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Testi commentati a lezione, Dispense di Letteratura Italiana

Testi commentati dal prof a lezione, dispensa del prof

Tipologia: Dispense

2019/2020

Caricato il 26/01/2023

luisa_simone
luisa_simone 🇮🇹

4.8

(4)

12 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Testi commentati a lezione e più Dispense in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! TESTI 1. GIACOMO DA LENTINI, Amor è un[o] desio che ven da core AMOR È UN[O] DESIO CHE VEN DA CORE PER ABONDANZA DI GRAN PIACIMENTO; E LI OCCHI IN PRIMA GENERA[N] L’AMORE E LO CORE LI DÀ NUTRICAMENTO. BEN È ALCUNA FIATA OM AMATORE SENZA VEDERE SO ‘NAMORAMENTO, MA QUELL’AMOR CHE STRINGE CON FURORE DA LA VISTA DE LI OCCHI À NAS[CI]MENTO. CHE LI OCCHI RAPRESENTA[N] A LO CORE D’ONNI COSA CHE VEDEN BONO E RIO, COM’È FORMATA NATURAL[E]MENTE; E LO COR, CHE DI ZO È CONCEPITORE, IMAGINA, E PIACE QUEL DESIO: E QUESTO AMORE REGNA FRA LA GENTE. 1 QUANDO CI PASSO E VÉJOTI, ROSA FRESCA DE L’ORTO, BONO CONFORTO DÓNIMI TUT[T]ORE: PONIAMO CHE S’AJUNGA IL NOSTRO AMORE.” Se ti tagli i capelli, prima io vorrei esser morto, perché con essi io perderei la mia consolazione e il mio diletto. Quando passo da casa tua e ti vedo, rosa fresca dell’orto, ogni volta mi dai un buon conforto: facciamo sÍ che il nostro amore si congiunga. 4 “KE ’L NOSTRO AMORE AJÙNGASI, NON BOGLIO M’ATALENTI: SE TI CI TROVA PÀREMO COGLI ALTRI MIEI PARENTI, GUARDA NON T’AR[I]GOLGANO QUESTI FORTI COR[R]ENTI. COMO TI SEPPE BONA LA VENUTA, CONSIGLIO CHE TI GUARDI A LA PARTUTA.” Che questo nostro amore si congiunga si unisca non voglio che mi piaccia. Se qui ti trova mio padre con gli altri miei parenti, guarda che non ti colgano questi buoni corridori [perché t’inseguiranno]. Come ti fu facile venire qui, ti consiglio di stare attento alla partenza. 5 “SE I TUOI PARENTI TROVA[N]MI, E CHE MI POZZON FARE? UNA DIFENSA MÈT[T]OCI DI DUMILI’ AGOSTARI: NON MI TOC[C]ARA PÀDRETO PER QUANTO AVERE HA ’N BARI. VIVA LO ‘MPERADORE, GRAZ[I’] A DEO! INTENDI, BELLA, QUEL CHE TI DICO EO?” 4 Se mi trovano i tuoi parenti, che mi posson fare? Ci metto una difesa di duemila augustali. Non mi toccherà tuo padre per quanta ricchezza c’è in Bari. Viva l’Imperatore, grazie a Dio! Capisci, bella, quel che dico? 6 “TU ME NO LASCI VIVERE NÉ SERA NÉ MAITINO. DONNA MI SO’ DI PÈRPERI, D’AURO MASSAMOTINO. SE TANTO AVER DONÀSSEMI QUANTO HA LO SALADINO, E PER AJUNTA QUANT’HA LO SOLDANO, TOC[C]ARE ME NON PÒTERI A LA MANO.” Tu non mi lasci vivere né di sera né di mattina. Sono donna di grande ricchezza [di bisanti d’oro bizantini e di monete arabe]. Se pur tu mi donassi tutto quanto ha il Saladino, e per aggiunta quanto ha il Soldano, tu non mi potresti toccare neppure con la mano. 7 “MOLTE SONO LE FEMINE C’HANNO DURA LA TESTA, E L’OMO CON PARABOLE L’ADIMINA E AMONESTA: TANTO INTORNO PROCÀZZALA FIN CHE·LL’HA IN SUA PODESTA. FEMINA D’OMO NON SI PUÒ TENERE: GUÀRDATI, BELLA, PUR DE RIPENTERE.” Ci sono molte femmine che hanno la testa dura, e l’uomo con le parole le domina e le persuade; tanto intorno le dà la caccia finché non l’ha in suo potere. La femmina non si può difendere in alcun modo dall’uomo: guardati, bella, dal dovertene pentire. 8 “K’EO NE [PUR RI]PENTÉSSEME? DAVANTI FOSS’IO AUCISA 5 CA NULLA BONA FEMINA PER ME FOSSE RIPRESA! [A]ERSERA PASSÀSTICI, COR[R]ENNO A LA DISTESA. AQUÌSTATI RIPOSA, CANZONERI: LE TUE PAROLE A ME NON PIAC[C]ION GUERI.” Dovermene io pentire? Possa io morire, prima che qualche donna onesta possa essere rimproverata a causa mia! Ieri sera sei passato correndo a cavallo. Perciò riposati adesso, canterino; le tue parole non mi piacciono affatto. 9 “QUANTE SONO LE SCHIANTORA CHE M’HA’ MISE A LO CORE, E SOLO PURPENZÀNNOME LA DIA QUANNO VO FORE! FEMINA D’ESTO SECOLO TANTO NON AMAI ANCORE QUANT’AMO TEVE, ROSA INVIDÏATA: BEN CREDO CHE MI FOSTI DISTINATA.” Quanti sono gli schianti che m’hai messo nel cuore, e solo pensandoti, il giorno quando vado fuori! Nessuna femmina di questo mondo ho ancora mai amato quanto te, rosa invidiata; son certo che mi sei destinata dal cielo. 10 “SE DISTINATA FÓSSETI, CADERIA DE L’ALTEZZE, CHÉ MALE MESSE FÒRANO IN TEVE MIE BELLEZZE. SE TUT[T]O ADIVENÌSSEMI, TAGLIÀRAMI LE TREZZE, E CONSORE M’ARENNO A UNA MAGIONE, AVANTI CHE M’ARTOC[C]HI ’N LA PERSONE.” 