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Appunti diritto ecclesiastico, Appunti di Diritto Ecclesiastico

Appunti molto dettagliati delle lezioni di diritto ecclesiastico

Tipologia: Appunti

2017/2018

Caricato il 07/10/2018

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Scarica Appunti diritto ecclesiastico e più Appunti in PDF di Diritto Ecclesiastico solo su Docsity! 11 OTTOBRE Introduzione al corso Il diritto ecclesiastico è una disciplina che si insegna a partire dalla fine dell’800. Si chiama così pur regolando anche confessioni religiose diverse da quella Cattolica. In origine invece riguardava solo il rapporto tra Stato e Chiesa. È una materia civilistica e non un diritto religioso. È il diritto statale circa il rapporto con le confessioni religiose. Il fulcro di questo diritto è la libertà religiosa del singolo, collettiva e delle istituzioni. Molto spesso, ovviamente, questo diritto statale entra in contatto con il diritto religioso ma il diritto ecclesiastico è diritto dello Stato. Tante norme del diritto ecclesiastico sono norme negoziate, ovvero sono frutto di un accordo tra Stato e confessione forma pattizia. Vi sono comunque anche norme unilaterali poste esclusivamente dallo Stato, senza alcun accordo. Nella Costituzione alcuni articoli tutelano la libertà religiosa (artt. 8, 19, 20). Art.8 libertà istituzionale. Art.19 libertà del singolo. Art.20 libertà collettiva degli enti. La libertà religiosa è quella maggiormente tutelata, vi sono poi altre norme che tutelano la libertà religiosa o comunque il sentimento religioso. Art.3 vieta discriminazioni per motivi religiosi. Art.21 tutela la libertà di coscienza/pensiero. Riforma del titolo V Art. 117=> le relazioni tra Stato e Chiesa sono una materia di competenza esclusiva dello Stato (competenza esclusiva dello Stato). La Costituzione prevede che il rapporto tra Stato e Chiesa o altre confessioni sia regolato sulla base di un accordo, reso esecutivo con legge (c.d. intesa). Queste norme negoziate hanno una posizione particolare nella gerarchia delle fonti: 1) c’è una riserva di legge; 2) hanno un valore equivalente a quella della legge costituzionale, perché hanno resistenza passiva all’abrogazione, pur essendo formalmente legge ordinaria hanno una resistenza passiva pari alle leggi costituzionali cioè non possono essere abrogate/modificate unilateralmente. Vi sono anche leggi ordinarie dettate unilateralmente da parte dello Stato. Da non dimenticare sono i trattati internazionali. Art. 117 statuisce che il diritto dello Stato cede di fronte a tali accordi internazionali o almeno deve essere in armonia con questi (equi-ordinazione degli accordi internazionali alle fonti primarie). Art. 9 Convenzione Europea Dei Diritti Dell’Uomoprevede una tutela giurisdizionale: si può ricorrere alla corte di giustizia dei diritti umani. Molte di queste fonti influiscono direttamente sul diritto interno della confessione religiosa; poi a volte il diritto interno di una confessione religioso è di rilevanza o presupposto del diritto statale ecclesiastico. Ad esempio, la legge statale parla di ministro di culto di una determinata confessione, in questo caso si presuppone la qualifica confessionale del ministro di culto. Esempio: la parrocchia vuole affittare un appartamento di sua proprietà, tuttavia ci vuole l’autorizzazione del vescovo secondo le norme del diritto canonico; se dovesse mancare l’autorizzazione il negozio sarebbe invalido-> in questo caso il diritto canonico è direttamente rilevante per lo Stato, il giudice dovrà dichiarare invalido il negozio se manca l’autorizzazione del vescovo, pur non essendo questa prevista dal diritto civile statale. Fonti di rango primario del diritto ecclesiastico 0. Norme costituzionali; 1. Norme derivanti dai trattati internazionali; 2. Norme derivanti da accordi tra Stato e confessioni. Art. 7 => tutela la libertà della Chiesa Cattolica. Art. 8 => tutela delle confessioni religiose diverse da quella Cattolica. Art. 7 comma 1 => statuisce che lo Stato è l’unico soggetto dotato di sovranità nel territorio Italiano, ed anche la Chiesa Cattolica è sovrana. Lo Stato ha un suo ambito di competenza così come la Chiesa ha il proprio (c.d. principio dualista). Stato e chiesa sono ciascuno nel proprio ordine indipendenti e sovrani. Nel territorio Italiano, dunque, oltre all’ordinamento Italiano vi è anche quello della Chiesa. Fin dalle origini il cristianesimo ha rivendicato l’esistenza di un potere politico religioso distinto da quello statale. Invece, per esempio, i Romani parlavano di cesaropapismo. Nell’ordine cristiano, a qua volta, vi era un ordine speculare di cesare papismo ossia la teocrazia-> qui l’autorità religiosa era anche autorità civile; il potere politico era esercitato dalla casta sacerdotale. Nel cesaropapismo, al contrario, era l’autorità civile ad essere anche autorità religiosa. In ogni caso non vi era distinzione fra religione e politica. Lettera di Papa Gelasio (V secolo d.C.) -> è stata scritta all’imperatore e formalizza per la prima volta in un documento la dottrina cristiana del dualismo, contenuta già nel vangelo. L’imperatore ha un suo ambito di autonomia in cui la Chiesa non interviene e viceversa. L’imperatore però in quanto Cristiano è sottomesso anch’esso al potere del Papa (sovra-ordinazione del potere religioso a quello politico). San Pietro ed altri apostoli erano stati imprigionati dalla autorità ebraica-> potevano essere liberati solo se avessero dichiarato di non professare più il vangelo. San Pietro risponde che è più importante obbedire a Dio che all’uomo. San Pietro rispetta l’autorità civile, tuttavia non quando il comando dell’autorità civile va contro i principi dettati da Dio. Spesso le persecuzioni contro i Cristiani, prive di fondamento giuridico, fino alla metà del III secolo si basavano sul reato di lesa maestà, ossia sul fatto che i Cristiani non riconoscevano il culto verso l’imperatore in quanto per loro ci potevano atti di onorazione solo nei confronti di Dio. I Cristiani obbedivano all’autorità civile ponendo dei limiti di principio Cristiano-> questa è appunto l’interpretazione da dare alla lettera di Papa Gelasio. Il Papa può dare un giudizio meramente morale sull’attività politica. A partire dall’VIII secolo si crea uno Stato sovrano su cui governa il pontefice. Questo dunque esercita oltre al potere spirituale uno temporale/sovrano al pari degli altri sovrani. Nasce lo Stato della Chiesa (patrimonium beati Petri). Il Pontefice, alle origini, era considerato non sovrano ma proprietario di quel territorio/stato che gli era stato donato da Carlo Magno. Nascerà poi il vero Stato della Chiesa, ma prima si parlerà di patrimonio della Chiesa. Dante Alighieri lotta contro il Papa in quanto proprietario del patrimonio beati Petri. È difficile delineare quali siano le competenze giuridiche-materiali del pontefice, esse andavano oltre al suo territorio. Il re di Francia aveva avuto figli illegittimi e voleva che fossero legittimate e il trono dell’Impero era vacante. Il re allora scrive al pontefice, si rivolge a lui in quanto autorità spirituale superiore. Il Pontefice risponde che, guardando i singoli casi, l’autorità religiosa può avere/rivestire funzioni materiali. In molti documenti, però “causaliter” (causa per causa) è sostituita da “casualiter” (a causa/a discrezione). Verrà data un’interpretazione estensiva di tale norma: non causa per causa, bensì a discrezione del pontefice si vengono. Alimentare i poteri intermedi dello stesso. Nel 1020 i normanni scacciano dalla Sicilia gli arabi-> il pontefice per ringraziarli nomina il re normanno Ruggero come legato nato in Sicilia, di conseguenza il rappresentante del papa in Sicilia non era un ecclesiastico bensì un re e dunque un politico. Morto Ruggero il pontefice ritiene venuto meno questo privilegio, in quanto legato alla figura/personalità di Ruggero stesso. Tuttavia, i normanni non sono d’accordo: ritengono che chiunque sia il re di Sicilia debba essere legato del pontefice. Tale situazione durò fino al 1871; solo in tale anno questo privilegio venne abrogato-> era una sorta di cesare-papismo. 