - amantem: amo, amas, amavi, amatum, amare. - cadentem: cado, cadis, cecidi, cadĕre. - torquet: torqueo, torques, torsi, tortum, torquēre. - ardentibus: ardeo, ardes, arsi, ardēre. - aptum: apiscor, apiscĕris, aptus sum, apisci. - monstrata est: monstro, monstras, montravi, monstratum, monstrare. - dabat: do, das, dedi, datum, dare. - servabat: servo, servas, servavi, servatum, servare. - spargens: spargo, spargis, sparsi, sparsum, spargĕre. - promittit: promitto, promittis, promisi, promissum, promittĕre. - velit: volo, vis, volui, velle. - immittere: immitto, immittis, immisi, immissum, immittĕre. - sistere: sisto, sistis, stiti, statum, sistĕre. - vertere: verto, vertis, verti, versum, vertĕre. - movet: moveo, moves, movi, motum, movēre. - mugire: mugio, mugis, mugivi, mugitum, mugire. - videbis: video, vides, vidi, visum, vidēre. - descendere: descendo, descendis, descendi, descensum, descendĕre. - testor: testor, testaris, testatus sum, testari. - accingier: accingo, accingis, accinxi, accinctum, accingrĕe. - erige: erigo, erigis, erexi, erectum, erigĕre. - fixa: figo, figis, fixi, fixum, figĕre. - reliquit: relinquo, relinquis, reliqui, relictum, relinquĕre. - perii: pereo, peris, perivi, perire. - imponas: impono, imponis, imposui, impositum, imponĕre. - abolere: aboleo, aboles, abolevi, abolitum, abolēre. vv.489-527 Scansione metrica: Cū́nctă uĭrī́ mŏnĭmḗntă iŭuā́t mōnstrā́tquĕ săcḗrdos." Hǽ̄c ēffāt́ă sĭlḗt, pāllṓr sĭmŭl ṓccŭpăt ṓra. Nṓn tămĕn Á̄nnă nŏuī́s prǣtḗxĕrĕ fū́nĕră sāćris Gḗrmānā́m crēdī́t, nēc tā́ntōs mḗntĕ fŭrṓres Cṓncĭpĭt ā́ut grăuĭṓră tĭmḗt quām mṓrtĕ Sy̆chǽ̄i. Ergo iussa parat. Á̄t rēgī́nă py̆rā́ pĕnĕtrā́li īn sḗdĕ sŭb ā́uras ‿ Ḗrēcta ī́ngēntī́ tǣdī́s ātque ī́lĭcĕ sḗcta, ‿ ‿ Í̄ntēndī́tquĕ lŏcū́m sērtī́s ēt frṓndĕ cŏrṓnat Fū́nĕrĕā́; sŭpĕr ḗxŭuĭā́s ēnsḗmquĕ rĕlī́ctum Ḗffĭgĭḗmquĕ tŏrṓ lŏcăt hā́ud īgnāŕă fŭtūŕi. Stā́nt ārǽ̄ cīrcum ḗt crīnī́s ēffū́să săcḗrdos ‿ Tḗr cēntū́m tŏnăt ṓrĕ dĕṓs, Ĕrĕbūḿquĕ Chăṓsque Tḗrgĕmĭnā́mque Hĕcătḗn, trĭă uīŕgĭnĭs ṓră Dĭā́næ. ‿ Spāŕsĕrăt ḗt lătĭcḗs sĭmŭlāt́ōs fṓntĭs Ăuḗrni, Fāĺcĭbŭs ḗt mēssae ā́d lūnā́m quǣrū́ntŭr ăḗnis ‿ Pū́bēntḗs hērbǽ̄ nīgrī́ cūm lāćtĕ uĕnḗni; Quǽ̄rĭtŭr ḗt nāscḗntĭs ĕquī́ dē frṓntĕ rĕuū́lsus Et matri praereptus amor. Í̄psă mŏlā́ mănĭbūśquĕ pĭī́s āltā́rĭă iū́xta V́̄num ēxū́tă pĕdḗm uīnclī́s, īn uḗstĕ rĕcī́ncta, ‿ Tḗstātūŕ mŏrĭtūŕă dĕṓs ēt cṓnscĭă fā́ti Sī́dĕră; tūḿ, sī quṓd nōn ǽ̄quō fœ́̄dĕre ămā́ntis ‿ Cū́rǣ nūḿĕn hăbḗt iūstū́mquĕ mĕmṓrquĕ, prĕcā́tur. Nṓx ĕrăt ḗt plăcĭdū́m cārpḗbānt fḗssă sŏpṓrem Cṓrpŏră pḗr tērrā́s, sīluǽ̄que ēt sǽ̄uă quĭḗrant ‿ Ǣ́quŏră, cū́m mĕdĭṓ uōluū́ntūr sī́dĕră lā́psu, Cū́m tăcĕt ṓmnĭs ăgḗr, pĕcŭdḗs pīctǽ̄quĕ uŏlū́cres, Quǽ̄quĕ lăcū́s lātḗ lĭquĭdṓs quǣque ā́spĕră dū́mis ‿ Rū́ră tĕnḗnt, sōmnṓ pŏsĭtǽ̄ sūb nṓctĕ sĭlḗnti. Traduzione: tutti i ricordi dell’uomo è bene, e lo prescrive la maga.” Dette tali cose tace, all’improvviso il pallore invade il volto. Anna tuttavia che nasconda la morte con riti insoliti la sorella non crede, e nella mente una così grande follia non immagina né teme cose peggiori che alla morte di Sicheo. Dunque esegue gli ordini. Ma la regina, nel luogo interno sotto il cielo una pira grande eretta con pini e leccio tagliati, orna il luogo con ghirlande e (lo) incorona di fronde funebri; sopra le spoglie e la spada lasciata e sul letto l’effigie colloca, non ignara del futuro. Stanno in cerchio gli altari e la maga, sciolta quanto ai capelli, trecento volte chiama a gran voce gli dei, e Erebo e Caos e la triplice Ecate, i tre volti della vergine Diana. Aveva sparso anche finte acque della fonte infernale; e vengono cercate, recise con falci di bronzo alla luna erbe mature con il latte di veleno scuro; si cerca anche, strappato dalla fronte di un nascente puledro e rubato alla madre, l’amore. Lei stessa, con la farina e le mani devote presso gli altari, svestita in un solo piede dai legami, nella veste slacciata, pronta a morire, chiama a testimoni gli dei e le consapevoli