Scarica Essere e Tempo Heidegger e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Filosofia Teoretica solo su Docsity! 1 “ESSERE E TEMPO” (1927) – MARTIN HEIDEGGER RIASSUNTO PRIMA SEZIONE [pp. 1 – 277] pag. 29 2 MARTIN HEIDEGGER è uno dei massimi esponenti dell’esistenzialismo del Novecento, anche se egli non amava definirsi un esistenzialista, in quanto, come egli stesso dichiarò, la questione di cui si occupava non era quella dell’esistenza dell’uomo, bensì quella dell’essere nel suo insieme e in quanto tale. [La critica più recente preferisce parlare non tanto di «esistenzialismo», quanto di «ontologia fenomenologica» (oppure di «fenomenologia ermeneutica»).] La filosofia di Heidegger deve essere considerata come una “via” sulla quale il suo pensiero si pone in cammino e dalla quale si diramano ulteriori sentieri, a volte percorribili, a volte interrotti e rispetto ai quali la riflessione filosofica ha la funzione di porre dei segnavia. I testi heideggeriani, quindi, sono concepiti come vie, non opere. “Essere e tempo” fa parte di questo cammino. [Quali sono le influenze sul pensiero di Heidegger? Influenza principale sul pensiero di Heidegger è la fenomenologia del suo maestro Edmund Husserl. Infatti… (spiega la fenomenologia-capitolo 2 dell’introduzione pag.7)] ESSERE E TEMPO è un’opera incompiuta scritta da Heidegger e pubblicata nel 1927. È incompiuta in quanto nel paragrafo 8 dell’introduzione Heidegger delinea lo schema dell’intera opera, suddividendola in DUE PARTI con 3 sezioni ciascuna, ma a noi perverranno soltanto le prime 2 sezioni della prima parte, in quanto l’autore non continuò l’opera. 1) LA PRIMA PARTE è dedicata a un’interpretazione di quell’essere che è proprio dell’Esserci, condotta in maniera preparatoria e poi approfondita particolarmente in relazione al suo specifico carattere temporale. 2) LA SECONDA PARTE, invece, sarebbe stata rivolta a sviluppare un confronto con alcuni momenti cruciali della storia dell’ontologia. [Perché è incompiuta? “Essere e tempo” è un’opera incompiuta a causa dell’incapacità da parte dell’autore di definire l’essere con l’aiuto della metafisica, e per via della pretesa di raggiungere l’essere a partire dall’Esserci. Ciò porta Heidegger a mutare prospettiva e modo di rapportarsi all’essere: egli, infatti, decide di risalire all’essere non più partendo dall’esistenza, ma ponendosi direttamente nell’ottica dell’essere, tramite un processo finalizzato a pensare “l’uomo in rapporto all’essere”, anziché “l’essere in rapporto all’uomo”.] 5 dell’ente di cui si parla. Quindi, in sostanza, la filosofia come scienza dell’essere (la filosofia che si pone la domanda sull’essere) ha un primato rispetto a qualsiasi altra domanda scientifica. Bisogna analizzare anche IL PRIMATO ONTICO della domanda sull’essere. Il primato ontico è dato dal fatto che l’ente che deve rispondere alla domanda sull’essere, e cioè l’Esserci, non è indifferente rispetto a tale domanda. Per l’Esserci il problema del suo essere, non solo non è irrilevante, ma è un problema scottante (che ha un suo peso, non da poco), in quanto, come afferma Heidegger l’Esserci è quell’ente per cui nel suo essere ne va del suo essere stesso. L’Esserci deve fare qualcosa di sé stesso e dunque del suo essere: questa è una caratteristica fondamentale dell’Esserci ed è quella caratteristica rispetto alla quale si può parlare appunto di un primato ontico. Nelle varie cose di cui l’Esserci si occupa, il problema dell’essere è quindi il problema più urgente, perché è il problema del suo stesso essere. Da ciò emerge il carattere fondamentale dell’Esserci, ovvero che questo ente non tanto è, ma può essere. Esso è attraversato dalla possibilità di rapportarsi al proprio essere e all’essere in generale. Quell’essere che in realtà è un poter-essere si chiama Esistenza. L’esistenza non è qualcosa di statico, non serve a identificare che cosa l’Esserci è, ma indica piuttosto il fatto che l’essenza dell’Esserci è costituita di volta in volta da un aver da essere il proprio essere (ogni volta l’Esserci dimostra di essere quello che è). L’Esserci ha un triplice primato rispetto agli altri enti: 1) Il Primato ontico, in quanto l’Esserci è l’unico ente in grado di realizzare la possibilità di rapportarsi alla propria esistenza. 2) Il Primato ontologico, in quanto l’Esserci può porre la domanda sull’essere in quanto tale. 3) Il Primato ontico-ontologico, in quanto l’Esserci è capace di elaborare ogni tipo di ontologia (cioè ogni tipo di domanda sull’essere), perché caratterizzato dalla capacità di comprendere l’essere in ogni ente diverso da esso (esso si riferisce a Esserci). CAPITOLO 2 DELL’INTRODUZIONE IL DUPLICE COMPITO NELL’ELABORAZIONE DEL PROBLEMA DELL’ESSERE. IL METODO DELLA RICERCA E IL SUO PIANO I temi affrontati nel secondo capitolo dell’introduzione sono: 1) Il Duplice compito che è necessario assumersi nell’elaborazione della domanda sull’essere, vale a dire “l’analitica ontologica dell’esserci” (§ 5) e “la distruzione della storia dell’ontologia” (§ 6). 6 2) Inoltre, nel capitolo si pone la questione del metodo che Heidegger segue nella ricerca (§ 7). 