Scarica Adone canto i parafrasi e più Appunti in PDF di Letteratura solo su Docsity! CANTO 1, ALLEGORIA Amore, battuto con una frusta di rose e spina da Venere, fugge adirato e piangente prima da Apollo, poi da Vulcano e infine da Nettuno. Commuove tutti e tre con la sua bellezza e i piaceri d’amore, mai disgiunti dai dolori. Adone, bel giovane nel fiore degli anni, spinto dalla volubile Fortuna dalla natia Arabia arriva a Cipro e qui è accolto dal pastore Clizio, allegoria del nobile letterato Imperiali. 1 CANTO 1, ARGOMENTO Adone, dai lidi dell’Arabia, si trasferisce in una Piccola barchetta a Cipro, dove nacque. Amore Gli scatena contro una tempesta e il pastore Clizio lo accoglie nella sua abitazione. 1 Io ti chiamo, santa madre di Amore, figlia di Giove, per la quale la più dolce e calma sfera si gira e si muove, bella dea d’Amantuta e di Citera; chiamo te, la cui stella, dalla quale proviene ogni grazia, è annunciatrice della notte e del giorno; chiamo te, il cui chiaro e ispiratore raggio rischiara il cielo e fa innamorare. 2 Solo tu puoi far godere gli altri, sulla terra, di uno stato d’ozio pacifico e sereno. Giano, calmato, ha chiuso per te il tempio, la Rabbia, addolcita, frena la sua ira; dato che Marte spesso è solito stare nel tuo seno e combatte con gioia con armi felici e dilettevoli, e il letto viene chiuso. 3 Tu raccontami i casi fortunati E la gloria alta del tuo amato giovinetto; Come visse prima, quale destino Lo uccise e tinse l’erba del suo sangue. Insegnami a raccontare i dolori dolcemente acerbi Del tuo cuore ferito, le dolci lamentele e il dolce pianto; e tu inculcami il canto dei tuoi cigni. 4 Ma mentre io tento, dea benigna, di costruire un racconto che superi gli anni, iniziando a dire dell’ardore che ti accese gli affanni prima così grati e poi così gravi, Amore, con dolcezze pari quasi alle offese Mi alzi leggero a tanta altezza E con la sua fiamma, se ne sono degno, infiammi il cuore, illumini l’ingegno. 5 E te, o Luigi, che superi in bellezza E di splendore lo stesso Adone E, seguendo nonostante la giovane età, le tracce Del defunto padre, quasi lo raggiungi, Per il quale Vulcano si affatica nella sua fucina, al quale Parigi Deve cogliere palme e scolpire statue, rivolgo la preghiera affinchè mi ascolti e intrecci il mio alloro con il tuo giglio. 17 Con una frusta di rose intrecciate, che aveva nodi di spine, lei lo percosse, e fece più sanguinanti i vivaci rossori, e di ciò si rammaricò molto. Si mossero i poli e la volta dei cieli, a quel forte vagito tutto si mosse; si mosse il cielo che teme più la rabbia di Amore che il furore del gigante Tifeo. 18 Cupido esce dalla dimora di Venere, con quella rabbia con cui la vipera africana calpestata sulla spiaggia soffiando sputa il veleno, o quella dell’orso delle caverne, quando ferito si scaglia fuori dalla grotta e va ruggendo per gli anfratti più scuri delle boscose valli e delle rupi. 19 Picchiato e pieno di vendicativa rivalsa, fuggì piangendo sul Sole, là dove il gran re del tempo, il Sole, comanda circondato da un disco rosso, e entrando per la soglia dorata del Sole, incontrò Lucifero, la stella annunciatrice e portatrice del giorno, che apriva con la chiave dorata la dorata entrata dell’Oriente. 20 E con lei il crepuscolo, uscito poco a poco Per il luminoso paese Sopra un cavallo di colore scuro Con il morso che emette ambrosia e rugiada, spargeva per strada il giglio e il colorito croco, che annunciava il mattino e con una frusta di rose e viole affrettava l’uscita del Sole. 21 La bella luce, che sulla porta dorata Aspettava il sorgere del sole, era la ministra e la guida di Citerea, tutta splendente di amore. Per scacciare le ombre prima del tempo Già aveva mandato avanti la biga del Sole E stava attendendo la venuta della dea, quando il bambino arrabbiato entrò piangendo. 22 La stella mattutina, annunciatrice del giorno, del Sole Pianse per il pianto d’Amore e bagnò di pianto limpido e cristallino la faccia bagnata di rugiada per cui potè abbellire la nuova alba di perle trasformate in brina, l’Alba che l’asciugò col velo rosso la lacrima dall’occhio che piangeva. 23 Amore, ripresosi nel fastoso albergo, scoprì che, dopo aver messo le briglie ai cavalli, già il Tempo si era preparato al nuovo giorno con lo scettro tempestato di preziosi e i focosi cavalli sbuffando con la loro impazienza, scotevano le loro criniere e, stanchi di aspettare, fendevano il pavimento con gli zoccoli e l’aria coi nitriti. 