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Marinucci, Dolcini, Gatta - Diritto Penale, Parte Generale, Riassunto AA 2023/24 (12a ed.), Sintesi del corso di Diritto Penale

Riassunto completo del manuale (aggiornato alla dodicesima edizione, nella quale sono trattate le novità introdotte con la riforma Cartabia, per l'anno accademico 2023-2024), redatto al fine di offrire un quadro sintetico della materia a chiunque necessiti di uno strumento utile per un ripasso rapido (o a chi versi in condizioni disperate ed abbia bisogno di preparare l’esame nel minor tempo possibile). Questo elaborato è decisamente “compresso”, anche se ho cercato di non tralasciare niente di importante (privilegiando, conseguentemente, la completezza alla sintesi in alcuni capitoli particolarmente "densi"). Buono studio!

Tipologia: Sintesi del corso

2023/2024

In vendita dal 20/10/2023

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Scarica Marinucci, Dolcini, Gatta - Diritto Penale, Parte Generale, Riassunto AA 2023/24 (12a ed.) e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Penale solo su Docsity! G. Marinucci, E. Dolcini, G. L. Gatta MANUALE DI DIRITTO PENALE – PARTE GENERALE Dodicesima edizione (A.A. 2023-2024) Riassunto a cura di: Francesco Focardi 1 Premesse. Il presente riassunto è stato redatto al fine di offrire un quadro sintetico della materia a chiunque necessiti di uno strumento utile per un ripasso rapido, nonché a chi versi in condizioni disperate ed abbia bisogno di preparare l’esame nel minor tempo possibile. Il grado di “compattazione delle nozioni” varia da capitolo a capitolo; questo elaborato è decisamente “compresso”, anche se ho sempre cercato di non tralasciare niente di importante (privilegiando, conseguentemente, la completezza alla sintesi in un paio di capitoli particolarmente densi e non riassumibili ulteriormente senza “perdere pezzi”). Ho inserito alcuni riferimenti /appunti giurisprudenziali – più o meno generici - potenzialmente utili per lo studio della materia in nota nonché, talvolta, direttamente nel testo (nell’affrontare istituti/materie maggiormente scolpiti dalle pronunce giurisprudenziali: ciò, ad es., nel capitolo VIII sulla colpevolezza). Ah, ultimo appunto: gli articoli privi di indicazione relativa alla fonte normativa sono da intendersi del Codice penale. Dai, basta procrastinare leggendo addirittura le premesse di un riassunto, gambe in spalla e vai a studiare 2 4.3. L’accoglimento della teoria condizionalistica nell’art. 41 c.p....................................................48 5. L’oggetto materiale; le qualità o le relazioni del soggetto attivo nei reati propri..........................48 6. L’offesa al bene giuridico...............................................................................................................48 6.1. La tipologia dei beni giuridici....................................................................................................49 B. Le peculiarità del fatto nei reati omissivi........................................................................................50 7. L’omissione.....................................................................................................................................50 7.1. Obblighi di protezione ed obblighi di controllo nei reati omissivi impropri...............................51 7.2. Il nesso tra omissione ed evento nei reati omissivi impropri.......................................................52 C. ULTERIORI CLASSIFICAZIONI DEL REATO SECONDO LA STRUTTURA DEL FATTO.........52 11. Classi di reati ancora da esaminare...............................................................................................52 CAPITOLO VII. L’ANTIGIURIDICITÀ E LE CAUSE DI GIUSTIFICAZIONE.............................................54 1. Nozione di antigiuridicità e disciplina comune delle cause di giustificazione................................54 1.1. Erronea supposizione ed eccesso nella causa di giustificazione.................................................54 2. Le singole cause di giustificazione disciplinate nel codice penale..................................................55 3. Il consenso dell’avente diritto.........................................................................................................55 3.1. I diritti indisponibili....................................................................................................................55 3.2. I diritti disponibili.......................................................................................................................57 3.3. I requisiti del consenso...............................................................................................................57 4. L’esercizio di un diritto...................................................................................................................57 4.1. Il diritto di cronaca.....................................................................................................................57 4.2. Il diritto di sciopero....................................................................................................................58 5. L’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica.......................................................58 6. L’adempimento di un dovere imposto da un ordine della pubblica autorità...................................59 7. La legittima difesa..........................................................................................................................59 8. L’uso legittimo di armi...................................................................................................................62 8.1. Uso delle armi per respingere una violenza o vincere una resistenza all’autorità.....................62 8.2. L’uso delle armi per impedire la consumazione di gravissimi delitti..........................................63 8.3. Ipotesi di uso legittimo delle armi previste da leggi speciali......................................................63 9. Lo stato di necessità........................................................................................................................63 CAPITOLO VIII – LA COLPEVOLEZZA.......................................................................................................65 1. Nozione, fondamento e rilevanza costituzionale.............................................................................65 2. Dolo e colpa...................................................................................................................................66 3. Dolo................................................................................................................................................66 3.2. L’oggetto del dolo...........................................................................................................................68 3.3. Reati omissivi..................................................................................................................................68 4. La colpa..........................................................................................................................................69 4.2. I rapporti tra colpa specifica e colpa generica...........................................................................72 5 4.3. I reati colposi di mera condotta e di evento................................................................................72 4.4. Il principio di affidamento..........................................................................................................72 4.4.1. Principio di affidamento in tema di attività medico-chirurgica..............................................73 4.5. Colpa e reati omissivi impropri..................................................................................................73 4.6. Il grado della colpa.....................................................................................................................74 5. Dalla responsabilità oggettiva alla responsabilità per dolo misto a colpa.....................................74 5.1. Responsabilità oggettiva e Costituzione......................................................................................74 5.2. Forme di responsabilità oggettiva in relazione all’evento..........................................................74 5.3. Forme di responsabilità oggettiva in relazione ad elementi del fatto diversi dall’evento...........75 5.4. Responsabilità oggettiva in relazione all’intero fatto di reato....................................................76 5.6. L’irragionevole sproporzione tra misura della pena e grado di colpevolezza............................76 B. Assenza di scusanti.................................................................................................................................76 6. La normalità delle circostanze concomitanti alla commissione del fatto................................................76 6.1. Le scusanti nei reati dolosi..............................................................................................................77 6.2. Le scusanti nei reati colposi............................................................................................................77 C. CONOSCENZA O CONOSCIBILITA’ DELLA LEGGE PENALE VIOLATA........................................77 7. Nozione e disciplina................................................................................................................................77 D. CAPACITA’ DI INTENDERE E DI VOLERE........................................................................................78 8. Nozione...................................................................................................................................................78 CAPITOLO IX. LA PUNIBIILTA’..................................................................................................................81 1. Nozione e fondamento.....................................................................................................................81 2. Cause personali di esclusione della punibilità................................................................................81 3. Cause oggettive di esclusione della punibilità: la particolare tenuità del fatto..............................82 4. Cause di estinzione del reato..........................................................................................................83 4.1. Morte del reo..............................................................................................................................83 4.2. Amnistia......................................................................................................................................83 4.3. La prescrizione del reato............................................................................................................83 4.4. L’oblazione.................................................................................................................................86 4.6. L’estinzione del reato per condotte riparatorie..........................................................................87 4.7. La sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato.......................................87 4.8. Il perdono giudiziale...................................................................................................................88 5. Disciplina comune alle cause di estinzione del reato......................................................................89 6. La giustizia riparativa: cenni..........................................................................................................89 CAPITOLO X. TENTATIVO E CONCORSO DI PERSONE NEL REATO................................................90 1. Le forme di manifestazione del reato..............................................................................................90 A. IL TENTATIVO...............................................................................................................................90 2. Le scelte del legislatore italiano.....................................................................................................90 6 3. L’idoneità degli atti........................................................................................................................91 5. La desistenza volontaria ed il recesso attivo nel delitto tentato......................................................92 6. Il tentativo nei reati omissivi...........................................................................................................92 7. I rapporti tra tentativo, reati di pericolo, delitti di attentato e reati a dolo specifico.....................92 B. IL CONCORSO DI PERSONE NEL REATO..................................................................................93 8. Funzione incriminatrice e funzione di disciplina delle norme sul concorso di persone..................93 8.1. Pluralità di persone....................................................................................................................93 8.2. Realizzazione di un fatto di reato (consumato o tentato)............................................................93 9. Contributo causale della condotta tipica alla realizzazione del fatto.............................................94 12. Consapevolezza e volontà di contribuire causalmente alla realizzazione del fatto.........................95 13. L’agente provocatore e l’agente sotto copertura............................................................................95 14. Una deroga alla necessità del dolo di partecipazione: la responsabilità del partecipe per un reato diverso da quello voluto.............................................................................................................................95 15. Il concorso di persone nel reato proprio........................................................................................96 16. Il concorso di persone nei reati necessariamente plurisoggettivi...................................................96 17. Il concorso mediante omissione......................................................................................................97 18. Il trattamento sanzionatorio dei concorrenti nel reato...................................................................97 19. Desistenza volontaria e recesso attivo nel concorso di persone.....................................................98 20. La cooperazione nel delitto colposo...............................................................................................98 21. Il concorso di persone nelle contravvenzioni..................................................................................98 22. Concorso colposo in delitto doloso?...............................................................................................99 SEZIONE V. UNITA’ E PLURALITA’ DI REATI.........................................................................................100 CAPITOLO XI. CONCORSO APPARENTE DI NORME E CONCORSO DI REATI...................................100 1. Il problema...................................................................................................................................100 A. IL CONCORSO APPARENTE DI NORME................................................................................100 2. Le due ipotesi di concorso apparente di norme: unità o pluralità di fatti concreti penalmente rilevanti....................................................................................................................................................100 2.1. Il criterio di specialità..............................................................................................................100 2.2. La sussidiarietà come secondo criterio per individuare un concorso apparente di norme.......101 2.3. La consunzione come terzo criterio per individuare un concorso apparente di norme.............102 3. Più fatti concreti: le ipotesi di antefatto e postfatto non punibile.................................................102 3.1. Antefatto non punibile...............................................................................................................102 3.2. Postfatto non punibile...............................................................................................................103 4. Le norme a più fattispecie e le disposizioni a più norme..............................................................103 B. Il concorso di reati........................................................................................................................103 5. Unità e pluralità di reati. Il concorso di reati: cumulo giuridico e materiale delle pene..............103 6.1. Il concorso formale di reati: a, la struttura..............................................................................104 6.2. Il concorso formale di reati, b: Il trattamento sanzionatorio....................................................104 7 15. La libertà vigilata.........................................................................................................................151 12. Il divieto di soggiorno in uno o più comuni o in una o più province.............................................151 13. Il divieto di frequentare osterie e pubblici spacci di bevande alcooliche......................................152 14. L’espulsione dello straniero e l’allontanamento del cittadino di uno stato membro dell’UE dal territorio dello Stato.................................................................................................................................152 C. LE MISURE DI SICUREZZA PATRIMONIALI: DISCIPLINA GENERALE................................152 15. Tipologia e disposizioni comuni alle misure di sicurezza patrimoniali.........................................152 D. LE SINGOLE MISURE DI SICUREZZA PATRIMONIALI...........................................................152 16. La cauzione di buona condotta.....................................................................................................152 17. La confisca....................................................................................................................................153 17.1. La confisca per equivalente..................................................................................................154 17.2. La c.d. confisca allargata.............................................................................................................154 E. LA PREVENZIONE ANTE DELICTUM.......................................................................................155 18. Le misure di prevenzione: cenni...................................................................................................155 SEZIONE VIII – AI CONFINI DEL DIRITTO PENALE..............................................................................156 CAPITOLO XV. LA GIUSTIZIA RIPARATIVA (CENNI).............................................................................156 CAPITOLO XVI. LA RESPONSABILITÀ DA REATO DEGLI ENTI. CENNI..............................................158 1. La ratio della responsabilità.........................................................................................................158 2. I reati ascrivibili all’ente. La natura della responsabilità dell’ente..............................................158 3. La cerchia degli enti responsabili da reato. I criteri di attribuzione della responsabilità da reato. 158 4. Problemi probatori.......................................................................................................................159 5. Il “dolo” dell’ente: la politica di impresa finalizzata alla commissione del reato.......................159 6. L’autonomia della responsabilità dell’ente..................................................................................159 7. Le sanzioni. Prescrizione. Costituzione di parte civile.................................................................160 10 CAPITOLO 1. LEGITTIMAZIONE E COMPITI DEL DIRITTO PENALE. 1. Teorie della pena e tipo di Stato. Le teorie della pena indagano le fondamenta che legittimano il ricorso, da parte dello Stato, allo strumento penale e possono essere ricondotte a 3 filoni fondamentali: - Teoria retributiva: la pena si legittima in quanto male inflitto dallo Stato per compensare un altro male inflitto dal reo ad un altro individuo o alla società. Tale teoria è assoluta, ovvero svincolata dal perseguimento di qualsiasi fine ulteriore, al contrario delle teorie successive (relative). - Teoria generalpreventiva: la pena si legittima in quanto mezzo per orientare le scelte di comportamento della generalità dei destinatari sortendo sia effetti di intimidazione (in ragione del contenuto afflittivo della pena) che, nel lungo periodo, di orientamento culturale dei consociati; - Teoria specialpreventiva: la pena si legittima come strumento per prevenire che l’autore di un reato ne commetta di altri in futuro, assolvendo a tale funzione in forma di risocializzazione, intimidazione, neutralizzazione (verso il reo non suscettibile né di risocializzazione, né di intimidazione). La legittimazione della pena deve, ad ogni modo, essere correlata alla tipologia di Stato di riferimento – ad esempio, in uno stato teocratico ogni condotta peccaminosa potrebbe essere perseguita come reato – ed in Italia occorre, pertanto, parametrarla ai lineamenti della Costituzione ed indagarla con riferimento ai poteri dello Stato concorrenti nell’esercizio della potestà punitiva (legislativo, nella selezione delle condotte penalmente rilevanti; giudiziario, nell’accertamento delle violazioni e nella comminazione di pene adeguate; esecutivo, nell’esecuzione delle pene). 2. Struttura del reato e tipo di Stato. Il reato è un’entità giuridica storicamente condizionata: anche la struttura del reato è strettamente correlata al tipo di Stato. Nella storia del diritto penale italiano, una prima svolta di rilievo è avvenuta con la secolarizzazione del diritto penale – ovvero, con lo scostamento della repressione penale dalle “condotte peccaminose” alle condotte “socialmente dannose” -, stimolata dai giusnaturalismi ed integratasi, con l’illuminismo, nel modello di stato laico e liberale portatore dei valori di tolleranza civile, libertà religiosa ed inviolabilità della coscienza. Nel modello liberale del diritto penale, consolidatosi in Italia nell’Ottocento (tra i principali contributi a tale progresso, l’opera di Francesco Carrara), le figure di reato poggiano sull’offesa di beni giuridici – individuali e collettivi -, mentre dolo, colpa ed altri elementi attinenti alla colpevolezza rilevano in quanto limiti alla rilevanza penale dell’offesa ai beni tutelati. Il diverso filone dottrinale della Scuola positiva, diffusosi tra fine ‘800 ed inizio ‘900, proponeva invece di riassestare la repressione penale sulla figura del reo – “uomo delinquente” aventi caratteristiche biologico- somatiche tali da renderlo “pericoloso” - valorizzando, di conseguenza, necessità di difesa sociale anche a costo di assunzioni fortemente illiberali (es. pene indeterminate, in quanto correlate al perdurare della pericolosità sociale del delinquente). La Scuola positiva non è riuscita a destabilizzare il concetto liberale di reato; tutt’oggi, nel dare spazio alla “pericolosità individuale”, la legislazione contemporanea ne subordina l’individuazione alla previa commissione di un reato. 3. La legittimazione del ricorso alla pena da parte del legislatore. In uno Stato laico, secolarizzato, pluralista il legislatore non può ricorrere alla pena per fini trascendenti/etici, né come strumento di indiscriminato deterrente volto a reprimere ogni manifestazione di infedeltà allo Stato o di personalità pericolosa. Nello stadio della minaccia legislativa, il ricorso alla pena non può dunque che legittimarsi in chiave di prevenzione generale nei limiti della funzione specialpreventiva rieducativa ex art. 27 c.3 Cost.1: ovvero, ad 1 Corte Cost. 2011 n. 183: “il privilegio di obiettivi di prevenzione generale e di difesa sociale non può spingersi sino al punto da autorizzare il pregiudizio della finalità rieducativa espressamente consacrata dalla Costituzione”. Corte Cost. n. 149/2018: “ la funzione generalpreventiva della pena non può, nella fase esecutiva, operare in chiave distonica rispetto all’imperativo costituzionale della funzione rieducativa della pena medesima (…) da intendersi come fondamentale orientamento di essa all’obiettivo ultimo del reinserimento del condannato nella società. 11 es., evitando pene che comportino la segregazione a vita del condannato o che siano severe a tal punto da non poter essere percepite come giuste dal destinatario. Il legislatore, nella selezione dei fatti penalmente rilevanti, deve sottostare ad una serie di principi: a) Principio di offensività, avente rango costituzionale, secondo il quale non vi può essere reato senza offesa ad un bene giuridico, ovvero ad una situazione di fatto o giuridica, carica di valore, modificabile e quindi offendibile per effetto di un comportamento dell’uomo. Il catalogo dei “beni giuridici” è storicamente condizionato (si pensi, ad esempio, ai nuovi beni giuridici emersi dal progresso: es. “sicurezza del lavoro”, “corretto funzionamento dei mercati finanziari”). Nella giurisprudenza della Corte Cost. e della Cassazione S.U2 il principio di offensività vincola il giudice (c.d. offensività in concreto), tenuto ad evitare che ricadano nel paradigma punitivo astratto comportamenti privi di qualsiasi attitudine lesiva, ed il legislatore (c.d. offensività in astratto); quest’ultimo è tenuto a limitare la repressione penale a fatti che, nella loro configurazione astratta, presentino un contenuto offensivo di beni o interessi ritenuti meritevoli di protezione. b) Il principio di colpevolezza, dotato di rango costituzionale – attraverso il principio di personalità della responsabilità penale ex art. 27 c13 - legittimandosi il ricorso alla pena soltanto in relazione ad offese personalmente rimproverabili al loro autore. Tale principio è strettamente correlato alle funzioni della pena: gli effetti di orientamento (generalpreventivi) presuppongono che il fatto vietato rientri nella sfera di controllo dell’agente e, d’altro canto, non avrebbe senso la “rieducazione” di chi non fosse in “colpa” rispetto al fatto commesso. c) Il principio di proporzione, immanente ai principi costituzionali4 di eguaglianza-ragionevolezza (art. 3 Cost.) e della rieducazione del condannato (art. 27 c.3 Cost.), esprime l’esigenza che i vantaggi attesi dalla società da una comminatoria di pena siano comparati con i costi da essa implicati (sia socio-economici che individuali, ad es. in termini di lesione della libertà personale); il principio di sussidiarietà – radicato nell’art. 13 c1 Cost., che riconosce carattere inviolabile alla libertà personale - postula, poi, che la pena possa essere utilizzata soltanto quando nessun altro strumento, sanzionatorio o non, sia in grado di assicurare al bene giuridico una tutela altrettanto efficace verso una determinata forma di aggressione. La pena, come affermato nella giurisprudenza della Corte costituzionale, deve essere proporzionata al disvalore del fatto commesso, nella corretta coordinazione delle funzioni di difesa sociale e di tutela delle posizioni individuali. Da ciò derivano 3 implicazioni: 1) In ragione dei costi connessi all’esercizio della funzione punitiva, solo offese sufficientemente gravi, arrecate ad un bene giuridico sufficientemente importante, meritano il ricorso alla pena. 2) Se, peraltro, dal ricorso alla pena non discenda alcun vantaggio per la società (o, peggio, laddove essa risulti criminogena), il legislatore deve astenersi dal prevederla (es. fallimento generalpreventivo della criminalizzazione dell’aborto). 3) L’effetto rieducativo della pena presuppone, infine, che essa sia proporzionata alla gravità oggettiva e soggettiva del reato5 . La pena dunque dev’essere, oltre che meritata (principio di proporzionalità), necessaria come extrema ratio (principio di sussidiarietà); il legislatore deve astenersi dal ricorrervi per reprimere sia fatti scarsamente rilevanti, che fatti – pur rilevanti, meritevoli di pena – fronteggiabili in modi diversi (es. interventi di politica 2 Cass. 2013 (Sciuscio): legislatore vincolato ad elevare a reati solo fatti concretamente offensivi; l’interprete delle norme penali ha l’obbligo di adattarle alla Costituzione in via ermeneutica, rendendole applicabili solo ai fatti concretamente offensivi. 3 Corte Cost. n. 364/1988 4 Corte Cost. N. 236/2016 (alterazione di stato mediante falsità): violazione artt. 3 e 27 Cost. in ragione dell’eccessiva asprezza della risposta sanzionatoria; Corte Cost. n. 63/2022, dichiarato illegittimo l’art. 12 c3 T.U. Immigrazione configurando un trattamento immotivatamente più severo 5 Corte Cost. n. 343/1993: La palese sproporzione del sacrificio della libertà personale vanifica il fine rieducativo, risultando incomprensibile per il destinatario ed inidonea a promuovere un atteggiamento costruttivo nell’affrontare il percorso rieducativo. 12 - Post caduta del fascismo sino ad oggi, operate svariate modifiche alla legislazione (riforma delle circostanze, riforma penitenziaria, riforma della recidiva, ecc.) ed introduzioni di leggi penali speciali (situate fuori dal codice, ma alle quali se ne applica la parte generale), ad es. in materia fallimentare. La Corte costituzionale ha offerto un impulso al superamento dei caratteri illiberali della legislazione fascista (principi di colpevolezza, riserva di legge, eguaglianza-ragionevolezza, rieducazione ecc.). L’esigenza di parametrarsi ad un corpo normativo coerente ravviva, periodicamente, le istanze di una nuova codificazione penale. Nel 2018, in tale ottica, è stato formulato il principio della riserva di codice (destinato a stimolare un generale riassetto della legislazione penale speciale): nuove disposizioni che prevedano reati possono essere introdotte nell’ordinamento solo se modificano il Codice penale o se sono inserite in leggi che disciplinano in modo organico la materia. 15 SEZIONE II. LA LEGGE PENALE. CAPITOLO II. LE FONTI. 