3) Infine, ritroviamo il piano generale dell’opera (§ 8). § 5: L’analitica ontologica dell’Esserci come estensione dell’orizzonte per l’interpretazione del senso dell’essere in generale L’analitica ontologica dell’Esserci consiste nell’analisi tematica dell’Esserci nel suo specifico modo di essere, cioè nel suo esistere. L’Esserci tende a comprendere il proprio essere a partire da quell’ente con il quale è in rapporto quotidiano, cioè il mondo. L’analitica ontologica dell’Esserci non deve essere intesa come un’antropologia filosofica, in quanto Heidegger, anche se parte dall’Esserci, vuole elaborare la questione dell’essere in quanto tale (a lui non interessa scrivere un trattato sull’uomo, ma giungere alla comprensione dell’essere in generale). [L’analisi sull’Esserci porta a risultati provvisori che devono essere approfonditi in una seconda sezione dedicata alla temporalità (Zeitlichkeit) dell’essere dell’Esserci. Lo scopo dell’intera ricerca heideggeriana sarebbe stato quello di approfondire l’essere nel suo senso, cioè nella sua temporalità, al fine di raggiungere un’esplicazione originaria del tempo come orizzonte della comprensione dell’essere a partire dalla temporalità. Ma manca in “Essere e tempo” un’articolata trattazione della temporalità.] § 6: Il compito di una distruzione della storia dell’ontologia Il secondo compito presente nell’elaborazione della domanda sull’essere, cioè quello di una distruzione della storia dell’ontologia, non è presente nell’opera se non con qualche accenno. Tale distruzione non significa annullare il passato, ma cogliere le modalità concrete, per individuare limiti e possibilità. L’intento di una tale distruzione non è distruttivo, ma positivo: intende cogliere i motivi di fondo che hanno reso possibili determinate concezioni. Solo così la tradizione filosofica potrà essere di nuovo resa fluida, capace cioè di provocare nuove riflessioni sulle stesse questioni fondamentali. [Heidegger indica alcune tappe della storia del pensiero il cui esame risulta funzionale allo sviluppo della domanda sul senso dell’essere. Vengono citati alcuni autori: 1) Kant: sarebbe dovuto essere interrogato riguardo alla connessione tra io penso e tempo, a partire da un’analisi della dottrina dello schematismo trascendentale. 2) Cartesio: si sarebbe dovuto approfondire il modo di essere della res cogitans, vale a dire il senso di quel sum attraverso il quale il cogito si auto afferma. 3) Aristotele: è considerato l’esempio principale di quell’ontologia antica che interpreta l’essere a partire dalla presenza e che lo assume nell’ottica di un venire alla presenza dell’ente. 7 Lo scopo di un tale confronto critico è quello di discutere l’impostazione di fondo dell’ontologia greca, il cui orientamento non è stato messo in questione neppure nell’età moderna: tutto ciò al fine di ripensare nelle sue possibilità e nei suoi limiti, insieme alla questione dell’essere, il problema stesso della metafisica.] § 7: Il metodo fenomenologico della ricerca Heidegger nel secondo capitolo dell’introduzione ci indica il metodo che sarà adottato per questa indagine ontologica. La domanda guida sul senso dell’essere, come questione fondamentale della filosofia, verrà svolta secondo un itinerario fenomenologico. La fenomenologia è dunque il metodo. Quando si parla di fenomenologia, il richiamo va subito a Edmund Husserl, maestro di Martin Heidegger e a cui “Essere e tempo” è dedicato. Ma ciò non significa che l’indagine heideggeriana si collochi sulla stessa linea di quella di Husserl. È sostanzialmente diversa la concezione della fenomenologia elaborata da Heidegger. Nell’ottica heideggeriana la fenomenologia è chiamata a descrivere le modalità in cui si articola la vita in sé e per sé stessa nella sua fatticità. Il suo compito è quello di considerare il come qualcosa è. La differenza tra Husserl e Heidegger consiste nel fatto che per Husserl, la fenomenologia coincide con l’indagine stessa che la filosofia è in grado di svolgere, mentre per Heidegger la filosofia è scienza dell’essere e dunque l’espressione fenomenologica viene ad indicare un concetto di metodo. Il termine metodo non significa quell’insieme di procedure che devono essere seguite per giungere a una conoscenza fondata. Esso esprime quella via lungo la quale è possibile incontrare il fenomeno. La fenomenologia è una possibilità che si dischiude alla ricerca filosofica, la possibilità di considerare le cose in termini nuovi, cioè nella dinamica del loro manifestarsi. Quindi la fenomenologia, che ha come suo motto famoso, lanciato da Husserl, “alle cose stesse” è per l’appunto il tentativo di descrivere ciò che si mostra nella sua semplicità, nella sua povertà, nella sua immediatezza e di riportare i problemi filosofici astratti alle cose stesse, cioè a ciò che veramente si mostra, a ciò che appare. Tale motto è stato ripreso da Heidegger e reso funzionale al suo progetto filosofico. Le “cose stesse” sono i fenomeni, invece, ciò che ci consente di volgersi ad esse è il nostro pensare, il logos. I vocaboli “fenomeno” e “logos” sono quelli che insieme vengono a comporre il termine fenomenologia. Heidegger successivamente discute il concetto di fenomeno, approfondisce la nozione di logos e chiarisce il loro rapporto in una prospettiva unitaria. A. Il concetto di fenomeno Per chiarire il concetto di fenomeno Heidegger distingue 3 nozioni e ne precisa il loro nesso: 1) Il primo concetto è quello di phänomen, fenomeno: è ciò che si manifesta in lui stesso, il mostrantesi, questo è il modo in cui i greci hanno inteso l’ente, come ciò che 10 cos’è, ma solo il come, cioè le sue diverse modalità che sono di volta in volta possibili. È chiaro che i termini essenza e esistenza non sono usati da