24 Qua è pronto a scattare e a uscire l’anno con le sue ali, il quale unisce sempre la fine col suo inizio e come un serpente che si gira a guida d’anello e ritorto morde la parte finale della sguisciante coda e come Anteo sconfitto e poi risorto, cerca nuova materia per andare avanti, vi è la serie dei mesi e dei giorni lucenti, quelli lunghi e quelli brevi, quelli caldi e quelli freddi. 25 Le quattro stagioni figlie del Tempo, gli ponevano sulla testa la corona d’oro. Aveva due schiere di ancelle alate intorno, dodici scure e dodici chiare. Mentre queste preparavano il carro, i gioghi dorati e le briglie di rosa, il Sole girò gli occhi infuocati e vide il pianto d’Amore, che languiva accanto a lui. 26 Apollo era nemico di Venere E serbava in sé l’odio Da quando lassù fece spettacolo pubblico e lascivo Dell’antico adulterio, quando accusò Vulcano come ladro del non casto talamo e, con vergogna invidiata al cielo, rese pubblico questo amore. 27 Ora Amore gli espone il suo grave peso e dice: “Che stupidi dolori sono mai questi? Sei tu colui che volesti disputare Con me, sulle rive del Peneo, la palma? Proprio tu, la mente del mondo, anima di ogni anima, vincitore degli dei e dei mortali, non sei capace di vendicare una tale offesa o con l’appuntita freccia o con la fiaccola accesa? 28 Dato che, triste, bagni ora il viso Con infantili lacrime, quanto aspetterà il campione a Volgere la sofferenza in rabbia e travolgere con l’invincibile Dardo l’offesa di cui ti lamenti? Fai in modo che colei per la quale tu piangi, pianga anch’ella per te; perché, non senza fama e senza gloria, se vorrai, ne seguirà la conseguenza: ascolta come. 29 Là nella regione felice e rigogliosa Della bella Arabia, il giovane Adone, quasi paragonabile alla Fenice vive da solo, irraggiungibile nella bellezza, Adone nato da colei la cui nutrice Fece giacere nel letto insieme al padre, da colei che, tramutata in pianta, piange ancora le sue pene in lacrime profumate. 30 La scellerata si prese gioco del re poco savio, accesasi il cuore di una sporca passione per cui egli, per l’oltraggio tanto grave, quanto ella ardeva d’amore, ardeva di rabbia e a lei fu necessario andare in un luogo solitario e selvaggio, per partorire il frutto di una cattiva unione, frutto nascosto rispetto al quale la madre fu allo stesso tempo sorella, e il padre nonno. 31 Il mio occhio splendente e chiaro non vide mai Fattezze così nobili e belle. Povero fanciullo, a cui il destino Mostrò prima l’amaro rispetto allo splendore: contro di lui il cielo amaro gli puntò crudeli e cattivi segni, che lui non aveva ancora visto, dato che mentre l’uno nasceva e l’altro moriva, quel momento della morte della madre, il figlio nacque. 32 Quale vittoria più celebre e quale bottino Più ricco o più altero aspetti, se tramite questi, che comincia ora a navigare, ferirai il cuore con una profonda ferita? Le ferite saranno dolci, ma tanto profonde Che non saranno sanabili in alcun modo. Questa sarà la giusta vendetta del tuo male: così mi dice uno spirito profetico. 33 Io ti dirò altro. Guarda là dove Quando, come un arciere crudele e munito di faretra, carico di frecce acuminate, affronta o segue, o con atteggiamento allo stesso tempo leggiadro o feroce, o aspetta le belva che scappano al varco e con un atto pieno di dolcezza nelle vesti di cacciatore tira con l’arco saettando la morte, Amore gli somiglia in tutto, solo che gli mancano A farlo tale il velo e il volo. 45 Egli sembra disprezzare un gran tesoro D’amore e di bellezza E assume un atteggiamento sdegnoso, e vuole turbare il sole col bel Volto, spaventare la giovinezza, ma o che minacci arrabbiato, o che cammini con aspetto trascurato non sa che comportarsi in maniera gentile e, anche se qualche volte è sdegnoso e maleducato, è necessario che piaccia agli altri anche se non vuole. 46 Ora, mentre per i boschi natii dell’Arabia, dove egli nacque e trascorse l’infanzia, inseguiva le tracce, per questi e quei boschi, di un animale sfuggente, o perché sbagliò strada, o per volontà celeste, dal deserto finì sulla spiaggia, là dove la Palestina rende il suo confine lido del mare. 47 Giunto alla riva sacra e famosa Che rende Idume ricca di palme, stancandosi, com’era suo lito, dietro una leggera e veloce cerva, trovò, senza custode e nocchiere, portata sul bagnasciuga in secco, abbandonata dai pescatori e carica d’ogni attrezzo marittimo, una piccola barca. 