1. La funzione di garanzia del principio di legalità. Il principio di legalità, o di riserva di legge in materia penale, sopravvissuto alla deriva repressiva della legislazione fascista, ha trovato ampio recepimento nella Costituzione repubblicana: - Ex art. 25 c2 Cost. nessuno può essere punito se non in forza di una legge; - Ex art. 25 c3 Cost., nessuno può essere sottoposto a misura di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge. La matrice politico-istituzionale del principio di legalità poggia sui principi dello Stato liberale di diritto, nonché sulla conseguente attribuzione della potestà punitiva al Parlamento – organo rappresentativo della volontà popolare - . La riserva di legge in materia penale sarebbe preferibilmente da intendersi, secondo il manuale, come riserva di legge formale (decreti legislativi e decreti-legge non rientrerebbero tra le fonti del diritto penale 9); nella prassi parlamentare e governativa, tuttavia, si registra un orientamento contrastante (con ampio ricorso allo strumento del decreto-legge, es. decreti emanati durante la pandemia, e dei decreti legislativi), legittimato dalla dottrina maggioritaria (che interpreta la riserva di legge in senso materiale, ovvero comprendendovi gli atti normativi del potere esecutivo aventi “forza di legge”). Il manuale critica tale tendenza evidenziando come, in caso di mancata conversione del decreto-legge, gli effetti sulla libertà personale da esso scaturiti (condanne definitive/misure cautelari) non sarebbero più reversibili. Con riguardo all’impiego dello strumento del decreto legislativo, peraltro, la prassi pare lontana dagli standard di rigore, analiticità e chiarezza auspicati quali condizioni per la legittimità della delega, dovendo sovente rimettendosi al potere esecutivo il compito di selezionare i fatti penalmente rilevanti. La Corte Costituzionale, a tal riguardo, ha evidenziato la necessità di una puntuale verifica sull’esercizio, da parte del Governo, della funzione legislativa delegata, necessario presidio garantistico del rispetto del principio della riserva di legge in materia penale10. I decreti governativi in tempo di guerra rappresentano l’unica deroga alla riserva di legge formale ex art. 25 c2 Cost.: in caso di conflitto, le Camere possono delegare la potestà punitiva al Governo (mai, invece, all’autorità militare). La legge regionale non può essere fonte di diritto penale, materia di legislazione esclusiva dello Stato11 - altrimenti i cittadini di altre regioni, per condotte tenute nel territorio di una Regione diversa da quella cui appartengono, si vedrebbero applicare norme incriminatrice emanate da un organo privo, nei loro confronti, di qualsiasi rappresentatività -. L’art. 23 dello Statuto Regionale del Trentino-Alto Adige parrebbe contenere un’eccezione, disponendo che “la Regione e le Province utilizzano – a presidio delle norme contenute nelle rispettive leggi – le sanzioni penali che le leggi dello Stato stabiliscono per le stesse fattispecie. La Corte Cost. ha, tuttavia, negato ogni spazio a potestà normativa in materia penale, ritenendo che la formula “stesse fattispecie” si riducesse al mero rinvio a leggi dello Stato. Le Regioni possono, tuttavia, prevedere norme scriminanti, non essendo esse qualificabili come norme penali, ma non incidere sulla disciplina delle cause di giustificazione (improntata al rispetto di principi generali dell’ordinamento). 2. Diritto dell’UE e diritto penale. 9 Corte Cost. n. 230/2012: solo il Parlamento, rappresentando l’intero popolo (e non solo la maggioranza), è in grado di compiere le scelte punitive nel rispetto della dialettica tra maggioranza e minoranza. 10 Corte Cost. n. 5/2014. 11 Corte Cost. n. 45/2014. 16 Precedentemente all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona del 2007, nessun Trattato attributiva ad istituzioni comunitarie l’espressa potestà di creare norme incriminatrici, pur potendo esse introdurre sanzioni amministrative o imporre agli Stati membri l’obbligo di tutelare determinati interessi emanando leggi penali (le uniche, talora, in grado di garantire una tutela efficace, proporzionata e dissuasiva)12. Il Trattato sul Funzionamento dell’UE regolamenta le modalità d’intervento dell’UE in materia penale: - Art. 83 TFUE (competenza penale indiretta): emanazione di direttive che prevedano standard minimi di repressione verso fenomeni criminali particolarmente gravi e dotati di una dimensione transnazionale, o laddove ciò si rilevi indispensabile per garantire l’attuazione efficace ed armonica di una politica dell’Unione; - Art. 86 TFUE (competenza penale diretta?): istituzione di una Procura europea competente per individuare, perseguire e rinviare a giudizio gli autori dei reati che ledono gli interessi finanziari dell’unione, presupponente – secondo alcuni - la competenza ad introdurre direttamente le norme incriminatrici necessari per la tutela di tali interessi. Non è, tuttavia, pacifico – anche per via di alcune divergenze linguistiche tra le traduzioni della disposizione – che tale disposizione attribuisca all’Unione una competenza penale diretta. In conclusione, non si può affermare che esista una potestà sanzionatoria penale dell’UE – e, in ogni caso, norme penali emanate da fonti comunitarie non potrebbero essere integrate nell’ordinamento italiano, dal momento che violerebbero la riserva di legge -. Il diritto europeo, tuttavia, incide notevolmente sulla discrezionalità del legislatore italiano (obblighi di criminalizzazione, vincoli sulla conformazione dei precetti/natura e misura delle sanzioni penali, ecc.) il quale, se inottemperante, rischierebbe di incorrere nella procedura d’infrazione ex art. 258 TFUE. Dal diritto europeo discendono, poi, vincoli per il giudice penale: a) Norme europee dotate di efficacia diretta, contrastanti – parzialmente, con estromissione dal campo di applicazione della norma penale delle ipotesi regolate in modo diverso dalla norma UE, o totalmente - con norme penali statali, possono paralizzarne l’applicabilità in forza del principio della prevalenza del diritto dell’Unione su quello nazionale13 (destinato tuttavia ad essere disapplicato, come sarà approfondito in seguito, quando la disapplicazione del diritto nazionale comporti una violazione dei principi cardine dell’ordinamento interno); b) Dove emerga l’incompatibilità tra norma penale e diritto UE, e sia stata espressa sentenza definitiva di condanna sulla base di tale norma, ne cessa l’esecuzione e ne vengono meno gli effetti penali (applicandosi in via analogica l’art. 673 c.p.p., relativo ad abrogazione/dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice); c) Si applica l’obbligo di interpretazione conforme alla normativa europea nell’interpretazione della normativa nazionale che attui gli obblighi di matrice comunitaria e, laddove il giudice nazionale versi in stato di dubbio sul significato da attribuire ad una norma di fonte UE, potrà(/dovrà, laddove sia un giudice di ultima istanza) investire pregiudizialmente della questione la Corte di Giustizia. In caso di contrasto tra una norma UE dotata di efficacia diretta ed un principio cardine dell’ordinamento interno, tuttavia, è controverso se il giudice debba disapplicare la disciplina nazionale o se, al contrario, possa azionare come contro-limiti all’ingerenza comunitaria i principi strutturali del proprio Stato. La vicenda Taricco (2018). Caso: contrastante con il diritto comunitario la normativa sulla prescrizione del reato, ammettendosi il rischio di prescrizione del reato anche quando l’autorità giudiziaria non sia inerte, ma stia procedendo. Una simile disciplina – applicata a fattispecie connotate da tempi di prescrizione particolarmente ridotti – si porrebbe in contrasto con le istanze di contrastare numerosi casi di frode grave che ledano gli interessi finanziari dell’UE: per tale ragione, la Corte di Giustizia ha censurato la normativa italiana. 12 Tale ultimo potere, avallato nel 2005 dalla Corte di Giustizia, è stato per la prima volta impiegato con riguardo ad uno strumento normativo di primo pilastro (“diritto comunitario” in senso stretto) nel 2008 (“tutela penale dell’ambiente”; Dir. 2008/99/CE); già da tempo, ad ogni modo, obblighi di tale natura erano veicolati da strumenti normativi di terzo pilastro (convenzioni, decisioni-quadro), volti ad armonizzare le legislazioni penali degli Stati membri nel contrasto di fenomeni transnazionali (es. terrorismo). 13 Corte di Giustizia, Sent. Taricco (2018) 17 Sia nei rapporti tra legge ed atti normativi generali ed astratti del potere esecutivo, che nei rapporti tra legge e provvedimenti individuali e concreti dell’esecutivo emerge la questione problematica relativa all’individuazione della portata della riserva di legge ex art. 25 c2 Cost. 6.1. Legge penale ed atti generali e astratti del potere esecutivo. Un primo orientamento ritiene, a tal riguardo, legittima ogni forma di rinvio da parte della legge a una fonte subordinata, svuotando di significato la riserva dii legge. Un secondo orientamento, nel sostenere la tesi della riserva di legge relativa, ammette che le fonti subordinate, sulla base di un rinvio contenuto nella norma legislativa, possano integrare il precetto penale; ciò purché, nel rispetto dell’art. 25 Cost., la legge indichi con sufficiente specificazione – criterio particolarmente vago - presupposti, caratteri, contenuto e limiti dei provvedimenti dell’autorità non legislativa, alla trasgressione dei quali debba seguire la pena21; Un terzo orientamento aderisce alla tesi della riserva tendenzialmente assoluta: esso ritiene legittimo il rinvio della legge ad atti generali e astratti del potere esecutivo solo se si limitino a specificare sul piano tecnico elementi già descritti dal legislatore (es. art. 73 T.U. stupefacenti, nel quale il legislatore opera un rinvio – di natura tecnica, piuttosto che politica - ad un decreto del Ministro della salute per l’aggiornamento della tabella delle sostanze sanzionate). Il manuale ritiene preferibile tale orientamento. 6.2. Legge penale e provvedimenti individuali e concreti del potere esecutivo. Non violano, a tal riguardo, la riserva di legge norme penali che sanzionino l’inottemperanza a “classi” di provvedimenti della P.A. (es. provvedimento dell’autorità “per ragioni di igiene”) o dell’autorità giudiziaria: questi sarebbero, difatti, estranei al precetto penale. Le relative norme incriminatrici possono, tuttavia, violare la riserva di legge sotto il profilo del principio di precisione, laddove sia descritta in modo impreciso la classe di provvedimenti di cui sia sanzionata l’inottemperanza (es. art. 650 c.p.: classi di provvedimenti emanati “per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblico o d’ordine pubblico”). 6.3. Norme penali in bianco. Sono norme penali in bianco quelle il cui precetto sia posto, in tutto o in parte, da una norma di fonte inferiore alla legge. Adottando il modello della riserva di legge tendenzialmente assoluta, perché simili norme siano costituzionalmente conformi occorre che il precetto non specificato nella legge penale abbia carattere meramente tecnico (e sia adeguatamente individuato). 7. Riserva di legge e potere giudiziario. La riserva di legge, nel tutelare il cittadino dagli arbitri del potere giudiziario, impone al legislatore un triplice ordine di obblighi riconducibili, rispettivamente, ai principi di precisione, determinatezza e tassatività (riconosciuti “parte integrante del principio di legalità” di cui all’art. 25 c2 Cost.22). Nella giurisprudenza di legittimità, la Cassazione23 ha recentemente attribuito ad essi espresso ed autonomo rilievo: - il principio di precisione ostacola interpretazioni creative e consente di prevedere le conseguenze delle proprie condotte; - il principio di determinatezza osteggia la configurazione di reati incentrati su connotati soggettivi interiori sottratti all’individuazione di elementi probatori empirici; - il principio di tassatività preclude l’applicazione analogica delle norme incriminatrici. 8. Il principio di precisione. 21 Corte Cost. n. 26/1966. 22 Corte Cost. n. 98/2021. 23 Cass. 2019, Fasciani. 20 Il principio di precisione vincola il legislatore a formulare le norme penali nella forma più chiara possibile: esso garantisce la divisione dei poteri, promuovendo l’eliminazione del margine in cui possa innestarsi il “ruolo creativo” del giudice (tanto più ampio, quanto più imprecisa risulti la normativa); tutela la libertà e sicurezza dei cittadini (in modo che possano discernere chiaramente cosa sia vietato 24); è condizione indispensabile perché la pena possa operare come strumento di prevenzione generale (la norma, per orientare i consociati, deve essere formulata in modo precisa); consente di muovere all’agente un rimprovero di colpevolezza25; assicura all’imputato il pieno esercizio del diritto di difesa26. Il legislatore può adottare svariate tecniche di formulazione normativa: - La tecnica casistica (descrizione analitica di specifici comportamenti, oggetti, situazioni) garantisce il più elevato grado di precisione, pur prestando il fianco a due ordini di critiche: promuove lo sviluppo di norme particolarmente complesse (es. 589-bis) e, d’altro canto, potrebbe facilitare l’insorgenza di lacune (non colmabili in via analogica dal giudice); - Il ricorso a clausole generali (formule sintetiche comprensive di un gran numero di casi, che il legislatore rinuncia ad enumerare e specificare: es. art. 575), legittimo purché siano individuabili in modo sufficientemente certo le ipotesi riconducibili alla norma incriminatrice27. - L’impiego di definizioni legislative (es. definizione di dolo ex arrt. 43 c.p.), anche per chiarire quando un determinato termine presenti un significato autonomo nel diritto penale (“agli effetti della legge penale (…)”). - L’individuazione degli elementi del reato ricorrendo a termini/concetti descrittivi, ovvero che facciano riferimento, descrivendoli, ad oggetti della realtà fisica o psichica, suscettibili di essere accertati con i sensi o, comunque, attraverso l’esperienza. Laddove concetti descrittivi presentino una “zona grigia” tale da compromettere l’individuazione dei fatti cui si riferiscono, la norma sarà illegittima per violazione dell’art. 25 c2 Cost. - L’impiego di concetti normativi, ovvero che facciano riferimento ad altre norme giuridiche (es. “matrimonio”) o extragiuridiche (es. “atti sessuali”). Tale tecnica è compatibile con il principio di precisione purché il concetto normativo non generi incertezze né in ordine all’individuazione della norma richiamata, né in ordine all’ambito applicativo ed al contenuto della norma – tali requisiti, generalmente rispettati laddove sia richiamata una norma giuridica o extragiuridica tecnica, possono vacillare in presenza di richiami a norme etico-sociali (es. “morale familiare”) – a maggior ragione, in un contesto sociale sempre più multiculturale28. Nella giurisprudenza, il principio di precisione è spesso valorizzato come argine all’attività creativa del giudice e assume una duplice accezione: impone, ovvero, di verificare sia l’ intellegibilità del precetto in base alla sua formulazione linguistica, che la verificabilità del fatto descritto dalla norma incriminatrice29. Esso consiste anche in un criterio interpretativo, imponendo al giudice di assegnare alla norma il significato che meglio soddisfi le esigenze di precisione (anche alla luce del contesto in cui la norma si inserisca). Nella giurisprudenza costituzionale, frequentemente, le questioni sollevate per evidenziare violazioni del principio di precisione sono incappate in sentenze di rigetto (ora in ragione della diffusa comprensione dei termini contestati, ora potendosene chiarire il significato mediante interpretazione sistematica o teleologica) o in sentenze interpretative di rigetto (nelle quali la Corte “ha chiarito” il significato delle norme conferendo ad esse adeguati connotati di precisione), pur registrandosi la tendenza ad una sempre maggior apertura all’accoglimento delle questioni30. 24 Corte Cost. n. 364/1988. 25 Corte Cost. n. 364/1988: scusabile l’errore sulla legge penale provocato dalla assoluta oscurità del testo normativo. 26 Corte Cost. n. 34/1995: una norma imprecisa impedisce ad imputato e difensore di individuare l’oggetto dell’accusa e di fornire elementi di prova a sua discolpa. 27 Corte Cost. n. 172/2014: non è esclusa l’ammissibilità di formule elastiche, cui il legislatore deve ricorrere laddove riscontri l’impossibilità pratica di elencare analiticamente tutte le situazioni astrattamente idonee ad essere riportate alla norma incriminatrice. 28 Offre spunti interessanti la tematica dei reati culturalmente motivati, talora duramente repressi (es. infibulazione), talora affrontati con l’applicazione di attenuanti in sede di commisurazione della pena (l’effetto motivante esercitato dalla cultura di appartenenza può rendere meno riprovevole la commissione di reati che si esauriscano all’interno della cerchia dei rapporti familiari – es. percosse o, addirittura, portare all’esclusione della responsabilità penale in casi di errore inevitabile o di errore sul fatto). 29 Corte Cost. n. 172/2014. 30 Corte Cost. n. 34/1995: Incostituzionale una disposizione in materia di immigrazione volta a punire lo straniero espulso che “non si adoperasse” (termine estremamente generico) per ottenere il documento di viaggio. 21 Nella giurisprudenza di Cassazione, poi, il principio di precisione è spesso valorizzato come criterio interpretativo di disposizioni incriminatrici31. Talora, peraltro, la Corte di Cassazione – incappando in concetti irrimediabilmente imprecisi - “riscrive” norme incriminatrici sospettate di illegittimità, piuttosto che sollevare questioni di legittimità costituzionale 32 . Il principio di precisione sta assumendo, infine, una rilevanza sempre maggiore nell’orientamento dell’attività normativa, ispirando svariati interventi normativi atti a riformare – all’insegna di un più alto grado di precisione – numerose fattispecie di reato (es. usura, abuso d’ufficio, pornografia minorile). 9. Il principio di determinatezza. Il principio di determinatezza esprime l’esigenza che le norme penali descrivano fatti suscettibili di essere accertati e provati nel processo sulla base di massime d’esperienza o leggi scientifiche dal momento che, in caso contrario, vi sarebbe ampio spazio per condanne arbitrarie33. In ragione di tale principio, ad esempio, la Corte costituzionale ha dichiarato illegittima (Sent. n. 96/1981) la norma incriminatrice del plagio (art. 603 c.p.): non sarebbero, nel caso di specie, verificabili o accertabili le attività esplicabile per ridurre una persona in “totale stato di soggezione”. 10. Il principio di tassatività. Il principio di tassatività delle norme incriminatrici presuppone il divieto di analogia in malam partem: del resto, come affermato dalla Corte Cost. (Corte Cost. n. 98/2021), la riserva di legge verrebbe nella sostanza svuotata ove ai giudici fosse consentito di applicare pene al di là dei casi espressamente previsti dalla legge. 10.1. Principio di tassatività come vincolo per il giudice. Il tenore letterale della legge marca la linea di confine tra interpretazione (anche estensiva) ed analogia34 – caso, quest’ultimo, in cui il giudice estende la norma a casi simili a quelli contemplati dalla legge, sulla base di una comune ratio di disciplina. Alcuni orientamenti di Cassazione rispettosi del divieto di analogia: - Cass. 2021, Omissione di soccorso (art. 593): “trovare” si riferisce a chi sia in presenza della persona in pericolo e non, ad es., a chi sia stato avvertito al telefono da altri che una persona giaccia ferita. - Cass. varie, molestie recate col mezzo del telefono (art. 660) non integrata dall’invio attraverso E- mail dal pc – integrata, invece, in caso di invio di SMS -. - Contrasto giurisprudenziale (attualmente rimesso a S.U.), Pornografia minorile (art. 600ter c4): ”utilizzo” di minori esclude il caso in cui la minorenne abbia realizzato fotografie pornografiche e le abbia cedute ad altri. Alcune pronunce di Cass. in potenziale violazione del divieto di analogia: - Cass. 2009, getto pericoloso di cose (art. 674) estesa all’immissione di “onde elettromagnetiche”; - Cass. 2019, appropriazione indebita (art. 646), dati informatici (files) ricompresi nella nozione di “cosa mobile”. 31 S. U. 2017 (Paternò): la prescrizione di “vivere onestamente”, ancorché inserita in un contesto (codice antimafia) che, come inizialmente sostenuto dalla Corte Costituzionale nel 2010, consentirebbe di specificare adeguatamente tale locuzione, è stata criticata dal momento che opererebbe un “illimitato richiamo all’intero ordinamento italiano”; le S.U. hanno, dunque, operato un’interpretazione conforme al principio di precisione, escludendo tale espressione dal nucleo della norma incriminatrice (sull’onda di una decisione della Corte Edu emanata nello stesso anno, De Tommaso c. Italia). La Corte Costituzionale ha avallato tale rilievo, dichiarando nel 2019 l’illegittimità costituzionale delle prescrizioni contestate. 32 Cass. 2012 (Biondi): “quantità ingenti” di stupefacenti definita come “in quantità pari o superiore a 2000 volte il numero massimo in mg determinato, per ogni sostanza, dal decreto ministeriale per delimitarne l’”uso personale”. 33 Estremizzando, basti pensare alle “condanne per stregoneria” ad opera dell’inquisizione: era impossibile difendersi fa una simile accusa che, pertanto, era spesso usata come strumento dalla Chiesa per liberarsi dei propri nemici. 34 Corte Cost. 98/2021 (Divieto di analogia in malam partem). Caso: fatto contestato dal delitto di atti persecutori, aggravato in ragione della relazione affettiva tra vittima e reo, riqualificato come “maltrattamenti contro familiari e conviventi”. Non costituisce ipotesi di “convivenza” una relazione, come nel caso di specie, durata 4 mesi: tale riqualificazione sarebbe frutto di un’interpretazione analogica in malam partem. 22 - Il legislatore non avrebbe, peraltro, compiutamente individuato i contenuti delle misure di sicurezza. L’art. 25 c3 Cost. impone che il legislatore individui il tipo di misura di sicurezza applicabile dal giudice (laddove la legge preveda l’applicazione di una misura senza indicarne la specie, ex art. 215 c3, trovano applicazione – apparentemente, a discrezione del giudice – libertà vigilata, colonia agricola o casa di lavoro). Le misure di sicurezza, in quanto correlate alla pericolosità sociale del reo, possono essere indeterminate nel massimo; relativamente alle misure di sicurezza detentive, tuttavia, la durata massima della misura è ancorata al massimo edittale della pena detentiva comminata per il reato commesso. 10. L’interpretazione nel diritto penale. L’attività ermeneutica soggiace, nel diritto penale, a regole peculiari espressione di principi costituzionali: dal divieto di analogia in malam partem, limite esterno all’opera dell’interprete, ad una serie di criteri selettivi dei fatti penalmente rilevanti implicati per pervenire ad un’interpretazione della legge penale “conforme alla Costituzione”. - Il principio di offensività (esclusione, in via interpretativa, di fatti inoffensivi del bene giuridico); - Il principio di colpevolezza (vincola l’interprete, nelle persistenti ipotesi di responsabilità oggettiva, a subordinare l’attribuzione della responsabilità all’accertamento della colpa dell’agente); - Il principio di precisione preclude all’interprete di attribuire alla norma significati sì compatibili con il tenore letterale del divieto o del comando imposto dalla legge, ma che gli conferirebbero contorni inguaribilmente imprecisi43; - Il divario di rango costituzionale tra il bene della “vita” e quello del “patrimonio” impone di ricondurre ai canoni costituzionali la disciplina della legittima difesa domiciliare (Cap. VII); - L’obbligo di interpretazione conforme alla normativa europea; ecc. Non trova spazio, nell’interpretazione della legge penale, il principio di autorità: il giudice è soggetto alla sola legge, e non può essere assoggettato al rispetto delle opinioni dominanti in giurisprudenza/dottrina (gli stessi principi di diritto enunciati dalla Cass. vincolano il solo operato del giudice di rinvio, e possono essere smentiti in seguito44). Il significato della lettera della legge deve essere chiarito, con riguardo a determinati termini, ricorrendo ora al linguaggio comune – depurato dalle peculiarità talora ravvisabili in letture giurisprudenziali/dottrinali45 -, ora al linguaggio giuridico (es. nel caso degli elementi normativi giuridici); ora al linguaggio economico- aziendale; ora al linguaggio medico/biologico46, ecc. L’interpretazione sistematica può, infine, rivelarsi particolarmente utile47. 43 Cass. 2002 (Sciamanneo), contro la configurabilità del delitto di “abuso d’ufficio” in presenza di mero “eccesso di potere” (parametro particolarmente elastico). 44 Corte Cost. n. 230/2012: mutamenti giurisprudenziali non possono, del resto, comportare la revoca della sentenza di condanna passata in giudicato. 45 Cass. 2018 (Sarchi), in ordine al termine “violenza” espanso sino a ricomprendervi qualsiasi “costrizione” del soggetto passivo – nel caso di specie, trattenersi in una scuola durante una manifestazione di protesta -. 46 Cass. orientamenti contrastanti circa l’interpretazione del concetto di malattia nel corpo (art. 582 c1): - Ogni alterazione dell’organismo anche di breve durata (es. contusioni); - “Processo morboso che comporti un’apprezzabile riduzione di funzionalità”, nozione più “tecnica”. 47 Cass. 2019 (Gattuso, relativamente ad una “tirata di capelli” con dolore guaribile in due giorni): nell’interpretazione del concetto di “malattia” nell’ambito del delitto di “lesione personale”, esso sarebbe da intendersi come “riduzione di funzionalità dell’organismo umano”; il meno grave delitto di “percosse” (art. 581) trova, difatti, applicazione “quando dal fatto non derivi una malattia”. 25 CAPITOLO III. I LIMITI ALL’APPLICABILITÀ DELLA LEGGE PENALE. A) . I LIMITI TEMPORALI. 1. Il principio di irretroattività delle norme penali sfavorevoli all’agente. Presupposto dello Stato liberale di diritto è che il “se” ed il “quanto” della punizione siano determinati soltanto dalla legge in vigore al momento della commissione del fatto, ponendo il cittadino al riparo dall’arbitrio del legislatore e del giudice; tale assunto, d’altro canto, è condizione indispensabile perché la minaccia della pena possa funzionare come strumento di prevenzione generale48. Come evidenziato nella giurisprudenza della Corte costituzionale, il principio di irretroattività garantisce: - In primo luogo, la prevedibilità delle conseguenze discendenti dalla violazione di norme penali garantisce la certezza di libere scelte d’azione in capo all’agente49 e la possibilità di compiere adeguate scelte difensive, calibrandole sui concreti scenari in cui potrebbe incappare in caso di condanna; - In secondo luogo, salvaguarda da possibili abusi da parte del potere legislativo – impossibilitato ad aggravare ex post pene per fatti già compiuti. Il principio di irretroattività trova fondamento nelle seguenti disposizioni: - Art. 25 c2 Cost.: nessuno può essere punito se non in forza di una legge entrata in vigore prima del fatto commesso50. - Art. 2 c1 c.p.: nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato (in ragione della creazione di una nuova figura di reato, o dell’ampliamento di figure di reato preesistenti). - Art. 2 c4: se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni (quanto a pene principali, pene accessorie ed effetti penali della condanna) sono più favorevoli al reo. Tale prescrizione si estende a tutti gli istituti destinati ad incidere in vario modo sul trattamento penale (inclusa sospensione condizionale, misure alternative, ecc.). - Anche fonti sovranazionali – insignite di rango costituzionale ex art. 117 Cost. - valorizzano il principio di irretroattività (es. art. 7 CEDU, art. 49 CDFUE). Il principio di irretroattività, benché l’art. 14 prel. stabilisca, in via, generale, “ la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”, può generalmente essere derogato dal legislatore (assumendo rilievo costituzionale assoluto soltanto in ambito penale). La Corte costituzionale, valorizzando tale principio, ne ha tuttavia operato alcune estensioni: - Laddove il legislatore emani leggi con efficacia retroattiva in pregiudizio dei diritti dei cittadini, deve essere ravvisabile una ragionevole causa giustificatrice (Corte Cost. n. 155/90); - Dal momento che la giurisprudenza di Strasburgo, nell’interpretare gli artt. 6-7 CEDU (rilevanti ex art. 117 Cost.), ha esteso la disciplina della sanzione penale a “tutte le misure di carattere punitivo- afflittivo”, anche le sanzioni amministrative (comunque coperte, a livello legislativo, dal principio di irretroattività a partire dal 1981) devono esservi assoggettate; consentirebbe, ad ogni modo, di pervenire a medesima conclusione la formulazione – estensivamente interpretata - dell’art. 25c2 Cost.51. Anche il legislatore, nel promuovere una serie di interventi di depenalizzazione, ha dovuto confrontarsi con il principio di irretroattività delle sanzioni amministrative (che, talora, rischiavano di risultare più afflittive delle sanzioni penali che andavano a sostituire). 2. Principio di irretroattività e mutamento dell’interpretazione giurisprudenziale (Contrada c. Italia). 48 Corte Cost. n. 364/88. 49 Corte Cost. n. 364/88, n.322/07 (irretroattività e colpevolezza): in tale accezione (prevedibilità), garantire al cittadino “libere scelte d’azione” impone di escludere che gli sia accollata responsabilità penale per fatti non rimproverabili. 50 Ribadito in Corte Cost. n. 32/20: divieto esteso anche alla punizione più severa di fatti che già costituivano reato. 51 Corte Cost. n. 196/10: “nessuno può essere punito” – qualsiasi intervento sanzionatorio. 26 È emersa una questione in ordine all’operatività del principio di irretroattività in presenza di ipotesi in cui l’estensione dell’ambito di applicazione di una figura di reato sia il frutto non già di una modifica normativa, quanto di un mutamento dell’interpretazione giurisprudenziale. Nel 2015 (Contrada c. Italia) la Corte EDU aveva ravvisato una violazione dell’art. 7 CEDU: era stata contestata la figura del concorso esterno in associazione mafiosa per condotte compiute in un momento in cui tale fattispecie non era stata ancora definita con sufficiente chiarezza dalla giurisprudenza (e la condanna non risultava, pertanto, prevedibile). Recependo tale orientamento, la Cass. ha affermato, nel 2017, che non è consentita l’interpretazione retroattiva dell’interpretazione giurisprudenziale di una norma penale nel caso in cui il risultato interpretativo non fosse ragionevolmente prevedibile nel momento in cui la violazione sia stata commessa: per tale ragione ha annullato la sentenza di condanna di Contrada, dichiarandola ineseguibile ed improduttiva di effetti penali – epilogo, evidenzia la Cass. in ulteriori pronunce, non estensibile a vicende nelle quali non sia stato presentato ricorso alla Corte EDU - . Permangono, tuttavia, orientamenti contrastanti52. Quanto all’applicabilità retroattiva di un mutamento giurisprudenziale sfavorevole che interessi una norma di diritto processuale (ambito dominato dal principio tempus regit actum) la Cassazione ha parimenti escluso la retroattività del mutamento in malam partem laddove fosse imprevedibile (tale, ovvero, da incidere sull’affidamento del soggetto nella predeterminazione delle regole del processo). 3. Principio di irretroattività e misure di sicurezza. L’art. 25 c3 Cost., con riguardo alle misure di sicurezza, enuncia il principio di legalità ma non quello di irretroattività; l’art. 200 c.p., peraltro, stabilisce che le misure di sicurezza siano regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione e che “se la legge del tempo in cui deve eseguirsi la misura di sicurezza è diversa, si applica la legge in vigore al tempo dell’esecuzione”. Occorre, tuttavia, interpretare restrittivamente l’art. 200, disposizione incidente su garanzie fondamentali riconosciute all’individuo. Essa disciplinerebbe, in tal senso, l’ipotesi in cui al tempo della commissione del fatto esso fosse già previsto come reato e la legge del tempo già prevedesse l’applicabilità di una misura di sicurezza, di cui la legge successiva abbia semplicemente modificato le modalità esecutive (anche in malam partem). Nell’assenza di una “copertura costituzionale” in tal senso, il legislatore potrebbe ad ogni modo derogare al principio di irretroattività (es. introducendo una nuova misura di sicurezza e disponendone l’applicazione retroattiva); con il rischio, a tal riguardo, del realizzarsi di fenomeni di “frode delle etichette” (qualificazione come “misura di sicurezza” di una sanzione avente i connotati della “pena”) – in violazione dell’art. 25 c2 e dell’art. 117 c1 (in ragione dell’interpretazione estensiva del termine “pene” operata dalla Corte EDU)53. 