Scarica Tesina sulla Povertà Mondiale e più Tesine universitarie in PDF di Filosofia Politica solo su Docsity! Il problema della povertà mondiale: un’analisi cosmopolita 1 Nel 2005 la Banca Mondiale stimò che il 21% dei 7 miliardi di persone che abitano la Terra vivesse al di sotto della soglia di povertà estrema1. Chi vive al di sotto di questa linea di povertà, in media, cade al di sotto del 30,2% per cento di essa. Questo significa che, in media, il potere d’acquisto di queste persone corrisponde a circa 350$ negli Stati Uniti: l’individuo in povertà estrema può acquistare ogni anno quello che può essere acquistato con 350$ in un Paese ricco2. Le implicazioni di questa severa povertà sono pervasive e risultano, ad esempio, in un’aspettativa di vita più bassa, in gravi implicazioni sulla salute, nelle ridotte opportunità di ricevere un’educazione. E infatti:1020 milioni di persone soffrono di denutrizione cronica, 884 milioni non hanno accesso all’acqua potabile, in 2500 milioni non hanno accesso ai servizi sanitari di base, 924 milioni non hanno dimora e 1600 milioni vivono senza elettricità3. Questa grave povertà persiste, nonostante la grande crescita di ricchezza altrove. La spesa media di consumo dei cittadini dei Paesi ad alto reddito è di circa quaranta volte superiore a quella dei poveri globali. Basterebbe trasferire 1/42 della spesa per consumi dai ricchi ai poveri, per aggiungere quasi 500 miliardi di dollari al consumo di quest’ultimi, il che permetterebbe loro di sfuggire alla povertà estrema4. Sebbene dati recenti mostrino un calo del numero di persone che vivono in povertà estrema del 36% rispetto al 19905, il problema della povertà mondiale rimane al centro del dibattito filosofico, politico ed economico. Potremmo chiederci, allora, com’è possibile, nonostante i progressi che la globalizzazione ha portato con sé in campo economico e tecnologico, che persista una povertà così estrema? Perché noi, popoli ricchi dell’Occidente, non troviamo preoccupante il fatto che il mondo sia dominato dalla disuguaglianza e dalla disparità? A chi deve essere affidata la responsabilità morale di affrontare il problema? E quali sono i limiti di questa responsabilità? Ebbene per rispondere a queste domande pratiche, è dapprima necessario inquadrare la questione in termini filosofici. Sebbene, infatti, esista una generale acquiescenza nell’additare la povertà mondiale come un problema di giustizia globale, rimane un generale disaccordo sul modo di concepire questa ingiustizia. Di qui allora un avviso ai naviganti: nella prima parte di questa tesina illustrerò l’approccio filosofico con cui Pogge fa chiarezza sul problema della povertà mondiale, quello cosmopolita, cercando, quanto più possibile, di illustrare in itinere in che modo questo si differenzia da altri orientamenti; nella seconda parte riferirò dell’analisi del filosofo relativa all’attuale sistema economico globale; e infine, nella terza parte, esporrò alcune mie opinioni conclusive. 2 1 Il criterio adottato dalla Banca Mondiale per calcolare la soglia di povertà estrema è di 1,90$ al giorno. Chi vive con meno di questa somma è dunque considerato estremamente povero. 2 T. Pogge, Povertà mondiale e diritti umani, Laterza, 2010, p.118. 3 Ibidem. 4 T. Pogge, op. cit., p.5. 