Heidegger con il significato della metafisica tradizionale. L’essenza non è un contenuto stabile, ma dinamico. L’esistenza non indica il semplice fatto che qualcosa è, ma esprime il poter-essere dell’Esserci. L’esistenza in Heidegger indica la possibilità, per questo essa ha un primato sull’essenza (viene prima dell’essenza). L’Esserci è la sua possibilità. Questo ente particolare può scegliere o meno sé stesso e dunque conquistarsi o perdersi in ciò che propriamente è. Sono due allora, in base a una tale alternativa, le possibilità essenziali che riguardano l’Esserci, ovvero quella di cogliersi in maniera propria, e quindi AUTENTICA o secondo modalità improprie, e quindi INAUTENTICHE. Heidegger in questa prima sezione offre anche un’analisi di quelli che chiama esistenziali. Gli esistenziali sono le caratteristiche fondamentali dell’Esserci, le sue proprietà. Naturalmente Heidegger dice esistenziali perché non vuole dare l’idea che si stia parlando di una sostanza con degli accidenti. Il rapporto tra sostanza e accidenti è un rapporto tutto interno all’ontologia tradizionale (Aristotele) ed è un rapporto radicalmente ontico (perché si riferisce all’ente). Invece, Heidegger vuole parlare di modalità d’essere, per questo le definisce esistenziali e le distingue dalle categorie. Le categorie sono gli accidenti, le determinazioni dell’ente secondo l’interpretazione ontica tradizionale. [ § 10: Heidegger fa una critica all’antropologia filosofica del Novecento. § 11: Heidegger fa una differenza tra quotidianità e primitività. ] CAPITOLO SECONDO L’ESSERE-NEL-MONDO IN GENERALE COME COSTITUZIONE FONDAMENTALE DELL’ESSERCI § 12: Linee fondamentali dell’essere-nel-mondo a partire dall’in-essere come tale § 13: Esemplificazione dell’in-essere attraverso un modo in esso fondato. La conoscenza del mondo Nel secondo capitolo della prima sezione Heidegger introduce il concetto di essere- nel-mondo. L’essere-nel-mondo viene considerato da Heidegger come struttura di fondo del rapporto abituale dell’Esserci con le cose. “Essere-nel-mondo” significa “essere-in-relazione-a” qualcosa, indica cioè quell’essere già fuori di sé dell’Esserci, grazie al quale l’Esserci risulta fin dal principio coinvolto in un rapporto con l’ente. [Cosa significa in-essere?] In-essere non vuol dire “essere-dentro”, esso esprime l’abitare, il trattenersi in un contesto abituale, non indica la presenza spaziale (si riferisce alla presenza fisica es. Lei è in casa) di una cosa all’interno di un’altra 11 cosa, non possiede quindi un senso categoriale (riferito alle cose materiali), bensì ha un carattere esistenziale, dice cioè un modo d’essere dell’Esserci. [Differenza tra fatticità e fattualità] In questo capitolo, inoltre, Heidegger tratta i concetti di fatticità e fattualità. La fatticità indica i caratteri fattuali dell’Esserci, vale a dire il suo essere già da sempre in un mondo e il suo trovarsi in un rapporto preliminare e costitutivo con l’essere in generale. La fattualità, invece, indica il fatto che qualcosa concretamente è. CAPITOLO TERZO LA MONDITÀ DEL MONDO [la mondità del mondo è la struttura dell’essere del mondo in quanto tale (è la caratteristica che rende il mondo così com’è)] § 14: L’idea della mondità del mondo in generale Successivamente Heidegger prende in esame il fenomeno mondo attraverso un’analisi in cui esso risulta considerato di per sé. L’idea di ciò che il mondo è non può essere ricavata da una semplice descrizione delle cose che sono nel mondo. Il mondo non è la somma di case, alberi, uomini, montagne, stelle, né i particolari aspetti o modificazioni che sono propri dei vari enti. Il Mondo è un fenomeno autentico: esso si colloca su un piano ontologico, vale a dire si mostra in quanto essere e struttura dell’essere. Il modo d’essere del mondo non è quello della natura, come oggetto di una specifica indagine della scienza. Il mondo è un carattere dello stesso Esserci, non nel senso che esso risulterebbe qualcosa di soggettivo, ma come l’espressione di quell’essere sempre già in rapporto che costituisce l’ente che noi siamo. Il MONDO assume diversi significati: 1) È un concetto ontico, in quanto indica l’insieme di ciò che è semplicemente presente all’interno di esso, cioè gli enti intramondani. 2) È anche un concetto ontologico di tipo particolare, in quanto attraverso tale nozione può essere espresso anche l’essere di questi enti intramondani. 3) Il mondo può assumere un senso esistentivo, venendo a significare il contesto in cui l’Esserci si trova a vivere, ad esempio il mondo comune, pubblico oppure il mondo proprio, l’ambiente più familiare. 4) Esso, inoltre, è un concetto ontologico-esistenziale della mondità, ed è quindi quell’a priori che costituisce l’Esserci in quanto tale e sulla base del quale un ente può essere detto mondano. 