4. Principio di irretroattività, diritto processuale penale ed esecuzione della pena. La materia processuale è sottoposta al principio tempus regit actum (gli atti processuali già compiuti conservano la loro validità anche dopo un mutamento della disciplina legislativa, mentre gli atti da compiere sono immediatamente disciplinata dalla nuova legge processuale, ancorché collegati ad atti compiuti in precedenza): le norme che la regolano non interferiscono, del resto, con le libere scelte d’azione del cittadino. Talora, tuttavia, non è pacifico se una disciplina debba essere inquadrata nella materia processuale: occorre, in tal caso, risolvere la questione non vagliando l’appartenenza formale degli istituti “controversi” al diritto penale sostanziale o processuale, quanto la funzione assegnata dalla Costituzione al principio di irretroattività54. 4.1. Principio di irretroattività e prescrizione della pena. 52 Cass. 2016 (Ciancio): principio di irretroattività non violato laddove l’interpretazione sfavorevole sia comunque razionalmente correlabile al significato letterale della previsione, e la latitudine interpretativa non discenda da una patologica indeterminatezza della fattispecie. 53 Corte Cost. n. 97/09: esclusa l’applicazione retroattiva di alcune ipotesi speciali di confisca (confisca per equivalente estesa a reati tributari), avendo nella sostanza natura di sanzione penale per la “mancanza di pericolosità dei beni che ne sono oggetto” e l’”assenza di un rapporto di pertinenzialità tra beni e reato commesso”. Anche la confisca obbligatoria del veicolo conseguente alla condanna per contravvenzione di guida in stato di ebbrezza è stata, del pari, qualificata come pena, nel 2010, da Cass. e Corte Cost. Residuano, ad ogni modo, due ipotesi di confisca ritenute retroattivamente applicabili: la c.d. confisca allargata ed una forma di confisca di prevenzione prevista nel codice antimafia). 27 norma incriminatrice66 ma anche in seguito ad interventi su disposizioni di parte generale (es. ipotetica restrizione del concetto di colpa). Per stabilire se sia intervenuta abolitio crimins occorre operare il confronto strutturale tra le fattispecie legali astratte prima e dopo l’intervento della nuova legge, mentre non rileva che l’abolizione del reato comporti la liceizzazione del fatto o la sua riqualificazione come illecito amministrativo. Ex art. 2 c2 è sufficiente che il fatto non costituisca reato secondo una legge posteriore: anche la c.d. legge intermedia, intervenuta dopo la commissione del fatto ma abrogata prima del giudizio, può abolire il reato67. Possono esservi casi di abrogatio sine abolitione: l’abrogazione formale della norma incriminatrice può non comportare l’abolizione del rato, laddove i relativi fatti siano riconducibili ad altra norma incriminatrice già prevista nell’ordinamento e divenuta applicabile solo dopo e per effetto della modifica o introdotta contestualmente alla modifica legislativa (es. soppressione di figura di reato speciale rispetto ad una fattispecie generale, come l’abrogazione dell’omicidio per causa d’onore). L’abrogazione del reato ha retroattività illimitata: - In assenza di sentenza definitiva di condanna, l’imputato deve essere assolto perché il fatto non è previsto dalla legge come reato; - In presenza di sentenza di condanna passata in giudicato, laddove sia in corso l’esecuzione della pena principale, il giudice dell’esecuzione deve disporre la revoca della sentenza di condanna e la cessazione dell’esecuzione della pena, delle pene accessorie e degli altri effetti penali della condanna68. - Mentre, in precedenza, si riteneva che la confisca patrimoniale potesse sopravvivere all’abrogazione, la Cass. ritiene oggi che debba essere revocata69. - Restano, comunque, ferme, le obbligazioni civili nascenti dal reato (es. risarcimento). In un recente orientamento è stata, poi, parificata all’abolitio criminis l’incompatibilità tra una norma incriminatrice ed una norma di fonte UE dotata di efficacia diretta. L’abolitio crimins non può, infine, scaturire dal mutamento giurisprudenziale – come evidenziato dalla Corte Cost.70, l’abrogazione può discende soltanto da un atto di volontà del legislatore -, essendo il giudice soggetto solo alla legge e non ai precedenti giurisprudenziali (fermo restando l’onere di adeguata motivazione). 7. Abolizione del reato e successione di norme incriminatrici. È controverso, in dottrina e giurisprudenza, se l’abolitio crimins possa derivare da modifiche, successive alla commissione del fatto, operate su una norma – giuridica o extragiuridica – richiamata dalla norma incriminatrice: - Come chiarito dalle S.U.71, laddove la norma richiamata integri la norma penale, la modifica di essa inciderà sulla fisionomia della figura di reato – nonché sulle scelte politico-criminali e sul giudizio di disvalore espresso dal legislatore nella configurazione del reato – e si applica, pertanto, l’art. 2 c2. - Laddove invece, la norma modificata sia richiamata mediante il ricorso ad un elemento normativo della fattispecie, essa non integra la figura astratta del reato e non si origina, pertanto, abolizione 72. 66 Cass. S.U. 2003 (Giordano): riforma del falso in bilancio (2002), sostituzione originario delitto con due figure contravvenzionali più circoscritte: l’abolitio crimins, alla luce della comparazione tra le fattispecie antecedenti e successive, era da ritenersi limitata ai fatti che non presentavano gli ulteriori elementi specializzanti previste dalle incriminazioni riformulate. 67 Cass. 2009 (Sylla). 68 Cass. S.U. 2005: il soggetto potrà, ad esempio, fruire nuovamente della sospensione condizionale in futuro. 69 Cass. 2018 (Di Tondo). 70 Corte Cost. n. 230/2012. Caso: Extracomunitario irregolare condannato per “omessa esibizione di documento di identità”. Mutamento giurisprudenziale post condanna passata in giudicato: S.U. stabiliscono che il delitto non sia configurabile per gli stranieri che, in quanto irregolari, risultino sprovvisti dei documenti richiesti. Ricorso per ottenere revoca della condanna – sollevata questione di legittimità costituzionale. 71 S.U. 2007, Cass. varie. 72 Cass. 2014 (contraffazione lire): il reato di contraffazione di monete (art. 453) adotta la formula “aventi corso legale” (elemento normativo); l’esaurirsi del corso legale non esclude, tutt’oggi, la punibilità di chi avesse contraffatto la lira prima dell’adozione dell’euro. 30 Gli elementi normativi hanno un significato autonomo rispetto a quello delle norme che li richiamano. Può discendere abolitio criminis dalle previsione/ modifica di norme integratrici: - Le c.d. norme definitorie (penali o extra-penali) mediante le quali il legislatore chiarisce il significato di termini usati in una o più disposizioni incriminatrici – anche restringendo l’ambito dell’incriminazione – ; - Le norme che integrano il precetto delle norme penali in bianco73; - In presenza di norme che riconducano una determinata sanzione alla violazione del precetto contenuto in un’altra disposizione legislativa, l’abrogazione/riformulazione di quest’ultima comporterà l’applicazione dell’art. 2 c2. 8. La successione di norme modificative della disciplina (art. 2 c3,4 c.p.). Può accadere che una legge – posteriore alla commissione del fatto – non intacchi la fisionomia astratta del reato (con abolizione totale/parziale/ ampliamento), incidendo soltanto sulla disciplina del reato – ovvero, di una classe di fatti che l’ordinamento continua a configurare come reato: - Legge posteriore meno favorevole: deve applicarsi la legge vigente al momento del fatto per il principio di irretroattività (art. 2 c4). - Legge posteriore più favorevole: deve trovare (integrale74) applicazione la legge successiva, purché non sia intervenuta sentenza irrevocabile di condanna. Il processo di individuazione della normativa più favorevole è differente rispetto al caso dell’abolitio criminis: - Nel vagliare l’abolizione il giudice deve raffrontare le figure astratte di reato; - Nel valutare quale disciplina sia più favorevole, deve invece effettuare un giudizio in concreto confrontando, caso per caso, i risultati che deriverebbero dall’applicazione della legge precedente o di quella successiva (alla luce dell’intera disciplina75). Laddove, dopo la commissione di un reato con pena detentiva, entri in vigore una nuova legge che preveda, per quel reato, una sola pena pecuniaria (ammenda o multa), come in precedenza evidenziato, anche in caso di condanna passata in giudicato la pena detentiva inflitta si converte immediatamente nella corrispondente pena pecuniaria (secondo il criterio di ragguaglio ex art. 135 c.p.). 9. Abolizione del reato vs successione di norme modificative della disciplina: alcuni casi problematici. Talora non è agevole distinguere tra abolitio criminis, con configurazione di una nuova incriminazione, e successione di leggi modificative della disciplina, risultando problematico stabilire la presenza di continuità normativa in ordine alla perdurante rilevanza penale del fatto commesso (esito affermativo – niente abolitio criminis): - In caso di abrogazione di una norma incriminatrice con contestuale introduzione di un’altra norma incriminatrice (nella medesima o in diversa disposizione di legge)76 Cass. varie (calunnia): analoga conclusione per la calunnia, laddove il fatto oggetto di falsa incolpazione non sia più previsto dalla legge come reato (restando immutati la scelta politico-criminale di punire le false incolpazioni di reato ed il relativo giudizio di disvalore). Cass. varie (omicidio colposo): non si verifica abolizione laddove venga eliminata/modificata la norma giuridica cautelare che, al momento del fatto, rendeva colposa la condotta dell’agente. 73 Or. Cass.: abolitio criminis, con effetto retroattivo, laddove si verifichi l’eliminazione di una sostanza da un elenco di stupefacenti contenuti nel decreto ministeriale richiamato. 74 Or. Cass.: Nell’individuare la legge da applicare il giudice non potrà combinare singole disposizioni (favor rei) di quella precedente e quella successiva (violerebbe la riserva dii legge), dovendo applicare integralmente o l’una o l’altra. 75 Cass. 2016 Di Giovanni): rientrano nella valutazione specie della pena, misura, pene accessorie, circostanze, effetti penali della condanna, misure di sicurezza, scusanti, cause di estinzione, ecc. 76 S.U.: abrogazione del delitto sulle false comunicazioni sociali; introduzione contestuale di due norme incriminatrici (una contravvenzionale, l’altra delittuosa), sempre incentrate su fattispecie di false comunicazioni sociali, ma con ambito applicativo più circoscritto. 31 - In caso di abrogazione di una norma incriminatrice che, finché era vigente, escludeva l’applicabilità di un’altra norma incriminatrice77. La questione deve essere risolta procedendo al confronto strutturale tra le fattispecie legali78: - Laddove i fatti astrattamente configurati nelle due norme siano integralmente eterogenei, o abbiano in comune soltanto taluni elementi costitutivi (e presentino anche un solo elemento diverso), senza che tra le due norme intercorra un rapporto di specialità, si configura abolitio criminis; - In presenza di fattispecie astratte omogenee (in rapporto di specialità): a) l’abolitio criminis deve essere esclusa laddove la nuova fattispecie sia generale (ricomprenda, ovvero, le classi di fatti in passato riconducibili alla fattispecie speciale); b) Si configura abolitio crimins parziale, e limitata alle classi di fatti non riconducibili alla nuova fattispecie, laddove questa sia speciale. 10. Ultrattività delle leggi eccezionali e delle leggi temporanee (art. 2 c5 c.p.). Le leggi eccezionali (emanate per fronteggiare situazioni oggettive di carattere straordinario) e le leggi temporanee (che contengano la predeterminazione espressa del periodo di tempo in cui avranno vigore, anch’esse emanate per fronteggiare situazioni contingenti) non sono assoggettate al principio di retroattività della legge penale più favorevole: esse presentano ultrattività, continuando ad essere applicabili a fatti commessi nel periodo in cui fossero vigenti anche dopo la loro abrogazione da parte di una legge più favorevole79. 11. Il decreto-legge decaduto o non convertito (art. 2 c6 c.p.). Laddove decadano/non siano convertiti in legge decreti contenenti un’abolizione del reato o una disciplina penale più favorevole all’agente il Codice penale disponeva, prima dell’avvento della Cost., che essi perdessero efficacia dallo scadere del termine per la conversione. L’art. 77 Cost. stabilisce, tuttavia, che i d.l. non convertiti perdano efficacia sin dall’inizio e non sarebbe, pertanto, applicabile la disciplina in materia di successione di leggi penali favorevoli al reo80: - Con riguardo ai fatti pregressi (commessi prima dell’emanazione del d.l. non convertito), l’agente sarà punibile in base alla legge in vigore al momento del fatto; - Con riguardo ai fatti concomitanti, ovvero commessi dopo l’emanazione del decreto e prima dello spirare del termine per la sua conversione, il principio di irretroattività impone di applicare la disciplina più favorevole prevista nel d.l. non convertito. 12. La dichiarazione di illegittimità costituzionale. La dichiarazione di illegittimità costituzionale non è inquadrabile nella disciplina della successione di leggi penali, ponendosi sul diverso piano della patologia normativa (non è un fenomeno fisiologico dell’ordinamento giuridico). Dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale discendono i seguenti effetti (art. 136 Cost.; art. 30 c3 l. n. 87/1953): 77 S.U.: abrogazione del reato “omicidio per causa d’onore” 78 Altri orientamenti dottrinali, secondo il manuale inadeguati (contrasterebbero con il principio di legalità, correlando la rilevanza penale del fatto a valutazioni estranee alla sua conformità al modello legale): - Criterio della “continuità del tipo di illecito” esclude l’abolitio quando la nuova fattispecie legale copra un’area di illiceità “sostanzialmente omogenea” a quella precedente per “offesa al bene giuridico tutelato”; - Criterio del “fatto concreto” esclude l’abolitio quando, dopo l’abrogazione, il fatto concreto oggetto del giudizio risulti riconducibile, pur sulla base di elementi diversi della fattispecie, ad un’altra norma incriminatrice posteriore. 79 Cass. 2013 (deroga ad ultrattività): il principio di retroattività della legge favorevole opera, tuttavia, in caso di norme parimenti temporanee o eccezionali succedutesi l’una all’altra durante il periodo di vigenza o durante la permanenza della situazione di eccezionalità. 80 Corte Cost. n. 51/1985: illegittimo l’ultimo comma dell’art. 2, nella parte in cui prevedeva l’applicazione dell’abolizione del reato e della mitigazione del trattamento penale. In caso contrario, del resto, il governo (ricorrendo a d.l. non destinati alla conversione) potrebbe sottrarre a responsabilità penale chi avesse commesso determinati reati. 32 Stato, richiesta del Ministro della giustizia, mancata estradizione, doppia incriminazione): a danno dello Stato o del cittadino italiano (purché puniti con la reclusione non inferiore ad 1 anno,); a danno delle Comunità europee, di uno Stato estero o di uno Stato straniero (purché puniti con la reclusione non inferiore a 3 anni). 18. Il rinnovamento del giudizio; il riconoscimento delle sentenze penali straniere. Dal principio di universalità della legge penale italiana discende la riserva della giurisdizione italiana su tutti i fatti assoggettati alla legislazione penale, piena e incondizionata per i reati commessi nel territorio dello Stato (con riguardo ai quali il giudizio è senz’altro rinnovato, anche in caso di giudizio all’estero - salvo che il fatto sia già stato giudicato in un altro Paese dell’Unione Europea, trovando applicazione gli Accordi di Schengen in relazione al ne bis in idem89); i delitti commessi all’estero richiedono, di regola, la richiesta del Ministro della giustizia ai fini della rinnovazione del giudizio. Quanto agli effetti delle sentenze penali straniere, generalmente: - Esse, in quanto tendenzialmente irrilevanti, sono ineseguibili in ordine alla pena principale inflitta; - Possono essere riconosciuti alcuni aspetti secondari della sentenza (recidiva, effetto penale della condanna, dichiarazione di abitualità, professionalità nel reato, tendenza a delinquere, pena accessoria), ecc.; - Possono rilevare alcuni effetti civili (restituzioni, risarcimento del danno, altri effetti es. esclusione dalla successione per indegnità, ecc.). I Paesi membri del Consiglio d’Europa hanno, tuttavia, stipulato una serie di convenzioni in ragione delle quali: - Può essere eseguita in Italia una pena principale inflitta all’estero; - Può proseguire in Italia l’esecuzione della pena principale, inflitta all’estero, in seguito al trasferimento della persona condannata; - Le sentenze penali straniere possono essere riconosciute anche ai fini della confisca disposta dal giudice straniero su beni che si trovino nel territorio dello Stato (purché si tratti di beni che sarebbe confiscabili se si procedesse secondo la legge italiana), nonché della confisca del valore dei proventi del reato. Anche nell’ambito dell’Unione Europea alcune decisioni impegnano gli Stati membri al riconoscimento: - Delle sentenze dispositive di pene detentive o misure privative della libertà personale; - Delle sentenze che dispongono la sospensione condizionale della pena/altra misura sospensiva o sostitutiva, sottoponendo il destinatario ad obblighi o divieti; - Delle sentenze che irrogano sanzioni pecuniarie; - dei provvedimenti che applicano misure cautelari diverse dalla custodia in carcere; - delle sentenze che dispongono la confisca. Il sistema penale italiano subordina il riconoscimento della sentenza penale straniera ad una serie di condizioni: - la doppia incriminazione del fatto, che in Italia deve essere previsto come delitto; - deve essere stato stipulato un trattato di estradizione con lo Stato estero (a prescindere che il delitto rientri tra quelli per i quali sia prevista l’estradizione) o, alternativamente, occorre la richiesta del Ministro della giustizia. 19. L’estradizione. L’estradizione consiste in un procedimento attraverso il quale uno Stato consegna ad altro Stato una persona che si trova nel suo territorio affinché, nello Stato richiedente, sia sottoposto a giudizio 89 Cass. varie: il ne bis in idem all’interno dell’Ue trova applicazione a condizione che il provvedimento pronunciato all’estero abbia i caratteri della sentenza definitiva. 35 (estradizione processuale) o all’esecuzione di una pena già inflittagli (estradizione esecutiva); tale istituto, dall’introduzione del mandato d’arresto europeo, trova applicazione unicamente con riguardo agli Stati non appartenenti all’UE. La disciplina di tale istituto è generalmente rimessa alle norme delle convenzioni internazionali/di diritto internazionale generale ed il diritto interno ricopre un ruolo residuale. Tra le condizioni poste dal diritto interno per l’estradizione: - L’art. 26 c1 Cost. richiede che, perché possa essere estradato il cittadino responsabile di un reato comune, l’estradabilità debba essere espressamente prevista dalle convenzioni internazionali; - Gli artt. 26 c2 e 10 c4 Cost. vietano, poi, l’estradizione del cittadino e dello straniero per reati politici90; - Ex art. 698 c.p.p. non può, poi, essere effettuata l’estradizione laddove vi sia motivo di temere atti persecutori o discriminatori, ovvero la violazione di un diritto fondamentale della persona, nonché per i reati per i quali l’ordinamento dello Stato richiedente preveda la pena di morte 91 (analoga disposizione è prevista nell’art. 19 c2 CDFUE nonché, pur in assenza di espressi riferimenti all’estradizione, nell’art. 3 CEDU); - Occorre, ex art. 13 c2 c.p., la doppia incriminazione del fatto92. Tra i principi che trovano applicazione in materia di estradizione: - Il principio di specialità dell’estradizione impone il divieto per lo Stato che ottenga l’estradizione di sottoporre l’estradato a restrizione della libertà personale, a qualsiasi titolo, per fatti anteriori e diversi da quello per il quale l’estradizione è stata concessa, nonché il divieto di consegnare l’estradato ad altro Stato 93; - Il principio di sussidiarietà impone di non concedere l’estradizione laddove per lo stesso fatto e nei confronti della medesima persona sia in corso un procedimento penale in Italia; - Il principio di ne bis in idem presenta, poi, effetti analoghi laddove sia stata pronunciata in Italia sentenza irrevocabile (di condanna o di proscioglimento)94. 20. Il mandato d’arresto europeo. Il mandato d’arresto europeo, previsto nella decisione quadro 2002/584/GAI e implementato, in Italia, nel 2005, consiste nello strumento di cooperazione interstatuale per la consegna di persone imputate o condannate che, nell’Unione Europea, ha sostituito l’estradizione ed è ispirato al principio del mutuo riconoscimento e della libera circolazione delle decisioni giudiziarie in materia penale. Tra i tratti principali della disciplina di tale strumento: - L’esecuzione della consegna è la regola: sono tassativamente previsti i motivi in cui possa essere rifiutata, nonché le garanzie o condizioni che ad essa possano essere apposte; - La collaborazione diretta tra autorità giudiziarie, con l’esclusione di qualsiasi intervento da parte di organi politici (es. Ministro della Giustizia); 90 Cass. 2014 (Sulejmani): la nozione costituzionale di “reato politico” non coinciderebbe con la rispettiva definizione ex art. 8 c.p.; emerge, a tal riguardo, l’esigenza che il divieto di estradizione non si traduca nell’indiscriminata salvaguardia di soggetti politicamente motivati. 91 Cass. 2019 (estradizione in Cina): perché possa essere, in tal caso, consentita l’estradizione, occorre una decisione giudiziaria irrevocabile che escluda l’applicazione della pena capitale nel caso concreto. 92 Cass. varie: rileva la riconducibilità del caso concreto (sotto i profili del fatto, dell’antigiuridicità, della colpevolezza) sotto una norma incriminatrice sia straniera, che italiana, mentre non rileva la differenza configurazione del reato o la diversità nel trattamento sanzionatorio. Non rilevano neanche le condizioni di procedibilità (es. irrilevante la mancata presentazione della querela in Italia per un reato perseguibile d’ufficio nello Stato richiedente l’estradizione), che non rientrano nella valutazione in ordine all’inflizione della pena (attinendo all’opportunità di instaurare un procedimento). 93 (salvo che lo Stato abbia domandato ed ottenuto una estradizione suppletiva, che l’estradato si sia trattenuto volontariamente nel territorio dello Stato per ulteriori 45 giorni dalla sua liberazione, quando l’estradato abbia fatto volontariamente ritorno nel territorio dello Stato dopo averlo lasciato, quando l’estradato abbia manifestato il proprio consenso). 94 Cass. 2012: rileva, ai fini del ne bis in idem, l’identità sostanziale dei fatti oggetto dei relativi procedimenti, indipendentemente dall’eventuale diversa qualificazione giuridica attribuita all’episodio. 36 - Il c.d. principio di autosufficienza del mandato d’arresto europeo, senza che sia necessario l’invio della documentazione richiesta ai fini dell’estradizione; - La previsione di termini stringenti per l’assunzione della decisione sull’esecuzione e per l’effettuazione della consegna (nel caso dell’estradizione, i termini sono più dilatati); - L’eliminazione del requisito della doppia incriminazione per svariati reati di gravità medio-alta. Tra i motivi di rifiuto della consegna: - Ex art. 18 l. 69/2005, il rifiuto è obbligatorio in caso di ne bis in idem (persona già giudicata con sentenza irrevocabile per lo stesso fatto in uno Stato membro purché, in caso di condanna, la pena sia stata già eseguita, sia in corso di esecuzione o non possa più essere eseguita per le leggi dello Stato in cui sia stata emanata la condanna); - Ex art. 18 bis, introdotto nel 2021, sono anche disciplinate due ipotesi di rifiuto facoltativo (es. reati considerabili come commessi – anche in parte – sul territorio italiano). C. LIMITI PERSONALI. 21. Le eccezioni all’obbligatorietà della legge penale italiana. Eccezionalmente, alcune categorie di soggetti sono sottratte alla legge penale italiana: si distingue, a riguardo, tra immunità di diritto sostanziale (implicanti l’inapplicabilità della sanzione) o immunità di diritto processuale (esenzione dalla giurisdizione), nonché tra immunità funzionali (inerenti ai fatti compiuti nell’esercizio della funzione da cui derivi l’immunità) o extra funzionali (inerenti anche a fatti ad esso estranei), tutte da interpretarsi in modo restrittivo95. Le immunità possono derivare dal diritto pubblico interno: - L’art. 90 Cost. configura, a beneficio del Presidente della Repubblica, una immunità funzionale (per i soli reati commessi nell’esercizio della funzione) di diritto sostanziale avente natura di causa di giustificazione (salvi i reati di alto tradimento e attentato alla Costituzione, per i quali giudice competente è la Corte Cost.). - L’art. 96 Cost. prevede un’immunità processuale funzionale relativamente ai c.d. reati ministeriali (commessi dai Ministri o dal Presidente del Consiglio dei Ministri), subordinando la procedibilità di tali reati (sottoposti al giudice ordinario, e non più alla Corte Cost.) all’autorizzazione a procedere da parte della Camera di appartenenza del Ministro (o del Senato, in caso di Ministri non membri del Parlamento). Tale autorizzazione può essere negata laddove la Camera reputi, a maggioranza assoluta e con valutazione insindacabile96, che l’inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio delle funzioni di Governo97; - L’art. 68 c1 Cost. prevede, con riguardo ai membri del Parlamento, un’immunità funzionale di diritto sostanziale (nella forma della causa di giustificazione) circoscritta alle opinioni espresse ed ai voti dati nell’esercizio delle loro funzioni98 – ovvero, ad atti tipici del mandato parlamentare ed alla divulgazione del contenuto di tali atti99. Ricadono fuori dall’immunità fatti materiali (es. lesioni inflitte in aula), le opinioni manifestate nello svolgimento di attività politica (comizio), gli atti tipici della funzione parlamentare che siano frutto di reati (es. corruzione); 95 Corte Cost. n. 87/2012: le immunità costituiscono una deroga eccezionale al principio di uguaglianza e non possono, pertanto, essere assoggettate ad interpretazioni evolutive. 96 Corte Cost. n. 87/2012: tale insindacabilità non avrebbe, tuttavia, carattere assoluto, presupponendo che l’apprezzamento sia stato congruamente motivato. 97 Epopea Salvini vs. migranti: tale valutazione è strettamente correlata alla maggioranza politica (vedasi il caso di Salvini: dinanzi a molteplici richieste di procedimento per fatti analoghi (trattenimento di migranti su navi militari),l’Assemblea del Senato si è espressa prima con un respingimento – quando, nel 2019, Salvini era al governo – e poi con la concessione (quando, nel 2020, c’aveva politicamente le pezze al culo). 98 Corte Cost. n. 249/2010 (Bossi che dichiara di pulirsi il culo con il Tricolore): l’immunità funzionale non copre affermazioni gratuitamente diffamatorie o sconvenienti. Corte Cost. n. 59/2018 (Calderoli che dà dell’”orango” alla Kyenge): l’immunità funzionale non ricomprende insulti. 99 Cass. 2019: perché l’immunità possa applicarsi, le dichiarazioni “esterne” – penalmente rilevanti - devono comunque essere precedute dalle dichiarazioni “interne” rese nell’ambito della funzione parlamentare. 37 Sezione III – IL REATO. CAPITOLO IV. NOZIONE DI REATO E DISTINZIONE TRA DELITTI E CONTRAVVENZIONI. 1. La peculiarità della sanzione come nota distintiva dei reati. La distinzione in delitti e contravvenzioni. Un fatto costituisce reato quando una legge gli ricollega una pena (e, nello specifico, una pena principale, non concorrendo all’individuazione dei reati pene accessorie – che, per definizione, si accompagnano ad una pena principale -, misure di sicurezza – applicate, al ricorrere della pericolosità sociale, a persone che abbiano commesso un fatto già identificato come reato - o sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi – presupponenti l’inflizione di una pena principale): i reati si identificano, dunque, in base ad un criterio nominalistico – ovvero, in base a ciò che il legislatore designa come “pena” -. Ex art. 39 i reati possono distinguersi, in base alla specie della pena principale comminata, in delitti (ergastolo, reclusione, multa, reclusione militare) e contravvenzioni (arresto, ammenda). Tale distinzione si riflette sulla diversa disciplina applicata, sotto molteplici profili, alle due tipologie di reati: - Quanto all’elemento soggettivo, ex artt. 42 c2 e c4, per i delitti è – di regola – richiesto il dolo, mentre per le contravvenzioni è generalmente sufficiente la colpa; - Ex art. 56 il tentativo è, di regola, configurabile per i soli delitti; - Ex art. 99 c1 ai fini della recidiva rilevano, poi, i soli delitti (non colposi); - Ulteriori differenze si rinvengono, nel diritto sostanziale, relativamente a vari profili (es. limiti massimi previsti per le pene principali; cause di estinzione del reato e della pena; certe circostanze, configurabili per i soli delitti, ecc.). Quanto alla disciplina processuale, le contravvenzioni sono sempre procedibili d’ufficio (mentre per i delitti può essere richiesta la procedibilità a querela); le contravvenzioni non ammettono la disposizione di certe misure cautelari coercitive (o precautelari, es. arresto in flagranza di reato o fermo di indiziato delitto); è diversa la riduzione di pesa prevista con il rito abbreviato, ecc. 2. Reato vs altri illeciti: reato ed illecito civile. Laddove l’ordinamento giuridico ravvisi in un medesimo fatto sia un reato, sanzionandolo con una pena principale, che un illecito civile, al fine di tutelare le vittime, l’area del danno risarcibile è estesa sino a ricomprendere il danno non patrimoniale – di regola escluso in presenza di solo illecito civile – e trovano applicazione due tipi di sanzioni civili: il risarcimento/le restituzioni102 (art. 185 c.p.) e la pubblicazione della sentenza di condanna (art. 186). Il d. lgs. n. 7/2016 ha eseguito un intervento di depenalizzazione improntato ai principi di proporzione e sussidiarietà, riconfigurando come illeciti civili103 (pur richiedendosi il dolo del soggetto agente) alcune fattispecie di medio-bassa gravità e perseguibili a querela che, in precedenza, erano configurate come reati (es. ingiuria, falsità in scrittura privata, alcune ipotesi di danneggiamento). L’applicazione di tali sanzioni pecuniarie presuppone che sia stato accordato, da parte del giudice civile, il risarcimento del danno a beneficio della persona offesa; la prescrizione matura in 5 anni; la disciplina processuale, in quanto applicabile, è quella dettata dal codice di procedura civile. Per alcuni reati, poi, la legge prevede sanzioni civili di carattere punitivo accessorie rispetto alle sanzioni penali, consistenti nel pagamento di una somma a favore della persona offesa in cumulo a reclusione, multa ed eventuale risarcimento del danno (es. art. 595 c3, diffamazione commessa con il mezzo della stampa). 