3. Il trattato è una norma che riafferma la posizione internazionale della Santa Sede. Viene riconosciuta la sovranità della Santa Sede da parte dell’Italia nel campo internazionale-> ciò è importante perché l’Italia si limita a riconosce (norma dichiarativa) che la Santa Sede è un soggetto sovrano dell’ordinamento internazionale. Per Santa Sede si intende: 1) il romano pontefice; 2) insieme degli uffici di governo della Chiesa Universale (c.d. dicasteri/ministeri della santa Sede). L’Italia riconosce alla Santa Sede la sua sovranità internazionale. Quando la Santa Sede perse la sovranità territoriale mantenne invece quella spirituale e internazionale-> aveva un diritto di legazione attivo e passivo (ossia di ricevere e inviare ambasciatori). La Santa Sede in realtà non ha mai perso la sua sovranità. La santa sede era ed è soggetto sovrano di diritto internazionale. La Santa Sede ha anche una sua specifica soggettività internazionale: è soggetto a pieno titolo a livello internazionale. 0. Vi è la creazione dello Stato Città del Vaticano. Per assicurare indipendenza alla Chiesa, lo stato italiano e la santa sede si accordano per creare un piccolo stato ossia lo stato della Città del Vaticano, di cui la santa sede è proprietarie e sovrana assoluta. La Santa Sede è organo di governo della Città del Vaticano (sul vaticano ha esclusiva e assoluta potestà giurisdizionale e sovrana). È uno stato patrimoniale, poiché il suo territorio è patrimonio dell’organo di governo-> è uno stato patrimonio di chi lo governa, ossia il del romano pontefice. Viene creato uno stato che ha alcune caratteristiche peculiari. È uno stato funzionale/ strumentale alla missione di governo della Chiesa Universale. Lo stato del Vaticano non è uno stato fine quanto uno stato strumento (ossia quello di assicurare l’indipendenza della Santa Sede da ogni potestà terrena). Si è creata una base materiale per la missione spirituale di governo della Chiesa Universale. Se non ci fosse stata questa tutela offerta dalla sovranità statuale i tedeschi avrebbero probabilmente invaso il territorio del Vaticano, prendendo il papa come ostaggio-> fu dunque una soluzione giudica che ebbe delle conseguenze importanti per la storia della Chiesa. Con la tutela della sovranità territoriale rispettarono la neutralità della Santa Sede. Il sovrano del Vaticano è il romano pontefice. Il pontefice non esercita funzioni di governo all’interno dello stato della Città del Vaticano (sono delegate ad un cardinale presidente della commissione). È dotata di tutti gli organi propri di uno stato, ha un suo tribunale, una sua burocrazia di governo, un suo sistema normativo, ha alcune leggi fondamentali che sono vere e proprie leggi costituzionali (non ha una costituzione vera e propria, ma queste legge fondamentali sono sostanzialmente una sorta di costituzione). La legge sulle fonti del diritto statuisce che fonte principale è il diritto canonico. Tuttavia vi sono anche altre norme: si applica anche il codice civile italiano per le materie non regolate dal diritto canonico, il codice penale e di procedura penale, le norme emanate dal pontefice o dalla commissione che regolano specifici aspetti di questa realtà politica. È uno stato neutrale poiché non partecipa alle competizioni internazionali. La Santa Sede vuole rimanere e rimarrà estranea alle competizioni temporali che incorrono tra gli altri stati. È anche un territorio inviolabile. La Santa Sede può partecipare a trattati di pace, che non vedono una competizione belligerante tra stati (es. ha firmato la convezione di Vienna sui trattati internazionali). Le parti contendenti possono fare riferimento alla Santa Sede come soggetto mediatore -> può essere una mediazione sia ufficiale che non ufficiale (es. di mediazione ufficiale internazionale delle Santa Sede: in Venezuela è stato chiesto il suo intervento per mediare il governo del dittatore e l’opposizione; ha mediato tra Argentina e Cile per il contenzioso sorto sul alcuni territori). La Santa Sede ha una sua sovranità, legislazione e organizzazione giurisdizionale. => Con il tratto del Laterano si pone fine alla questione Romana e la Santa sede riconosce Roma come capitale d’Italia e il Regno d’Italia (e dunque lo stato Italiano, che non aveva mai riconosciuto prima). Roma è il centro della Cristianità e capitale d’Italia. Il patto del alterano è una legge sia per lo stato Italiano che per la Chiesa. Il concordato regolamentava specifici problemi della vita della chiesa cattolica nel territorio Italiano e la condizione giuridica della chiesa cattolica in Italia. Viene data efficacia civile dei matrimoni religiosi; della giurisdizione cattolica in materia matrimoniale mentre la Chiesa non riconosce efficacia alle sentenze dello stato Italiano. Gli enti della chiesa possono acquisire anche efficacia civile (ente ecclesiastico civilmente riconosciuto). Regola anche l’insegnamento della regione nella scuola pubblica statale, l’assistenza spirituale alle forze armate. Il concordato du reso esecutivo con legge 810/1929. Il richiamo dei patti lateranensi all’interno della Costituzione che valore ha? Essi hanno un valore uguale alla costituzione, anzi essendo lex specialis sono normativa prevalente rispetto alla costituzione. In dottrina si affermava che i patti lateranensi erano stati resi effettivi da legge ordinaria e dunque potevano essere modificati unilateralmente dallo stato Italiano, l’unico vincolo era però il secondo comma dell’art.7. La corte costituzionale è intervenuta in questo dibattito nel 1970 con una serie di sentenze (n. 30-31-32) affermando che il richiamo esplicito dei patti lateranensi all’intero della costituzione ha prodotto diritto, ciò significa che i patti lateranensi hanno il medesimo valore delle norme costituzionali (non valore superiore né inferiore-> hanno una forza passiva all’abrogazione pari alle norme costituzionali). La legge 810 del 1929 è una legge rinforzata che non può essere modificata unilateralmente ma solo attraverso un accordo tra le parti o attraverso una legge costituzionale. La corte si chiede se possa essere dichiarata l’incostituzionalità di una norma dei patti lateranensi-> teoricamente non posso verificarlo perché il giudizio di legittimità costituzionale è tra una norma di rango superiore e una norma di rango inferiore; tuttavia in. questo caso entrambe le norme occupano lo stesso gradino a livello gerarchico tra le fonti. La corte afferma che il raffronto deve essere effettuato utilizzando i principi supremi dell’ordinamento costituzionale Italiano. Accanto alla costituzione vi un insieme di principi che costituiscono la matrice delle stesse norme formali della costituzione (visione di Mortati). Organo competente per enucleare i principi supremi della costituzione è la corte costituzionale-> questa dichiarerà quali sono i principi supremi enucleandoli (es. principio supremo di laicità dello stato e che non trova riscontro in una norma specifica della