del destino stelle; poi, se gli amanti non con equo patto un qualche dio giusto e memore ha a cuore, (lo) prega. Era notte e godevano un placido sonno gli stanchi corpi sulle terre, e si erano acquietati i boschi e il tempestoso mare, quando le stelle si volgono a metà percorso, quando tace ogni campo, le greggi e i variopinti uccelli, quelli che laghi liquidi vastamente e quelli che le irte di rovi campagne abitano, sommersi dal sonno nella notte silenziosa . Particolarità: v.510 Erebum: personificazione delle tenebre infernali. v.510 Chaos: personificazione dell’abisso infernale v.511: viene adorata sotto tre forme (dea Diana, Luna, Ecate; forma terrestre, celeste e infernale). v.512 Averni: lago presso Cuma, in Campania. v.513 falcibus [...] aenis: iperbato a cornice. conosci gli spergiuri della stirpe di Laomedonte? Allora cosa? Da sola in fuga accompagnerò i marinai esultanti? O attorniata dai Tirii e da tutta la schiera dei miei sarò portata e, quelli che a stento ho strappato dalla città di Sidone, di nuovo spingerò in mare e ordinerò di spiegare le vele ai venti? Piuttosto muori come ti sei meritata, e strappa il dolore con la spada. E tu, vinta dalle mie lacrime, tu per prima me folle gravi di questi mali, sorella, e (mi) abbandoni al nemico. Non è stato possibile la vita priva del talamo senza colpa trascorrere come un animale, e non affrontare tali affanni; la fede promessa alla cenere di Sicheo non è stata serbata.” Quella emetteva dal suo petto così grandi lamenti. Enea sull’alta poppa ormai sicuro di partire assaporava il sonno, essendo ormai stata approntata bene ogni cosa. Particolarità: v.532 fluctat: il soggetto potrebbe essere Didone ma anche l’amor. v.533 volutat: frequentativo rispetto a volvere. v.536 dedignata: sottinteso sum. v.537 ultima: predicativo del soggetto. vv.537-538 classes atque [...] iussa sequar: lieve zeugma o meglio sillessi (un po’ più lieve). v.538 levatos: sottinteso essent. v.540 fac: imperativo di facio. v.542 Laomedontae: re di Troia, padre di Priamo. Aveva chiesto l’aiuto di Zeus per costruire le mura di Troia, in cambio avrebbe dovuto donare dei cavalli ricevuti da Zeus stesso. Viene aiutato ma non dà i cavalli. La città subisce una pestilenza, viene inviato un mostro e un oracolo dice che avrebbe dovuto dare sua figlia al mostro, figlia che viene salvata da Ercole a cui Laomedonte promette, tra le altre cose, i cavalli (che poi non gli dà). Quindi Laomedonte per due volte non mantiene la parola data. v.543 ovantis: i marinai sono contenti di partire, a differenza di Enea. v.551 more ferae: allude agli animali che sono innocenti perché non hanno bisogno di legami coniugali o allude a legami extraconiugali come quello tra lei a Enea? Sarebbe meglio intenderlo secondo il primo senso, positivo. Se lei fosse stata un animale, il rapporto con Enea non avrebbe creato problemi. Schiesaro: Lucrezio (libro V) parla del mondo primitivo come di un mondo il cui il soddisfacimento delle necessità umane è non ostacolato dalla sovrastruttura sociale. Gli uomini primitivi vivevano more ferarum (espressione che usa Lucrezio). Didone alluderebbe a una sorta di stato di natura primitivo. A volte Didone, tra l’altro, parla in modo epicureo. Rappresenta un contrappeso ideologico all’ideologia stoica che domina il testo (Enea aderisce con sempre più convinzione alla sua missione). La voce di Didone rappresenta un punto di vista alternativo rispetto a quello ufficiale del testo (punto di vista alternativo che però vediamo soccombere). v.552: verso che viene usato da Dante in Inf. V. v.552 servata: sottinteso est. v.554 certus eundi: contrasto con certa mori (v.564). Paradigmi: - solvitur: solvo, solvis, solvi, solutum, solvĕre. - accipit: accipio, accipis, accepi, acceptum, accipĕre. - ingeminant: ingemino, ingeminas, ingeminavi, ingeminatum, ingeminare. - resurgens: resurgo, resurgis, resurrexi, resurrectum, resurgĕre. - saevit: saevio, saevis, saevivi, saevitum, saevire. - fluctuat: fluctuo, fluctuas, fluctuavi, fluctuatum, fluctuare. - insistit: insisto, insistis, institi, insistĕre. - volutat: voluto, volutas, volutavi, volutatum, volutare. - ago: ago, agis, egi, actum, agĕre. - experiar: experior, experiris, expertus sum, experiri. - petam: peto, petis, petivi, petitum, petĕre. - dedignata: dedignor, dedignaris, dedignatus sum, dedignari. - iussa: iubeo, iubes, iussi, iussum, iubēre. - sequar: sequor, sequĕris, secutus sum, sequi. - iuvat: iuvo, iuvas, iuvi, iutum, iuvare. - stat: sto, stas, steti, statum, stare. - facti: facio, facis, feci, factum, facĕre. - velle: volo, vis, volui, velle. - sinet: sino, sinis, sivi, situm, sinĕre. - accipiet: accipio, accipis, accepi, acceptum, accipĕre. - nescis: nascio, nescis, nescivi, nescitum, nescire. - perdita: perdo, perdis, perdidi, perditum, perdĕre. - sentis: sentio, sentis, sensi, sensum, sentire. - comitabor: comito, comitas, comitavi, comitatum, comitare. - ovantis: ovo, ovas, ovavi, ovatum, ovare. - stipata: stipo, stipas, stipavi, stipatum, stipare. - inferar: infero, infers, intuli, illatum, inferre. - revelli: revello, revellis, revulsi, revulsum, revellĕre. - agam: ago, agis, egi, actum, agĕre. - dare: do, das, dedi, datum, dare. - morere: morior, morĕris, mortuus sum, mori. - merita es: merito, meritas, meritavi, meritatum, meritare. - averte: averto, avertis, averti, aversum, avertĕre. - evicta: evinco, evincis, evici, evictum, evincĕre. - furentem: furo, furis, furĕre. - oneras: onero, oneras, oneravi, oneratum, onerare. - obicis: obicio, obicis, obieci, obiectum, obicĕre. - licuit: liceo, lictuit, licēre. - degere: dego, degis, degi, degĕre. - tangere: tango, tangis, tetigi, tactum, tangĕre. - servata est: servo, servas, servavi, servatum, servare. - promissa: promitto, promittis, promisi, promissum, promittĕre. - rumpebat: rumpo, rumpis, rupi, ruptum, rumpĕre. - eundi: eo, is, ivi, itum, ire. - carpebat: carpo, carpis, carpsi, carptum, carpĕre. - paratis: paro, paras, paravi, paratum, parare. vv.556-570 Scansione metrica: Hū́ic sē fṓrmă dĕī́ uūltū́ rĕdĕū́ntĭs ĕṓdem Ṓbtŭlĭt ī́n sōmnīś rūrsūśque ĭtă uī́să mŏnḗrest, ‿ Ṓmnĭă Mḗrcŭrĭṓ sĭmĭlī́s, uōcḗmquĕ cŏlṓrēmque Ḗt crīnī́s flāuṓs ēt mḗmbră dĕcṓră iŭuḗntæ: "Nā́tĕ dĕā,́ pŏtĕs hṓc sūb cāśū dū́cĕrĕ sṓmnos, Nḗc quǣ tḗ cīrcūḿ stēnt dḗindĕ pĕrī́cŭlă cḗrnis, Dḗmēns, nḗc Zĕphy̆rṓs āudī́s spīrāŕĕ sĕcū́ndos? Í̄llă dŏlṓs dīrūḿquĕ nĕfā́s īn pḗctŏrĕ uḗrsat Cḗrtă mŏrī́, uărĭṓsque īrā́rūm cṓncĭtăt ǽ̄stus. ‿ Nṓn fŭgĭs hī́nc prǣcḗps, dūm prǽ̄cĭpĭtā́rĕ pŏtḗstas? Iā́m mărĕ tū́rbārī́ trăbĭbū́s sǣuāśquĕ uĭdḗbis Cṓllūcḗrĕ făcḗs, iām fḗruĕrĕ lī́tŏră flāḿmis, Sī́ te hīs āt́tĭgĕrī́t tērrī́s Āurṓră mŏrā́ntem. ‿ Hḗia ăgĕ, rū́mpĕ mŏrā́s. uărĭum ḗt mūtā́bĭlĕ sḗmper ‿ ‿ Fḗmĭnă" Sī́c fātū́s nōctī́ se īmmī́scŭĭt ā́træ. ‿ Tū́m uēro Ǣ́nēā́s sŭbĭtī́s ēxtḗrrĭtŭs ūḿbris ‿ Cṓrrĭpĭt ḗ sōmnṓ cōrpū́s sŏcĭṓsquĕ fătī́gat Prǽ̄cĭpĭtī́s: "Vĭgĭlā́tĕ, uĭri, ḗt cōnsī́dĭtĕ trā́nstris; ‿ Sṓluĭtĕ uḗlă cĭtī.́ dĕŭs ǽ̄thĕrĕ mī́ssŭs ăb ā́lto Fḗstīnāŕĕ fŭgāḿ tōrtṓsque īncī́dĕrĕ fū́nis ‿ Ḗcce ĭtĕrum ī́nstĭmŭlā́t. Sĕquĭmū́r tē, sā́nctĕ dĕṓrum, ‿ ‿ Quī́squĭs ĕs, īḿpĕrĭṓque ĭtĕrū́m pārḗmŭs ŏuā́ntes. ‿ Á̄dsīs ṓ plăcĭdū́squĕ iŭuḗs ēt sī́dĕră cǽ̄lo Dḗxtră fĕrāś." Dīxī́t uāgī́nāque ḗrĭpĭt ḗnsem ‿ Fū́lmĭnĕūḿ strīctṓquĕ fĕrīt́ rĕtĭnā́cŭlă fḗrro. Í̄dem ōmnī́s sĭmŭl ā́rdŏr hăbḗt, răpĭū́ntquĕ rŭū́ntque; ‿ Traduzione: A lui nei sogni l’immagine del dio che ritornava con lo stesso volto si presentò e di nuovo gli sembrò che così ammonisse, in ogni cosa simile a Mercurio, nella voce, nel colorito, nei capelli biondi e nelle membra splendide di giovinezza: “Figlio della dea, puoi in questa circostanza condurre il sonno, e non vedi i pericoli che ti stanno intorno, folle, e non senti zefiri favorevoli soffiare? Quella medita nel cuore inganni e un terribile crimine, decisa a morire, e suscita vari ribollii di ira. Non fuggi da qui a precipizio, finché (c’è) la possibilità di scappare? Presto