Scarica Fonti nozioni generali e più Appunti in PDF di Diritto Costituzionale solo su Docsity! CRITERIO CRONOLOGICO E L’ABROGAZIONE L’efficacia è una figura generale del diritto e consiste nell’idoneità di un fatto o di un atto a produrre effetti giuridici cioè a costruire o modificare o estinguere situazioni giuridiche. L’efficacia di una norma è la sua applicabilità come regola dei rapporti giuridici. La norma diventa efficace quando la disposizione da cui è tratta entra in vigore. Vige il principio di IRRETROATTIVITA’ degli atti normativi: essi dispongono solo per il futuro e non hanno effetti per il passato. Questo principio è codificato dall’articolo 1 delle preleggi: “La legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”. Tale principio, poiché non è un principio costituzionale (infatti la Costituzione lo cita solo in ambito penale, art 25.2), può essere derogato dalle singole leggi che possono predisporre la propria retroattività. Il principio di irretroattività vale ance per quanto concerne l’abrogazione. Questo è un effetto prodotto dal nuovo atto sulle precedenti, esso opera solo per il futuro. La vecchia norma perde efficacia dall’entrata in vigore del nuovo atto, vuol dire che essa non regolerà più i rapporti giuridici sorti dopo il nuovo atto, ma regolerà tutti gli atti precedenti. L’abrogazione opera dunque ex nunc, ovvero da ora. L’articolo 15 delle Preleggi elenca tre ipotesi di abrogazione: 1. Abrogazione espressa: il legislatore dichiara tale volontà. È espressa da una disposizione. Vale ex nunc ed inoltre vale per tutti ovvero erga omnes; 2. Abrogazione tacita: incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti. Non è contenuta in alcuna disposizione e il legislatore non si occupa di eliminare le disposizioni precedenti, sarà il giudice a dover fare pulizia. Egli dovrà ritenere che sarà la norma successiva a valere. Vale ex nunc . Per quanto riguarda gli effetti spaziali si parla di inter partes, mentre le disposizioni del legislatore valgono per tutti, le operazioni intellettuali del giudice (ovvero di ritenere una disposizione abrogata rispetto ad un’altra) valgono solo nel sinolo giudice. Sta al giudizio del giudice valutare quale disposizione sia abrogata e quale sia ancora in vigore. 3. Abrogazione implicita: la nuova legge regola per intero la materia regolata dall’anteriore. Questa abrogazione opera sul piano dell’interpretazione. Generalmente mentre l’abrogazione tacita considera abrogate una o più disposizioni, questa considera abrogate una o più leggi. Sta all’interprete valutare se la vecchia disciplina resti in vigore o se la nuova è completa a tal punto da abrogare la precedente. Deroga: la deroga nasce da un contrasto tra norme di tipo diverso, la norma derogata è una norma generale, mentre quella derogante è una norma particolare. La norma abrogata perde efficacia per il futuro e può riprendere a produrre effetti nel caso in cui sia il legislatore a prescriverlo attraverso l’emanazione di una disposizione “riviviscenza della norma abrogata”. La norma derogata non perse la sua efficacia, ma viene limitato il suo campo di applicazione. Sospensione: simile alla deroga, limita ad un certo periodo e spesso a singole categorie o zone. Passato il periodo la norma generale riprende la sua applicabilità. CRITERIO GERARCHICO E L’ANNULAMENTO Il criterio gerarchico dice che in caso di contrasto tra di norme bisogna preferire quella che occupa il posto più alto nella gerarchia delle fonti ( lex superior derogat legi inferiori). È un criterio indiscutibile. Quando la Costituzione dispone che la Corte costituzionale giudica della “della legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge” (134), disegna che la costituzione prevale gerarchicamente sugli altri atti. Le “Preleggi” disegnano una gerarchia tra la legge, i regolamenti e le consuetudini (art 1) dicendo che la legge prevale sul regolamento (art 4) e questo sulla consuetudine (art 8). La prevalenza della norma superiore rispetto a quella inferiore si esprime un giudice pronuncia nei confronti di un atto, di una disposizione o di una norma. Dopo la dichiarazione di illegittimità l’atto, dichiarazione o norma in questione perde validità. La validità consiste nella conformità di un atto o di un negozio giuridico rispetto alle norme che lo disciplinano (la validità essendo riferibile agli atti è un concetto più ristretto di legittimità). Latto definito invalido è un atto