102 Cass. 1986 (Caponnetto): il termine restituzioni deve essere interpretato restrittivamente, riconducendovi la “restituzione della cosa, mobile ed immobile, su cui abbia inciso la condotta penalmente rilevante” e non, ad esempio, la “reintegrazione della situazione preesistente al reato”. 103 S.U. 2016 (Schirru): tali nuove sanzioni presentano, comunque, un carattere punitivo (tra i criteri di commisurazione rientrano la gravità della violazione, la reiterazione dell’illecito, la personalità dell’agente, le condizioni economiche dell’agente; la sanzione è devoluta alla Cassa delle ammende, piuttosto che al danneggiato; l’obbligo di pagare la sanzione pecuniaria civile non si trasmette agli eredi). 40 Ex art. 322 quater un’ulteriore tipologia di sanzione civile accessoria dalla connotazione punitiva riguarda, infine, alcuni delitti contro la P.A. (es. peculato, corruzione) ed è stata introdotta nel 2019 con la c.d. “legge spazzacorrotti”. 3. Reato ed illecito amministrativo. Rientrano tra le sanzioni amministrative le sanzioni pecuniarie non designate come multa o come ammenda. L’illecito amministrativo tende ad affiancare, nell’ordinamento giuridico, l’illecito penale, parimenti reprimendo offese a beni giuridici selezionate in base ai principi di proporzione e di sussidiarietà. Tale tipologia sanzionatoria (disciplinata, a livello generale, nella l. n. 689/1981) assume, nello studio del diritto penale, particolare rilevanza: - In quanto principale strumento cui ricorrere nell’eseguire interventi di depenalizzazione; - In quanto unico strumento attribuito al legislatore regionale per la tutela sanzionatoria di beni giuridici; - In quanto, a partire dal 2001, lo schema della responsabilità amministrativa è stato adottato dal legislatore per configurare una responsabilità da reato a carico degli enti (tematica approfondita in seguito); - In ragione della crescente tendenza ad implementare sanzioni amministrative impattanti sui diritti fondamentali della persona, in quanto notevolmente afflittive (es. in materia di insider trading104). La disciplina dell’illecito amministrativo di cui alla l. n. 689/1981 opera, sul piano del diritto sostanziale, un’ampia mutuazione di principi penalistici - coerentemente, del resto, con la funzione di tutela preventiva di beni giuridici assolta dalle sanzioni di tale natura – (es. legalità, irretroattività, capacità d’intendere e di volere, elemento soggettivo, concorso di persone, commisurazione delle sanzioni pecuniarie amministrative ). Sul piano procedimentale, il giudice penale non è coinvolto nell’irrogazione delle sanzioni amministrative (potendo conoscere dell’illecito amministrativo solo nel caso in cui l’esistenza di un reato dipenda dall’accertamento di un illecito amministrativo); l’opposizione al relativo provvedimento amministrativo può essere proposta unicamente dinanzi al giudice di pace ed al tribunale civile. In ordine al carattere punitivo delle sanzioni amministrative (e delle sanzioni pecuniarie civile di cui al d. lgs. n. 7/2016), esse sono da ricomprendersi nella c.d. “materia penale”, nozione elaborata dalla Corte Europea dei Diritto dell’Uomo105, alla luce dei requisiti stabiliti dalla Corte EDU106. Come evidenziato dalla Corte Costituzionale, tuttavia, ciò non implica l’automatica estensione alle sanzioni amministrative di tutte le garanzie apposte dal diritto interno alla sanzione penale107, essendo gli Stati vincolati ad estendere alla materia penale soltanto le garanzie previste nella CEDU (il diritto al silenzio, ad es., vale rispetto anche ai poteri d’indagine di Consob e Bankitalia, quando dalle risposte possa emergere una responsabilità del dichiarante108). Alcune discipline settoriali vedono, in Italia, la convergenza sul medesimo fatto di sanzioni penali ed amministrative (“doppio binario sanzionatorio”): è emersa, a tal riguardo, in giurisprudenza la questione inerente all’operatività del ne bis in idem (nei rapporti tra sanzione penale ed amministrativa)109, nonché con riguardo ai rapporti tra sanzioni penali ed amministrative in materia tributaria – in tale ambito, la Corte EDU parrebbe ridimensionare la portata del ne bis in idem110-. 104 Corte Cost. n. 223/2018. 105 Corte EDU, Sent. Engel c. Paesi Bassi (1976): rilevante non la qualificazione formale dell’illecito, quanto la natura sostanziale di esso e della relativa sanzione. 106 Corte EDU, G. Stevens c. Italia (2014): tra i criteri (alternativi, non cumulativi) perché l’illecito possa ascriversi alla “materia penale” rientrano l’orientamento della disposizione alla generalità dei consociati, il perseguimento di uno scopo repressivo e preventivo, piuttosto che risarcitorio, la presenza di una connotazione afflittiva. 107 Corte Cost. n. 43/2017: gli Stati sono vincolati a corredare l’applicazione di sanzioni amministrative da ricomprendersi nella materia penale delle sole garanzie previste nelle disposizioni della Convenzione, per come elaborate dalla Corte di Strasburgo: rimane, invece, nel margine di apprezzamento di ciascuno Stato l’estensione delle ulteriori tutela predisposte dal diritto nazionale. 108 Corte Cost. n. 84/2021: dichiarata costituzionalmente illegittimo art. 187 quinquiesdecies TUF, che prevedeva in caso di mancata risposta una sanzione amministrativa pecuniaria. 109 Corte EDU 2014 (G. Stevens c. Italia): violato il ne bis in idem relativamente a cittadini che, sanzionati definitivamente dalla Consob in via amministrativa, lamentavano la perdurante sottoposizione a processo penale per i medesimi fatti storici. 41 La questione relativa al ne bis in idem è emersa anche in relazione all’art. 50 CDFUE ed alla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, sollecitata ad intervenire da varie questioni pregiudiziali insorte in Italia (con riferimento sia agli abusi di mercato che agli illeciti tributari). In tali occasioni (2018), la Corte ha individuato i limiti entro i quali possa considerarsi rispettato il divieto di ne bis in idem (recependo, in parte, quanto affermato dalla Corte EDU): - Rispetto del principio di proporzione, non potendo spingersi il complesso delle sanzioni irrogate oltre lo stretto necessario; - Coordinamento tra i due procedimenti, per limitare gli oneri supplementari generati dalla duplicazione dei procedimenti e delle sanzioni. Tali principi, enunciati dalla Corte EDU e dalla Corte di Giustizia, sono stati recepiti anche nella giurisprudenza nazionale111. Anche la Corte Costituzionale (n. 149/2022) si è recentemente pronunciata sui rapporti tra sanzione penale e sanzione amministrattiva punitiva dichiarando parzialmente illegittimo l’art. 649 c.p.p. in quanto contrastante con il ne bis in idem per come concepito dalla Corte EDU112. Il legislatore, con il d. lgs. n. 107/2018, ha tentato di risolvere i problemi generati dal doppio binario in materia di illeciti finanziari prescrivendo che: - Autorità giudiziaria o CONSOB tengano conto, nell’irrogare le sanzioni di propria competenza, delle misure punitive già irrogate; - L’esazione della pena pecuniaria/sanzione pecuniaria dipendente da reato/sanzione pecuniaria amministrativa è limitata alla parte eccedente quella riscossa, rispettivamente, dall’autorità amministrativa ovvero da quella giudiziaria. 110 Corte EDU 2016 (A & B c. Norvegia): il divieto non è violato laddove la risposta sanzionatoria complessiva non risulti sproporzionata per eccesso ed esista una connessione sostanziale e cronologica sufficientemente stretta tra procedimento penale e procedimento amministrativo. 111 Cass. 2016 (Pagano): in tema di danneggiamento aggravato (analoga soluzione è stata individuata anche in tema di manipolazione di mercato) il principio ne bis in idem non opera allorché le procedure penale ed amministrativa risultino complementari, in quanto dirette al soddisfacimento fi finalità sociali differenti, e determinino l’inflizione di una sanzione penale integrata, che sia prevedibile e, in concreto, complessivamente proporzionata al disvalore del fatto. Cass. 2019 (Respigo, abuso di informazioni privilegiate): il giudice può disapplicare la sanzione penale quando sia stata inflitta la sanzione amministrativa ed il cumulo delle sanzioni risulterebbe radicalmente sproporzionato. Cass. 2022 n. 2245 (Colombo): non vi è violazione del divieto di bis in idem laddove una persona sia contemporaneamente sottoposta a più procedimenti per il medesimo fatto storico e per l’applicazione di sanzioni formalmente o sostanzialmente penali, oppure quando tra i procedimenti vi sia una stretta connessione sostanziale e procedurale. In tali casi, comunque, deve essere garantito un meccanismo di compensazione che consenta di tener conto, in sede di irrogazione della seconda sanzione, degli effetti della prima così da evitare che la sanzione complessivamente irrogata sia sproporzionata. 112 In tale occasione, la Corte ha ravvisato nel ne bis in idem un presidio contro le sofferenze ed i costi di un secondo procedimento. Nel caso di specie, ravvisandosi il carattere punitivo delle sanzioni pecuniarie previste in materia di diritto d’autore, la Corte ha escluso che le tra le sanzioni e pene previste per gli stessi fatti sussista una connessione sufficientemente stretta da farle apparire come una risposta coerente ed unitaria. 42 CAPITOLO VI. IL FATTO. A. IL FATTO NEI REATI COMMISSIVI. 1. L’azione. Il diritto penale reprime le aggressioni all’integrità dei beni giuridici, piuttosto che la mera volontà di offendere un bene: l’azione, analizzata in quanto attività esteriore, ricopre dunque una posizione fondamentale. Nel descrivere le azioni penalmente rilevante, il legislatore può ricorrere a due tecniche differenti (anche in base all’importanza del bene giuridico di cui intenda reprimere l’aggressione): - Nei c.d. reati a forma vincolata l’azione sarà rilevante solo se corrispondente allo specifico modello di comportamento descritto dalla norma incriminatrice – eventualmente connotato dal susseguirsi di molteplici azioni distinte (es. furto: sottrazione + impossessamento). Tale tecnica trova impiego per incriminare offese a beni giuridici di basso rango, tutelati solo contro specifiche classi di comportamenti – selezionate dal legislatore per capacità offensiva e attitudine a ledere il bene tutelato. - Nei reati a forma libera, invece, è sanzionato ogni comportamento umano che abbia causato – con qualsiasi modalità - un determinato evento. Tale tecnica trova impiego per tutelare beni giuridici di rango elevato, consentendo di reprimere ogni tipo di aggressione (es. omicidio, art. 575). E’ controversa l’individuabilità di un’azione nei c.d. reati di possesso (es. detenzione di materiale pedopornografico ex art. 600 quater): relativamente ad essi sarebbe possibile l’individuazione come requisito tacito, ma necessario, perché possa configurarsi il reato il compimento di un’azione consistente nel procurarsi o nel ricevere la cosa o, laddove il soggetto abbia ricevuto la cosa inconsapevolmente, di un’azione consiste nell’esercizio di un controllo sulla cosa diretto a conservarne la disponibilità. Una sotto-categoria dei reati di possesso consiste nei reati di sospetto: essi presentano un carattere peculiare di natura processuale dal momento che, in contrasto con la presunzione di non colpevolezza, l’onere della prova della destinazione o della provenienza lecita della cosa incombe interamente sull’imputato (rientra, ad esempio, in tale categoria l’art. 707 bis – introdotto, con la l. n. 22/2022, nell’ambito di un intervento in materia di reati contro il patrimonio culturale). 2. I presupposti della condotta. I presupposti della condotta sono situazioni, di fatto o giuridiche, che devono preesistere all’azione o ne devono accompagnare l’esecuzione. Ad es. il compimento di atti sessuali tra adulti è lecito, ma acquista rilevanza penale laddove avvenga in luoghi abitualmente frequentati da minori (art. 527 c2) assumendo, sussistendo tale presupposto, un connotato offensivo del sentimento del pudore dei minori. 3. L’evento. La verificazione dell’evento, ovvero un accadimento temporalmente e spazialmente separato dall’azione e che da questa debba essere causato (sia esso una modificazione della realtà fisica, psichica – es. “errore” indotto, nella truffa, mediante “artifici e raggiri”, economico-giuridica – es. “danno” - o un comportamento umano), è spesso previsto – espressamente o tacitamente – dalle norme incriminatrici. Non rientrano, ad ogni modo, nell’”evento” conseguenze estranee alla morte (es., nell’omicidio, è evento in senso penalistico la sola morte dell’uomo, non rientrandovi il danno patrimoniale sofferto dai familiari della vittima), né le circostanze del reato, né le condizioni obiettive di punibilità. 4. Il rapporto di causalità nei reati commissivi. L’art. 40 c.p. impone che tra l’azione e l’evento eventualmente compreso tra gli estremi del fatto debba ricorrere un rapporto di causalità (nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione), da indagare secondo le regole dettate nell’art. 41 (concorso di cause) – variamente interpretate. 45 Le c.d. teorie della causalità sono la teoria condizionalistica (della condicio sine qua non), la teoria della causalità adeguata, la teoria della causalità umana. 4.1. La teoria condizionalistica. “L’azione A è causa dell’evento B se può dirsi che senza A, tenuto conto di tutte le circostanze del caso concreto, l’evento B non si sarebbe verificato”. Tale teoria, ancorata al senso comune, poggia sulla premessa che ogni evento deriva da molti fattori causali, tutti ugualmente necessari affinché l’evento si verifichi: “causa dell’evento” consiste in “ogni azione che non può essere mentalmente eliminata senza che l’evento concreto venga meno”. La teoria condizionalistica trova ampia applicazione in due gruppi di casi discussi in dottrina: - Casi in cui emerga la c.d. causalità ipotetica, in relazione ai quali l’accertamento del nesso causale avviene tenendo in considerazione l’evento concreto (inclusivo di tutte le modalità della sua verificazione) ed il decorso causale effettivo verificatosi nel caso di specie. Es. nesso causale presente laddove un medico pratichi un’iniezione mortale ad un malato terminale, che sarebbe comunque morto poco dopo, per alleviargli le sofferenze (non rileva, in tal caso, il decorso causale ipotetico che avrebbe portato il malato a morire a breve distanza temporale); - Casi in cui emerga la c.d. causalità addizionale (es.: Tizio e Caio versano entrambi una dose mortale di veleno nella medesima bevanda assunta da Tizio. In Tal caso, l’evento concreto è causato dalle condotte di entrambi). La formula dell’eliminazione mentale, perno della teoria condizionalistica, deve essere applicata al caso concreto mediante l’impiego di leggi scientifiche, universali (quando asseriscano regolarità prive di eccezioni nella successione di eventi, es. leggi fisiche) o statistiche (che enunciano regolarità statistiche emerse dall’osservazione della realtà empirica): è definibile “causa dell’evento”, in tal senso, ogni azione che – tenendo conto di tutte le circostanze che si sono verificate – non può essere eliminata mentalmente, sulla base di leggi scientifiche, senza che l’evento concreto venga meno. È possibile che siano individuabili diverse spiegazioni causali dell’evento, ciascuna sorretta da una distinta legge scientifica: in tal caso, il giudice dovrà optare per quella che meglio si attagli al caso concreto. Il ruolo delle leggi scientifiche, un tempo relegate ad un ruolo marginale ai fini dell’accertamento del rapporto di causalità (allora dominato dalla mera ed apodittica intuizione del giudice115), ha iniziato ad acquisire maggiore rilevanza a partire dal 1990 (con la sentenza relativa al disastro di Stava 116, che ha segnato una svolta a favore del modello della sussunzione sotto leggi scientifiche). Ulteriori passaggi in ordine alla valorizzazione delle leggi scientifiche nel processo penale: - In ordine al grado di probabilità perché la condotta possa considerarsi condizione necessaria dell’evento – questione particolarmente rilevante in presenze di leggi statistiche -, la Cass. (2000) ha ritenuto necessario accertare una probabilità vicina alla certezza; - Con la Sent. Franseze del 2002117, è stata riconosciuta la possibilità che anche probabilità statistiche medio-basse possano fondare il nesso causale, qualora risulti la sicura non incidenza nel caso di specie di altri fattori interagenti in via alternativa118: una simile soluzione (c.d. probabilità logica) consentirebbe di raggiungere la certezza processuale della sussistenza del nesso causale. Il manuale commenta la Sent. Franseze evidenziando i rischi insiti nell’attribuzione di una simile rilevanza all’assenza di spiegazioni causali alternative, potenzialmente implicante la qualificazione come “causa 115 Sent. 1969 (Disastro del Vajont): se nessuno sa spiegare perché la frana si sia verificata, ciò nondimeno non si può dubitare che sia dovuta all’opera dell’uomo. 116 Cass. 1990 (Bonetti): perché sia accertato il nesso causale, occorre che l’antecedente rientri nel novero degli antecedenti che, in base ad una legge dotata di validità scientifica (legge di copertura), portino ad eventi del tipo di quello verificatosi in concreto. 117 S.U. 2002 (Franzese): trasmissione di HIV in seguito ad un singolo rapporto, evento dalla bassa probabilità statistica; nel caso di specie, tuttavia, la vittima non aveva avuto rapporti con altri sieropositivi e, in ragione dell’esclusione di decorsi causali alternativi, il nesso causale è stato riconosciuto. 118 Cass. 2021 (Cirocco): il datore di lavoro non è stato, in tal caso, ritenuto responsabile per la morte di tumore di un proprio dipendente esposto ad amianto, in quanto quest’ultimo era risultato essere un fumatore di sigarette (pertanto, i giudici hanno ritenuto che tale decorso causale alternativo non potesse essere escluso). 46 dell’evento” una condotta che abbia semplicemente aumentato il rischio del verificarsi di esso: ritenere provato il nesso di causalità mediante l’esclusione di tutte le altre possibili cause presuppone che il giudice conosca tutte le possibili cause di un evento. D’altra parte, tuttavia, sarebbe irragionevole pretendere che l’accusa fornisca la prova certa del mancato intervento, nel caso concreto, di ciascuno degli altri possibili fattori causali. - La Cass ha, poi, affermato che, laddove il giudice - pur sospettando un legame causale – non possa rintracciare una legge scientifica in base alla quale spiegare l’evento, dovrà escludere la sussistenza del rapporto di causalità119; in presenza di leggi scientifiche alternative, ad ogni modo, il giudice può ricostruire il nesso causale anche adottando una legge scientifica non unanimemente riconosciuta – purché ricorra ad acquisizioni maggiormente accolte o generalmente condivise120. - Non possono, invece, assumere rilievo ai fini della ricostruzione del nesso causale teorie scientifiche nuove – sulle quali la comunità scientifica non abbia avuto modo di esprimersi compiutamente121 -. Tra i corollari della teoria condizionalistica: - Il concorso di fattori causali preesistenti, simultanei o sopravvenuti non esclude il rapporto di causalità tra l’azione e l’evento, quando l’azione è una condizione necessaria dell’evento (anche se i fattori estranei all’opera dell’uomo sono rari o anomali); - Il rapporto di causalità non è escluso nemmeno se il fattore causale ulteriore rispetto all’azione dell’uomo consiste in un fatto illecito di un terzo; - il rapporto di causalità è, invece, escluso quando si inserisca una serie causale autonoma (da sola sufficiente a causare l’evento) tra l’evento e l’azione (considerabile, dunque, antecedente temporale piuttosto che condicio sine qua non). 4.2. Correttivi alla teoria condizionalistica. La c.d. teoria della casualità adeguata esclude il rapporto di causalità in presenza di fattori anormali (preesistenti, simultanei o sopravvenuti): occorre, in aggiunta al criterio della condicio sine qua non, che l’evento sia una conseguenza normale – o almeno non improbabile – dell’azione, dato che sarebbe iniquo (nonché contrastante con le esigenze della pena retributive e preventive) attribuire all’agente eventi imprevedibili. Tale teoria suggerisce, per accertare la sussistenza del nesso causale, di compiere una prognosi postuma articolata in due momenti: - Formulazione di un giudizio ex ante in ordine agli sviluppi causali normali (o non improbabili) dell’azione in base alle conoscenze, alle leggi scientifiche ed ai dati di fatto disponibili al momento dell’azione; - Comparazione tra decorso causale effettivamente verificatosi e decorsi causali prevedibili. La teoria della causalità umana esclude, invece, il nesso causale in presenza di fattori eccezionali rarissimi (requisito ben più stringente rispetto ai parametri della causalità adeguata): essi non rientrerebbero tra gli sviluppi dominabili dall’agente con i suoi poteri conoscitivi e volitivi (es. “emofilia della persona lievemente ferita”). 119 Cass. 2010 (Quaglierini): altrimenti si attribuirebbe al giudice, “in modo inaccettabile, la funzione di elaborazione della legge scientifica e non, invece, come consentito, della mera sua utilizzazione”. 120 Cass. 2010 (Cozzini): individuati criteri oggettivi (conformità della teoria al metodo scientifico) e soggettivi (autorevolezza degli esperti); in tale occasione la Cass. ha escluso la rilevanza dei risultati delle indagini epidemiologiche che, indagando le cause della patologia nella popolazione, non spiegherebbero le cause della patologia che abbia colpito il singolo (trascurando, ad esempio, eventuali concause). Un diverso orientamento (Cass. 2019, Spallanzani) ha, invece, rilevato che tali indagini potrebbero comunque rilevare in assenza di decorsi causali alternativi (riprendendo la Sent. Franseze); d’altro canto, le indagini epidemiologiche possono senz’altro fornire la base per vietare l’impiego di una sostanza che abbia statisticamente aumentato l’incidenza nella popolazione di una data patologia (conformemente con il principio di precauzione). 121 Cass. 2019 (Spallanzani), in ordine all’attendibilità scientifica della teoria dell’effetto acceleratore – in base alla quale tutte le esposizioni ad amianto contribuiscano ad accelerare la cancerogenesi - : non è consentito l’utilizzo di una teoria esplicativa originale, non discussa dalla comunità scientifica, a meno che ciascuna delle assunzioni a base della teoria non sia verificabile e verificata secondo gli ordinari indici di controllo dell’attendibilità scientifica di essa e dell’affidabilità dell’esperto. 47 E’, talora, controverso l’inquadramento di un illecito penale tra i reati di pericolo astratto o tra i reati di pericolo concreto; il manuale propone di ricondurre i reati di pericolo astratto ad una cerchia ristretta di reati comprensiva quasi unicamente di ipotesi in cui la tutela del bene giuridico non sarebbe realizzabile, se non ricorrendo a tale tecnica sanzionatoria (es. con riguardo a beni ambientali, aventi dimensioni tali da rendere concretamente inoffensive molteplici condotte inquinanti singolarmente considerate che, dunque, potranno essere represse unicamente ricorrendo a fattispecie di pericolo astratto). Il legislatore configura, spesso, reati di pericolo imperniati sul superamento di una soglia quantitativa oltre la quale scatti la presunzione di pericolosità – e la conseguente repressione – (es. reati ambientali, guida sotto l’influenza di alcool); anche in tali casi la Corte Costituzionale ha valorizzato il principio di offensività126, richiedendo un grado minimo di lesione al bene giuridico perché la condotta tipica possa avere rilevanza penale (l’offensività sarebbe, ad esempio, dubbia in caso di superamento marginale delle soglie previste), pur riscontrandosi in giurisprudenza anche orientamenti tendenzialmente più rigorosi127. Con l’introduzione della causa di non punibilità ex art. 131-bis (particolare tenuità del fatto)128, peraltro, anche condotte esiguamente offensive potrebbero sottrarsi alla repressione penale. B. Le peculiarità del fatto nei reati omissivi. 7. L’omissione. Nei reati omissivi, l’omissione penalmente rilevante consiste nel mancato compimento di un’azione che si ha l’obbligo giuridico di compiere. È possibile distinguere, a riguardo, tra: - Reati omissivi propri, nei quali il legislatore reprime il mancato compimento di un’azione giuridicamente doverosa, indipendentemente dal verificarsi o meno di un evento come conseguenza dell’omissione – circostanza che, eventualmente, rileverà come aggravante. Essi sono direttamente configurati da singole norme incriminatrici, che descrivono sia l’azione doverosa la cui omissione è penalmente rilevante che i presupposti in presenza dei quali sorge l’obbligo di agire (es. omissione di soccorso, art. 593) – tale obbligo presuppone, comunque, il potere materiale di compiere l’azione doverosa: ad impossibilia nemo tenetur129. Nei reati omissivi propri l’offesa al bene tutelato è presente come elemento sottinteso del fatto e deve essere, pertanto, vagliata dal giudice130. - Reati omissivi impropri (o reati commessivi mediante omissione), nei quali la legge incrimina il mancato compimento di un’azione giuridicamente doverosa imposta per impedire il verificarsi di un evento (consistente in un elemento costitutivo del fatto). Nei reati omissivi impropri il dovere giuridico di agire ha una portata più ampia, estendendosi anche all’impedimento dell’evento – ma richiedendosi, pur sempre, il potere materiale di impedire l’evento. Tali fattispecie, a differenza dei reati omissivi propri, non sono configurate attraverso apposite norme di parte speciale: esse derivano dalla combinazione di una disposizione di parte generale – l’art. 40 c.p., non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo 131 – e di norme incriminatrici di parte speciale che vietano la causazione di un evento. 125 Corte Cost. n. 109/2016-n. 278/2019: presunzioni legali di pericolosità del fatto sono compatibili con i principi costituzionali di offensività e ragionevolezza nella misura in cui non risultino irrazionali e arbitrari. 126 Corte Cost. n. 333/1991: può verificarsi divergenza tra tipicità ed offesa a causa della necessaria astrattezza della norma – l’adozione di criteri quantitativi rigidi potrebbe portare a considerare sempre pericolosi fatti concretamente inoffensivi – e tale scarto sarebbe “senz’altro presente” in tutti i casi in cui l’eccedenza rispetto al limite di tolleranza si presenti in termini quantitativamente marginali, o comunque modesti: in tal caso spetta al giudice di merito, in ottemperanza al principio di necessaria offensività, valutare l’idoneità offensiva della condotta. 127 Cass. 2013 (Ferrari), guida sotto l’effetto di alcool: rilevanza penale del fatto non esclusa qualora venga accertato un tasso alcolemico che superi di centesimi il superamento del limite soglia. 128 S.U. 2016 (Tushaj), non punibilità per particolare tenuità del fatto applicabile Anche in relazione a reati di pericolo imperniati sul superamento di soglie quantitative (es. guida in stato di ebbrezza o scarico di acque reflue). 129 Corte Cost. n. 5/2004: esclusa la rilevanza penale dell’inottemperanza all’ordine di allontanamento da parte dello straniero extracomunitario determinata dalla indisponibilità delle risorse economiche necessarie per l’acquisto dei biglietti di viaggio. 130 Cass. 2016 (Maracine): omissione di soccorso di una persona ferita, il reato non si configura laddove l’agente non presti assistenza allorché altri abbia già provveduto e non risulti più necessario né utile o efficace l’ulteriore intervento dell’obbligato: l’omissione risulta, in tal caso, inoffensiva. 50 Per stabilire se e quando l’omesso impedimento di un evento sia penalmente rilevante, il giudice deve attenersi a due criteri vincolanti: - Ex art. 40 c2 rileva solo il mancato compimento di un’azione impeditiva dell’evento imposta da una norma giuridica (che fa del destinatario il garante dell’integrità di uno o più beni giuridici), non essendo sufficiente la sola possibilità materiale di impedire l’evento o un obbligo fondato in norme etico-sociali132. Non è necessario che l’imposizione derivi da una norma giuridica penale: sono, a tal fine, idonee anche norme giuridiche extra-penali ovunque ubicate (anche in fonti di diritto privato: es. contratto con cui si assume l’obbligo di impedire una classe di eventi). - I presupposti in presenza dei quali sorge l’obbligo di impedire l’evento e gli eventi il cui verificarsi debba essere impedito devono essere esplicitati nelle singole norme giuridiche. La giurisprudenza ritiene, peraltro, che fonte dell’obbligo di impedire l’evento possa essere anche una precedente attività pericolosa133, benché tale assunzione non trovi fondamento in una norma giuridica da cui possa ricavarsi, in capo a chi abbia causato la situazione di pericolo, l’obbligo di attivarsi per neutralizzarlo – fermi restando, del resto, i profili di responsabilità colposa per chi abbia intrapreso attività pericolose senza adottare opportune misure cautelari -. 7.1. Obblighi di protezione ed obblighi di controllo nei reati omissivi impropri. Gli obblighi giuridici ex art. 40 c2 possono qualificarsi come: - Obblighi di protezione, quando riguardino la tutela di uno o più beni che facciano capo a singoli soggetti o ad una determinata classe di soggetti verso una gamma più o meno ampia di pericoli. Tali obblighi possono nascere da varie fonti: legge (art. 147 c.c.: i genitori sono garanti dell’integrità fisica dei minori), ivi incluso l’ordinamento di navigazione marittima134, contratto135- caso, quest’ultimo, in cui la posizione di garanzia insorge non a partire dal momento pattuito fra le parti, bensì dal momento in cui l’obbligato assume effettivamente e materialmente l’incarico -, ecc. - Obblighi di controllo, quando abbiano per oggetto la neutralizzazione dei pericoli derivanti da una determinata fonte, in funzione di tutela di chiunque possa essere messo a repentaglio da tale fonte di pericolo (connessa ad attività umane o a forze della natura)136. Potrebbero insorgere difficoltà circa l’individuazione dei garanti nell’ambito delle imprese strutturate in forma societaria, nel quale emergono due fondamentali categorie di doveri di garanzia: - Obblighi di protezione relativi all’amministrazione dell’impresa, finalizzati alla tutela del patrimonio sociale, dai quali discende il dovere di impedire la commissione di reati fallimentari e societari da parte di soggetti apicali (es. direttori generali) e di cui sono titolari membri del CDA, membri del comitato esecutivo, amministratore delegato; - Obblighi di controllo relativi alla gestione tecnica, operativa e commerciale dell’impresa sociale, finalizzati al controllo delle fonti di pericolo immanenti all’esercizio dell’attività di impresa, anch’essi pendenti su soggetti apicali dell’impresa (titolare dell’impresa individuale; consiglieri d’amministrazione delle società di capitali) e su altri soggetti operanti all’interno dell’impresa137. 131 Cass. 2019 (reati omissivi a forma vincolata): la regola di cui all’art. 40 trova applicazione anche relativamente ai reati a forma vincolata (caso: dirigente medico che ometta di comunicare all’ente di svolgere attività professionale presso il suo studio privato, inducendo l’ente a corrispondergli lo stipendio maggiorato dell’indennità di esclusiva). 