costituzione, ma ciò si evince da alcune norme; principio supremo di tutela giurisdizionale che trova fondamento in una norma specifica della costituzione ossia l’art. 24). La corte costituzionale ha riconosciuto che accanto alla costituzione vi sono delle norme fondamentali, ossia i principi supremi dell’ordinamento costituzionale-> questi possono costituire il criterio di paragone per la dichiarazione di incostituzionalità delle norme discendenti dai patti lateranensi. Le modificazioni dei patti non richiedono procedimento di revisione costituzionale; i patti lateranensi sono stati modificati-> non è stato modificato il trattato ma solo il concordato. Negli anni 70 iniziavano le trattative tra Italia e Santa Sede per aggiornare il concordato poiché era troppo arcaico e non più adeguato alle esigenze politiche e sociali del paese. Il concordato necessitava un aggiornamento o un cambio radicale (ci fu il concilio vaticano II e l’emanazione della costituzione). I patti lateranensi non rispecchiavano lo spirito della nostra carta costituzionale. Il concordato risultavo una norma vetusta non più in grado di regolare una fattispecie ormai differente rispetto a quella secondo cui era nato. Iniziarono le trattative che si conclusero nel 1982, si ufficializzarono nel 1884 (si preferì aspettare la promulgazione del codice di diritto canonico per ufficializzarle). L’accordo fu stipulato ufficialmente il 18 febbraio del 1984 che si presenta come un accordo di modifica del concordato quando in realtà lo sostituisce totalmente. Di fatto il nuovo accordo abroga esplicitamente il vecchio concordato e si presenta come modifica del concordato. L’accordo prende il nome di accordo di modifica del concordato poiché ciò che è richiamato nella costituzione sono i patti Lateranensi, se introduco un nuovo accordo questo non gode della tutela specifica dei patti lateranensi quindi il concordato è stato svuotato del suo contenuto in modo tale da poter garantire al nuovo accordo tutela costituzionale (sostanzialmente è un nuovo accordo, formalmente è una modificazione). È stato reso esecutivo con una legge ordinaria del 25 marzo del 1985 n. 121. Il nuovo concordato sostituisce in toto il vecchio concordato e regola ex novo tutta la materia concordataria. Il nuovo concordato è molto più breve e snello del precedente (la legge 810 aveva 45 articoli, il nuovo concordato ha 25 articoli più un protocollo addizionale che ha il medesimo valore normativo dell’accordo principale, ed è stato fatto per estrapolare alcune norme ermeneutiche ed interpretative dell’accordo principale). Alcune materie sono state estrapolate dall’accordo principale (es. enti ecclesiastici nel nuovo accordo occupa un solo articolo, poiché rimanda ad un successivo accordo tra stato italiano e chiesa cattolica-> fu sottoscritto un nuovo accordo che regola la materia degli enti e dei beni ecclesiastici che rinvia per relationem al nuovo accordo). La legge 121/1985 che posizione occupa nella gerarchia delle fonti? Occupa lo stesso gradino delle norme costituzionali, di esse però può essere dichiarata l’illegittimità costituzionale se si assumono a parametro i principi supremi dell’ordinamento. Lo stesso vale per la legge 222/1985: è una legge ordinaria rinforzata, ha resistenza passiva all’abrogazione pari alle leggi costituzionali, pur essendo leggi formalmente ordinarie. Questi accordi vincolano lo stato e la chiesa, sono legge per lo stato e per la chiesa. 24 OTTOBRE Principio di laicità dello Stato. Dobbiamo cercare di interpretare le norme presenti in Costituzione sulla libertà di religione: Art. 19 tutti hanno il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, di farne propaganda ed esercitarne in privato o in pubblico il culto. Gli articoli 7/8/20: articoli fondamentali del diritto ecclesiastico italiano. Art. 19: per “tutti” non si intende solo i cittadini italiani ma tutti gli uomini. Il diritto di libertà religiosa è un diritto individuale garantito dalla Costituzione. Per definire lo Stato dobbiamo guardare ad altri due articoli, in particolare l’articolo 3 (chiave di lettura di tutti i diritti individuali), ponendo l’attenzione sul comma 2, che ci ricorda che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine sociale e sostanziale che limitino l’uguaglianza dei cittadini. Questo articolo segna il passaggio da una concezione negativa dei diritti individuali ad una concezione positiva. Lo Stato non si limita più a garantire, a riconoscere teoricamente i diritti ma fa in modo di eliminare gli eventuali ostacoli che potrebbero frapporsi tra i cittadini e questi diritti: concetto di Stato sociale far sì che le libertà siano non solo garantite ma anche perseguite, per lo meno nel momento in cui ci siano ostacoli da rimuovere. Nella concezione dello Stato, questo implica il passaggio dallo Stato liberale a quello sociale. Oltre al diritto individuale c’è anche il diritto sancito dall’articolo 8 primo comma della Costituzione, ossia quello secondo cui tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere di fronte alla legge. Il primo comma articolo 8 non dice che tutte le confessioni sono uguali ma dice che sono ugualmente libere davanti alla legge principio di uguale libertà delle confessioni religiose. Non uguaglianza ma uguale libertà: trattare in modo uguale situazioni differenti è altrettanto discriminatorio che trattare in modo uguale situazioni differenti. Lo Stato quindi non garantisce solo ai singoli ma anche alle istituzioni: lo Stato non privilegia una confessione rispetto ad un’altra ma garantisce a tutte la stessa libertà ed evita di trattare in modo discriminatorio situazioni differenti in maniera uguale. Come ha interpretato queste norme la Corte Costituzionale? Ha definito l’Italia uno Stato laico e ha detto che il principio di laicità è un principio supremo e rappresenta uno dei profili della forma di Stato elencati dalla Costituzione. Per la C.C. l’Italia è uno Stato laico anche se in Costituzione non viene chiamato così. Che cosa significa laicità in Italia e quali sono le conseguenze di questo principio? Sentenza 203 del 1989: laicità significa che in Italia c’è un pluralismo culturale e confessionale pluralità di sistemi di valori. I due aggettivi confessionale e culturale sono posti sullo stesso piano: pari tutela della libertà di religione e di quella di opinione ciò porterà per esempio anche alla tutela dell’ateismo. Questo è il primo contenuto che dà la C.C., che ci dice che tutte le scelte in materia religiosa e di ideologia sono valide e favorite dallo Stato stesso. Secondo passaggio e conseguenza il principio di laicità è condizione e limite al pluralismo perché garantisce la neutralità dello Stato di fronte a tutte le confessioni religiose. Lo Stato è neutrale, non prende posizione per una o per l’altra confessione religiosa. Conflitti possibili tra valori religiosi: lo Stato non entrerà nel merito, si manterrà neutrale. Neutralità non significa indifferenza per l’articolo 3 comma 2: non solo non è indifferenza ma è garanzia per la salvaguardia della religione nell’ambito di quel principio che la stessa Corte ha già individuato nel 1989. Questo viene sottolineato dalla Corte quattro anni dopo. Nell’89 prima definizione; nel ’93 torna sull’argomento e lo precisa: il principio di laicità non va inteso come indifferenza ma come garanzia di salvaguardia, per questo possiamo parlare di laicità positiva. La Corte Costituzionale trae anche delle conseguenze: passa a dire quali sono le conseguenze di queste affermazioni e individua quattro