viziato. I vizi di legittimità possono essere di due tipi: • Vizi formali: riguardano la forma dell’atto (emanato da un organo non competente, procedimento di formazione non rispettato), sarà l’atto intero a risultare viziato; • Vizi sostanziali: la disposizione sarà viziata perché produce un antinomia, un contrasto con norme tratte da disposizioni di rango superiore. Questi contenuti riguardano quindi le norme. L’annullamento ha effetti generali ed opera ex tunc, ovvero dal principio. Gli effetti dell’annullamento si avvertono solo per quei rapporti giuridici che l’interessato possa sottoporre ad un giudice, ovvero che siano azionabili: si dicono rapporti pendenti o aperti in contrapposizione con i rapporti esauriti o chiusi. I quali non possono essere dedotti davanti ad un giudice. In generale i rapporti si chiudono con il decorso del tempo (estinzione del diritto per prescrizione; perdita della possibilità di esercitare il diritto, ovvero decadenza) oppure per volontà dell’interessato (equiscenza), o perché è stato definito con una sentenza ormai non impugnabile (giudicato). Il criterio gerarchico prevale sul criterio cronologico. Il criterio della specialità dice che in caso di contrasto tra due norme si deve preferire la speciale alla generale, anche se questa è successiva (lex specialis derogat legi generali; lex posterior generalis non derogat legi priori speciali). Questo criterio non è ben codificato ma è accennato nell’articolo 15 del codice penale “Quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia(1), la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito [68] (2) (3).” Con tal criterio le norme in conflitto rimangono entrambe efficaci e valide: sarà l’interprete a valutare quale norma applicare, una risulterà applicata mentre l’altra risulterà inapplicata. Quadro delle relazioni tra i vari criteri: a. Norma generale successiva, norma generale e norma particolare hanno parità gerarchica: si predilige la norma speciale (DEROGA) b. Norma generale successiva, norma generale superiore a norma speciale: è preferita la norma superiore, criterio gerarchico (ILLEGITTIMITA’ della norma speciale); c. Norma generale successiva, norma generale è inferiore alla norma speciale: preferita la norma superiore speciale, criterio gerarchico (ILLEGITTIMITA’); d. Norma speciale successiva, norma generale e particolare hanno parità gerarchica: è preferita la norma speciale, criterio cronologico (DEROGA); e. Norma speciale successiva, norma generale superiore alla speciale: preferita la norma superiore, criterio gerarchico (ILLEGITTIMITA’); f. Norma speciale successiva, norma generale inferiore alla speciale: preferita la speciale (ABROGAZIONE O DEROGA). Il criterio di specialità opera esclusivamente tra norme, cioè sul piano dell’interpretazione. Il criterio della specialità opera inter partes, in quanto è il legislatore a dover risolvere l’antinomia tra norme. Se il legislatore esprime la prevalenza di una norma su un’altra allora si parla di un’influenza importante sulle tecniche di interpretazione. Quindi se la norma generale va preferita alla speciale è perché questo fatto deve essere esplicitato. Analogia: soluzione di un caso non previsto da alcuna disposizione applicando la norma che si ricava da disposizioni che riguardano casi o materie analoghe. Interpretazione estensiva: attribuire a un termine della disposizione un significato più ampio del significato letterale di esso. CRITERIO DELLA COMPETENZA È un criterio esplicativo, non prescrittivo: serve a spiegare come è organizzato attualmente il sistema delle fonti, e non a indicare all’interprete come risolvere le antinomie. Il PROBLEMA da cui nasce tale criterio: l’introduzione della Costituzione rigida, quindi di una fonte sovrapposta alla legge ordinaria, ha comportato che, accanto alla legge formale, siano presenti altre leggi o altri atti equiparati alla legge formale a cui per ragioni diverse la Costituzione assegna competenze particolari. Il criterio di competenza ci spiega che la gerarchia delle fonti non basta più a dirci il quadro esatto del sistema perché all’interno dello stesso grado gerarchico vi sono delle suddivisioni non spiegabili in termini di forza ma di competenza. Criterio di competenza nella risoluzione delle antinomie Tale criterio interviene quando le fonti sono ordinate dalla costituzione secondo la competenza riguardante o l’ambito territoriale in cui le norme devono operare, o la materia