vedrai il mare essere sconvolto di navi e minacciose fiaccole brillare, presto la spiaggia avvampare di incendi, se l’Aurora ti avrà trovato che indugi su queste terre. Su forza, rompi gli indugi. Un essere sempre incostante e mutevole (è) la donna.” Così parlato, si mescolò alla notte scura. Allora davvero Enea atterrito dalle visioni improvvise scuote il corpo dal sonno e incalza i compagni che dormono: “Svegliatevi, uomini, e prendete posto ai remi; sciogliete le vele svelti. Un dio mandato dall’alto cielo ad affrettare la partenza e a tagliare le funi contorte ecco di nuovo (ci) spinge. Noi ti seguiamo, oh santo tra gli dei, chiunque tu sia, e di nuovo obbediamo esultanti all’ordine. Assisti e aiuta, oh benigno, e in cielo stelle favorevoli porta.” Parlò e sguainò dal fodero la spada fulminea e, impugnata la spada, taglia gli ormeggi. Lo stesso entusiasmo prende tutti insieme, levano le ancore e fuggono; Particolarità: v.558-559 vocemque coloremque [...] crinis flavos membra: accusativi di relazione. v.563 dirum: viene glossato da Nonio Marcello (grammatico africano del IV sec., autore del De compendiosa docrtina) e etimologizzato. La sua opera è costituita da molti esempi dai quali conosciamo molti frammenti di poeti antichi. Scrive che “dirum est triste infestum e quasi deorum ira missum”. In Orazio dirus è Annibale e le Dirae sono le Furie, il corrispettivo latino delle Erinni. Nell’Eneide, dira viene definita l’Arpia. v.565 praeceps [...] praecipitare: figura etimologica. vv.569-570 varium et mutabile semper femina: una delle più famose espressioni di misoginia dell’antichità. Già nell’uso del neutro c’è un’accezione svilente. Questo topos della mancanza di affidabilità della donna è ricorrente nella letteratura del mondo antico. Paradigmi: - redeuntis: redeo, redis, redivi, reditum, redire. - obtulit: obfero, obfer, obtuli, oblatum, obferre. - visa est: videor, vidēris, visus sum, videri. - monere: moneo, mones, monui, monitum, monēre. - nate: nascor, nascĕris, natus sum, nasci. - potes: possum, potes, potui, posse. v.596 facta impia: il problema è se siano quelli di Enea, che l’ha abbandonata, o quelli di Didone. È più probabile però che si riferisca alle azioni di Didone. Chi invece sostiene la tesi alternativa, vede in questo impia ci sia un rovesciamento del tipico epiteto di Enea. v.597, 600 decuit, potui: falso condizionale. In espressioni del genere, l’italiano usa il condizionale che il latino non ha. v.597 dextra fidesque: endiadi (un concetto unico viene espresso tramite due concetti coordinati). v.599 quem: in alcune edizioni, prima c’è un punto e virgola, e in quel caso sarebbe un nesso relativo. vv.600-601non potui [...] undis spargere: smembramento, elemento tipico delle tragedie. Evoca il modello di Medea che, scappando dalla Colchide, fa a pezzi il fratello e lo getta per costringere il padre a ricomporlo e prendere tempo. Anche nella vicenda di Penteo, lui viene smembrato dalla madre Agave. v.600 abreptum: alcuni commentatori vedono un’allusione ad Absirto, il fratello di medea. vv.601-602 non ipsum [...] ponere mensis: altro tema tragico. In particolare presente nel mito di Pereo, Procte e Filomena, che conosciamo soprattutto dal libro VI delle Metamorfosi. Pereo violenta la sorella della moglie, e per impedirle di denunciare l’accaduto, le taglia la lingua. Ma lei riesce a dirlo alla sorella, insieme fanno a pezzi il figlio di lui e glielo danno da mangiare. Lo ritroviamo anche nella vicenda di Atreo e Tieste: Ateo uccide e fa bollire i figli del fratello e glieli fa mangiare. v.603 fuerat: ci aspetteremmo un congiuntivo, invece c’è un indicativo per rendere l’ipotesi più plausibile. v.603 fuisset: congiuntivo con valore concessivo. v.604 castra: allude allo spazio recintato dove stavano le navi prima di essere portate in mare. vv.606, 610 Sol, Dirae: anche Aiace (Sofocle) prima di morire invoca le Erinni e il Sole. Ulteriore punto di contatto tra i