Scarica Appunti diritto ecclesiastico e più Appunti in PDF di Diritto Ecclesiastico solo su Docsity! ✨ Diritto ecclesiastico✨ Dualismo ordinamento civile-religioso Il diritto ecclesiastico è nato nel momento in cui si è affermata la distinzione tra ordinamento civile e religioso, cioè con il cristianesimo. Prima del cristianesimo l’appartenenza religiosa corrispondeva ad un’appartenenza etnica, se x es si era ebrei da madre ebrea si credeva nell’ebraismo e basta, non aveva senso nemmeno conversione. Si dice spesso che il dualismo tra stato e chiesa sia nato con la frase di Cristo “Date a Dio quel che è di Dio, date a Cesare quel che è di Cesare”. In realtà in questo modo non si voleva distinguere tra Cesare e Dio, ma era una risposta di Cristo alla non fede dei Farisei, che gli ponevano domande sul dover o meno pagare le tasse imposte da Cesare. Il vero dualismo nasce quando si afferma un’appartenenza religiosa diversa, non legata alla nascita da madre ecc, ma alla nascita da Dio, visto come Padre. Questa fu una conseguenza eversiva straordinaria, perché vengono meno le istituzioni terrene, legate al popolo all’etnia ecc, di fronte all’idea di un’unica famiglia. Anche per questo nascono le guerre di religione, e poi le persecuzioni, perché si scontra chi crede nell’appartenenza per nascita e chi in quella da Dio. Si inizia a scindere tra suddito e fedele. Il dualismo così nato si fa strada nell’impero romano, che inizialmente si oppone perché creava fratture all’interno dell’ebraismo, fino alla repressione di Diocleziano nel 3 secolo. Costantino nel 313 emana l’editto di Milano, in cui si riconosce il pluralismo di confessioni in un unico popolo. Si vede che il cristianesimo inizia a condizionare il potere politico, Nel 380 Teodosio emana l’editto di Tessalonica con cui la religione cristiana diventa religione di stato (vediamo la commistione tra elemento civile e religioso). Bisogna ricordare che ci saranno sempre commistioni tra civile e religioso, ma anche nei periodi di maggiori commistioni, come quello teocratico di Gregorio 7 nell’11/12 sec, i due elementi resteranno sempre distinti. Scisma d’Oriente, età ferrea, lotta investiture, teoria potestas directa e indirecta L’impero romano d’occidente cade nel 476 d.C., nel periodo barbarico resta il pontefice, la chiesa romana d’occidente, e da subito si configura il primato pontificio su tutte le altre chiese. Però dopo la caduta dell’impero d’Occidente questo diventa problematico, perché il patriarca di Costantinopoli maltollera la sotto posizione al Papa e inizia a distaccarsi dalla Chiesa. Per questo nasce lo scisma d’Oriente nel 1054. Esso inizia per questioni religiose, cioè quella del filioque: Il Credo fu creato nel concilio di Nicea voluto da Costantino nel 325, la Chiesa d’Occidente diceva che lo Spirito Santo discendeva da Padre e Figlio, la Chiesa d’Oriente dal Padre attraverso il Figlio. Ma alla fine il problema era politico, cioè la commistione tra ordinamento civile e religioso. La situazione evolve con Carlo magno che riunifica l’Europa, come?: 1 riorganizzando il sistema feudale 2 facendosi incoronare dal pontefice nell’800, dando legittimazione divina al suo impero Egli inserì la gerarchia ecclesiastica nel sistema feudale, creano i vescovi conti. In questo modo aveva anche maggiore controllo sui feudatari, che a differenza di quelli laici non potevano trasmettere le terre ai figli, e quindi tornavano nelle mani dell’imperatore. Nacque però la lotta delle investiture, perché la chiesa non accettava che Carlo Magno nominare sia il vescovo che il conte, anche perché spesso nominava i vescovi per poi farli conti, cioè erano più feudatari che vescovi. Per questo tale periodo è detto età ferrea del papato, cioè età scadente, 19 sec. Cosi ci fu il primo concordato della storia, il concordato di Worms nel 1122, che separava i due poteri. Dopo l’età ferrea, nell’11 sec ci fu un periodo di rinascita spirituale, e alcuni pontefici iniziarono a cancellare gli elementi di temporalità nella Chiesa, soprattutto Gregorio VII, che elaborò una teoria dei rapporti tra stato e chiesa, detta teoria della potestas directa. Egli riteneva che esistessero due poteri, spirituale e temporale, entrambi di competenza del pontefice. Però il potere temporale, essendo meno importante di quello spirituale, viene esercitato 1 indirettamente dal pontefice tramite l’imperatore, che per questo può essere controllato e deposto dal Papa. Egli emanò un Dictatus Papae formato da 27 proposizioni. 1 disposizione: la Chiesa romana è fondata da Dio Solo. La chiesa non ha bisogno della legittimazione dello stato, perché è originaria, primaria. 3 disposizione: il pontefice può deporre o stabilire i vescovi 4 proposizione: il messo del pontefice anche se inferiore di grado ai vescovi, in concilio è al di sopra di loro e può deporli 5 proposizione: il pontefice può deporre gli assenti (senza notificazione) 12 proposizione: il pontefice può deporre l’imperatore 18 proposizione: nessuno deve revocare la parola del pontefice, solo se stesso 19 proposizione: nessuno può giudicare il pontefice, nel senso che rivendica l’originarietà della sua carica, e non può essere sottoposto a giurisdizione da parte di nessuno (x es Santa Sede non è un membro dell’ONU perché altrimenti sarebbe sottoposta alla sua giurisdizione) Questa teoria poteva reggere se i pontefici dopo Greogorio VII fossero riusciti a far rispettare queste regole, ma così non fu. Si ricorda lo schiaffo di Anagni, come esempio del mancato rispetto di questa teoria. Arrivano gli anni del medioevo, 12-13 sec, che in realtà furono anni di grande fermento. Si sentiva infatti nella Chiesa l’esigenza di una riforma, che fu più volte tentata (anche le idee dei francescani erano idee rivoluzionarie, perché cercavano di riformare la società creando un’unica famiglia). Però non ci fu mai nessuna riforma che riuscì a cambiare radicalmente tutta la chiesa, e quindi la decadenza continua. La riforma vera e propria riuscirà ad inserirsi solo quando non se ne poteva più fare a meno, cioè con la riforma protestante di Lutero (1520 circa), che ebbe successo perché appoggiata anche ai principi tedeschi per sottrarsi al dominio di Roma. Dopo la condanna di Roma, la frattura si trasferì nel regno romano-barbarico di Carlo V, dove si scontrarono in una guerra civile i principi settentrionali, luterani, e i principi del sud contrari alla riforma protestante. Carlo V cerca di superare questo problema, con il concilio di Trento, che condannò la riforma protestante e riformò tutto la materia ecclesiastica. (Controriforma) Tuttavia il conflitto interno al regno continuava, e Carlo V emanò la dieta di Augusta nel 1552-1555, che introdusse il principio “cuius regio eius et religio”, cioè la religione del principato doveva essere la religione del principe, e chi non era d’accordo poteva andare via. Questo principio pone le basi per una libertà religiosa in Europa. Le guerre civili continuano, finché non si giunge alla pace di Westfalia nel 1648, che stabilisce un principio di tolleranza religiosa. Poteva esserci una religione di stato, ma anche le minoranze religiose dovevano essere tollerate. In un secolo si passa da convivenza a tolleranza. La teoria della potestas directa ormai era impensabile, così viene elaborata la teoria della potestas indirecta, che scinde i due poteri (potere temporale: ordinamento civile, potere spirituale: chiesa), ma prevede la possibilità di intervento della chiesa nel potere temporale: 1 per scogliere i sudditi dall’obbedienza agli iniqui, 2 per le materie che appartengono ad entrambi i poteri (x es matrimonio), su cui stato e chiesa devono collaborare tramite i concordati, che nascono nel 600 per questo motivo. Intanto anche l’ordinamento civile si riorganizza, perché finisce l’idea dell’impero romano, nel 600 nasce lo stato moderno, fondata sull’idea Hobbesiana del contratto sociale. Nascono le monarchie assolute, che per garantire l’ordine si organizzano con burocrazia ed esercito, ed intendono controllare le attività pericolose, tra cui l’elemento religioso. Per questo lo stato pretende di intervenire intensamente nella religione, rivendicando gli iura maiestatis circa sacra. Ci si avvia al giurisdizionalismo del 600. 2 congregazioni religiose, conservatorii e ritiri godranno, dal giorno della pubblicazione della presente legge, del pieno esercizio di tutti i diritti civili e politici. Perché prima non avevano diritti civili e politici? Si, ma li riacquistano una volta usciti dal convento, con una pensione che gli permette di vivere anche al di fuori. La legge del 67 invece è controversa perché non indica quali enti vengono soppressi, ed è difficile stabilirlo perché la teoria sulla personalità giuridica e sugli enti era agli albori, mentre il diritto canonico era già più avanti. L’art 1 n 6 della legge n 3848/1867, per la liquidazione dell’asse ecclesiastico, afferma che: Le istituzioni con carattere di perpetuità, che sotto qualsivoglia denominazione o titolo sono generalmente qualificate come fondazioni o legati pii per oggetto di culto, quand'anche non erette in titolo ecclesiastico, ad eccezione delle fabbricerie, od opere destinate alla conservazione dei monumenti ed edifizi sacri che si conserveranno al culto. Si parla di istituzioni con carattere di perpetuità perché si mira a colpire le realtà che operano una stabilizzazione patrimoniale perpetua. Si mettono insieme fondazioni, che oggi sono enti, e legati, che oggi sono manifestazioni di volontà. Tuttavia prima del codice civile del 42, il termine fondazione era inteso come qualsiasi destinazione patrimoniale, quindi non tanto lontano dal legato come manifestazione di volontà. ‘’Quand’anche non erette in titolo ecclesiastico’’ vuol dire che. … Il legislatore liberale ha emanato una norma così contraddittoria perché aveva il problema delle fondazioni pie non autonome, cioè complessi patrimoniali attribuiti a un ente con personalità giuridica che non si confondono con il patrimonio del soggetto. Il soggetto avente causa deve solo amministrare il patrimonio, ma le rendite deve utilizzarle per un altro fine benefico a favore di un altro ente. Questa figura viene chiamata in modi diversi, in Campania confidenze, patrimonio destinato ad uno specifico affare. La riforma n 6 del 2003 ha inserito nel codice civile l’art 2447 bis e seguenti, che stabiliscono che una società può costituire un patrimonio destinato ad uno specifico affare che non super il 10% del patrimonio totale della società, senza dover costituire un’altra società. Nel 2005 è stato introdotto l’ (ex) art 2645 ter, che permette di creare patrimoni destinati ad uno specifico affare (benefico o sociale) per massimo 90 anni, o lasciando quella parte di patrimonio all’interno del patrimonio, o con un atto di trascrizione trasferendolo all’avente causa, dandogli però una destinazione diversa da quella dell’avente causa per distinguere i due patrimoni. In questo modo se un creditore dovesse attaccare il patrimonio, non può attaccare il patrimonio destinato. Queste figure nate dopo il 2000 sono figlie delle fondazioni pie non autonome del diritto ecclesiastico, nominate per la prima volta dalla legge 3848 del 1867. Nel n 6 dell’art 1 di tale legge vediamo la difficoltà del legislatore, il cui fine è eliminare la mano morta. La sua preoccupazione non è tanto la personalità giuridica, ma gli enti che essendo perpetui bloccano il patrimonio a lungo. Tornando alla legislazione eversiva, una volta che con queste leggi lo stato si è appropriato dei beni, cosa ne fa? Se sono strettamente destinati a esigenze di culto gli viene lasciata la loro destinazione, altrimenti vengono trasformati in scuole prigioni ospedali ecc. Ci sono anche casi in cui seppure si tratti di edifici non strettamente legati all’esercizio del culto, non possono essere smembrati per la loro importanza storica architettonica ecc. La maggior parte dei beni degli enti ecclesiastici diventa oggetto di devoluzione, cioè vengono messi all’asta e il ricavato va allo stato. Si tratta di beni cosiddetti strumentali, perché non servono direttamente allo stato per svolgere finalità istituzionali, ma vendendoli le rendite possono essere usate per fini istituzionali. In questo modo si smantella la mano morta e si copre parte del debito pubblico. Le devoluzioni però non ebbero il risultato sperato, perché 1 le persone si opponevano 2 la chiesa aveva stabilito la scomunica per chi si rendesse acquirente di quei beni 3 essendoci improvvisamente molti beni sul mercato, non si vendevano 4 se si vendevano, gli acquirenti erano gruppi di fedeli che riacquistavano i beni per ridarli agli enti ecclesiastici che ne erano stati privati. Questi beni riacquistati non potevano essere intestati all’ente, e quindi si creano intestazioni fittizie, e nascono anche le società tontinarie, cioè società create dal banchiere Lorenzo Tonti per 5 risanare i problemi finanziari della corte di luigi xiv. Chi aderiva a queste società metteva insieme un patrimonio, che veniva amministrato ma non speso, e dopo tot anni veniva distribuito ai membri, fino all’ultimo che rimaneva in vita, e quando anche l’ultimo moriva tutto il patrimonio accumulato tornava delle mani dello stato. In questo modo le persone avevano una specie di pensione per tanti anni, e lo stato aveva il patrimonio alla fine. Questo portò ulteriori questioni, perché nascono le associazioni non riconosciute, gli enti di fatto, che con intestazioni fittizie riacquistavano questi beni, situazioni chiamate frodi pie. La legge del 1873 che estende le leggi eversive a Roma, nell’art 28 sancisce la nullità delle frodi pie. Ma non sempre era facile dimostrare che le intestazioni erano fittizie, perché spesso erano intestate a privati. Ancora peggio quando la rivendicazione era fatta dall’erede legittimo di un membro di queste associazioni, che vuole far valere l’art 28 per riavere il patrimonio che era stato invece utilizzato per acquistare quei beni. Questo fenomeno andò avanti fino al 1929, e le situazioni di fatto iniziarono ad essere indigeste non solo allo stato, ma anche alla chiesa, perché la chiesa si trovava il patrimonio nelle mani di fondazioni nebbiose, senza personalità giuridica, senza rappresentanti a cui rivolgersi, e lo stato non sapeva su chi esercitare il suo controllo. Quindi il concordato del 29, che eliminò le leggi eversive e riconobbe di nuovo la personalità agli enti, non fu un’esigenza solo degli enti, ma anche dello stato e della chiesa. Questione romana Altro problema che si pone