5 E. Howton, Decline of Global Extreme Poverty Continues but Has Slowed: World Bank, The World Bank, http://www.worldbank.org/en/news/press-release/2018/09/19/decline-of-global-extreme-poverty-continues- but-has-slowed-world-bank, 19 Settembre 2018. i nostri rappresentanti non prendono in considerazione le esigenze dei poveri globali, ma cercano di massimizzare gli interessi delle persone del proprio paese22. Il risultato è un ordine economico profondamente ingiusto, in cui la maggior parte dei benefici della crescita economica globale va a vantaggio degli Stati più ricchi. Anche il regime costituito dalla World Trade Organization (WTO), che avrebbe dovuto garantire la liberalizzazione dei mercati, ha permesso ai Paesi ricchi del globo di aprirsi di meno, assicurandogli i benefici del libero commercio e lasciando gli svantaggi ai poveri del mondo: nell’Uruguay Round i Paesi Occidentali hanno tagliato le tariffe meno dei Paesi in via di sviluppo, mantenendo un atteggiamento protezionistico verso settori chiave dell’economia come quello tessile o agricolo, e hanno imposto dazi sulle importazioni che ritengono ingiustamente a basso costo23. E ancora, secondo uno studio di Thomas Hertel e Will Martin, la media dei dazi imposti dai Paesi ricchi sulle importazioni provenienti dai Paesi poveri sono quattro volte superiori a quelli sulle importazioni provenienti da altri Paesi ricchi24. Se i Paesi ricchi avessero aperto di più i propri mercati, i Paesi in via di sviluppo avrebbero potuto esportare 700 miliardi di dollari di merci in più ogni anno, stima l’UNCTAD25. Senza contare il peso che hanno la mancanza di competenze e risorse finanziarie: molti dei delegati di questi Paesi hanno persino scarsa conoscenza di ciò che hanno firmato e alcuni di questi non hanno neanche una delegazione presso la sede della WTO a Ginevra. I critici nazionalisti potrebbero obiettare a Pogge di aver tralasciato nell’analisi la situazione politica dei Paesi. Gli interessi vitali dei PVS26 verrebbero ignorati in sede negoziale perché i loro rappresentanti non sono intenzionati a proteggerli. È difficile d’altra parte immaginare che i governanti di questi paesi meno sviluppati, spesso autocrati, corrotti, brutali abbiano interesse a prendere le difese dei propri cittadini, piuttosto si adoperano affinchè i trattati che siglano producano benefici per loro stessi. Dunque, anche se i nostri governi avessero accettato di ridurre le barriere protezionistiche, ciò avrebbe prodotto ulteriori benefici ai loro tiranni e alle élite corrotte, ma non avrebbe migliorato le condizioni dei poveri. Ebbene questa critica non ha ragion d’essere. Come fa notare Pogge, la maggior parte di questi autocrati non sono arrivati al potere attraverso elezioni libere, competitive, corrette e ricorrenti; si pensi a chi ha adottato la decisione di entrare nella WTO: per il Myanmar è stata presa dalla famosa giunta SLORC27, per la Nigeria dal suo dittatore militare Sani Abacha, per l’Indonesia da Suharto, per lo Zimbabwe da Robert Mugabe, per il Congo Zaire dal suo dittatore Mobutu Sese Seko e così 5 22 Ibidem. 23 T. Pogge, op. cit., p.26. 24 T. Pogge, op. cit., p.27. 25 Ibidem. 26 Paesi in via di sviluppo. 27 State Law and Order Restoration Council. via28. Ritorna così il problema dell’autorizzazione, già ampiamente affrontato da Wenar ne Il re nero nel merito delle risorse naturali, ma che pesa come un macigno anche nel grande tema della povertà mondiale. Non si può peraltro dire che i nostri governi non abbiano avuto responsabilità nell’insediamento di molti governanti oppressivi, vendendo alle giunte militari e ai dittatori le armi di cui avevano bisogno per mantenere il potere. Si pensi all’influenza che gli Stati Uniti hanno avuto in Sud America, e in particolare all’appoggio finanziario e militare che offrirono a spietati dittatori durante la Guerra Fredda pur di non rischiare di trovare un governo comunista alle porte di casa. Ancor più lesivi della situazione in cui vertono i poveri del mondo sono, secondo Pogge, i privilegi sulle risorse e i privilegi sul prestito che il nostro sistema internazionale conferisce a coloro che riescono ad appropriarsi del potere con la forza. Mi