due personaggi (gli altri sono il discorso ingannevole e il fatto che si uccidano con una spada donata). Paradigmi: - deseruere: desero, deseris, deserui, desertum, deserĕre. - latet: lateo, lates, latui, latēre. - adnixi: adnitor, adnitĕris, adnixus sum, adniti. - torquent: torqueo, torques, torsi, tortum, torquēre. - verrunt: verro, verris, versum, verrĕre. - spargebat: spargo, spargis, sparsi, sparsum, spargĕre. - linquens: linquo, linquis, liqui, lictum, linquĕre. - albescere: albesco, albescis, albescĕre. - vidit: video, vides, vidi, visum, vidēre. - procedere: procedo, procedis, processi, processum, procedĕre. - sensit: sentio, sentis, sensi, sensum, sentire. - percussa: percutio, percutis, percussi, percussum, percutĕre. - abscissa: abscindo, abscindis, adscidi, abscissum, abscindĕre. - ibit: eo, is, ivi, itum, ire. - inluserit: inludo, inludis, inlusi, inlusum, inludēreinludĕre - expedient: expedio, expedis, expedivi, expeditum, expedire. - sequentur: sequor, sequĕris, secutus sum, sequi. - deripient: deripio, deripis, deripui, dereptum, deripĕre. - ferte: fero, fers, tuli, latum, ferre. - date: do, das, dedi, datum, dare. - impellite: impello, impellis, impuli, impulsum, impellĕre. - loquor: loquor, loquĕris, locutus sum, loqui. - mutat: muto, mutas, mutavi, mutatum, mutare. - facta: facio, facis, feci, factum, facĕre. - tangunt: tango, tangis, tetigi, tactum, tangĕre. - decuit: decet, decuit, decēre (impersonale). - aiunt: aio, ais (difettivo). - portare: porto, portas, portavi, portatum, portare. - subiisse: subeo, subis, subivi, subitum, subire. - confectum: conficio, conficis, confeci, confectum, conficĕre. - potui: possum, potes, potui, posse. - abreptum: abripio, abripis, abrepi, abreptum, abripĕre. - divellere: divello, divellis, divulsi, divulsum, divellĕre. - absumere: absumo, absumis, absumpsi, absumptum, absumĕre. - ponere: pono, ponis, posui, positum, ponĕre. - metui: metuo, metuis, metui, metutum, metuĕre. - moritura: morior, morĕris, mortuus sum, mori. - implessem: impleo, imples, implevi, impletum, implēre. - exstinxem: exstinguo, exstinguis, exstixi, exstinctum, exstinguĕre. - lustras: lustro, lustras, lustravi, lustratum, lustrare. - ululata: ululo, ululas, ululavi, ululatum, ululare. vv.610-640 Scansione metrica: Ḗt Dīrae ū́ltrīcḗs ēt dī́ mŏrĭḗntĭs Ĕlī́ssæ, ‿ Á̄ccĭpĭte hǽ̄c, mĕrĭtūḿquĕ mălī́s āduḗrtĭtĕ nū́men ‿ Ḗt nōstrā́s āudī́tĕ prĕcḗs. sī tā́ngĕrĕ pṓrtus Í̄nfāndū́m căpŭt ā́c tērrī́s ādnāŕĕ nĕcḗssest, Ḗt sīc fā́tă Iŏuī́s pōscū́nt, hīc tḗrmĭnŭs hǽ̄ret: Á̄t bēllo ā́udācī́s pŏpŭlī́ uēxā́tŭs ĕt ā́rmis, ‿ Fī́nĭbŭs ḗxtōrrī́s, cōmplḗxu āuū́lsŭs Ĭūĺi ‿ Á̄uxĭlĭum īḿplōrḗt uĭdĕā́tque īndī́gnă sŭṓrum ‿ ‿ Fū́nĕră; nḗc, cūm sḗ sūb lḗgēs pā́cĭs ĭnī́quæ Trā́dĭdĕrī́t, rēgno ā́ut ōptā́tā lū́cĕ frŭā́tur, ‿ Sḗd cădăt ā́ntĕ dĭḗm mĕdĭā́que ĭnhŭmā́tŭs hărḗna. ‿ Hǽ̄c prĕcŏr, hā́nc uōcem ḗxtrēmā́m cūm sā́nguĭnĕ fū́ndo. ‿ Tū́m uōs, ṓ Ty̆rĭī́, stīrpem ḗt gĕnŭs ṓmnĕ fŭtū́rum ‿ Ḗxērcḗte ŏdĭī́s, cĭnĕrī́que hǣc mīt́tĭtĕ nṓstro ‿ ‿ Mū́nĕră. nū́llŭs ămṓr pŏpŭlī́s nēc fœ́̄dĕră sū́nto. Ḗxŏrĭā́re ălĭquīś nōstrī́s ēx ṓssĭbŭs ū́ltor ‿ Quī́ făcĕ Dā́rdănĭṓs fērrṓquĕ sĕquā́rĕ cŏlṓnos, Nū́nc, ōlī́m, quōcū́mquĕ dăbū́nt sē tḗmpŏrĕ uī́res. Līt́ŏră lí̄tŏrĭbū́s cōntrā́rĭă, flū́ctĭbŭs ū́ndas Í̄mprĕcŏr, á̄rma ārmīś: pūgnḗnt īpsī́quĕ nĕpṓtēsque." ‿ Hǽ̄c ăĭt, ḗt pārtī́s ănĭmūḿ uērsā́băt ĭn ṓmnis, Í̄nuīsāḿ quǣrḗns quām prī́mum ābrū́mpĕrĕ lū́cem. ‿ Tū́m brĕuĭtḗr Bārcḗn nūtrīćem āffā́tă Sy̆chǽ̄i, ‿ Nā́mquĕ sŭāḿ pătrĭa ā́ntīquā́ cĭnĭs āt́ĕr hăbḗbat: ‿ "Á̄nnām, cā́ră mĭhī́ nūtrī́x, hūc sī́stĕ sŏrṓrem: Dī́c cōrpūś prŏpĕrḗt flŭuĭāĺī spāŕgĕrĕ lȳḿpha, Ḗt pĕcŭdḗs sēcum ḗt mōnstrāt́ă pĭāćŭlă dū́cat. ‿ Sīć uĕnĭā́t, tūque ī́psă pĭā́ tĕgĕ tḗmpŏră uīt́ta. ‿ Sā́cră Iŏuī́ Sty̆gĭṓ, quǣ rīt́e īncḗptă părā́ui, ‿ Pḗrfĭcĕrḗst ănĭmū́s fīnḗmque īmpṓnĕrĕ cū́ris ‿ Dā́rdănĭī́quĕ rŏgū́m căpĭtī́s pērmīt́tĕrĕ flāḿmæ." Traduzione: e voi Furie vendicatrici e dei di Elissa morente, ascoltate queste cose, e rivolgete la giusta potenza