48 Ed ecco, con l’abito e il volto cangiante, vede arrivare tra le onde una strana donna, che ha raccolto sulla fronte, tutta in una crocchia, la bionda capigliatura e nasconde la nuca; il vestito ampio, rosso e bianco, sciolto fende l’aria con un vento leggero; il lembo è sfuggente quasi come un venticello, che scappa dalla mano a chi prova a stringerlo. 49 Da una parte ha la cornucopia, nella destra un globo instabile; a volte scapa veloce e ritorna, scherzando a galla per l’acqua; ha il piede alato e danza più leggera d’una foglia al vento e, mentre danza, comincia a parlare in un tale canto: 50 “Chi prova a diventare felice sulla terra, a godere dei tesori e a imperare, passi la sua mano destra tra questi capelli dorati, ma non si attardi a prendere i piaceri, poiché, se dopo il tempo e la condizione cambiano, non speri di riottenere i beni perduti: il globo rotante così cambia voglia, sempre costante nella sua incostanza.” 51 Ella cantava così; quindi, smettendo di cantare, sorrise gioiosamente al bel giovinetto, e, avvicinatasi intanto a quello scoglio, rimise la barca in mare e si sedette sul timone. Disse: “Seguimi, Adone, e vedrai cosa Promise la benevole stella alla tua nascita; afferra con la mano le treccia d’oro che ti porgo, e non aver paura di venire dove io ti porto. 52 Benché l’antica opinione del popolo Mi ritenga un fallace idolo, mi chiami ombra fatua, cieca e stupida e nemica della virtù, e altri mi dicano che sono sempre instabile, sempre pazza e tiranno senza potere, vinto talvolta dalla prudenza umana, io sono magica, una dea e regina, la natura mi segue e il cielo s’inchina a me. 53 Chiunque cominci a seguire Amore o Marte, è necessario che celebri e invochi il mio nome; chi naviga e chi coltiva e se c’è qualcuno chedesideri ardentemente onore e fama, fa preghiere alla mia divinità e dedica un voto e io dono ad altri scettri e reami; posso riprendere e regalate tutto ad un mio cenno e tutto quello che sta sotto il sole governo secondo la mia volontà. 54 Venerami or dunque e arriverai brevemente Sull’eccelsa cima della mia ruota; grazie a me ora sarai riportato sul tuo trono, dal quale ti spodestò l’ignobile inganno materno; solo che devi sapere che, dove ora il fato ti eleva, dovrai essere attento nel mantenerti, poiché spesso il previdente senno è solito andare contro l’avversa fortuna prevedendo il pericolo.” 55 Detto ciò tacque e lui, desideroso allora Di approdare a quel luogo piacevole, sale sulla barca e comincia ad impugnare i due remi della stretta prua come per gioco. Ed ecco che in poco tempo la spiaggia si allontana poco a poco, così mentre lui si gira a guardarla, distogliendo lo sguardo dal mare, sembra che la sia la stessa terra a navigare ancora. 56 Il lido passa tranquillamente Mentre il delicato fiume d’argento è calmo e tranquillo E costeggia dall’inizio, con andatura lenta e placida, la riva della sua terra natia, per cui egli si crede e si paragona al vento e all’instabile volere dell’infida corrente, lontano là dove l’onda s’infrange e con suono cupo sulla sponda. 57 Le belle spiagge ondulate erano tanto chiare, che si potevano contare una ad una, le conchiglia nelle profonde caverne arenose. I venti erano adatti al volo, le bizzarre Aure Scuotevano le ali: ma non appena cessarono, il mare cambiò, il cielo perse il sereno: oh, malaugurato colui che confida nei venti. 58 O stupido quanto industrioso, o troppo audace Primo creatore della temeraria barca, che avesti il coraggio di infrangere l’antica calma del fiero e pericoloso mare; avesti il cuore più duro del coriaceo scoglio e più dell’insaziabile mare, l’ingegno fiero, quando andasti a sfidare la morte, non avendo paura della forza del mare, sulla fragile barca di pino. 59 Amore fu l’unico autore di un tale sommovimento Per compiere la sua dolce vendetta; fu Amore che portò a combattere con tale velocità i venti furiosi e le nuvole, i venti del sud e del nord. Ma fu sempre lui il capitano, il pilota Della piccola e semplice barchetta; il suo velo fece da vela, con le ali creò vento, e l’arco fu il timone, le frecce i remi. 60 Il piccolo figlio, scappando dalla madre Come se fosse un ladro e un esule lì intorno, Il fabbro nero di fuliggine, dentro l’antro, s’arrabatta attorno al focolare di mille congegni. La mano possente e robusta ha più di un callo, pratica ed esperta delle opere; ha la fronte color della ruggine, il volto raggrinzito, la pelle piena di rughe, abbronzata e cotta, sul grembiule cosparso di mille rimasugli, limatura, ceneri e fiammelle. 