Scarica Fonti nozioni generali e più Prove d'esame in PDF di Diritto solo su Docsity! FONTI: NOZIONI GENERALI FONTI DI PRODUZIONE Fonte del diritto è l’atto od il fatto abilitato dall’ordinamento giuridico a produrre norme giuridiche, cioè a innovare all’ordinamento giuridico stesso. È la stessa Costituzione ad indicare gli atti che possono produrre il diritto, cioè le fonti: non tutte, basta che la Costituzione indichi le fonti ad essa immediatamente inferiori, dette fonti primarie, cioè le leggi e gli atti ad essa equiparati, perché saranno poi queste a regolare le fonti ancora inferiori, le fonti secondarie. Le norme di un ordinamento giuridico che indicano le fonti abilitate ad innovare l’ordinamento stesso si chiamano norme di riconoscimento. FONTI DI COGNIZIONE: PUBBLICAZIONE E RICERCA DEGLI ATTI NORMATIVI Le fonti di cognizione sono gli strumenti attraverso i quali si viene a conoscere le fonti di produzione; in Italia, la più importante delle fonti ufficiali è la Gazzetta ufficiale (G.U.), altre fonti ufficiali sono i Bollettini (o Gazzette) ufficiali delle Regioni (B.U.R.) e la Gazzetta ufficiale della Comunità europea (GUCE). Per consentire lo studio e la conoscenza dei nuovi atti, questi non “entrano in vigore” immediatamente dopo la pubblicazione, ma, se non è altrimenti disposto, dopo la vacatio legis, un periodo, di regola di 15 giorni, in cui gli effetti del nuovo atto sono sospesi: trascorso questo periodo vige la presunzione di conoscenza della legge (ignorantia legis non excusat) e l’obbligo del giudice di applicarla. Le fonti non ufficiali possono essere fornite da soggetti pubblici (i Ministeri o le Regioni, per esempio) o privati (le case editrici o le riviste specializzate, di solito); le notizie che esse pubblicano non hanno valore legale, in quanto la pubblicazione in essi non incide sull’efficacia delle norme. FONTI-FATTO E FONTI-ATTO Le fonti di produzione si distinguono in due categorie: le fonti-atto (o atti normativi) e le fonti-fatto (o fatti normativi). Le fonti-atto sono parte degli atti giuridici, i comportamenti consapevoli e volontari che danno luogo a effetti giuridici; gli atti normativi hanno due caratteristiche specifiche: a) quanto agli effetti giuridici, gli atti normativi hanno la capacità di porre norme vincolanti per tutti (sono fonti del diritto; b) quanto ai comportamenti, questi devono essere imputabili a soggetti cui lo stesso ordinamento riconosce il potere di porre in essere tali atti, cioè le fonti implicano l’agire di un organo a ciò abilitato dall’ordinamento giuridico: si dice che la fonte-atto è l’espressione di volontà normativa di un soggetto cui l’ordinamento attribuisce l’idoneità di porre in essere norme giuridiche. Le fonti-fatto sono tutte le altre fonti che l’ordinamento riconosce e di cui ordina o consente l’applicazione; appartengono alla categoria dei fatti giuridici, cioè a quegli eventi naturali (come la nascita) o sociali che producono conseguenze rilevanti per l’ordinamento. Perché la volontà del soggetto possa produrre effetti normativi, bisogna che essa sia riconoscibile: da qui l’esigenza che ogni atto normativo si manifesti esteriormente nei modi specifici che lo stesso ordinamento determina per ciascun tipo di fonte. Ogni tipo di fonte ha una sua forma essenziale; la forma tipica dell’atto è data da una serie di elementi come l’intestazione all’autorità emanante (es.: Decreto del Presidente della Repubblica), il nome proprio dell’atto (es.: legge, decreto-legge), il procedimento di formazione, cioè la sequenza di atti preordinata al risultato finale, dell’atto stesso. Nell’ordinamento italiano i procedimenti per la formazione delle fonti-atto variano a seconda del tipo di fonte: qualsiasi atto normativo la cui formazione non rispetti il procedimento prescritto ha un vizio di forma. Dal punto di vista redazionale, l’atto è suddiviso in articoli, e questi in commi; gli articoli, spesso corredati da una rubrica che ne indica l’argomento, possono essere raggruppati in capi, e questi in titoli e parti. La consuetudine nasce da un comportamento sociale