12 Nel terzo capitolo la MONDITÀ nel suo carattere ontologico esistenziale, verrà messa in luce considerando inizialmente quello che è il contesto più prossimo dell’Esserci quotidiano, cioè il mondo circostante, l’ambiente. (§ 15-18) A-ANALISI DELLA MONDITÀ AMBIENTALE E DELLA MONDITÀ IN GENERALE § 15: L’essere dell’ente che si incontra nel mondo-ambiente [Quale ente deve giocare questo ruolo pretematico e deve valere come terreno prefenomenologico? Si risponde: le cose.] Le cose con cui di solito abbiamo a che fare si configurano come ciò che viene usato, maneggiato, manipolato nelle nostre pratiche. Si tratta di questi enti intramondani dei quali ci prendiamo cura, che ci pro-curiamo e con cui abbiamo a che fare nel nostro quotidiano commercio con essi [il modo quotidiano di essere-nel-mondo lo indichiamo con l’espressione commercio nel mondo]. Heidegger introduce il termine Zeug, in italiano traducibile come mezzo, poiché egli non vuole indicare la semplice cosa, ma il mezzo per…fare qualcosa. Zeug ha il significato di utensile, attrezzo, arnese, occorrente, strumento. Indica dunque l’utilizzo. Un mezzo non è mai isolato, ma è sempre inserito in un suo contesto. Ciò è dovuto alla specifica struttura del mezzo, caratterizzata dal suo intrinseco, rimandare a qualcos’altro. Un mezzo è essenzialmente “qualcosa per…”. Ad esempio, l’occorrente per scrivere: la penna, la carta, il tavolo, la lampada, le finestre, la porta ecc, non sono oggetti isolati che, sommanti assieme, formano una camera da studio, ma risultano preliminarmente (dal principio) connessi l’un l’altro per la loro specifica funzionalità che li collega tutti. In un più ampio contesto, il nome che possiamo dare al modo d’essere del mezzo è il termine utilizzabilità, dal tedesco Zuhandenheit, letteralmente “a portata di mano”. Questo è il modo in cui il mezzo si rivela per ciò che esso è, infatti io non mi rapporto adeguatamente al martello se mi domando che cosa esso è e quindi se lo considero come oggetto, bensì lo comprendo usandolo, quindi se mi si manifesta come è nella sua utilizzabilità. La pratica dell’uso dei mezzi risulta orientata da una comprensione dei rimandi che sono propri dei mezzi. Questa visione, già da sempre dotata di uno specifico orientamento, è chiamata da Heidegger visione ambientale preveggente. L’opera prodotta (il mezzo) rimanda al suo impiego, dunque all’a-che (a che serve?) e al suo materiale e quindi al di-che (di che cosa è fatto?). Ad esempio, il martello rimanda in sé stesso a ciò di cui è fatto, cioè all’acciaio, al ferro ecc. e quindi nell’uso del mezzo usato è con-scoperta la natura. L’opera costruita non rimanda soltanto all’a-che della sua impiegabilità e al di-che del suo esser fatta, in quanto c’è un rimando anche a colui che la impiega e la usa, ovvero l’Esserci. 15 B- CONTRAPPOSIZIONE DELL’ANALISI DELLA MONDITÀ ALL’INTERPRETAZIONE DEL MONDO IN CARTESIO § 19: La determinazione del mondo come res extensa § 20: I fondamenti della determinazione ontologica del mondo § 21: Discussione ermeneutica dell’ontologia cartesiana del mondo Nel terzo capitolo Heidegger introduce un primo esempio di quella “distruzione della storia dell’ontologia” a cui avrebbe dovuto essere dedicata l’intera seconda parte, mai pubblicata, di “Essere e tempo”. Lo scopo di Heidegger è quello di mettere in luce i presupposti della riflessione cartesiana secondo cui il mondo viene pensato in termini di una res extensa (res extensa: realtà fisica; in contrapposizione alla res cogitans: realtà psichica). Dunque, l’idea dell’essere che domina è quella della sostanzialità. Heidegger giudica tale determinazione di Cartesio non chiaribile, in quanto l’espressione “sostanza”, nell’opera di Cartesio, viene usata sia per indicare l’ente che per definire l’essere dell’ente. C- L’AMBIENTALITÀ DEL MONDO-AMBIENTE E LA SPAZIALITA’ DELL’ESSERCI Successivamente viene introdotto anche il concetto di spazialità. Secondo Heidegger vi è un altro modo di indicare la spazialità, oltre a quello connesso al concetto di estensione (intesa come spazio fisico). § 22: La spazialità dell’utilizzabile intramondano In primis Heidegger prende in esame l’ambito degli utilizzabili che sono a portata di mano e dunque si trovano nei nostri paraggi. Una tale prossimità (vicinanza), non va intesa nel senso di una distanza che può essere misurata, bensì come l’indice del fatto che ogni cosa, nell’ambiente a noi familiare, ha il suo posto in relazione al proprio uso (una cosa se la utilizziamo tanto è più vicina a noi, rispetto ad una che non utilizziamo) e quindi ogni cosa si dischiude primariamente sulla base del nostro avere a che fare con essa. § 23: La spazialità dell’essere-nel-mondo Dopodiché Heidegger considera due aspetti dell’Esserci che rendono possibile l’incontro con gli enti a portata di mano: il dis-allontanamento e l'orientamento direttivo. Il dis-allontanamento, Ent-fernung, significa far scomparire la distanza [Ferne] cioè la lontananza di qualcosa e quindi portare qualcosa nella vicinanza, procurandosela e curandosi di essa. L'orientamento-direttivo, indica, invece, quell’orientarsi dell’Esserci in un mondo che è condizione per realizzare qualsiasi avvicinamento. 16 § 24: La spazialità dell’Esserci e lo spazio Secondo Heidegger lo spazio è ciò che contribuisce alla costituzione del mondo, nella misura in cui esso si ricollega alla spazialità dell’Esserci. L’Esserci è colui che fa spazio, che mette ogni cosa al suo posto. CAPITOLO QUARTO L’ESSERE-NEL-MONDO COME CON-ESSERE ED ESSER-SE-STESSO. IL “SI” Nel capitolo terzo di “Essere e tempo” è stato messo in luce quel fenomeno del mondo che in generale sta sullo sfondo e che costituisce il presupposto di ogni rapporto dell’Esserci con gli altri enti. Heidegger lo ha messo a tema partendo da un’analisi dell’ambiente circostante e prendendo in esame, soprattutto, gli enti che all’Esserci, per la sua specifica spazialità, risultano più vicini, ovvero gli enti “a portata di mano”, cioè i mezzi inseriti in un contesto di utilizzabilità. A partire da qui è stato gettato uno sguardo