Scarica I Cinque continenti del teatro e più Sintesi del corso in PDF di Antropologia solo su Docsity! I Cinque Continenti del Teatro La nascita del teatro in Grecia Il culto di Dioniso, dio del vino e dell'estasi, era diffuso in tutta la Grecia. Fra i suoi adepti si registravano soprattutto donne, le baccanti o menadi, ma anche creature semiferine come i Satiri e i Sileni, che sottolineano il carattere sovversivo del culto dionisiaco. Importanti feste pubbliche erano dedicate al dio in tutte le città greche. Ad Atene, le principali feste dionisiache erano quattro: le Piccole Dionisie, le Lenee, le Antesterie e le Grandi Dionisie. Le Piccole Dionisie si celebravano in campagna a dicembre-gennaio, quando si assaggiava il vino nuovo. Le Lenee, a gennaio-febbraio, si tenevano nel territorio Leneo, la piazza dove c'era il tempio di Dioniso ad Atene, quando si beveva il vino nuovo in città. In tale occasione si rappresentavano commedie e tragedie. Le terze feste, le Antesterie, celebrate a febbraio-marzo, erano ancora occasioni di grandi bevute. Le Grandi Dionisie che duravano cinque giorni tra marzo e aprile, facevano accorrere in città una grande moltitudine dalla campagna e dai paesi stranieri. Nel secondo giorno di festa, l'antica statua del dio si portava dal Leneo in un tempio cittadino e poi si riporta di nuovo nel Leneo: durante questa processione si cantavano i ditirambi dei più celebri poeti. Nessuna fra le divinità dell'Olimpo ha tutti i volti di Dioniso, dio morto e risorto, vincitore della morte e apportatore di vita, signore della vegetazione, dio dell'ebbrezza che eleva lo spirito oltre i limiti umani. E infine dio del teatro e della musica. Aristotele nella Poetica afferma che la tragedia, la forma drammatica greca più antica (VI sec. a.C.), nasce dal ditirambo satiresco, un canto corale in onore di Dioniso. Per molti studiosi, l'etimologia della parola tragedia è "canto del capro" , perché gli attori si travestivano da capri e da satiri, esseri dalle forme animalesche caprine ed equine. Celebre è l'interpretazione di Friedrich Nietzsche che nell'opera La nascita della tragedia (1871) esplicita il contrasto tra la componente apollinea e quella dionisiaca dello spirito ellenico. L'elemento apollineo si esprime nell'armonia che caratterizza la scultura e la poesia epica, mentre l'elemento dionisiaco si esprime nella musica, nella fusione con la natura e nell'ebrezza orgiastica. Nella tragedia avviene la fusione di queste opposte tendenze, la loro ricomposizione nell'equilibrio finale del conflitto tragico. Di tutte le interpretazioni etimologiche, una presenta una singolare analogia con le origini del teatro in Asia. Secondo il linguista Vittore Pisani, la parola tragedia deriverebbe dalla radice illirica trg che vuol dire "mercato" e da oidè, "canto" (Pisani 2001): la tragedia sarebbe il «canto del mercato» eseguito dal rapsodo che etimologicamente significa «colui che cuce le storie». La tesi di Pisani ha un pregio: non solo riconduce l'origine del teatro occidentale ad un mestiere concreto ma la avvicina alle origini della tradizione drammatica in Asia che viene fatta risalire all'arte dei cantastorie buddisti. I cantastorie sono una tradizione popolare molto antica e rispettata - i cinesi credevano che i missionari cristiani predicatori fossero cantastorie - e assai diffusa in tutta l'Eurasia, dal Giappone all'India, dall'Asia centrale all'Africa del Nord, all'Europa. Sarebbero stati cantastorie girovaghi a operare il passaggio da un singolo racconto al dialogo fra due personaggi. Tespi rappresentò la prima tragedia alle Grandi Dionisie, intorno al 530 a.C., nelle quali il premio per il vincitore era un capro. L'invenzione della tragedia attribuitagli dal poeta latino Orazio sulla base di antiche testimonianze, deriva dalla riforma che egli attuò. Mentre in precedenza era il coro a narrare il dialogo fra due personaggi in una forma lirica continuata (come quella dei cantastorie), Tespi lo suddivise contrapponendo al canto del coro la risposta di un attore e dette luogo così alla forma drammatica dialogica. Orazio accoglie anche un'altra testimonianza. Tespi, che era anche attore e istruttore di cori tragici e aveva introdotto l'uso della biacca per truccare le facce degli attori, si spostava da un villaggio all'altro dell'Attica con un carro sul quale, come da un palco, un attore dialogava con il sottostante coro. Questa tradizione del Carro di Tespi, celebre simbolo delle compagnie di attori itineranti, si sovrappose a quella del Carro-nave di Dioniso: il simulacro del dio era portato in giro durante le feste delle Antesterie in cui si consumava il vino nuovo. A Roma, Dioniso divenne Bacco e la tradizione del Carro-nave di Dioniso si mescolò a quella egiziana del Carro-nave di Iside. Attraversando i mari, la dea Iside aveva cercato e trovato le parti del corpo smembrato del suo sposo Osiride e aveva festeggiato il ritrovamento con un corteo floreale su un carro-nave. Per alcuni studiosi, questo carrus navalis dei romani, in corteo per Iside e Bacco, sarebbe all'origine della parola carnevale (car[ro] navale) e dei relativi rituali che lo festeggiano. I tre spazi degli attori Lo spazio separa o ingloba attori e spettatori?, Possono gli attori strutturare lo spettacolo in modo da dare agli spettatori la sensazione che lo spazio li includa, creando così un'atmosfera di comunità e vicinanza? O, al contrario, provocare negli spettatori un effetto di distanza. Per gli attori, dietro la parola spazio, si nascondono tre diverse situazioni che influiscono sulla loro tecnica. La prima è il loro spazio interiore. E la biografia, il loro modo di muoversi in una zona di ricordi ed esperienze, fantasie e pensieri, e di liberarli plasmandosi in segni espressivi. Uno dei compiti del regista è aiutare gli attori a sviluppare una tecnica personale che li renda abili nell'esplorare il loro spazio interiore. Questo procedimento tecnico, chiamato sottotesto o sottopartitura, riguarda il flusso dei processi mentali che gli attori sono capaci di trasformare in reazioni percepibili: segni saturi di energia espressiva. Questi segni sono semantici, vocali e fisici, e sono interpretati dagli spettatori con le loro categorie concettuali e culturali, ma soprattutto risuonano nel sistema nervoso e nella biografia individuale di ognuno di loro. Le radici della creatività affondano in questo spazio interiore. Questo "spazio ombra", sebbene immateriale, si irradia dall'attore e permea l'intero spettacolo insieme allo "spazio ombra" degli altri attori, colorando lo spazio geometrico misurabile e gli altri mezzi espressivi come le luci, la musica, la sonorità delle voci e il testo. Il secondo tipo di spazio è il locale in cui avviene la relazione con lo spettatore. Lo spettatore può constatare la forma, il centro, i limiti, quali oggetti e decorazioni contiene, come è addobbato. Sembra statico, oggettivo, stabile, magari artificiale, povero o suntuoso, ma questa impressione viene negata dall'illuminazione, dalla scenografia e dai movimenti degli attori. Pensiamo alle conseguenze tecniche per l'attore in questo spazio, al suo modo di parlare e di usare la voce per tenere avvinto lo spettatore e sopperire al fatto di non essere distinto chiaramente. La penombra che abbracciava il palcoscenico cancellava la nitidezza del volto e della gesticolazione, e gli attori erano obbligati a un movimento pendolare tra centro del palcoscenico e luci della ribalta per illuminare la loro mimica facciale e corporale nei momenti culminanti. L'illuminazione a gas e la luce elettrica dette maggiore visibilità all'intero palcoscenico permettendo agli attori di elaborare una simultaneità di situazioni contrastanti. Lo spazio che muta diviene un fattore importante nell'esperienza teatrale dello spettatore. Lo spazio è stato un alleato essenziale per quei riformatori del teatro che preparavano i loro attori a un nuovo modo di agire sulla scena. Per Mejerchol'd lo spazio condizionava i suoi attori a soluzioni tecniche di movimento attraverso le scenografie costruttiviste e l'uso della musica. Gli spettatori si sentivano inghiottiti da uno spazio che emanava lirismo a causa di una particolare melodia mentre gli attori si comportavano in maniera opposta, con foga e vitalità. Una vera rivoluzione avvenne quando Jerzy Grotowski e l'architetto Jerzy Gurawski, nei primi anni '60 in Polonia, eliminarono la separazione tra palcoscenico e sala e crearono un unico ambiente con gli attori mescolati agli spettatori. La prossimità provoca uno choc. La percezione dello spettatore si trova radicalmente cambiata. La baracca dei saltimbanchi Le più importanti compagnie italiane di Commedia dell'Arte non ebbero origine nelle strade e nelle piazze, come abitualmente si crede, bensì si formarono nelle corti e persino nelle accademie. Si trattava di attrici e attori colti, spesso provenienti da famiglie nobili che, a causa delle leggi in difesa del patrimonio familiare, non potevano aspirare all'eredità e, non volendo diventare né religiosi né soldati, sceglievano la vita libera degli attori. Questi individui conoscevano bene la poesia, la musica, la filosofia, l'arte di danzare, le buone maniere e i gusti raffinati delle corti. Con il loro aristocratico portamento e le doti artistiche acquisite, riuscivano a imporsi sia nei teatri al chiuso che nelle piazze. Il pubblico però non sempre riusciva a distinguere l'opera di questi attori professionisti dai saltimbanchi. Negli occhi degli spettatori le figure dei saltimbanchi e dei ciarlatani, socialmente emarginate e spesso messe al bando, si sovrapposero a quelle degli attori professionisti che, a loro volta, avevano contenziosi con le autorità civili e religiose per i testi troppo liberi, per la presenza delle attrici e per le condizioni poco virtuose di vita promiscua. Così, se da un lato le tecniche spettacolari erano spesso un patrimonio comune, dall'altro la confusione tra comici dell'Arte e ciarlatani divenne un luogo comune che ne danneggiò la reputazione degli attori. Saltimbanchi e ciarlatani non scompaiono in epoca moderna, ma anzi diventano un modello, una metafora della condizione umana. Oggi nella consapevolezza sociale, la visione del teatro è affidata all’edificio teatrale. I teatri originari degli attori I teatri all'italiana, quelli che ancora oggi rappresentano il teatro per antonomasia, iniziarono a imporsi come modello in Europa tra la fine del XVII e gli inizi del XVIII sec. La loro grande affermazione derivò dalla volontà di "spettatori eccellenti", cioè di apparati sociali e di potere che desideravano avere a disposizione un luogo rappresentativo in cui divertirsi, mostrarsi e rispecchiarsi. Altra cosa erano le "stanze delle commedie" aperte dagli attori. Il passaggio dalla strada ai luoghi chiusi e privati che permise agli attori di diventare economicamente indipendenti dai loro protettori e di intraprendere un'attività artistica redditizia tramite la vendita degli ingressi, si attuò su due piani: le compagnie, per imporsi a l'agguerrita concorrenza, dovettero rafforzare le loro tecniche attoriche e imprenditoriali, e poi imparare a cercare, o a creare, nuovi spazi chiusi. Per le tecniche attoriche fecero ricorso alla musica, alla danza, alle improvvisazioni e alle maschere che acceleravano i modi di produzione degli spettacoli. Quanto allo spazio, la scelta ricadde su semplici stanzoni, dove si sistemava un palco frontale, come all'aperto, che assicurava elevazione e quindi visibilità. Per capire questa divisione fra teatri degli attori e teatri degli spettatori è necessario guardare ai primi teatri a pagamento o teatri del primo giorno, quelli che furono voluti dagli attori nel momento in cui aprirono per la prima volta un loro spazio coperto. Gli attori che hanno dato origine alle più importanti tradizioni teatrali in Europa e in Asia non scelsero mai per la loro attività grandi edifici, ma optarono per spazi piccoli, elementari nella costruzione e pratici da gestire: in genere un palco col pubblico di fronte, che riproduceva, come già detto più volte, l'originario spazio teatrale all'aperto. Nel Medioevo gli attori recitavano davanti alle chiese o nelle piazze. Nel XV sec., gli studiosi dell'antichità iniziarono a incontrarsi nei giardini e nei saloni delle loro case o delle accademie, spesso organizzando spettacoli classici per pochi invitati. Questi allestimenti non imitavano quelli antichi, ma si basavano sul sapere letterario degli allestitori derivato dalla lettura dei libri degli architetti romani, soprattutto del De Architectura di Vitruvio (I sec. a.C.) che ebbe molte interpretazioni e fortunate traduzioni. L'architetto Andrea Palladio studiò i teatri antichi italiani e in particolare il teatro romano di Vicenza- il Teatro di Berga - facendone disegni e rilevandone le misure, si giovò poi di questi studi quando costruì il Teatro Olimpico nel 1585. Al momento di professionalizzarsi e di far pagare il pubblico, gli attori non costruiscono costosi teatri ma iniziano a usare spazi già esistenti. Passano dagli spazi all'aperto delle piazze, ai cortili fra le case (corrales) e a quelli delle locande (inn yards); oppure affittano spazi al chiuso come i grandi stanzoni degli ospedali e dei lazzaretti, i refettori dei conventi, le sale della pallacorda, i magazzini commerciali: edifici stabili ma desolati (alla lettera "lasciati soli") come le loro provvisorie baracche. Se la culla del teatro degli attori furono le baracche e gli spazi da loro adattati, la culla del teatro degli spettatori furono i teatri all'italiana inventati da architetti e apparatori sulle forme dei teatri antichi e sull'esperienza maturata nell'erigere teatri nelle corti e nelle accademie. Nella storia degli edifici teatrali, gli spazi provvisori scelti all'inizio dagli attori non furono eccezioni, come siamo abituati a pensare, ma la norma. Furono invece eccezioni i teatri all'italiana, vere invenzioni architettoniche che videro la luce da pagine di libri antichi. da preziose rovine e dalle ricchezze dei committenti.