ripetuto nel tempo (è elemento oggettivo della consuetudine, la c.d. diuturnitas) sino al punto che esso viene sentito come obbligatorio, giuridicamente vincolante (elemento soggettivo: il c.d. opinio iuris seu necessitatis). La consuetudine ebbe perciò grande importanza in tutti gli ordinamenti che si sono sviluppati lentamente: l’esempio è dato dalla Common Law, il sistema giuridico che si è sviluppato in Inghilterra dopo la conquista normanna: ad oggi, la Common Law è un corpo di regole giurisprudenziali, formatosi attraverso il consolidamento e l’evoluzione dei “precedenti giudiziari”, ossia delle autorevoli pronunce dei giudici, che gli altri atti giuridici sono tenuti a rispettare. Oggi la consuetudine è quasi scomparsa: • Nelle disposizioni preliminari al codice civile (dette anche “Preleggi”) l’art. 1, disegnando la gerarchia delle fonti del diritto italiano, enumera, dopo la legge, i regolamenti, le norme corporative, anche gli usi; l’art. 8 delle Preleggi precisa che “nelle materie regolate dalle leggi e dai regolamenti gli usi hanno efficacia solo in quanto sono da essi richiamati”: significa che la consuetudine può operare o in materie non regolate da fonti-atto (consuetudine praeter legem) o per richiamo esplicito della legge (consuetudine secundum legem); non può esistere invece la consuetudine contra legem, quella che dispone in contrasto con le fonti-atto. • In alcune disposizioni del Codice Civile sono esplicitamente richiamati gli usi, a cui il codice rinvia la disciplina del rapporto; la conoscenza di questi usi è facilitata dalle raccolte generali tenute dal Ministero dell’industria e dalle Camere di commercio. • In dottrina spesso quando si fa riferimento alle consuetudini si fa riferimento ad un fenomeno che con la consuetudine non ha nulla da spartire, cioè le consuetudini interpretative: la costante interpretazione di una disposizione di legge da parte degli interpreti. Le consuetudini facoltizzanti consentono comportamenti che le disposizioni scritte non negano (come la nomina di vicepresidenti, ministri senza portafoglio e sottosegretari nel Governo). Le convenzioni costituzionali sono spesso confuse con le consuetudini costituzionali; le convenzioni nascono da un accordo tra i soggetti politico-istituzionali, mentre le consuetudini traggono origine da comportamenti spontanei; esse non pongono regole giuridiche, non sono “fonti”, mentre le consuetudini lo sono. • L’art. 10.1 Cost. dice che “l’ordinamento italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”: si fa riferimento alle consuetudini internazionali, cioè a delle norme che non hanno origine nei trattati (fonte volontaria del diritto internazionale), ma in regole non scritte né poste da alcun soggetto determinato, e tuttavia considerate obbligatorie dalla generalità degli Stati. Il meccanismo di rinvio automatico dell’ordinamento italiano alle norme prodotte da altri ordinamenti si chiama “rinvio mobile”. b) per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti (abrogazione implicita); c) perché la nuova legge regola l’intera materia già regolata dalla legge anteriore (abrogazione tacita). Le tre forme di abrogazione sono diverse per questa ragione: l’abrogazione espressa è il contenuto di una disposizione: di solito si tratta di uno degli art. finali di un legge che scrive “sono abrogate le seguenti disposizioni”. Nel caso dell’abrogazione tacita il legislatore non si è preoccupato, emanando le nuove disposizioni, di eliminare le vecchie: è quindi il giudice a dover fare pulizia. Quanto agli effetti temporali, l’abrogazione tacita è identica a quella esplicita (entrambe operano ex nunc), ma ciò non vale per gli effetti spaziali, perché mentre le disposizioni del legislatore valgono sempre erga omnes, le operazioni intellettuali del giudice valgono solo inter partes. Certe volte è il legislatore stesso a provvedere alla riunificazione della disciplina di una materia, selezionando le norme rimaste in vigore e riunendole in appositi testi unici. L’abrogazione implicita è in tutto simile all’abrogazione tacita: non c’è infatti