in quel periodo e troverà risoluzione nei patti lateranensi. Nasce questo conflitto tra lo Stato italiano (che nel proclamare la propria unità aveva posto fine allo Stato pontificio) e la Chiesa di Roma (che vedeva nella conservazione del suo potere temporale il presupposto indefettibile per la propria libertà e indipendenza). Controversia sul ruolo di Roma che si trovava ad essere sia sede del potere temporale del pontefice che nuova capitale del Regno d’Italia, e stato e chiesa si contendevano la sovranità su Roma. Dopo la presa di Roma nella breccia di porta pia (il 20 settembre 1870 l'esercito italiano aprì un varco, una breccia appunto, attraverso le mura aureliane dell'Urbe, proprio di fianco alla Porta Pia, riuscendo a penetrare nella città di Roma e ponendo fine al governo del Papa), il pontefice era un cittadino italiano, non aveva nessuna autonomia per lo svolgimento del suo magistero, questo preoccupava le potenze internazionali, perché temevano un controllo totale da parte dell’Italia sul pontefice. I rapporti tra lo Stato italiano e la Santa Sede vennero regolati dalla legge delle Guarentigie del 1871. La legge delle guarentigie garantisce a pontefice e santa sede tutte le prerogative sovrane senza dargli l’effettiva sovranità. - Art 1: la persona del pontefice è sacra e inviolabile (come il re nello statuto albertino) - Art 2: l’attentato contro la persona del sommo pontefice e la provocazione a commetterla sono puniti con le stesse pene stabilite nel caso di attentato ecc al sovrano. - Art 3: il governo italiano rende al sommo pontefice gli onori sovrani nel territorio del regno e le stesse preminenze riconosciute ai sovrani cattolici. Il sommo pontefice ha la facoltà di tenere un consueto numero di guardie addette alla sua persona e ai palazzi. - Art 11: gli inviati dei governi esteri presso sua santità godono nel regno di tutte le prerogative e immunità che spettano agli agenti diplomatici secondo il diritto internazionale. Agli inviati di sua santità presso i governi esteri sono assicurate le prerogative e immunità d’uso nel recarsi al luogo di loro missione e nel ritornare. L’art 11 fu messo in discussione allo scoppio della 1 guerra mondiale, perché gli ambasciatori austriaci e tedeschi volevano abbandonare il territorio italiano, l’art 11 permette questo? Si, secondo Scaduto in quel caso l’art 11 non valeva. Alla fine gli ambasciatori se ne andarono lo stesso, ma questo caso dimostrò la debolezza della legge delle guarentigie. Per questo c’era bisogno di una soluzione complessiva della questione romana. Però il pontefice dopo il 1870 esercita la sovranità svolge arbitrati internazionali, svolge attività proprie dei soggetti di diritto internazionale pur non essendo uno stato (perché non ha territorio). Santi Romano sviluppò la teoria istituzionalistica, per cui il diritto non è solo quello emanato dallo stato, perché il caso della santa sede in quel periodo dimostra che ci possono essere altri ordinamenti oltre allo stato, perché la chiesa era ormai un ordinamento giuridico riconosciuto a livello internazionale pur non essendo uno stato. 6 Se nel 1870 la santa sede esercita una sovranità, che non è una sovranità temporale, vuol dire che la chiesa ha un altro tipo di sovranità già da prima del 1879, che non è venuta meno con la presa di Roma, e che le permette di operare nell’ambito internazionale come soggetto di diritto internazionale. Trattative patti lateranensi 29, IPAB Che cosa portò ai patti lateranensi: -la legislazione anticlericale dopo il 1870 Nel 1873 furono abolite le facoltà teologiche dello stato Nel 1874 furono abolite le facoltà di diritto ecclesiastico nelle università, rimasero solo quelle fino ad esaurimento Nel 1883 vi fu l’ultima cattedra in Italia di Carlo Cuocca Nel 1884 rinasce il diritto ecclesiastico grazie a Francesco Scaduto, che in una prolusione al corso diede una definizione moderna di diritto ecclesiastico, non più identificata con il diritto canonico, ma per lui il diritto ecclesiastico era il diritto dello stato che regolamenta l’elemento religioso. Critica i manuali di polizia ecclesiastica, il diritto civile ecclesiastico, perché erano solo un insieme di regole senza un coordinamento interno. Egli poi nega la giuridicità del diritto canonico, perché riteneva che la chiesa era solo un’associazione di diritto privato e che quindi il codice canonico fosse solo uno statuto di questa associazione. Tale teoria non ebbe successo, e lo stesso Scaduto anni dopo si contraddisse, dicendo che non esisteva associazione di diritto privato più importante dello stato. - A proposito della questione romana, questa non era stata risolta con la legge delle guarentigie, la chiesa continuava a rivendicare i territori e il papa ad essere un cittadino italiano comune. C’era bisogno di riconoscere autonomia al pontefice, cosa che faranno i patti lateranensi. Due premesse accelerarono la stipula dei patti: 1 che ci fu un cambiamento della politica fascista in ambito ecclesiastico, che cerca di conquistare il favore di cattolici e gerarchia ecclesiastica con norme a loro favorevoli. 2 che la chiesa smette di rivendicare tutti i territori, era una richiesta antistorica, la non esistenza dello stato pontificio, poiché non aveva territorio, ne aveva solo aumentato l’autorità a livello internazionale. Perciò poi si accontenterà del piccolo territorio del vaticano. - Inoltre, la necessità di porre fine alle leggi eversive era sentita sia dalla chiesa che dallo stato, perché la creazione delle entità di fatto creava fluidità giuridica, non ci sono interlocutori ai fini dell’esercizio del controllo. Nel 1925 iniziarono le trattative in gran segreto, nemmeno Scaduto lo sapeva. I patti lateranensi sono formati da trattato e concordato Il trattato fu un successo per lo stato fascista, perché Mussolini risolse la questione romana e allo stesso tempo ne trasse un vantaggio per lo stato, perché la chiesa rinunciava ai suoi territori (in cambio del Vaticano), e aveva anche l’obbligo di astensione dalle competizioni temporali. Il concordato fu un successo per la chiesa, perché Pio 11 fece prevalere la sua volontà, tranne su beni culturali, assistenza e beneficienza, che erano di esclusiva competenza dello stato, poiché fondamentali per la creazione dell’ideologia fascista. A proposito di assistenza e beneficenza, l’ultima legge eversiva fu la legge Crispi del 1890. La legge Crispi parlava di beneficienza (l’assistenza fu creata nel 1923), e istituì gli istituti pubblici di assistenza e beneficienza IPAB (in realtà erano IPB, poi dopo IPAB). L’art 1 prevedeva che chiunque volesse svolgere attività di beneficienza doveva assumere forma di istituzione pubblica (che non aveva il significato che ha oggi, era solo un istituzione soggetta a intervento e controllo dello stato). Tuttavia prima c’era la legge 753/1862 che lascava libera l beneficienza privata. La legge Crispi sopravvisse, e non fu nemmeno contestata dalla chiesa nel concordato, perché la qualificazione pubblica favoriva l’afflusso di pubblici finanziamenti. E rimase in vigore anche dopo la nascita della nostra Costituzione, nonostante fosse in evidente contrasto con l’art 38 della Cost., per cui ‘assistenza privata è libera. 7 Art 7 Cost 1 comma: sancisce che stato e chiesa sono ognuno nel proprio ordine indipendenti e sovrani. Secondo alcuni questa norma non sarebbe contenuto normativo vero e proprio, perché descriverebbe semplicemente una situazione di fatto, preesistente. In realtà sarebbe una tautologia se si parlasse di ordinamenti, ma parla di ordini, cioè divide le competenze secondo separatismo e laicità. Ma questo non risolve il problema, come si dividono le competenze? Spesso chiesa e stato rivendicano competenza su stessa materia, e li interviene la negoziazione. Nel caso in cui la chiesa rivendici materie di competenza esclusiva dello stato o viceversa si crea il problema, perché vi sarebbe anche carenza di giurisdizione del giudice, che non può giudicare la materia strettamente spirituale, per l’art 7 primo comma. 2 comma: i rapporti tra stato e chiesa sono regolati dai patti lateranensi. Le modificazioni dei patti accettati dalle due parti non richiedono procedimento di revisione costituzionale. Questo vuol dire che il procedimento ordinario sarebbe la revisione costituzionale, ma quando le parti sono d’accordo basta creare un nuovo patto che modifichi quello nuovo e poi approvarlo con una legge di ratifica. Poiché può essere soggetto a revisione costituzionale, i patti lateranensi hanno rilevanza costituzionale (ma non sono norme di rango costituzionale, sono fonti atipiche). Questo vuol dire che se una norma ordinaria o costituzionale contrasta con i patti lateranensi, utilizzando il criterio di specialità, dovrebbe essere dichiarata incostituzionale. Però la corte costituzionale con una sentenza 30/71 riprendendo una sentenza tedesca, dichiara che i patti prevalgono sulla costituzione, ma questa prevalenza non deve sconvolgere l’ordinamento, la norma concordataria prevale sulla norma costituzionale/ordinaria ma non sui principi supremi dell’ordinamento. Però in Germania i principi supremi dell’ordinamento erano ben definiti, in Italia no. Infatti la corte si trovò spesso in difficoltà, anche quando dovette giudicare l’ammissibilità del referendum abrogativo sulle norme concordatarie. Lo dichiarò inammissibile perché 1 il referendum abrogativo aveva la stessa forza attiva della legge ordinaria, e quindi gli stessi limiti, se la legge ordinaria non può modificare i patti, non può farlo nemmeno il referendum 2 il concordato è considerato trattato internazionale, quindi introdotto con una norma di autorizzazione alla ratifica di trattati, uguale a quella di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali, che non può essere sottoposta a referendum abrogativo. DAT Le DAT sono disposizione anticipate di trattamento, e non vanno confuse con eutanasia o suicidio assistito. La chiesa in realtà non è contraria alle DAT, anzi ha sempre voluto che il legislatore Ele regolamentasse per evitare l’accanimento terapeutico. Questo diritto non ha avuto la giusta collocazione pubblicitaria dopo la legge 219/2017, molti non sanno di avere uno strumento che concretizza due diritti, l’art 13 della cost, cioè l’inviolabilità delle libertà personali, e l’art 32 comma 2 della cost cioè che nessuno può essere sottoposto a trattamenti sanitari se non per previsione di legge. Le DAT sono un grande traguardo, se pensiamo ai tempi di Ippocrate il paziente doveva dare ‘’per buono’’ i trattamenti del medico, che lo faceva per il bene del paziente. Nel tempo grazie al pensiero illuministico c’è un rapporto di maggiore equivalenza tra le parti, e soprattutto di fa importanza al principio di autodeterminazione al trattamento sanitario, che deve avvenir solo con il consenso del paziente. Il principio di autodeterminazione è stato introdotto nella dichiarazione di Ginevra del 1948, ripreso poi da servizio sanitario nazionale e dalla convenzione di Oviedo, che nell’art 5 stabilisce che un trattamento sanitario non può essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato libero e informato consenso, e dopo essere stata informata di natura e conseguenze dei trattamenti. Legge 219 del 2017 (entrata in vigore nel 2018, 15 gg di vacatio legis), l’art 4 è formato da 8 commi: - 1 comma, diviso in due parti: 1 parte definizione di DAT e condizioni di validità, 2 parte fiduciario - 2, 3 e 4 comma: fiduciario - 5 comma: medico 10 - 6, 7 e 8 comma: forme di validità delle DAT ●Definizione di DAT: le DAT sono dichiarazioni rese da un soggetto che, ipotizzando la propria incapacità di autodeterminarsi in futuro, ora per allora rende nota la sua volontà circa i trattamenti e accertamenti sanitari da eseguirsi sulla propria persona. ●Condizioni di validità: - maggiore età - Capace di intendere e volere (se è un’incapacità transitoria la dat non è valida. L’inabilitato anche senza assistenza può esprimere le DAT) - Eventuale futura incapacità di autodeterminarsi. Se il disponente in futuro è capace di autodeterminarsi, può revocare le dat, anche perché la scienza progredisce - Acquisizione di determinate informazioni (anche se non ci sono modi per verificare che sia veramente informato) ● Fiduciario, figura facoltativa, infatti se si revoca il fiduciario le DAT hanno comunque effetto. Anche se abbiamo diritto alle DAT, ci sono dei limiti, le disposizioni non devono diventare dichiarazioni di suicidio assistito o eutanasia, vietati dal legislatore. Possiamo donare organi oppure donare la salma per studi scientifici. Il disponente non può nominare più di 2 fiduciari perché potrebbero esserci contrasti tra loro, ma può dar luogo ad un elenco di fiduciari, cosi che se uno non accetta si passa al secondo e cosi via. L fiduciario deve essere maggiorenne e capace di intendere e volere. La nomina del fiduciario deve essere accettata, o con una firma sotto le DAT o con atto allegato. Il disponente può revocarlo e le dat valgono comunque. Le DAT sono uno strumento preventivo, non post mortem come il testamento. ●Medico: deve attenersi alle DAT. Può non farlo nei casi in cui si sfoci in eutanasia o suicidio assistito, se non si presentano le condizioni di incapacità del disponente, se ci sono nuove terapie che all’epoca della stesura delle dat non c’erano, e se il medico fa obiezione di coscienza. Se c’è un fiduciario, insieme al medico dovrà decidere se attuare le dat o meno. ● Forma che le DAT devono avere per essere valide: devono essere redatte per atto pubblico o per scrittura privata consegnata al comune di residenza. Non prevedono tasse imposte né costi. Le DAT sono diverse da eutanasia e suicidio assistito. Eutanasia: intervento del medico per morte della persona attiva: cure per pare fine alla vita passiva: sospensione cure Suicidio assistito: medico da al paziente gli strumenti per porre fine alla sua vita Stipula nuovo concordato nell’84, art 7 e 8 Si pone il problema se anche il concordato dell’84 godesse di copertura costituzionale o meno, perché l’art 7 si riferiva al concordato del 29. Secondo alcuni non si trattava di un nuovo trattato, perché l’accordo di villa Madama era detto di revisione dei patti lateranensi. Inoltre se fosse stato un nuovo trattato si doveva seguire il procedimento di revisione costituzionale, invece fu solo una legge ordinaria seguita dal consenso delle parti, che è una procedura usata appunto per la revisione. Tuttavia nella prassi è visto come un nuovo concordato, perché l’art 13 del concordato dice che tutte le norme del vecchio concordato che che non sono state riprodotte nel nuovo, vanno abrogate. La dottrina cercò di trovare nuove basi giuridiche per sostenere la copertura costituzionale. Secondo una prima tesi, l’art 10 comma 2 della Cost stabilisce che l’ordinamento si adegua alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, tra cui pasta sunt servanda, e questo giustificava la copertura costituzionale. Secondo altri, tra cui Francesco Finocchiaro, diceva che di per se la materia, cioè i rapporti tra stato e chiesa, era rilevante per la costituzione. Quindi da dove poteva discendere la copertura costituzionale del concordato dell’84? Da una lettura complessiva (combinato disposto) degli art 7 e 8 della Cost, che disegnano il sistema complessivo del rapporto tra stato e confessioni religiose. Dobbiamo immaginare una casa, dove alla base troviamo da un lato l’art 7 comma 2, che dice che i rapporti tra stato e chiesa sono regolati dai patti lateranensi, e dall’altro l’art 8 comma 3 che dice che i rapporti tra stato e confessioni acattoliche sono regolati da intese con le rappresentanze. Quindi entrambe sono accomunate dal principio di negoziazione e bilateralità. 11 Salendo sulle pareti della casa abbiamo da un lato l’art 7 comma 1, che sancisce indipendenza e sovranità di stato e chiesa nei propri ordini, e dall’altro l’art 8 comma 2, che sancisce l’autonomia di organizzazione delle confessioni acattoliche. Entrambe sono legate dal principio di autonomia ecc che si ricollega al tetto di questa casa, cioè all’art 8 comma 1, che sancisce che tutte le confessioni sono egualmente libere davanti alla legge. L’obbligo di negoziazione da copertura costituzionale anche alle intese. Per quanto riguarda il principio di laicità, non è presente nella costituzione, ma si può dedurre nell’art 8 comma 1. Lo stato è laico non perché è indifferente alle religioni, ma perché si pone in una posizione equidistante da tutte loro, garantendo con l’art 8 l’uguaglianza nella libertà. L’art 8, nella disputa tra Scaduto e Ruffini, abbraccia la posizione di Ruffini, che riteneva che l’uguaglianza non era dare a tutti la stessa cosa, ma dare a ciascuno il suo. Ci deve essere tutela della libertà uguale per tutte le confessioni, ma non ci può essere una legge che le rende tutte uguali, perché hanno identità diverse, sono diverse e devono essere trattate in modo diverso, con una regolamentazione differenziata. Così non si discriminano le confessioni, non si lede il principio di uguaglianza ì, perché le intese scorgono specifiche esigenze religiose della confessione. Per esempio la legge 101/89 dispone che gli ebrei possono giurare a capo coperto, è un’esigenza specifica della confessione e le altre confessioni non si oppongono perché non hanno la stessa esigenza. Il sistema italiano esalta le specificità, ma su richiesta delle singole confessioni nelle intese, non può fare unilateralmente, e per questo non viola l’uguaglianza. Confessione religiosa, art 8 L’art 8 parla di confessione religiosa per tre volte, ogni volta con un significato diverso. Nel 1 comma è una nozione larghissima, stabilisce un principio di non discriminazione che apre da un lato ad una legislazione differenziata, ma senza violare la libertà religiosa di una o più confessioni. Nel 3 comma si dice che i rapporti con le confessioni non cattoliche sono regolati da intese con le relative rappresentanze. Non parliamo du una qualsiasi entità religiosa, ma di confessione religiosa, che può mettersi sullo stesso piano dello stato e fare accordi. Che caratteristiche deve avere per essere una confessione, e sedersi allo stesso tavolo dello stato? - deve avere una solidità istituzionale. X esempio la rappresentanza, deve essere universalmente riconoscibile. Qui si è posto il problema di quelle confessioni che pur essendo istituzionalmente solide non riescono a esprimere una rappresentanza unitaria. X es l’Islam, che pone al centro di tutto la comunità, non c’è dualismo tra ordinamento civile e religioso, per sua natura non si definisce confessione, ma rientra in questa categoria solo per avere i benefici dei paesi occidentali. Quando un’organizzazione islamica tentò un’intesa con lo stato italiano, un’altra comunità si oppose e cosi via. - Ci deve essere l’elemento religioso. Questo ha posto non pochi problemi per quanto riguarda l’UUAR, l’unione di atei e agnostici, che volevano stipulare un’intesa con lo stato, ma essendo atee e agnostiche non erano considerate confessioni religiose. Quand’è che un gruppo non ortodosso di una certa confessione che si stacca da essa diventa una confessione? Definizione di confessione: (non c’è) Non si può né ricorrere all’autoreferenziazione delle confessioni, né lo stato può stabilire i criteri affinché una confessione possa ritenersi tale, perché violerebbe il principio di laicità. Secondo Ferrari lo stato può elaborare un suo concetto di confessione, estrapolandolo dall’osservazione delle confessioni religiose già esistenti e formalmente riconosciute, con criteri quanto più ampi possibile. La sentenza 195/93 nasce da una legge regionale abruzzese in materia di edilizia di culto. Questa legge aveva stabilito che avevano adesso agli standards per gli edifici di culto solo la confessione cattolica e le confessioni che avevano fatto intese con lo stato. Questa legge arrivò davanti alla corte cost perché i testimoni di Geova pur costituendo una confessione religiosa non avevano diritto agli edifici di culto per l’esercizio del loro culto, solo perché non avevano stipulato intese con lo stato. La corte costituzionale accolse l’incostituzionalità di questa legge. 12 Poi con la Costituzione si intenderà come libertà positiva, poiché è uno stato sociale, interventista. Lo stato deve agire in positivo per garantire e favorire l’esercizio della libertà religiosa. (X es ascoltando le esigenze delle singole confessioni, principio di negoziazione, o garantendo gli edifici di culto). È una libertà fondamentale per lo sviluppo della personalità umana. Secondo altri lo stato democratico deve creare istituzioni di libertà, che favoriscano l’esercizio delle libertà religiosa. Potremmo vedere alcune forme particolari di riconoscimento della libertà religiosa negli anni passati, per es la libertà religiosa negli stati del socialismo reale (patto di Varsavia), in quei paesi la libertà religiosa era intesa come libertà dalla religione. Per esempio in alcuni stati totalitari c’erano libertà religiose particolari, in Albania era il diritto di pregare da soli a bassa voce chiusi in una stanza). Dipende dall’ordinamento dello stato. Oggi invece c’è un clima multiconfessionale, con la libera espressione di tutte le confessioni. La libertà religiosa arriva anche ad espressioni a cui le altre libertà non arrivano. La massima espressione della libertà religiosa è la possibilità, tutelata dall’ordinamento, di derogare una norma dell’ordinamento giuridico in ossequio di precetti religiosi. In questo caso, dice Ferrante, si realizza un incontro di teodiritti e geodiritti in capo al fedele, che è sottoposto ai geodiritti per la sua collocazione territoriale, e ai teodiritti per appartenenza religiosa, personale, come fedele. Per esempio l’obiezione di coscienza è uno scontro tra geodiritti e teodiritti, ma la dottrina prevede meccanismi di risoluzione valide per tutti i contrasti tra ordinamento confessionale e civile. Nei decenni precedenti l’obiezione di coscienza era un tabù, la prima norma che ne parla è solo del 772/1972. Prima si parlava solo di obiezione alla leva militare in relazione all’art 52 della cost, poi dal 78 in poi si è iniziato a specificare obiezione a che cosa. L’art 52 della cost., che sancisce che la difesa della Patria è sacro dovere del cittadino e che il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge, fu oggetto dell’emendamento Caprioli, che voleva aggiungere l’obiezione di coscienza a livello costituzionale, ma fu rifiutato perché sarebbe stato pericoloso per il dovere di difesa della patria. Nel progetto di costituzione c’era anche l’art 51 sul diritto e dovere di resistenza all’autorità legittima, che poi venne abrogato perché non si poteva regolare normativamente una rivoluzione. A proposito dell’obiezione di coscienza: il parlamento da una parte cercava una via d’uscita per l’obiettore, dall’altro si cerca di non farlo apparire come obiettore. Per esempio la legge stabilisce l’obbligo di leva nei vigili del fuoco per 2 anni (quindi per più tempo rispetto alla leva militare), come via d’uscita dal servizio militare. Poi ci fu un fatto culturale che cambiò la situazione, la lettera di don Lorenzo Milani nel 63, in risposta ai cappellani militari toscani, che avevano detto che l’obiezione era un atto di viltà. Nel 67 fu emanata la legge Pedini, dove non si parlava ancora di obiezione di coscienza, ma di difesa non violenta con costruzione di opere di pace e servizio di carattere umanitario nei paesi del terzo mondo (al posto della leva). Poi nella legge 772/1972 si parlò di obiezione di coscienza, e in tale legge si prevedeva la libertà per l’obiettore di svolgere servizio civile o militare non armato per 8 mesi in più rispetto alla leva militare. Per farlo l’obiettore doveva presentare una domanda di obiezione, e una commissione del ministero della difesa lo convocava per verificare sincerità e fondatezza delle motivazioni addotte. Erano modalità molto invasive (x es obiettore perché cristiano e contro la violenza, gli chiesero se era giusto per lui che Gesù avesse scacciato con violenza …). Di fatto l’obiezione di coscienza era un’interesse legittimo, non un diritto soggettivo, perché era “affievolito’’ dal fatto che il soggetto aveva bisogno di un atto amministrativo per realizzare il suo diritto, ed era anche una scelta discrezionale del ministero, al punto che il servizio civile o militare non violento sostitutivo era detto beneficio. Il primo caso che cambiò la configurazione della posizione soggettiva dell’obiettore fu un provvedimento d’urgenza del 1983 del pretore del Piemonte. Un giovane fa domanda di obiezione perché contrario a violenza uso delle armi ecc, però aveva fatto domanda di entrare nei vigili urbani, che all’occ orrenza usano la pistola. La sua richiesta fu rifiutata e lui fece ricorso al TAR, che la rigetta. Allora si appella all’ex art 700 codice di procedura civile facendo ricorso al pretore nel caso in cui non avesse altre possibilità. Teoricamente il pretore non aveva legislazione perché era un interesse legittimo, non un diritto soggettivo, però il pretore riprende una sentenza della corte di cassazione su un caso di diritto alla salute leso da un atto amministrativo, in cui si dichiarava che 15 il diritto alla salute è insuscettibile di affievolimento per atto amministrativo. Il pretore la riutilizza per l’obiezione di coscienza, ritenendo che era anch’esso un diritto insuscettibile di affievolimento e che quindi era un diritto soggettivo della persona, anche se non presente nella costituzione. Riconoscimento costituzionale obiezione, art 2-21-19, obiezione al servizio militare Nella costituzione non c’è un diritto specifico all’obiezione di coscienza, quindi su cosa si fonda? L’unico modo è ricollegarlo all’art 2 che tutela i diritti inviolabili dell’uomo. L’art 2 è fondamentale nel nostro ordinamento, lo si voleva porre anche prima della costituzione perché non sono le persone in funzione dello stato, ma lo stato in funzione dei cittadini, si dice che la repubblica riconosce i diritti perché esistono prima dello stato, non li crea lo stato, li riconosce e tutela. Una questione che nacque in merito all’art 2 era se l’art 2 tutelasse solo i diritti contenuti nella costituzione o anche altri nati dall’esperienza sociale ecc. Si, esistono diritti che non sono citati nella costituzione ma vanno tutelati, per esempio libertà di coscienza, diritto alla vita ecc. L’art 2 può tutelare diritti non presenti nell’ordinamento, a condizione che questi siano in qualche modo correlati a diritti presenti, come una sorta di estensione o aggiornamento di essi. Per esempio diritto alla riservatezza come estensione del diritto alla segretezza della corrispondenza. A che diritto si ricollega l’obiezione di coscienza? Si tentò con l’art 21, cioè la libertà di espressione, vedendo l’obiezione come l’espressione della propria fede. Ma non è solo questo, non è solo una parola, uno scritto ecc, è un’azione negativa, di astensione dal fare qualcosa in ragione della propria fede. Allora si passò all’art 19, cioè il diritto che ognuno ha di professare liberamente la propria fede ecc. L’obiezione di coscienza si ricollega all’art 19. Ma allora si tutela solo l’obiezione di coscienza per motivi religiosi, visto che siamo nell’ambito dell’art 19? No, anche per motivi laici, e quindi si torna all’art 21 e all’art 2. Il problema dell’art 2 è che dopo aver affermato l’inviolabilità dei diritti ecc, parla di dovere inderogabile di solidarietà. Quindi il diritto inviolabile di obiezione alla coscienza non viola il dovere sacro di difesa della patria (art 52)? No, perché il contrasto non sta tra diritto inviolabile e dovere inderogabile, ma tra dovere e obbligo. Il dovere esprime e tutela un valore (x es dovere di difesa della patria), l’obbligo è uno strumento finalizzato alla realizzazione di quel valore (x es obbligo di servizio militare). Quindi il dovere è inderogabile, l’obbligo si, e si può sostituire con altri strumenti per realizzare il valore tutelato dal dovere. (Legge 772 del 72). L’ordinamento deve garantire altre modalità affinché l’obiettore possa realizzare il suo dovere senza contrastare con i suoi principi, non solo per tutelare l’obiettore, ma anche garantire la realizzazione del dovere, e quindi per un interesse dell’intera collettività. Ed è ciò che fa la legge 772, prevedendo delle prestazioni sostitutive alla leva militare, cioè il servizio civile e militare non violento. La conversione dell’obbligo giuridico deve rispettare i precetti dell’obiettore, realizzare il dovere, e non violare il principio di uguaglianza (non deve essere né un privilegio né troppo gravoso rispetto all’obbligo iniziale). Questo strumento di tutela vale per tutti i casi di obiezione di coscienza. Lo stesso giorno della sentenza con cui la corte costituzionale ‘’salva’’ la legge 772, ci fu una sentenza dell’adunanza plenaria del consiglio di stato, la 167/1985, che rovescia l’onere della prova. L’obiettore non doveva provare la sua sincerità con l’interrogatorio, ma doveva essere il ministero della difesa a individuare una manifesta infondatezza delle motivazioni. Non poteva più esserci l’interrogatorio perché violava l’art 3, cioè che tutti i cittadini sono uguali senza distinzione di razza sesso religione ecc. Per quali motivi può essere rigettata l’obiezione? Se la persona ha porto d’ami o è stata accusata di reati con l’utilizzo di armi Nasce un problema perché il ministero della difesa si basava sulle relazioni dei carabinieri locali, dove ci potevano essere casi particolari, x es persona che partecipa ad una manifestazione pacifica che sfocia in violenza, e quindi non viene considerato come contrario alla violenza, o persona tossicodipendente che si ritene non avere lucidità per opporsi alla violenza ecc. 16 In realtà non ha senso perché o la persona non è abbastanza intossicata, e quindi fa l’obiezione, oppure è cosi incosciente da avere coscienza annebbiata, e quindi non bisogna tanto rifiutare l’obiezione, quanto renderlo inabile al servizio militare. Poi altro problema: i testimoni di Geova, esempio di obiettori totali. Rifiutano il servizio militare perché visto come attività demoniaca, rifiutano anche i servizi civili sostitutivi, e non presentano nemmeno la domanda di obiezione, e quindi vengono chiamati dinnanzi al tribunale ,militare per renitenza alla leva, con condanna da 6 mesi a 2 anni. E se davanti al giudice dicono di aver fatto renitenza per motivi religiosi, la condanna raddoppia da 2 a 4 anni. Finiscono nel carcere militare di Gaeta, dove si fanno periodicamente esercitazioni militari, e rifiutano anche quelle, commettendo un altro reato mentre scontano la pena. Era praticamente impossibile farli uscire dal carcere, perché commettevano 2 reati, e quando uscivano dovevano tornare in carcere perché non avevano fatto servizio militare. Quindi legge nell’83 stabilisce che i mesi passati in carcere equivalgono a mesi di servizio militare. Poi con i tempo i testimoni di Geova sono diventati privilegiati, perché è previsto direttamente il servizio sociale. Nel 92 il parlamento approvò una nuova legge che tenesse conto dei diritti dell’obiettore, ma fu rinviata dal presidente Cossiga, che poi dovette promulgarla dopo per forza, ma sciolse le camere. La legge sarà promulgata solo nel 98. Resta problema aperto oggi l’art 6 dell’intesa con gli avventisti, che possono fare obiezione di coscienza direttamente senza provare sincerità e fondatezza (contro principio di laicità). Oggi non è un problema perché non c’è più leva militare obbligatoria, ma il dubbio resta riguardo il secondo comma dell’art 6, nel caso di richiamo alle armi di chi ha già prestato servizio militare. Anche in questo caso si fa direttamente obiezione di coscienza dicendo di essere avventisti (magari ci si converte appositamente quando si viene chiamati), e questo è un pericolo per il dovere di difesa. Obiezione all’aborto La legge 194/1978 elimina il precedente codice Rocco, che puniva l’aborto come reato. L’articolo era inserito nei delitti contro l’integrità e sanità della stirpe. Sulla materia era già intervenuta la corte costituzionale con la sentenza 27/1973 che dichiara incostituzionale la legge nella parte in cui non consente alla madre di abortire in caso di pericolo di vita. La legge 194/1978 è un insieme di norme per la tutela sociale della maternità e dell’interruzione volontaria della gravidanza. Non parla di diritto all’aborto, perché l’aborto deve avere dei requisiti, che sono diversi per i primi 90 gg di gestazione (pericolo di vita, condizioni economiche psicologiche della madre, malformazioni ecc, più generici) e per i giorni successivi (più specifici). L’art 9 di questa legge regolamenta l’obiezione di coscienza del medico all’aborto. Il personale sanitario ed esercente di attività ausiliarie non è tenuto a prendere parte alle procedure per l’interruzione della gravidanza quando si sollevi obiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione al medico provinciale o nel caso di personale dipendente al direttore sanitario entro 1 mese dall’entrata in vigore della legge o dall’assunzione. Si pongono 2 problemi: 1 in che modo possono essere beneficiari dell’obiezione figure che non fanno parte del personale sanitario (x es consultori). 2 si riconosce diritto all’obiezione, senza verificare fondatezza e sincerità, quindi c’è un privilegio rispetto ai militari? No, perché l’accertamento c’è, ma ex post. L’ultimo comma dell’art 9 stabilisce che l’obiezione si intende revocata se chi l’ha sollevata prende parte a procedure di interruzione della gravidanza (se sono procedure fatte per pericolo di vita della madre ovviamente non viene revocata). 2 comma art 9: l’obiezione può sempre essere revocata o proposta al di fuori dei termini previsti, ma produce effetti 1 mese dopo la dichiarazione.—> obiezione sopravvenuta, magari perché il medico cambia religione ecc 3 comma art 9: l’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario dal compimento di procedure specificamente dirette all’interruzione della gravidanza, e non dall’assistenza antecederete e conseguente. Ma è difficile capire quali sono gli atti specificamente diretti all’interruzione della gravidanza. 17 Tutte le norme del regno sardo piemontese dopo l’unità d’Italia furono estese a tutta la penisola. Per quanto riguarda i ministri di culto lo stato liberale cercò di limitare la loro autorità e influenza sui fedeli, perché in Italia anche l’applicazione dei principi separatisti si intreccia con le questioni connesse al completamento del procedimento di unificazione nazionale, che avvenne con la presa di Roma nella breccia di porta Pia nel 1870. Ovviamente l’occupazione di Roma fece sorgere un forte conflitto con la chiesa cattolica (il pontefice si dichiarò prigioniero in vaticano), che fece si che lo stato cominciasse a vedere nei ministri del culto cattolico dei potenziali avversari dell’ordine costituito. Queste sono le matrici ideologiche che limitarono le funzioni dei ministri del culto. Per esempio con una legge del 1864 si stabilì che fossero esclusi dalle liste dei giurati i ministri di qualunque culto, così come furono esclusi dall’ufficio di notaio e dalla professione di agente dell’emigrazione. Altri limiti furono stabiliti in merito all’elettorato passivo: Si stabilì che alcuni ministri di culto non potessero esser eletti a sindaco, deputato, consigliere circoscrizionale, consigliere comunale e a presidente della provincia, perché si riteneva che i ministri di culto avessero un potere di pressione sulle masse elettorali tale da falsare il gioco delle libere elezioni. Spesso le cause di ineleggibilità venivano designate per limitare l’attività dei sacerdoti cattolici, e questo è espresso dalla normativa che abbandonò talvolta la dizione di ministro di culto (onnicomprensiva) utilizzando formule imprecise o ibride, si diceva x es che non potevano essere eletti a deputato gli ecclesiastici aventi giurisdizione o cura d’anime, o i membri di Capitoli, stessa cosa per consigliere comunale, provinciale e sindaco. Il legislatore liberale introdusse questa espressione per un riferimento indifferenziato ed egualitario a tutti i ministri delle confessioni, poi però quando stabilisce dei limiti fa espresso riferimento ad ecclesiastici aventi giurisdizione o cura d’anime, richiamando funzioni tipiche dei chierici dell’ordinamento canonico. I veri destinatari erano i sacerdoti cattolici. Altri limiti per i ministri di culto che volessero esercitare determinate professioni: non poter essere avvocato, commercialista, perché non avrebbe avuto indipendenza nell’esercitare il proprio ruolo. Non poteva essere notaio perché è il periodo in cui lo stato si mosse colpendo gli enti ecclesiastici con la liquidazione dei loro patrimoni con la legislazione eversiva, e si temeva che il ministro di culto notaio avrebbe cercato di influenzare il testatore a restituire le cose sottratte alla chiesa. Non poteva fare il giudice popolare e ancora oggi non può essere giudice di pace o nelle corti d’assise. Ci sono contraddizioni perché da un lato lo stato vuole limitare l’attività dei ministri di culto, dall’altro non può disconoscere il rilievo sociale delle attività che svolgono (x es nei piccoli paesi la figura del parroco era centrale). Si cercò di garantire forme di controllo dei sacerdoti anche attraverso lo strumento economico, con i supplementi di congrua. Se un sacerdote con il patrimonio non raggiungeva un minimo congruo, lo stato sarebbe intervenuto con un supplemento. Questo potrebbe sembrare una contraddizione visto che lo stato li vedeva come avversarsi, ma in realtà non lo è. Allo stesso tempo per i i sacerdoti viene predisposto una particolare normativa penale, da un lato si prevedeva una tutela del sentimento religioso che coinvolgeva eventuali offese ai ministri, però senza fare differenze tra i ministri delle varie confessioni, e dall’altro lato si sancì una normativa che riguardava gli abusi dei ministri di culto, per es reato in cui il sacerdote nell’esercizio delle sue funzioni eccitasse al vilipendio delle istituzioni statali. Sono norme poco applicate nella pratica, perché è difficile trovare la differenza tra semplice espressione del pensiero ed effettivo abuso. ———— il parametro della definizione di abuso dipende molto dalle funzioni del ministro di culto stesso. Le norme non ci dicono quali funzioni devono essere prese in considerazione ,se quelle concesse dallo stato (più ampie e quindi più propense a dichiarare l'esistenza di un abuso) o quelle dell'ordinamento canonico (più ampie e meno propense all'abuso). Un problema altrettanto difficoltoso è quello che riguarda l'astrattezza della nozione di culto, che è una nozione civilistica, non ideata dalla chiesa. Ciò è evidenziato dalle norme della legislazione fascista. Il fascismo si presentò come protettore del baluardo del potere religioso contro i socialisti e i liberali, per questa ragione Mussolini pose in essere degli atti normativi per avvicinarsi alla chiesa, capito quanto importante fosse il suo ruolo a livello sociale: - Riforma Gentile e insegnamento religioso come perfezionamento del sistema dell'istruzione pubblica che avrebbe rinnovato la forma mentis delle future generazioni. 20 ⁃ Patti Lateranensi , che palesava un trattamento privilegiato della chiesa rispetto ad altri ministri ("dei culti ammessi" ex 1159), risoluzione questione romana con la nascita dello stato di città del vaticano. La legge sui culti ammessi parla di culto non in senso tecnico, e quindi come insieme di riti che vengono posti in essere da fedeli per rendere onore alla divinità, ma si parla di culto intendendolo come confessione religiosa. In periodo fascista il ministro di culto cattolico, come rappresentante della religione di stato godeva di una serie di privilegi rispetto a ministri di altri culti : ⁃ Viene considerato alla pari o quasi di un pubblico funzionario ⁃ È tenuto a porre in essere alcune attività non proprie dei ministri di culto, come il giuramento di fedeltà allo stato ⁃ Il vilipendio a lui arrecato era punito più severamente L'intera normativa riguardante i ministri di culto è stata rivista con la cost 1948, dove si parla per la prima volta di principio di laicità dello stato e di libertà religiosa. In seguito alla costituzione italiana del 1948 e la modifica dei patti lateranensi, la situazione cambia: lo stato democratico e interventista tutela la libertà religiosa e sotto questo punto di vista favorisce in alcune occasioni i ministri di culto per non violare l’art 19. Un esempio di questa situazione privilegiata lo ritroviamo nel fatto che nell’ex art 200 CPP, il ministro di culto può astenersi dal rivelare ciò che gli è stato confidato sotto il sigillo confessionale per non violare l’esercizio della libertà religiosa del ministro in questione. Lo stato guarda al ministro come esponente che ha compito strumentale rispetto alla comunità religiosa e alla religione a cui esso appartiene, lo stato non può effettivamente definire autonomamente e a priori quale sia il fine tipico della religione, altrimenti violerebbe l’esercizio della libertà religiosa. Le fonti che oggi disciplinano il ruolo giuridico del ministro di culto sono di diverso tipo: - Fonti unilaterali, ossia la legislazione dello stato - La normativa pattizia, il concordato con la chiesa cattolica e gli accordi con confessioni acattoliche. Che prevedono norme riguardanti il trattamento privilegiato del ministro di quel culto. Interessante è il caso del calciatore confessatosi sulla rivista famiglia cristiana: si discute sulle modalità attraverso le quali il ministro di culto possa effettivamente svolgere le funzioni proprie del loro ruolo vedendole riconosciute dallo stato. L'attività ministeriale con l'avanzare della tecnologia e il progredire della società acquista un campo di esercizio molto più ampio che deve essere riconosciuto dallo stato. Ci sono stati vari documenti pontifici che si sono occupati della questione confessioni operate con strumenti nuovi, molto interessante è il caso francese delle confessioni a telefono. Queste esperienze hanno fatto sorgere il problema che riguardava i metodi attraverso i quali si potesse ricevere o concedere il beneficio dell'assoluzione e se questi potessero o dovessero essere considerati come validi. Plagio Norma sul plagio Non tutto ciò che fa parte della religione è esente da pene, ci sono stati fenomeni di manipolazione mentale nelle sette religiose. Dal 1981 non abbiamo più una norma 603 che incrimina la sottoposizione del soggetto a potere psichico. La norma era strutturata malissimo, e venne dichiarata poi incostituzionale. Il ragionamento della corte era: come si fa capire quando una persona viene soggiogata da un’altra? Il diritto penale in uno stato democratico deve punire i fatti, non le idee. Come si capisce se una persona è stata costretta a dire/fare determinate cose o no? Nessuna norma del codice penale ha garantito la tutela che garantiva l’art 603 del codice penale. Art 603 codice penale: Chiunque sottopone una persona al proprio potere, in modo da ridurla in totale stato di soggezione, è punito con la reclusione da cinque a quindici anni. È una norma conforme all’art 25 della cost, cioè al principio di tassatività (il fatto penale deve essere individuato dettagliatamente nei suoi estremi. La norma penale cioè, deve individuare gli estremi del fatto-reato in essa contenuti in modo che si possa desumere con precisione ciò che è lecito e ciò che è vietato)? No La corte l’ha dichiarata incostituzionale con la sentenza 96/81 per 3 ragioni: 1: l’art 603 è una norma a dolo generico, evento non verificabile e condotta libera. Inoltre il plagio non si verifica quasi mai. 2: critica ‘’empirica’’. Anche se la norma può avere una ratio, sulla base delle attuali conoscenze psicologiche, è difficile stabilire il grado di intensità che porta il soggetto a perdere personalità e ad assoggettarsi completamente ad un altro. Distingue tra soggezione e persuasione. 21 (Tra l’altro l’art 220 del codice penale vieta l’utilizzo di perizia se non per patologia, sarebbe lesivo della dignità della persona). 3: La norma pone un altro problema, cioè che l’eccessiva elasticità della legge porterebbe ad un’ eccessiva incriminazione. Ogni comportamento diverso dalla condotta di vita normale di una persona dovrebbe essere causato da plagio (per es si pensava che le donne ricche che improvvisamente si facevano suore fossero plagiate). Il giudice sollecita l’intervento del legislatore, perché c’era un vuoto normativo e andavano regolate certe situazioni, per es c’erano gruppi religiosi chiamati sette che facevano proseguitismo religioso aggressivo, e i soggetti al loro interno non sceglievano liberamente, venivano ridotti in miseria, in stato di abbandono e prostrazione fisica (x es suicidio di massa per purificarsi). Per salvare l’art 603 alcuni della dottrina ritenevano che mirava allo sfruttamento economico (ma non ha senso perché esiste il divieto analogia, se si trova nei delitti contro la personalità individuale e non in quelli contro il patrimonio non posso ricavare uno sfruttamento economico), che si doveva considerare solo il rapporto tra soggetto attivo e passivo del plagio, che era impossibile distinguere tra persuasione e soggezione. Flick, famoso penalista, invece disse che bisognava guardare il plagio negli effetti che la condotta del presunto plagiato ha su di lui rispetto alla comunità: l’isolamento dalla comunità. Se è isolato, avulso da se, ci sono già elementi per incriminarlo. Anche qui qualcuno ha avuto da ridire, perché dicevano che molti soggetti ritenuti plagiati, avevano commesso loro stessi dei reati. Gli adepti di scientology sfondavano le vetrine dei centri urbani, l’uomo era un essere impuro e i soggetti in delirio commettevano illeciti. La dottrina diceva che se il soggetto ha già una patologia psichica, è incapace di intendere e di volere, e non si può incriminare. Una teoria del genere andrebbe contro la ragione stessa del plagio, che è un attentato alla formazione della volontà. La volontà si deve piegare nel momento in cui si forma, non nel momento in cui si manifesta. X es se mi dicono se non sfondi l’università ti sparo, se io lo faccio non è che sono consapevole di farlo, lo faccio per evitare di essere sparato, per evitare un male maggiore. Se lo faccio coscientemente perché faccio parte di un’associazione che distrugge le università per ideali ecc, è diverso. Queste cose a livello processuale non possono essere provate, e si cade nel diritto penale delle idee, e la libertà religiosa oggi si presta ad essere utilizzata non come diritto, ma come scudo. X es episodio dei fondamentalisti, che fanno i foreign fighters, poi tornano, vanno incriminati o no? Si ma nella misura in cui commettono degli illeciti. Al giurista interessa se il comportamento messo in essere dal soggetto sia anti giuridico, non che sia strano rispetto all’ordinarietà. Questo non era chiaro ai tempi di questa legge. Non abbiamo nell’ordinamento italiano una definizione di confessione religiosa, perché il legislatore avrebbe fatto un restringimento concettuale, una norma costituzionale non avrebbe potuto elencare tutte le confessioni. In Spagna si, c’è un elenco rinnovato periodicamente, mentre in Italia no perché abbiamo una laicità diversa dagli altri paesi. Il legislatore si pone equidistante rispetto alle confessioni, art 7 8 e 19. Le confessioni sono ugualmente libere, non uguali. L’uguale libertà presuppone la cristallizzazione dei diritti degli adepti e della confessione in sé. I movimenti religiosi sono tutelati a livello internazionale ed europeo, tranne nel caso di commissione di fatti penalmente rilevanti. Es scientology: come incriminare gli autori di illeciti? Vicenda durata 20 anni. Ultima sentenza corte di appello del 2000 ha assolto tutti dall’incriminazione di associazione per delinquere (oltre a esercizio abusivo della professione medica, truffa, violenza privata, violazione della privacy, sequestro di persona e circonvenzione di incapaci). Loro puntavano a persone deboli, disperate, con problemi. Si parla di relief effect, effetto di sollievo, che si verifica quando una persona che ha quasi perso tutto si vede improvvisamente trasportato in un ambiente accogliente, che la valorizza come persona. Nessuna di queste norme è stata applicata contro scientology, perché siamo nell’82 e il plagio era appena stato eliminato, si è cercato di incriminarli con queste fattispecie affini. Il tribunale di primo grado condanna scientology per associazione a delinquere. Il tribunale di Milano assolve, perché erano solo condotte autonome devianti di alcuni membri. Lo scopo di scientology era lecito. La corte d’appello condanna per la presenza di un vincolo stabile di commissione di illeciti. La corte fa professione di agnosticismo, non va a sindacare se scientology sia o meno una confessione religiosa. Questo ragionamento viene ripreso dalla corte di cassazione per assolvere nuovamente tutti i membri, perché la professione di agnosticismo è errata, si deve sindacare se sia o meno una 22 Gli sposi però possono chiedere al parroco di aspettare oltre i 5 giorni per la trasmissione dell’atto, e in questo caso il matrimonio è sospeso. Quando gli sposi decidono di voler trascrivere l’atto dopo questo periodo di sospensione, i due coniugi o uno dei due con consenso o mancata opposizione dell’altro manifesta la volontà di procedere al comune. Dopo il nuovo concordato, la trascrizione può essere richiesta solo dalle due parti esplicitamente o da una delle parti con la conoscenza e non opposizione dell’altra. Si parla di trascrizione tardiva. La trascrizione tardiva è già tale prima del matrimonio, le parti quando si presentano dichiarano che non vogliono la trascrizione dell’atto per una serie di ragioni di opportunità (che consigliano di non trascrivere tempestivamente: caso della vedova di un dipendente statale che percepisce assegno di reversibilità, con il nuovo matrimonio lo perderebbe, oppure del carabiniere che aveva necessità di sposarsi nei primi 5 anni di servizio-non si può-per una serie di ragioni, per esempio nel caso in cui la ragazza era incinta, se si sposavano il carabiniere perdeva il lavoro). Per farlo serve la licenza del vescovo, che sono molto restii a concederla, perché il timore è di creare situazioni di pubblico scandalo, per esempio i due si sposano religiosamente ma se non trascrivono per lo stato sono celibe e nubile, e uno dei due nel frattempo contrae matrimonio civile con un’altra persona, e quindi risulta sposato civilmente con una persona e religiosamente con un’altra. Il concordato per poter trascrivere impone il mantenimento dello stato libero ininterrottamente. Ciò perché avendo la trascrizione tardiva degli effetti retroattivi, il soggetto potrebbe cadere in uno stato di bigamia. Nel vigore del vecchio concordato il parroco quando vedeva una situazione particolare di opportunità poteva chiedere lui la trascrizione tardiva, perché comunque la volontà degli effetti civili si considerava presunta. Nel nuovo concordato a richiedere la trascrizione tardiva devono essere i coniugi, entrambi, non più l’autorità ecclesiastica. Si presume la volontà del matrimonio, non degli effetti civili, quindi ci deve essere un nuovo atto di volontà da parte die due coniugi per chiedere la trascrizione. Nel caso di trascrizione tardiva sono fatti salvi i diritti legittimamente acquisiti dai terzi. Caso tipico è quello del terzo creditore: uno dei due coniugi sposati religiosamente compra una casa e chiede un mutuo ad una banca. La banca concede il mutuo. Dopo del tempo viene trascritto tardivamente il matrimonio canonico che fa retroagire gli effetti dell’istituto alla data in cui il matrimonio è stato celebrato religiosamente. Se si adotta un particolare regime dei beni, la casa, intestata anche all’altro coniuge farebbe si che alla banca sarebbe garantita di una somma minore. La banca come terzo non può essere gravata da queste conseguenze e quindi si fanno salvi i diritti dei terzi, così che il terzo il creditore possa aggredire il bene per intero. Poi esisteva anche la trascrizione tempestiva ritardata, che si verificava quando il matrimonio non è preceduto dalle pubblicazioni, è necessario procedere alla regolarizzazione dell’atto di matrimonio e l’ufficiale di Stato civile non ha effettuato la trascrizione nei tempi previsti. Oggi non si può trascrivere il matrimonio post mortem, perché l’art 14 della legge matrimoniale del 1929, che concedeva la trascrizione in qualsiasi tempo e da chiunque abbia interesse, è stata abrogata. Non si può fare nemmeno se nel testamento il coniuge deceduto ha espresso la volontà di trascrivere il matrimonio, di solito con legato. È un atto personale, ma non attuale, magari nel testamento ha espresso la volontà di trascrivere matrimonio, ma non è un consenso attuale, magari avrebbe cambiato idea ma non lo possiamo sapere. Il parroco è un pubblico ufficiale durante il matrimonio, mentre il ministro di culto acattolico no. C’è un trattamento privilegiato. Il ministro acattolico non ha le funzioni di un pubblico ufficiale, riceve un nulla osta alla pubblicazione ed è autorizzato a celebrare ad casum. Si dice che esercita privatamente una pubblica funzione (funzione celebrativa). ●Procedimento delibativo: Con il termine «delibazione» si intende quella speciale procedura giudiziaria tramite la quale in un determinato Stato viene accordata – a domanda di parte – efficacia giuridica ad un provvedimento di carattere giudiziario emesso dall'autorità giudiziaria di un altro Stato. Si chiede ad un’autorità giurisdizionale italiana (corte d’appello territorialmente competente) di dare efficacia nella repubblica italiana alla decisione assunta dal tribunale ecclesiastico. Si è creata una frattura tra le sentenze straniere tu cui le sentenze di nullità matrimoniale che sono state, anche se in maniera forzosa, fatte rientrare nelle sentenze straniere. La delibazione fa parte della materia diritto internazionale privato, perché gli atti prodotti dalla chiesa, anche memori della natura del concordato, sono considerati degli atti stranieri, nel senso di atti non nazionali. 25 La riforma sul diritto internazionale privato, la 218/95, stabilisce che la sentenza straniera trova efficacia in Italia autonomamente senza il bisogno di un definito processo di delibazione. Vengono fatte salve le sentenze di delibazione di nullità matrimoniale. In questi casi, per avere la delibazione: 1 Bisogna essersi già rivolti al tribunale ecclesiastico, la cui sentenza deve essere passata in giudicato 2 Si chiede al tribunale della segnatura apostolica di accertare una serie di requisiti e accertare che la sentenza sia stabile. 3 Il tribunale della segnatura apostolica rilascia un decreto, l’execuatur, che dichiara la sentenza irrevocabile. 4 L’execuatur si porta in corte d’appello competente (cioè quella del luogo in cui i coniugi si sono sposati), chiedendole di dare efficacia nella repubblica italiana a quella decisone ecclesiastica. Se la corte d’appello dovesse riconoscere questa efficacia, dichiarare nullo il matrimonio in Italia, avrebbe efficacia ex tunc, così il matrimonio non è mai esistito, così come i rapporti patrimoniali nati dal matrimonio, sia per la chiesa che per lo stato (poi dipende, lo stato può prevedere un ‘’mantenimento’’ per il coniuge più debole). La corte d’appello fa una ratifica automatica di questa decisione o ha un margine di operatività? Ha un margine di operatività, deve verificare se la decisione va contro l’ordine pubblico interno. Lo stato nel corso del tempo ha stretto sempre di più l’operatività del procedimento delibativo, tecnicizzando l’esito finale di questa procedura, qualificando come ordine pubblico alcuni fatti come ordine pubblico che probabilmente non lo sono. Per es sentenza 16379/2014: la cassazione ha stabilito che è contro l’ordine pubblico chiedere efficacia nella repubblica italiana di una sentenza di nullità matrimoniale il cui coniugio sia durato più di 3 anni. Perché 3 anni? Perché 3 anni di convivenza abilitano i coniugi ad adottare, e il fatto che la convivenza vada oltre i 3 anni fa pensare alla collettività che il rapporto sia stabile. È sempre cosi? Si può delibare un matrimonio che dura più di 3 anni? Una cosa è la teoria una cosa è la pratica processuale. Il fatto che il marito proceda alla delibazione senza l’accordo della moglie incide sul rispetto dell’ordine pubblico o è indifferente e la corte comunque non lo deliba perché sono passati più di 3 anni? C’è bisogno del consenso di entrambi. È vero che la sentenza ecclesiastica che annulla matrimonio durato più di 3 anni non può essere delibata, se non con il consenso delle parti, perché la cassazione ha definito quest’eccezione procedurale come un’eccezione di parte, rilevabile solo dalle parti e non d’ufficio. Allora contano davvero questi 3 anni? Se c’è violazione dell’ordine pubblico perché sono passati più di 3 anni, ci dovrebbe essere sempre, al di là della volontà di entrambi i coniugi. È una sentenza un po’ forzata, però la corte d’appello può andare oltre e prevedere un contributo economico a favore del codice più debole. E il matrimonio durato meno di 2 anni è automaticamente delibato o possono esserci altri argomenti sollevati da chi non è d’accordo? Potrebbe essere rilevante in questo caso la conoscenza o conoscibilità del motivo di nullità da parte del coniuge contrario (per esempio la moglie non sa che al momento del matrimonio il marito non ha mai avuto intenzione di avere figli o di essere fedeli). L’art 34 del vecchio concordato (1929) stabiliva una riserva di giurisdizione esclusiva del tribunale ecclesiastico: - sulle cause di nullità matrimoniale - sulle dispense super rato non consumato, procedura particolare in cui non viene data nullità del matrimonio, ma una dispensa dagli obblighi matrimoniali, e possibilità di risposarsi, nel caso in cui i due abbiano celebrato il matrimonio, ma ci sia prova certa che il matrimonio stesso non sia stato consumato (come nel caso del matrimonio per procura e documentazione medica, o dei rapporti virtuali). In questi casi ci sono procedure spedite che nel vigore del codice canonico del 1917 (prima di quello dell’83) erano degli atti amministrativi abbastanza riservati. Nel 1982 la Corte Costituzionale intervenne sulle dispense super rato e stabilì che: - le dispense non potevano ricevere una delibazione - dichiarò illegittimo l’art 34 del concordato, nella parte in cui consentiva la delibazione anche della dispensa super rato, per violazione dell’art 24, perché non c’era contraddittorio né processo. - L’anno successivo nell’83 con il nuovo codice di diritto canonico, la dispensa super rato non si capisce più se sia un processo amministrativo o giurisdizionale 26 - Svariati anni dopo, nel 2009 , Benedetto XVI modifica la natura della dispensa, chiarificandola: la dispensa ora è una effettiva procedura giurisdizionale. Allora è venuto meno il motivo per cui la corte ha dichiarato incostituzionale la delibabilità della dispensa? Problema aperto. Ritornando alla questione della riserva di giurisdizione assoluta, l’esistenza di questa competenza esclusiva era pacifica nel 1929 rimanendo tale fino al 1984, anno di promulgazione del nuovo concordato. Il nuovo concordato dell’84 non riproduceva la norma che attribuiva al tribunale ecclesiastico esclusiva competenza a giudicare sulla nullità dei matrimoni, non ne parlava, non si capiva se era abrogata o valeva ancora. - La cassazione nel 93 intervenne con una sentenza dicendo che questo silenzio andava interpretato come abrogazione della riserva di giurisdizione, e che esiste ora un concorso di giurisdizione, e questo in virtù dell’art 13 del concordato (”disposizione non riprodotta è abrogata”) - Con la Sent 421/1984 la corte costituzionale interviene in senso opposto, riprende un’espressione utilizzata nella sentenza dell’82, laddove aveva affermato che la riserva di giurisdizione era la logica conseguenza del fatto che il matrimonio era un matrimonio concordatario, e nasceva nell’ordinamento canonico secondo le norme dell’ordinamento canonico. Ribadisce che la riserva assoluta è il logico corollario del riconoscimento del matrimonio canonico nell’ordinamento civile. Inoltre il concorso di giurisdizione dello stato ci sarebbe attraverso la delibazione. Ci sono problemi ancora più gravi: posto che davanti al giudice civile per valutare la nullità del matrimonio canonico bisogna utilizzare le norme dell’ordinamento canonico (norme sostanziali), quali norme si dovranno adottare sotto il profilo processuale? Quelle dell’ordinamento italiano (norme procedurali). Però ci sono alcune disposizioni che non è pacifico se siano da considerarsi norme sostanziali o procedurali. I casi previsti dal codice civile (dolo ecc), sono elementi che inficiano il matrimonio sia nell’ordinamento canonico che italiano, secondo il codice civile italiano danno luogo ad una decadenza dall’azione entro 1 anno dalla scoperta per esempio del dolo o dell’errore. Nell’ordinamento canonico questa preclusione processuale non c’è, perché se c’è stato dolo non c’è stato sacramento, e quindi il matrimonio non c’è. Siccome la cassazione deve stabilire in caso di concorso di giurisdizione come si radica una giurisdizione o un’altra, la cassazione stabilisce il criterio di prevenzione: il giudice che viene adito prima radica la sua giurisdizione. Ma la situazione si complica, perché se uno dei due coniugi adisce il giudice canonico per primo, nei casi di causa iniziata oltre 1 anno dopo dalla scoperta del dolo, porterà alla nullità del matrimonio. Se invece l’altro coniuge per primo adisce il giudice civile, dove la preclusione processuale c’è, quello stesso matrimonio sarà valido. Se c’è già un’altra sentenza su quello stesso matrimonio, i numeri 5 e 6 dell’art 797 del codice di procedura civile (che regolamentano la delibazione) impediscono la delibazione. Se faccio una causa di nullità matrimoniale davanti al giudice canonico e ottengo una sentenza di nullità, poi chiedo la delibazione davanti alla corte d’appello, che deve procedere alla delibazione sulla base dei limiti della delibazione, che x es non può andare in contrasto con l’ordine pubblico, ma neanche, come dice n 6, con un’ altra sentenza fra le stesse parti e con lo stesso oggetto. Il problema è se può essere delibata una sentenza di nullità matrimoniale in presenza di un divorzio fra le parti, perché il divorzio riguarda l’ordinamento civile, non il diritto canonico. Nel caso di matrimonio concordatario non si parla di scioglimento del matrimonio, si parla di scioglimento del matrimonio civile o di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario. Succede che il divorzio incide sugli effetti civili e la sentenza di nullità matrimoniale sul matrimonio concordatario, bisogna valutare 1 se le due sentenze sono preclusive l’una dell’altra e in che misura, 2 se ci possa essere una sentenza di divorzio dopo una sentenza di nullità. Rapporto tra giudizi di nullità matrimoniale ecclesiastica e di divorzio: Ci può essere una sentenza di divorzio dopo la delibazione di nullità matrimoniale ecclesiastica? No, non ha senso, il matrimonio è delibato. Se il matrimonio è nullo è inutile parlare di divorzio, perché il divorzio è un giudizio che si occupa della possibilità o impossibilità di prosecuzione del rapporto matrimoniale, mentre la nullità si occupa del momento genetico, dell’atto da cui nasce il matrimonio. Una recente sentenza ha affrontato una questione particolare: nel caso di un divorzio in corso, la delibazione della sentenza di nullità non precluderebbe la prosecuzione della sentenza del procedimento di divorzio, ma solo per la definizione dell’assegno divorzile. La delibazione della 27 Un decreto ministeriale del 95 che regolamenta il volontariato stabiliva che l’organizzazione di volontariato poteva svolgere attività commerciali marginali, e definì i requisiti di marginalità. Invece nel non profit è proprio un principio, non è marginalità. Per acquisire la qualifica dell’onlus, nello statuto dell’ente vanno inserite una serie di vincoli per garantire la non dispersione dei fondi raccolti. Nella relazione governativa che presentava il decreto legislativo si diceva che la finalità principale del decreto era l’incremento dell’occupazione, perché creava lavoro sia nel volontariato che nelle onlus, una produzione di reddito. La normativa sulle onlus si preoccupava di stabilire dei limiti per il pagamento di coloro che lavoravano nella onlus, non oltre il 20% dei contratti collettivi nazionali di lavoro. Erano veri e propri contratti di lavoro. Quindi la stretta corrispondenza fra struttura e attività di un ente non regge più, per gli enti non profitta anche per i for profit, perché esistono delle figure classificabili nel 5 libro del codice civile che sono difficilmente qualificabili come enti for profit, per esempio le cooperative sociali, che svolgono attività commerciali, ma è prevalente l’aspetto non profit (x es comunità x tossicodipendenti ecc). Oggi la dottrina afferma il principio di neutralità tra strutture e attività degli enti. Già nel decreto 460 sulle onlus si poneva il problema degli enti ecclesiastici che potessero assumere la qualifica di onlus. Come si fa? Al comma 9 dell’art 10 il decreto introduce una normativa per gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti. Si prevede che siano considerati onlus di diritto, senza valutazioni controlli ecc, purché svolgano le attività di utilità sociale di cui all’art 10 A. In quest ultimo articolo si elencano le attività di utilità sociale, e non rientrano in queste le attività di religione o di culto. La contraddizione di questo decreto è che gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti acquisiscono la qualifica di onlus e ricevono le agevolazioni fiscali delle onlus, ma solo se svolgono attività diverse da quelle di religione o di culto, cioè le proprie funzioni istituzionali. Ci sarebbe una norma fiscale agevolativa. Se questa normativa dovesse significare che le finalità di religione o culto non sono di utilità sociale e non hanno agevolazioni fiscali probabilmente potrebbe esserci una violazione dell’art 20 della Cost, che prevede il divieto di speciali gravami fiscali per gli enti ecclesiastici e attività religiose e di culto in genere. (Gravame fiscale in questo caso indiretto, inteso come esclusione delle attività di religione o culto dalle attività di utilità sociale, e quindi dall’agevolazione fiscale) La dottrina ha cercato di affrontare questa questione contraddittoria, con varie ipotesi: 1 che il decreto sia incostituzionale per violazione dell’art 20 della cost. 2 dimenticanza 3 mentalità, doveva esserci solo un’attività di finalità sociale generica. Però ci sarebbe stato un grande rischio se le attività di religione o culto fossero state inserite nelle attività di utilità sociale: che si dovrebbe capire quali sono le attività di religione o culto e quali no. Forse la cosa si poteva risolvere anche senza ricorrere all’art 20, soluzione che si ritrova sia nel concordato che nelle intese: principio di equiparazione tributaria fra attività con fine di religione o culto e attività con fine di istruzione e beneficienza. Sia le attività con fine di istruzione sia di beneficienza rientrano nelle attività di utilità sociale, quindi se il principio di equiparazione stabilisce che ciò che vale per le attività con fine di istruzione e beneficienza vale anche per le attività di religione o culto, allora anche le attività con fine di religione o culto devono essere attività di utilità sociale. Si potrebbe dire che in realtà il principio di equiparazione sarebbe difficilmente applicabile a religione e culto, ed è un vecchio problema già affrontato, anche negli anni 30 si era posto un problema simile, c’erano state due questioni che avevano visto impegnata l’amministrazione: 1 esenzione dall’imposta di consumo sulle bevande vinose. La norma stabiliva che erano esenti da questa imposta gli enti di beneficenza per coloro che erano ricoverati all’interno della struttura. Il problema nacque per i conventi: si può usare ciò che è per la beneficienza per finalità religiose, frati e suore nei conventi sono da considerarsi ricoverati all’interno della struttura quindi non poteva essere consumato vino? Si pose una questione ulteriore per il caso di novizi di ordini religiosi e seminaristi. Il novizio di ordine religioso era esente dall’imposta sulle bevande vinose perché non pagavano nessuna retta, mentre i seminaristi pagavano una retta e quindi pagavano l’imposta. Problema dell’esenzione automatica per effetto del principio di equiparazione delle esenzioni previste per beneficienza e istruzione a religione e culto. Il venir meno dei postulati ha un’incidenza sugli enti ecclesiastici, per cui oggi quando trattiamo degli enti ecclesiastici vediamo che per essere civilmente riconosciuti devono svolgere attività di religione o culto, ma bisogna valutare come questa qualifica si concilia con lo svolgimento di 30 attività diverse, addirittura commerciali. X es problema di un possibile fallimento dell’ente ecclesiastico, che coinvolge una serie di problemi enormi, primo fra tutti c’è la licenza canonica o se ne fa a meno? Se ne fa a meno, e se il rappresentante legale fa fallire l’ente apposta per aggirare la licenza? Don Antonio decide di lasciarci sulle spine e ci congeda. Cià Antò -cit lombi. Enti ecclesiastici Dopo la legge di ratifica dei patti, furono introdotte le leggi 847 e 848 (non più in vigore) rispettivamente per matrimonio ed enti. Il nuovo concordato dedica degli articoli agli enti ecclesiastici e crea una commissione che elaborò la legge 222/85 sugli enti, che è 6 volte l’intero concordato, a cui si aggiunse il regolamento di attuazione 33/87 e una mini intesa 96 con gli enti ecclesiastici che chiarisce dei punti controversi. L’art 2 della legge 1159 prevede l’emersione a livello giuridico della confessione religiosa, che è il primo passo verso il riconoscimento di un confessione. Come emerge una confessione? C’è un ente interno alla confessione che diviene oggetto di riconoscimento da parte dello stato. È un’ente esponenziale della confessione, ad emergere non è la confessione ma l’ente. La dottrina chiama questi enti che vengono riconosciuti enti confessionali, ma in realtà sono detti per ‘’legge’’ enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, mentre gli enti confessionali in senso stretto sono gli enti che rappresentano l’intera confessione e ‘’aspirano’’ ad essere riconosciuti ai sensi della legge 1159 e a diventare quindi enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, ma non è detto che accada, possono anche rimanere solo enti confessionali/ecclesiastici senza ottenere il riconoscimento. Fino al concordato dell’84 si parlava di enti ecclesiastici solo per gli enti della chiesa cattolica, mentre gli enti confessionali erano gli enti ‘’ecclesiastici’’ degli altri culti (perché non c’erano più le intese) e poi c’era l’ente ebraico che veniva riconosciuto ai sensi della legge del 30 per le comunità israelitiche. Dopo il concordato dell’84, le varie intese hanno stabilito che si parla di ente ecclesiastico per l’ente rappresentante di un confessione che ha ottenuto riconoscimento ai sensi della legge 1159, quindi sia la religione cattolica che gli altri culti che hanno stipulato intese, mentre gli enti confessionali sono gli enti che rappresentano l’intera confessione e ‘’chiedono’’ il riconoscimento ai sensi della legge 1159 (e poi diventa ecclesiastico, anche se la dottrina lo chiama confessionale. Puozz passa nient sta dottrin). Il concetto di ente ecclesiastico è diverso da quello di confessione. Ogni confessione ha al suo interno un numero di enti ecclesiastici, che sono segmenti organizzativi della confessione. Qual è l’interesse che una confessione religiosa ha a vedere riconosciuti i propri enti ecclesiastici a livello civile? 1 sottolineare l’identità religiosa e confessionale dell’ente (per sottrarsi a normative non rispettose). 2 la chiesa cattolica e altre confessioni possiedono il patrimonio in maniera indiretta, attraverso gli enti. La chiesa cattolica non ha diritti di carattere patrimoniale né personalità giuridica di diritto privato, gli enti si (x es Santa Sede). Essendo i patrimoni imputati in capo agli enti, la chiesa li controlla con il diritto canonico, però il riconoscimento civile serve a tutelare la chiesa cattolica dal fatto che l’ente può compiere atti civili che vadano a violare il patrimonio della chiesa, e la chiesa non può recuperare questo patrimonio solo con il diritto canonico. La chiesa ha interesse che l’ente sia riconosciuto a livello civile, perché le norme che regolano gli enti, il patrimonio ecc, acquistano rilevanza civile, valgono anche per lo stato. Così facendo l’autorità ecclesiastica può far dichiarare nullo l’atto compiuto e recupera i beni. Vi è la necessità di un controllo rilevante a livello civile su un patrimonio che la chiesa ha in mano ai suoi vari enti, per evitarne la dispersione. Quando parliamo di ente ecclesiastico pensiamo ad un ente della chiesa. Tedeschi disse che la qualifica di ente ecclesiastico civilmente riconosciuto può essere data solo dallo stato. Questo è vero, perché è una qualifica specifica ecc. Però la qualifica di ente ecclesiastico in ambito civile NON viene data dallo stato, per il principio di laicità, e anche perché è un ente interno espressione della confessione, non può stabilirlo lo stato. 31 L’ente è ecclesiastico perché la confessione lo riconosce, e anche per lo stato lo è, a prescindere che gli dia la qualifica di ente ecclesiastico civilmente riconosciuto. Se non viene riconosciuto opera come ente di fatto, senza personalità giuridica, ma è comunque un ente ecclesiastico. In molti casi l’ente ecclesiastico sceglie di operare o con personalità giuridica di ente civilmente riconosciuto, o come ente di fatto, o con personalità giuridica con qualifica di associazione, fondazione civile, società commerciale, cooperativa ecc. A questo punto qual è la differenza? Per l’ente ecclesiastico civilmente riconosciuto scatta la tutela per cui i controlli canonici su di esso acquistano rilevanza civile. Nel caso in cui l’ente operi come fondazione ecc no. In base a che criterio si diventa riconosciuti oppure si opera come associazioni? Nel caso di un patrimonio cospicuo per esempio, conviene che il controllo canonico sia rilevante a livello civile, e quindi è meglio qualificarsi come ente civilmente riconosciuto. Oppure se l’ente ha interessi a poter operare più liberamente, allora è meglio operare come società senza controllo civilmente riconosciuto, altrimenti ogni atto della società imprenditoriale (x es) sarebbe sottoposto a controllo. Quindi in base alla tutela del patrimonio e alla rapidità procedurale, l’ente può trovare conveniente una cosa o l’altra. Può un ente ecclesiastico avere fine di lucro? No, a livello civile le attività della confessione non strettamente finalizzate ad uno scopo istituzionale non possono ricevere trattamento speciale. Lo stato laico ha però difficoltà a distinguere tra attività con fine religioso e non all’interno della confessione, ma è necessario farlo per sottoporle alla disciplina adatta. Come si risolve? Sia nel concordato che nelle intese gli enti possono essere civilmente riconosciuti se svolgono attività di religione o culto, ma c’è una determinazione convenzionale delle attività CONSIDERATE religiose e non ai fini della legge civile. Il fine di religione e di culto non può essere stabilito dallo stato, ma dalla confessione, e lo stato poi gli da riconoscimento. Le confessioni tendono a favorire percorsi di riconoscimento della personalità giuridica dei propri enti, in particolare come enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, anche un po’ in risposta alla privazione di personalità giuridica che subirono nell’800. Questo principio fu seguito da molte confessioni, fa eccezione l’intesa con le assemblee di Dio in Italia. Nell’intesa con i pentecostali, approvata con legge 517/88, c’è un elenco degli enti di cui i pentecostali chiedono riconoscimento, che poi ottengono con l’intesa, ma non si garantiscono il riconoscimento di altri enti, ma si assicurano che lo stato non riconosca altri enti come pentecostali. È un po’ una garanzia al rovescio, ma è un’esigenza legata alla struttura stessa stessa dei pentecostali, c’è il rischio che altri enti si “intrufolino”. Riconoscimento degli enti: La disciplina concordataria dell’84 e la successiva legge 222 dell’85 si occupano degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, della procedura di riconoscimento e della disciplina conseguente. Restano fuori dalla disciplina gli enti centrali della chiesa, che pongono problematiche identificative. Non sono regolati né dal concordato né dalla legge 222, ma dalla garanzia dell’art 11 del trattato lateranense, che recita: Gli enti centrali della Chiesa Cattolica sono esenti da ogni ingerenza da parte dello Stato italiano (salvo le disposizioni delle leggi italiane concernenti gli acquisti dei corpi morali), nonché dalla conversione nei riguardi dei beni immobili. (Queste ultime due salvaguardie hanno perso senso perché l’autorizzazione agli acquisti non c’è più e nemmeno quella della conversione dei beni immobili, non più in vigore dal 29, sarebbe incostituzionale). Hanno un’ autonomia totale di gestione, ma soprattutto questa esenzione è stata vista anche come esenzione dalla giurisdizione italiana. Chi sono gli enti centrali della chiesa e fin dove si può estendere questa esenzione dalla giurisdizione? Problemi ancora aperti (Gli enti centrali non sono definite dal diritto canonico, così come i ministri di culto ecc) Quali sono in concreto gli enti centrali, gli enti di governo della chiesa? Santa Sede è sicuramente un’ente centrale, però dal 2000 in poi si è posto il problema per radio Vaticano, poi riconosciuto come ente centrale, oppure l’opera della fabbrica di san Pietro in occasione del giubileo del 2000. Nel caso di radio Vaticano c’è stata la questione di villa Galeria, laddove vi era un’emissione di onde elettriche oltre i limiti della comunità europea, radio vaticano poteva essere sottoposta alla giurisdizione italiana per violazione delle leggi europee? Sono questioni delicate 32 b) attività diverse da quelle di religione o di culto quelle di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura e, in ogni caso, le attività commerciali o a scopo di lucro”]. C’è una determinazione convenzionale delle attività di religione e di culto, stessa cosa nelle intese con i culti acattolici. Mentre le attività con fine di religione o di culto vengono identificate in modo diverso nel concordato, nella legge 222 e nelle varie intese, le attività diverse sono sempre le stesse in ogni accordo, perché? In primo luogo questo ci fa capire che il vero fine dello stato nella determinazione convenzionale è garantirsi le attività diverse. Le attività non religiose o di culto (istruzione assistenza beneficienza ecc) possono essere svolte da ente ecclesiastico con motivazioni religiose, ma anche da soggetti laici con motivazioni laiche, mentre le attività di religione e di culto no (x es la cura delle anime non può essere fatta con una motivazione laica). Quando si tratta di attività che possono essere svolte o con motivazioni laiche o con motivazioni religiose indifferentemente, deve essere salvaguardato il principio di uguaglianza, o per meglio dire di leale concorrenza. Chi svolge attività non religiose e non di culto con scopo laico e chi con scopo religioso devono avere lo stesso trattamento, ci deve essere principio di leale concorrenza. Nel caso invece di attività religiose non c’è principio di leale concorrenza da salvaguardare, perché possono essere svolte solo con motivazioni religiose L’art 2 si preoccupa di dire che queste altre persone giuridiche diverse da quelle per le quali il fine di religione e di culto è presunto iuris et de iure devono essere sottoposte ad accertamento, che stabiliscono che questi enti svolgano queste attività con fine di religione o di culto oppure no. Sennonché c’è un altro problema legato al 3 comma: in genere non troviamo enti ecclesiastici che svolgono esclusivamente attività di religione o di culto, spesso svolgono anche attività diverse (di istruzione, beneficienza ecc). Il concordato del 29 riguardo questa situazione parlava di un giudizio di prevalenza, ma in questo campo, nell’ambito morale in genere, lascia il tempo che trova, non regge. X es in una scuola cattolica prevale l’attività di istruzione, ma è evidente che la finalità è di carattere religioso confessionale, così come un ospedale di ente ecclesiastico. Il 3 comma risolve il problema dicendo che: L'accertamento di cui al comma precedente è diretto a verificare che il fine di religione o di culto sia costitutivo ed essenziale dell'ente, anche se connesso a finalità di carattere caritativo previste dal diritto canonico. Non è un criterio quantitativo, ma qualitativo. Il fine di religione di culto non deve essere quantitativamente prevalente, ma costitutivo ed essenziale. E quindi una scuola cattolica può essere un’ente ecclesiastico. L’ente ecclesiastico viene riconosciuto come ente ecclesiastico civilmente riconosciuto con una procedura amministrativa, che prima richiedeva un decreto del presidente della repubblica, oggi basta un decreto ministeriale. Il presidente serve solo nel caso in cui il ministro chieda un parere al consigli di stato, il consiglio da un parere negativo, il ministro vuole comunque riconoscere l’ente e gli serve la delibera del consiglio dei ministri, che può diventare operativo solo con decreto del presidente. Una volta ottenuto il riconoscimento l’ente ecclesiastico diventa ente ecclesiastico civilmente riconosciuto, con tutte le conseguenze, in primo luogo la rilevanza civile dei controlli canonici. La confessione dovrà operare seguendo tutte le regole del diritto canonico, con rilevanza anche civile. I notai devono verificare per poter stipulare bene che sussistano tutte le licenze canoniche previste dal diritto canonico, e non è semplice, perché la normativa canonica sugli atti di straordinaria amministrazione è molto articolata. Per esempio sono sottoposti a licenza tutte le alienationes, termine che indica in generale ogni negozio che possa peggiorare lo stato patrimoniale dell’ente. Il problema è che esistono molti tipi di licenze, variano a seconda del tipo di soggetto ecclesiastico, del tipo di atto di straordinaria amministrazione e del suo valore. Il codice di diritto canonico ha valenza universale, e in questa materia la normativa di dettaglio è rinviata alle singole conferenze episcopali, quindi bisogna anche guardare, oltre al codice canonico, anche alle delibere della conferenza episcopale italiana che volta per volta stabilisce le licenze e procedure necessarie. Da dove nasce la rilevanza civile dei controlli canonici? Si ricava dall’art 18 della legge 222, che da garanzia al terzo contraente, che deve vedere tutte queste licenze, e stabilisce che: Ai fini dell'invalidità o inefficacia di negozi giuridici posti in essere da enti ecclesiastici non possono 35 essere opposte a terzi, che non ne fossero a conoscenza, le limitazioni dei poteri di rappresentanza o l'omissione di controlli canonici che non risultino dal codice di diritto canonico o dal registro delle persone giuridiche. Ai fini dell'invalidità o inefficacia di negozi giuridici: già questo ci fa capire che è un dubbio che andava avanti da anni se la mancanza di licenze canoniche portasse all’invalidità o all’inefficacia Questa invalidità o inefficacia per essere opposta al terzo contraente, il terzo la doveva poter conoscere o dal codice di diritto canonico o dal registro delle persone giuridiche. Questo però non risolve niente perché il codice canonico rinvia sia agli statuti degli ordini religiosi sia alle delibere delle conferenze episcopali, se avesse detto dal codice di diritto canonico E dal registro delle persone giuridiche si risolveva il problema, ma non è così. Fino al 2000 il sistema che esisteva per il riconoscimento della personalità giuridica degli enti in genere, quindi ai sensi del 1 libro del codice civile, prevedeva per gli enti riconosciuti il riconoscimento con il dpr della presidenza della repubblica e poi l’obbligo di scrivere lo statuto nel registro delle persone giuridiche presso le cancellerie del tribunale, ma nessuno l’ha mai fatto, perché c’era una sanzione pecuniaria di poche lire, e c’era responsabilità solidale con il patrimonio dell’ente da parte di chi operava per conto dell’ente, ma anche questo non ‘’spaventava’’. Questi registri furono tirati fuori per motivi ecclesiasticistici, perché la legge 222/85 all’art 6 prevedeva: Gli enti ecclesiastici già riconosciuti devono richiedere l'iscrizione nel registro delle persone giuridiche entro due anni dalla entrata in vigore delle presenti norme. Decorsi tali termini, gli enti ecclesiastici di cui ai commi precedenti potranno concludere negozi giuridici solo previa iscrizione nel registro predetto. La sanzione non era chiara, gli eventuali negozi posti in essere senza l’iscrizione erano nulli, annullabili, inefficaci? Non si è mai capito. Qualcuno invocò una violazione dell’art 20 cost, perché si pensava che ci fosse un limite solo all’attività degli enti ecclesiastici stabilita esclusivamente per loro, la sanzione era solo per gli enti ecclesiastici che non si iscrivono, e non per gli altri enti. Questa presunta violazione dell’art 20 della Cost qui non c’è, perché questo obbligo di pubblicità è un contraltare alla rilevanza civile dei controlli canonici, il terzo che contratta con l’ente ha la necessità di avere delle certezze, non che il registro sia sufficiente perché gli sono opponibili i limiti che si trovano o nel registro delle persone giuridiche o nel codice di diritto canonico. C’è un motivo giusto per richiedere agli enti ecclesiastici un obbligo più stringente di pubblicità dello stato. Il problema oggi è un altro, perché nel 2000 è intervenuto il dpr 361, che ha realizzato una rivoluzione copernicana in materia di iscrizione dello statuto degli enti in genere nel registro delle persone giuridiche. Mentre fino al 2000 c’era quest’obbligo di iscrizione, con il dpr 261 si rovescia il procedimento. Oggi un ente per ricevere personalità giuridica deve richiedere l’iscrizione dello statuto nel registro delle persone giuridiche presso la prefettura. Dal decreto del prefetto, che stabilisce l’iscrizione, discende l’acquisizione della personalità giuridica (prima si riceveva personalità giuridica e poi ci si iscriveva, ora il contrario). Il dpr 361 muta il procedimento e i requisiti di riconoscimento per gli enti ecclesiastici? Teoricamente no, perché all’art 9 fa salva le discipline speciali, tra cui quella degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, ad eccezione degli enti ecclesiastici di cui all’art 10 della legge 222 (Art 10 legge 222: Le associazioni costituite o approvate dall'autorità ecclesiastica non riconoscibili