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Seneca: Filosofo, Politico e Tragico, Appunti di Latino

Filosofia stoicaBiografia di filosofiFilosofia antica

Biografia di seneca, dalla nascita a cordova fino alla morte e all'esilio in corsica, passando per la sua attività politica e filosofica a roma. Seneca, attratto dallo stoicismo, scrisse opere filosofiche, tragedie e consolazioni, influenzando figure come sant'agostino e petrarca. La sua opera, caratterizzata da temi come l'autarchia, l'impegno civile e la provvidenza, ha influenzato il pensiero cristiano.

Cosa imparerai

  • Perché Seneca fu condannato all'esilio?
  • Che filosofia aderì Seneca?
  • Che opere filosofiche scrisse Seneca?

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 23/01/2022

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francesco-reale-5 🇮🇹

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Scarica Seneca: Filosofo, Politico e Tragico e più Appunti in PDF di Latino solo su Docsity! Seneca nasce a Cordova ma si reca presto a Roma per perfezionare gli studi. Claudio lo condannerà all’esilio in Corsica. Seneca, di fatto, non era colpevole ma aveva macchinato contro di lui la moglie di Claudio Messalina. Venne accusato per gelosia di adulterio con l’avvenente Giulia di Lilla. La nuova moglie di Claudio Agrippina, richiamerà Seneca dall’esilio per farlo diventare tutore del piccolo Nerone. Seneca poi giustificherà con una lettera al senato il matricidio di Agrippina da parte di Nerone. La connivenza col potere è una costante della vita di Seneca. Spesso si mostrerà incoerente con quanto scriveva. Scriveva di dedicarsi alla vita spirituale e di trascurare i beni materiali, ma nei fatti era un uomo molto ricco. Venne per questo spesso accusato di predicare bene e razzolare male. Come tutti coloro che a Roma si erano precedentemente dedicati alla filosofia, Seneca non fu un filosofo nel senso proprio del termine. Non si dedicò mai alla speculazione fine a sé stessa, teoretica. La filosofia doveva avere un risvolto pragmatico: in questo caso la formazione della futura classe dirigente. Per questo tutti i filosofi romani si rifacevano ai greci. Seneca, in particolare, aderì allo stoicismo. Lo stoicismo ha molte affinità col pensiero cristiano. Nello stoicismo c’è un logos che sovrintende a tutte i fenomeni del cosmo, che ha un analogo in Dio. Ma nello stoicismo ricorrono anche il motivo della virtù, analogo della rettitudine cristiana, e anche della deflagrazione finale dell’universo, analogo del giudizio universale. Motivo centrale dello stoicismo è l’autarchia, l’indipendenza dell’animo del saggio dalla materialità del mondo. Seneca partirà dall’autarchia per sciogliere la sua presunta incoerenza. Sosteneva di essere sì un uomo ricco, ma non un uomo asservito alle sue ricchezze. Lo stoicismo sottintende anche l’impegno civile, il che aveva escluso in Cicerone qualsiasi attrazione verso l’epicureismo, che aveva per motivo centrale il “vivere nascosto”, la rinuncia a tutte le passioni, compresa quella politica. Seneca, invece, fu attratto anche da certe correnti dell’epicureismo e del neoplatonismo e per questo, come Cicerone del resto, si definisce come un eclettico. Seneca dice “Me prius scruto, deinde mundo”, prima scruto dentro di me, poi guardo al mondo. Il che suona come una critica al mondo romano così dedito all’esteriorità anche nelle manifestazioni religiose e nelle manifestazioni pubbliche. Da buon romano identifica l’uomo col civis, col cittadino impegnato civilmente. Quando nel 62 d.C. si ritira a vita privata si dedica agli studi, ma non per questo rinnega le sue idee circa l’identità uomo-civis. Sosterrà a questo proposito che anche da uomo privato possa contribuire alla vita pubblica attraverso le sue opere. I Dialogi di Seneca sono 10 opere, raccolte in 12 libri: 1 libro per opera tranne il De Ira, che si compone di 3 libri. I dialoghi ciceroniani avevano per modello i dialoghi di Platone, si ricorda a tal proposito il “De Repubblica”, che trae spunto dalla Repubblica platonica. In essi Socrate interloquisce con vari personaggi. Seneca non segue questo modello ma si conforma al modello della diatriba cinico-storica: una forma di dialogo che non aveva interlocutori, ma aveva solo stile discorsivo. Solo nel “De constantia sapientis” dedicato ad Anneo Sereno c’è un interlocutore, Anneo Sereno stesso. Dei Dialogi fanno parte le 3 consolationes. La consolatio è un genere in cui ci si prefiggeva l’obiettivo di consolare qualcuno per la perdita di un caro ricorrendo a motivi ed argomentazioni filosofiche. Nella “consolatio ad Marciam”, Seneca dice che la morte non è il peggiore dei mali. Non bisogna pensare alla morte come il peggiore dei mali, ma come la liberazione delle sofferenze, dai mali del presente e dalla paura del futuro. Immagina quindi il figlio defunto di Marcia accolto nei campi elisi. Ciò rimanda al Somnium Scipionis alla fine del De Repubblica. Nella “consolatio ad Helviam matrem” l’autore consola sua madre per l’esilio del figlio, dicendo che il figlio esiliato potrà trovare nell’esilio il pretesto per dedicarsi serenamente agli studi. La “consolatio ad Polibium” è scritta per ragioni di opportunismo politico. In essa Seneca mira ad ingraziarsi Polibio, vicino