una disposizione che dichiari l’abrogazione della legge precedente, ma è l’interprete che trae dal fatto che il legislatore abbia riformato la materia un argomento per sostenere che la vecchia legge debba ritenersi abrogata. Questa abrogazione opera perciò sul piano dell’interpretazione non della legislazione. Diversa dall’abrogazione è la deroga, che nasce da un contrasto tra norme di tipo diverso; la norma derogata è una norma generale, la norma derogante è una norma particolare: è un’eccezione alla regola. Differenza tra abrogazione e deroga: la norma abrogata perde efficacia per il futuro, e può riprendere a produrre effetti soltanto nel caso in cui il legislatore emani una ulteriore disposizione che lo prescriva (riviviscenza della norma abrogata); la norma derogata non perde invece la sua efficacia, ma viene limitato il suo campo di applicazione: se dovesse essere abrogata la norma derogante, automaticamente si riespanderebbe l’ambito di applicazione della norma generale. Simile alla deroga è la sospensione dell’applicazione di una norma, sospensione limitata ad un certo periodo e spesso a singole categorie o zone. IL CRITERIO GERARCHICO E L’ANNULLAMENTO Il criterio gerarchico dice che in caso di contrasto tra due norme si deve preferire quella che nella gerarchia delle fonti occupa il posto più elevato (lex superior derogat legi inferiori). In caso di contrasto la Costituzione prevale sulla legge e sugli atti a questa equiparati. Le Preleggi dicono che la legge prevale sul regolamento, e questo sulla consuetudine. La prevalenza della norma superiore su quella inferiore si esprime attraverso l’annullamento, effetto di una dichiarazione di illegittimità che un giudice (non qualsiasi interprete) pronuncia nei confronti di un atto, di una disposizione o di una norma: l’atto, la disposizione o la norma perdono validità (la validità consiste nella conformità di un atto o di un negozio giuridico rispetto alle norme che lo disciplinano). I vizi possono essere formali o sostanziali: i primi riguardano la forma dell’atto, e l’intero atto risulta viziato, i secondi riguardano i contenuti normativi di una disposizione (viziata perché produce un’antinomia con norme tratte da disposizioni di rango superiore). Quando un giudice dichiara l’illegittimità di un atto normativo, questa dichiarazione ha effetti generali: l’atto annullato non può più essere applicato a nessun rapporto giuridico, anche se sorto in precedenza all’annullamento; al contrario dell’abrogazione, l’annullamento opera ex tunc (cioè anche per il passato). Gli effetti dell’annullamento si avvertono solo per quei rapporti giuridici che l’interessato possa sottoporre ad un giudice, che siano ancora azionabili: questi si dicono rapporti pendenti, in contrapposizione ai rapporti esauriti, i quali non possono più essere dedotti davanti al giudice. Come si chiudano i rapporti è stabilito dai singoli rami dell’ordinamento: in genere, i rapporti si chiudono con il decorso del tempo (estinzione del diritto per prescrizione; perdita della possibilità di esercitare il diritto, cioè decadenza), oppure per volontà dell’interessato (acquiescenza), o perché il rapporto è stato definito con una sentenza ormai non più impugnabile (giudicato). Se una norma posteriore di grado inferiore contraddice una norma precedente di grado superiore, non ci potrà essere abrogazione della norma superiore da parte della norma inferiore, ma annullamento di quest’ultima. Nel caso inverso, se una norma posteriore di grado superiore contraddice una norma precedente di grado inferiore, la risposta dipende dal fatto che le due norme siano “omogenee” o meno. Due norme possono dirsi omogenee se sono entrambe di principio o di dettaglio: se sono omogenee, si ritiene che prevalga il criterio cronologico, cioè che la norma successiva superiore abroghi direttamente quella precedente inferiore, senza bisogno che il giudice dichiari l’illegittimità di quest’ultima. Se invece sono disomogenee, la situazione è più complessa: c’è abrogazione nell’ipotesi in cui la norma successiva superiore sia di dettaglio; nel