a norma dell'articolo precedente, possono essere riconosciute alle condizioni previste dal codice civile. Questo è ovvio. Esse restano in tutto regolate dalle leggi civili, salvi la competenza dell'autorità ecclesiastica circa la loro attività di religione o di culto e i poteri della medesima in ordine agli organi statutari. Queste associazioni laicali vengono riconosciute secondo le norme del codice civile, per cui non sfuggono alla disciplina del 361, ma l’autorità ecclesiastica mantiene un controllo sull’esercizio del culto e anche sugli organi statutari. X es se l’autorità ecclesiastica ritiene che il consiglio direttivo non sia ortodosso sotto il profilo della fede o morale, può intervenire. Si istituisce una figura ibrida, non è ente ecclesiastico civilmente riconosciuto, è un’associazione laicale, sottoposta completamente al codice civile ma anche al controllo della chiesa su culto e statuto). Tornando al dpr 361, non tocca la disciplina speciale degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, perché? La disciplina speciale degli enti ecclesiastici sta nella legge concordataria e livella legge, che sono di rango costituzionale, per questo il decreto 361 non può modificarli. (Fu istituita una commissione dal concordato che entro 6 mesi doveva emanare la legge 222 sugli enti ecclesiastici. La commissione fece il suo lavoro, e una volta elaborato il testo, ci fu una legge 36 precedente di pochi giorni, la 206, che approvò la legge accordo che c’era stato nella commissione. Approvato l’accordo, la legge 222 fu approvata con il testo della legge. La dottrina si è posta la domanda: il testo di legge della 222 è identico e preciso a quello della 206 già presente nel nostro ordinamento, quindi nel momento in cui si dovesse modificare una norma della 222, andavano modificate nel testo dell 206 che è l’accordo, nella 222 che è la legge, entrambe? E se si modifica una sola, l’altra resta in vigore? Prof non approfondisce va buon accussi). L’art 9 introduce un’altra eccezione: non si applica agli enti ecclesiastici salvo che per gli art 3 e 4 del dpr 361, che valgono anche per gli enti ecclesiastici, e stabiliscono che un ente che scrive il proprio statuto nel registro deve inserire tutti i dati relativi alla rappresentanza, al funzionamento, alla sede ecc. Quindi ci sarebbe un obbligo di inserire tutte le norme di funzionamento, e anche le licenze necessarie, all’interno dello statuto. Però gli art 3 e 4 (norme ordinarie) non possono modificare l’art 18 della legge 222, a copertura costituzionale, modificabile con accordo delle parti (Ai fini dell'invalidità o inefficacia di negozi giuridici posti in essere da enti ecclesiastici non possono essere opposte a terzi, che non ne fossero a conoscenza, le limitazioni dei poteri di rappresentanza o l'omissione di controlli canonici che non risultino dal codice di diritto canonico o dal registro delle persone giuridiche). Per gli enti ecclesiastici resta la vecchia procedura, hanno prima il riconoscimento ministeriale e poi l’iscrizione, per dalla mancata iscrizione discende il fatto che non possono concludere negozi giuridici, in questo caso era un obbligo rispetto alla semplice multa del passato. Enti del terzo settore (parte speciale) (Gli Enti del Terzo Settore ETS sono organizzazioni non commerciali o commerciali, costituite come Associazione, Comitato, Fondazione o impresa che, perseguendo finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, si caratterizzano per lo svolgimento in esclusiva o in via principale di una o più attività di interesse generale e per l’assenza di scopo di lucro.Il decreto 117/2017, il codice del terzo settore, ha rivoluzionato e tentato di sistemare la materia del terzo settore). Rivoluzione copernicana. La precedente rivoluzione l’aveva già compiuta il decreto 460 che introdusse le onlus, che erano solo una qualificazione tributaria che determinati enti potevano acquisire, non una categoria soggettiva. Il codice del terzo settore introduce un tentativo di unificazione della disciplina in una prospettiva di ampliamento del terzo settore ma anche di maggiore controllo. Il codice del terzo settore dovette fare i conti, in relazione all’acquisizione della qualifica di ETS enti del terzo settore, con gli enti ecclesiastici. Nel progetto c’era l’art 4 che si occupava di una disciplina speciale per “gli enti ecclesiastici riconosciuti delle confessioni che hanno accordi patti o intese con lo stato”. Si trattava degli enti ecclesiastici riconosciuti costituiti o approvati delle confessioni con intese. Tutto il testo del codice prima dell’emanazione fu sottoposto al parere del consiglio di stato, secondo cui era difficile analizzare un testo cosi corposo in pochi giorni, istituì una commissione specilla per farlo ma auspica che non si ripeta più. In alcune settimane la commissione speciale esprime dei pareri sui vari articoli, tra cui l’art 4, che si occupava degli enti ecclesiastici. La commissione richiama la giurisprudenza costituzionale precedente, in particolare la sentenza 52/2016 che affrontava il conflitto di attribuzione tra governo e cassazione a sezioni unite circa il diritto o meno dell’UAAR di arrivare ad un’intesa, e cita anche sentenze sull’edilizia di culto, tutto questo per limitare le differenze della disciplina tra confessioni con intesa e senza intesa. Formula una diversa norma per l’art 4, proponendo una dicitura diversa, non quella di enti ecclesiastici di confessioni che hanno patti accordi e intese con lo stato, ma di enti religiosi civilmente riconosciuti (per far rientrare anche gli enti delle confessioni senza intese). Siccome c’era poco tempo, il parere del consiglio di stato venne accolto. La nuova dicitura poteva essere più inclusiva, ma risulta essere esclusiva, perché nella dizione di ‘’enti ecclesiastici di confessioni che hanno patti accordi e intese con lo stato’’ rientravano anche gli enti di fatto privi di personalità giuridica (cosa che il decreto 117 vuole espressamente), mentre parlando di enti religiosi civilmente riconosciuti il consiglio di stato esclude gli enti privi di personalità giuridica. Ma cosa sono gli enti religiosi civilmente riconosciuti? Nessuno lo sa con precisione Questi enti religiosi sono tali per riferimento all’attività o confessionale? Per essere tali devono essere riconosciuti dalla confessione, o una qualsiasi organizzazione si proclama religiosa e si proclama religiosa può essere ente religioso civilmente riconosciuto? 37 Per il diritto ebraico e la Torà invece i tatuaggi sono vietati, perché non sono solo abbellimenti del corpo, l’uomo imprime su di se un simbolo per sempre, cercando un’ideale di bellezza che tende all’idolatria e fanatismo, e inoltre cambia l’aspetto naturale del corpo umano, che è creazione divina. È bene rimuoverlo quando possibile secondo questo documento, per altri invece si deve rimuovere se è un simbolo idolatrico o legato a forze occulte. Esposizione pubblica di simboli religiosi: Le disposizioni normative concernenti l’esposizione di simboli in luoghi pubblici risalgono agli inizi del 900, poi con l’accordo di revisione del concordato si è iniziato a mettere in discussione questa normativa, data l’abrogazione del principio della religione cattolica come religione di stato. Nell’88 però il consiglio di stato ha riconfermato la legittimità di tali disposizioni, perché si deve guardare al significato storico-culturale del crocifisso, che rappresenta valori universali e per i principi che evoca è parte del patrimonio storico del paese. Nel 2004 il TAR Veneto sollevò una questione di legittimità costituzionale su alcune norme sulle scuole, ma la corte ha dichiarato manifesta inammissibilità perché si stava sollevano a livello legislativo un problema legato a norme regolamentari, su cui non può intervenire la corte costituzionale. Tuttavia è comprensibile che si crei incertezza su queste norme. X es nel caso concreto c’era un contrasto tra due valori, da un lato il diritto dei genitori di un bambino di religione islamica a volere una scuola laica senza simboli religiosi, dall’altro la rivendicazione dei cattolici nel vedere riconosciuti simbolo importanti culturalmente storicamente ecc. A proposito del presepe, simbolo cattolico natalizio, il direttore dell’ufficio scolastico del Veneto mandò una comunicazione a tutti i dirigenti scolastici permettendo l’allestimento delle scuole con simboli presepi ecc, che rappresentano valori di pace dolcezza ecc a prescindere dalla laicità dello stato. Su posizioni analoghe anche alcune ordinanze dei sindaci per il crocifisso nelle aule scolastiche, che però vengono considerate nulle perché sono emanate da un’autorità amministrativa non competente in merito, e quindi non produce nessun effetto giuridico che possa far intervenire il giudice amministrativo. Simili posizioni sono prese da alcune regioni per l’esposizione del crocifisso nelle sale consiliari ecc. A proposito dell’esposizione dei simboli religiosi nei seggi elettorali: ci si è chiesto se questo svolasse il diritto di libertà religiosa, o condizionasse il libero voto, il buon andamento e l’imparzialità della pubblica amministrazione, e se fisse compatibile con uguaglianza laicità dello stato ecc. Tribunali di diverse regioni hanno ribadito che la presenza del crocifisso non crea problemi, perché non condiziona la formazione dell’opinione politica né l’espressione del voto. Inoltre la corte d’appello di Perugia ha affermato che se il presidente di seggio rimuove il crocifisso questo non inizia sulla sua idoneità alla carica conferitagli. Nelle aule di giustizia: è capitato che alcuni magistrati si rifiutassero di svolgere alcune funzioni per la presenza del crocifisso, ma erano solo funzioni di rilevanza interna e non esterna. Tuttavia data la possibilità che il crocifisso possa portare il magistrato ad esimersi dallo svolgere funzioni esterne, la corte di cassazione ha rimosso dalla magistratura un suo membro perché si era rifiutato di svolgere le udienze, sia in un’aula con crocifisso che non. La corte precisa anche che per regolamentare questa situazione c’è bisogno prima di uno specifico intervento del legislatore. La presenza del crocifisso inoltre deve anche essere guardata come possibile caratterizzazione confessionale dell’amministrazione della giustizia, in contrasto con l’arredo laico dell’ala delle sezioni unite della cassazione. Nell’Aquila ci fu un ordinanza del 2003 con cui si dispose la rimozione del crocifisso dalle aule scolastiche frequentate dal figlio del ricorrente islamico, perchè il crocifisso poteva violare la libertà religiosa del minore e soprattutto avrebbe potuto causare problemi per la sua crescita psico fisica. Il tribunale di terni ha affrontato il problema del conflitto tra un’assemblea di classe in cui gli studenti volevano il crocifisso, e un professore ateo. Il preside intimò al prof di non rimuovere il crocifisso, e non fu considerata un’azione discriminatoria perché aveva espresso la sua libertà religiosa di espressione ecc. Numerose sentenze di TAR e consigli di stato definivano il crocifisso come un simbolo di valori ei rispetto, tolleranza, pace ecc, e che nel momento in cui entrava in un’aula o in un seggio ecc assume significati nuovi e non più solo confessionali. 40 C’era bisogno di una soluzione, e la corte di cassazione interviene nel 2021 risolse il caso del prof ateo, dicendo che il crocifisso poteva dargli fastidio, ma non gli impediva di esprimere le sue idee religiose diverse da quelle cattoliche, e inoltre ribadisce che accanto al crocifisso possono essere affissi tutti i simboli delle religioni presenti nella scuola. La CEDU ha definito il crocifisso un simbolo passivo, incapace con la sua presenza di ledere la libertà di pensiero degli alunni e il diritto dei genitori di dare ai figli un educazione religiosa diversa. L’Italia ha ad oggi il diritto di custodire le proprie tradizioni. Sbattezzo Richiesta di inserire una annotazione correttiva sul registro dei battezzati per interrompere qualunque rapporto o contratto formale con la comunità religiosa. Non significa essere cancellati dal registro, ma porre accanto alla registrazione del proprio battesimo la volontà di non voler già appartenere alla chiesa cattolica. Il pontificio consiglio dei testi legislativi ha emanato nel 2006 le regole per lo sbattezzo: Ci deve essere una decisione interna di lasciare la chiesa, una manifestazione esterna, e la recezione di essa da parte dell’autorità ecclesiastici. Non è solo un atto giuridico-amministrativo ma soprattutto religioso perché ci si separa dagli elementi costitutivi della vita della chiesa. L’atto formale non basta né basta solo la volontà interna, se c’è corrispondenza delle due cose si parla di atto formale di defezione dalla chiesa cattolica. In ogni caso nessun atto di deflazione annulla il battesimo. Dopo aver ricevuto la richiesta, il parroco la invia alla cancelleria della curia vescovile insieme a fotocopia della carta d’identità e certificato di battesimo. Deve essere una richiesta scritta. Il cancelliere invita il richiedente ad un colloquio per spiegargli le conseguenze dello sbattezzo. Se non si presenta ecc si procede. Il parroco annota la richiesta sotto l’atto di battesimo e lo comunica alla cancelleria, che lo comunica al richiedente. C’è segreto d’ufficio, il parroco non deve dirlo a nessuno. Papa Benedetto 16 con una lettera apostolica motu proprio chiamata omnium in mentem, con cui ha attenuato gli effetti di questa manifestazione di volontà sulla sfera giuridica del fedele. In Italia lo sbattezzo è legato soprattutto alla religione cattolica (cattolici che battezzano bambini che poi da grandi cambiano idea ecc). In merito alla cancellazione dal registro dei battezzati, ci fu il ricorso al tribunale di Padova di un battezzato divenuto ateo che impugnava la decisione del garante di allegare al suo atto di battesimo la richiesta di cancellazione, lasciandola nei registri della parrocchia. Il giudice ha stabilito che la conservazione dell’atto nei registri non limita la libertà religiosa dell’ateo di allontanarsi dalla fede cattolica, e nel suo caso aveva anche ottenuto che la sua richiesta venisse comunque presa in considerazione e conservata. Inoltre il giudice l’aveva rigettato perché erano in gioco anche diritti di altri, per esempio dei genitori, che avevano esercitato un diritto riconosciuto dall’art 30 della Cost e hanno voluto battezzare il figlio, e hanno il diritto che la loro scelta rimanga documentata. Reati religiosamente motivati 41