a Claudio, che è molto elogiato per convincerlo a revocare l’esilio in Corsica. Per la contraddizione fra questi elogi e le invettive lanciate in altra opere l’attribuzione dell’opera a Seneca è incerta. Le altre opere dei Dialogi hanno connotazione più marcatamente filosofica. Il primo dei motivi presi in esame nelle opere filosofiche è l’ira e la sua gestione, tema ricorrente in Seneca. Ne parla sia nei tre libri del “De ira” che nelle tragedie. L’ira viene descritta come particolarmente nociva nell’uomo politico, che nel suo agire può farsi guidare dalla stessa anziché dall’accortezza e dalla misura. Nel “De brevitate vita” Seneca dice che “la vita è lunga se la si sa utilizzare”. Parla per questo degli “occupati”, degli affaccendati, coloro che sprecano il loro tempo negli affari superficiali. Se, invece, la si dedica allo studio, al pensiero e alla riflessione filosofica diventa lunga ed apprezzabile. Torna quindi il motivo della centralità della virtus nella vita del saggio. Nel “De vita beata” parla di una “virtù che è premio a sé stessa” di una “virtù da cui non bisogna aspettarsi nulla se non la virtù stessa”. Nel “De vita beata” è presente anche la famosa giustificazione della sua ricchezza. Egli dice che il saggio può accettare i beni materiali purché ne faccia buon uso e sia disposto ad accettare il fatto che solo per fortuna e non per meriti personali sia possibile arricchirsi, e che dunque bisogna essere pronti a distaccarsene in qualunque istante. Argomento principale del “De tranquillitate animi” è il “tedium vitae”: la noia esistenziale. Anche al “tedium vitae” non si può che rispondere con una vita dedicata alla conoscenza, alla ricerca e allo studio, o, se si è ancora politicamente attivi, nella partecipazione alla vita pubblica. Questa visione richiama l’atarassia epicurea. In questo caso, è tuttavia necessario trovare il giusto equilibrio fra i modelli opposti dell’otium e del negotium. Nel “De tranquillitate animis” prorompe anche il motivo della provvidenza stoica, non dissimile da quella cristiana, tema che sarà ripreso anche nel “De providentia”. La conclusione è che la provvidenza riserva agli uomini delle difficoltà per metterli alla prova. Nel “De otio”, infine, Seneca difende il suo ritiro a vita privata, dicendo che quando la vita pubblica richiede di scendere a compromessi insostenibile, al sapiens non resta che fare un passo indietro e apprezzare i vantaggi della vita contemplativa, non senza continuare a impegnarsi per la collettività. “De clementia”, “De beneficiis”, “De naturales questionis” sono 3 trattati. Il “De naturales questionis” si compone di 7 libri e rimanda al “De rerum natura” di Lucrezio. La descrizione dei fenomeni naturali, tuttavia, non ha finalità scientifica pura, non c’è un approccio divulgativo in senso stretto. Seneca vuole descrivere i fenomeni naturali perché l’uomo guardi alla natura con serenità, così come aveva fatto Lucrezio. L’opera ha scarso valore scientifico: sostiene ad esempio che i terremoti ondulatori siano provocati dai venti che si insinuano sotto terra e liberano successivamente la loro forza prorompente e i terremoti sussultori da. Nel “De beneficiis” Seneca dice che il far bene è una propensione comune a tutti gli uomini. Quindi anche gli schiavi possono fare del bene verso i loro padroni, verso cui si potrebbe pensare che debbano solo nutrire rancore. Egli sostiene che fare del bene soddisfi più che riceverlo, ma con cinico realismo ammonisce contro le aspettative di gratitudine. La gratitudine non è comune tra gli uomini. Il “ De clementia” è composto principalmente per richiamare al valore tipicamente romano della clementia il giovane Nerone che già si mostrava eccessivamente intransigente circa i reati di lesa maestà. Nella detta opera Seneca difende, inoltre, la legittimità del principato, e della figura dell’imperatore stesso, che per la funzione unificatrice e stabilizzante viene accostato al logos stoico. “Epistulae morales ad Lucilium” sono dedicate a Lucilio, un amico più giovane di Seneca, con cui egli instaura una sorta di rapporto padre-figlio. Sono scritte tra il 62 e il 65. Lucilio diventa procuratore in Sicilia, una sorta di pretore. Gli dà una serie di consigli sull’agire politico, con la premessa che è possibile contribuire alla civiltà anche ritirandosi a vita privata. Nel fare ciò, lo inizia gradualmente alla filosofia. Tutti i motivi delle opere filosofiche si ritrovano nelle Epistulae. Seneca influenzerà anche fortemente Sant’Agostino, e successivamente Petrarca con le sue confessiones. Ad un certo punto il protagonista de “L’ascesa al monte ventoso petrarchesco” che scrive la lettera si rifà al decimo libro delle confessiones di Sant’Agostino, nel quale si dice “non cercare la verità nel mondo esterno, ma dentro te stesso”. Questa riflessione è in effetti traslata dal pensiero di Seneca. Seneca, per questo, venne ritenuto un autore precristiano. Anche cicerone aveva scritto epistulae( “Epistula ad Atticum”, “Epistula ad familiares”). Seneca, tuttavia, si distanzia dal modello ciceroniano, perché le lettere di cicerone non erano destinate alla pubblicazione, ed erano per questo molto intime e familiari nello stile. Seneca, al contrario, concepisce le sue epistulae come