132 Cass. 2020 (Ciontoli): In assenza di norme giuridiche che impongano di attivarsi per impedire l’evento non può configurarsi una responsabilità per omesso impedimento dell’evento, non rilevando neanche l’”assunzione volontaria del dovere di protezione” da parte del soggetto che non abbia, poi, impedito l’evento. L’art. 40 c2 configura un criterio formale – presenza di una norma giuridica – non sostituibile con criteri contenutistico- funzionali che diano rilevanza, ad esempio, a rapporti di fatto. 133 Cass. 2013 (Santacroce): responsabilità del proprietario di un vivaio per il decesso del conducente di un autocarro rimasto folgorato per il contatto delle piante trasportate con la linea elettrica a causa dell’innalzamento del piano stradale realizzato senza rispettare le distanze. 134 Cass. 2017 (Schettino): obbligo per il comandante della nave di sovrintendere le operazioni di salvataggio dei passeggeri. 135 Cass. 2013 (assistente bagnanti): responsabile il bagnino che, inaccortamente, non si fosse posizionato in modo da tenere sotto controllo l’intera area sottoposta alla vigilanza – non accorgendosi, di conseguenza, del malore di una vittima. 136 Cass. 2019 (Scidone): posizione di garanzia del sindaco, omicidio colposo plurimo, in occasione di un disastro naturale (per non aver adottato i comportamenti doverosi che avrebbero evitato il pericolo per la pubblica incolumità. 137 Cass. varie (delega di funzioni e posizione di garanzia). Con riguardo a tali soggetti occorre stabilire: 51 7.2. Il nesso tra omissione ed evento nei reati omissivi impropri. Il nesso tra omissione ed evento consiste, ex art. 40 c2, nel mancato impedimento dell’evento. La struttura del rapporto di causalità è, dunque, diversa rispetto a quella dei reati commissivi: - Nei reati commissivi poggia sulla relazione reale tra accadimenti (condicio sine qua non); - Nei reati omissivi il rapporto di causalità è, invece, ipotetico: sussiste quando l’azione doverosa che è stata omessa, se fosse stata compiuta, avrebbe impedito il verificarsi dell’evento. L’accertamento del nesso causale avviene, nei reati omissivi, mediante una duplice indagine138: 1) C.d. causalità reale: accertamento, in primo luogo, della causa reale dell’evento. 2) C.d. causalità ipotetica: accertamento, successivo, dell’efficacia impeditiva dell’azione omessa, compiendo un giudizio controfattuale (chiedendosi se, aggiungendo mentalmente l’azione doverosa omessa, ne sarebbe seguita una serie di modificazioni della realtà che avrebbero bloccato il processo causale sfociato nell’evento). Il giudizio di causalità ipotetica è guidato, laddove l’evento sia il risultato di un processo causale innescato da fattori meccanici o naturali, mediante il ricorso a leggi scientifiche (richiedendosi, in tal caso, un grado di probabilità prossimo alla certezza/grado inferiore, in assenza di decorsi causali alternativi) o, laddove l’impedimento dell’evento cui sia obbligato il garante dipenda dalla condotta di terze persone, dovrà farsi riferimento a massime d’esperienza per accertare la probabilità che si verificasse la serie di condotte necessaria per impedire l’evento (es., quando l’evento da impedire consista nella commissione di un reato societario, l’accertamento dell’omesso impedimento da parte dei garanti dovrà essere effettuato stabilendo se il garante avesse attivato tutte le possibili procedure giudiziarie o amministrative che ne avrebbero impedito la consumazione). C. ULTERIORI CLASSIFICAZIONI DEL REATO SECONDO LA STRUTTURA DEL FATTO. 11. Classi di reati ancora da esaminare. In base alla struttura del fatto, è possibile operare ulteriori distinzioni: - Si configurano “reati di mera condotta” quando il fatto si esaurisca nel compimento di azioni (reati di mera azione) o nel mancato compimento di un’azione doverosa (reati di mera omissione/omissivi propri), e reati di evento (commissivi o omissivi impropri) – solo con riguardo a questi ultimi sorge il problema del nesso di causalità; - Reati istantanei sono quelli nei quali, verificatasi la consumazione del reato, è irrilevante che la situazione antigiuridica creata dall’agente si protragga nel tempo, mentre nei reati permanenti il protrarsi nel tempo della situazione antigiuridica creata dalla condotta rileva (perfezionandosi il reato nel momento in cui si realizzi la condotta – e, eventualmente, si verifichi l’evento – e perdurandone il momento consumativo sino alla cessazione della condotta del reo139). Si applica, con riguardo ai reati permanenti, una disciplina peculiare sotto vari profili (la prescrizione decorre dal giorno in cui è cessata la permanenza; la legittima difesa è possibile fintanto che perduri la situazione antigiuridica; ecc.); - Reati abituali sono quelli il cui fatto esiga la ripetizione, anche ad apprezzabile distanza di tempo, di una serie di azioni od omissioni (non rilevando un singolo atto del tipo descritto) – es. - Se una delega di funzioni possa comportare un totale trasferimento degli obblighi di garanzia dai vertici dell’impresa ai soggetti delegati. NO: in ogni caso, rimane in capo ai vertici dell’impresa un dovere di vigilanza sul rispetto, da parte dei delegati, dei compiti ad essi attribuiti (creando adeguati sistemi di monitoraggio, o laddove vengano comunque a conoscenza di rischi in atto); - Quali siano la fonte e le condizioni di validità degli obblighi di garanzia in capo ai soggetti delegati. Essi si radicano su un atto di autonomia privata che delinea l’organizzazione interna dell’impresa, necessariamente rispettoso – ai fini della validità della delega – di una serie di requisiti previsti nel d. lgs. 81/2008. 138 Cass. varie: ampio recepimento del metodo della duplice indagine, soprattutto in materia di attività medico chirurgica. Es. Cass. 2005 (Lucarelli): nesso causale tra omissione addebitata al medico ed evento lesivo non riconosciuto.: non essendo stato possibile accertare le modalità di trasmissione del virus, ovvero il meccanismo reale di produzione dell’evento lesivo, non ci si poteva interrogare sull’efficacia impeditiva dell’azione doverosa omessa. Caso: diffusione di epatite B con decesso di 9 pazienti ricoverati nel reparto di ematologia 139 Corte Cost. n. 53/2018 (reati permanenti): nei reati permanenti la consumazione perdura nel tempo, e sono da ricondursi alla fase consumativa del reato tutti gli atti compiuti dal soggetto per conservare la situazione antigiuridica (es. sequestro di persona). 52 Il codice penale disciplina l’eccesso colposo, ex art. 55, ricorrente laddove l’agente operi un’erronea valutazione della situazione scriminante – es., nel caso della legittima difesa, sull’entità dell’aggressione – o commetta un errore nella fase esecutiva della condotta (es. estrae un’arma per intimorire l’aggressore, ma parte un colpo che lo uccida). In tal caso, laddove l’errore sia colposo ed il reato sia punibile a titolo di colpa, l’agente risponderà di reato colposo; non emergerà, invece, responsabilità penale in presenza di eccesso incolpevole144. Laddove, invece, l’agente si sia rappresentato esattamente la situazione scriminante, abbia pienamente controllato i mezzi esecutivi ed abbia consapevolmente e volontariamente realizzato un fatto eccedendo i limiti della causa di giustificazione, si configura eccesso doloso – ipotesi non rientrante nell’art. 55 – e risponderà a titolo di dolo del reato consumato145. Laddove l’errore commesso dal soggetto non abbia ad oggetto la situazione, ma la norma scriminante (es. agente che ritenga assente il limite della “proporzione” nella norma sulla legittima difesa), l’agente risponderà con dolo e non per eccesso colposo. Nella legittima difesa domiciliare, introdotta con la l. n. 36/2019 nell’art. 52 c1 c.p., il legislatore ha introdotto una disciplina speciale con riguardo all’eccesso colposo individuando un’ipotesi nella quale, pur a fronte di un eccesso colposo nella causa di giustificazione, si verifica l’esclusione della responsabilità penale per difetto di colpevolezza. In presenza di eccesso doloso o colposo dei limiti di una causa di giustificazione si configura un fatto illecito che, in quanto tale, espone chi l’ha commesso – oltre che alla responsabilità penale – al risarcimento del danno, patrimoniale e non, ex artt. 2043 e 2059 c.c., pur quantificato considerando la posizione del soggetto agente146. In caso di eccesso colposo di difesa nel domicilio in situazioni di minorata difesa o di grave turbamento psichico, ipotesi in cui l’art. 55 c2 esclude la responsabilità penale, la riforma del 2019 ha introdotto una disciplina risarcitoria ad hoc: il reo deve corrispondere al danneggiato una indennità la cui misura è rimessa all’equo apprezzamento del giudice, tenuto altresì coto della gravitò, delle modalità realizzative e del contributo causale della condotta posta in essere dal danneggiato. 2. Le singole cause di giustificazione disciplinate nel codice penale. 3. Il consenso dell’avente diritto. Ex art. 50 c.p. non è punibile chi lede o pone in pericolo il diritto, con il consenso della persona che può validamente disporne. Tale causa di giustificazione non opera relativamente alle fattispecie di reato nelle quali dissenso/consenso siano elementi costitutivi (e, in assenza di essi, il fatto non acquisirebbe rilevanza penale – es. la violazione di domicilio presuppone la contraria volontà, espressa o tacita, di chi abbia il diritto di escluderla). Il consenso dell’avente diritto ha portata limitata ai soli fatti che ledano diritti individuali tutelati nell’esclusivo interesse del titolare, che si caratterizzano come disponibili da parte di questi (che può disporne secondo la sua volontà conferendo a terzi la facoltà legittima di lederli o porli in pericolo). Sono, invece, indisponibili gli interessi dello Stato, degli enti pubblici e della collettività. 3.1. I diritti indisponibili. Quanto alla qualificazione dell’interesse individuale della vita, esso era inizialmente ritenuto indisponibile (art. 579: incriminato l’omicidio del consenziente); con la l. 219/2017 è stata, tuttavia, attribuita rilevanza scriminante alla volontà espressa del paziente di rifiutare trattamenti necessari alla propria sopravvivenza. In presenza di rifiuto di un trattamento sanitario nonostante la previa informazione in ordine alle conseguenze gravi potenzialmente da ciò derivanti, in ragione del principio di autodeterminazione terapeutica – ricavato dal combinato discorso tra l’art. 32 c2 Cost. e l’art. 13 Cost. -, il trattamento non può 144 Cass. 1987 (La Rocca). 145 Cass. 2018, in ordine alla distinzione tra eccesso colposo e doloso: si configura eccesso doloso tutte le volte in cui i limiti della necessità della difesa vengano superati in conseguenza di una scelta cosciente e volontaria, così trasformando la reazione in uno strumento di aggressione. 146 Cass. 1989 (Mauriello): applicabile in via analogica l’art. 1227 c.c., entità del risarcimento diminuito, in caso di eccesso colposo, in ragione del concorso del fatto del danneggiato. 55 essere imposto al paziente147 (il rifiuto del trattamento sanitario dev’essere distinto dall’eutanasia, implicante una condotta volta ad abbreviare la vita, causando positivamente la morte). La Cassazione civile, in relazione al c.d. caso Englaro (2007), ha ricondotto al “diritto del singolo alla salute” – “diritto di libertà” – la tutela del suo risvolto negativo (“diritto a lasciarsi morire”); anche le Cass. penali, affrontando la problematica della rilevanza del rifiuto del paziente del trattamento terapeutico, sono pervenute alle medesime conclusioni. Tali orientamenti giurisprudenziali sono stati recepiti dal legislatore nella l. n. 219/2017 in materia di consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento (c.d. testamento biologico), esentando il medico che esegua le disposizioni del paziente da responsabilità civile e penale - fermo restando che, anche in caso di rifiuto della terapia, il medico deve comunque adoperarsi per alleviare le sofferenze del paziente attraverso un’appropria terapia del dolore -. In tale occasione il legislatore ha, dunque, apposto alcuni limiti al carattere indispensabile del bene della vita. La normativa delineata in tale legge attribuisce un ruolo centrale al consenso libero ed informato del paziente; ciò anche in relazione alla possibilità di manifestare anticipatamente la propria volontà in materia di trattamenti sanitari, vincolante per il medico (con conseguente esclusione di ogni responsabilità in capo a questi), mediante il c.d. testamento biologico (disposizioni anticipate di trattamento), nel caso in cui sopraggiungesse, in futuro, l’incapacità di autodeterminarsi. In caso di trattamento medico-chirurgico effettuato in assenza di un valido consenso: - In caso di decesso del paziente, la Cassazione ha qualificato il fatto ora come omicidio preterintenzionale, ora come omicidio colposo (escludendo la sussistenza del fatto doloso di lesioni personali e ravvisando la colpa nella supposizione di un consenso all’intervento); - Laddove il paziente non muoia, e le sue condizioni migliorino, le S.U. nel 2008 hanno ritenuto configurabile il delitto di lesioni colpose (in senso contrario, un successivo orientamento giurisprudenziale ha riqualificato come doloso l’evento dannoso finale, in presenza di un intervento effettuato nella coscienza del dissenso del paziente). Il caso Cappato. La Corte d’Assise di Milano, nel 2018, ha poi sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 580 c.p. (aiuto al suicidio) – caso: Cappato aveva portato in Svizzera DJ Fabo, cieco e tetraplegico, per consentirgli di sottoporsi ad eutanasia -. La Corte Costituzionale (ord. n. 207/2018), pur rilevando profili di incompatibilità della disciplina vigente, non ha tuttavia provveduto a dichiararla illegittima ma ha rinviato il giudizio di Cappato – con sospensione del processo penale – contando sull’elaborazione, da parte del Parlamento, di una disciplina che tenga conto dei molteplici valori in gioco148. Il legislatore non ha ascoltato il monito della corte che, con Sent. n. 242/2019, ha dichiarato parzialmente illegittimo l’art. 580 c.p. limitatamente all’ipotesi in cui venga agevolata l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli estendendo, ricorrendo tali circostanze, la disciplina della l. n. 219/2017 all’aiuto al suicidio (configurandone l’efficacia scriminante) – 147 Cass. 2015 (Tonchia): integra violenza privata – e, eventualmente, lesioni personali dolose – il trattamento sanitario erogato con la forza al paziente. 148 Corte Cost. Ord. n.207/2018: la Corte, nell’elaborazione della risposta interlocutoria: - Ha negato l’incostituzionalità dell’incriminazione dell’aiuto al suicidio, individuando la finalità perseguita dalla norma incriminatrice nella “protezione del soggetto da decisioni in suo danno” predisposta, non essendo possibile incidere sull’interessato, “creandogli attorno una cintura protettiva, inibendo ai terzi di cooperare in qualsiasi modo con lui”; - Ha individuato che, in certi casi (patologie irreversibili, fonti di sofferenze fisiche/psicologiche, ma non tali da alterare la capacità del soggetto di prendere decisioni libere e consapevoli, nonché mantenimento in vita a mezzo di trattamene di sostegno vitale) l’”assistenza di terzi nel porre fine alla sua vita” consista nell’unica via d’uscita per sottrarsi, nel rispetto del proprio concetto di dignità della persona, ad un mantenimento artificiale in vita non più voluto e che egli ha il diritto di rifiutare ex art. 32 c2 Cost.; - La normativa configura, dunque, una limitazione nella libertà di autodeterminazione del malato nella scelta delle terapie, con lesione dei principi di dignità umana, ragionevolezza e uguaglianza in rapporto alle diverse condizioni soggettive; - Al contempo, tuttavia, la Corte ha evidenziato che una dichiarazione di incostituzionalità lascerebbe priva di disciplina legale la prestazione di aiuto materiale a pazienti in un ambito ad altissima sensibilità etico-sociale e rispetto al quale vanno con fermezza preclusi tutti i possibili abusi. 56 valorizzando, in ultima analisi, la dignità e l’autodeterminazione del malato, nell’ambito di una procedura volta a scongiurare il pericolo di abusi ed a tutelare persone particolarmente vulnerabili. Una recente proposta di referendum mirava all’abrogazione parziale dell’art. 579; la Corte Cost., nel ritenere inammissibile il quesito (Corte Cost. n. 50/2022), ha ritenuto che le modifiche auspicate non avrebbero preservato la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana (con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili) liceizzando, piuttosto, ogni fattispecie di omicidio del consenziente (e sancendo la piena disponibilità della vita da parte di chiunque sia in grado di prestare un valido consenso alla propria morte). 3.2. I diritti disponibili. Rientrano, in via di principio, tra i diritti disponibili: - I diritti patrimoniali, salvo che l’integrità del bene che formi oggetto si essi soddisfi anche un interesse pubblico; - I diritti personalissimi (entro certi limiti di misura: es. art. 600, delitto di riduzione o mantenimento in schiavitù); - L’integrità fisica, fintanto che l’atto dispositivo sia funzionale alla salvaguardia della salute – o, in caso di atto a svantaggio della salute, entro i limiti dell’art. 5 c.c. -. 3.3. I requisiti del consenso. È legittimato a prestare il consenso il titolare del diritto, ovvero il suo rappresentante legale o volontario, purché abbia capacità naturale (maturità e lucidità necessaria ad intendere l’importanza del bene in gioco ed a valutare l’opportunità del sacrificio; il consenso può essere in qualsiasi forma, espressa o tacita, e può essere sottoposto a condizioni, termini o limitazioni. Il consenso deve essere immune da vizi (errore, violenza, dolo), deve sussistere al momento del fatto – permanendo per tutto il tempo in cui eventualmente si protragga la realizzazione del fatto 149 – ed è sempre revocabile (non rileva l’obbligo preventivo a non revocare il consenso). Quanto all’ipotesi del consenso presunto - ovvero laddove, pur in assenza di consenso, l’agente operi nell’interesse del titolare del diritto (es. violazione di domicilio per chiudere un rubinetto rimasto aperto) -, la giurisprudenza tende a non ritenerlo rilevante mentre la dottrina, invece, vi riconduce la diversa causa di giustificazione dell’esercizio di un diritto (il diritto consisterebbe, specificamente, nella facoltà di gestire utilmente gli interessi del terzo). 4. L’esercizio di un diritto. Ex art. 51 c1 c.p. l’esercizio di un diritto esclude la punibilità. Rientrerebbero in tale nozione di “diritto” non solo i “diritti soggettivi” in senso stretto, ma anche qualunque facoltà legittima di agire riconosciuta dall’ordinamento e derivante da norme costituzionali (es. diritto di sciopero), norme di legge ordinaria, norme europee, leggi regionali (nel rispetto dei principi fondamentali della legge dello Stato), norme consuetudinarie richiamate in funzione integrativa da una disposizione di legge. Tra tali fonti non rientra, tuttavia, il provvedimento amministrativo (che, laddove autorizzi un’attività penalmente vietata, sarebbe illegittimo e, pertanto, il giudice dovrebbe disapplicarlo). Nel sondare l’applicabilità dell’art. 51 occorre accertare, previamente, se la specifica azione/omissione realizzata rientri tra le facoltà costitutive del diritto invocato; in ragione, poi, del carattere oggettivo della scriminante, il fatto conforme resta lecito qualunque sia il fine che abbia animato l’agente nell’esercizio del diritto, salve ipotesi nelle quali la legge subordini il diritto all’assenza di finalità illecita (es. divieto di atti emulativi con riguardo al diritto di proprietà). 4.1. Il diritto di cronaca. 149 Cass. 2014 (Della Monica), in relazione a pratiche erotiche sadomasochistiche. 57 Ex art, 52 c1 non è punibile che abbia commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa. Tale scriminante esprime l’esigenza che il cittadino possa autonomamente agire quando lo Stato non possa garantirgli una tutela tempestiva ed efficace. Tra i presupposti della legittima difesa, occorre anzitutto analizzare i requisiti dell’offesa: - La nozione di pericolo domanda al giudice il compimento di una prognosi postuma in concreto in ordine alla probabilità del verificarsi di un’offesa alla luce di tutte le circostanze del caso concreto; - La fonte del pericolo deve essere una condotta umana, attiva o omissiva - rilevando, nella seconda ipotesi, sia l’omesso impedimento di un evento lesivo (art. 40 c2) che le omissioni costitutive di reati omissivi propri, ad es. nel caso in cui un soggetto terzo (scriminato) costringa con la forza l’agente ad agire doverosamente. La giurisprudenza di Cass.159 tende a negare che tale scriminante possa essere invocata quando il pericolo sia stato volontariamente cagionato dall’agente (es. provocazione di una rissa). - L’attualità del pericolo, esclusa in presenza di pericolo passato (già tradottosi in danno o altrimenti dissoltosi) o di pericolo futuro, inclusiva delle ipotesi in cui il pericolo sia imminente160 o perdurante (offesa già in atto, ma non ancora esaurita: es. vittima di sequestro di persona che aggredisce i sequestratori). E’ controverso, poi, se tale presupposto possa ricomprendere l’ipotesi dell’azione difensiva improcrastinabile161. - L’offesa ingiusta ad un diritto proprio o altrui, con riferimento a qualsiasi interesse individuale espressamente tutelato dall’ordinamento (incluse le facoltà legittime) e di cui sia titolare anche una persona giuridica (es. Stato relativamente ad un dipinto in una pinacoteca nazionale) – inclusa l’incolumità pubblica. I beni collettivi (a titolarità diffusa o istituzionali) non sono, invece, suscettibili di legittima difesa, essendo la tutela di essi attribuita esclusivamente ai competenti organi dello Stato. L’offesa deve esser ingiusta (non derivante dall’esercizio di una facoltà legittima/dall’adempimento di un dovere) senza che, a tal fine, rilevi la colpevolezza/punibilità della condotta umana dalla quale deriva (es. non rileva che l’agente sia infermo di mente). Quanto, invece, ai requisiti della difesa: - La condotta difensiva deve essere necessaria: ovvero, il pericolo non poteva essere neutralizzato né da una condotta alternativa lecita162, né da una condotta meno lesiva (ancorché penalmente rilevante) di quella tenuta in concreto. Non si configura, pertanto, legittima difesa laddove fosse possibile un commodus discessus (fuga163 anche “non onorevole”, alla luce della disparità di valore tra i beni dell’”onore” e quello dell’”integrità fisica”). - La condotta lesiva deve essere (ragionevolmente164) proporzionata all’offesa, dovendosi operare una valutazione comparativa tra il bene dell’aggredito esposto a pericolo ed il bene dell’aggressore sacrificato dalla condotta difensiva secondo i parametri etico-sociali suggeriti dalla Costituzione (es. “vita” superiore a “patrimonio”) e non, come da taluni suggerito, considerando primariamente i mezzi a disposizione dell’aggredito165 - il manuale critica tale orientamento, riconducendo il raffronto tra mezzi utilizzati e mezzi disponibili al diverso requisito della necessità (esclusa se l’agente poteva adottare una condotta meno lesiva). 159 Cass. 2019 n. 47589 e altre. 160 Cass. 2019 (Onnis): a certe condizioni, pure la mera minaccia può integrare un pericolo attuale. 161 Cass. 2018 (Gasparini): ogni ipotesi di difesa preventiva o anticipata sarebbe estranea alla legittima difesa. (Caso: moglie uccide nel sonno marito (molto) violento). Secondo il manuale, sarebbe possibile applicare la scriminante anche a tali ipotesi interpretando estensivamente il requisito dell’attualità ed estendendo analogicamente l’art. 52. 162 Cass. 2018 (Tronchetti Provera): occorre che l’agente non avesse la possibilità di difendere il bene senza commettere un fatto penalmente rilevante. 163 Cass. 2017: legittima difesa non applicabile se l’agente poteva allontanarsi dal luogo in cui era in corso una lite. 164 Cass. 2004 (Podda): non è necessario accertare la prevalenza del bene difeso rispetto a quello sacrificato, né l’equivalenza tra i due beni. L’aggredito può ledere anche un bene di rango superiore, purchè il divario di valore non sia eccessivo. 165 Cass. 2009 (Carta): l’uso del mezzo meno lesivo a disposizione dell’aggredito sarebbe “sempre proporzionato”, dovendosi operare un raffronto, ex ante, sia tra i beni giuridici in conflitto che tra i mezzi usati e quelli a disposizione dell’aggredito. 60 In seguito a due innovazioni legislative (l. n. 59/2006 e l. n. 36/2019) la legittima difesa assume limiti più ampi nei contesti del domicilio (abitazione, altri luoghi di privata dimora – formula dalla portata controversa166 - e relative appartenenze) e degli esercizi commerciali (disciplinati ex artt. 52 c. 2,3,4). La c.d. legittima difesa domiciliare si articola in due ipotesi, ricorrendo in entrambe una violazione di domicilio: - L’art. 52 c2 configura una presunzione assoluta di proporzione167 quando la difesa sia stata esercitata da chi fosse legittimamente presente nel luogo del fatto (e non, ad esempio, da chi abbia violato l’altrui domicilio), abbia adoperato un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo a scopi difensivi – l’uso di un’arma non legittimamente detenuta comporta l’applicazione della disciplina ordinaria della scriminante – e fosse mosso dal fine di difendere la propria o altrui incolumità o i beni propri o altrui, in assenza di desistenza ed a fronte di pericolo di aggressione. Permangono, comunque, i requisiti del pericolo attuale di un’offesa ingiusta alla persona o al patrimonio – dove l’attualità del pericolo può essere, secondo parte della giurisprudenza, anche rivolta al solo patrimonio, mentre il “pericolo di agVIOLENZA gressione” implicherebbe una prognosi sulla condotta del malintenzionato che non avesse ancora attuato o minacciato azioni aggressive contro l’incolumità dell’agente – pur mirando a commettere reati contro il patrimonio168 -, nonché della necessità della difesa e quello, ulteriore, della mancata desistenza dall’esecuzione del reato. La disciplina prevista parrebbe ammettere il sacrificio del bene “vita” – bene inviolabile e fondamentale ex artt. 2 e 32 Cost. - anche in presenza di un pericolo per il “patrimonio” – bene strumentale e limitato ex art. 42 c2 Cost. – e contrasterebbe, d’altro canto, anche con l’art. 2 CEDU (che ammette l’uccisione dell’aggressore soltanto laddove necessario per garantire la difesa della persona). Nel ricondurre ai canoni costituzionali la disciplina la giurisprudenza, anteriormente alla riforma del 2019, ha individuato nel “pericolo di aggressione” la necessità che venga posta in pericolo l’incolumità fisica della persona169. Nel 2019 il legislatore, per intralciare tali interpretazioni giurisprudenziali, ha inserito l’avverbio “sempre” nell’art. 52 c2, ma la Cassazione ne ha nullificato la portata170. - L’art. 52 c4 (introdotto nel 2019) dispone che, nei casi di cui al secondo e terzo comma, agisce sempre in stato di legittima difesa colui che compie un atto per respingere l’intrusione posta in essere, con violenza o minaccia di uso di armi odi altri mezzi di coazione fisica, da parte di una o più persone. Tale disposizione configura una presunzione estesa a tutti i requisiti della scriminante in presenza di una violazione di domicilio effettuata con violenza sulle persone o sulle cose171 (ipotesi aggravata ex art. 614 c4), caso in concreto verosimilmente più frequente. Il legislatore, in tale occasione, ha anche introdotto due previsioni volte ad accelerare i tempi del processo e a non gravare chi si sia difeso delle spese processuali una volta che la scriminante sia stata accertata. Quanto all’estensione della presunzione assoluta a tutti i requisiti ordinari della legittima difesa: - Relativamente al requisito della proporzione, un’interpretazione conforme alla Costituzione impone comunque una valutazione comparativa dei beni in conflitto; 166 Cass. 2013 (Todero): autovettura non qualificabile come luogo di privata dimora dal momento che in essa non si compiono, di norma, atti caratteristici della vita domestica. 167 Cass. 2018 (Vizzino): la presunzione assoluta configurata in tale ipotesi di legittima difesa domiciliare si estende alla sola proporzione, a differenza dell’ipotesi di cui al c4 (connotata da violenza). 168 Cass. 2019 (Capozzo). 169 Cass. 2007 (Grimoli): la difesa con armi dei beni … è legittima soltanto quando non vi sia desistenza ed anzi sussista un pericolo attuale anche per la incolumità fisica dell’aggredTENUITàpartiito o di altri. Cass. 2013 (Gallo Cantone): spari dalla finestra ad un ladro introdottosi in un edificio attiguo all’abitazione dell’agente, senza che vi fosse pericolo per l’integrità fisica di questi: esclusa la legittima difesa. 170 Cass. 2019 (Capozzo): l’avverbio “sempre” sarebbe pleonastico e non inciderebbe sul margine di interpretazione necessario per ricondurre la disciplina ai parametri costituzionali. 171 Cass. 2019 (Gueye): è sufficiente una violenza sulle cose, es. intrusione forzando una serratura. 61 - La necessità è, poi, requisito fondante della legittima difesa, in quanto facoltà eccezionale di autotutela172 e, in caso di omicidio, sarebbe peraltro imposto dall’art. 2 c2 CEDU (rilevante ex art.117 c1 Cost.). Cass. 2022/4529 ha evidenziato come sia possibile interpretare in modo conforme anche l’art. 52 c4. Superando la lettera della legge, la Cass. ha ritenuto di poter ricomprendere nella presunzione operata il solo requisito della proporzione, fermi restando i principi già affermati dalla giurisprudenza in relazione al c2. Il legislatore, nel 2019, ha anche operato una modifica della disciplina in materia di eccesso colposo nelle cause di giustificazione: ex art. 55 è prevista una scusante (ovvero una circostanza anormale che influisca in modo irresistibile sulla volontà o sulle capacità psicofisiche dell’agente, rendendo inesigibile un comportamento diverso, non incidente sull’antigiuridicità della condotta ma sul piano della colpevolezza) per chi ecceda nella legittima difesa domiciliare avendo agito, per la salvaguardia della propria o altrui incolumità (e non di beni patrimoniali173), nelle condizioni di cui all’art. 61 c1 (minorata difesa), ovvero in stato di grave turbamento, derivante dalla situazione di pericolo in atto – resta, comunque, ferma la responsabilità dell’agente in caso di eccesso doloso. Il giudice, nell’applicare tale causa di non punibilità, deve vagliare la sussistenza in concreto di una situazione di minorata difesa – approfittamento di condizioni che abbiano ostacolato l’azione difensiva – o del grave turbamento psichico (vagliando il duplice rapporto causale: “turbamento derivante dalla situazione di pericolo” e “turbamento causa rispetto all’eccesso di difesa”)174, circostanze che abbiano impedito all’agente di tenere una condotta rispettosa di regole cautelari la cui osservanza avrebbe impedito l’evento. 8. L’uso legittimo di armi. L’art. 53 c.p. disciplina i presupposti ed i limiti dell’uso legittimo di armi, configurando 3 ipotesi. 