72 Quando egli vede in fanciullo nudo Poggia e appende la forbice e il martello, e con un riso schietto lo prende da terra al petto villoso. Stretto e coperto tra le ruvide braccia Allunga le ispide labbra per baciarlo E avvicina la sporca e incolta barba Al delicato e morbido viso. 73 Ma mentre Vulcano l’accarezzava e lo stringeva, preso in braccio, con amore, paterno, Amore, poiché baciandolo era punto e imbrattato, allontana la faccia dalla barba incolta e con quello sporco panno che gli copre il petto, per non sporcarsi il velo di carbone, asciuga le gocce dello sporco sudore da ogni ruga. 74 Quindi gli dice: “Padre, adesso voglio Dalla tua eccellente mano una saetta, che sarà giustiziera dei tuoi torti: a me spetterà l’organizzazione della vendetta. Come si realizzerà non si dirà ora, ti basti solo che ho fretta, sbrigati; il caso non aspetta, da me ora non puoi sapere altro, lo capirai bene dopo. 75 Il marchingegno che io ti chiedo deve essere Di forma perfetta e ben fatto, che, fin nelle sue più intime parti, deve rompere e distruggere un divino petto. Se mai il tuo braccio fu solito A lavorare bene, la tua intelligenza esperta e capace, crea, te ne prego, le meraviglie e richieste del grande sapere, nella cosa in cui hai grande interesse. 76 Resterò qui con te a dirigerti attenti Sotto la fucina del camino che produce fumo; per cui il fuoco non venga spento, renderò la piuma dorata mantice e, se pure accadrà che cessi il vento al folle che l’accende e lo illumini, ti giuro che accumulerò tra questo ardore in un solo soffio i sospiri di mille cuori.” 77 Vulcano non rimane in quel luogo per quell’affare, ma sceglie la migliore fra cento terre, e prima che lui la batti sulla rumorosa incudine, la fa bollire al focolare; e non la colpisce e la modifica ancora finchè non è ben bollente e non diventa malleabile; diventata poi tenera e rossa, lui la riprende con la forte morsa. 78 Ad Amore, mentre è presente e assiste all’opera Gli mostra come la crei, come la rendi aguzza per cui, quando la userà, non si rompi, pieghi o si ritragga e vi spruzza sopra alcune gocce, con le sue proprie mani, di un liquido di un’ampolla, piene di gocce di pianti dolorosi, di sfortunati e disperati amanti. 79 Mentre il metallo è caldo, i tre fratelli Che hanno sulla fronte un solo occhio e sono giganti, muovono i pesanti martelli per dare pesanti botte, con rumori di tuoni e l’esperto maestro, al loro martellare, che fanno tremare le volte bruciate e piene di fumo, mette a lavoro gli strumenti e l’ingegno, per realizzare il suo progetto. 80 Non appena il ferro si è raffreddato, dapprima Rifina il suo lavoro rozzo e informe, e poi, per opera di una più sottile lima, gli dona una forma con maggiore impegno; l’arrotonda intorno e la rende appuntita sulla cima, applicando un impegno adeguato al progetto; infine la rende dorata col fuoco e con la pinza rende puliti e lucenti l’oro e l’acciaio. 81 Dato che l’egregio creatore ha infuso appieno Il liscio e il lucente, arma il fanciullo di una fragile piccola asta, ma che trapassa ogni petto duro; dota di due piccoli ali la coda e la tinge di dolcissimo veleno e, tutto pieno di una sciocca superbia, mette fuori la caverna e i lavoratori. 82 Il baldanzoso e temerario figlio Della dea che generò i flutti va Spiando intorno e getta alla rinfusa Tutti i ferri della scuola del fabbro; si prende gioco con risa e con parole di disprezzo ora la deforme pupilla e il grande ciglio dei giganteschi e brutti ciclopi, ora il piccolo tallone del piede paterno. 83 Vedendo i tre grandi mostri battere, arsicci e neri di fuliggine, ferro su ferro alternativamente, dice: “I vostri polsi sono troppo deboli e leggeri a dare colpi; è ora che questa mano v’insegni e mostri a colpire con colpi molto più forti e gagliardi; tutti apprendano dalla mia mano, che rompe qualunque durezza di diamante.” 