anche su quegli enti che si presentano svincolati da una specifica relazione d’uso (enti che non funzionano) e che si impongono, nello spazio ambientale, come semplici-presenze, quindi come cose che semplicemente sussistono. Nonostante questo tipo di enti sia stato privilegiato dalla tradizionale filosofica come via d’accesso per comprendere l’essere in generale, ciò è avvenuto tralasciando, però, le strutture del mondo e quindi compiendo una vera e propria “demondificazione” dell’Esserci (hanno tolto l’Esserci dal mondo, l’hanno considerato quindi estraneo alle strutture del mondo). Finora è stata però trascurata, nell’analisi dell’essere-nel-mondo, la questione relativa agli altri Esserci: quelli che coabitano con l’Esserci nel mondo. Non è stato approfondito il problema di chi è quell’Esserci che, immerso nel suo ambiente, si rapporta agli enti intramondani. [ Il § 25 imposta la domanda esistenziale riguardante chi è l’Esserci. Il § 26 analizza il con-esserci degli altri e il quotidiano esser-con. Il § 27 approfondisce i caratteri dell’essere-sé quotidiano e introduce la nozione di si quale protagonista della quotidianità. ] § 25: Impostazione del problema esistenziale del Chi dell’Esserci Heidegger inizia col trattare chi è quell’Esserci che abbiamo visto caratterizzarsi come essere-nel-mondo. Dalle precedenti indagini questo ente si è configurato come l’ente che, di volta in volta, io sono. Si tratta però di un io che risulta immerso nel proprio mondo, quasi assorbito da esso. La nozione di soggetto si è imposta nella storia del pensiero secondo due modelli che Heidegger respinge. 1) Il primo modello è rappresentato dall’ Interpretazione cartesiana. Il soggetto per 17 Cartesio è ciò che sta sotto, che accompagna, senza cambiare esso stesso, le varie rappresentazioni che di volta in volta lo interessano. Tale concezione “sostanziale” dell’io, però, presuppone che il modo d’essere di questo ente sia pensato nei termini di una semplice-presenza (cioè che rimane lì sempre fermo e cambiano solo le sue rappresentazioni esterne). 2) Il secondo modello, invece, è rappresentato dall’ Interpretazione idealista. Secondo tale interpretazione il soggetto risulta ciò che è in grado di auto fondarsi, legittimandosi attraverso un atto di riflessione. Heidegger, però, ribadisce che l’Esserci può fraintendere sé stesso, può configurarsi come esso stesso non è. E allora la riflessione dell’Io su di sé risulterebbe lontana dall’essere una forma di autolegittimazione, determinando dunque un rafforzamento della propria perdita. (Secondo questa concezione idealista, se rifletto su me stessa posso dire chi sono e quindi autodeterminarmi e convincermi di ciò, ma secondo Heidegger l’Esserci delle volte si può confondere credendo di essere ciò che non è). [ Se per Hegel (idealista) bisognava esprimere il vero non come sostanza, ma come soggetto, Heidegger vuole invece cogliere la sostanza dell’uomo e non in termini di uno spirito come sintesi di anima e di corpo, bensì come esistenza. ] § 26: Il con-Esserci degli altri e il con-essere quotidiano L’Esserci non ha solamente a che fare con i mezzi, come un artigiano nella sua officina, e quindi non si trova in uno stato di isolamento rispetto ai suoi simili. Anzi il contesto stesso degli utilizzabili si configura come già sempre aperto a un’utilizzazione comune (i mezzi già dal principio sono di uso comune). Ad esempio, l’attività di un artigiano, insieme ai mezzi impiegati nel lavoro, ci mostra che sono “con-incontrati” gli altri Esserci a cui l’opera è destinata (l’opera che sto facendo non incontrerà soltanto me come Esserci, ma anche gli altri Esserci a cui l’opera è destinata). Nel modo di essere dell’opera come utilizzabile, cioè nella sua appagatività, è implicito un rimando essenziale a un utilizzatore possibile (quel qualcuno che utilizzerà quella opera), rispetto al quale deve essere fatta su misura. In altri termini, il mondo in cui l’Esserci è risulta già da sempre un mondo condiviso. Il “Con” è da intendersi esistenzialmente, non categorialmente. Sul fondamento di questo essere-nel-mondo con, il mondo è già sempre quello che io con-divido con gli altri e quindi il mondo dell’Esserci è con-mondo. L’in-essere è un con-essere con gli altri. L’Esserci è in sé stesso essenzialmente con-essere. Il con-essere determina esistenzialmente l’Esserci anche nel momento in cui l’altro non sia né presente né conosciuto. Anche l’esser-solo dell’Esserci è un modo di con-essere nel mondo, in quanto la sua stessa solitudine risulta una condizione privativa e quindi uno stato in cui gli altri ci sono con me nella forma dell’indifferenza e dell’estraneità. Da considerare è come l’Esserci si rapporta agli enti intramondani rispetto a come si relaziona agli altri Esserci. Nel primo caso, l’Esserci “si prende cura” dei mezzi 20 del puro e semplice fatto di esistere. Heidegger chiama questo fatto dell’esistenza la “fatticità” dell’Esserci. La situazione emotiva manifesta anzitutto questo carattere dell’essere dell’Esserci, vale a dire la fatticità della sua esistenza, lasciando sullo sfondo il donde e il verso dove, cioè la provenienza e la finalità di un tale esistere. L’Esserci si trova semplicemente “gettato” in una tale situazione, e dunque il fatto che questo ente è, può esser chiamato lo stato di “gettatezza” in cui esso si trova. La situazione emotiva è dunque il modo in cui l’Esserci si trova rinviato alla fatticità del suo esistere e la avverte grazie alla specifica riflessività che è propria del sentire. § 30: La paura come modo della situazione emotiva *(§ 30 del capitolo quinto e § 40 del capitolo sesto potrebbero essere richiesti insieme) Heidegger analizza lo stato d’animo della paura, considerandola privilegiata, in quanto costituisce un efficace contrappeso (crea equilibrio) della situazione di angoscia. La paura ha 3 momenti costitutivi: 1) Il davanti a che della paura e cioè ciò che si teme per una sua ben determinata minacciosità. 