8.1. Uso delle armi per respingere una violenza o vincere una resistenza all’autorità. Ex art. 53 c1 c.p. non è punibile il p.u. che, al fine di adempiere un dovere del proprio ufficio, fa uso ovvero ordina di far uso delle armi o di un altro mezzo di coazione fisica, quando vi è costretto dalla necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza all’Autorità. Questa scriminante ha uno spazio autonomo, configurandosi invece legittima difesa quando l’uso di armi/coazione sia mosso dalla necessità di difendere un diritto proprio altrui dal pericolo attuale di un’offesa ingiusta ed adempimento di un dovere quando l’uso di armi/coazione sia una modalità dell’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo di pubblica autorità; l’art. 53 c1 prevede una “forma estrema” di coercizione diretta da parte dello Stato in presenza di ostacoli alla pubblica autorità (es. cariche di polizia per disperdere una manifestazione). Rientrano tra i soggetti legittimati a far uso delle armi soltanto i pubblici ufficiali tra i cui doveri istituzionali rientri l’uso della coercizione fisica diretta con armi o altri mezzi (c.d. forza pubblica) – ne sono esclusi, ad es., agenti di polizia municipale175 e guardie giurate in servizio di vigilanza privata -; chiunque, tuttavia, può beneficiare della scriminante quando presti assistenza alla forza pubblica sulla base di una legale richiesta (e non di loro iniziativa) che, se disattesa, potrebbe peraltro configurare un illecito amministrativo in assenza di “giustificato motivo” (art. 652 c.p.). Tra i presupposti dell’uso di armi: - Deve essere necessario: non si configura la scriminante in presenza di mezzi diversi per vincere la resistenza/violenza (es. esortazione verbale) o quando l’agente avrebbe potuto scegliere un mezzo di 172 Sergio Mattarella: l’esistenza di una condizione di necessità rappresenta il fondamento costituzionale della legittima difesa. 173 Cass. 2019 (Capozzo): chi ecceda i limiti della legittima difesa domiciliare per la salvaguardia di soli beni patrimoniali non potrà invocare l’art. 55 c2. In ordine al requisito della minorata difesa: occorre che la situazione abbia reso in concreto impossibile opporre una normale difesa rispetto all’aggressione subita. 174 Corte Cost. n. 172/2014 (accertamenti inerenti la sfera emotiva/psicologica (nel caso di specie: grave stato di ansia o di paura, nella fattispecie di Stalking – questione sollevata per sospetto contrasto con il principio di determinatezza): eventi che riguardino al sfera emotiva e psicologica debbono essere accertati attraverso un’accurata osservazione di segni e indizi comportamentali, desumibili dal confronto tra la situazione pregressa e quella conseguente alle condotte dell’agente, che denotino una apprezzabile destabilizzazione della serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima. 175 Andrea Alongi: “la Municipale fa solo le multe”. Orientamento contrastante: Trib. Parma 62 - Un’altra lettura suggerisce, invece, di inquadrare lo stato di necessità tra le scusanti, ravvisando nella costrizione la restrizione della libertà di agire (implicante la consapevolezza del pericolo e la necessità di accertare in concreto un effettivo turbamento psicologico in chi commetta l’atto tale da rendere inesigibile un comportamento rispettoso della legge penale) idonea ad incidere sul diverso piano della colpevolezza. Il manuale ritiene preferibile la seconda tesi per alcune ragioni: - I casi applicativi dello stato di necessità sono accomunati da un’effettiva pressione psicologica - istinto di conservazione; - Solo ravvisando nel requisito della costrizione la valorizzazione del turbamento motivazionale dell’agente, piuttosto che il mero riflesso di un bilanciamento di interessi, possono essere esclusi dalla scriminante casi meritevoli di pena (es. medico che trapianti un rene ad un paziente inconsapevole per salvarne un altro). - L’art. 53 c3 integra, pacificamente, una scusante (“stato di necessità determinato dall’altrui minaccia”), recependo l’incidenza della minaccia sull’esigibilità, da parte dell’individuo, di una condotta diversa; il manuale evidenzia, tuttavia, come rispetto alle disposizioni degli altri commi cambi unicamente la fonte del pericolo. Dalla seconda tesi discende che, in tema di soccorso di necessità (commissione di un fatto penalmente rilevante per salvare altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona), il terzo potrà essere scusato unicamente laddove il pericolo abbia prodotto un turbamento del processo motivazionale (es. nel caso in cui la persona posta in pericolo fosse un suo congiunto); peraltro, qualificare lo stato di necessità tra le scusanti consente di esercitare la legittima difesa contro chi agisca in stato di necessità (fatto ingiusto e solo scusato) e, ai fini del concorso di reato, lo stato di necessità sarebbe estensibile ai concorrenti solo purchè si accerti, in relazione ad essi, la consapevolezza del pericolo e l’effetto di coazione psicologica. Quanto al particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo, l’ordinamento non estende lo stato di necessità a chi, avendo ricevuto specifico addestramento/idoneo equipaggiamento (es. vigile del fuoco), sia attrezzato per fronteggiare il pericolo riscontrato (pur non esigendosi l’eroismo) – disposizione, questa, coerente con la natura di scusante riconosciuta allo stato di necessità. CAPITOLO VIII – LA COLPEVOLEZZA 1. Nozione, fondamento e rilevanza costituzionale. Presupposti dell’erogazione della sanzione penale sono: - La commissione di un “fatto antigiuridico”. - La “rimproverabilità” dell’autore, conformemente – come evidenziato dalla Corte Costituzionale – al principio di “personalità della responsabilità penale” ex art. 27 c1 Cost184. La “rimproverabilità” dell’agente presuppone: - Dolo, colpa, dolo misto a colpa (che coprano tutti gli estremi del fatto antigiuridico); - Assenza di scusanti; - Conoscenza/conoscibilità della legge penale violata; - Capacità di intendere e di volere (sussistente al momento della commissione del fatto). Il principio di colpevolezza / di personalità della responsabilità penale riflette uno stadio avanzato di civiltà giuridica, contrapponendosi alla responsabilità oggettiva (responsabilità per fatto proprio, ma senza che rilevino dolo o colpa). 184 La rimproverabilità deve essere comunque riferita al fatto, non alla condotta di vita tenuta dal soggetto antecedentemente al fatto o al suo carattere. 65 La Corte Cost., con la Sent. n. 364/1988, ha costituzionalizzato il principio di colpevolezza ravvisando, nella formula di “responsabilità personale” (art. 27 c.1 Cost.), il sinonimo di “responsabilità per fatto proprio colpevole”: - Conformemente alla funzione rieducativa della pena ex art. 27 c3 Cost., presupponente la rimproverabilità dell’agente (altrimenti non vi sarebbe necessità di rieducazione); - Conformemente ai principi garantisti di legalità e irretroattività della legge penale (art. 25 c.2 Cost.), presupponenti che l’agente possa rispondere soltanto di condotte da lui controllabili. In tale occasione la Corte ha censurato l’art. 5 c.p., ritenendo che l’agente possa invocare a propria scusa ’”ignoranza inevitabile della legge penale”, e ha rilevato il contrasto tra il modello della “responsabilità oggettiva” (per fatto proprio, ma realizzato senza dolo o colpa) ed il principio costituzionale di personalità della responsabilità penale. Nel 1991, poi, la Corte Cost. (Sent. 2/1991) ha evidenziato che la “colpevolezza dell’agente” deve estendersi a tutti gli elementi che contrassegnano il disvalore della fattispecie penale (ritenendone, ad ogni modo, sufficiente la colpa). Il principio di colpevolezza è stato, nel 2020, ulteriormente valorizzato dalla Corte Costituzionale (Sent. 73/2020), nel censurare il divieto di prevalenza della circostanza attenuante del vizio parziale di mente sull’aggravante della recidiva reiterata. A. DOLO, COLPA, DOLO MISTO A COLPA. 2. Dolo e colpa. Ex art. 42 c.p., di regola, per i delitti è richiesto l’elemento soggettivo del dolo; per le contravvenzioni, invece, è sufficiente la colpa (salve alcune eccezioni), ferma restando la rilevanza dell’eventuale dolo (indice di una maggiore gravità della contravvenzione) ai fini della commisurazione della pena (art. 133 c.1 c.p.) – nonché ai fini di qualsiasi altro effetto giuridico: ad es., ex art. 105, la dichiarazione di contravventore professionale presuppone la commissione di una serie di contravvenzioni dolose. 3. Dolo. Il dolo poggia, ex art. 43 c.p., su due componenti (rappresentazione e volizione). La rappresentazione del fatto antigiuridico185 presuppone la conoscenza effettiva186 di tutti gli elementi rilevanti del fatto concreto (integrata anche laddove l’agente versi in stato di dubbio187) nel momento in cui l’agente inizia l’esecuzione dell’azione tipica (non è, poi, necessario che persista successivamente). Gli elementi del fatto possono essere descrittivi o normativi: i primi sono individuabili mediante i sensi (es. “minore di anni 10”), mentre i secondi presuppongono la mediazione di norme che attribuiscano qualità (giuridiche o sociali) ad un dato della realtà (es. “atto osceno”). Gli errori sul fatto (art. 47) escludono il dolo, pur potendo residuare responsabilità a titolo di colpa (laddove il fatto sia preveduto dalla legge come delitto colposo). Può essere operata una distinzione tra: a) Errore di fatto: mancata rappresentazione di elementi del fatto come conseguenza di un’errata percezione sensoriale. b) Errore di diritto (su norma extra penale): errata interpretazione di norme giuridiche o sociali diverse dalla norma incriminatrice e da questa richiamate. Si registrano, con riguardo alla disciplina degli errori sul fatto, diversi orientamenti giurisprudenziali: 185 Il dolo è escluso ex art. 47 laddove l’agente sia caduto in un errore sul fatto costituente reato (per falsa rappresentazione della realtà o per difettosa interpretazione di una norma giuridica) o, ex art. 59 c.4, laddove l’agente – pur rappresentandosi il fatto – ritenesse di agire in presenza di una causa di giustificazione. 186 Nella colpa, invece, è sufficiente una conoscenza potenziale (rimproverandosi all’agente che avrebbe potuto rappresentarsi il fatto adottando la dovuta diligenza. 187 Salvi i casi, come evidenziato da Cass. (da ultimo, nel 2016), in cui la legge esiga una conoscenza piena e certa dell’esistenza di un elemento, es. calunnia (art. 368). 66 - Giurisprudenza prevalente di Cassazione (da ultimo, 2019): art. 47 c3 svuotato di contenuto, ritenendosi che tutti gli errori interpretativi di norme giuridiche richiamate mediante un elemento normativo siano errori sulla legge penale e, in quanto tali, inescusabili non vertendo sul fatto. Rileverebbe, pertanto, unicamente l’errore inevitabile (non dovuto a colpa). - Diverso orientamento minoritario (Cass. 2002): art. 47 c3 applicabile laddove l’errore verta su norme destinate, in origine, a regolare rapporti giuridici di carattere non penale188. Il dolo poggia, poi, sulla volizione del fatto antigiuridico (come conseguenza della propria azione o omissione) nel momento in cui il reo agisce189, decidendo di realizzarlo in tutti i suoi elementi. 3.1. I gradi del dolo. Il dolo presenta 3 possibili gradi (con riferimento all’intensità dei momenti rappresentativo e volitivo): - Dolo intenzionale, quando il soggetto agisce con lo scopo di realizzare il fatto, senza che rilevi la probabilità del raggiungimento del risultato (essendone sufficiente la possibilità); a) Reati a dolo specifico190: l’agente commette il fatto ambendo ad un risultato ulteriore (il cui realizzarsi non è necessario per la consumazione del reato); b) Reati a dolo generico191: le finalità dell’agente sono indifferenti per l’esistenza del dolo. - Dolo diretto, quando l’agente non persegue la realizzazione del fatto, ma si rappresenta come certa o probabile al limite della certezza l‘esistenza degli eventuali presupposti della condotta ed il verificarsi dell’evento come conseguenza dell’azione. - Dolo eventuale (o indiretto), quando l’agente – non perseguendo la realizzazione del fatto – si rappresenta come seriamente possibile l’esistenza di presupposti della condotta ovvero il verificarsi dell’evento come conseguenza dell’azione e, pur di non rinunciare all’azione e ai vantaggi che se ne ripromette, accetta che il fatto possa verificarsi (agendo “costi quel che costi”, c.d. “seconda formula di Frank). Tale forma di dolo confina con la c.d. colpa cosciente. Orientamenti di Cass. sul dolo eventuale: - 2012, omicidio volontario in ambito di circolazione stradale laddove il conducente abbia effettuando una manovra folle per sottrarsi ad un arresto e, nel farlo, abbia travolto un’auto. - 2019 (e al.), ritenuta sufficiente l’accettazione del rischio del verificarsi del fatto: opinione, secondo il manuale, contra legem192). - 2020 (e al.), ritenuto necessario che l’agente accetti l’evento perché possa configurarsi il dolo (caso: trasmissione di epatite C mediante la volontaria esecuzione di rapporti sessuali non protetti). Con riferimento al rapporto tra dolo eventuale e colpa cosciente, la giurisprudenza dominante (Cass. varie; tra le altre, Cass. 2017 Schettino) ritiene che il dolo eventuale presupponga l’accettazione del verificarsi dell’evento, mentre la colpa cosciente sarebbe comunque connotata dalla convinzione (dovuta a negligenza o ad imprudenza), da parte dell’agente, che l’evento non sia destinato a verificarsi. Casistica recente: a) Omicidio o lesioni personali conseguenti a contagio da HIV derivante da rapporti sessuali non protetti (Cass. 2001): Omicidio colposo aggravato dalla colpa cosciente laddove il reo, godendo di buona salute, confidasse di non essere più contagioso per il proprio modesto livello culturale; dolo eventuale, laddove il reo avesse mostrato di accettare l’eventualità della trasmissione (Cass. 2008). b) Giuda di autoveicoli in stato di alterazione psicofisica: tendenza a riconoscere il dolo eventuale, sull’onda dell’allarme sociale suscitato da tali episodi. Cass. varie: colpa cosciente in assenza di rappresentazione e volizione dell’evento. 188 Es. norme privatistiche che disciplinano la trasmissione della proprietà. 189 Non sono ammissibili il dolo antecedente, susseguente o generale 190 Es. strage, art. 422, “al fine di uccidere”. 191 Es. omicidio. 192 Ponendo ad oggetto dell’accettazione non l’evento (es. morte) ma il pericolo del verificarsi di esso (trasformando i reati di evento in reati di pericolo. 67 (e non anche di leggi aventi finalità risarcitoria203 o tributaria). Dalla violazione di una norma cautelare possono discendere sia sanzioni amministrative che sanzioni penali204. - Generica (per negligenza, imprudenza o imperizia), destinata a sopperire all’impossibilità di prevedere specifiche regole di diligenza per qualsiasi circostanza (basti pensare, a tal riguardo alle molteplici attività “pericolose” fisiologicamente compiute nella quotidianità205) nonché, soprattutto in relazione a certe attività rischiose ma socialmente utili, agli effetti controproducenti di un’individuazione, da parte del legislatore, di regole di diligenza definite. Relativamente ai parametri da adottare nell’individuazione della colpa generica la Cassazione ha stabilito, nel 2015, che il giudice debba confrontare il comportamento tenuto dall’agente con quello che, in quelle stesse circostanze di tempo e di luogo, avrebbe tenuto un uomo ideale assunto come agente modello. Piuttosto che un unico modello oggi occorre contemplare, come stabilito dalla Cassazione nel 2019, una pluralità di modelli calibrati sull’attività svolta dall’agente (valutandone la condotta alla luce delle conoscenze, abilità, facoltà ascritte al “tipo” di modello). Il giudice deve peraltro raffrontare, nell’ambito dello svolgimento di attività produttive rischiose, i costi economici che l’agente concreto avrebbe dovuto sopportare per ridurre i pericoli: il costo esigibile sarà tanto più alto, quanto maggiori risultino le potenziali conseguenze lesive dell’attività rischiosa206. La Cass., in varie pronunce (es. n. 20270/2019), ha stabilito che le regole di diligenza debbano essere ritagliate sulla persona del singolo agente. Tale criterio incontra qualche limite: - Non rilevano deficit in qualità morali207 o doti intellettuali, culturali e di esperienza dell’agente, ma solo le menomazioni fisiche (es. cecità, sordità); - Non discende, peraltro, un dovere di diligenza più elevato dall’individuazione, in capo al singolo agente, di conoscenze o abilità superiori rispetto a quelle dell’agente modello individuato208. 4.1. Le linee guida nell’attività medico-chirurgica. Le linee-guida sono regole, emanate da enti/istituzioni pubbliche o private/società scientifiche iscritte in un elenco istituito, dal 2017, dal Ministro della Salute (es. società italiana di cardiologia), volte a guidare la diagnosi e la terapia delle varie patologie: esse innalzano lo standard di perizia esigibile dal medico e, d’altro canto, offrono al giudice parametri uniformi per vagliare la sussistenza della colpa per imperizia. La Cass. 2013 ha stabilito che, laddove il sanitario incorra in linee guida dettate da esclusive logiche di economicità di gestione, deve disattenderle laddove possa derivarne un pregiudizio per il paziente; tali linee guida, peraltro, non esprimendo regole cautelari, non possono rilevare nella valutazione della colpa. Laddove le linee guida non riflettano le circostanze del caso concreto, anche una condotta ad esse conforme può risultare contraria alle regole dell’arte medica (e, in tal caso, come anche stabilito dalla Cass. S.U. 2017 – Mariotti, il medico deve discostarsi da esse per tutelare il paziente). Peraltro, può avvenire che il medico, pur agendo correttamente nella diagnosi, nella terapia e nell’individuazione delle linee-guida da adottare, non adatti correttamente tali linee-guida alle circostanze concrete. Qualche breve cenno sulla storia della responsabilità penale colposa nell’attività medico-chirurgica. 203 Es. non è imputabile di omicidio colposo il conducente di un veicolo non assicurato che abbia cagionato la morte di un altro guidatore, per il solo mancato rispetto della normativa che impone la copertura assicurativa (ne deve essere provata la colpa generica). 204 in quest’ultimo caso, laddove ad esempio si verifichi la morte di un lavoratore come conseguenza dell’omissione di una misura antinfortunistica prescritta, si verifica un concorso formale di reati (violazione di norma penale a contenuto cautelare + omicidio colposo). 205 Es. “non accecare le persone intorno a te quando devi aprire un ombrello”. 206 La Cass., nell’individuazione delle misure esigibili al fine di tutelare i lavoratori, ha adottato in varie pronunce (es. n. 1184/2018) il criterio della doverosa adozione delle misure antinfortunistiche, disponibili sul mercato in un dato momento storico, in grado di garantire il massimo livello di sicurezza tecnologicamente fattibile. 207 Es. indifferenza, leggerezza, superficialità- 208 Es. pilota di formula 1 in strada pubblica: agente modello del “guidatore ordinario” nel vaglio della correttezza di una misura di emergenza. 70 Con il Decreto Balduzzi (2012) il medico che si fosse attenuto a linee-guida/buone pratiche accreditate non avrebbe risposto per colpa lieve (ma, solo in presenza di errori macroscopici, laddove avrebbe dovuto discostarsi dalle linee-guida o qualora le avesse adattate in modo palesemente errato). Con la Legge Gelli Bianco (n. 24/2017) è stato introdotto l’obbligo generalizzato di attenersi alle raccomandazioni previste dalle linee guida nonché, laddove non ve ne siano, quello di attenersi alle buone pratiche clinico-assistenziali209; è stato istituito il Sistema Nazionale per le Linee-Guida210; è stato inserito nel codice penale l’art. 590-sexies. L’art. 590-sexies introduce 3 elementi innovativi: - Il sanitario è esonerato da qualsiasi responsabilità laddove abbia agito nel rispetto di linee-guida in primis “accreditate211” e, in secundis, “adeguate212” alle specificità del caso concreto; - L’espresso riferimento all’imperizia ha escluso la rilevanza di linee-guida contenenti regole di diligenza nell’esclusione della responsabilità colposa (una corrente giurisprudenziale, in precedenza, ne riconosceva la rilevanza, affiancandole alle regole di perizia). Soltanto le regole di perizia - ovvero quelle attinenti alle modalità secondo le quali debbano svolgersi specifiche forme di attività medico-chirurgica – possono, dunque, essere invocate dal medico cui venga mosso un rimprovero di imperizia; egli non può, pertanto, invocare il rispetto delle linee-guida laddove gli vengano contestate negligenza o imprudenza. A tal riguardo, come evidenziato in Cass. S.U. Mariotti, potrebbe risultare estremamente difficile operare una distinzione tra “colpa da negligenza” e “colpa da imperizia”. - La rimozione di qualsiasi riferimento alla colpa lieve in un’ottica di sollevamento del medico dalla responsabilità (residuando, tale circostanza, unicamente nella commisurazione della pena come di regola). Tra le perplessità sollevate dalla legge Gelli-Bianco, l’ambito di applicazione particolarmente limitato: è raro che sia contestabile l’imperizia del medico che agisca nel rispetto delle linee guida/buone pratiche (regole di perizia) correttamente individuate e selezionate. In S.U. Mariotti la Cassazione ha operato alcuni chiarimenti: - Operando una distinzione tra individuazione, selezione ed esecuzione delle linee-guida, la responsabilità del medico si configura unicamente laddove questi (es. per difetto di abilità) commetta un errore esecutivo; - Recuperando l’esenzione da responsabilità per colpa lieve per imperizia213 (non anche per negligenza o imprudenza), ritenuta implicita nel dettato normativo, rilevando che la linea guida possa comunque dirsi “rispettata” in presenza di uno scostamento marginale e, parimenti, subordinando la responsabilità del medico al verificarsi di un errore esecutivo non minimale nell’esecuzione di linee guida correttamente individuate; - Classificando l’art. 590-sexies come una causa di non punibilità (discendente da valutazioni politico-criminali di esclusione di pena per fatti comunque colpevoli, ad es. alla luce della necessità di gestire il rischio professionale del medico e contrastare le pratiche di c.d. medicina difensiva), piuttosto che come una causa di esclusione di colpevolezza (essendo comunque il fatto rimproverabile). Le ipotesi di applicazione di tale causa di non punibilità non incidono, ad ogni modo, sulla responsabilità civile del sanitario. Responsabilità medica e COVID 209 Cass. 2017 in merito al rapporto buone pratiche/linee guida: le buone pratiche hanno un rilievo solo sussidiario alla luce del “minor grado di ponderazione scientifica”, pur dovendo comunque essere “accreditate” e “consolidate” nella comunità scientifica. 210 È stata prevista una procedura di accreditamento, aggiornamento e pubblicazione delle linee-guida da parte dell’Istituto Superiore di Sanità. 211 Ciò implica, come individuato in Cass. S.U. 2017 Mariotti, che il medico debba informarsi ed aggiornarsi sull’evoluzione scientifica della propria professione. 212 Ovvero correttamente individuate, correttamente adattate alle circostanze del caso concreto (es. quadro clinico complessivo del paziente che presentasse anche ulteriori patologie), disattese laddove si rendesse necessario. 213 Ciò implica che l’esenzione da responsabilità possa operare unicamente laddove il caso concreto sia regolato da linee-guida adeguate al caso concreto. 71 Per garantire la riuscita della campagna vaccinale, in un contesto di elevata incertezza scientifica e di assenza di linee-guida/pratiche consolidate, il legislatore ha escluso la responsabilità penale da somministrazione del vaccino: ciò, nello specifico, escludendo la punibilità dei sanitari (per omicidio colposo/lesioni personali colpose) purché fossero rispettate le regole cautelari contenute nel provvedimento di autorizzazione dell’immissione in commercio nel vaccino (e riprodotte nel c.d. bugiardino del farmaco214). Nel periodo emergenziale, peraltro, l’assenza di linee guida/buone pratiche cui parametrare l’eventuale rimprovero di imperizia rischiava di paralizzare l’applicabilità dell’art. 590 sexies ed i medici, di conseguenza, rischiavano di essere esposti ad una dilatazione di responsabilità. Il legislatore, pertanto, con una disposizione temporanea ha limitato ai casi di colpa grave la responsabilità dei medici (per lesioni / omicidio colposo) per fatti verificatisi durante lo stato di emergenza; tale disposizione risultava applicabile anche a patologie non correlate al Covid (causate/aggravate dall’abbassamento dei livelli assistenziali, nella generalizzata attribuzione di un rilievo prioritario alle misure di contrasto alla pandemia), ed era accompagnata ad una serie di parametri di valutazione del grado della colpa. 4.2. I rapporti tra colpa specifica e colpa generica. Cass. 2018, Lenarduzzi: distinzione tra regole cautelari codificate a contenuto rigido/elastico. - Regole cautelari codificate a contenuto rigido: impongono al destinatario una regola di condotta fissata in modo preciso. L’inosservanza di esse origina colpa, salvo che siano presenti circostanze concrete implicanti un aumento del rischio della realizzazione di un fatto che integri un reato colposo laddove tali regole siano rispettate215; - Regole cautelari codificate a contenuto elastico: stabiliscono che l’individuazione della regola di condotta debba dipendere dalle circostanze del caso concreto. 4.3. I reati colposi di mera condotta e di evento. Nei reati colposi di mera condotta il fatto si esaurisce nella realizzazione di una condotta, in presenza di dati presupposti, senza che debba verificarsi un evento; le regole di diligenza che l’agente debba rispettare sono, in tal caso, finalizzate non a prevenire eventi futuri, ma a garantire che l’agente assuma le informazioni necessarie o compia i controlli necessari nel momento in cui esegue l’azione. Nei reati colposi di evento la colpa deve estendersi sia alla condotta che all’evento, ed il dovere di diligenza/prudenza/perizia presenta un duplice contenuto: - Riconoscimento (mediante i sensi, regole di esperienza/giuridiche, ecc.), nel momento in cui l’agente inizia/continua ad agire, del pericolo del realizzarsi del fatto antigiuridico; - Neutralizzazione o riduzione (laddove esso non sia evitabile) del pericolo che si realizzi il fatto antigiuridico, adottando le misure adeguate (individuabili, ad es., alla luce delle tecnologie disponibili) anche – qualora necessario – astenendosi o desistendo dall’agire. Solo eccezionalmente le regole di diligenza si limitano a ridurre il rischio (non eliminabile) del verificarsi dell’evento (ad es., in presenza di aree di rischio consentito, come nell’ambito di normativa in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti dall’inevitabile esposizione ad agenti cancerogeni, il datore sarebbe responsabile del tumore del lavoratore laddove non avesse fatto ricorso alle più efficaci tecniche di riduzione del rischio disponibili). Tra colpa ed evento deve intercorrere un duplice nesso: - In primo luogo, come evidenziato nell’orientamento consolidato della Cass., l’evento concreto deve essere realizzazione del pericolo che la norma violata mirava a prevenire . Tale nesso deve essere accertato in relazione all’evento concreto, considerato nelle sue particolarità: si veda, a riguardo, Cass. 2006 (Caso degli stabilimenti petrolchimici di Porto Marghera). 214 Es. relative alle modalità di somministrazioni, all’accertamento di eventuali allergie ecc. 215 Es. circolazione stradale: manovre di emergenza occupando la carreggiata opposta per evitare un investimento. 72 Non contrasta, ad ogni modo, con il principio di colpevolezza la disciplina delle condizioni obiettive di punibilità (art. 44 c.p.) che, pur operando indipendentemente dal dolo o dalla colpa, consistono in elementi del reato estranei al fatto226. 5.2. Forme di responsabilità oggettiva in relazione all’evento. Tale prima ipotesi coincide con i delitti aggravati dall’evento, nei quali è previsto un aggravamento della pena al verificarsi di una conseguenza naturalistica del reato (es. morte o lesioni personali in conseguenza di omissione di soccorso) – già integrato in tutti i suoi elementi costitutivi -. Occorre, alla luce del principio di colpevolezza, vagliare se l’evento fosse – alla luce delle circostanze concrete – uno sviluppo prevedibile ed evitabile del fatto di reato; non sarebbe, in tale ottica, condivisibile mascherare forme di responsabilità oggettiva dietro la “colpa per inosservanza di leggi” (ritenendo violata la stessa norma incriminatrice della figura di reato)227. Con riguardo alla figura del delitto preterintenzionale (derivazione dall’azione/omissione di un evento più grave di quello voluto dall’agente), ovvero laddove si verifichi la fattispecie di omicidio preterintenzionale (unica fattispecie espressamente annoverata dal legislatore in tale categoria – anche la fattispecie di aborto, tuttavia, vi ricadrebbe) il criterio di imputazione da adottare è controverso228. 5.3. Forme di responsabilità oggettiva in relazione ad elementi del fatto diversi dall’evento. La responsabilità oggettiva si configura anche quando elementi del fatto diversi dall’evento vengano posti a carico dell’agente soltanto perché oggettivamente esistenti. Concorso di persone in reato proprio. Nella norma di cui all’art. 117 c.p., ad esempio, la “qualifica del soggetto attivo” parrebbe imputata al concorrente senza che se ne debba provare dolo/colpa, ma sulla base del solo contributo causale alla realizzazione del fatto; occorre, tuttavia, rileggere tale disposizione alla luce della Costituzione, subordinando la responsabilità dell’estraneo alla sua effettiva colpa circa l’ignoranza o l’errore sulla qualifica dell’intraneo229. Aberratio ictus monolesiva. Ex art. 82, c1 c.p. laddove per errore nell’uso dei mezzi di esecuzione del reato (es. sbagliando mira) o per un’altra causa (es. improvviso cambio di direzione della vittima) l’agente leda una persona diversa da quella alla quale l’offesa fosse diretta, la legge configura una fictio: il dolo trasla dalla vittima designata alla persona offesa, benché nei confronti di quest’ultima non esistesse l’effettiva volontà lesiva del colpevole230. Il caso dell’error in persona non si traduce, invece, in una forma di responsabilità oggettiva231 - configurandosi, invece, un reato doloso -, essendo stata offesa la persona contro la quale l’agente aveva diretto la propria azione (pur travisandone l’identità). Aberratio ictus plurilesiva. L’art. 82, c2 c.p. prevede, inoltre, il caso in cui siano offese sia il bersaglio dell’azione che una persona diversa: in tal caso il reo risponde dolosamente per l’offesa che intendesse realizzata nonché, oggettivamente, per il solo fatto di aver causato lesioni a persona ulteriore (rispondendo, complessivamente, della pena prevista per il reato più grave, aumentata sino alla metà). 226 Corte Cost. n. 1085/1988: elementi estranei alla materia del divieto sottratti alla regola ex art. 27, c1 Cost. 227 Cass. 2007 (Passafiume) in materia di suicidio in seguito a maltrattamenti: necessaria prevedibilità dell’evento aggravante. 228 1) Cass. (da ultimo 2019, D’Argenzio),orientamento maggioritario: l’elemento soggettivo consiste, nel delitto di omicidio preterintenzionale, nel solo dolo dei reati di percosse o lesioni (piuttosto che in dolo + responsabilità oggettiva o dolo + colpa) , dal momento che l’art. 43 c.p. assorbirebbe la prevedibilità dell’evento più grave; 2) Orientamento superato (Cass. Paradisi, 1989): responsabilità per “dolo” (percosse/lesioni alla donna in caso di aborto preterintenzionale) misto a “colpa per inosservanza di leggi” (evento-morte). Critica: le leggi la cui violazione dà vita a colpa sono solo quelle che vietano/impongono di agire in modo x allo scopo esclusivo di prevenire il verificarsi di eventi lesivi. 