contro i malvagi e ascoltate le nostre preghiere. Se che tocchi il porto l’essere maledetto e tocchi terra è stabilito, e così vogliono i fati di Giove, questo termine è fisso: ma oppresso dalla guerra e dalle armi di un popolo audace, bandito dalle terre, strappato dall’abbraccio di Iulo implori aiuto e veda dei suoi orrende stragi; e, quando sotto i patti di una pace ingiusta si sarà piegato, non goda del regno o dell’amata luce, ma cada prima del tempo e insepolto in mezzo alla terra. Queste cose chiedo, quest’ultimo grido con il sangue effondo. E voi, oh Tiri, la stirpe e tutta la razza che verrà perseguitate con l’odio, e offrite queste cose alla mia cenere come doni. Nessun amore, nessun patto vi sia tra i popoli. E che tu sorga, un qualche vendicatore dalle mie ossa, tale che tu perseguiti con il fuoco e con il ferro i coloni troiani, ora, in futuro, e in qualunque momento si offriranno le forze. Le coste nemiche alle coste, le onde ai flutti io supplico, le armi alle armi: combattano sia loro sia i discendenti.” Disse queste cose, e rivolgeva l’animo a ogni parte, cercando di troncare al più presto l’odiosa vita. Allora parlò brevemente a Barce, la nutrice di Sicheo, Infatti la nera cenere teneva la sua nella patria antica: “Nutrice a me cara, conduci qui la sorella Anna: dille che si affretti a purificare il corpo con acqua fluviale, e che porti con sé gli animali e le offerte indicate. Così venga, e tu stessa copri le tempie con la benda sacra. I sacrifici a Giove Stigio, che iniziati ho preparato secondo il rito, c’è l’intenzione di concludere e di porre fine alle pene e di dare al fuoco il rogo del capo troiano.” Particolarità: v.610 ultrices: riconosciamo la radice del verbo ulciscor. vv.612-614: il modello di questa parte è da ricercare nell’episodio di Polifemo nell’Odissea. In entrambi i casi, chi scaglia la maledizione concede che arrivi dove deve andare perché è il volere del Fato, ma a prezzo di grandi sventure. v.614 necesse est: espressione lucreziana. v.614 hic terminus haeret: allusione a Lucrezio. Il terminus è la pietra di confine, termine utilizzato nel primo elogio di Epicuro, dove diceva che uno degli elementi dell’insegnamento di Epicuro fosse il fatto che tutti gli esseri hanno un limite. v.615: guerre contro i rutuli. v.616 extorris: da ex+terra. v.617 auxilium imploret: quello che succederà nel libro VIII, quando Enea dovrà chiedere aiuto a Evandro. v.618 pacis iniquae: potrebbe alludere al patto nel libro XII tra Giove e Giunone. v.620: se un cadavere non avesse ricevuto la sepoltura, il cadavere sarebbe stato destinato a vagare in una zona diversa dall’oltretomba ed era una cosa molto disonorevole. v.623 exercete odiis: di solito in latino è costruito con l’accusativo. vv.628,629 litora litoribus, arma armis: poliptoti che visualizzano la futura opposizione. v.628: chiasmo. v.629: verso ipermetro che fa sinalefe con quello successivo. Questo è significativo alla fine di un discorso diretto. È un modo per mostrare che la violenza della maledizione di Didone non può essere contenuto nella misura di un verso. v.632 nutricem: nella tragedia la nutrice ha un luogo fondamentale. v.635 dic: sottinteso ut. v.638 Iovi Stygio: io dell’oltretomba, Ade o Plutone, fratello di Giove. Paradigmi: - morientis: morior, morĕris, mortuus sum, mori. - accipite: accipio, accipis, accepi, acceptum, accipĕre. - advertite: adverto, advertis, adverti, adversum, advertĕre. - audite: audio, audis, audivi, auditum, audire. - tangere: tango, tangis, tetigi, tectum, tangĕre. - adnare: adno, adnas, adnavi, adnare. - ait: aio, ais (difettivo). - celerabat: celero, celeras, celeravi, celeratum, celerare. - volvens: volvo, volvis, volvi, volutum, volvĕre. - trementis: tremo, tremis, tremui, tremĕre. - interfusa: interfundo, interfundis, interfudi, interfusum, interfundĕre. - inrumpit: inrumpo, inrumpis, inrupi, inruptum, inrumpĕre. - conscendit: conscendo, conscendis, ocnscendi, conscensum, conscendĕre. - recludit: recludo, recludis, reclusi, reclusum, recludĕre. - quaesitum: quaero, quaeris, quaesivi, quaesitum, quaerĕre. - conspexit: conspicio, conspicis, conspexi, conspectum, conspicĕre. - morata est: moror, moraris, moratus sum, morari. - incubuit: incubo, incubas, incubui, incubitum, incubare. - dixit: dico, dicis, dixi, dictum, dciĕre. - sinebat: sino, sinis, sivi, situm, sinĕre. - accipite: accipio, accipis, accepi, acceptum, accipĕre. - exsolvite: exsolvo, exsolvis, exsolvi, exsolutum, exsolvĕre. - vixi: vivo, vivis, vixi, victum, vivĕre. - dederat: do, das, dedi, datum, dare. - peregi: perago, peragis, peregi, peractum, peragĕre. - ibit: eo, is, ivi, itum, ire. - statui: statuo, statuis, statui, statutum, statuĕre. - vidi: video, vides, vidi, visum, vidēre. - recepi: recipio, recipis, recepi, receptum, recipĕre. - tetigissent: tango, tangis, tetigi, tactum, tangĕre. - impresssa: imprimo, imprimis, impressi, impressum, imprimĕre. - moriemur: morior, morĕris, mortuus sum, mori. - iuvat: iuvo, iuvas, iuvi, iutum, iuvare. - hauriat: haurio, hauris, hausi, haustum, haurire. - ferat: fero, fers, tuli, latum, ferre. - conlapsam: conlabor, conlabĕris, conlapsus sum, conlabi. - aspiciunt: aspicio, aspicis, aspexi, aspectum, aspicĕre. - spumantem: spumo, spumas, spumavi, spumatum, spumare. - sparsas: spargo, spargis, sparsi, sparsum, spargĕre. - concussam: consutio, concutis, concussi, concussum, consutĕre. - bacchatur: bacchor, baccharis, bacchatus sum, bacchari. vv.667-692 Scansione metrica: Lāḿēntī́s gĕmĭtū́que ēt fḗmĭnĕṓ ŭlŭlāt́u ‿ ⁔ Tḗctă frĕmū́nt, rĕsŏnāt́ māgnī́s plāngṓrĭbŭs ǽ̄ther, Nṓn ălĭtḗr quām si ī́mmīssī́s rŭăt hṓstĭbŭs ṓmnis ‿ Kā́rthāgo ā́ut āntī́quă Ty̆rṓs flāmmǽ̄quĕ fŭrḗntes ‿ Cū́lmĭnă pḗrque hŏmĭnū́m uōluā́ntūr pḗrquĕ dĕṓrum. ‿ Á̄udĭĭt ḗxănĭmī́s trĕpĭdṓque ēxtḗrrĭtă cūŕsu ‿ V́̄nguĭbŭs ṓră sŏrṓr fœ̄dā́ns ēt pḗctŏră pū́gnis Pḗr mĕdĭṓs rŭĭt, á̄c mŏrĭḗntēm nṓmĭnĕ clāḿat: "Hṓc īllū́d, gērmā́nă, fŭī́t? mē frā́udĕ pĕtḗbas? Hṓc rŏgŭs í̄stĕ mĭhi, hṓc īgnḗs ārǽ̄quĕ părā́bant? ‿ Quī́d prīmū́m dēsḗrtă quĕrāŕ? cŏmĭtḗmnĕ sŏrṓrem Sprḗuīstī́ mŏrĭḗns? ĕădḗm me ād fāt́ă uŏcā́sses: ‿ Í̄dem āmbāś fērrṓ dŏlŏr āt́que ĕădem hṓră tŭlī́sset. ‿ ‿ ‿ Hī́s ĕtĭā́m strūxī́ mănĭbū́s pătrĭṓsquĕ uŏcā́ui Vṓcĕ dĕṓs, sīc te ū́t pŏsĭtā,́ crūdḗlĭs, ăbḗssem? ‿ Ḗxstīnxtī́ tē mḗquĕ, sŏrṓr, pŏpŭlūḿquĕ pătrḗsque Sī́dŏnĭṓs ūrbḗmquĕ tŭā́m. dătĕ, uū́lnĕră lȳ́mphis Á̄blŭam ĕt, ḗxtrēmūś sī quī́s sŭpĕr hāĺĭtŭs ḗrrat, ‿ Ṓrĕ lĕgā́m." Sīc fā́tă grădū́s ēuā́sĕrăt āĺtos, Sḗmiănĭmḗmquĕ sĭnū́ gērmā́nam āmplḗxă fŏuḗbat ‿ Cū́m gĕmĭtu ā́tque ātrṓs sīccā́bāt uḗstĕ crŭṓres. ‿ ‿ Í̄llă grăuī́s ŏcŭlṓs cōnāt́a āttṓllĕrĕ rū́rsus ‿ Dḗfĭcĭt; ī́nfīxū́m strīdī́t sūb pḗctŏrĕ uūĺnus. Tḗr sēse ā́ttōllḗns cŭbĭtṓque ādnī́xă lĕuā́uit, ‿ ‿ Tḗr rĕuŏlū́tă tŏrṓst ŏcŭlī́sque ērrā́ntĭbŭs āĺto ‿ Quǽ̄sīuīt́ cǣlṓ lūcem ī́ngĕmŭīt́quĕ rĕpḗrta. ‿ Traduzione: di lamenti e di gemito e di grido donnesco le case fremono, l’aria risuona di grandi pianti, non diversamente che se, entrati i nemici, crollasse tutta Cartagine o l’antica Tiro, e le fiamme furiose si volgessero ai tetti degli uomini e degli dei. La udì impietrita e atterrita in una corsa angosciosa la sorella ferendosi il voto e il petto con le unghie e con i pungi si getta in mezzo, e chiama per nome la morente: “Questo fu quello, sorella? Mi supplicavi con l’inganno? Questo codesto rogo, questo i fuochi e gli altari mi preparavano? Di che cosa innanzitutto dovrei lamentarmi abbandonata? Forse che come compagna la sorella hai disprezzato morendo? Se mi avessi chiamata allo stesso destino, il medesimo dolore e la stessa ora avrebbero preso entrambe. Anzi con queste mani ho alzato (il rogo) e ho invocato gli dei dei padri con la voce, così perché io fossi lontana, oh crudele, tu morta? Hai ucciso te e me, oh sorella, il popolo e i nobili cartaginesi e la tua città. Fate che le ferite con le acque io lavi e, se un qualche estremo sospiro aleggia sopra, che io lo raccolga