84 Volgendosi a colui che ha realizzato il telo Allora aggiunge: “In questa tua fornace Le fiamme sono più fredde del ghiaccio, la mia fiaccola ha tutt’altro ardore più caldo.” Quindi tolto dalla mano il fulmine del cielo E tolto il freno all’audace insolenza, in tale atteggiamento, mentre lo vibra e lo muove, comincia a prendere in giro le forze di Giove: 85 “O tonatore, quanto rendi sdegnoso Il lampeggiare delle orrendi nuvole dalle stelle, più della tua, che arriva dal cielo con gagliardo rumore per spaventare Babele, capace da sola a domare i popoli ladroni il mio fulmine colpisce senza rumore; abbiamo io il massimo dei cori, e tu dei monti, l’uno colpisce i corpi e l’altro le anime.” 86 Poggia la fragorosa arma e cercando Dappertutto il ricovero pieno di fumo Trova lo spaventoso martello di Marte, il piccolo scudo finemente lavorato, l’utile maglia di ferro. Dice scherzando: “Adesso metteremo alla prova Se il fianco e il posteriore sono adatti a difendere.” Scocca la freccia dall’arco, ammacca lo scudo e trapassa la lorica. 87 Il malfatto dio sorrideva tra sé e sé Di tali marachelle e intanto lo guardava. Vede l’Eufrate, che divide il mondo Che piange rompendo i suoi bei cristalli. Vede la vera nascosta fonte Del Nilo che si immette nel mare con sette foci E vede il Gange sfociare In un letto chiaro e splendente del più sottile metallo, il Gange da cui il Sole trae il suo splendore, del quale è solito vestirsi quando sorge. 99 Vede il pallido Tago che immette nel mare Le acque dorate E crea gruppi di schiuma nella viva onda, il Reno, il Danubio e il rumoroso Rodano; vede il Mincio di salice, l’Adige d’oliva, l’Arno cinto di alloro, al pari del Peneo, il Meandro di pampini e l’Ebro di edere, il Sarno arricchito di palme d’oro. 100 Vede il Po, grande e maestoso, coprire gli affluenti di pioppi verdi, laddove abita il dio del mare, viene a sfociare dalle Alpi e abbellisce la sommità, grazie alle sue guide di glorioso e perpetuo splendore, per cui ciò che sta nel cielo raggiunge la lucentezza e illumina il sole con faccia di luna. 101 Poi vede fiumi di minore fama Che, con diverse ramificazioni, scorrono liberi per la felice Italia, generati e derivati dal grande padre Appennino e, ricoperte le tempie di canna e di mirto e ornati e divisi di rosa, danno eterno nutrimento alla primavera con le acque in tante forme. 102 Tra quelli, il mio caro Sebeto, piccolo figlio del bel Tirreno, mescola ancora le acque, piccolo sì, ma pieno di meraviglie, tanto ricco d’onore quanto povero di acque. “Il cielo ti volga intorno sempre sereno, né un’aspra stagione tocchi le belle sponde, né accada mai che uno sporco gregge insozzi con la sua fetida zampa la chiarezza del tuo specchio d’acqua. 103 In te giacque la Sirena e per te vedo poi Sorgere la virtù e fiorire la gloria, trono di Giove, felice residenza e fortunato seggio di famosi eroi; mio dolce porto, io ti sono eterno debitore ai tuoi abitanti, nei petti dei quali ho la mia casa. Padre dei poeti e loro preferito rifugio, e fedele fortificazione dei miei fratelli.” 104 Amore, con questi dolci complimenti, spande le lodi del mio fiume natio, che lo riconosce per il chiaro splendore, che è famoso e grande fra mille altri, e al gradito odore degli aranci in fiore con i quali s’intreccia verdi ghirlande ai capelli. Intanto avanza nella gelida caverna, dove siede Nettuno. 105 Il vecchio re chiude i flutti, seggio di chiaro cristallo orientale, che è sostenuto da colonne d’oro e di corallo con basi di diamante. Il volere del popolo dà a lui il governo dei mari E chi di una testuggine a cavallo, chi di un delfino, chi di un vitello con le corna, e centinaia dei più piccoli. 106 Amore gli disse: “Nonpensare che per rabbia Che a te venga, gran padre delle cose, dato che il dio della pace non può amare le risse e nel cuore di Amore non vi è posto per l’odio; ma dato che il cielo, ancora una volta, ha stabilito un’impresa nobile e al mio arco, ti chiedo aiuto per un favore gentile per rendere il fatto veloce e facile. 107 Tu vedi là dove sta l’ultima spiaggia della Siria che confina con il mare, il semplice fanciullo, erede del mio bel regno, fendere col remo l’onda del mare. Il cielo ha destinato costui, che supera chiunque altro in bellezza, alla mia bella madre, per cui dovrà partorire un frutto di tale splendore che sarà simile in tutto a chi l’ha generato. 