spiego meglio. È noto che qualsiasi gruppo che controlli i mezzi di coercizione all’interno di un Paese è di conseguenza internazionalmente riconosciuto come legittimo governante, indipendentemente da come sia giunto al potere, da come lo esercita e dal grado di consenso della popolazione 29. Che questo gruppo riceva riconoscimento internazionale significa che lo accettiamo come interlocutore nelle trattative e che quindi gli riconosciamo il titolo ad agire in nome del popolo sul quale governa. Ma soprattutto, gli riconosciamo il diritto di richiedere prestiti internazionali e di disporre liberamente delle risorse30. Avere un privilegio sulle risorse significa avere un diritto di proprietà su queste e quindi poterne disporre liberamente, sfruttarle, venderle e usufruire delle rendite dalla vendita. “Un giurista sa che il possesso fisico è distinto dai diritti di proprietà”31, lo scrive Wenar ne Il re nero, sostenendo che la regola dell’efficacia (o “la forza crea il diritto”) rimane la regola internazionalmente valida per le risorse naturali. In passato, la regola dell’efficacia era alla base di tutte le questioni internazionali: chiunque fosse in grado di esercitare la coercizione su un essere umano, otteneva il diritto legale di vendere quell’essere umano (schiavitù); chiunque potesse dominare una popolazione straniera, otteneva il diritto di governare quella popolazione (colonialismo); chiunque fosse in grado di conquistare con la forza nuovi territori, otteneva il diritto di governarli (conquista)32. Schiavitù, colonialismo e conquista sono stati ampiamente superati grazie alla rivoluzione dei diritti umani del XX secolo. Eppure per le risorse, il possesso costituisce ancora proprietà33. E così i regimi dittatoriali che si arricchiscono grazie alle rendite sulle risorse opprimono i loro popoli e le elite corrotte proliferano; allo stesso modo negli stati fragili le milizie vendono le risorse che saccheggiano per finanziare la violenza contro le popolazioni locali e 6 28 T. Pogge, op. cit., p. 36. 29 T. Pogge, op. cit., p. 138. 30 Ibidem. 31 L. Wenar, Il re nero, Luiss University Press, Roma, 2016, p. 159. 32 L. Wenar, op. cit., p.162. 33 Ibidem. talvolta anche contro il governo34. È evidente che il privilegio sulle risorse fornisce incentivi ai colpi di stato35: la provincia angolana di Cabinda produce ogni giorno un milione di barili di petrolio36, la Nigeria 2 milioni al giorno. Chiunque riesca a prendere il potere in questi Paesi potrebbe contare sulle ingenti rendite di petrolio per arricchirsi e consolidare il potere37. Dovremmo allora stupirci se per la gran parte della sua storia la Nigeria è stata governata da militari che hanno preso il potere e governato con la forza? La risposta è chiaramente negativa. Né dovrebbe sorprenderci la diffusa corruzione in questi Paesi: nessun politico riuscirebbe a rimanere al potere senza il favore dei militari, che potrebbero rovesciare il governo e accaparrarsi le rendite della vendita delle risorse. È dunque necessario che questi ritengano più favorevole per loro lo status quo. Sono molti gli Stati ricchi di risorse, dilaniati da un’inaspettata povertà. Questa correlazione negativa, nota come sindrome olandese, ha una spiegazione nazionalistica: l’abbondanza di risorse naturali produce un cattivo governo e istituzioni difettose, incoraggiando colpi di stato e guerre civili e facilitando la corruzione e il consolidamento autoritario38. Wenar, invece, osservava che “gli stati del petrolio hanno il 50% di probabilità in più di essere governati da un governo autoritario, e una probabilità due volte maggiore di fare esperienza di guerre civili”39, individuando quella correlazione positiva tra abbondanza di risorse e autoritarismo che