2) L’aver paura come tale e quindi quella paura di fondo che fa sì che proviamo timore per qualcosa. 3) Il per-che (o per chi) la paura è tale, ovvero colui per il quale si ha paura. A partire da qui vengono introdotte le modalità emozionali che alla paura si riconnettono: quelle dello spavento, dell’orrore, del terrore e così via. Tutte stanno ad indicare che l’Esserci, in quanto essere-nel-mondo, si trova nella condizione esistenziale dell’essere impaurito. § 31: L’Esser-Ci come comprensione Un altro carattere di fondo dell'apertura è il comprendere. Il comprendere non è una forma di conoscenza parallela allo spiegare, ma è un modo fondamentale dell'essere dell'Esserci. “Comprendere qualcosa” significa “essere in grado di affrontare qualcosa”, “saperci fare”, “intendersi di qualcosa” (konnen). Il verbo konnen, che solitamente significa “potere”, viene usato da Heidegger in una particolare accezione, riportandoci all'ambito di una capacità, di una particolare competenza, cioè alla sfera del sapere pratico. L'Esserci è quell'ente che, in generale, è capace di fare qualcosa, che ha il potere di realizzare delle possibilità e, così facendo, di realizzare anche sé stesso. L’Esserci può essere, è quindi quell'ente che per la sua costituzione è caratterizzato dal “poter-essere”, quello che Heidegger chiama Seinkonnen. L'Esserci, dunque, non è ma può essere. Secondo me questo è un passaggio emblematico nella filosofia di Heidegger, infatti, nella sua chiamiamola “tecnica” dell’indicarci prima, tutto quello che una cosa non è, per farcela comprendere, ritroviamo anche secondo 21 me quella critica alla tradizione filosofica che determinava che qualcosa è, e dunque la sua staticità. Heidegger invece in questo “può essere” caratterizza tutto il dinamismo dell’Esserci, mostrandoci una strada nuova, tentando quindi di rifondare l’ontologia. Concetto importante dunque è quello di possibilità. Il termine “possibilità” assume in questo contesto due significati fondamentali: 1) Da un lato, esso indica un esistenziale, esprime cioè il poter-essere dell'Esserci e quindi quella condizione di possibilità insita nella struttura dell’Esserci. 2) Dall'altro lato, “possibilità” significa “quanto è suscettibile di essere realizzato” (quanto quella cosa è possibile). Heidegger definisce l'Esserci come “un esser-possibile consegnato a sé stesso, una possibilità gettata”. L'Esserci si trova già da sempre nella situazione del poter-essere, capace cioè di poter realizzare le diverse possibilità che gli si prospettano e, fra queste, anche quelle relative a sé stesso. L'Esserci è sempre più di una semplice- presenza, si trova al di là di sé stesso e quindi nel non-ancora. È per questo che solo l’Esserci può dire a sé stesso: «Divieni ciò che sei!». L’Esserci, quindi, è gettato in una particolare condizione. L'essere-avanti-a-sé che caratterizza il poter-essere del1' Esserci è chiamato da Heidegger “progetto” (Entwurf). Il progetto è il modo in cui si attua la comprensione e quindi la struttura esistenziale dell’Esserci. Nel suo comprendere, infatti, l'Esserci è sempre gettato oltre sé stesso, risulta destinato, cioè, al possibile rapporto con gli altri enti e con sé. Esso dunque si configura propriamente come un progetto gettato. § 32: Comprensione e interpretazione Heidegger per spiegarci in che modo si realizza concretamente tale progetto ci introduce il concetto di “interpretazione”. Interpretare è quell'esercizio del comprendere in virtù del quale il comprendere, comprendendo, “si appropria” del compreso (ciò che comprendo diventa mio). Però per interpretare un fenomeno è necessario partire sempre da qualcos’altro che mi è noto e che quindi mi indirizza nella comprensione, permettendomi di coglierlo “in quanto” qualcosa. La struttura dell' “in quanto” è caratterizzata da 3 modalità che la presuppongono: 1) E’ necessario anzitutto una predisponibilità di qualcosa che può guidare la nostra considerazione dell'interpretato; 2) Bisogna poi collocarsi in una particolare prospettiva, assumere cioè quella visione preliminare che ci consente di cogliere l'interpretato in un determinato modo (analizzare un po’ la situazione); 3) Ci dev'essere infine una cognizione anticipata, che consente un elaborazione più o meno adeguata di ciò che viene compreso. Di conseguenza, non si dà mai una visione semplice e immediata delle cose, in quanto ogni visione risulta sempre già orientata dalle conoscenze pregresse che la guidano. 