3) Orientamento Marinucci-Dolcini (e Cass. 2006 n. 19611): dolo misto a colpa. Mentre il dolo riguarda la condotta, l’evento deve essere imputato adottando il parametro della colpa generica (prevedibilità in concreto). 229 Cass. 2019 (Gorbunova). 230 Appunto: potrebbe, forse, avere in tal caso qualche rilevanza il principio, ripercorso in precedenza (S.U. Ronci, 2009), per cui anche nelle attività illecite la condotta del reo debba essere confrontata con regole di diligenza? 231 Cass. 2008 (Pecoraro). 75 Occorre, ancora una volta, interpretare l’art. 82 c.p. secundum Costitutionem, subordinando la responsabilità dell’agente (comunque a titolo di dolo) per l’offesa inflitta al soggetto diverso dal bersaglio dell’azione al parametro della colpa (prevedibilità della lesione). Aberractio delicti. L’art. 83 c.p. disciplina, poi, l’ipotesi in cui per errore nell’uso dei mezzi di esecuzione o per altra causa si cagiona un evento diverso da quello voluto, caso in cui l’autore è chiamato a rispondere del fatto commesso “a titolo di colpa”: ciò non significa, come taluni ritengono, che si tratti di una forma di responsabilità oggettiva equiparata ai reati colposi, trattandosi piuttosto di un’ipotesi di responsabilità per colpa232. Tale disciplina si applica anche nel caso di cui all’art. 586 c.p. (morte o lesioni come conseguenza di altro delitto, ovvero come conseguenza di un delitto ulteriore rispetto a quelli – es. maltrattamenti come familiari – che già prevedono la morte come aggravante), dovendosi applicare il criterio della prevedibilità in concreto delle conseguenze (morte-lesione) di un delitto doloso. In conclusione, reinterpretando tale categoria di reati alla luce dei principi costituzionali, l’agente è rimproverato con dolo misto a colpa: dolo rispetto a tutti gli elementi del fatto, ad eccezione di quello da lui non conosciuto, del quale gli si rimprovera di averne per colpa ignorato la presenza nel caso concreto. 5.4. Responsabilità oggettiva in relazione all’intero fatto di reato. In materia di concorso nel reato, ex art. 116 c.p., qualora il reato commesso sia diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti anche questi ne risponde (a titolo di concorso doloso), se l’evento è conseguenza della sua azione od omissione. Tale forma di responsabilità oggettiva con riguardo all’intero fatto di reato deve, tuttavia, essere reinterpretata secondo i canoni della colpa233: il reato doloso diverso è addebitabile a chi non lo ha voluto solo se una persona ragionevole, sulla base delle circostanze concrete conosciute o conoscibili, avrebbe potuto prevedere che sarebbe stato commesso quel reato diverso234. 5.5. Alcune ipotesi di responsabilità per colpa. L’art. 609 sexies c.p. (delitti contro la libertà sessuale in danno di un minore) prevedeva un’ipotesi di responsabilità oggettiva, stabilendo che il colpevole non potesse invocare l’ignoranza dell’età della persona offesa, poi ridimensionata dalla Corte Costituzionale235. Nel 2012 il legislatore ha riformato la disposizione, sollevando da responsabilità l’agente che sia incorso in ignoranza inevitabile. In tale occasione, il legislatore ha introdotto una disciplina analoga con riferimento ai delitti contro la libertà individuale (art. 602 quater)236. In ordine alle circostanze aggravanti, in precedenza oggettivamente valutate a carico dell’agente “anche se da lui non conosciute, o da lui ritenute inesistenti”, esse debbono oggi (dal 1990) essere imputate per colpa laddove l’agente erroneamente le ignorasse o le ritenesse inesistenti (art. 59 c2). 5.6. L’irragionevole sproporzione tra misura della pena e grado di colpevolezza. Le norme incriminatrici ispirate alla logica della responsabilità oggettiva (delitti aggravanti dall’evento, omicidio preterintenzionale, aberratio ictus, reato diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti, concorso di persone nel reato proprio), benché oggi ricondotte al canone della colpa, nondimeno stridono con il principio di colpevolezza profilandosi una irragionevole sproporzione tra misura della pena prevista e grado di colpevolezza (sovente punendosi, con la pena prevista per un delitto doloso, un fatto commesso colposamente). Per questa ragione tali disposizioni potrebbero, in futuro, essere dichiarate costituzionalmente illegittime237: 232 Cass. 2018 (Contu) Concorso formale tra delitto doloso di danneggiamento e delitto colposo di lesioni personali in un caso di aberratio delicti. Caso: calcio a vetrina, rottura del vetro, lesioni personali a Caio colpito dalle schegge. 233 Corte Cost. n. 42/1965: la Corte Cost. aveva, già allora, ravvisato la necessità di identificare un “coefficiente di colpevolezza” nella forma della “prevedibilità logica” degli sviluppi dispiegatisi. 234 Cass. 2019 (Gorbunova): appoggiando tale orientamento la Cass. rigetta la tesi per cui l’agire in forma concorsuale rappresenti, di per sé, la violazione di una regola di prudenza, evidenziando la necessità di ravvisare la prevedibilità del reato diverso. 235 Corte Cost. n. 322/2007: necessaria interpretazione secondo il principio costituzionale di colpevolezza. 236 Cass. 2015: prostituzione minorile, onere probatorio. L’imputato ha l’onere di provare non solo la conoscenza dell’età della persona offesa, ma anche di aver fatto il possibile per uniformarsi ai suoi doveri di attenzione, conoscenza, informazione e controllo – richiedendosi, poi uno standard di diligenza particolarmente alto in ragione della rilevanza dell’interesse per il libero sviluppo psicofisico dei minori. 76 - In alcuni casi (es. illegittimità art. 116 co. 1) si formerebbe un vuoto repressivo, che il legislatore potrebbe colmare affiancando ipotesi di reati colposi ad ogni ipotesi di responsabilità dolosa; - In altri casi (es. omicidio preterintenzionale; delitti aggravati dall’evento) non si formerebbero vuoti repressivi, dal momento che la soppressione di tali norme sarebbe colmata dalle norme sul concorso formale di reati. B. Assenza di scusanti. 6. La normalità delle circostanze concomitanti alla commissione del fatto. Le scusanti consistono in circostanze anormali tassativamente individuate238 che, nella valutazione legislativa, hanno influito in modo irresistibile sulla volontà dell’agente o sulle sue capacità psicofisiche, non potendosi da egli esigere un comportamento diverso. Il legislatore, in materia di scusanti, deve spesso confrontarsi con il principio di eguaglianza-ragionevolezza ex art. 3 Cost239. 6.1. Le scusanti nei reati dolosi. Ex art. 54 c.p. (stato di necessità determinato da forze della natura, da un comportamento umano o dall’altrui minaccia) non è colpevole chi agisca essendo costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo. Ex art. 384, c1 c.p., in relazione ad alcuni delitti contro l’amministrazione della giustizia, è scusato chi abbia agito in quanto costretto dalla necessità di salvare sé o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore. Ex art. 599, poi, integra una scusante la provocazione (avendo agito nello “stato d’ira” determinato da un fatto ingiusto altrui) nel delitto di diffamazione (negli altri reati, invece, rileva come attenuante). La medesima ratio sottesa a tale disposizione ispira anche l’art. 393-bis c.p. (reazione agli atti arbitrari – ovvero, commessi eccedendo i limiti delle proprie attribuzioni - del pubblico ufficiale)240. Non è, tuttavia, pacifico se la reazione ad atti arbitrari del p.u. sia qualificabile come scusante o come causa di giustificazione241. 6.2. Le scusanti nei reati colposi. Anche nell’ambito dei reati colposi possono verificarsi circostanze anormali, tassativamente individuate, tali da scusare la violazione di una regola di diligenza, perché la loro presenza influisce in modo normalmente irresistibile sulle capacità psicofisiche dell’agente - impedendo anche all’agente modello di rispettarla: - Caso fortuito, nei reati commissivi colposi: ovvero, circostanze “interne” (es. malore del guidatore242); - Affievolimento di coscienza e volontà dell’azione o dell’omissione, ovvero circostanze “interne”, come reazioni da terrore o spavento (es. ingresso di sciame di api nella macchina), tali da paralizzare le normali funzioni di controllo; - Forza maggiore e costringimento fisico, circostanze anormali esterne; Tali circostanze concomitanti anormali, interne ed esterne, possono anche verificarsi nell’ambito dei reati omissivi colposi, scusando l’oggettiva violazione di una regola di diligenza. Nei reati dolosi esse non hanno, 237 Corte Cost. n. 73/2020; il principio di proporzionalità esige che al minor grado di responsabilità soggettiva corrisponda una pena inferiore rispetto a quella che sarebbe applicabile a parità di disvalore oggettivo del fatto. 238 Cass. 2019 (tassatività delle scusanti): il giudice non può appellarsi ad un “generale principio di inesigibilità” per scusare la commissione di fatti di reato, dovendo attenersi al catalogo previsto dalla legge. Cass. 2020 (Fialova, art. 384 c1, applicabilità della scusante al “convivente di fatto” – non ricompreso tra i “prossimi congiunti”): laddove in materia di scusanti si registrino lacune, essere possono essere colmate solo dal legislatore – o, se contrarie alla Costituzione, dalla Corte Costituzionale – e non dal giudice in via analogica. 239 Corte Cost. n. 140/2009: non irragionevole mancata estensione al convivente di fatto della scusante ex art. 384 c1; Corte Cost. n. 75/2009: palesemente irragionevole la mancata inclusione della scusante ex art. 384 c2 laddove il reo fornisca false informazioni alla polizia giudiziaria in relazione ad un reato connesso ad un ulteriore reato per il quale risulti indagato. 240 Cass. 1999 (Romano): “giustificato turbamento” nell’agente che abbia subito l’arbitrio del pubblico ufficiale. Cass. 2017 (Privitera): resistenza opposta dal privato a perquisizione di polizia sulla base di meri sospetti, non corroborati da alcun indizio oggettivo. 241 Cass. 2018 (Dimola) in senso contrario. 242 Cass. 2015 (Litterio), prevedibilità del malore: non scusato il conducente che, in tal caso, avrebbe dovuto desistere dalla guida. 77 obbligatoriamente252 diminuita nella misura massima di un terzo; in ogni caso trovano, infine, applicazione – ricorrendone i presupposti - le stesse misure di sicurezza applicabili al minore di anni 14. Nell’accertamento della capacità del minore, la disciplina del processo penale minorile individua alcuni criteri (es. esame condizioni personali/ambientali del minorenne, acquisizione informazioni da persone che abbiano avuto rapporti con lui, acquisizione del parere di “esperti” anche senza formalità). Laddove l’intervallo di tempo tra il procedimento penale ed il fatto commesso sia tale da rendere impossibile accertare se il minore fosse o meno imputabile al momento del fatto, dovrà essere pronunciata sentenza di assoluzione per difetto di imputabilità253. - L’azione di sostanze alcooliche o stupefacenti. Il legislatore tende, in tale contesto, ad “attenuare” il principio di colpevolezza per rispondere a finalità di difesa sociale (Solo ubriachezza accidentale e cronica intossicazione da alcool/stupefacenti rilevano nell’esclusione dell’imputabilità prevedendo, peraltro, un incremento di pena per chi si sia alterato volontariamente o colposamente, nonché per l’ubriaco/utilizzatore di stupefacenti abituale) e opera, ex artt. 91 e ss., una distinzione tra: - Ubriachezza accidentale (derivata da caso fortuito o forza maggiore esercitata da altrui o dalla natura) piena (pena diminuita, invece, per il soggetto nel quale l’ubriachezza avesse fatto scemare grandemente, senza escluderla, la capacità d’intendere o di volere), caso destinato a trovare marginale concretizzazione254; - Ubriachezza volontaria (assunzione di alcolici con l’intento di ubriacarsi) o colposa (imprudente sottovalutazione degli effetti inebrianti dell’alcool assunto), che non esclude né diminuisce l’imputabilità (art. 92 c1). In tal caso, la responsabilità dolosa o colposa del soggetto dipenderà dal dolo o dalla colpa ravvisabili nel momento della commissione del fatto e non dal carattere volontario o colposo dello stato di ubriachezza255; - Ubriachezza preordinata (artt. 87 – che detta una regola generale, valida anche quando il soggetto si alteri facendo ricorso a stratagemmi ulteriori come l’ipnosi - ; 92 c2 – assunzione di alcool/stupefacenti -), caso che si verifica quanto l’agente si ponga in stato di incapacità al fine di commettere il reato o di prepararsi una scusa. Ciò implica un incremento della pena, nella misura massima di un terzo, nel caso di cui all’art. 92 c2. Il reato commesso deve, in tal caso, essere quello che l’agente intendesse commettere nel momento in cui si fosse posto in stato di incapacità. Laddove commetta un reato diverso, invece: qualora l’incapacità non sia dovuta ad alcool/stupefacenti, il soggetto agente andrà prosciolto ex art. 85; in caso contrario, l’imputabilità permane ma non sarà applicabile l’aggravante ex art. 92 c2). - Ubriachezza abituale (art. 94 c2)/ soggetto dedito all’uso di stupefacenti, relativamente all’individuo che, facendo un uso sistematico di quantità rilevanti di alcool, si trovi spesso in stato di ubriachezza (in tal caso, si applica un aggravamento di pena nella misura minima di un terzo); - Cronica intossicazione da alcool, ovvero un’alterazione patologica permanente ed irreversibile aventi basi organiche, piuttosto che una transitoria alterazione dei processi intellettivi e volitivi (in ciò si differenzia dall’alterazione abituale256). Tale stato viene equiparato, ex art. 95, al vizio di mente (totale o parziale). 252 Cass. 2015 253 Cass. 1985 (Bassetto). 254 Cass. 1986 (Donzelli): tendenza, nel costante orientamento giurisprudenziale, a riconoscere l’ubriachezza colposa laddove non sia possibile provare il carattere accidentale dell’ubriachezza. 255 Tesi minoritaria: natura colposa/dolosa della responsabilità dipendente dal carattere volontario/colposo dell’ubriachezza. Criticata per varie ragioni: - Incompatibilità con principio di legalità (presupposto: i fatti penalmente rilevanti, oggetto del rimprovero di colpevolezza, valicherebbero quelli descritti dalla norma incriminatrice, potendo risalire sino alla mera assunzione di alcool); - Conseguenze paradossali sul titolo della responsabilità: omicidio doloso per chi, dopo essersi volontariamente ubriacato, investisse involontariamente un pedone. 256 Cass. 2018. 80 La normale irrilevanza degli stati emotivi e passionali. Ex art. 90, di regola, gli stati emotivi o passionali non escludono né diminuiscono l’imputabilità; dottrina e giurisprudenza hanno, tuttavia, apposto un limite a tale regola generale, riconoscendo l’idoneità di essi ad incidere sull’imputabilità – escludendola o diminuendola – laddove siano la manifestazione esterna di uno squilibrio mentale, anche transitorio, che abbia carattere patologico in forma tale fa integrare un vizio totale o parziale di mente257 (es. gelosia morbosa-delirante); Talora, in giurisprudenza gli stati emotivi e passionali rilevano integrando circostanze attenuanti generiche258. Il legislatore, nel 2019, ha attribuito rilievo scusante a situazioni di grave turbamento psichico per escludere la responsabilità di chi ecceda per colpa i limiti della legittima difesa nel domicilio. 257 Cass. S.U. 2005 (Raso). 258 Cass. 2013 (Disha). Cass. 2019 (Castaldo, omicidio/gelosia): non condivisibile, nel caso di specie, il riconoscimento dell’attenuante in caso di omicidio commesso sull’onda di una “tempesta emotiva e passionale scatenata dalla gelosia”. In tal caso, nell’attribuire rilevanza allo stato passionale, il giudice deve fornire una razionale giustificazione evidenziando: - Laddove l’attenuante venga concessa in ragione dei parametri generali ex art. 133 c1 (in particolar modo, attinenti ad elemento soggettivo/ determinismo psichico dell’evento lesivo) L’incidenza significativa dello stato passionale nella consumazione del delitto; - Laddove l’attenuante venisse concessa per adeguare la sanzione alla personalità del reo ex art. 133 c2, il grado di influenza che la gelosia abbia esercitato nel processo motivazionale, condizionando la capacità dell’imputato di controllare i propri freni inibitori. 81 CAPITOLO IX. LA PUNIBIILTA’. 1. Nozione e fondamento. La punibilità designa l’insieme delle eventuali condizioni, ulteriori ed esterne rispetto al fatto antigiuridico e colpevole, che fondano o escludono l’opportunità di punirlo, individuate per ragioni politico-criminali in senso stretto, ragioni politiche di clemenza, ragioni di politica internazionale (es. causa di non punibilità accordata ai diplomatici), ragioni di salvaguardia dell’unità della famiglia (es. non punibile maggior parte dei delitti contro il patrimonio commessi ai danni di una ristretta cerchia di familiari). Il legislatore, nel valutare l’opportunità di punire un fatto antigiuridico, individua sia condizioni che fondano la punibilità – c.d. condizioni obiettive di punibilità: ovvero quegli accadimenti, menzionati in una norma incriminatrice, che non contribuiscono in alcun modo a descrivere l’offesa al bene giuridico tutelato dalla norma, ma esprimono solo valutazioni di opportunità in ordine all’inflizione della pena. Es. “sorpresa in flagranza” in varie fattispecie, come l’art. 707 c.p. o, nei reati di bancarotta prefallimentare, la “dichiarazione di fallimento” come condizione obiettiva di punibilità259) – e condizioni che la escludono. Parte della dottrina amplia la gamma delle condizioni obiettive di punibilità ravvisandovi le c.d. condizioni intrinseche/o improprie) di punibilità, ricomprendendovi eventi che rendano attuale l’offesa al bene protetto o ne rappresentino una progressione. Tale costruzione assolve, spesso, allo scopo – non condivisibile – di sottrarre taluni elementi costitutivi del fatto di reato alla disciplina delle condizioni obiettive di punibilità sottraendoli, pertanto, all’oggetto del dolo/colpa. Le condizioni obiettive di punibilità sono svincolate dal dolo e dalla colpa: ex art. 44 c.p. quando, per la punibilità del reato, la legge richiede il verificarsi di una condizione, il colpevole risponde del reato, anche se l’evento, da cui dipende il verificarsi della condizione, non è da lui voluto (o, come evidenziato dalla Corte Cost., dovuto a colpa260). Il legislatore, oltre a condizioni obiettive di punibilità, disciplina anche cause di esclusione della punibilità: esse, a differenza delle scriminanti, non hanno portata universale e hanno effetto soltanto nell’ambito penale (non precludendo l’applicazione di sanzioni civili o amministrative) e si distinguono in cause personali di esclusione della punibilità, concomitanti o sopravvenute; Cause oggettive di esclusione della punibilità; Cause di estinzione del reato. 2. Cause personali di esclusione della punibilità. Tra le cause personali di esclusione della punibilità è possibile annoverare: - Cause concomitanti di esclusione della punibilità, svincolate da dolo e colpa, operano a favore dell’agente se obiettivamente esistenti e, se oggettivamente inesistenti, non rileva che l’agente abbia erroneamente supposto che fossero presenti nel caso concreto (sono escluse dall’ambito applicativo dell’art. 59 c4, a differenza di cause di giustificazione e scusanti). Es. art. 649 c.p. o immunità di diritto internazionale. - Cause sopravvenute di non punibilità, volte a premiare con l’impunità chi, avendo commesso un fatto antigiuridico e colpevole, realizzi successivamente una condotta tale o da impedire che la situazione di pericolo già creata si traduca nella lesione del bene giuridico o da reintegrare ex post il bene offeso. Es. desistenza volontaria in caso di tentativo (fatto comunque antigiuridico e colpevole); art. 308, 309 c.p.; ritrattazione nei delitti di false informazioni al p.m. (art. 376 c.p.); adempimento dell’obbligazione derivante dal reato effettuato prima della condanna da chi abbia commesso insolvenza fraudolenta (art. 641 c2 c.p.). Talora, la legge valorizza le condotte riparatorie attuate dal reo come cause di estinzione del reato (es. art. 168-bis). 259 Dibattito giurisprudenziale in ordine alla “dichiarazione di fallimento”: - Parte della giurisprudenza (da S.U. 1958, Mezzo) la qualificava come un elemento costitutivo del fatto di bancarotta – ma escludeva, poi, la rilevanza del nesso causale e psicologico tra esso e la condotta dell’agente, ad eccezione di una pronuncia isolata che ha ritenuto necessario l’accertamento di tale nesso (Cass. 2012, Corvetta); - Un filone giurisprudenziale più recente (es. Cass. 2018, Signoretti) la qualifica come condizione obiettiva di punibilità. 260 ®Corte Cost. n. 1085/1988. 82 di condanna, adottata con legge deliberata a maggioranza di 2/3 dei componenti di ciascuna Camera (l’ultima legge di amnistia è stata adottata nel ’92). 4.3. La prescrizione del reato. L’istituto della prescrizione del reato (art. 157) esprime il venir meno dell’interesse pubblico alla repressione dei reati – nonché, come evidenziato dalla Corte Cost., la maturazione di un diritto all’oblio in capo al reo274 - quando dalla commissione del reato sia decorso, senza che sia intervenuta una sentenza definitiva di condanna, un lasso temporale proporzionato, in linea di principio, alla sua gravità – desunta dalla pena edittale (non si estinguono per effetto della prescrizione i reati puniti con l’ergastolo – anche come effetto dell’applicazione di circostanze aggravanti e anche se la presenza di circostanze attenuanti porterebbe ad applicare la pena della reclusione275). Quanto al tempo necessario per maturare la prescrizione, la l. n. 251/2005 (Ex Cirielli) ha stabilito un tempo pari al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque … non inferiore a 6 anni se si tratta di delitto e 4 anni se si tratta di contravvenzione (prima della riforma era previsto un tempo più breve per le contravvenzioni e molto più lungo per i delitti); ex art. 157 c2, nel computo del termine non rilevano le circostanze attenuanti (sempre: il giudice non deve, pertanto, procedere al bilanciamento ex art. 69) o aggravanti (salve le aggravanti autonome o ad effetto speciale). La disposizione di cui all’art. 157 c5, che prevedrebbe il termine di 3 anni quando per il reato la legge stabilisca pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria, è stata ritenuta al momento inapplicabile276 potendo, eventualmente, trovare spazio se in futuro saranno previste pene diverse da quella detentiva e pecuniaria277. Ex art. 157 c6 legislatore ha previsto, in relazione ad alcune gravi figure di reato, termini speciali di prescrizione (es. raddoppiandoli in materia di disastri colposi278, delitti contro l’ambiente, omicidio stradale, ecc.); anche normative speciali possono incidere sulla disciplina della prescrizione (es. incremento di 1/3 in materia di alcuni delitti tributari). Il termine decorre, ex art. 158, dal giorno della consumazione del reato/della cessazione dell’attività che integri il tentativo/della cessazione della permanenza o della situazione antigiuridica nel reato permanente/dal verificarsi della condizione obiettiva di punibilità/della commissione dell’ultimo reato esecutivo del disegno criminoso nel reato continuato/dell’ultima condotta tenuta nel reato abituale; per alcuni reati a danno di minori, il termine decorre dal compimento del diciottesimo anno di età della persona offesa (ma, in caso di precedente esercizio dell’azione penale, dall’acquisizione della notizia di reato). L’interruzione della prescrizione non discende da ogni iniziativa dell’autorità giudiziaria (es. avvio del procedimento), ma dai soli atti interruttivi ex art. 160 c 1,2 (es. applicazione di misure cautelari, interrogatorio) individuati tassativamente279. La prescrizione interrotta ricomincia a decorrere dal giorno dell’interruzione, ma i termini previsti non possono prolungarsi oltre un quarto (prima della ex Cirielli, il prolungamento massimo era pari alla metà) salve eccezioni: - Maggiori margini di dilatazione sono previsti con riguardo a specifiche categorie di autori (metà in caso di recidiva aggravata; 2/3 in caso di recidiva reiterata; doppio in caso di abitualità nel delitto e professionalità nel reato). 274 Corte Cost. n. 24/2017 (ratio della prescrizione): tale istituto esprime una valutazione compiuta con riferimento al grado di allarme sociale indotto da un certo reato e all’idea che, trascorso del tempo, si attenuino le esigenze di punizione e maturi un diritto all’oblio in capo all’autore di ess. 275 Cass. 2015 (Trubia). 276 Cass. varie (2008-2018): il termine di 3 anni non si riferisce ai reati di competenza del giudice di pace punibili con la permanenza domiciliare o con il lavoro di pubblica utilità ed è, al momento, inapplicabile. 277 Corte Cost. n. 2/2008 in questo senso. 278 Corte Cost. n. 143/2014 (illegittima dilatazione prescrizione, incendio colposo). Censurata la previsione di termini di prescrizione raddoppiati per l’incendio colposo. 279 S.U. 2007 (Iordache): gli atti interruttivi sono insuscettibili di ampliamento in via interpretativa, in ottemperanza al divieto di analogia in malam partem in materia penale. 85 - Con la l. n. 103/2017, per mitigare l’incidenza della prescrizione su molti procedimenti per corruzione, è stato prevista una dilatabilità del termine fino alla metà – in presenza di atti interruttivi per alcune figure delittuose (in particolare, delitti contro la P.A.). - Per alcuni gravissimi reati (art. 51 c. 3 bis, 3 quater) non vi è alcun limite al prolungamento del termine in presenza di atti interruttivi. Come evidenziato in precedenza, la generale limitazione ad ¼ del margine di dilatazione del tempo necessario per maturare la prescrizione in presenza di atti interruttivi implica, anche a causa della lentezza strutturale del processo penale in Italia, che molti reati cadano in prescrizione anche in situazioni ancora connotate da interesse pubblico alla repressione (cfr. quanto detto in precedenza in ordine al Caso Taricco). Pur in assenza di atti interruttivi, il corso della prescrizione può essere anche sospeso quando si verifichino ipotesi di forzata inattività dell’autorità giudiziaria tassativamente previste dalla legge: a) In ragione della necessità di autorizzazione a procedere (es. essendo imputato un giudice della Corte Cost.); b) Laddove il g.o. sollevi questione di legittimità costituzionale o investa la Corte di Giustizia dell’UE; c) In caso di sospensione del procedimento/processo per impedimento delle parti e dei difensori ovvero su richiesta dell’imputato o del suo difensore280; d) In caso di assenza dell’imputato (art. 420 quater c.p.p.); e) Qualora sia stata disposta un’attività d’indagine attraverso una rogatoria all’estero; f) “in ogni caso in cui la sospensione del procedimento o del processo sia imposta da una particolare disposizione dei legge” (es. rinvio dei procedimenti penali per Covid/assenza di testimoni/imputato per via delle restrizioni). Il legislatore, per fronteggiare l’incidenza patologica della prescrizione nel corso del processo (incidente nel 2018, sull’8,7% dei procedimenti totali), ha eseguito alcune riforme. La riforma Orlando aveva introdotto una sospensione automatica del corso della prescrizione (per un tempo non superiore ad 1 anno e 6 mesi e fino alla sentenza del grado successivo) correlata ai gradi di giudizio, nell’ipotesi in cui fosse intervenuta una sentenza di condanna: il termine per la prescrizione dipendeva, pertanto, anche dalle singole vicende processuali. Con la riforma Bonafede del 2019 il legislatore, adottando una soluzione più radicale, ha previsto il blocco della prescrizione del reato dopo la sentenza di primo grado o il decreto penale di condanna indipendentemente dall’esito – di condanna o assoluzione – impedendo, pertanto, che la prescrizione del reato possa maturare in appello o cassazione. Con la riforma Cartabia il legislatore ha confermato il blocco della prescrizione dopo il primo grado di giudizio introducendo, tuttavia, rilevanti correttivi sul piano del diritto sia sostanziale che processuale: - Sotto il profilo sostanziale, la sentenza di primo grado è inquadrata quale causa di cessazione del corso della prescrizione (con la riforma Bonafede ne avveniva la mera sospensione), ex art. 161 bis. Tale effetto non deriva più, come in precedenza, dal decreto di condanna (che torna ad essere un mero atto interruttivo del corso della prescrizione281) - Sotto il profilo processuale sono stati introdotti correttivi rilevanti volti, principalmente, a fronteggiare l’irragionevole durata dei giudizi (venuta meno la prospettiva della prescrizione). A tal fine, piuttosto che mediante il ricorso alla prescrizione, il rimedio individuato consiste nell’introduzione di una causa di improcedibilità dell’azione penale correlata al superamento dei termini di durata massima dei giudizi di appello e Cass. come previsti dalla L. Pinto (in attuazione dell’art. 111 c2 Cost.) – cfr. art. 344 bis c.p.p., applicabile ai procedimenti per tutti i reati con eccezione di quelli puniti con l’ergastolo. 280 Cass. 2015 (Sciopero difensore non sospende termine): l’adesione del difensore ad un’astensione collettiva dalle udienze non integra un caso di sospensione per impedimento. 281 Nella valutazione operata dal legislatore solo la sentenza di primo grado, pronunciata all’esito del giudizio nel contraddittorio tra le parti, può valere quale accertamento – benché non definitivo – in grado di far cessare in assoluto il corso della prescrizione (manifestando il definitivo interesse dello Stato all’accertamento di fatti e responsabilità). 86 I termini di improcedibilità possono essere prorogati con ordinanza motivata, ricorrendo ragioni connesse alla complessità del giudizio di impugnazione (per numero delle parti coinvolte o per numero/complessità delle questioni da affrontare), sino ad un massimo di 3 anni in appello e 1 anno e 6 mesi in Cassazione. Sono previste ex lege anche ipotesi di sospensione dei termini di durata massima (stessi casi in cui ricorre la sospensione della prescrizione ex art. 159 cp + quando sia necessario cercare un imputato irreperibile o rinnovare l’istruttoria dibattimentale in appello). E’ prevista anche una disciplina transitoria avente l’effetto, tra le altre regole, di limitare l’applicabilità della causa di improcedibilità ai fatti commessi dopo l’entrata in vigore della norma. Tale scelta normativa solleva, potenzialmente, questioni di legittimità costituzionale: in particolar modo ritenendo che la forma di improcedibilità prevista abbia natura processuale la deroga al principio tempus regit actum (applicabile in ambito processuale) dovrebbe essere vagliata alla luce del principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost.282. Nella prassi, il fenomeno della prescrizione è molto rilevante283. 