obblighi per lo Stato: Salvaguardare la libertà religiosa; Assumere un atteggiamento di equidistanza e imparzialità nei confronti di tutte le confessioni religiose; Fornire pari protezione a ciascuna persona libera di pensare e di appartenere alla fede religiosa che più preferisca; La Cassazione ha affermato che il governo non ha piena discrezionalità nel decidere con chi stipulare un’intesa. Rientra nella discrezionalità tecnica accertare il riconoscimento delle confessioni religiose. È un ragionamento scivoloso che può creare seri scivoloni. Le intese devono riguardare solo i rapporti tra lo stato e una confessione religiose oppure può esserci un’intesa con un gruppo di confessioni religiose? Alcuni ritengono che le intese plurime non dovrebbero esserci, altri invece sì. L’organo competente ad avviare e stipulare le intese è il GOVERNO. Le intese non toccano la responsabilità dell’amministrazione, ma la responsabilità politica del governo. Il governo è l’organo incaricato a tenere i rapporti con le confessioni religiose. Le intese non sono negozi che devono essere valutati sotto il profilo della buona amministrazione, ma sono accordi che devono essere valutati nel rispetto della costituzione. Sia il presidente del consiglio che i singoli ministri possono delegare lo svolgimento delle trattative ad altri soggetti che hanno una certa competenza tecnica. Una volta che si è raggiunta l’intesa, il testo deve essere portato davanti al consiglio. Il governo deve sia firmare per l’intesa sia presentare il disegno di legge di approvazione dell’intesa stessa. Siglata la bozza di intesa, il sottosegretario la trasmette al presidente del consiglio che a sua volta procederà a trasmetterla al parlamento. Spetta al consiglio dei ministri valutare l’opportunità di avviare trattative al fine di addivenire alla stipulazione dell’intesa. Il governo può essere chiamato a rispondere di questa decisione solo POLITICAMENTE e non giuridicamente davanti al giudice. 31 OTTOBRE Articolo 8.3 i rapporti tra le confessioni diverse dalla cattolica sono regolate per legge sulla base di intese con le relative rappresentanza. Questo comma contiene una riserva di leggeil fine di questa riserva è la garanzia della libertà religiosa. Questo comma usa per le confessioni di minoranza un trattamento analogo a quello previsto per la chiesa cattolica e assicura un rispetto formale superiore in relazione a quello nei confronti di qualsiasi altro gruppo sociale che entri in rapporto con lo stato. INTESE: secondo una parte della dottrina sarebbero dei meri atti politici che hanno un rilievo di convenienza e opportunità e dunque non vincolerebbero il legislatore in alcun modo. Tuttavia questa tesi non è condivisa dalla maggioranza. Non può esserci una legge che non si basa su un’intesa. Le intese, rispetto alla legge che le approva, sono una condizione di legittimità costituzionale. Il legislatore quando vuole legiferare in materia religiosa deve tenere conto di questo limite, ossia quello dato dall’intesanon può contravvenire all’intesa ma deve basarsi su di essa (questo lo dice la costituzione). Chi può stipulare le intese? La capacità di stipulare un’intesa con lo stato ce l’hanno solo le confessioni religiose organizzate, ossia quei gruppi che hanno già usufruito della libertà di organizzazione stabilita dall’art.8.1 cost. Perché solo le confessioni religiose organizzate? Che senso avrebbe per una confessione non organizzata andare dal governo e chiedere di fare un’intesa? Nessuno. C’è anche un altro motivo tecnicoè necessario un rappresentante, che è presente quando le confessioni si sono organizzate per mezzo di statuti. È necessario che la confessione sia organizzata affinchè i suoi rappresentanti possano trattare con il governo. Altro problemale intese plurimealcuni sono a favore di questa possibilità, altri no. Ad oggi la prassi è che le intese sono stipulate con un’unica confessione religiosa. È competenza del GOVERNO decidere se avviare la trattativa con una confessione religiosaquesto è stato ribadito nel 2013 dalla Corte di Cassazione e poi nel 2016 dalla Corte Costituzionale (che ha sottolineato l’importanza dell’intervento del consiglio dei ministri). Le intese approvate fino ad oggi le troviamo sul sito della presidenza del consiglio (l’ultima intesa è del 2015 ed è quella relativa ai buddisti). CONTENUTO DELLE INTESEle intese devono avere un contenuto particolare o possono disciplinare qualunque materia? Già nel 1951 il Consiglio Federale delle chiese evangeliche aveva inviato un documento al governo italiano per elencare le materie che avrebbero dovuto essere oggetto dell’intesa (“oggetto delle intese devono essere più argomenti: posizione giuridica delle istituzioni religiose, tutela della libertà religiosa, ministri di culto, assistenza spirituale nelle strutture obbliganti, matrimonio”). La prima intesa venne stipulata solo nel 1984, ossia dopo l’accordo di remissione con la chiesa cattolica. È più opportuno ribadire che l’intesa è ammissibile per qualunque materia, sempre però nel rispetto della Costituzione. L’intesa dunque può riguardare qualsiasi materia, ma deve rispettare i principi fondamentali stabiliti dalla Costituzione. La prassi è quella di formulare delle intese che come contenuti riprendano le materie stabilite dal concordato. NATURA GIURIDICA delle intesele intese sono atti/negozi di diritto interno pubblico che rientrano nella sfera dell’ordinamento giuridico italiano. Alcuni hanno detto che le intese sono dei contratti collettivi (normativi) di lavoro; altri hanno detto che sono convenzioni stipulate tra gli stati e le confessioni cristiane non cattoliche, studiate dalla dottrina tedesca; altri ancora hanno definito le intese come “condotte” che erano stipulate fra le comunità israelitiche e i principi di Savoia; infine altri parlano delle intese come di “negozi costituzionali”. Sono tutte ipotesi che magari qualcosa di vero ce l’hanno. Tutte queste teorie hanno delle somiglianze con le intese, ma queste sono molto più complesse. Oggi la tesi più plausibile è quella per cui le intese sarebbero degli atti/negozi di diritto interno pubblico. La tesi meno plausibile è quella per cui le intese sarebbero atti di un ordinamento esterno diverso dall’ordinamento internazionale. Il concordato tra stato e chiesa segue le regole di diritto internazionale e si pone nell’ordine internazionale; questo non può avvenire per le intese tra lo stato e le confessioni religiose diverse da quella cattolica. Il nostro manuale considera le intese atti di un ordinamento terzo nato dall’incontro tra l’ordinamento dello stato e quello della confessione religiosa. Questo incontro dà vita ad un ordinamento che non è internazionale ma bensì esterno e terzo rispetto a quello dei 2 contraenti. Comunque le intese vengono recepite in Italia attraverso una legge di approvazione. L’intesa è stata firmata dal presidente del consiglio e dal rappresentante della confessione religiosa. Il consiglio dei ministri presenta al parlamento il testo affinchè questo lo approvi. È competenza esclusiva del governo non solo stipulare le intese, ma anche presentare al parlamento un disegno di legge che sia conforme all’intesa stessa. Il disegno di legge che contiene l’intesa qualifica le norme come norme di approvazione e non come norme di attuazione dell’intesa. Non sono ammissibili emendamenti che modifichino il senso delle disposizioni contenute nell’intesa. Una volta che questa legge è stata approvata, non può essere sospesa, modificata o abrogata se non interviene una nuova intesa tra lo stato e la confessione religiosa oppure il procedimento di revisione costituzionaleper questo si parla di legge rinforzata o di fonti atipiche. 