egli definisce maledizione delle risorse. In base invece al privilegio sul prestito ogni gruppo che ha potere di governo in un dato territorio ha il diritto di prendere a prestito denaro a nome di tutta la società, imponendo così obblighi giuridici internazionalmente validi a tutto il paese e impegnando qualunque successore a onorare i debiti contratti da un predecessore non legittimamente autorizzato a stare al governo, corrotto, brutale, repressivo40. Tre sono le ricadute che il privilegio sul prestito ha sulla corruzione e sulla povertà nei paesi poveri. In primis, le entrate del Paese finiscono anche nelle mani del governante più detestabile, che non è arrivato al potere attraverso libere elezioni. Questi possono richiedere prestiti più ingenti e a tassi d’interesse inferiori rispetto a quanto potrebbero se a richiederli fossero loro come singoli. Questo dunque li incoraggia a mantenere il potere, anche contro il volere popolare. In secondo luogo, i vantaggi garantiti dalla regola internazionale del privilegio sul prestito finiscono per diventare un incoraggiamento a colpi di stato e guerre civili. E infine, quando finalmente il popolo riesce ad abbattere la dittatura, si trova a sostenere l’infelice eredità del debito sul prestito 7 34 Ibidem. 35 T. Pogge, op. cit., p. 138. 36 L. Wenar, op. cit., p. 167. 37 T. Pogge, op. cit., p. 138. 38 T. Pogge, op. cit., p. 139. 39 L. Wenar, op. cit., p. 10. 40 Ibidem. termini eccessivamente esigenti o irrealistici. D’altra parte l’attuale sistema economico globale è il risultato di decenni in cui i Paesi più ricchi hanno sfruttato la loro posizione a danno dei Paesi più poveri per ricevere ancora più vantaggi. È impensabile che i nostri governi possano, da un giorno all’altro, rinunciare a gran parte delle loro prerogative o dei vantaggi strutturali di cui godono. Il cambiamento dovrà piuttosto avvenire step by step, in un arco di tempo probabilmente piuttosto lungo. Ma prendiamo per esempio l’idea del Dividendo Globale delle Risorse, cioè la possibilità per gli Stati di condividere parte dei proventi della vendita delle risorse con i Paesi meno avanzati. È eccessivamente pretenziosa e difficilmente realizzabile? Io credo di no, dal momento che sembra che il sistema internazionale stia facendo passi avanti proprio in questa direzione. Nel 1994 è stata costituita l’Autorità internazionale dei fondi marini49, un’organizzazione internazionale a vocazione universale, il cui compito è quello di garantire ai Paesi meno avanzati parte dei proventi della vendita di risorse naturali individuate nei fondi marini internazionali. L’Autorità conta oggi 167 stati membri, ossia quasi la comunità internazionale nella sua interezza50. Sembra quindi che una generale opinio iuris, una moralità nella direzione auspicata da Pogge stia effettivamente emergendo nella politica internazionale. Bibliografia Held D. e Maffettone P., Global Political Theory, Polity Press, Cambridge, 2016. Pellegrino G., “Nagel, Rawls e i limiti della giustizia”, Filosofia e Questioni Pubbliche, 18 Ottobre 2010. Pogge T., Povertà mondiale e diritti umani, Laterza, 2010. Singer P., Salvare una vita si può, 2009, Il Saggiatore. Tan K., What is this thing called global justice?,Routledge, Londra, 2016. 10 49 Per saperne di più: https://www.isa.org.jm/ 50 Si pensi che gli Stati parti ONU sono 193. Wenar L., Il re nero, Luiss University Press, Roma, 2016. Sitografia Howton E., “Decline of Global Extreme Poverty Continues but Has Slowed: World Bank”, The World Bank, 19 settembre 2018. http://www.worldbank.org/en/news/press-release/2018/09/19/ decline-of-global-extreme-poverty-continues-but-has-slowed-world-bank. Sull’Autorità internazionale dei fondi marini, https://www.isa.org.jm/. 11