caso in cui la norma successiva superiore sia di principio, non si ha abrogazione, ma dovrà intervenire il giudice dichiarando l’illegittimità della norma precedente inferiore e di dettaglio. L’omogeneità o la disomogeneità di due norme non può essere accertata more geometrico, ma dipende dalle valutazioni dell’interprete; si tratta di rapporti tra singole norme, non tra gli atti: per cui alcune norme della legge nuova possono imporsi subito sulle contrastanti norme dell’atto precedenti, ed altre no. IL CRITERIO DELLA SPECIALITÀ Il criterio della specialità dice che in caso di contrasto tra due norme si deve preferire la norma speciale a quella generale, anche se questa è successiva (lex specialis derogat legi generali; lex posterior generalis non derogat legi priori speciali). Nell’art. 15 del Codice Penale vi è un accenno ad esso: “Quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito”. La preferenza per la norma speciale non si esprime né con riferimento all’efficacia della norma (come per l’abrogazione), né con riferimento alla sua validità (come per l’annullamento), le norme in conflitto rimangono entrambe efficaci e valide: l’interprete opera solamente una scelta di quale norma applicare. Rapporti tra il criterio di specialità e gli altri criteri: a) se la norma generale è successiva, e la norma generale e la norma particolare hanno parità gerarchica, è preferita la norma speciale; b) se la norma generale è successiva, e la norma generale è superiore alla norma speciale, è preferita la norma generale superiore; c) se la norma generale è successiva, e la norma generale è inferiore alla norma speciale, è preferita la norma speciale superiore; d) se la norma speciale è successiva, e la norma generale e la norma particolare hanno parità gerarchica, è preferita la norma speciale; e) se la norma speciale è successiva, e la norma generale è superiore alla norma speciale, è preferita la norma generale superiore; f) se la norma speciale è successiva, e la norma generale è inferiore alla norma speciale, è preferita la norma speciale superiore. Il criterio di specialità, appartenendo alle tecniche dell’interpretazione, opera inter partes. Il legislatore può indicare con un’esplicita disposizione la prevalenza di una norma sull’altra: è il caso di quelle disposizioni in cui la regola è accompagnata dalla clausola di esclusione di alcune ipotesi, cioè dall’eccezione. Le eccezioni, siano espresse od individuate in via d’interpretazione, non possono essere interpretate in senso estensivo: “le leggi [penali e quelle] che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati” (art. 14 delle Preleggi), quindi se la norma speciale va preferita alla norma generale, questa preferenza vale solo per i casi espressamente indicati dalla norma speciale, e non può essere estesa a casi analoghi. ABROGAZIONE ANNULLAMENTO DEROGA Criterio cronologico Criterio gerarchico Criterio di specialità Fisiologia dell’ordinamento Patologia dell’ordinamento Complessità dell’ordinamento Opera ex nunc Opera ex tunc Opera ex nunc Effetti: a) erga omnes (se espressa); b) inter partes (negli altri casi). Effetti: a) erga omnes. Effetti: a) inter partes; b) erga omnes (se espressa). La giurisprudenza distingue l’interpretazione per analogia dall’interpretazione estensiva: l’analogia sarebbe la soluzione di un caso non previsto da alcuna disposizione applicando la norma che si ricava da disposizioni che riguardano casi o materie analoghe; l’interpretazione estensiva consiste nell’attribuzione ad un termine della disposizione di un significato più ampio del significato letterale di esso. IL CRITERIO DELLA COMPETENZA Il problema da cui nasce il criterio della competenza (non è un criterio prescrittivo, ma esplicativo, serve cioè a spiegare come è organizzato attualmente il sistema delle fonti, non ad indicare all’interprete come risolvere le antinomie) è dato dall’introduzione della Costituzione rigida, e quindi di una fonte sovrapposta alla legge ordinaria: ciò ha comportato che, accanto alla legge formale, cioè all’atto prodotto attraverso il normale