6 16 “EN PAURA NON MET[T]ERMI DI NULLO MANGANIELLO: ISTÒMI ‘N ESTA GRORÏA D’ESTO FORTE CASTIELLO; PREZZO LE TUE PARABOLE MENO CHE D’UN ZITELLO. SE TU NO LEVI E VA’TINE DI QUACI, SE TU CI FOSSE MORTO, BEN MI CHIACI. “ Non mi far paura con i tuoi stratagemmi: me ne sto in gloria in questo forte castello; considero le tue parole meno di quelle di un fanciullo. Se tu non ti levi e te ne vai di qua, certo vorrei che fossi morto. 17 “DUNQUE VOR[R]ESTI, VÌTAMA, CA PER TE FOSSE STRUTTO? SE MORTO ESSERE DÉB[B]OCI OD INTAGLIATO TUT[T]O, DI QUACI NON MI MÒS[S]ERA SE NON AI’ DE LO FRUTTO LO QUALE STÄO NE LO TUO JARDINO: DISÏOLO LA SERA E LO MATINO.” Dunque tu vorresti, vita mia, che per te io fossi distrutto? Anche se dovessi qui morire o sfregiato completamente, di qua non mi muoverei se non ho il frutto che sta nel tuo giardino: lo desidero dalla sera alla mattina. 18 “DI QUEL FRUTTO NON ÀB[B]ERO CONTI NÉ CABALIERI; MOLTO LO DISÏA[RO]NO MARCHESI E JUSTIZIERI, AVERE NO’NDE PÒTTERO: GÌRO’NDE MOLTO 9 FERI. INTENDI BENE CIÒ CHE BOL[IO] DIRE? MEN’ESTE DI MILL’ONZE LO TUO ABERE.” Quel frutto non l’hanno avuto né conti né cavalieri; molto l’hanno desiderato marchesi e giudici regionali, ma non hanno potuto averlo: se ne sono andati molto adirati. Capisci quello che voglio dire? Ciò che tu hai è meno di mille once. 19 “MOLTI SO’ LI GAROFANI, MA NON CHE SALMA ‘ND’ÀI: BELLA, NON DISPREGIÀREMI S’AVANTI NON M’ASSAI. SE VENTO È IN PRODA E GÌRASI E GIUNGETI A LE PRAI, ARIMEMBRARE T’AO [E]STE PAROLE, CA DE[N]TR’A ’STA ANIMELLA ASSAI MI DOLE.” Molti sono i chiodi di garofano, ma non tanti da formare un gran peso: bella, non mi disprezzare se non provi prima. Se il vento è a prua e gira ti raggiungo sulla spiaggia, ti ricordo queste parole, poiché dentro queste animelle molto mi duole. 20 “MACARA SE DOLÉS[S]ETI CHE CADESSE ANGOSCIATO: LA GENTE CI COR[R]ES[S]ORO DA TRAVERSO E DA·LLATO; TUT[T]’A MEVE DICESSONO: ‘ACOR[R]I ESTO MALNATO’! NON TI DEGNARA PORGERE LA MANO PER QUANTO AVERE HA ’L PAPA E LO SOLDANO.” 10 Almeno [magari] ti dolessi da cadere privo di sensi: la gente correrebbe da tutte le parti; tutti mi direbbero: “Soccorri questo malnato!”. Non mi degnerei di porgerti la mano nemmeno per quanto ha il Papa e il Sultano. 21 “DEO LO VOLESSE, VITAMA, TE FOSSE MORTO IN CASA! L’ARMA N’ANDERIA CÒNSOLA, CA DÍ E NOTTE PANTASA. LA JENTE TI CHIAMÀRANO: ‘OI PERJURA MALVASA, C’HA’ MORTO L’OMO IN CÀSATA, TRAÌTA!’ SANZ’ON[N]I COLPO LÈVIMI LA VITA.” Dio lo volesse, vita mia, che io morissi in casa tua! L’arma ne sarebbe consolata, poiché delira giorno e notte. La gente ti chiamerebbe: “O malvagia spergiura, ché hai ucciso l’uomo in casa, traditora!”. Invece mi togli la vita senz’alcun bisogno di ferita. 22 “SE TU NO LEVI E VA’TINE CO LA MALADIZIONE, LI FRATI MIEI TI TROVANO DENTRO CHISSA MAGIONE. [...] BE·LLO MI SOF[F ]ERO PÈRDICI LA PERSONE, CA MEVE SE’ VENUTO A SORMONARE; PARENTE NÉD AMICO NON T’HA AITARE.” Se non ti levi e te ne vai con la maledizione, i miei fratelli ti trovano dentro questa casa. Ammetto senza obiezione che tu perda la vita; [e] nessun parente o amico ti può aiutare. 23 “A MEVE NON AÌTANO AMICI NÉ PARENTI: ISTRANI’ MI SO’, CÀRAMA, ENFRA ESTA BONA JENTE. 11 FINO. QUISSO T’[AD]IMPROMETTO SANZA FAGLIA: TE’ LA MIA FEDE CHE M’HAI IN TUA BAGLIA.” So che m’ami, e io ti amo con cuore nobile. Alzati su e vattene, torna qui al mattino. Se fai ciò che dico, ti amo con cuore buono e prezioso. Questo ti prometto senza fallo: hai la mia promessa in tua balia. 29 “PER ZO CHE DICI, CÀRAMA, NEIENTE NON MI MOVO. INANTI PREN[N]I E SCÀNNAMI: TOLLI ESTO CORTEL NOVO. ESTO FATTO FAR PÒTESI INANTI SCALFI UN UOVO. ARCOMPLI MI’ TALENTO, [A]MICA BELLA, CHÉ L’ARMA CO LO CORE MI SI ’NFELLA.” Per quello che dici, cara mia, non mi muovo affatto. Prima prendi e scannami: prendi questo coltello nuovo. Si può far questo prima che si cuocia un uovo. Esaudisci il mio desiderio, amica bella, perché l’arma mi si rattrista con il cuore. 30 “BEN SAZZO, L’ARMA DÒLETI, COM’OMO CH’AVE ARSURA. ESTO FATTO NON PÒTESI PER NULL’ALTRA MISURA: SE NON HA’ LE VANGEL[Ï]E, CHE MO TI DICO ‘JURA’, AVERE ME NON PUOI IN TUA PODESTA; INANTI PREN[N]I E TAGLIAMI LA TESTA.” Questo lo so bene, l’anima ti duole, come l’uomo che arde. Questo non può essere fatto a nessun’altra condizione se non hai il Vangelo, affinché io ti dica “giura”, non puoi avermi in tuo potere; prima prendi e tagliami la testa. 