7 NOVEMBRE DIRITTO INDIVIDUALE DI LIBERTÀ RELIGIOSA nella Costituzione ItalianaART. 19: “Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne il culto sia in privato che in pubblico purché non si tratti di riti contrari al buon costume”. La dottrina ha sottolineato che questo articolo ha pienamente realizzato il carattere adiaforo, o indifferente, della libertà religiosa, poiché “non prende né per la fede, né per la miscredenza, né per l’ortodossia, né per l’eterodossia”, ma intende “creare e mantenere nella società un ordinamento giuridico tale, che ogni individuo possa perseguire e conseguire a sua posta” i fini della salvezza dell’anima o della verità scientifica, “senza che gli altri uomini, o separati o raggruppati in associazioni o chiese, o anche impersonati in quella suprema collettività che è lo Stato, gli possano mettere in ciò il più piccolo impedimento o arrecare per ciò il più tenue danno”. L’art. 19 cerca di creare e mantenere un ordinamento giuridico tale che ogni individuo possa perseguire e conseguire i fini religiosi senza che gli altri uomini possano creare degli ostacoli. Dunque la costituzione garantisce in materia religiosa la stessa libertà a tutti gli individuiPLURALISMO RELIGIOSO. Il diritto individuale di libertà religiosa è, secondo alcuni, un diritto soggettivo complesso, ossia costituito da un insieme di facoltà, le quali rappresentano “un mezzo endogeno di tutela dell’interesse individuale” e consentono l’esplicazione di attività diverse; ma questo è anche un diritto universale, in quanto la libertà religiosa deve essere riconosciuta a tutti in egual forma e misura. Infatti spetta a tutti, ossia a chiunque si trovi nel territorio dello Stato, prescindendo dalla cittadinanza. Il diritto individuale di libertà religiosa compete sia ai singoli che ai gruppi sociali . Inoltre è un diritto indisponibile, inalienabile, inviolabile, intransigibile e personalissimo. L’indisponibilità di questo diritto, che equivale alla sottrazione di esso alle decisioni della politica come alle logiche di mercato, è sia attiva che passiva: attiva perché non è alienabile, cedibile o limitabile dal soggetto che ne è titolare; è anche passiva perché nessun soggetto può espropriarla o limitarla nei confronti di un’altra persona (neanche lo stato). Gli unici limiti sono dati dai limiti comuni alle altre professioni religiose e che derivano dal bilanciamento di opposti diritti di libertà. Il diritto individuale di libertà religiosa può essere limitato solo quando vi sia un diritto della stessa persona che prevale sul diritto di libertà religiosa (es. diritto alla vita, alla salute). È un diritto soggettivo complessoinfatti l’art.19 prevede una serie di facoltà: • La prima è la facoltà di professare liberamente la propria fede religiosa, sia aderendo a una religione già esistente, sia seguendo un indirizzo religioso individuale, sia dando vita a nuove credenze religiosequesta facoltà comporta la libertà di dichiarare l’appartenenza ad una fede religiosa senza che da ciò scaturisca alcuna conseguenza né positiva né negativa. Non potrebbe mai esserci una legge dello stato che obblighi un soggetto a seguire una religione piuttosto che un’altra. Questo concetto l’ha ribadito la Corte Costituzionale (sentenza 30 luglio 1984, n.239) relativamente a quella norma che imponeva l’obbligatoria appartenenza di un soggetto, per il solo fatto di essere ebreo e indipendentemente da qualsiasi manifestazione di volontà, alla Comunità Israelitica del luogo di residenza. La corte ha dichiarato l’illegittimità di questa norma, perché posta in violazione dell’art. 3 della costituzione nonché degli articoli 2 e 18, che tutelano come diritto inviolabile la libertà di aderire o non aderire non solo alle associazioni, ma anche a quelle “formazioni sociali”, tra le quali si possono ritenere comprese le confessioni religiose. • La seconda facoltà è quella di non manifestare alcuna fede religiosa e aderire a qualsiasi orientamento ideologico o filosofico in materia religiosa, di tipo agnostico, razionalista, ateista ecc. • La terza è la facoltà di mutare in qualsiasi momento la propria appartenenza confessionale e le proprie opinioni in materia religiosa. • La quarta è la facoltà di svolgere attività di propaganda e proselitismo per la propria credenza e i propri orientamenti in materia religiosa. La libertà di propaganda non è altro che uno sviluppo logico e un ampliamento necessario del diritto dell’individuo di professare le proprie convinzioni religiose: essa potrà effettuarsi, dunque, “nelle sedi di culto e al di fuori di tale ambito mediante libri o attraverso altri mezzi, con argomentazioni motivate o con asserzioni immotivate, in forma idonea a consentire o a non consentire il dialogo con gli avversari, mediante l’esaltazione della propria fede religiosa o, viceversa, attraverso la negazione del fondamento dogmatico della fede altrui”. La garanzia offerta alla libertà di propaganda religiosa dall’art. 19 Cost. sembra peraltro volta a ribadire e specificare quanto disposto, in via generale, dall’art. 21 Cost. • La quinta è la facoltà di esercitare il culto della propria fede religiosa sia in privato che in pubblico. La tutela dell’esercizio privato del culto comporta che i pubblici poteri non possano impedire lo svolgimento di atti cultuali in luogo privato e debbano tutelare il libero esercizio di tali atti contro indebite ingerenze di soggetti privati. Il diritto all’esercizio in pubblico del culto comporta che “le attività di culto della chiesa possano svolgersi anche al di fuori degli edifici di culto” e che sussiste in capo ai fedeli di tutte le confessioni il diritto soggettivo di aprire luoghi destinati a tale scopo (chiese, moschee, sinagoghe, ecc.) nel rispetto della legislazione edilizia ed urbanistica dei piani regolatori. In precedenza le confessioni di minoranza dovevano chiedere l’autorizzazione all’autorità governativa e avevano anche l’obbligo di avvertire le autorità di pubblica sicurezza per le funzioni, cerimonie o pratiche religiose che si svolgessero in luoghi aperti al pubblico. Solo con l’entrata in funzione della Corte Costituzionale, la libertà dei non cattolici di aprire edifici al culto pubblico e di tenere riunioni in luogo aperto al pubblico ha avuto una concreta realizzazione. Va anche notato che in questo campo esistono ancora delle disparità di trattamento tra confessione cattolica e confessioni di altre religioni. • La sesta facoltà è quella di dar vita ad associazioni di carattere religioso e culturale e di partecipare ad associazioni/aggregazioni già esistenti. Questa facoltà può essere letta secondo l’art.20 della costituzione (“Il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d'una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività”). religione, o per le Chiese, è per sé influente e discriminante nei confronti delle scelte negative, o indifferentiste, in materia religiosa. Così come ogni privilegio per l’ateismo si traduce inevitabilmente in emarginazione, o discriminazione, verso i credenti e verso le religioni e le chiese. POSIZIONE DELLE ORGANIZZAZIONI ATEEle organizzazioni atee, ove esistessero, non sarebbero (per le ragioni che abbiamo già esposto) “confessioni religiose” e perciò non godrebbero del regime previsto dall’art.8 della Costituzione. Ciò non toglie che queste organizzazioni atee, poiché svolgerebbero la loro azione “in materia religiosa”, negando la validità delle religioni positive e proponendo una propria concezione del destino dell’uomo, risulterebbero garantite sia dall’art.19 Cost, sia dall’art.21; inoltre, gli enti con fine negativo di religione, cui desse vita l’ateismo militante, sarebbero tutelati dall’art.20. La Costituzione, così, garantisce ampiamente la libertà di coscienza, ossia la libertà di seguire la religione che si voglia, o di non seguire alcuna religione, o di avere una visione del tutto laica e immanentistica del mondo e della vita. LIBERTÀ DI COSCIENZAla Costituzione non ne parla, però nessuno oggi dubita che la libertà di coscienza sia comunque riconducibile alle libertà costituzionalmente garantiteparte della dottrina richiama l’art.2 della Costituzione come clausola aperta. Il caput et fundamentum di tutte le facoltà discendenti dal diritto di libertà religiosa è quello attinente alla libertà di coscienza, ossia dall’intimo e libero atteggiarsi dell’individuo di fronte al problema dell’essere e dell’esistere, nei suoi aspetti religiosi, etici, politici, sociali ecc. Ammettere o non l’esistenza di Dio, aderire a questa, a quella o a nessuna fede religiosa, prima di dar luogo ad atteggiamenti esterni, importa la formazione di un convincimento. La protezione delle manifestazioni esteriori è rilevante anche al fine di una libera formazione delle coscienze, perché la tutela degli atteggiamenti esterni dà valore a ciò che avviene in interiore, nella coscienza individuale. L’ordinamento giuridico italiano, però, non sembra garantire un diritto alla formazione della coscienza diverso dal diritto fondamentale, di cui agli articoli 15 e 21 della Costituzione, di esprimere il proprio pensiero e di ricevere la comunicazione del pensiero altrui, o dal diritto all’istruzione (ex art.34). Nella disciplina dei vizi della volontà, in materia negoziale, l’ordinamento non dà alcun rilievo alle condizioni ambientali ai fini della validità del negozio, ma solo alla capacità delle parti, all’errore, alla violenza e al dolo (artt. 1425-1440 cod. civ.). Una libertà e un pluralismo correttamente intesi non solo deplorano ogni forma di laicismo ideologico o di separazione ostile tra le istituzioni civili e quelle religiose; ma non possono ugualmente essere intesi come una sorta di ipotetica, ma invero raggiungibile, neutralità. Lo stato italiano non deve prendere posizione a favore di una religione piuttosto che di un’altra, ma non può mai essere neutrale al 100%, perché deve tenere conto delle esigenze dei propri cittadini e di tutti quelli che si trovino sul territorio italiano. Sull’argomento è intervenuta la Corte Costituzionale, per ribadire che la libertà di coscienza è tutelata dal nostro ordinamento e dalla nostra Costituzione. sentenza 271/2000: la lettura sistematica degli artt. 2,3,19,21 comma 1 Cost. permette di ricavare “un insieme di elementi normativi convergenti nella configurazione unitaria di un principio di proiezione dei c.d. Limiti di Coscienza”. sentenza 409/1989: la libertà di coscienza è un “bene costituzionalmente rilevante” che quindi (sent.149/1995) “deve essere protetta in misura proporzionata alla priorità assoluta ed al carattere fondante ad essa riconosciuta nella scala dei valori espressa dalla Costituzione italiana”. La Corte, dunque, ha sempre detto che la libertà di coscienza va tutelata. Nel ’79 la Corte ha dichiarato con una sentenza additiva l’illegittimità costituzionale del giuramento, prevista dal codice di procedura civile e penale (bisognava giurare davanti a Dio). Il giuramento ha subito il vaglio della Corte Costituzionale. I SIMBOLI RELIGIOSI Il caso del crocifisso: lede il principio di laicità, più volte ascritto dalla Corte Costituzionale fra i principi supremi della Costituzione, l’esposizione in un luogo pubblico di un simbolo religioso, quale è il crocifisso? L'esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche è stabilita dall'art. 118 del regio decreto 965/1924 per le scuole medie e dal regio decreto 1297/1928 per le scuole elementari. Entrambe le disposizioni, per quanto risalenti, devono ritenersi ancora in vigore in quanto non abrogate. L'esposizione nelle aule giudiziarie è oggetto di un'apposita circolare del 1926 che impone l'esposizione del simbolo di fianco a ritratto del re. Ad ogni modo, negli ultimi decenni la questione è divenuta fonte di vivaci polemiche tra i favorevoli all'esposizione del crocifisso e chi, abbracciando una rigorosa interpretazione del principio supremo di laicità dello Stato italiano, si oppone a tale pratica. La normativa relativa all'imposizione del crocifisso nelle aule scolastiche in Italia trova una prima (indiretta) indicazione nella legge Casati del 1859 sull'importanza della religione cattolica nelle scuole del Regno di Sardegna. Le normative citate dalla giurisprudenza sono contenute in due regi decreti del 1924 e 1928, mai abrogati, relativi rispettivamente alle scuole elementari e medie, sugli arredi scolastici delle aule, dove il crocifisso figura insieme con il ritratto del re d'Italia (con la repubblica, aggiornato con il ritratto del presidente). Non ci sono chiare indicazioni normative per le scuole materne, superiori ed università. La dottrina ecclesiastica si è a lungo interrogata sulla legittimità di queste norme regolamentari (dell’1988 e del 2002). • Caso: papà di un bambino ha denunciato al tar il fatto che suo figlio si sentisse menomato dalla visione di un uomo nudo appeso ad una croce. Chi si oppone all'esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche contesta la violazione del principio di laicità professato dallo Stato italiano. I tribunali civili però si son detti non competenti a giudicare in materia: poiché le indicazioni del ministero non sono vere e proprie leggi civili, ma provvedimenti amministrativi interni alla scuola, la competenza spetta ai vari TAR. Il Consiglio di Stato nel 2006, dopo aver ammesso che il principio di laicità, benchè non proclamata expressis verbis nella nostra Carta fondamentale, assume in essa rilevanza giuridica come principio supremo della Costituzione, desumibile, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte Costituzionale, dagli artt. 2,3,7,8,19 e 20 Cost., ha ritenuto che non vi sia contraddizione fra le anzidette norme e l’esposizione del crocifisso, in quanto questo è atto ad esprimere e a veicolare, “in chiave simbolica ma in modo adeguato, l’origine religiosa dei valori di tolleranza, di rispetto reciproco, di valorizzazione della persona, di affermazione dei suoi diritti, di riguardo alla sua libertà, di autonomia della coscienza morale nei confronti dell’autorità, di solidarietà umana, di rifiuto di ogni discriminazione”principi che emergono dalle norme costituzionali prima richiamate e che delineano “la laicità propria dello Stato italiano”. La questione è arrivata nel 2009 anche alla Corte Europea dei diritti dell’uomo che, nella sentenza Lautsi contro Italia, ha affermato che il diritto di esporre il crocifisso (previsto dalle norme regolamentari italiane) viola il diritto dei genitori di educare i figli secondo le loro convinzioni e viola anche il diritto degli alunni alla libertà religiosa. Nel 2011, però, tale sentenza è stata ribaltata in secondo grado dalla Grand Chambre, che ha affermato che il crocifisso è un simbolo passivo e quindi non c’è violazione né del diritto dei genitori di educare i figli come meglio ritengono né della stessa libertà religiosa degli alunni. Questa sembra essere la soluzione più ragionevole. OBIEZIONE DI COSCIENZA: ci sono situazioni in cui la libertà di vivere secondo coscienza comporta anche un vero e proprio diritto soggettivo costituzionalmente garantito a non fare qualcosa che vada contro la nostra coscienza. casi di obiezione di coscienza: • Al servizio militare • All’interruzione volontaria di gravidanza • Alla procreazione medicalmente assistita • Alla sperimentazione animale • Allo “sbattezzo” (secondo una parte della dottrina ecclesiastica) In Italia lo sbattezzo consiste generalmente in una richiesta di cancellazione del proprio nominativo dal registro battesimale della parrocchia di appartenenza, o comunque da liste ed elenchi di persone battezzate tenuti dagli enti religiosi, al fine di interrompere qualsiasi residuo contatto formale dopo il distacco spirituale e ad evitare che la persona richiedente lo sbattezzo possa ulteriormente essere in qualche modo connotata come fedele contro la propria intenzione. Per quanto riguarda i procedimenti di sbattezzo in seno alla Chiesa cattolica il richiedente deve limitarsi a richiedere l'inserimento di un'annotazione correttiva a margine del proprio nominativo presente nei registri parrocchiali, non essendo prevista la cancellazione completa e definitiva da questi. Poiché le liste dei battezzati contengono dati sensibili in materia di preferenze religiose ai sensi della legge n. 675/1996 (cosiddetta legge sulla privacy), è stata posta la questione della legittimità della tenuta di simili registri da parte delle organizzazioni religiose e dei diritti spettanti al cittadino sui dati che lo riguardino. In particolare per quanto riguarda la Chiesa cattolica in Italia, il 13 settembre 1999 fu pubblicata una decisione del Garante per la protezione dei dati personali contenente diversi spunti di interesse sotto l'aspetto giuridico. 15 NOVEMBRE La libertà religiosa è uno dei diritti internazionalmente più tutelati proprio perché è molto violato. I primi trattati internazionali erano anche sulla libertà religiosaalcuni trattati stipulati durante la guerra dei 100 anni prevedevano lo ius migrationis, ossia il diritto di emigrare per seguire la propria religione (se non si voleva seguire la religione del re). Numerosissimi sono i trattati internazionali e le convenzioni che tutelano il diritto di libertà religiosa. Tuttavia molti di questi trattati/convenzioni non sono stati recepiti dagli stati. È il caso della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (elencazione dei diritti riservati all’uomo), che non fu mai recepita in Italia con atto formale. L’ordinamento spagnolo, invece, prevede un atto formale di recepimento di questa dichiarazione. Diverso è il caso di altri atti giuridicamente vincolanti: es. Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, anche detta CEDU (4 novembre 1950). Questa convezione è stata resa esecutiva nel nostro ordinamento perché la maggior parte degli stati europei l’ha stipulata e anche perché viene previsto uno specifico sistema sanzionatorio per tutelare questa convenzione. La Corte europea dei diritti dell’uomo è l’organo giurisdizionale preposto a giudicare il rispetto dei diritti contenuti nella convezione, e le sentenze del tribunale della Corte europea dei diritti dell’uomo sono vincolanti per tutti gli stati. Questo processo della corte europea è residuale, perché si può ricorrere alla corte per i diritti dell’uomo una volta esauriti tutti i 3 gradi di giudizio interno. Quello della corte per i diritti dell’uomo è un vero e proprio processo, vi è anche l’appello e le sentenze sono vincolanti per tutti gli stati. La convenzione è vincolante a differenza delle norme previste nella dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. La Dichiarazione universale, all’art.18, pone sullo stesso piano la libertà di pensiero, di coscienza e di religione “Ogni individuo ha il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti”. Se prendiamo l’art.9 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (resa esecutiva in Italia con legge n.848 del 1955), vediamo che ha già una struttura diversa: struttura di rapporto regola- eccezione “Ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, così come la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l'insegnamento, le pratiche e l'osservanza dei riti. La libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono stabilite dalla legge e costituiscono misure necessarie, in una società democratica, per la pubblica sicurezza, la protezione dell'ordine, della salute o della morale pubblica, o per la protezione dei diritti e della libertà altrui”. [anche l’art.19 della nostra Costituzione è costruito con lo schema regola-eccezionela regola è: “Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto”; l’eccezione è che i riti contrari al buon costume sono vietati]. se l’art.18 della dichiarazione contiene solo una regola, l’art.9 della convenzione prevede si una regola (libertà di pensiero, coscienza e religioneviene ripreso quasi in toto l’art.18 della dichiarazione universale) ma anche delle accezioni alla tutela garantitanel II comma: la libertà di religione può in alcuni casi essere legittimamente limitata. Quali sono questi limiti che possono essere legittimamente apposti alla libertà di religione? Il I comma distingue fra una libertà interiore e una manifestazione di questa libertà interioresi distingue tra foro interno (non può subire limitazioni) e foro esterno (che può subire alcune limitazioni). • L’art.141.6, che prevede da un lato il divieto di indossare nella scuola pubblica simboli o indumenti che ostentino l’appartenenza religiosa e, dall’altro, l’obbligo per i responsabili degli istituti di dialogare con gli allievi che disattendono la prescrizione e con le loro famiglie prima di procedere all’espulsione; • L’art.141.6, che dispone che il servizio pubblico dell’insegnamento superiore è laico ed indipendente da tutte le influenze politiche, economiche, religiose e ideologiche; inoltre esso tende all’oggettività del sapere, rispetta la diversità delle opinioni e deve garantire all’insegnamento e alla ricerca le loro possibilità di libero sviluppo scientifico, creativo e critico. La scuola pubblica è il primo luogo a cui lo stato presta attenzione. Ci sono però anche gli spazi pubblicinel 2005 (7 dicembre) abbiamo una sentenza del Consiglio di Stato che giustifica il rifiuto di concedere il visto di ingresso ad una donna musulmana con il velo per motivi di ordine pubblico. La donna impugna la sentenza presso la Corte europea dei diritti dell’uomo che, con la sentenza del 4 marzo 2008, afferma che “rimuovere il velo, al fine di sottoporsi ad un controllo d’identità, costituisce una restrizione ai sensi del secondo paragrafo dell’art.9 CEDU. Occorre perciò stabilire se tale ingerenza sia necessaria in una società democratica per raggiungere tale finalità. Nel caso in esame, la Corte ha ritenuto, in relazione ai controlli di sicurezza imposti per l’accesso a locali consolari, la rimozione temporanea del velo unicamente in presenza di una donna; la Corte ha affermato che il mancato conferimento dell’incarico di identificazione ad un agente di sesso femminile da parte delle autorità consolari non oltrepassasse il margine di discrezionalità dello stato in materia. La Corte ha ritenuto, pertanto, che la ricorrente non avesse subito alcuna restrizione sproporzionata nell’esercizio del suo diritto alla libertà di religione”. La Corte europea ha dato ragione alla Francia, affermando che la ricorrente non ha subito alcuna restrizione in merito alla sua libertà religiosa. Inoltre è intervenuta nel 2010 una legge sulla copertura del viso in luoghi pubblici. 