4.4. L’oblazione. Nell’oblazione ordinaria (art. 162) - pagamento di una somma di denaro corrispondente d un terzo del massimo dell’ammenda stabilita dalla legge per la contravvenzione284 - e nell’oblazione speciale (art. 162 bis), - (…) corrispondente a metà del massimo, quando si tratti di contravvenzione punita alternativamente con l’arresto o l’ammenda – il pagamento della somma estingue il reato; tale istituto si applica, generalmente, alle sole contravvenzioni punibili con l’ammenda in astratto (art. 162) o in concreto (art. 162 bis); mentre, a fronte di un’istanza di oblazione ordinaria tempestivamente proposta dall’imputato (ante apertura dibattimento/decreto di condanna) il giudice, ricorrendone i presupposti, ha l’obbligo di ammetterlo, in caso di oblazione speciale il giudice è chiamato ad un vaglio discrezionale avente ad oggetto la gravità285 del fatto concreto. L’istituto dell’oblazione discende da alcune considerazioni di opportunità: a) Alleggerimento dei carichi di lavoro gravanti sul giudice penale per fatti di modesta gravità; b) Vanteggi di ordine economico-fiscale (garantendo la riscossione di somme di denaro); c) Opportunità politico-criminali nell’oblazione speciale, subordinandone l’applicazione all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del fatto. La disciplina generale dell’oblazione presenta un’eccezione in materia di sicurezza del lavoro (applicazione dell’oblazione speciale al posto di quella ordinaria), e non si applica al reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato – benché si tratti di una contravvenzione punita con la sola ammenda -. Nella legislazione speciale sono, infine, previste cause di estinzione del reato affini all’oblazione, – ma destinate ad operare durante le indagini preliminari – (es., in materia di sicurezza ed igiene sul lavoro, al fine di incentivare l’adempimento alle prescrizioni erogate per rimuovere gli effetti delle contravvenzioni rilevate). 4.5. La remissione della querela. In ordine alla remissione della querela, disciplinata sia dal c.p. che dal c.p.p., un orientamento la ritiene un istituto processuale (una causa sopravvenuta di improcedibilità); un altro orientamento ritiene, invece, che abbia natura sostanziale consistendo in una causa di estinzione del reato (cfr. art. 152 c.p.). Essa si applica ai reati perseguibili a querela, mediante i quali si realizza un temperamento del principio di obbligatorietà dell’azione penale (che, comunque, non è messo in discussione nel suo fondamento ex art. 112 Cost.) in ragione di considerazioni diverse (modesta gravità del reato, promozione di condotte riparatorie, ecc.). 282 A riguardo, il manuale rileva ragioni rilevanti sottese a tale scelta normativa: la riforma Cartabia presuppone un ingente sforzo organizzativo per le Corti d’appello. 283 Nella relazione per l’anno giudiziario 2023, nel 2021 ha interessato l’8.6% dei procedimenti totali. 284 Cass. 2015 (Ciola, oblazione e attenuanti speciali): ai fini dell’oblazione, l’applicabilità della sola ammenda deve essere prevista dalla legge non può discendere dal riconoscimento di una circostanza attenuante speciale. 285 Cass. 2007 (Tonghi): nella valutazione di gravità rileverebbero anche i criteri di cui all’art. 133 c2 (capacità a delinquere del reo), oltre a quelli ex art. 133 c1 (gravità del reato). 87 4.8. Il perdono giudiziale. Il perdono giudiziale (art. 169 c.p.) riguarda i soli minori che, al momento della commissione del fatto, abbiano compiuto i 14 anni e non ancora i 18, è disposto discrezionalmente dal giudice (sulla base della prognosi che il soggetto si asterrà dal commettere ulteriori reati) e può consistere nell’astensione dal rinvio a giudizio o, in caso di giudizio già instaurato, nell’astensione dalla pronuncia della condanna – in entrambi casi, l’estinzione del reato consegue al passaggio in giudicato della sentenza che applica il perdono giudiziale. Tale istituto, particolarmente rilevante nella prassi, è ispirato dall’esigenza di evitare gli effetti criminogeni che potrebbero derivare al minore dalla pena e dallo stesso processo, presuppone il (sommario) accertamento del compimento di un illecito per il quale il giudice infliggerebbe, nel caso concreto – tenendo, dunque, in considerazione anche la diminuzione prevista per la minore età -, una pena detentiva massima di 2 anni (o 1549 euro di pena pecuniaria) ed è sottoposto a 2 limiti soggettivi: - Il minore non deve aver riportato precedenti condanne a pena detentiva per delitto, né deve trattarsi di delinquente abituale o professionale; - Non deve aver già fruito del perdono giudiziale, anche se la Corte Cost. ha rimaneggiato tale presupposto295. 5. Disciplina comune alle cause di estinzione del reato. Le cause di estinzione del reato sono accomunate dall’autonomia, o specificità, del loro campo di applicazione sia in relazione ai reati che alle persone che ne possano beneficiare. L’art. 170 dispone, quanto ai reati, che: - Quando un reato è presupposto di altro reato, la causa che lo estingue non si estende all’altro reato296; - La causa estintiva di un reato che è elemento costitutivo o circostanza aggravante di un altro reato non si estende a quest’ultimo (es. estinzione del furto non si estende al delitto di rapina); - In caso di circostanza aggravante prevista per chi commette un reato per eseguirne o occultarne un altro, l’estinzione di uno dei due reati non esclude l’applicabilità dell’aggravante297. L’art. 182, quanto alle persone interessate dalla causa estintiva, stabilisce che: - Nell’ipotesi di concorso di persone nel reato, l’estinzione del reato ha effetto soltanto per coloro ai quali la causa di estinzione si riferisce – salvo che la legge disponga altrimenti. Alla luce del carattere vincolante dell’ordine di disposizione degli elementi del reato, peraltro, ex art. 129 c2 c.p.p. la prova evidente, risultante dagli atti del processo, che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso, oppure che il fatto non è antigiuridico, ovvero che il fatto è antigiuridico, ma non colpevole, impone il proscioglimento per tali ragioni e non per la presenza – logicamente e giuridicamente successiva – di una causa di estinzione del reato. 6. La giustizia riparativa: cenni. Nell’area della punibilità trovano spazio svariati elementi di giustizia riparativa, termine con il quale si designa – secondo il lessico di cui alla direttiva EU 2012/29) qualsiasi procedimento che permette alla vittima ed all’autore del reato di partecipare attivamente, se vi acconsentono liberamente, alla risoluzione delle questioni risultanti dal reato con l’aiuto di un terzo imparziale. 295 Corte Cost. n. 108/1973; n. 154/1976): il perdono giudiziale può essere applicato per la seconda volta, nel rispetto dei limiti di pena precedentemente illustrati, se il reato per cui si procede è stato commesso anteriormente alla prima sentenza di perdono o se è unito dal vincolo della continuazione ad altro o altri reati per i quali già è stato concesso il perdono giudiziale. 296 Cass. 2018 (Zamperi): l’estinzione (es. per condotte riparatorie) del delitto presupposto non produce effetto sulla sussistenza del delitto di riciclaggio. 297 Cass. 2019 (Tamburrino): se Tizio cagiona lesioni personali per realizzare un delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, l’estinzione di quest’ultimo reato per remissione della querela non esclude la configurabilità dell’aggravante. 90 La giustizia riparativa propone un approccio al reato complementare alla pena, traslando il focus dell’ordinamento dal reo alla vittima, prefigurandosi l’obiettivo di offrire risposte adeguate alle esigenze avvertite a tutti i protagonisti della “vicenda penale” - dal reo, alle vittime, alla comunità -; di promuovere un più lineare reinserimento del reo in società, coinvolgendolo in modo attivo e responsabile alla costruzione del proprio progetto di risocializzazione; di soddisfare esigenze di prevenzione generale stimolando condotte riparatorie che possano lenire la domanda di punizione proveniente sia dalla vittima che dalla comunità. La giustizia riparativa si impernia sulla mediazione, valorizzando il libero incontro ed il dialogo tra autore e vittima del reato; nel diritto positivo si riflette, in particolare, sulla sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato, nonché nell’ambito della competenza penale del giudice di pace (ex art. 29 d. lgs. 274/2000 impegnato, in presenza di reato perseguibile a querela, a promuovere la conciliazione tra le parti). Anche in occasione della L. Orlando, del resto, la delega al Governo per la riforma dell’ordinamento penitenziario indicava tra i principi cui il Governo avrebbe dovuto attenersi l’implementazione di maggiori spazi per istituti di giustizia riparativa; il Governo, tuttavia, ha ignorato tale occasione di riforma. La riforma Cartabia ha introdotto una disciplina organica in materia, che sarà affrontata al capitolo XV. CAPITOLO X. TENTATIVO E CONCORSO DI PERSONE NEL REATO. 1. Le forme di manifestazione del reato. L’art. 56 assolve alla funzione di estendere la responsabilità anche a chi tenti di realizzare un fatto delittuoso, senza riuscirvi: tale disposizione, coordinandosi con le norme di parte speciale che prevedano i delitti, origina altrettante figure delittuose connotate da una minore gravità rispetto alle fattispecie dalle quali derivano; l’art. 110 assolve, poi, alla funzione di estendere la responsabilità a chi concorre alla commissione di un reato da parte di altri, configurando – per ogni reato – la corrispondente forma di manifestazione del concorso. A. IL TENTATIVO. 2. Le scelte del legislatore italiano. Art. 56: chi compie atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, risponde di delitto tentato se l’azione non si compie o l’evento non si verifica. Il tentativo non rappresenta un’attenuante, ma una forma di manifestazione del reato dotata di autonomo titolo di reato e di autonoma cornice edittale (minimo: 1/3 pena minima delitto consumato/ 12 anni invece di ergastolo; massimo: 2/3 pena massima delitto consumato), e può configurarsi con riguardo ai soli delitti commessi con dolo (eccezion fatta per le contravvenzioni in cui sia la stessa norma incriminatrice a dare rilevanza al tentativo). Il novero delle condotte punibili a titolo di tentativo deve essere delimitato ricorrendo a due criteri298: - Non essendovi reato in assenza di offesa ai beni giuridici, può configurarsi tentativo solo in presenza di atti idonei a commettere un delitto (con la probabilità della consumazione del reato). Aderendo, al contrario, ad una concezione del reato di impronta soggettivistica/sintomatica, sarebbe sanzionabile come tentativo la mera manifestazione della volontà/inclinazione a commettere un fatto di reato; - Nell’individuare il momento, nell’iter criminis, a partire dal quale possa configurarsi il tentativo, il legislatore ha limitato la rilevanza penale ai soli atti esecutivi (atti tipici, che corrispondono almeno ad una parte dello specifico modello di comportamento descritto nella norma incriminatrice di parte speciale) e sono, pertanto, tendenzialmente irrilevanti gli atti preparatori (aventi carattere strumentale rispetto alla realizzazione, non ancora iniziata, di una figura di reato)299 salvo che, ritiene la giurisprudenza, si pongano come immediatamente precedenti a quelli esecutivi300. 298 Cass. 2010 (Musso): individuati come elementi essenziali del tentativo l’univocità e l’idoneità degli atti. 299 Corte Cost. n. 177/1980 (irrilevanza degli atti preparatori): atti diretti in modo non equivoco a commettere un delitto possono essere esclusivamente atti esecutivi, in quanto soltanto dall’inizio di esecuzione di una fattispecie delittuosa può dedursi la direzione univoca dell’atto stesso a provocare proprio il risultato criminoso voluto dall’agente. Cass. 2022/15656 (Rocca): soltanto atti esecutivi possono essere diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, in quanto soltanto dall’inizio di esecuzione di una fattispecie delittuosa può dedursi la direzione univoca dell’atto stesso a provocare proprio il risultato criminoso voluto dall’agente. 91 Perché possa configurarsi tentativo, gli atti compiuti dal soggetto devono essere univoci – ovvero rivelare, di per sé, che l’agente ha iniziato a commettere un determinato delitto301; ex art. 115 c.p. non sono, del resto, punibili l’accordo o l’istigazione aventi ad oggetto la commissione di un delitto – poi non commesso -: - Nei reati a forma vincolata, sono esecutivi gli atti che corrispondono allo specifico modello di comportamento descritto nella norma incriminatrice302; - Nei reati a forma libera, l’azione tipica è comunque individuabile in funzione del mezzo impiegato in concreto dall’agente (es. versamento di veleno nella tazza destinata alla vittima). Gli atti preparatori possono, talora, rilevare in quanto previsti come reati a sé stanti (es. alcune forme di istigazione, come l’istigazione a delinquere, o il delitto di porto di armi da guerra – attività preparatoria, ad es., del fatto di rapina a mano armata) in via di eccezione, purché il legislatore rispetti alcuni parametri di legittimità costituzionale: - Tale anticipazione della tutela può estendersi ai soli beni indispensabili per l’integrità delle istituzioni e la sopravvivenza della società, e non ammette a sua volta il tentativo (di atto preparatorio); - In ragione dei principi costituzionali di proporzione e offensività, possono essere incriminati solo atti tipicamente pericolosi per beni di elevato rango (a tal riguardo, quanto meno grave è l’offesa che si voglia sanzionare, tanto più elevato deve essere il rango del bene). Si registra, in giurisprudenza, un crescente scetticismo verso la netta distinzione tra atti preparatori e atti esecutivi, con la tendenza a valorizzare – ai fini del tentativo – atti che, ancorché preparatori, si pongano univocamente come preordinati a realizzare il fine mirato dall’agente303. 3. L’idoneità degli atti. La valutazione di idoneità degli atti a commettere il delitto presuppone un accertamento in termini probabilistici304 avente una struttura composita: a) Il termine di relazione del giudizio di probabilità, riferito al completamento dell’azione tipica prevista per la consumazione del reato – o, nei reati di evento, al verificarsi dell’evento; b) Quanto al momento rilevante per la formulazione del giudizio, la giurisprudenza maggioritaria ritiene necessaria una prognosi postuma – ex ante - ancorata al momento della consumazione del delitto; c) Quanto ai criteri guida, il giudizio deve essere formulato utilizzando il massimo delle conoscenze disponibili al momento dell’accertamento (leggi scientifiche quando entrino in gioco fattori meccanici/naturali, massime d’esperienza per valutare la probabilità del compimento positivo di una condotta umana) – nonché le eventuali conoscenze ulteriori del singolo agente; d) Quanto alla base del giudizio (le circostanze che il giudice deve tenere in considerazione), vi ricadono sia i mezzi impiegati dall’agente che le circostanze concrete in cui i mezzi siano stati impiegati: secondo il manuale occorre adottare, a tal riguardo, una prognosi a base totale conformemente con il principio di offensività – tenendo conto di tutte le circostanze presenti, anche se non conoscibili/conosciute al momento dell’azione ma accertate solo successivamente – piuttosto che una prognosi a base parziale (considerando le circostanze conoscibili da un osservatore imparziale o altrimenti conosciute all’agente), comunque ritenuta preferibile da parte della giurisprudenza305. 300 Cass. 2019 (Borromeo), caso: tentativo di rapina di furgone portavalori. Per la configurabilità del tentativo rilevano non solo gli atti esecutivi veri e propri ma anche quegli atti che pur classificabili come preparatori, facciano fondatamente ritenere che l’agente, avendo definitivamente approntato il piano criminoso in ogni dettaglio, abbia iniziato ad attuarlo, che l’azione abbia la significativa probabilità di conseguire l’obiettivo programmato e che il delitto sarà commesso, salvo il verificarsi di eventi non prevedibili in dipendenti dalla volontà del reo. 301 S.U. 2012 (Bargelli, semi di cannabis): la mera offerta di semi dalla cui pianta sono ricavabili stupefacenti si configura come atto preparatorio non punibile. 302 Cass. 1975 (Violante, truffa): integra un’attività meramente preparatoria la detenzione di scatole contenenti in apparenza sigarette, ma in realtà riempite di patate. 303 Cass. 2017 (Macori, atti preparatori ma inequivoci): decisivo, ai fini dell’univocità (perché possa configurarsi il tentativo), che gli atti – ancorché preparatori – siano oggettivamente rivelatori, per il contesto nel quale si inseriscono e per la loro natura ed essenza, secondo le norme di esperienza e l’id quod plerumque accidit, del fine perseguito dall’agente. 304 Cass. 2018 (Mileto) e altre: ritenuta sufficiente la mera possibilità di consumazione del reato, con una – secondo il manuale – discutibile scelta interpretativa. 92 La struttura del concorso di persone poggia su 4 elementi costitutivi: pluralità di persone; realizzazione di un fatto di reato; contributo causale della condotta atipica alla realizzazione del fatto; consapevolezza e volontà di contribuire causalmente alla realizzazione del fatto. 8.1. Pluralità di persone. Il primo requisito consiste nella pluralità di persone rispetto a quelle la cui condotta sia descritta nella norma incriminatrice di parte speciale, ed è integrato anche laddove partecipino persone non imputabili o non punibili per effetto di una causa personale di esclusione della punibilità. 8.2. Realizzazione di un fatto di reato (consumato o tentato). L’art. 115 c.p. sancisce la non punibilità dell’accordo per commettere un reato e dell’istigazione a commettere un reato, quando il reato non è stato commesso: la condotta associativa (atipica), dunque, assume rilevanza penale quando acceda ad un fatto principale tipico (teoria della c.d. accessorietà). Si sono confrontate, sul tema, svariate teorie: - Accessorietà minima: è sufficiente che il fatto principale sia tipico. - Accessorietà limitata: il fatto principale, tipico, deve essere antigiuridico. In Italia, l’art. 119 c2 estende a tutti i concorrenti le circostanze oggettive che escludono la pena; non anche, invece, le cause di giustificazione personali (es. uso legittimo delle armi). - Accessorietà estrema: il fatto principale tipico deve essere antigiuridico e colpevole. In Italia, invece, è irrilevante la colpevolezza dell’autore del fatto: l’art. 119 c1 preserva la rilevanza penale del concorso anche laddove il fatto sia stato commesso da una persona non imputabile e, allo stesso modo, quando l’agente commetta il fatto senza dolo per difetto del momento rappresentativo – ad es. in quanto ingannato (art. 48) o costretto (art. 46 / art. 54 c3) dal concorrente -, è il concorrente a rispondere del fatto commesso. - Iperaccessorietà: il fatto principale tipico deve essere, antigiuridico, colpevole, punibile. Nell’ordinamento italiano, neanche le cause personali di non punibilità si estendono al concorrente cui non siano riconosciute. La realizzazione del fatto può avvenire in modalità frazionata (nel caso in cui ciascun concorrente – c.d. coautore - , di comune accordo, si occupi di una parte del fatto); in assenza di accordo non si configura concorso, e le singole condotte rilevano solo se previste come reato autonomo. 9. Contributo causale della condotta tipica alla realizzazione del fatto. La condotta atipica tenuta dal concorrente, per essere punibile, deve aver esercitato un’influenza causale sul fatto concreto tipico realizzato da altri (art. 116) nelle forme del: - Concorso materiale, quando una condotta atipica di aiuto è stata condizione necessaria313 per l’esecuzione del fatto concreto penalmente rilevante da parte di altri – dovendosi operare, in concreto, una distinzione tra condotte in astratto sostituibili (es. procacciamento di una pistola, che l’agente avrebbe potuto procurarsi anche da altri) o non sostituibili (es. comunicazione di specifici codici di accesso da parte di chi ne fosse a conoscenza), rilevante non ai fini della rilevanza penale del concorso ma ai fini della commisurazione della pena -. - Concorso morale, quando il concorrente, con comportamenti esteriori (es. consigli, promesse di aiuto, minacce), fa nascere in altri il proposito di commettere il fatto che viene poi commesso ovvero rafforza un proposito già esistente, ma non ancora consolidato314. Tale forma di concorso presuppone un nesso causale articolato in due passaggi (art. 115 c.p.), entrambi da accertare in concreto secondo lo schema della condicio sine qua non: a) Nascita/rafforzamento del proposito (non si configura, invece, concorso morale laddove il reo fosse già fermamente risoluto a commettere il reato); 313 Orientamento giurisprudenziale criticato dal manuale (Cass. 2019, 2016 Salamone, 2014 Pappalardo): concorso riconosciuto anche laddove la condotta atipica, pur non avendo contribuito causalmente alla realizzazione del fatto concreto (es. procacciamento di chiave per aprire una serratura, poi scardinata usando altri strumenti), apparisse ex ante idonea ad aumentare le probabilità di realizzazione del fatto. Secondo il manuale, tale orientamento è contra legem: si configurerebbe, in casi simili, mero tentativo di partecipazione, non sanzionato dall’ordinamento. 314 Cass. 2013 (Pagano) et al.: il termine “istigatore” designa sia chi faccia nascere in altri il proposito di commettere un fatto, che chi lo rafforzi. 95 b) Commissione del fatto (quantomeno nella forma del tentativo). Quanto alla rilevanza, ai fini della configurazione del concorso morale, di determinate circostanze: - La mera presenza sul luogo del reato non integra alcuna forma di concorso morale315, salvo che tale presenza sia non meramente accidentale ma intenzionale e correlata alla perpetrazione del reato316. - Del pari, difettando di ogni contribuito causale relativamente alla decisione di commettere il reato, neanche la connivenza (consapevolezza che altri sta per commettere/sta commettendo un reato senza che si faccia nulla per impedirlo) configura tentativo – rilevando, casomai, in quanto concorso omissivo (quando chi non impedisce la commissione del reato avevo l’obbligo giuridico di farlo). 12. Consapevolezza e volontà di contribuire causalmente alla realizzazione del fatto. La responsabilità del partecipe presuppone, peraltro, la presenza di dolo esteso sia al fatto principale realizzato (o tentato) dall’autore, che al contributo causale recato dalla condotta atipica317. E’ sufficiente che il concorrente atipico si rappresenti la commissione di un fatto concreto conforme a quello descritto dalla norma incriminatrice non rilevando, invece, che conosca le modalità concrete di esecuzione del reato; anche il verificarsi di error in personam non esclude il concorso, conformemente alla disciplina generale prevista per il dolo. Laddove, invece, il mutamento del bersaglio derivi dall’autonoma scelta dell’autore, si configura mero tentativo di partecipazione (ed il concorrente non risulta punibile). Non è necessario che sussista un previo accordo – rilevante, casomai, ai fini della commisurazione della pena (presupponendo una maggior gravità sia oggettiva, per la maggiore carica lesiva ravvisata nel “crimine organizzato”, che soggettiva, esprimendo un più elevato grado di intensità del dolo) - e, perché si configuri concorso, non rileva la consapevolezza reciproca dell’altrui attività (l’autore principale può anche essere all’oscuro della condotta del concorrente). 13. L’agente provocatore e l’agente sotto copertura. E’ definibile agente provocatore chi, appartenente alle forze dell’ordine o privato cittadino, istighi taluno a commettere un reato, volendo far scoprire e assicurare alla giustizia la persona provocata prima che il reato giunga a consumazione. L’impunità dell’agente provocatore poggia sull’assenza del dolo di partecipazione (rappresentandosi e volendo non un reato consumato, ma un tentativo impedito dall’intervento di fattori esterni – es. polizia -); il provocato, tuttavia, può non essere punibile per ragioni processuali (non sono utilizzabile le prove acquisite con “tattiche poliziesche fraudolente”) o può godere ex art. 62 bis di attenuanti generiche (quando la sua autodeterminazione sia stata condizionata dalla provocazione). L’infiltrato è, invece, chi si inserisca in un’organizzazione criminale o in un’attività delittuosa in corso, compiendo fatti di reato, per acquisire elementi di prova, e non è responsabile dei fatti commessi non per assenza di dolo di consumazione, ma in ragione della liceità dei fatti commessi nell’adempimento di un dovere (ferma restando, ovviamente, la strumentalità/connessione dei fatti commessi con il dovere adempiuto, alla luce della previa individuazione dei limiti delle condotte non punibili – es. ex art. 9 l. n. 145/2006). La flessibilità nella commissione dei reati accordata all’infiltrato è stata ampliata dalla c.d. . spazzacorrotti del 2019, con riguardo agli ambiti della corruzione e dei delitti contro la p.a., nonché, nella l. n. 22/2022, in relazione al riciclaggio e all’autoriciclaggio di beni culturali. 315 Cass. 2019: assistere ad una rissa cui partecipa il proprio fidanzato, senza rafforzare l’intento di quest’ultimo, non integra alcuna forma di concorso morale. Cass. 2016 (Salamone): stessa conclusione per la mera presenza dell’imputato in un’autovettura appartenente ad altri, nella quale erano stati occultati stupefacenti; Cass. 2015 (Rapushi), mera coabitazione con un detentore di stupefacenti. 316 Cass. 2015 (Gentile; mafia), anche la sola presenza fisica del compartecipe di un’associazione di tipo mafioso (…) laddove non sia meramente accidentale, ma intenzionale e correlata alla perpetrazione del reato, non è qualificabile come mera connivenza non punibile, ma integra una forma di cooperazione morale al delitto comportano, per effetto della solidarietà criminale insita nel vincolo associativo, il rafforzamento del proposito dell’autore materiale ed il potenziamento della sua capacità di intimidazione. 317 Cass. 2019 (Tuccio, estensione dolo) e altre: dolo esteso a fatto principale e contributo causale, ma non è necessario che ricorrano un previo accordo o una consapevolezza reciproca dell’altrui attività (l’autore può anche ignorare l’altrui contributo materiale alla partecipazione del fatto). 96 La Corte EDU ha avuto modo di pronunciarsi su tali pratiche repressive approntate dall’ordinamento: nel 1998, ad esempio (Taixeria de Castro c. Portogallo), la Corte ha ravvisato una violazione del diritto all’equo processo ex art. 6 CEDU, ravvisando l’inutilizzabilità delle prove così acquisite, in presenza di provocazione (laddove, ovvero, si accerti che il reato non sarebbe stato commesso in assenza dell’impulso recato dall’agente di polizia), conclusione recentemente condivisa anche dalla Cassazione italiana318. 14. Una deroga alla necessità del dolo di partecipazione: la responsabilità del partecipe per un reato diverso da quello voluto. L’art. 116 configura un’eccezione alla disciplina del dolo: anche qualora il reato commesso sia diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti questi ne risponde, se l’evento è conseguenza della sua azione od omissione. Tale ipotesi di responsabilità oggettiva deve essere, comunque, rimodellata alla luce del principio di colpevolezza richiedendosi, quantomeno, la presenza di colpa319 - pur persistendo potenziali profili di illegittimità costituzionale sotto il profilo dei rapporti tra misura della pena e grado della colpevolezza, punendosi con la pena prevista per un delitto doloso una persona alla quale può essere mosso soltanto un rimprovero colposo -. La Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi sul punto320, ha ritenuto legittima la normativa essendo prevista, ex art. 116 c2, una circostanza attenuante : la pena è diminuita riguardo a chi volle il reato meno grave. 15. Il concorso di persone nel reato proprio. Nei reati propri può realizzarsi il concorso di un estraneo (privo delle qualifiche richieste dalla norma incriminatrice) che contribuisca alla realizzazione del fatto costitutivo del reato proprio nonché, secondo un orientamento giurisprudenziale – non condiviso dal manuale -321, anche laddove sia l’estraneo a commettere il fatto tipico, relegando l’intraneo a ruolo di mero partecipe. Il dolo del partecipe deve estendersi, nei reati propri, alla consapevolezza della qualità rivestita dall’intraneo, fatto costitutivo del reato proprio322; ciò salvo che, ex art. 117, la qualità dell’autore si limiti a determinare un mutamento del titolo del reato – non incidendo, dunque, sulla rilevanza penale del fatto commesso – (es. peculato, art. 314, e appropriazione indebita ex art. 646)323 e, pertanto, in tal caso si configura una forma di responsabilità oggettiva relativamente all’elemento della “qualità dell’autore” – da rimodellare come responsabilità per colpa ma, comunque, dalla dubbia compatibilità costituzionale (è prevista, in tal caso, la mera possibilità per il giudice di diminuire la pena in caso di reato proprio più grave)-. 16. Il concorso di persone nei reati necessariamente plurisoggettivi. Il concorso di persone può pacificamente configurarsi con riguardo ai reati necessariamente plurisoggettivi (da parte di chi, esternamente, ne istighi o agevoli la commissione tenendo una condotta atipica). Nei reati necessariamente plurisoggettivi impropri/in senso ampio sono assoggettate a pena soltanto alcune tra le condotte costitutive; le condotte tipiche non sanzionate non possono, in tal caso, configurare concorso (non essendo atipiche). 318 Cass. 2014 (Ursino); Cass. 2020 (Giannone): si è al di fuori di una lecita operazione sotto copertura quando il soggetto indagato sia stato incitato o indotto a commettere un reato che altrimenti non sarebbe stato commesso. 319 Cass. 2020 (Tasca) e al. (concorso e principio di colpevolezza): l’art. 116 è applicabile alle ipotesi di rimprovero colposo: ad es. quando le circostanze concrete erano tali che un uomo ragionevole, al posto dell’agente, avrebbe previsto che si sarebbe realizzato il diverso reato. 320 Corte Cost. n. 55/2021 (116c2): relativamente al contestato divieto di prevalenza di tale attenuante in presenza di recidiva reiterata, la Corte ha valorizzato la diminuzione di pena per il concorrente che voleva il reato meno grave ritenendola imposta dal principio di proporzionalità della pena rispetto alla gravità del reato, ravvisandosi il fondamentale pilastro per sorreggere la tenuta costituzionale di questa eccezionale fattispecie di responsabilità penale. 321 Cass. 2013 (Barla) e al. (inversione di ruoli tra intraneo e estraneo): l’inversione sarebbe ammissibile (per reprimere con adeguata severità fatti altrimenti punibili in modo più blando). Per il manuale, invece, il principio di legalità impone che autore di un reato proprio possa essere soltanto l’intraneo. Esempio: estraneo che, presentandosi ad una persona come intermediario di un pubblico ufficiale, costringa una persona a consegnargli del denaro facendosi portatore della minaccia del pubblico funzionario di non fargli avere, in caso di mancato pagamento, una concessione edilizia. Ravvisare concorso in concussione, piuttosto che estorsione aggravata, trascurerebbe un requisito della concussione: ovvero, il coinvolgimento diretto e personale del pubblico funzionario. 322 Cass. 2019 (Fede: dolo esteso alla consapevolezza della qualità rivestita dall’intraneo). 323 Cass. 2021 (Biason) e al. (eccezioni ex art. 117): Ai fini dell’applicabilità dell’art. 117 c.p., che disciplina il mutamento del titolo del reato per taluno dei concorrenti, è necessario che il fatto commesso dall’estraneo costituisca comunque reato anche in mancanza della qualifica rivestita dall’autore principale, mentre trova applicazione la norma generale sul concorso di persona, ex art. 110 c.p., quando l’azione del concorrente sia di per sé lecita e la sua illiceità dipenda dalla qualità personale di altro concorrente. 97
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