o lo specifico oggetto regolato. Eventuali antinomie in questa ipotesi vanno risolte dando applicazione alla norma posta dalla fonte competente con conseguente esclusione di qualsiasi altra. Anche in questo caso la norma non competente è invalida e deve essere eliminata dall’ordinamento tramite annullamento. Nelle esperienze costituzionali, caratterizzate da un accentuato pluralismo istituzionale e nelle quali alla rigidità costituzionale si affianca un’efficace garanzia del rispetto della Costituzione, il sistema delle fonti tende a farsi complesso. Le relazioni tra gli atti abilitati a produrre diritto non sono in tali ordinamenti riconducibili al (solo) criterio della “gerarchia”. Accanto a tale criterio, infatti, si colloca il principio di “competenza”, per cui viene assicurato a determinate fonti un ambito più o meno rigorosamente definito nel quale operare, senza che altre possano in esso interferire, e quello, per così dire residuale, della “concorrenza”, per cui fonti di diversa specie, dotate in tutto o in parte della medesima competenza, possono liberamente intervenire nella disciplina della medesima materia. La Costituzione pone se stessa al vertice delle fonti, stabilendo così una relazione gerarchica con le fonti costituite: ciò non di meno essa abilità “le leggi di revisione e le altre leggi costituzionali” a modificare stabilmente o a derogare puntualmente alle sue disposizioni. Quella tra la Costituzione e le leggi costituzionali (incluse quelle di revisione) sembra dunque essere una relazione di concorrenza. E’ però pacifico che esistono disposizioni e principi ricavati dalla Costituzione insuscettibili di revisione costituzionale (la forma repubblicana, i principi supremi) che instaurano un rapporto di gerarchia tra le disposizioni della Costituzione, che esprimono il limite alla revisione, e le leggi costituzionali. Così pure è pacifico che le leggi costituzionali sono gerarchicamente sovraordinate alle leggi ordinarie; tuttavia esistono ipotesi in cui queste possono modificare anche stabilmente disposizioni di quelle. D’altro canto lo stesso fenomeno dei regolamenti delegati, per come si è venuto sviluppando negli ultimi tempi, ha evidenziato, accanto ad un rapporto di gerarchia tra la legge ed il regolamento, un rapporto di competenza tra le due fonti. Inoltre, se è vero che il rapporto tra legge statale e legge regionale può, soprattutto nell’assetto determinato dalla recente revisione del Titolo V, agevolmente ricostruirsi in termini di separazione di competenza, è altresì vero che la subordinazione delle leggi regionali ai principi fondamentali delle materie oggetto di potestà legislativa concorrente pone alla luce un elemento di gerarchia che si sovrappone a quello della competenza. Infine, quanto ai rapporti tra fonti comunitarie e fonti interne, secondo la prima giurisprudenza della Corte costituzionale retti dal principio di competenza, con il primo comma del nuovo art. 117 cost. si tende ad affermare un’incondizionata supremazia delle fonti comunitarie, con il solo limite, di difficile configurazione, dei principi supremi. VIZI DI LEGITTIMITA’ O DI MERITO L’atto amministrativo è invalido qualora sia affetto da vizi di legittimità o di merito. Mentre i vizi di merito sono determinati da una inosservanza delle cosiddette norme di buona amministrazione, di opportunità o di convenienza cui l’azione della Pubblica Amministrazione deve attenersi, i vizi di legittimità sono dovuti alla mancata conformità dell’atto alle prescrizioni stabilite nelle norme giuridiche. I vizi di legittimità sono classificati in tre categorie: l’incompetenza, l’eccesso di potere e la violazione di legge. Tutti e tre i vizi possono condurre all’annullamento dell’atto. L’incompetenza deve essere relativa (l’assoluta comporta la nullità dell’atto), causata cioè dall’invasione della sfera di competenza di una autorità amministrativa ad opera di un’altra autorità amministrativa, la cui funzione sia diversa per grado o per materia. L’eccesso di potere si configura ogni qual volta l’autorità amministrativa persegue un fine diverso da quello per il quale le è stato riconosciuto dall’ordinamento il potere di emanare l’atto; oppure ogni qual volta siano presenti le cosiddette figure sintomatiche elaborate dalla giurisprudenza: il travisamento o l’erronea valutazione dei fatti, l’illogicità o contraddittorietà dell’atto, la motivazione insufficiente o incongrua, la contraddittorietà