14 31 “LE VANGEL[Ï]E, CÀRAMA? CH’IO LE PORTO IN SENO: A LO MOSTERO PRÉSILE (NON CI ERA LO PATRINO). SOVR’ESTO LIBRO JÙROTI MAI NON TI VEGNO MENO. ARCOMPLI MI’ TALENTO IN CARITATE, CHÉ L’ARMA ME NE STA IN SUT[T]ILITATE.” Il Vangelo, cara mia? io lo porto con me: l’ho preso in chiesa (non c’era il prete). Sopra questo libro giuro di non tradirti mai. Esaudisci il mio desiderio per carità, ché l’arma me ne se sta in consunzione. 32 “MEO SIRE, POI JURÀSTÍMI, EO TUT[T]A QUANTA INCENNO. SONO A LA TUA PRESENZ[Ï]A, DA VOI NON MI DIFENNO. S’EO MINESPRESO ÀJOTI, MERZÉ, A VOI M’ARENNO. A LO LETTO NE GIMO A LA BON’ORA, CHÉ CHISSA COSA N’È DATA IN VENTURA.” Mio signore, poiché hai giurato, io ardo tutta quanta. Sono alla tua presenza, da voi non mi difendo. Se io ti ho disprezzato, mercé, a voi mi arrendo. Andiamo a letto alla fine, perché questa cosa ci è per nostra buona sorte. 15 4. DANTE ALIGHIERI, Purg., XXIV 49-62. MA DÍ S’I’ VEGGIO QUI COLUI CHE FORE TRASSE LE NOVE RIME, COMINCIANDO ‘DONNE CH’AVETE INTELLETTO D’AMORE’». E IO A LUI: «I’ MI SON UN CHE, QUANDO AMOR MI SPIRA, NOTO, E A QUEL MODO CH’E’ DITTA DENTRO VO SIGNIFICANDO». «O FRATE, ISSA VEGG’IO», DISS’ELLI, «IL NODO CHE ’L NOTARO E GUITTONE E ME RITENNE DI QUA DAL DOLCE STIL NOVO CH’I’ ODO! IO VEGGIO BEN COME LE VOSTRE PENNE DI RETRO AL DITTATOR SEN VANNO STRETTE, CHE DE LE NOSTRE CERTO NON AVVENNE; 16 POI CHE N’HA TRATTO FÒRE PER SUA FORZA LO SOL CIÒ CHE LI È VILE, STELLA LI DÀ VALORE: COSÍ LO COR CH’È FATTO DA NATURA ASLETTO, PUR, GENTILE, DONNA A GUISA DI STELLA LO ‘NNAMORA. AMOR PER TAL RAGION STA ‘N COR GENTILE PER QUAL LO FOCO IN CIMA DEL DOPLERO: SPLENDELI AL SU’ DILETTO, CLAR, SOTTILE; NO LI STARI’ ALTRA GUISA, TANT’È FERO. COSÍ PRAVA NATURA RECONTRA AMOR COME FA L’AIGUA IL FOCO CALDO, PER LA FREDDURA. AMORE IN GENTIL COR PRENDE RIVERA PER SUO CONSIMEL LOCO COM’ADAMÀS DEL FERRO IN LA MINERA. FERE LO SOL LO FANGO TUTTO ’L GIORNO: VILE REMAN, NE ’L SOL PERDE CALORE; IS’OMO ALTER: “GENTIL PER SCLATTA TORNO”; LUI SEMBLO AL FANGO, AL SOL GENTIL VALORE: CHÉ NON DÉ DAR OM FÉ CHE GENTILEZZA SIA FÒR DI CORAGGIO IN DEGNITÀ D’ERE’ SED A VERTUTE NON HA GENTIL CORE, COM’AIGUA PORTA RAGGIO E ’L CIEL RITEN LE STELLE E LO SPLENDORE. 19 SPLENDE ‘N LA ‘NTELLIGENZIA DEL CIELO DEO CRIATOR PIÚ CHE [‘N] NOSTR’OCCHI ’L SOLE: ELLA INTENDE SUO FATTOR OLTRA ’L CIELO, E ’L CIEL VOLGIANDO, A LUI OBEDIR TOLE; E CON’ SEGUE, AL PRIMERO, DEL GIUSTO DEO BEATO COMPIMENTO, COSÍ DAR DOVRIA, AL VERO, LA BELLA DONNA, POI CHE [‘N] GLI OCCHI SPLENDE DEL SUO GENTIL, TALENTO CHE MAI DI LEI OBEDIR NON SI DISPRENDE. DONNA, DEO MI DIRÀ: “CHE PRESOMISTI?”, SÏANDO L’ALMA MIA A LUI DAVANTI. “LO CIEL PASSASTI E ‘NFIN A ME VENISTI E DESTI IN VANO AMOR ME PER SEMBLANTI: CH’A ME CONVEN LE LAUDE E A LA REINA DEL REGNAME DEGNO, PER CUI CESSA ONNE FRAUDE”. DIR LI PORÒ: “TENNE D’ANGEL SEMBIANZA CHE FOSSE DEL TUO REGNO; NON ME FU FALLO, S’IN LEI POSI AMANZA”. 20 7. DANTE ALIGHIERI, Vita nuova, 3 POI CHE FUORO PASSATI TANTI DIE, CHE APPUNTO ERANO COMPIUTI LI NOVE ANNI APPRESSO L’APPARIMENTO SOPRASCRITTO DI QUESTA GENTILISSIMA, NE L’ULTIMO DI QUESTI DIE AVVENNE CHE QUESTA MIRABILE DONNA APPARVE A ME VESTITA DI COLORE BIANCHISSIMO, IN MEZZO A DUE GENTILI DONNE, LE QUALI ERANO DI PIÚ LUNGA ETADE; E PASSANDO PER UNA VIA, VOLSE LI OCCHI VERSO QUELLA PARTE OV’IO ERA MOLTO PAUROSO, E PER LA SUA INEFFABILE CORTESIA, LA QUALE È OGGI MERITATA NEL GRANDE SECOLO, MI SALUTOE MOLTO VIRTUOSAMENTE TANTO CHE ME PARVE 21 9. G. CAVALCANTI, Tu m’hai sÍ piena di dolor la mente TU M’HAI SÍ PIENA DI DOLOR LA MENTE, CHE L’ANIMA SI BRIGA DI PARTIRE, E LI SOSPIR’ CHE MANDA ’L COR DOLENTE MOSTRANO AGLI OCCHI CHE NON PUÒ SOFFRIRE. AMOR, CHE LO TUO GRANDE VALOR SENTE, DICE: «E’ MI DUOL CHE TI CONVIEN MORIRE PER QUESTA FIERA DONNA, CHE NÏENTE PAR CHE PIETATE DI TE VOGLIA UDIRE». I’ VO COME COLUI CH'È FUOR DI VITA, CHE PARE, A CHI LO SGUARDA, CH’OMO SIA 24 FATTO DI RAME O DI PIETRA O DI LEGNO, CHE SI CONDUCA SOL PER MAESTRIA E PORTI NE LO CORE UNA FERITA CHE SIA, COM’EGLI È MORTO, APERTO SEGNO. 10. CECCO ANGIOLIERI, S’i’ fosse foco, ardere’ il mondo S’I’ FOSSE FOCO, ARDERE’ IL MONDO; S’I’ FOSSE VENTO, LO TEMPESTAREI; S’I’ FOSSE ACQUA, I’ L’ANNEGHEREI; S’I’ FOSSE DIO, MANDEREIL EN PROFONDO; S’I’ FOSSE PAPA, SEREI ALLOR GIOCONDO, CHÉ TUTTI ’ CRISTIANI EMBRIGAREI; S’I’ FOSSE ’MPERATOR, SA’ CHE FAREI? A TUTTI MOZZAREI LO CAPO A TONDO. S’I’ FOSSE MORTE, ANDAREI DA MIO PADRE; S’I’ FOSSE VITA, FUGGIREI DA LUI: SIMILEMENTE FARIA DA MI’ MADRE. 25 S’I’ FOSSE CECCO COM’I’ SONO E FUI, TORREI LE DONNE GIOVANI E LEGGIADRE: LE VECCHIE E LAIDE LASSEREI ALTRUI. 11. CECCO ANGIOLIERI, «Becchin'amor!». «Che vuo', falso tradito?» «BECCHIN’AMOR!». «CHE VUO’, FALSO TRADITO?». «CHE MI PERDONI». «TU NON NE SE’ DEGNO». «MERZÉ, PER DEO!». «TU VIEN’ MOLTO GECCHITO». «E VERRÒ SEMPRE». «CHE SARAMMI PEGNO?». «LA BUONA FÉ». «TU NE SE’ MAL FORNITO». «NO INVER’ DI TE». «NON CALMAR, CH’I’ NE VEGNO!». «IN CHE FALLAI?». «TU SA’ CH’I’ L’ABBO UDITO». 26 PER GIR A GUADAGNAR OVE CHE FOSSE. UDITE LA FORTUNA OVE M’ADDOSSE: CH’I’ CREDETTI TROVAR PERLE IN UN BOSSO E BE’ FIORIN’ CONIATI D’ORO ROSSO, ED I’ TROVAI ALAGHIER TRA LE FOSSE LEGATO A NODO CH’I’ NON SACCIO ’L NOME, SE FU DI SALAMON O D’ALTRO SAGGIO. ALLORA MI SEGNA’ VERSO ’L LEVANTE: E QUE’ MI DISSE: «PER AMOR DI DANTE, SCIO’MI»; ED I’ NON POTTI VEDER COME: TORNAI A DIETRO, E COMPIE’ MI’ VIAGGIO. BOSSO: VASETTO DI LEGNO. ROSSO. FIAMMEGGIANTE, DI CONIO FRESCO. ALAGHIER: ALIGHIERO, IL PADRE DI DANTE. TRA LE FOSSE: IN UN CIMITERO. LEGATO … SAGGIO: IL NODO DI SALOMONE È INGARBUGLIATO E INDISSOLUBILE. - NODO METAFORICO DALLA QUALE L’OMBRA DI ALIGHIERI NON È ANCORA SCIOLTA: O PERCHÉ DEBITORE O PERCHÉ ANCORA VITTIMA DI UN’OFFESA NON VENDICATA. ALLORA … LEVANTE: ATTO MAGICO DI SCONGIURO. 29 13. RUSTICO DI FILIPPO DOVUNQUE VAI CONTECO PORTI IL CESSO, OI BUGGERESSA VECCHIA PUZZOLENTE, CHE QUALE UNQUA PERSONA TI STA PRESSO SI TURA IL NASO E FUGGE IMMANTINENTE. LI DENT’I LE GENGIE TUE MÉNAR GRESSO, CHÉ LI TÀSEVA L’ALITO PUTENTE; LE SELLE PAION LEGNA D’ALCIPRESSO INVER’ LO TUO FRAGOR, TANR’È REPENTE. CH’E’ PAR CHE S’APRAN MILLE MONIMENTA QUAND’APRI IL CEFFO; PERCHÉ NON TI SPOLPE O TI RINCHIUDE, SÍ CH’OM NON TI SENTA? 30 PERÒ CHE TUTTO ’L MONDO TI PAVENTA: IN CORPO CREDO FIGLINTI LE VOLPE TA’ LEZZO N’ESCE FUOR, SOZZA GIUMENTA. BUGGERESSA: ZOZZONA. LI … PUTENTE: I TUOI DENTI NELLE GENGIVE PRODUCONO TANTO TARTARO E MATERIALE SCHIFOSO, CHE QUASI INTASANO IL TUO ALITO PUZZOLENTE. SELLE: SEGGETTE DEI CESSI. FRAGOR: PUZZO. REPENTE: VIOLENTO E INOPPORTUNO. PAR … CEFFO: SEMBRA CHE ABBIANO SCOPERCHIATO MILLE TOMBE, QUANDO APRI LA BOCCA. IN … VOLPE: SEI UNA TANA DI VOLPI (LA VOLPE ERA L’ANIMALE SIMBOLO DELLA SPORCIZIA). 14. DANTE, Fiore E QUANDO SOL’ A SOL CON LUI SARAI, SÍ FA CHE TU GLI FACCI SARAMENTI CHE TU PER SUO DANAR NON TI CONSENTI, MA SOL PER GRANDE AMOR CHE TU IN LUI HAI. SE FOSSER MILLE, A CIASCUN LO DIRAI, E SÍ ’L TE CREDERANNO, QUE’ DOLENTI; E SACCHE FAR SÍ CHE CIASCUNO ADENTI INDIN CH’A POVERTÀ GLI METTERAI. CHE TU SE’ TUTTA LORO DE’ GIURARE; SE TI SPERGIURI, NON VI METTER PIATO 31 16. A. POLIZIANO, Stanze per la giostra, I 33-44 AH QUANTO A MIRAR IULIO È FERA COSA ROMPER LA VIA DOVE PIÚ ’L BOSCO È FOLTO PER TRAR DI MACCHIA LA BESTIA CRUCCIOSA, CON VERDE RAMO INTORNO AL CAPO AVOLTO, COLLA CHIOMA ARRUFFATA E POLVEROSA, E D’ONESTO SUDOR BAGNATO IL VOLTO! IVI CONSIGLIO A SUA FERA VENDETTA PRESE AMOR, CHE BEN LOCO E TEMPO ASPETTA; E CON SUA MAN DI LEVE AIER COMPUOSE L’IMAGIN D’UNA CERVIA ALTERA E BELLA: 34 CON ALTA FRONTE, CON CORNA RAMOSE, CANDIDA TUTTA, LEGGIADRETTA E SNELLA. E COME TRA LE FERE PAVENTOSE AL GIOVEN CACCIATOR S’OFFERSE QUELLA, LIETO SPRONÒ IL DESTRIER PER LEI SEGUIRE, PENSANDO IN BRIEVE DARLI AGRO MARTIRE. MA POI CHE ‘NVAN DAL BRACCIO EL DARDO SCOSSE, DEL FODER TRASSE FUOR LA FIDA SPADA, E CON TANTO FUROR IL CORSIER MOSSE, CHE ’L BOSCO FOLTO SEMBRAVA AMPIA STRADA. LA BELLA FERA, COME STANCA FOSSE, PIÚ LENTA TUTTAVIA PAR CHE SEN VADA; MA QUANDO PAR CHE GIÀ LA STRINGA O TOCCHI, PICCIOL CAMPO RIPRENDE AVANTI ALLI OCCHI. QUANTO PIÚ SEGUE INVAN LA VANA EFFIGIE, TANTO PIÚ DI SEGUIRLA INVAN S’ACCENDE; TUTTAVIA PREME SUE STANCHE VESTIGIE, SEMPRE LA GIUNGE, E PUR MAI NON LA PRENDE: QUAL FINO AL LABRO STA NELLE ONDE STIGIE TANTALO, E ’L BEL GIARDIN VICIN GLI PENDE, MA QUALOR L’ACQUA O IL POME VUOL GUSTARE, SUBITO L’ACQUA E ’L POME VIA DISPARE. 35 ERA GIÀ DRIETO ALLA SUA DESIANZA GRAN TRATTA DA’ COMPAGNI ALLONTANATO, NÉ PUR D’UN PASSO ANCOR LA PREDA AVANZA, E GIÀ TUTTO EL DESTRIER SENTE AFFANNATO; MA PUR SEGUENDO SUA VANA SPERANZA, PERVENNE IN UN FIORITO E VERDE PRATO: IVI SOTTO UN VEL CANDIDO LI APPARVE LIETA UNA NINFA, E VIA LA FERA SPARVE. LA FERA SPARVE VIA DALLE SUO CIGLIA, MA ’L GIOVEN DELLA FERA ORMAI NON CURA; ANZI RISTRINGE AL CORRIDOR LA BRIGLIA, E LO RAFFRENA SOVRA ALLA VERDURA. IVI TUTTO RIPIEN DI MARAVIGLIA PUR DELLA NINFA MIRA LA FIGURA: PARLI CHE DAL BEL VISO E DA’ BEGLI OCCHI UNA NUOVA DOLCEZZA AL COR GLI FIOCCHI. QUAL TIGRE, A CUI DALLA PIETROSA TANA HA TOLTO IL CACCIATOR LI SUOI CAR FIGLI; RABBIOSA IL SEGUE PER LA SELVA IRCANA, CHE TOSTO CREDE INSANGUINAR GLI ARTIGLI; POI RESTA D’UNO SPECCHIO ALL’OMBRA VANA, ALL’OMBRA CH’E SUOI NATI PAR SOMIGLI; E MENTRE DI TAL VISTA S’INNAMORA LA SCIOCCA, EL PREDATOR LA VIA DIVORA. TOSTO CUPIDO ENTRO A’ BEGLI OCCHI ASCOSO, AL NERVO ADATTA DEL SUO STRAL LA COCCA, 36 17. LORENZO DE’ MEDICI, Nencia da Barberino 1 ARDO D’AMORE ET CONVIEMMI CANTARE PER UNA DAMA CHE MI STRUGGE IL CORE, C’OGN’OTTA CH’I’ LA SENTO RICORDARE EL COR MI BRILLA ET PAR CHE GLI ESCA FORE. ELLA NON TRUOVA DI BELLEZZE PARE, COGLI OCCHI GITTA FIACCOLE D’AMORE; IO SONO STATO IN CIPTÀ ET CASTELLA ET MAI NON VIDI GNUNA TANTO BELLA. 2 IO SONO STATO A EMPOLI AL MERCATO, A PRATO, A MONTICELLI, A SAN CASCIANO, A COLLE, A POGGIBONZI, A SAN DONATO, ET QUINDAMONTE INSINO A DECOMANO; FEGHINE, CASTELFRANCO HO RICERCATO, SAN PIERO, E ’L BORGO, MANGONA ET GAGLIANO: PIÚ BEL MERCATO CHE NEL MONDO SIA È BARBERINO, DOV’È LA NENCIA MIA. 3 NON VIDI MAI FANCIULLA TANTO HONESTA, NÉ TANTO SAVIAMENTE RILEVATA; NON VIDI MAI LA PIÚ PULITA TESTA, NÉ SÍ LUCENTE, NÉ SÍ BEN QUADRATA; 39 ET HA DU’ OCCHI CHE PARE UNA FESTA, QUAND’ELLA GLI ALZA CHED ELLA TI GUATA; ET IN MEZZO HA EL NASO TANTO BELLO, CHE PAR PROPRIO BUCATO COL SUCCHIELLO. 4 LE LABRA ROSSE PAION DI CORALLO, ET HAVI DRENTO DUO FILAR’ DI DENTI CHE SON PIÚ BIANCHI CHE QUE’ DEL CAVALLO, ET D’OGNI·LLATO ELLA N’HA PIÚ DI VENTI; LE GOTE BIANCHE PAION DI CRISTALLO, SANZ’ALTRI LISCI O ISCORTICAMENTI, ET IN QUEL MEZZO ELL’È COM’UNA ROSA: NEL MONDO NON FU MAI SÍ BELLA COSA. 5 BEN SI POTRÀ TENERE AVENTURATO, CHI FIA MARITO DI SÍ BELLA MOGLIE; BEN SI POTRÀ TENERE IM BUON DÍ NATO, CHI ARÀ QUEL FIORALISO SANZA FOGLIE; BEN SI POTRÀ TENER SANCTO ET BEATO, ET FIEN CONTENTE TUTTE LE SUO VOGLIE, D’HAVER LA NENCIA, ET TENERSELA IM BRACCIO, MORBIDA ET BIANCA CHE PARE UN SUGNACCIO. 6 I’ T’HO AGUAGLIATA ALLA FATA MORGANA, CHE MENA SECO TANTA BARONIA; I’ T’ASOMIGLIO ALLA STELLA DÏANA, QUANDO APPARISCE ALLA CAPANNA MIA; PIÚ CHIARA SE’ CHE ACQUA DI FONTANA, 40 ET SE’ PIÚ DOLCE CHE LA MALVAGÍA, QUANDO TI SGUARDO DA SERA O MATTINA, PIÚ BIANCA SE’ CHE ’L FIOR DELLA FARINA. 18. LORENZO DE’ MEDICI, CANZONA DE’ CONFORTINI BIRICUOCOLI, DONNE, E CONFORTINI! SE NE VOLETE, I NOSTRI SON DE’ FINI. NON BISOGNA INSEGNAR COME SI FANNO, CH’È TEMPO PERSO, E ’L TEMPO È PUR GRAN DANNO; E CHI LO PERDE, COPME MOLTE FANNO, CONVIEN CHE FACCI POI DE’ PENTOLINI. QUNDO GLI È ’L TEMPO VOSTRO, FATE FATTI, E NON PENSATE A IMPEDIMENTI O IMBRATTI: CHI NON HA IL MODO, DAÒ VICIN L’ACCATTI; 41 DICENDO, NOI VOGLIAM, CHE TU TI STUFI. E QUESTO FANNO TUTTE LE CASTAGNE, PE I CALDI D’OGGI SON SÍ GRASSI I GUFI, CH’OGNUN NON VUOL MOSTRAR LE SUE MAGAGNE. E VIDI LE LASAGNE ANDARE A PRATO A VEDERE IL SUDARIO, E CIASCUNA PORTAVA L’INVENTARIO. 20. PIETRO BEMBO, Crin d’oro crespo e d’ambra tersa e pura CRIN D’ORO CRESPO E D’AMBRA TERSA E PURA, CH’A L’AURA SU LA NEVE ONDEGGI E VOLE, OCCHI SOAVI E PIÚ CHIARI CHE ’L SOLE, DA FAR GIORNO SEREN LA NOTTE OSCURA, RISO, CH’ACQUETA OGNI ASPRA PENA E DURA, RUBINI E PERLE, OND’ESCONO PAROLE SÍ DOLCI, CH’ALTRO BEN L’ALMA NON VÒLE, MAN D’AVORIO, CHE I COR DISTRINGE E FURA, CANTAR, CHE SEMBRA D’ARMONIA DIVINA, 44 SENNO MATURO A LA PIÚ VERDE ETADE, LEGGIADRIA NON VEDUTA UNQUA FRA NOI, GIUNTA A SOMMA BELTÀ SOMMA ONESTADE, FUR L’ESCA DEL MIO FOCO, E SONO IN VOI GRAZIE, CH’A POCHE IL CIEL LARGO DESTINA. 21. FRANCESCO BERNI, Rime SONETTO ALLA SUA DONNA CHIOME D’ARGENTO FINO, IRTE E ATTORTE SENZ’ARTE INTORNO AD UN BEL VISO D’ORO; FRONTE CRESPA, U’ MIRANDO IO MI SCOLORO, DOVE SPUNTA I SUOI STRALI AMOR E MORTE; OCCHI DI PERLE VAGHI, LUCI TORTE DA OGNI OBIETTO DISEGUALE A LORO; CIGLIE DI NEVE E QUELLE, OND’IO M’ACCORO, DITA E MAN DOLCEMENTE GROSSE E CORTE; LABRA DI LATTE, BOCCA AMPIA CELESTE; 45 DENTI D’EBENO RARI E PELLEGRINI; INAUDITA INEFFABILE ARMONIA; COSTUMI ALTERI E GRAVI: A VOI, DIVINI SERVI D’AMOR, PALESE FO CHE QUESTE SON LE BELLEZZE DELLA DONNA MIA. 22. FRANCESCO BERNI, Capitolo de’ ghiozzi O SACRI, ECCELSI E GLORÏOSI GHIOZZI, O SOPRA GLI ALTRI PESCI EGREGI TANTO QUANTO DEGLI ALTRI PIÚ GOFFI E PIÚ ROZZI, DATEMI GRAZIA CH’IO VI LODI ALQUANTO, ALZANDO AL CIEL LA VOSTRA LEGGIADRIA, DI CUI PER TUTTO IL MONDO AVETE IL VANTO. VOI SÈTE IL MIO PIACER, LA VITA MIA; PER VOI, QUAND’IO VI VEGGIO, OGNI MIA PENA CESSA ED OGNI FASTIDIO PASSA VIA. BENEDETTO SIA ’L FIUME CHE VI MENA: 46 SE COSÍ FUSSIN FATTE LE BALENE O CETI, I LUCCI, I BUOVI, I LÏONFANTI, SO CHE LE COSE PASSEREBBON BENE. O PESCI SENZA LISCHE, O PESCI SANTI, AGEVOLI, GENTIL’, PIACEVOLONI, DA COMPERARVI A PESO ED A CONTANTI! MA PER NON FAR PIÚ LUNGHI I MIEI SERMONI, PROVAR VI POSSA CHI NON V’HA PROVATI, COME VOI SÈTE IN OGNI MODO BUONI CALDI, FREDDI, IN TOCCHETTO E MARINATI. CAPITOLO DE’ GHIOZZI In questo capitolo, composto nel 1521 e che inaugura il nuovo genere della poesia di «lode», vengono appunto celebrate le lodi dei ghiozzi, pesci di mare e d’acqua dolce, le cui caratteristiche morfologiche (la grossa testa, il corpo lungo e affusolato) ne autorizzano la diffusa utilizzazione – specialmente nei canti carnascialeschi – come sostituto metaforico del membro virile. 1-3. O … rozzi: evidente parodia degli esordi classici, sul modello di BURCHIELLO, XI 1: «O ciechi, sordi e smemorati nicchi». 5. alzando … leggiadria: cioè ‘concedetemi di lodarvi provocandovi un’erezione’. 6. mondo: ‘sedere’. 10. fiume: come tutti i termini appartenenti al campo semantico di acqua, è un sostituto metaforico di ‘vulva’ (cfr. TOSCAN, I pp. 474-80). 11. Vergigno: torrente della Val di Pesa; ma qui siamo di fronte ad una determinazione di fiume del v. 10 (vd. n. precedente). 12. tòsco … piena: chiara allusione al flusso catameniale. 15. quel … macigno: allude al fiume Pesa, qui sinonimo di ‘ano’, in quanto trascinatore di elementi (terra e macigno) caratterizzati da secchezza e aridità. 16. Nardino: personaggio berniano, protagonista del Capitolo del cornacchino, dove è qualificato come servitore addetto 49 alla cura dei cani da caccia e dei falconi; qui è denotato come sodomita: vd. le allusioni dei vv. 17-20 e 25-33. 18. cacio … vino: sostituti metaforici, rispettivamente, del pene (cacio per parafonia con cazzo; grano, qui da intendersi come ‘spiga, pannocchia’ e carnesecca, ovvero ‘carne magra, senza grasso’, quindi ‘Nerbuta’) e dello sperma (olio e vino). 21. bucinetto … vangaiole: ‘reti usate per la pesca’; ma qui entrambi i termini alludono alla vocazione sodomitica di Nardino: bucinetto, infatti, è un eufemismo parafonico di ‘buco’, ‘ano’ e vangaiole hanno assunto il significato metaforico di ‘brache’ e quindi, per metonimia, di ‘sedere’ (cfr. TOSCAN, IV pp. 1619-21). 23. cervello: metafora fallica, come tutti i termini del campo semantico di capo e testa, comprese le metafore attratte di ingegno, intelletto, mente (cfr. TOSCAN, II p. 1260). 25-26. Quand’io ... balestra: allude alla disponibilità di Nardino a subire e ad agire in sodomia, in quanto esibisce tanto l’ano (piattello), quanto il fallo (balestra). 27. «Vèllo, vèllo»: ‘vedilo, vedilo’, da intendere come un incitamento: ‘prendilo, prendilo’, naturalmente in senso erotico. 28-30. Accenno … finestra: vuol dire che si dirige verso Nardino con grande desiderio sessuale. 31. furore: cioè ‘eccitazione’. 36. astrolagando: ‘indagando’. 39. da … carte: ovvero ‘da essere adatto ad ogni tipo di rapporto sessuale’. 41. testa: ‘glande’ (vd. qui sopra, 23 n.). 42. ingegno: ‘fallo’ (vd. qui sopra, 23 n.). 44. coltel … guaina: poiché il primo penetra e la seconda avvolge, indicano, rispettivamente, il pene e la vagina. 45. orinale … vesta: la vesta è letteralm. il drappo con cui si ricopriva, si “avvolgeva”, appunto, l’orinale, per cui hanno assunto il valore metaforico, rispettivamente, di ‘membro virile’ e di ‘vagina’. 46. disciplina: ‘conseguenza’. 48. dottrina: nel senso di ‘particolare abilità nel rapporto sodomitico’. 56. o ceti … lionfanti: rispettivamente ‘cetacei, lucci, buoi ed elefanti’. 58-60. O pesci … contanti: insiste sull’idoneità degli organi maschili con le caratteristiche elogiate in questo capitolo ad essere impiegati tanto nei rapporti naturali, quanto in quelli sodomitici: infatti, agevoli, in quanto sinonimo di ‘facile’, piacevoloni, aggettivo che generalmente accompagna sostituti del sesso femminile (vd., per es., qui sopra, v. 11: «piacevol Vergigno») e a vista, che indica una posizione frontale, sono caratteristici, appunto, della normalità; gentili, aggettivo attribuito a persone che concedono favori straordinari, e comprare a contanti, operazione che implica l’uso di monete, la cui forma tonda evoca l’ano, alludono, invece, della 50 sodomia (cfr. TOSCAN, I pp. 286-87, 515, 486, 385-86; II pp.980-82). 64. caldi … marinati: da intendersi, ovviamente, come riferimento a pratiche sessuali secondo e contro natura. 23. PIETRO ARETINO, Sonetti sopra i XVI modi - METTIMI UN DITO IN CUL, CARO VECCHIONE, E SPINGI DENTRO IL CAZZO A POCO A POCO; ALZA BEN QUESTA GAMBA E FA’ BUON GIOCO, POI MENA SENZA FAR REPUTAZIONE: CHE PER MIA FÉ QUESTO È MIGLIOR BOCCONE CHE MANGIAR IL PAN UNTO APRESSO IL FOCO; E S’IN POTTA TI SPIACE, MUTA LOCO: CH’UOMO NON È, CHI NON È BUGERONE. - - IN POTTA IO VE ’L FARÒ QUESTA FÏATA, 51 LA SUA LIVREA DORATA E FIAMMEGGIANTE; E PER RITRARLO ED IMITARLO A PIENO PORTERAI SEMPRE UN PICCIOL SOLE IN SENO. 161 E PERCH’A ME D’UN TAL SERVIGIO ANCORA QUALCHE GRATA MERCÉ RENDER S’ASPETTA, TU SARAI SOL TRA QUANTI FIORI HA FLORA LA FAVORITA MIA, LA MIA DILETTA. E QUAL DONNA PIÚ BELLA IL MONDO ONORA IO VO’ CHE TANTO SOL BELLA SIA DETTA, QUANT’ORNERÀ DEL TUO COLOR VIVACE E LE GOTE E LE LABRA. - E QUI SI TACE. 25.ALESSANDRO TASSONI, La secchia rapita, III 12-13 QUEST’ERA UN CAVALIER BRAVO E GALANTE, FILOSOFO POETA E BACCHETTONE CH’ERA FUOR DE’ PERIGLI UN SACRIPANTE, MA NE’ PERIGLI UN PEZZO DI POLMONE. SPESSO AMMAZZATO AVEA QUALCHE GIGANTE, E SI SCOPRIVA POI CH’ERA UN CAPPONE, ONDE I FANCIULLI DIETRO DI LONTANO GLI SOLEANO GRIDAR: - VIVA MARTANO. - AVEA DUCENTO SCROCCHI IN UNA SCHIERA, MANGIATI DA LA FAME E PIDOCCHIOSI; MA EGLI DICEA CH’ERAN DUO MILA E CH’ERA UNA FALANGE D’UOMINI FAMOSI: 54 DIPINTO AVEA UN PAVON NE LA BANDIERA CON RICAMI DI SETA E D’OR POMPOSI, L’ARMATURA D’ARGENTO E MOLTO ADORNA, E IN TESTA UN GRAN CIMIER DI PIUME E CORNA. 26.GIULIO CESARE CORTESE, Micco Passaro ‘Nammorato, I 22-23 LO MICCO SE FACETTE NO VESTITO, O ISCE!, CA PAREA ZITO NOVELLO: NO PARO DE COSCIALI DE CERRITO CO DENOCCHIALE CO LO BOLLOTIELLO [‘ABBELLIMENTO, FREGIO?’], NO COLLETTO TAGLIATO ASSAI POLITO E FASCIATO PO’ DE ZEGRENIELLO [‘PANNO ISPIDO E ROZZO’], LE CAUZETTE DE STAMMA [‘LA PARTE PIÚ FINE E LUNGA DEL FILATO IN LANA, USATO PER TESSUTI DI OTTIMA QUALITÀ’], E NO CORPETTO CO LE MANECHE AD OTRA DE DOBRETTO [‘DOBLETTO’]; 55 LE SCARPE C’AVEVANO AUTO LO TALLONE E LO CAPPELLO CO LA PENNACCHIERA, LA SPATA ‘NARGENTATA, E DE MONTONE LO PENNENTE [‘TASCAPANE’], LO FODARO E GIORNEA [‘SOPRAVVESTE MILITARE’]; LO STREGNETURO [‘CINTURONE’], COMME A SMARGIASSONE, AD ARMACUOLLO, E PAREA IUSTO ‘N CERA [‘NELL’ASPETTO’] MARTE POGNUTO DA SDEGNOSE VESPE QUANNO D’ADONE SANNEIAIE [‘RASCHIÒ’] LE CRESPE [‘PIEGHE DELLA PELLE’]. 27.UGO FOSCOLO, Ultime lettere di Jacopo Ortis, I 1 DA’ COLLI EUGANEI, 11 OTTOBRE 1797. IL SACRIFICIO DELLA PATRIA NOSTRA È CONSUMATO: TUTTO È PERDUTO; E LA VITA, SEPPURE NE VERRÀ CONCESSA, NON CI RESTERÀ CHE PER PIANGERE LE NOSTRE SCIAGURE, E LA NOSTRA INFAMIA. IL MIO NOME È NELLA LISTA DI PROSCRIZIONE, LO SO: MA VUOI TU CH’IO PER SALVARMI DA CHI M’OPPRIME MI COMMETTA A CHI MI HA TRADITO? CONSOLA MIA MADRE: VINTO DALLE SUE LAGRIME LE HO UBBIDITO, E HO LASCIATO VENEZIA PER EVITARE LE PRIME PERSECUZIONI, E LE PIÚ FEROCI. OR DOVRÒ IO ABBANDONARE ANCHE QUESTA MIA 56 GIA LE SACRE PAROLE SON PORTE: O COMPAGNI SUL LETTO DI MORTE, O FRATELLI SU LIBERO SUOL. CHI POTRÀ DELLA GEMINA DORA, DELLA BORMIDA AL TANARO SPOSA, DEL TICINO E DELL’ORBA SELVOSA SCERNER L’ONDE CONFUSE NEL PO; CHI STORNARGLI DEL RAPIDO MELLA E DELL’OGLIO LE MISTE CORRENTI, CHI RITOGLIERGLI I MILLE TORRENTI CHE LA FOCE DELL’ADDA VERSÒ, QUELLO ANCORA UNA GENTE RISORTA POTRÀ SCINDERE IN VOLGHI SPREGIATI, E A RITROSO DEGLI ANNI E DEI FATI, RISOSPINGERLA AI PRISCHI DOLOR: UNA GENTE CHE LIBERA TUTTA, O FIA SERVA TRA L’ALPE ED IL MARE; UNA D’ARME, DI LINGUA, D’ALTARE, DI MEMORIE, DI SANGUE E DI COR. CON QUEL VOLTO SFIDATO E DIMESSO, CON QUEL GUARDO ATTERRATO ED INCERTO, CON CHE STASSI UN MENDICO SOFFERTO PER MERCEDE NEL SUOLO STRANIER, STAR DOVEVA IN SUA TERRA IL LOMBARDO; L’ALTRUI VOGLIA ERA LEGGE PER LUI; IL SUO FATO, UN SEGRETO D’ALTRUI; LA SUA PARTE, SERVIRE E TACER. 