108 Se io ho origine da te, se lasci la culla a chi mi ha generato, se il tuo desiderio ebbe mai da me una qualche soddisfazione, quando ci si strugge per amore, per cui io possa portarlo a raggiungere, per una strada più agevole, una così grande fortuna, ci sia nel tuo regno una breve tempesta a causa di quel che ho fatto o che debbo ancora fare. 109 Ti basti solo turbare la splendida e serena calma Della tua immensa liquida sfera, che prima di sera Adone cadrà nella mia trappola; è sarà tutto a suo vantaggio, poiché non muoia in una piccola barchetta una così favolosa merce, la cui flotta più la paura guida e gestisce con insicura legge. 110 Tu sai che quando la dea di Cipro non è presa Da nuovi amori, com’è solita, non sa se usare la spola o il fuso togliendo a Minerva le sue mansioni, per cui un inutile letargo opprime i cuori, il mio fuoco giace spento, il dardo spuntato, manca il seme per generare la vita e il mondo, arido, sterile, rischia di spopolarsi. 111 Oltre questi motivi, per cui dovrei Ottenere qualche effetto alle mie richieste, proprio l’utilità deve rendere i tuoi desideri pronti e rapidi, almeno per le mie preghiere: Beroe uscirà da queste felicissime nozze Corteggiata da moltissimi Proci, la quale sarà l’ultima sorella delle Grazie più bella di tutte le altre. 112 Questa, siccome mi mostrarono in cielo Le tavole immortali di diamante, dove Giove scolpì, nell’isola di Apollo, gli oracoli del fato, concede, al re delle acque, l’alto segno di quegli eterni annali, finchè arrivi a riscaldare le umide piume, con la dolce luce del tuo freddo letto. 113 Ma anche se chi muove il tutto ancora da ciò che è qui scolpito, il destino decidesse altro, sebbene Bacco sarà un tuo rivale nel campo della stessa bellezza, io ti prometto a dispetto del cielo, che le mie promesse siano scritte in diamante. Io giuro per le sacre acque e su me stesso, e non m’importa né di Giove né del fato.” 114 Così parlava e intanto il re delle onde Si rivolse a lui con viso calmo: Ma, mentre l’agitata barchetta, priva di un aiuto terreno, vacilla e vaga senza meta, perforate entrambe le fiancate e sballottata da quella furia tempestosa di onde, quando proprio il fanciullo si credeva perduto, ecco che tocca terra velocemente e attracca, gettata dalle acque, tra le canne della palude sulla sabbia. 126 Al di là dell’Egeo, là dove il più grande pianeta, che riporta il giorno, spunta per primo, si estende una dolce isola in un felice e temperato clima. Qui il maestoso Tauro si erge, lì il celebre Nilo bagna la sabbia; di fronte ci sono Rodi e i fertili confini di Soria e della Cilicia. 127 Questa è la terra che tanto fu cara alla dea un tempo, che nacque dalle onde con un nuovo miracolo, e tanto le piacque che, abbandonata la sua divina casa, talvolta qui godeva di un cielo più bello, tra le ombre e le acque creando invidia nell’altro e vi fu eretto un altare e un tempio, ad esempio imperituro della sua immagine divina. 128 Qui scende, all’asciutto, il giovane, salvo, ma, essendo insicuro e confuso sulla sua condizione, ancora gli sembra di vedere l’abisso pericolosamente aperto del superbo mare. Si guarda intorno e vede di essere dappertutto Circondato dal mare, dal bosco e dal deserto, ma quella solitudine che vede è tanto dilettevole, che non chiede altro piacere. 129 Qui il tempo, in una calma eternità, è tiepido, pulito in ogni stagione, nella quale la pioggia non sconvolge mai nel più scuro e rabbioso inverno, né il turbine oscura, ma, prendendo in giro ugualmente i danni del più freddo gelo e della più secca arsura, un perennemente rigoglioso e dell’incipiente aprile splende lieto e non cambia mai. 130 Amore pacifica i litigi degli animali, e l’uno non si lamenta per l’offesa dell’altro; il cigno va in coppia con l’aquila, la colomba va insieme col falcone e l’ingenuo pollo non ha paura delle insidie dell’infida e ingannevole volpe; il lupo rispetta il patto con l’alleato agnello, e la cerva va sicura con il cane da presa. 131 Una dolce congerie di mille odori dai teneri prati, i cui fiori di grandi qualità naturali nutre di un limpido liquido un rigoglioso canale, sparge alza in volo un venticello rapace: un venticello che è solito agitare graziosamente un effimero spirito tra i rami, non proprio là, con leggeri cammini, ma aumenta il vagabondaggio dei naviganti per un gran tratto dei fiumi anche da lontano. 