22 Heidegger poi affronta due questioni che, nella storia del1' ermeneutica, sono connesse all'esercizio dell'interpretazione, ovvero il problema del senso e quello della circolarità di un tale procedere. Il “Senso”, in generale, è ciò rispetto a cui qualcosa risulta comprensibile in quanto qualcosa (quando qualcosa ha senso vuol dire che risulta comprensibile). Riguardo alla circolarità, Heidegger ribadisce che l’in quanto, a partire da cui qualcosa è comprensibile, non determina che l'interpretazione si muova in un circolo vizioso. Infatti, secondo Heidegger, ciò che importa non è uscire da tale circolo, bensì, starvi dentro nella maniera giusta. E questo perché, è l'Esserci stesso, in quanto aperto all'essere, a possedere una struttura circolare. § 33: L’asserzione come modo derivato dell’interpretazione Secondo Heidegger dall’interpretazione deriva l’asserzione. Egli distingue tre significati di asserzione (nel nostro linguaggio vuol dire affermare qualcosa): 1) quello di manifestazione, che ha la funzione di far sì che l'ente si mostri da sé stesso in ciò che esso è; 2) quello di predicazione, che indica il modo in cui un tale mostrare si realizza: vale a dire attraverso la determinazione del soggetto mediante il predicato; 3) quello di comunicazione, nel senso di una compartecipazione espressa di ciò che si mostra e del modo in cui esso viene a determinarsi. In una tale prospettiva, l'essere perde il proprio carattere dinamico e la sua potenzialità ermeneutica, trasformandosi, come copula, in una semplice funzione di collegamento fra un soggetto e un predicato. [Ritroviamo ciò nella logica formale] § 34: L’Esserci e il discorso. Il linguaggio Heidegger definisce, quindi, l'asserzione una “manifestazione che determina e comunica”. È necessario a questo punto approfondire ciò che rende possibile il comunicare stesso. Il discorso è esistenzialmente cooriginario alla situazione emotiva e alla comprensione. Il linguaggio risulta fondato sul discorso, è una concretizzazione di esso. Si determina così una ben precisa successione di strutture: il discorso, in quanto cooriginario alla comprensibilità, ne è l'articolazione espressiva; il linguaggio è l'espressione esteriore del discorso; mentre, la lingua concretamente parlata può essere presa in esame come una serie di parole-cosa semplicemente presenti. B- L’ESSERE QUOTIDIANO DEL CI E LA DEIZIONE DELL’ESSERCI § 35: La chiacchiera § 36: La curiosità § 37: L’equivoco 25 § 41: L’essere dell’Esserci in quanto Cura Nei capitoli terzo e quarto della prima sezione di “Essere e tempo”, Heidegger aveva già caratterizzato i rapporti dell'Esserci con gli enti intramondani e con gli altri Esserci, nei termini di un prendersi cura, cioè di un curarsi di qualcosa (il Besorgen), e di un aver cura di qualcuno (la Fursorge). In questo sesto capitolo Heidegger intende spiegare perché la cura può essere un concetto adeguato per indicare l’essere dell’Esserci. I caratteri ontologici fondamentali dell'esistenza sono tre. L'Esserci, in quanto poter-essere, non può essere determinato, è sempre al di là di sé stesso. Ciò significa che questo ente risulta, nel suo essere, sempre già avanti a-sé. Tuttavia, le possibilità dell'Esserci possono essere realizzate unicamente in situazioni ben circoscritte e solo all'interno di condizioni già date. In altre parole, l'Esserci è essere-nel-mondo, in un mondo in cui questo ente si trova sempre già gettato. Il poter-essere dell'Esserci, dunque, si realizza sempre all'interno di un ambito preliminarmente dischiuso (si realizza in un ambito già definito che è il mondo). Nel linguaggio heideggeriano ciò vuol dire che l'Esserci è avanti-a-sé- essendo-già-in-un-mondo. Allo stesso tempo però l'Esserci è costantemente coinvolto nel mondo di cui si cura e nell’esistenza quotidiana il suo modo d'essere più caratteristico è rappresentato dal decadere, cioè dalla fuga da sé, per volgersi agli enti intramondani. La struttura dell'avanti-a-sé- essendo-già-in-un- mondo viene quindi a completarsi considerando che, nel suo essere gettato, l'Esserci è-presso (è vicino dal punto di vista dell’essere) l'utilizzabile intramondano di cui, di volta in volta, si può occupare. Da ciò si evince in che cosa consiste l'essere dell'Esserci, vale a dire la cura in senso proprio. L’essere dell’Esserci è dato dall'insieme di quei tre aspetti dell'Esserci che sono finora emersi ovvero l'esistenzialità (cioè il poter-essere), la fatticità (cioè la gettatezza) e il decadere (la fuga da sé). Più precisamente però, se ci si colloca da un punto di vista formale- esistenziale, tali momenti possono essere espressi utilizzando la tipica brachilogia heideggeriana (modo in cui si esprime Heidegger), con le parole: avanti-a-sé-esser- già-in (un mondo) in quanto esser-presso (l'ente intramondano che si fa incontro). La cura per Heidegger non è solamente il punto finale, il culmine nel quale si risolvono e a partire dal quale devono essere considerati i fenomeni in precedenza emersi, ma risulta anzi una sorta di a priori esistenziale, a cui devono essere ricondotti i comportamenti e le situazioni dell'Esserci. § 42: Riconferma dell’interpretazione esistenziale l’Esserci in quanto Cura in base all’autointerpretazione preontologica dell’Esserci Per avvicinare il lettore alla nozione di cura, Heidegger parte da una testimonianza preontologica (prima dell’ontologia tradizionale), ovvero una favola latina di Igino. Questa favola narra della creazione dell'uomo, il quale fu modellato dalla Cura con terra argillosa e fu infuso di spirito da Giove. La disputa sul nome da imporre a tale 26 creatura vede scontrarsi, oltre a Giove e alla Cura, anche la Terra di cui l'uomo è materialmente fatto. Saturno, chiamato a fare da arbitro alla disputa, decise che la creatura si sarebbe chiamata uomo (homo), appunto perché è fatta di humus (terra) e dopo la sua morte, il suo corpo sarebbe