59 O STRANIERI, NEL PROPRIO RETAGGIO TORNA ITALIA, E IL SUO SUOLO RIPRENDE; O STRANIERI, STRAPPATE LE TENDE DA UNA TERRA CHE MADRE NON V’È. NON VEDETE CHE TUTTA SI SCOTE, DAL CENISIO ALLA BALZA DI SCILLA? NON SENTITE CHE INFIDA VACILLA SOTTO IL PESO DE’ BARBARI PIÈ? O STRANIERI! SUI VOSTRI STENDARDI STA L’OBBROBRIO D’UN GIURO TRADITO; UN GIUDIZIO DA VOI PROFERITO V’ACCOMPAGNA ALL’INIQUA TENZON VOI CHE A STORMO GRIDASTE IN QUEI GIORNI: DIO RIGETTA LA FORZA STRANIERA; OGNI GENTE SIA LIBERA, E PERA DELLA SPADA L’INIQUA RAGION. SE LA TERRA OVE OPPRESSI GEMESTE PREME I CORPI DE’ VOSTRI OPPRESSORI, SE LA FACCIA D’ESTRANEI SIGNORI TANTO AMARA VI PARVE IN QUEI DÌ; CHI V’HA DETTO CHE STERILE, ETERNO SARIA IL LUTTO DELL’ITALE GENTI? CHI V’HA DETTO CHE AI NOSTRI LAMENTI SARIA SORDO QUEL DIO CHE V’UDÌ? SÌ, QUEL DIO CHE NELL’ONDA VERMIGLIA CHIUSE IL RIO CHE INSEGUIVA ISRAELE, QUEL CHE IN PUGNO ALLA MASCHIA GIAELE POSE IL MAGLIO, ED IL COLPO GUIDÒ; 60 QUEL CHE È PADRE DI TUTTE LE GENTI, CHE NON DISSE AL GERMANO GIAMMAI: VA, RACCOGLI OVE ARATO NON HAI; SPIEGA L’UGNE; L’ITALIA TI DO. CARA ITALIA! DOVUNQUE IL DOLENTE GRIDO USCÍ DEL TUO LUNGO SERVAGGIO; DOVE ANCOR DELL’UMANO LIGNAGGIO, OGNI SPEME DESERTA NON È DOVE GIÀ LIBERTADE È FIORITA, DOVE ANCOR NEL SEGRETO MATURA, DOVE HA LACRIME UN’ALTA SVENTURA NON C’È COR CHE NON BATTA PER TE. QUANTE VOLTE SULL’ALPE SPÏASTI L’APPARIR D’UN AMICO STENDARDO! QUANTE VOLTE INTENDESTI LO SGUARDO NE’ DESERTI DEL DUPLICE MAR! ECCO ALFIN DAL TUO SENO SBOCCATI, STRETTI INTORNO A’ TUOI SANTI COLORI, FORTI, ARMATI DE’ PROPRI DOLORI, I TUOI FIGLI SON SORTI A PUGNAR. OGGI, O FORTI, SUI VOLTI BALENI IL FUROR DELLE MENTI SEGRETE: PER L’ITALIA SI PUGNA, VINCETE! IL SUO FATO SUI BRANDI VI STA. O RISORTA PER VOI LA VEDREMO AL CONVITO DE’ POPOLI ASSISA, O PIÚ SERVA, PIÚ VIL, PIÚ DERISA, SOTTO L’ORRIDA VERGA STARÀ. 61 ME SONT SENTUU I CAVIJ A DRIZZÀ IN PEE, E SE NOL FUDESS STAA CHE I POVER MORT M’HAN JUTTAA PER SOA GRAZIA A TORNÀ INDREE, SE NO CIAPPI ON POO D’ARIA, SENZA FALL STA VOEULTA FOO ON SPARPOSET DE CAVALL! Fatto sta che il fracasso cresce ancora: e oltre a quello sento un rumore di piedi, proprio di una persona che vien giú; io allora mi tiro lí accosto al portello, ché di ragione, se vuole svignarsela, ha da passare di qui, ha da passare. / Ci siamo noi qui al busillis: finalmente vedo, al chiaro della lampada di strada, venirmi incontro un accidente d’un capellone francese di quelli dannati, che cosí alle corte mi dice: «Ett vô el marí de quella famm, che sta lí disopra?». / Io, muso duro tanto quanto lui, rispondo: «Oví, ge suí moà, perché?». «Perché» riprende «voter famm Monsú l’è tré giolí, sacher Dieu, e me plè». «O giolí o non», gli dico, «l’è la famm de moà de mí, che cos’ha mo da contarmi?». / «S’è che moà ge voeu coccé cont ell». «Coccé» rispondo «che coccé d’Egitto? Che vada a far coccé in San Raffaele. Là è il luogo di coccé se ne ha voglia! Che se ne vada fuori dai ciglioni, ché qui non c’è coccé che tenga. Avé capí». / Cosa diavolo gli salta, dice: «Coman! A moa cojon?» e alza le mani per darmele. «Ohi, che stia fermo con le mani, guardi il fatto suo di non toccarmi, sennò, Dio ne liberi!, son capace…» e lui in quel mentre giú uno scapaccione. / E una e due. Sangue d’un cane, che non s’allunghi piú che gliele do! E lui mi molla un altro scappellotto. Vedo che tende a spaccarmi la testa, e io sotto con un animo da leone, e lui, tànfete, un altro scapaccione. / Ah, sangue del demonio! A un colpo di quella sorta, mi sono sentito i capelli rizzarmisi in piedi, e se non fosse stato che i poveri morti mi hanno aiutato, per sua grazia, a tornare indietro, se non prendo un po’ d’aria, senza fallo questa volta faccio uno sproposito bestiale. 64 30. GIOVANNI GIOACCHINO BELLI, La morte co la coda LA MORTE CO LA CODA CQUA NUN ZE N’ESSCE: O SSEMO GGIACUBBINI, O CCREDEMO A LA LÈGGE DER ZIGGNORE. SI CCE CREDEMO, O MMINENTI O PPAINI, LA MORTE È UN PASSO CCHE VVE GGELA ER CORE. SE CURRE A LE COMMEDIE, A LI FESTINI, SE VA PPE L’OSTARIE, SE FA L’AMORE, SE TRAFICA, S’IMPOZZENO QUADRINI, SE FA DD’OGGN’ERBA UN FASSCIO... EPPOI SE MORE! 65 E DDOPPO? DOPPO VIENGHENO LI GUAI. DOPPO SC’È LL’ANTRA VITA, UN ANTRO MONNO, CHE DDURA SEMPRE E NNUN FINISSCE MAI! È UN PENZIERE QUER MAI, CHE TTE SQUINTERNA! EPPURO, O BBENE O MMALE, O A GGALLA O A FFONNO, STA CANA ETERNITÀ DDEV’ÈSSE ETERNA! 66