con la bocca.” Così parlato, era salita sugli alti gradini, e stringeva al seno la sorella in fin di vita abbracciandola con un gemito e detergeva con la veste il nero sangue. Quella, tentando di sollevare gli occhi pesanti, di nuovo viene meno; stride la ferita infissa nel petto. Tre volte, sollevandosi e appoggiandosi sul gomito, si alzò, tre volte ripiombò sul letto e con gli occhi smarriti nell’alto cielo cercò la luce e, trovata(la), gemette. Particolarità: vv.669-671: nel canto XII Tasso riprende questa similitudine. vv.678 eadem me ad fata vocasses: profasi con di un periodo ipotetico dell’irrealtà con si sottinteso. In alcune edizioni invece questa frase è resa con un punto esclamativo, come se fosse composta da un congiuntivo ottativo (“magari mi avessi chiamata allo stesso destino”). v.678 vocasses: = vocavisses. v.682 populumque patresque: espressione anacronisticamente molto romana. v.683 date: ut sottinteso. v.688: al v.451 si diceva che Didone ha in odio la vista della volta celeste; al v.631 dice che cerca quanto prima di troncare l’odiosa vita, mentre in momento di morte c’è un momento di rimpianto. v.690 ter: avverbio tipico per caratterizzare un’azione che fallisce; ad esempio, quando l’anima del padre sfugge tre volte a Enea quando prova ad abbracciarlo. Paradigmi: - fremunt: fremo, fremis, fremui, fremitum, fremĕre. - resonant: resono, resonas, resonavi, resonatum, resonare. - immissis: immitto, immittis, immisi, immissum, immittĕre. - ruat: ruo, ruis, rui, ruĕre. - furentes: furo, furis, furĕre. - volvantur: volvo, volvis, volvi, volutum, volvĕre. - audiit: audio, audis, audivi, auditum, audire. - exterrita: exterreo, exterres, exterrui, exterritum, exterrēre. - foedans: foedo, foedas, foedavi, foedatum, foedare. - morientem: morior, morĕris, mortuus sum, mori. - clamat: clamo, claams, clamavi, clamatum, clamare. - petebas: peto, petis, petivi, petitum, petĕre. - parabant: paro, paras, paravi, paratum, parare. - deserta: desero, deseris, deserui, desertum, deserĕre. - querar: queror, querĕris, questus sum, queri. - speravisti: spero, speras, speravi, speratum, sperare. - vocasses: voco, vocas, vocavi, vocatum, vocare. - tulisset: fero, fer, tuli, latum, ferre. - struxi: struo, struis, struxi, structum, struĕre. - posita: pono, ponis, posui, positum, ponĕre. - abessem: absum, abes, abfui, abesse. - exstinxi: exstinguo, exstinguis, exstrinxi, exstinctum, exstinguĕre. - date: do, das, dedi, datum, dare. - abluam: abluo, ablui, ablui, ablutum, abluĕre. - errat: erro, erras, erravi, erratum, errare. - legam: lego, legis, legi, lectum, legĕre. - fata: for, faris, fatus sum, fari. - evaserat: evado, evadis, evasi, evasum, evadĕre. - siccabat: sicco, siccas, siccavi, siccatum, siccare. - conata: conor, conaris, conatus sum, conari. - attollere: attollo, attollis, attollĕre. - deficit: deficio, deficis, defeci, defectum, deficĕre. - infixum: infigo, infigis, infixi, infictum, infigĕre. - stridit: strido, stridis, stridĕre. - adnixa: adnitor, adnitĕris, adnixus sum, adniti. - levavit: levo, levas, levavi, levatum, levare. - revoluta: revolvo, revolvis, revolvi, revolutum, revolvĕre. - quaesivit: quaero, quaeris, quaesivi, quaesitum, quaerĕre. - reperta: reperio, reperis, repperi, repertum, reperire. vv.693-705 Scansione metrica: Tū́m Iūno ṓmnĭpŏtḗns lōngū́m mĭsĕrā́tă dŏlṓrem ‿ Dīf́fĭcĭlī́sque ŏbĭtūś Īrī́m dēmī́sĭt Ŏlȳ́mpo ‿ Quǽ̄ lūctā́ntem ănĭmā́m nēxṓsquĕ rĕsṓluĕrĕt á̄rtus. ‿ Nā́m quĭă nḗc fātṓ mĕrĭtā́ nēc mṓrtĕ pĕrī́bat, Sḗd mĭsĕra ā́ntĕ dĭḗm sŭbĭtṓque āccḗnsă fŭrṓre, ‿ ‿ Nṓndum īllī́ flāuūḿ Prōsḗrpĭnă uḗrtĭcĕ crī́nem ‿ Á̄bstŭlĕrāt́ Sty̆gĭṓquĕ căpū́t dāmnā́uĕrăt Ṓrco. Ḗrgo Īrī́s crŏcĕīś pēr cǽ̄lūm rṓscĭdă pḗnnis ‿ Mī́llĕ trăhḗns uărĭṓs āduḗrsō sṓlĕ cŏlṓres Dḗuŏlăt ḗt sūprā́ căpŭt ā́stĭtĭt. "Hū́nc ĕgŏ Dī́ti Sā́crūm iū́ssă fĕrṓ tēque ī́stō cṓrpŏrĕ sṓluo." ‿ Sīć ăĭt ḗt dēxtrā́ crīnḗm sĕcăt: ṓmnĭs ĕt ū́na Dīĺāpsū́s călŏr ā́tque īn uḗntōs uīt́ă rĕcḗssit. ‿ Traduzione: