Scarica Il principe parafrasi e più Appunti in PDF di Lingua Italiana solo su Docsity! CAPITOLO 1 : QUANTI SIANO I I GENERI DI PRINCIPATI E IN CHE MODO SI CONQUISTANO « Quali sono i tipi di principato e in quali modi si acquisiscono. Tutti gli stati e i governi che hanno esercitato potere sugli uomini sono sempre stati o repubbliche, o principati. I principati o sono ereditari, e allora il trono lo tiene una stessa discendenza da tempo, o sono principati nuovi. Quelli nuovi sono o nuovi del tutto, come Milano per Francesco Sforza, o sono stati acquistati da un principe e annessi al suo stato, come è stato per il regno di Napoli, passato al re di Spagna. I principati acquisiti in quest'ultimo modo o sono abituati al governo di un principe, o sono liberi, e allora si acquisiscono con armi proprie o di altri, con la fortuna o le capacità. » CAPITOLO 2: I PRICIPATI EREDITATI « I principati ereditari. Non tratterò di repubbliche, perché in ciò mi sono espresso già in un'altra opera. In questa tratterò solo i principati, e per riprendere il discorso parlerò di come i principati si possano governare e mantenere. Onde dico che i principati ereditari, quelli in cui i sudditi sono abituati a una data stirpe di regnanti, sono meno difficili da mantenere rispetto agli stati nuovi, perché basta non infrangere i precetti degli antenati e poi districarsi nelle eventuali avversità, così che un principe nella media, un principe normale, si mantiene al governo con relativa facilità, se non gli si abbattono contro circostanze estremamente sfavorevoli; e se mai venisse privato del potere, dovrebbe comunque riuscire a sconfiggere l'usurpatore. Per citare un esempio nostro, in Italia, il duca di Ferrara non poteva tener testa ai Veneziani nel '84 e a papa Giulio II nel '10, anche se era principe naturale. Perché un principe naturale è al trono di diritto e l'uso della forza è meno necessario, quindi conviene che sia amato. Se i suoi vizi non sono tali da renderlo odioso, in genere egli è ben voluto dai suoi; e col passare del tempo l'abitudine disarma il risentimento dei sudditi, perché le linee di successione lasciano uno scarto minimo tra un governo e l'altro. » CAPITOLO 3 : I PRINCIPI MISTI Difficile è mantenere un Principato nuovo. Se è una nuova acquisizione, il Principe si troverà a dover trattare con i nuovi sudditi e questo comporta sempre un uso della violenza, ovvero di eserciti e altro, cosicché lo odieranno sia quelli che non volevano un nuovo Principe, sia quelli che lo hanno aiutato a conquistare il potere, perché ne saranno di sicuro meno contenti di quanto pensassero. D’altro canto, è inevitabile avere degli amici all’interno del territorio che si vuole conquistare. Luigi XII di Francia, conquistando e perdendo Milano due volte, ha offerto un esempio di quanto sia difficile ampliare il proprio Stato. Una nuova acquisizione, se è vicina allo Stato antico e ha la stessa lingua, gli stessi costumi ed era governata in precedenza da un altro Principe, non è difficile mantenerla: basta uccidere tutta la precedente dinastia e non cambiare le leggi e le tasse precedenti. Difficilissimo invece mantenerla se è in una regione lontana, di lingua e cultura diversa. È necessaria grande fortuna e capacità per riuscire nell’impresa. Una mossa ottima sarebbe che il Principe si trasferisse nelle terre appena conquistate, come ha fatto il Turco con la Grecia. È efficace anche fondare colonie nel territorio conquistato, che non costano e sono fedeli. Vengono colpiti solo i proprietari delle terre confiscate che, poi, proprio per essere diventati poveri, non possono reagire. E gli altri imparano la lezione. Di regola, con gli uomini non si devono adottare mezze misure: o li accarezzi, o li distruggi, perché tendono a vendicarsi, ma solo dei colpi leggeri: da quelli grandi, vengono annientati. Quindi la strategia peggiore è in questo caso mandare il proprio esercito a presidiare un territorio lontano. Costa moltissimo e ingenera odio nei sudditi. Bisogna invece sostenere e cercare sostegno tra i potenti di piccolo calibro senza dare loro troppa forza, togliendo di mezzo i potenti veri, che vorrebbero sempre riprendersi il territorio perduto. Bene fecero i Romani amministrando la provincia di Acaia (Grecia) appena conquistata. Inoltre, come i medici che sanno prevenire le malattie prima che si manifestino, i Romani risolvevano i problemi appena si presentavano, magari con una guerra, senza lasciarli incancrenire e divenire insolubili. Luigi XII di Francia invece ha seguito una strada diametralmente opposta e perciò ha perso Milano due volte. Errore gravissimo dei francesi è aver lasciato che il Papa rafforzasse il suo potere: l’uomo che tu aiuti a prendere il potere sarà un giorno tuo avversario, perché teme la tua forza o il tuo ingegno con cui lo hai così efficacemente sostenuto. CAPITOLO IV Per quale ragione il regno di Dario, il quale fu occupato da Alessandro, non si ribellò ai suoi successori dopo la morte di Alessandro Perché Alessandro Magno morì mentre l’impero era sull’orlo del collasso e invece il suo successori riuscirono a conservare il loro Stato? Rispondo così: i Principati o sono governati da un Principe assoluto, come il sultano Turco ottomano, oppure dal Principe insieme ai nobili, che controllano sudditi e Stati propri, come il re di Francia. Il primo ha più autorità, il secondo deve rispettare una nobiltà numerosa. Togliere il potere al primo è più difficile, ma poi è più facile restare al comando, perché, una volta uccisa tutta la famiglia del Principe, non ci sono altri avversari temibili. Togliere il potere al secondo è più facile, ma i nobili, che magari ti hanno aiutato, poi insidiano il tuo potere. Simile al sultano ottomano era Dario re dei Persiani. Alessandro, dopo averlo vinto sul campo, divenne Principe incontrastato e se i suoi successori non avessero litigato tra loro, avrebbero mantenuto il potere facilmente. Gli Stati che hanno molti piccoli potentati non si governano mai tranquillamente, perché nascono continue sedizioni. Finché in Gallia (Francia), in Spagna, in Grecia rimase il ricordo dei vari capi tribali e delle varie poleis, i Romani li governarono a fatica. Quando si spense la memoria di quei piccoli e numerosi poteri, i Romani governarono quei territori con facilità. CAPITOLO V In quale modo si debbano governare le città e i principati che prima di essere conquistati vivevano secondo le proprie leggi Quale comportamento deve tenere un regnante per riuscire a mantenere il potere in uno stato che già prima di essere conquistato possedeva leggi dall'ambito naturalistico: lo Stato così realizzato è paragonabile ad un albero cresciuto troppo in fretta, privo delle radici e vulnerabile alla prima tempesta). Cesare Borgia viene preso a modello per tutte le opere da lui compiute in ambito militare e non. Egli fallisce soltanto per estrema “malignità di fortuna” (la morte del padre e la malattia concomitante dello stesso Cesare). Questa iniziale affermazione comporta una crisi nella trattazione di Machiavelli (perché se la causa del fallimento del Borgia fosse stata solo sfortuna, la ricerca da parte dell'autore di una forte personalità che incarnasse tutte le prerogative del principe si sarebbe interrotta). Così viene individuato un errore che spiega il suo fallimento: il non aver impedito l'elezione di Giulio II² al soglio pontificio. Ciò permette all'autore di continuare il suo trattato; anche un principe tanto valente come il Valentino, seppure spregiudicato, può commettere un errore, e quindi, evitando gli errori, si possono trovare delle regole che guidino l'azione politica. La figura di Cesare Borgia incarna quell'antropocentrismo rinascimentale tipico della cultura del periodo. Viene messo in luce il fatto che Borgia fosse riuscito a creare interessi comuni tra la sua ambizione politica e le convenienze della Romagna, implicitamente additando una delle norme fondamentali che un principe deve osservare. Altro esempio trattato è quello di Francesco Sforza³, duca di Milano, “signore per virtù” che mantiene il proprio stato con “poca fatica”, dopo averlo “acquistato con molti affanni”. ¹Cesare Borgia (1475-1507), figlio del papa Alessandro VI; arcivescovo e poi cardinale di Valencia, nel 1503 si impadronì della Romagna e successivamente della Toscana e dell’ Italia centrale; morto il padre (1503) venne prima incarcerato e una volta evaso si ritirò a Pamplona dove fu ucciso in un’ imboscata. ²Giulio II (1443-1513), Giuliano della Rovere, francescano, divenne pontefice nel 1503 alla morte di Alessandro VI. Per tutto il suo pontificato tentò di rinsaldare politicamente la potenza dello stato pontificio. ³Francesco Sforza (1401-1466), figlio di un capitano di ventura, fu al servizio di Filippo Maria Visconti che gli diede in moglie sua figlia,Bianca Maria.Nel 1450 tramite accordi con Venezia si fece nominare signore di Milano ed ebbe questa carica fino alla sua morte (1466). CAPITOLO VIII Riguardo quelli che hanno conquistato il principato per mezzo di delitti Attraverso l'uso di due exempla, uno antico, l'altro moderno, si espone il modo di diventare principe dopo essere stato un semplice cittadino, non grazie alla fortuna o alle proprie capacità, ma con l'infamia. Agatocle divenne re di Siracusa dopo essere stato un cittadino qualunque, tramite azioni spietate e malvagie. Dopo essersi arruolato nell'esercito riuscì a salire di grado fino a diventare capo e, stanziatosi al comando, decise di divenire principe. Così una mattina, con l'aiuto del generale Amilcare Barca, Agatocle radunò tutto il popolo e il senato di Siracusa e, dopo aver lanciato il segnale prestabilito, fece uccidere tutti i senatori e coloro che appartenevano alla classe sociale più ricca. Ma, nonostante l'eccidio, Agatocle riuscì a mantenere il principato e il consenso del popolo, e a conquistare anche parte dell'Africa malgrado gli attacchi e gli assedi dei Cartaginesi. Ai tempi del regno di papa Alessandro VI invece, Oliverotto Euffreducci da Fermo in età giovanile si arruolò nell'esercito del comandante Paolo Vitelli, e, dopo la morte di quest'ultimo, in quello del fratello Vitellozzo. Non accettando però di rimanere sotto il comando di qualcuno, decise di conquistare Fermo con l'aiuto di Vitellozzo Vitelli e di alcuni cittadini della stessa città. Così Oliverotto scrisse allo zio di voler tornare a casa, sperando in una solenne accoglienza da parte di tutti gli abitanti. Dopo aver trascorso circa due giorni come ospite dello zio, lo spregiudicato Oliverotto invitò tutti i notabili della città e lo stesso Giovanni ad un banchetto, e con uno stratagemma fece uccidere dai suoi soldati tutti gli invitati. Così assediò Fermo e conquistò il principato, ma poco dopo, caduto nell'inganno di Cesare Borgia, venne a sua volta catturato e strangolato. Perché alcuni principi siano riusciti a mantenere il potere, e a vivere al sicuro senza eventuali complotti contro di loro mentre altri no, dipende dalle crudeltà perpetrate. Si distinguono, infatti, due tipi di crudeltà, quelle bene usate e quelle male usate. Le prime sono quelle crudeltà di cui si fa uso una sola volta, le seconde invece sono quelle che aumentano con il passare del tempo senza mai cessare. Le violenze devono essere compiute, quando ce ne sia la necessità, tutte in un solo colpo, così che i sudditi se ne “dimentichino” e non si ribellino. Il fare opere buone invece deve essere continuo, in modo da essere sempre giudicato favorevolmente dal popolo. CAPITOLO IX Sul principato civile Si analizza il caso in cui il principe salga al potere con il favore degli altri cittadini (perciò questo sarà detto principato civile), avendo il benestare o del popolo o quello dei nobili. In ogni città, infatti, si trovano due sentimenti contrapposti: da una parte il popolo vuole essere libero dall'oppressione degli aristocratici, e dall’altra i potenti desiderano opprimere il popolo. Proprio per questi motivi, i nobili fanno principe uno di loro, non potendo resistere al popolo, mentre il volgo fa principe qualcuno per difendersi. Chi diventa principe con l’appoggio dei nobili, mantiene il potere con più difficoltà rispetto a quello che lo è diventato secondo il volere del popolo. Nel primo caso, infatti, il sovrano si trova circondato da molti che si credono pari a lui, e per questo non li può né governare né comandare a suo modo, mentre chi ha l'appoggio popolare è tra pochi che si considerano a lui eguali, e perciò la maggioranza è composta da uomini fidati e pronti ad ubbidire. Così, infatti, a Nabide¹, re degli Spartani, nel difendersi dall’attacco di tutta la Grecia e di un esercito romano assai valente, bastò assicurarsi dell’appoggio di pochi, essendo a sua volta sostenuto dal popolo. Inoltre non è facile soddisfare i potenti senza arrecare danno a qualcuno, laddove è più facile soddisfare la plebe, e certamente più giusto, poiché il popolo vuole non essere oppresso, mentre gli altri vogliono opprimerlo. Così, dunque, un principe non può mai regnare con serenità, se ha il popolo contro, perché questo è assai folto e nient’affatto governabile, mentre un sovrano può affrontare con minore difficoltà con l’avversione degli aristocratici, perché sono in minor numero e inoltre egli può, durante il principato, far diventare grandi alcuni, e disfare le ricchezze ed il potere di altri. Infine, è importante che il principe cerchi un compromesso col popolo, così da avere il suo appoggio, cosa che gli risulterà facile, poiché il popolo non chiede altro se non di non essere oppresso. ¹Nabide: tiranno di Sparta (205 a. C-192 a.C.), fautore di una politica di redistribuzione delle terre. Attaccato nel 195 a.C. dalla Lega Achea e dai Romani, perse il dominio delle città sottomesse, ma non di Sparta. CAPITOLO X Valutazione della forza di un principato Un buon principe deve riuscire a difendere i suoi territori autonomamente e non grazie ad un aiuto esterno. A questo riguardo si citano, come buon esempio da seguire, le città della Germania, che non temono i potenti, mentre essi, a loro volta, non tentano di attaccarle, non volendo cominciare un assedio difficile da portare a termine. Le città germaniche hanno infatti fossi e mura protettive, armi a sufficienza, disponibilità di lavoro per tutti i cittadini e, per non far soffrire di fame il popolo, dispense pubbliche di viveri. Dunque un principe benvoluto dal suo popolo e che abbia una città ben organizzata, come avviene spesso in Germania, è molto difficile che venga attaccato. Inoltre un sovrano saggio dovrebbe dare ai sudditi la speranza che, in caso di assalto, le difficoltà non dureranno molto tempo, e, contemporaneamente, alimentare il timore circa la crudeltà del nemico. Tanto più il principe si comporterà in questo modo, tanto più i cittadini si sentiranno vicini a lui, perché, anche in caso di attacco, quando saranno loro bruciate le case e distrutti i possedimenti, la loro natura è di ricambiare i favori loro concessi. CAPITOLO XI Su i principati Ecclesiastici L’unica difficoltà dei principati ecclesiastici sta nell’ottenerli, poiché si conquistano con virtù e fortuna, ma si possono mantenere senza l’una e senza l’altra. Una volta ottenuti, il principe potrà non preoccuparsi della di altri siti. Un principe che manchi di tale capacità non potrebbe sfruttare le terre e i campi di battaglia a vantaggio del suo schieramento. Filopemene, principe degli Achei, si divertiva ad immaginare ovunque andasse possibili scenari di guerra: ragionando con i suoi amici sulle possibili collocazioni delle schiere nei diversi luoghi visitati, in modo da eliminare, quando era alla guida dell’esercito, con tutto questo pensare, la possibilità che ci fosse alcun tipo di incidente a cui lui non potesse trovare rimedio. Il principe perfetto dovrebbe poi esercitare la propria mente studiando la storia e le azioni di uomini che furono grandi, analizzare battaglie vinte e perse, per evitare errori già commessi. Come si dice che Alessandro Magno1 imitasse Achille, e Cesare2 imitasse Alessandro e come queste emulazioni furono fonte di gloria nelle loro vite, così un principe dovrebbe trarre il buon esempio dagli eventi del passato e mai rimanere in ozio in tempi di pace, ma allenarsi continuamente così da risultare pronto a qualsiasi avversità. 1 Alessandro Magno, figlio di Filippo II di Macedonia, regnò dal 336 a.C. al 323 a.C. e sottomise ampia parte dell’Impero Persiano (fino al fiume Indo); alla sua morte, il suo impero fu diviso nei cinque Regni Ellenistici. 2 Gaio Giulio Cesare (100 a.C. – 44 a.C.) fu generale, console e dittatore romano; il suo operato segnò la fine dell’era repubblicana in favore del principato e poi dell’impero; conquistò e sottomise Gallia e Britannia, vinse Pompeo nella Guerra Civile (conclusasi nel 45 a.C.). CAPITOLO XV Sulle qualità che rendono gli uomini e soprattutto i principi degni di lode o di biasimo Machiavelli analizza le qualità che un buon principe deve avere, e spiega in quale modo debba comportarsi con i sudditi e con gli amici. Nel parlarne, teme di essere ritenuto presuntuoso in quanto si discosta dalle comuni teorie espresse in merito. Molti hanno immaginato principati che non esistono nel mondo reale e che non potrebbero esistere. Chi si occupa di ciò che dovrebbe succedere in teoria invece che di ciò che succede realmente, rischia di andare in rovina. Machiavelli predilige la concretezza ad un progetto illusorio, rifiutando l’idea di un principato utopico ma irrealizzabile, e proponendo invece un atteggiamento pragmatico. La bontà è un grande ideale, ma un uomo che fosse sempre buono in mezzo a tanti che non lo sono, finirebbe infatti per rovinarsi. Per restare al potere un uomo deve comportarsi da buono e da non buono a seconda delle necessità. I principi devono essere giudicati in base alle qualità che li rendono meritevoli di lode o di biasimo in quanto principi. Sarebbe lodevole se di tutte le caratteristiche (generosità o avidità, pietà o crudeltà, e via dicendo) un principe possedesse solo quelle buone, ma data la condizione umana questo non è possibile. Di conseguenza, egli deve evitare i vizi che gli farebbero perdere il potere, ma non deve fare a meno delle qualità che gli sono utili per regnare con efficacia. Ciò che è buono moralmente rischia di essere dannoso politicamente, e viceversa ciò che risulta politicamente utile, rischia di essere scorretto moralmente. La contraddizione è inevitabile. CAPITOLO XVI Della generosità e della parsimonia La generosità, o liberalità, se è praticata con misura, non verrà riconosciuta, se viene ostentata, alla fine sarà considerata un’infamia. Infatti, se un principe vorrà essere generoso a lungo, dovrà spendere del suo e, esaurito il denaro, sarà costretto a gravare sui sudditi con le tasse. Questo lo renderà odioso al popolo, poiché una simile scelta premia pochi e danneggia molti. Allora è più prudente essere parsimoniosi, dal momento che la fama di avaro con il tempo può trasformarsi in quella di generoso: il risparmio permetterà infatti al principe di muovere guerre e promuovere opere pubbliche senza gravare sui sudditi. Come esempi, si considerino papa Giulio II1 e Luigi XII2 di Francia: il primo fu generoso solo nell’ascesa al potere, dedicandosi in seguito ad una guerra assai impopolare; il secondo, invece, riuscì grazie alla sua parsimonia a sostenere innumerevoli conflitti armati senza gravare sui sudditi. Occorre infine distinguere fra il principe che si sta guadagnando il potere e il principe che già l’ha conquistato. Nel primo caso la liberalità è necessaria; nel secondo è dannosa. Il principe può spendere il proprio denaro e quello dei suoi sudditi o i bottini di guerra, dunque il denaro degli altri. Quando spende le ricchezze dei bottini, deve essere generoso, o rischia di non essere più seguito dal suo esercito: spendere le ricchezze degli altri, come fu per Ciro3, Cesare e Alessandro, accresce infatti la reputazione del principe. Al contrario, lo spendere del proprio finisce per impoverire il principe. Di conseguenza, la liberalità lo porta a essere disprezzato e odiato dai sudditi. E questa, tra tutte le cose, è quella da cui più ci si deve guardare. In conclusione, è meglio che un principe si tenga il nome infame di avaro, per cui non viene però odiato, piuttosto che si acquisti quello di scialacquatore, che genera odio oltre che infamia. 