tra più atti, l’ingiustizia manifesta. La violazione di legge, infine, ha carattere residuale, comprendendo tutti quei vizi che non rientrano nelle precedenti due categorie e che si sostanziano in una inosservanza dell’ordinamento giuridico. L’atto invalido può essere sanato eliminando i vizi che lo hanno colpito: la sanatoria prende il nome di convalida quando è effettuata dalla autorità competente all’adozione dell’atto; di ratifica se l’autorità competente fa proprio un atto legittimamente ma provvisoriamente posto in essere da un altro agente; di conferma quando, senza novazione dell’atto, quest’ultimo viene riconosciuto come esatto. L’atto L'adattamento del diritto statale al diritto internazionale Quali sono i mezzi di applicazione di una norma internazionale? 1. operatori giuridici e in particolare gli organi statali (per mezzo delle norme giuridiche) 2. accertamento giudiziario (applicazione diretta della norma da parte dei giudici) Non si può dire che il diritto internazionale debba essere applicato a tutti i costi all'interno dello Stato perché il diritto interno deve poter difendere certi valori costituzionali, sacrificando, se necessario, il diritto internazionale. Tuttavia la difesa dei valori interni non deve avvenire ad ogni costo, perché sono importanti anche valori internazionalistici (come la collaborazione e la solidarietà internazionale). Troviamo irrilevanti le teorie dei monisti (che ritengono che il diritto statale trova fondamento nel diritto internazionale) e dei dualisti (che sostengono che l'ordinamento statale è originario ed è netto e separato da quello della comunità degli Stati) perché ci interessa sapere come si applicano le norme internazionali e come queste si coordino con quelle interne. Si fa tradizionalmente una distinzione tra PROCEDIMENTI ORDINARI e PROCEDIMENTI SPECIALI di adattamento dei due diritti. Il primoavviene mediante norme (costituzionali, legislative, amministrative) che si distinguono da quelle statali solo per il motivo per cui vengono emanate. Le norme internazionali vengono riformulate all'interno dello Stato. Nei procedimenti speciali, la norma internazionale non viene riformulata all'interno dello Stato: gli organi con funzioni normative ordinano l'osservanza della norma internazionale. Il costituente, il legislatore o l'organo amministrativo operano con rinvio alla norma internazionale (come del resto obbliga l'art. 10 Cost.), dando diretta applicazione nello Stato della norma internazionale. Di solito è infatti con legge che si dà ordine di esecuzione di un trattato. Tra i due è preferibile il procedimento speciale: con il procedimento ordinario ci si trova ad inteerpretare e riformulare con provvedimento interno la norma. L'interprete si trova di fronte ad una norma identica a quella statale, tranne che per il motivo che l'ha ispirata. Applicherà la norma interna e terrà conto di quella internazionale ispiratrice solo in casi di interpretazione dubbia. Ma se il diritto internazionale di evolve? Se interviene una desuetudine o una norma abrogatrice? In casi del genere ci troviamo, quindi, di fronte a problemi di applicazione ed è per questo che si preferisce il procedimento speciale. In questi ultimi si ha un semplice rinvio e il centro dell'applicazione della norma internazionale si sposta dall'interprete al legislatore. Il giudice potrà commettere errori di interpretazione della norma internazionale, ma l'errore si ircoscriverà al caso concreto e non a tutte le fattispecie. Il procedimento ordinario è però necessario in altri casi: quando la norma internazionale non è direttamente applicabile ("self-executing"), ma necessita di un'attività integratrice da parte degli organi statali. In Gran Bretagna generalmente si usa il procedimento ordinario e, una volta introdotta, la norma internazionale coincide con quella nazionale. Gli altri Paesi invece preferiscono il procedimento speciale. Norme self-executing e non La norma non self-executing si può avere in due casi: 1. quando la norma attribuisce facoltà agli Stati 2. quando la norma, pur imponendo obblighi, non riceve esecuzione perché mancano gli organi predisposti o le procedure indispensabili per la sua applicazione. Ci sono casi dubbi di norme self-executing e non self executing, ma noi crediamo che si ha self- executing quando, in caso di sospensione o di mancata obbligazione o difficoltà di applicazione della norma internazionale, si debba ricorrere a