132 Adone passa oltre e sente cinguettare dappertutto Filomena e Progne ovunque vadano, e risuonare le foreste e le capanne di acuti pifferi e di fiochi tritoni, di rozze spinette e di zampogne, di zufoli boscherecci e di flauti e con suono alternato, aumentare i muggiti e rispondere i belati da ogni parte. 133 Egli vede poggiarsi stanco un solitario giovane Su una pietra all’ombra di un lauro; ai piedi ha l’arco e una singolare faretra, di un bel cuoio di lince, passa da parte a parte del suo fianco; indossa una veste a macchie bianche e nere di lince e ha la cetra fra le mani; accorda dolcemente con questa il rumore dei suoi selvaggi amori al muggito dei tori. 134 Ai piedi porta calzari di cuoio dorati, appende ad una verde fascia un corno di avorio; le labbra vivaci e piene di colore ridono, un chiaro bagliore illumina la sua tranquilla vista; la guancia è nel fiore della giovinezza, i capelli in fiore ed è l’età nel fiore degli anni che lo rende bello; insomma, è tutto cosparso e traboccante di fiori, la mano, la chioma e il petto. 135 Si accorse che uno spaventoso mastino Gli giaceva vicino, acciambellato, sulla destra, che non appena lo vide arrivare, gli corse contro con un rabbioso e pauroso latrato. Ma il gentile abitatore della campagna, poggiato il plettro sul manto erboso, subito si alzò, e fece fuggire con grida e castigò con bastonate l’indomito cane, affinchè si fermasse. 136 Il fiero animale ubbidisce, poggia ai suoi piedi La testa dai peli ispidi e piega l’ispida coda; allora quello lega intorno alla sua gola un guinzaglio di seta con una resistente corda; dopo il giovane dall’aspetto regale esorta e prega che prosegua sicuro, ed egli va. Va là dove un umile famiglia di pastori Raduna un gregge di campagna. 137 Qualcuna se ne sta sulle rive piene di fiori D’una sorgente chiara e fresca; altre, insidiose, catturano con il vischio gli ingenui uccelli tra i folti lecci all’ombra estiva; altre intagliano e incidono sui giovani faggi l’ardore e la lusinga del solitario amore; altre ancora cercano le orme della loro ninfa, altre saltano, stanno ferme e dormono. 138 Quella mitiga l’aria con versi d’amore Al mormorare delle viscide acque; queste insegnano, al suono della siringa, i balli al toro e al montone, che ubbidiscono; chi crea ceste di ibisco e chi ghirlande di fiori di porpora o gialli; chi fa suggere il fecondo seno all’agnello, chi riempie i giunchi e le coppe di latte. 139 Il pastore si siede col bel fanciullo, dove un pergolato di mirti getta una grande ombra. Adone comincia qui a raccontare le sue avventure, domanda del luogo e della persona del pastore. L’uno gli risponde e intanto l’altro Lo ascolta con grande attenzione, poiché gli ferisce il cuore d’amore. Gli dice: “Grazioso pellegrino, le tue avventure Sono strane, quasi incredibili! 140 Deh, ma non ti dispiaccia ormai di cambiare patria Con un luogo così ameno e tranquillizzati, poiché, se anche tu ami la caccia, come fai vedere, troverai qui animali docili e non aggressivi. Né voglio credere che il fato, invano, ti salvi da un così grande e mortale pericolo o che la smarrita barchetta tocchi queste rive per un tragitto tanto lungo senza un motivo valido. 141 Il fato alleato compia così i tuoi voti E la favorevole fortuna esaudisca i tuoi desideri, sede e dimora tra mille insidie, l’innocenza è ferita a morte dai loro crudeli morsi e strazia la fede; la perfidia qui non regna e, se per caso una piccola ape talvolta ti punge e ti ferisce lo fa senza veleno e le ferite sono rimarginate con strofinii di miele. 153 Qui il feroce tiranno non succhia il sangue, ma il cauto contadino munge il latte; la mano avida non toglie, allo smorto poverello, la pelle molto magra o i suoi beni; c’è solo chi tosa le pelli lanose all’agnello, che però non se ne lamenta; il pungolo acuminato sollecita il fianco ai buoi, non uno sfacciato desiderio ci sollecita il cuore. 154 L’insanguinata e mortale arma pungente Del violento Marte non vive fra noi, ma il vomere e la zappa di Cerere sì, la cui bella attività sostiene la vita, né l’insensata pazzia o il fragore della guerra si sentono in questa o in quella zona, tranne di quelli che la capra e il toro, talvolta fra loro, fanno con amorose cornate. 155 Non si lotta mai in queste tranquillissime contrade Con la lancia o con una grossa spada; talvolta solo l’asta di Bacco si agita, per cui il vino, e non il sangue, cade a terra; solo quella difesa di tenerissime e coperte di verde canne è sufficiente per i nostri campi, le quali, nate là sulle vicine sponde, contrastando, tremando, le onde. 156 Borea può benissimo, con paurosi venti, abbattere la selva e colpire la foresta: la rigida tempesta non turba o agita i pacifici pensieri di attente cure. E se talvolta Giove piega e colpisce L’imponente punta delle alte querce, in noi non avverrà mai che la rabbia dei grandi lanci con forza o scagli atti di furia. 157 Trascorro così i giorni e gli anni addolciti Tra i verdi e solitari boschi; quel sole, che allontana i tristi e scuri orrori, rasserena anche i pensieri, allontana le preoccupazioni, non ha paura degli artigli o dei veleni o dell’orso o del serpente, non le insidie o i danni del feroce lupo, poiché la terra non nutre animali feroci o serpenti, o anche se li nutre, sono innocui. 158 Se c’è qualcosa che talvolta turbi o infastidisca I miei calmi e tranquilli riposi, non è altro che l’amore. Da quando arrivai a vedere la bella Filli, mi struggo stanco d’amore per lei e solo per i suoi occhi è lecito che, per quanto vivrò, bruci e mi accenda di intenso desiderio e voglio che una stessa tomba sigilli, insieme, la cenere del fuoco e delle ossa. 159 Ma sono così dolci gli strali d’amore, il suo ardore e il suo vincolo tanto lievi, che mille inflessibili e mortali dolori non valgono un piacere che si riceve. Anzi, l’anima beve il conosciuto veleno, pur ignara dei suoi mali e il cuore cerca una prigionia volontaria in quegli occhi dove si trova il suo dolore. 160 Curi dunque chi vuole delizie ed agi, io apprezzo e amo il solo piacere della campagna; voglio scambiare le regge coi tuguri, non desidero altro tesoro che la povertà; stanco delle cattive e malvage moine, che nascondono l’amaro amo sotto la dolce esca, mi è utile ottenere qui quella felicità che ciascuno cerca e nessuno trova. 161 Non devi meravigliarti che la vita campestre Sia tanto esaltata da me, che già ne cantai, con semplice concordia di suoni, ancora sopra la spiaggia patria di Giano, per cui Apollo concesse alla mia zampogna l’immortale vanto di arguta e saggia, dei cui versi, lodati sull’Elicona, risuona tutto il mar della Liguria.” 162 Lo sbalordito Adone, attento alle belle frasi, ascolta gli amori del maestro d’amore. Quello, poiché smise di parlare, ad un certo punto fece portare una grande quantità di cibo da rozzi valletti e la molta fame aumentò il sapore e il condimento del cibo; miele di dolcezza e nettare d’amore, assai dolce al gusto e velenoso al cuore; 163 Né l’abominevole frutto del loro ebbe mai Tanta della segreta forza, né il magico fascino fu giammai preparato con tale qualità della bevanda di Circe, che al pasto del pastore non perdessero e non cedessero in tutto la forza e il vanto: un infido liquore, un’ingannevole esca, un dolce veleno che uccide ma che non dispiace. 164 Clizio in amore colse le mele nel giardino del Piacere E quindi produsse il vino, per cui il piccolo giovane, ebbro, riunì in sé sottili fiamme, quindi s’accese d’amore per quelle. Però non le conobbe e non se ne preoccupò, poiché, fintanto che fu necessario, smise di giacere, come una serpe nascosta in uno strato ghiacciato, che non acquisisce vigore se non si scalda. 165 Sente un nuovo desiderio che gli scende al cuore E gli va strisciando per il petto; ama ma non sa d’amare, né riesce bene a capire quella sua dolcezza d’amore, affetto non conosciuto; lo sa bene e vuole amare, ma non capisce quale dovrà essere poi l’oggetto amato e prima che si accorga che il suo male è amore, sente il suo cuore incenerito. 166 Amore che navigò Prima di essere arrivato al bel luogo, va alimentando sotto le sue ali le fonti della fiamma che non è ancora palese. Intanto il gentile contadino fa portare Le ultime vivande sulla tavola; Adone si sazia e versa a goccia a goccia i bicchieri per fare una libagione, e quello seguita a parlare mentre lui mangia. 167 “Signore, tu vedi il sole che, avendo i raggi Al centro dell’arco, dal quale porta il giorno; però potrai riposare qui con me fintanto che non arriverà il nuovo giorno. Prometto che tu avrai, da un cuore davvero sincero, un lieto soggiorno nel ricovero di campagna; riceverai gentili accoglienze e uno schietto affetto con una semplice mensa e un letto naturale. 168 Non appena io sentirò sussurrare L’arietta mattutina tra il mirto e il faggio, mi sveglierò con te per arrivare