tornato alla Terra, da cui era stato generato, mentre lo spirito sarebbe tornato a Giove, cioè colui che glielo aveva donato; per tutta la vita, però, questo essere sarebbe stato preda della Cura, che inizialmente lo aveva modellato. Heidegger rintraccia nella favola il segno di una complessiva autointerpretazione dell'Esserci come cura (perché la cura accompagna l’Esserci dall’inizio alla fine della sua vita). La cura, infatti, non indica solamente una preoccupazione angosciata nei confronti della vita, ma anche quella dedizione con cui ci si può rapportare alle cose e agli altri uomini. Insieme a quello della cura è determinante il riferimento all’arbitro della disputa, cioè Saturno (latino) e quindi Chronos (greco), che rappresenta un’antica personificazione del tempo. Ciò mostra un chiaro segnale ad un altro argomento cruciale dell’opera di Heidegger e cioè la temporalità, che verrà approfondita nella seconda sezione di “Essere e tempo”. § 43: Esserci, mondità e realtà a - La realtà come problema dell'essere del mondo esterno e della sua dimostrabilità b - La realtà come problema antologico c - Realtà e Cura Nel sesto capitolo Heidegger tratta anche il problema della realtà. Un'interpretazione dominante nella storia del pensiero [come abbiamo già visto] (si riferisce alla tradizione filosofica) è quella che considera il mondo (la realtà) come un insieme di cose e che concepisce l'ente nei termini di una semplice-presenza. La semplice- presenza, dunque, assume un ingiustificato privilegio a svantaggio delle altre modalità di essere. Di conseguenza, infatti, non solo ogni ente intramondano, ma anche l'Esserci stesso viene concepito come una cosa e quindi soggetto e oggetto risultano indifferenziati rispetto al loro carattere ontologico (che la tradizione filosofica li considera nella stessa maniera da un punto di vista dell’essere). Ne deriva che sia l'impostazione dell'idealismo che quella del realismo in filosofia risultano caratterizzate dall'assunzione preliminare del modo d'essere della semplice-presenza, trascurando il fenomeno dell'essere-nel-mondo. È necessario sottolineare che il modo d'essere della realtà (com’è la realtà) per Heidegger non ha alcun primato fra i vari modi d'essere e dunque non costituisce una via privilegiata per la comprensione degli enti intramondani o dell'Esserci. Il concetto di realtà può essere adeguatamente compreso, invece, solo in riferimento al fenomeno della cura, ovvero in relazione all' essere-nel-mondo dell'Esserci (secondo Heidegger la visione della realtà è leggere il mondo come questo relazionarsi 27 continuo degli Esserci con gli altri enti). Infatti sono molti i modi in cui l'Esserci si rapporta agli enti intramondani. Proprio partendo da qui può essere ripensata in termini differenti anche la tradizionale alternativa fra idealismo e realismo. L'Esserci, infatti, non riveste nei confronti dell’ente né un ruolo attivo né uno passivo, in quanto ha un rapporto privilegiato con l’essere dell’ente nella molteplicità delle sue manifestazioni. Nella filosofia di Heidegger, rispetto all'affermazione di una univoca (un'unica direzione) dipendenza dell'ente dall'Esserci come nel caso dell’idealismo o dell'Esserci dall'ente come nel caso del realismo, si delinea, invece, l’originaria connessione tra Esserci e essere. § 44: Esserci, apertura e verità a - Il concetto tradizionale di verità e i suoi fondamenti antologici b - Il fenomeno originario della verità e la provenienza del concetto tradizionale di verità c - Il modo di essere della verità e la presupposizione della verità (NO) Nel finale del sesto capitolo Heidegger si confronta anche con il concetto filosofico tradizionale di verità e nello specifico con quella concezione che lo intende come un rapporto tra giudizio e oggetto. Sono tre le tesi che caratterizzano tale concezione filosofica tradizionale: 1) La prima è quella che definisce il giudizio come luogo della verità; (la verità la troviamo nel giudizio) 2) La seconda concepisce l'essenza della verità nella concordanza del giudizio con l'oggetto a cui il giudizio è rivolto; (se quello che io ho detto corrisponde alla realtà allora è vero) 3) Infine, Aristotele è considerato colui che, da un lato, ha attribuito la verità al giudizio, come suo luogo d'origine e, dall'altro, ha concepito la verità in termini di adeguazione (adattamento). Heidegger vuole sottolineare la stretta connessione che lega verità ed essere, prendendo in esame un ulteriore elemento rispetto a quello individuato nel pensiero greco e cioè l’Esserci. Anche la questione della verità dovrà, dunque, essere ricondotta al particolare rapporto che lega l’Esserci, l’ente e l’essere in generale. Heidegger, con esplicito riferimento ad Husserl, sottolinea che il giudizio non si riferisce a un’immagine mentale, bensì alla cosa stessa (ricorda la fenomenologia di Husserl-capitolo 2 dell’introduzione). Il fenomeno è dunque la cosa stessa che si mostra in quanto tale per come essa è (adeguazione), quindi, asserire (affermare) è lasciar manifestare il fenomeno, è portarlo allo scoperto. Ed è proprio in questo rapporto che si annuncia la verità. È in questo che consiste il senso ontologico dell'adeguazione, ovvero quella verifica in virtù della quale l'ente si manifesta in ciò che esso è. L’asserzione, invece, in quanto atteggiamento dell'Esserci, si configura come uno scoprimento dell'ente che si disvela (l’Esserci scopre l’ente). La verità è