1 Giuliano della Rovere, fu papa dal 1503 al 1513; costituì insieme a Luigi XII di Francia, l’imperatore Massimiliano I e Ferdinando II d’Aragona la Lega di Cambrai (1508-1510). 2 Luigi XII di Francia, figlio di Carlo d’Orleans e Maria di Cleves, regnò dal 1498 al 1515, e contribuì alla formazione della Lega di Cambrai (1508-1510). 3 Ciro II di Persia, detto il Grande, regnò dal 559 a.C. al 529 a.C. Figlio di Cambise I, della dinastia degli Achemenidi, liberò i persiani dal giogo dei Medi e sottomise, unificate le tribù iraniche e conquistata Babilonia, i popoli di Siria e di Lidia. CAPITOLO XVII Sulla crudeltà e sull’umanità: è meglio essere amati che temuti, o il contrario? La condizione ideale per un principe è quella di essere allo stesso tempo amato e temuto.Qualora non sia possibile avere ambedue, bisogna preferire l'esser temuto. Il peggior male di un principe è farsi odiare. L’odio è la causa primaria della rovina di un regno: quindi è bene che colui che governa si faccia temere al punto giusto in modo da non essere odiato.Inoltre non si deve essere apprezzati da amici ipocriti vicini solo per opportunismo e il buon principe deve saper gestire queste situazioni preferendo che gli amici lo temano.Occorre anche cercare in alcune circostanze di essere apprezzati per umanità, ma in modo che, in caso di fallimento, comunque non si riceva odio. Esempi illustri come quelli di Annibale1 o di Scipione2 ci dimostrano come la crudeltà possa essere tollerata solo se si accompagna a grandi capacità.
1 Annibale: (Cartagine, 247 a.C. – Libyssa, 182 a.C.) fu un condottiero e politico cartaginese, famoso per le sue vittorie durante la Seconda guerra punica.
2 Scipione: (Roma, 235 a.C. – Liternum, 183 a.C.) è stato un politico e generale romano.
CAPITOLO XVIII In che modo il principe deve osservare la lealtà È meglio agire secondo astuzia o secondo giustizia? Il principe non deve agire sempre in modo sleale, ma cercare di evitare questo comportamento quando ve ne è la possibilità. Perciò il principe ideale deve essere metà uomo e metà bestia, cioè esercitare la giustizia e, quando non è possibile altrimenti, la forza. Per questo infatti grandi eroi dell’antichità furono educati da Chirone1 centauro (uomo e bestia insieme): per imparare entrambe le arti, proprie ciascuna di una parte. Non sarebbe necessario un tal comportamento da parte del principe, se gli uomini fossero tutti giusti, ma poiché spesso sono sleali e scorretti, il principe deve venir meno alla sua promessa di lealtà, come gli uomini sono venuti meno alla loro promessa di giustizia. Per il bene comune il principe deve essere più furbo e astuto che giusto perché il volgo, che è semplice, ubbidirà alle necessità presenti, facendosi ingannare da chi ne è capace. Alessandro VI2, il cui governo fu prospero proprio grazie alla sua capacità di abbindolare il popolo, sebbene sembrasse avere molte buone qualità (fede, carità, 1 Riferimento alla Battaglia di Agnadello (1509) in cui le forze Veneziane furono sconfitte da quelle della Lega di Cambrai formata da Papa Giulio II, Luigi XII di Francia, Massimiliano I, Ferdinando II d'Aragona, Alfonso I d'Este, Carlo III e Francesco II Gonzaga. 2 Politico italiano e signore di Siena (Siena, 1452 - San Quirico d'Orcia, 1512) appartenente ad una ricca famiglia di mercanti, rafforza la sua situazione politica in seguito al matrimonio con Aurelia Borghesi. Particolarmente apprezzato da Machiavelli per la sua dote di statista. 3 Caterina Sforza (Milano 1463-Firenze 1509), signora di Imola e Forlì, figlia illegittima di Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano e di Lucrezia Landriani. CAPITOLO XXI Cosa a un principe convenga fare perché sia stimato Come può un principe farsi stimare dal proprio popolo? Egli deve mostrarsi forte e dare grandi prove di sé. Ciò avviene compiendo grandi gesta e imprese memorabili come, in politica estera, fece Fernando D’Aragona1 conquistando Granata. Per quanto riguarda, invece, la politica interna, un principe deve dimostrarsi determinato davanti ad ogni situazione e nel prendere le sue decisioni. Nel caso di conflitto tra due fazioni, egli deve necessariamente prendere posizione in favore di una o dell’altra. Machiavelli critica la neutralità ma sostiene che debba essere anteposta a una pericolosa alleanza. Infine, un principe, per essere stimato, deve tutelare le arti e organizzare numerosi banchetti, spettacoli e cerimonie per tenere impegnato il proprio popolo e dare di sé esempio di umanità e magnificenza, ma senza mai perdere la propria dignità. 1 Fernando il Cattolico (1479-1516), marito di Isabella di Castiglia, fu re di Aragona, di Castiglia e di Sicilia. CAPITOLO XXII Riguardo i segretari dei principi Come deve scegliere un principe i propri ministri e quale rapporto è opportuno che stabilisca con loro, perché sia stimato e il suo regno prosperi? La prima impressione che si ha del principe dipende dalle persone di cui si circonda, e un principe si può considerare saggio solo nel momento in cui i ministri siano adeguati e sia riuscito a mantenerli fedeli alla propria persona. Pandolfo Petrucci era giudicato estremamente saggio solo perchè aveva un collaboratore molto valido come Antonio da Venafro1. Vi sono tre tipi di ingegno: quello eccellentissimo, che capisce da sé; quello eccellente, che capisce ciò che gli viene spiegato da qualcuno in grado di riconoscere il bene dal male e dunque in grado di correggere e consigliare il principe nelle sue azioni; e infine quello inutile, il quale “non intende né sé né altri”. Vi è un modo infallibile con cui il principe può riconoscere un buon ministro: quando un ministro pensa più al proprio tornaconto che all’interesse del principe non sarà mai in grado di collaborare con lui per il benessere dello Stato. D’altra parte il signore deve mantenere i propri collaboratori fedeli e buoni onorandoli e concedendo loro beni, cosicché non vadano a cercare ricchezze altrove. Quando il principe e i ministri possono fidarsi l’uno dell’altro, il beneficio è reciproco, il principe è ben stimato e può confidare nella solidità del proprio Stato. 1 Antonio Giordani, nato a Venafro nel 1459, oltre che consigliere di Pandolfo Petrucci fu professore di diritto nello studio di Siena. CAPITOLO XXIII In che modo evitare gli adulatori L’uomo si compiace delle proprie cose ed è facile che cada nelle insidie e nelle ostilità dell’adulazione. Per evitare che questo accada, un principe deve scegliere pochi uomini, saggi e fidati, con i quali consigliarsi. Deve ascoltare le loro opinioni, che dovranno essere il più sincere possibile, senza però farsi influenzare eccessivamente, mantenendo sempre la propria autorità e autonomia nelle decisioni. Viene portato come esempio il caso dell’imperatore Massimiliano, che, non curandosi di chiedere consiglio ad alcuno, prendeva decisioni che si rivelavano impopolari e non appena queste venivano contestate, le abbandonava. Da questo comportamento derivava la scarsa fiducia riposta in lui. Un principe deve quindi porre molte domande ed essere un ottimo ascoltatore, permettendo però che gli si diano consigli solamente quando lui lo richiede. Chi pensa che per un principe sia sufficiente circondarsi di buoni consiglieri, sbaglia. Infatti, un principe non saggio non sarebbe in grado di gestire consiglieri più saggi di lui e di prendere decisioni proprie. Quindi i buoni consigli devono derivare dalla saggezza del principe e non la saggezza del principe dai buoni consigli. CAPITOLO XXIV Perché i principi d’Italia hanno perso il potere Un principe nuovo si assicura il controllo sullo Stato più di uno antico, perché è più attento nelle sue azioni rispetto a uno ereditario, essendo gli uomini più presi dalle cose presenti che da quelle passate. Il popolo pertanto difenderà e sosterrà il nuovo principe, se questo si comporterà bene e per lui la gloria sarà duplice: aver fondato un nuovo principato e governarlo con un buon esercito e delle buone leggi. Un principe ereditario, se perde il principato, avrà meritato di perderlo, perché non è stato capace di mantenerlo. I principi che in Italia hanno perso il potere, come il Re di Napoli e il Duca di Milano, hanno fatto un primo errore nell’organizzazione militare, oltre all’essersi probabilmente inimicati il popolo, o al non essersi assicurati il sostegno dei potenti. Filippo V il Macedone, al contrario, fu un ottimo condottiero e, con l’appoggio del popolo e grazie ai buoni rapporti con uomini autorevoli, nonostante la forza dei Romani, resistette a lungo al loro attacco. Pertanto i principi italiani che hanno perso il regno non diano la colpa alla fortuna, ma alla propria viltà. In tempo di pace non hanno pensato che sarebbero venuti tempi avversi e, una volta trovatosi in una tale situazione, hanno pensato a fuggire, sperando che il popolo, oppresso dai vincitori, li richiamasse. Ma di solito questo o non avviene o, se avviene, non dipende dalle qualità del principe deposto, e non è cosa sicura e stabile. Le uniche buone difese sono quelle che dipendono da sé e dalla propria virtù. CAPITOLO XXV Quanto può la fortuna nelle azioni umane e in che modo debba essere affrontata Di fronte alla generale opinione che la storia dell’uomo sia governata totalmente dall’azione di Dio e dalla fortuna, Machiavelli rivendica il valore del libero arbitrio. Tuttavia la sorte è padrona di metà delle nostre azioni, quindi solo metà è affidata alle nostre capacità. La fortuna è come un fiume in piena, che distrugge e devasta tutta la pianura abbattendo alberi e edifici. Ogni essere umano è travolto o è costretto a fuggire davanti all’impeto del fiume, ma non è detto che in periodi calmi non sia possibile costruire argini e dighe. La fortuna similmente dimostra la sua potenza dove non vi sia un presidio abbastanza resistente da contenerla. Come una campagna è priva di ripari, cosi l’Italia è centro di gravi sconvolgimenti a causa di un inefficiente apparato militare. Un principe può andare incontro alla rovina se si affida completamente alla fortuna, giacché essa può cambiare direzione in ogni circostanza. Invece il buon principe dovrebbe sapersi adattare alle necessità dei tempi, non deve quindi adottare una politica né troppo impetuosa, né eccessivamente moderata. Una politica impetuosa è però forse più efficace di una prudente, come chiarisce l’esempio di papa Giulio II, che grazie al suo impeto riuscì a conquistare Bologna. In conclusione, è meglio essere impetuosi che cauti, perché la fortuna è donna ed è necessario affrontarla e dominarla. CAPITOLO XXVI Esortazione a prendere l’Italia e a liberarla dalle mani dei barbari Nell’ultimo capitolo del Principe, Machiavelli si rivolge direttamente alla casata de' Medici, esortandola a prendere il potere e a regnare sull'Italia. La situazione italiana presente rappresenta un'ottima occasione per il principe che avrà la “virtù” di farsi avanti. La difficoltà in cui versa l'Italia è la condizione fondamentale per un principe di valore che voglia prendere saldamente in mano il potere. Gli esempi di grandi principi che presero il potere in condizioni avverse sono quelli di Teseo, Mosè Ciro. Machiavelli riafferma quindi l'idea sostanziale che sia la lotta fra “i grandi”, i litigiosi signori d'Italia, a rendere il paese così debole, e pone l'accento sulla necessità per i Medici di costituire un esercito popolare (e non mercenario) in grado di liberare la patria dalle “illuvioni” dei “barbari”. Tale esercito potrà vincere gli eserciti francese, svizzero e spagnolo, poiché ciascuno di questi presenta un punto debole. Rivolta nuovamente la richiesta che il principe di Firenze si faccia “redentore d'Italia”, Machiavelli afferma che di certo nessuno gli negherebbe il potere, e conclude la propria opera citando un ottimistico e acceso passo dalla canzone Italia mia, benché 'l parlar sia indarno del Petrarca.