procedure di conciliazione o atti o mezzi di risoluzione delle controversie. E' ancora self-executing quando la norma internazionale contiene una "clausola di esecuzione" che preveda che gli Stati adotteranno tutte le misure di ordine legislativo o d'altro genere per dare effetto alle sue disposizioni. Invece quando nonostante la clausola di esecuzione, ci sono norme effettivamente non self-executing ed impegnano lo Stato a prendere i provvedimenti legislativi ed amministrativi appropriati, si può parlare di non self- executing. L'adattamento con rinvio comporta difficoltà nell'individuare la sfera di applicazione a causa della formulazione delle norme (soggetti, rapporti, enti). Rango nella gerarchia delle fonti interne: tende ad essere quello che, nella gerarchia delle fonti, corrisponde al procedimento (ordinario o speciale) di adattamento: se all'adattamento provvede il legislatore costituzionale, la norma avrà rango costituzionale; se è il legislatore ordinario (trattati) avrà rango di legge ordinaria. REGOLAMENTI DELL’ESECUTIVO. Con il termine “regolamento” si designano atti normativi difficilmente riconducibili a tipologie unitarie. Esistono dei regolamenti come quelli delle camere che servono a garantirne l’autonomia organizzativa e quelli di altri organi costituzionali, che hanno una posizione particolare nel sistema delle fonti (posizione garantita dalla stessa costituzione). Esistono anche regolamenti emanati dalle regioni e degli enti, oppure regolamenti dell’Unione europea. Il termine regolamento rappresenta degli atti tipici, fonti dell’ordinamento giuridico generale: questo è il caso dei regolamenti amministrativi, categoria in cui rientrano i regolamenti dell’esecutivo (governativi e ministeriali o interministeriali), regolamenti regionali e i regolamenti degli enti locali. Regolamenti amministrativi: sostanzialmente legislativi ma formalmente amministrativi. Non si distinguono dalla legge ordinaria per contenuto o per importanza: esistono infatti leggi di minori importanza, le c.d leggine. I regolamenti dell’esecutivo sono atti normativi spesso complessi. Quale spazio normativo possa occupare il regolamento dell’esecutivo dipende dalla legge, questo perché il regolamento dell’esecutivo è una fonte secondaria. La Costituzione non disciplina i regolamenti dell’esecutivo: essa si limita a disciplinare la formazione della legge formale e gli atti da essa equiparati. I regolamenti sono nominati in modo indiretto nell’articolo 87.5, che enumerano le attribuzioni del presidente della repubblica. La riforma costituzionale del titolo VI della Costituzionale ha introdotto una importante variazione, che possiamo notare nell’articolo 117.6: ha stabilito il principio di parallelismo tra funzioni legislative e funzioni regolamentari, limitando le potestà del governo di emanare regolamenti alle sole materie sulle quali lo stato ha potestà legislativa esclusiva e riservando alle regioni il potere di regolamentare tutte le altre materie. I regolamenti del governo sono fonti a competenza limitata dalla Costituzione. Il fondamento dei regolamenti deve quindi essere ricercato nella legge ordinaria, ovvero vanno rintracciate le condizioni per la loro validità. 1. Mentre per le fonti primarie il sistema è chiuso, in quanto le direttive e le tipologie degli atti sono indicati dalla Costituzione, le fonti secondarie sono modellabili dalla legislazione ordinaria; 2. Mentre esiste uno spazio costituzionalmente garantito per le leggi e gli atti aventi forza di legge, non vi è uno spazio garantito per i regolamenti dell’esecutivo: anzi numerose riserve di legge limitano lo spazio che la legge può concedere ai regolamenti dell’esecutivo; 3. Mentre le leggi possono disporre retroattivamente, non è possibile per i regolamenti. La disciplina generale dei regolamenti è contenta nelle preleggi, art 1, 3-4, 10 e nell’articolo 17 della legge 400/1988. I regolamenti del Governo Fondamentale norma attributiva della potestà regolamentare del Governo è l’art. 17 della legge n. 400/88. Per i regolamenti di attuazione delle direttive comunitarie occorre invece far riferimento all’art. 4, della legge n. 86/1989. • L’articolo 3 delle Preleggi dispone che il potere regolamentare del Governo è disciplinato da leggi di carattere costituzionale. • L’articolo 4 riporta i regolamenti nella struttura gerarchica del sistema normativo: “ I regolamenti non possono contenere norme contrarie alle disposizioni delle leggi (1) (2). I regolamenti emanati a norma del secondo comma dell'art. 3 non possono nemmeno dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo (3).” • Legge 400/1988 ripete la distinzione tra i regolamenti del governo e i regolamenti di altre autorità dell’esecutivo_ Art. 17 Regolamenti 1. Con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, sentito il parere del Consiglio di Stato che deve pronunziarsi entro novanta giorni dalla richiesta, possono essere emanati regolamenti per disciplinare: a) l’esecuzione delle leggi e dei decreti legislativi; b) l’attuazione e l’integrazione delle leggi e dei decreti legislativi recanti norme di principio, esclusi quelli relativi a materie riservate alla competenza regionale; c) le materie in cui manchi la disciplina da parte di leggi o di atti aventi forza di legge, sempre che non si tratti di materie comunque riservate alla legge; d) l’organizzazione ed il funzionamento delle amministrazioni pubbliche secondo le disposizioni dettate dalla legge; e) l’organizzazione del lavoro ed i rapporti di lavoro dei pubblici dipendenti in base agli accordi sindacali. 2. Con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, sentito il Consiglio di Stato, sono emanati i regolamenti per la disciplina delle materie, non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla costituzione, per le quali le leggi della Repubblica, autorizzando l’esercizio della potestà regolamentare del governo, determinano le norme generali regolatrici della materia e dispongono l’abrogazione delle norme vigenti, con effetto dall’entrata in vigore delle norme regolamentari. 3. Con decreto ministeriale possono essere adottati regolamenti nelle materie di competenza del Ministro o di autorità sottordinate al Ministro, quando la legge espressamente conferisca tale potere. Tali regolamenti, per materie di competenza di più Ministri, possono essere adottati con decreti interministeriali, ferma restando la necessità di apposita autorizzazione da parte della legge. I regolamenti ministeriali ed interministeriali non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo. Essi debbono essere comunicati al Presidente del Consiglio dei Ministri prima della loro emanazione. 4. I regolamenti di cui al comma primo ed i regolamenti ministeriali ed interministeriali, che devono recare la denominazione di "regolamento", sono adottati previo parere del Consiglio di Stato, sottoposti al visto ed alla registrazione della Corte dei conti e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale. 4-bis. l’organizzazione e la disciplina degli uffici dei Ministeri sono determinate, con regolamenti emanati ai sensi del comma 2, su proposta del Ministro competente d’intesa con il Presidente del Consiglio dei ministri e con il Ministro del tesoro, nel rispetto dei principi posti dal decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni, con i contenuti e con l’osservanza dei criteri che seguono: a) riordino degli uffici di diretta collaborazione con i Ministri ed i Sottosegretari di Stato, stabilendo che tali uffici hanno esclusive competenze di supporto dell’organo di direzione politica e di raccordo tra questo e l’amministrazione; b} individuazione degli uffici di livello dirigenziale generale, centrali e periferici, mediante diversificazione tra strutture con funzioni finali e con funzioni strumentali e loro organizzazione per funzioni omogenee e secondo criteri di flessibilità eliminando le duplicazioni funzionali; e) previsione di strumenti di verifica periodica dell’organizzazione e dei risultati; d) indicazione e revisione periodica della consistenza delle piante organiche; e) previsione di decreti ministeriali di natura non regolamentare per la definizione dei compiti delle unità dirigenziali nell’ambito degli uffici dirigenziali generali. " Il procedimento dell’emanazione dei regolamenti amministrativi è diverso da quello dell’emanazione dei regolamenti ministeriali. Entrambi vengono disciplinati dall’articolo 17 della legge 400. Regolamenti governativi: deliberati su proposta di uno o più ministri, dal consiglio dei ministri (previo parere del consiglio di Stato). È un parere obbligatorio ma non vincolante. Il regolamento viene poi emanato dal presidente della repubblica con proprio decreto d.P.R. dopo aver passato il controllo di legittimità dalla corte dei conti sarà pubblicato in gazzetta ufficiale. Regolamenti ministeriali: emanati dal ministro (hanno forma di decreto ministeriale), previo parere del consiglio di stato; con lo stesso procedimento ma con decreto interministeriale sono emanati i regolamenti che riguardano le materie di competenza di più ministri. Prima dell’emanazione devono essere presentati al presidente del consiglio dei ministri che può sospendere l’adozione dell’atto e provocare una deliberazione del consiglio dei ministri. La corte dei conti controllerà il tutto e lo pubblicherà sulla gazzetta ufficiale. TIPOLOGIE_ l’articolo 17.1 della legge 400 distingue diverse tipologie di regolamento governativo. Queste divisioni si basano sul diverso rapporto che il regolamento avrebbe con la legge, con la riserva di legge e con le competenze legislative delle Regioni. • Regolamenti di esecuzione: Disciplinano l’esecuzione delle leggi, dei decreti legislativi e dei regolamenti comunitari svolgendo una funzione applicativa e interpretativa; i regolamenti di stretta esecuzione possono intervenire anche nelle materie coperte da riserva assoluta di legge. • Regolamenti di attuazione: Disciplinano l’esecuzione delle leggi, dei decreti legislativi e dei regolamenti comunitari svolgendo una funzione applicativa e interpretativa; i regolamenti di stretta esecuzione possono intervenire anche nelle materie coperte da riserva assoluta di legge. • Regolamenti indipendenti: Sono emanati nelle materie in cui manca la disciplina da parte delle leggi o di atti avente forza di legge. Non possono comunque intervenire nelle materie riservate alla legge (sia che si tratti di riserve assolute che relative). Tali regolamenti non hanno pertanto alle spalle nessuna previa legge che soddisfi il principio di legalità sostanziale. Si è molto dubitato in passato della legittimità costituzionale di tali regolamenti. Si tratta comunque di una tipologia regolamentare poco utilizzabile data la difficoltà di trovare materie in cui manchi completamente una disciplina legislativa. • Regolamenti di organizzazione: Provvedono all’organizzazione e al funzionamento delle pubbliche amministrazioni secondo le disposizione dettate dalla legge. L’art. 97 Cost. prescrive in tale materia una riserva di legge relativa sicché tali regolamenti sono assimilabili ai regolamenti attuativi. Va sottolineato che a seguito della legge n. 59/97, art. 13, l’organizzazione e il funzionamento delle pubbliche amministrazioni non è più soggetta ai tradizionali regolamenti di organizzazione, essendo la materia stata “delegificata” (art. 17, comma 4 bis, legge 400/88). • Regolamenti ministeriali: L’art. 17, comma 3, della legge n. 400/1988, attribuisce la potestà regolamentare anche ai singoli organi del potere esecutivo. Tali regolamenti possono essere emanati esclusivamente se una legge di volta in volta lo autorizzi (nella prassi non è infrequente che siano i regolamenti governativi a conferire tale potere). Possono essere adottati solo nelle materie di competenza del singolo ministro (compreso il Presidente del Consiglio) o di più ministri insieme nel caso dei regolamenti interministeriali. Sotto il profilo procedimentale i regolamenti in oggetto si differenziano da quelli governativi perché non sono deliberati dal Consiglio dei ministri, ma semplicemente comunicati al Presidente del Consiglio e anziché essere emanati dal Presidente della Repubblica sono adottati con decreti ministeriali ovvero interministeriali (cfr. Corte cost., sent. n. 79/1970). Regolamenti c.d. “delegati” o “autorizzati” (delegificazione) Disciplinano materie regolate precedentemente da norme di rango legislativo sostituendosi a queste secondo il modello stabilito dal comma 2, dell’art. 17, legge 400/88. Condizioni per l’adozione di tali regolamenti sono: i) che la materia non sia coperta da riserva assoluta di legge; ii) che l’esercizio di tale potestà regolamentare sia autorizzato con legge; iii) che, nell’adottare la legge di autorizzazione, il Parlamento determini le norme generali regolatrici della materia; iv) che nella legge di autorizzazione si indichino altresì le norme di legge che risulteranno abrogate con l’entrata in vigore delle norme regolamentari. La ratio sottesa a tale tipologia di regolamenti è quella di diminuire l’ipertrofia legislativa. Mediante la delegificazione si sottraggono alla competenza delle Camere settori che da quel momento in poi possono essere disciplinati con regolamenti del Governo. Avviene perciò una declassamento della materia dalla legge al regolamento.