22 NOVEMBRE ITALIA- un esempio di globalizzazione forzata. Anche in Italia abbiamo avuto problemi per la questione del velo, problemi più che altro di importazione piuttosto che di radicamento nel nostro paese. Quali sono i motivi che portano la legislazione a ritenere di dover intervenire in materia di velo? • Motivo di ordine pubblico, ossia la riconoscibilità; • Motivi legati alla dignità della donnala donna musulmana è obbligata a portare il velo. In Italia l’ordinamento permette di andare a trovare delle norme che siano decisive in materia: • Art.19 Cost. diritto di professare liberamente la propria fede religiosa: “Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume”; • Norme che impongono l’obbligo per tutti le persone di essere riconoscibili mentre circolano negli spazi pubblici, proprio per tutelare l’ordine pubblico. Questa necessità di tutelare l’ordine pubblico è confermata in una serie di norme che permettono in Italia di affrontare il problema del velo islamico sulla base di principi generali che vanno adattati in base alle circostanze concrete. La prima norma cui si fa riferimento è l’art.5 della c.d. legge Reale del 22 maggio 1975 n.152, che afferma: “È vietato l’uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo. È in ogni caso vietato l’uso predetto in occasione di manifestazioni che si svolgano in luogo pubblico o aperto al pubblico, tranne quelle di carattere sportivo che tale uso comportino. Il contravventore è punito con l’arresto da uno a due anni e con l’ammenda da 1000 a 2000 euro. Per la contravvenzione di cui al presente articolo è facoltativo l’arresto in flagranza”. Un altro riferimento che la giurisprudenza e la dottrina ci offrono è l’art.85 del Testo Unico delle Leggi di pubblica sicurezza del 1931: “È vietato comparire mascherato in luogo pubblico. Il contravventore è punito con la sanzione amministrativa da lire 20.000 a lire 200.000. È vietato l’uso della maschera nei teatri e negli altri luoghi aperti al pubblico, tranne nelle epoche e con l’osservanza delle condizioni che possono essere stabilite dall’autorità locale di pubblica sicurezza con apposito manifesto. Il contravventore e chi, invitato, non si toglie la maschera, è punito con la sanzione amministrativa da lire 20.000 a lire 200.000”. Il divieto qui, però, è vago e ha una finalità diversa dalla legge reale (questa venne emanata nel periodo degli anni di piombo per consentire alla polizia di identificare coloro che partecipavano a cortei). La legge reale nasce con questa finalità che oggi può essere considerata antiquata, ma in realtà la possiamo adeguare a contesti diversi tra loro. In Italia nel 2004 viene importato il problema del velo islamico con 2 ordinanze gemelle: • Ordinanza del sindaco di Drezzo • Ordinanza del sindaco di Azzano decimo Con queste ordinanze, i sindaci, richiamandosi all’art.5, vietavano alle donne di circolare nei luoghi pubblici coperte dal velo. Il Consiglio di Stato si pronunciò nel 2008 con la sentenza n.3076è del tutto errato il riferimento operato dall’ordinanza di Azzano Decimo al divieto di comparire mascherato in luogo pubblico ex art.85 TULPS: il burqa non costituisce una maschera ma un “tradizionale capo di abbigliamento di alcune popolazioni, tuttora utilizzato anche con aspetti di pratica religiosa”. Il Consiglio di stato dice che neppure il riferimento all’art.5 della legge reale va bene, non solo perché tale norma prevede un divieto assoluto solo in occasione di manifestazioni ma soprattutto perché, contrariamente alle condotte incriminate dalla norma, l’utilizzo dei capi di abbigliamento proibiti dai sindaci “non è diretto ad evitare il riconoscimento”, ma è piuttosto “attuazione di una tradizione di determinate popolazioni e culture” ricadendo di conseguenza nell’ambito di operatività di giustificati motivi contemplati dalla legge stessa. Dunque indossare il velo islamico non è fatto con lo scopo di mascherarsi, ma è attuazione di una tradizione di determinate popolazioni e culture e quindi questi motivi, secondo il Consiglio, rendono legittimo portare il velo. Inoltre il Consiglio ribadisce che non si è in questo caso in presenza di un mezzo (il burqa) utilizzato senza giustificato motivo. L’art.5 consente di indossare il velo “per motivi religiosi o culturali”. Le esigenze di pubblica sicurezza possono ritenersi soddisfatte dal divieto di utilizzo in occasione di manifestazioni e dall’obbligo per tali persone di sottoporsi all’identificazione e alla rimozione del velo, ove necessario. Il Consiglio, però, lascia una scappatoia “in determinati luoghi o da parte di specifici ordinamenti possono essere previste, anche in via amministrativa, regole comportamentali diverse incompatibili con il suddetto utilizzo, purché ovviamente trovino una ragionevole e legittima giustificazione sulla base di specifiche e settoriali esigenze”. Nel pacchetto sicurezza del 2008 (decreto legge n.92, convertito in legge n.124 del 24 luglio 2008) si inserisce una norma, l’art. 6.4, che concede al sindaco la possibilità di adottare “quale ufficiale del governo, con atto motivato, provvedimenti anche contingibili e urgenti nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana”. A seguito di questa norma, il sindaco di Azzano Decino nel 2009 ripropose la sua ordinanza. Si crea una sorta di dissonanza tra la sensibilità giurisprudenziale e sensibilità politica la giurisprudenza continua ad applicare TULPS e legge reale, evitando astratte presunzioni di pericolosità; inoltre i giudici dicono che il velo non è incompatibile con i principi del nostro ordinamento. Sottolineano che le donne avevano l’intenzione di esternare le proprie convinzioni religiose e culturali. esempio: la Corte d’Assise del tribunale di Cremona, con sentenza del 27 novembre 2008, assolve dal reato di cui all’art.5 una donna entrata in aula come teste con il volto coperto da un burqa. Dal punto di vista della politica, invece, diverse ordinanze dei sindaci riprendono a perseguire con rinnovato vigore la folla di burqa, burkini e niqab che, assieme a mendicanti, lavavetri, prostitute e stranieri sulle panchine, mette in pericolo la coesione sociale dei territori comunali. In Italia le proposte di legge in materia di velo islamico sono state diversetra l’aprile 2008 e l’ottobre 2010 sono state presentate alla Camera dei deputati una decina di proposte di legge che, salvo una sola eccezione, muovono risolutamente in direzione dell’interdizione assoluta di questi indumenti nello spazio pubblico. Tutte le proposte interdittive invocano l’esigenza di tutela dell’ordine pubblico, pur lasciando trasparire motivazioni più simboliche che legate ad effettive e concrete necessità. Esse esprimono anche la volontà di arrestare, con una legge dello Stato centrale, la deriva verso un’interpretazione “federale” – ed assai discrezionale- dei diritti. Il tribunale di Milano, il 20 aprile 2017, ha respinto il ricorso contro la delibera della Regione Lombardia che vieta di indossare il burqa in ospedali e uffici pubblici “deve osservarsi come, nel caso in esame, l’individuazione degli specifici luoghi pubblici (fondata sulla implicita distinzione delle tipologie di luogo pubblico) e la previsione di un divieto di accedere con mezzi che impediscano l’identificazione solo per il tempo legato alla permanenza dei detti spazi, costituiscano elementi che consentono di ritenere che il divieto – e dunque il sacrificio dei diritti di cui agli articoli 8 e 9 della CEDU- sia ragionevole e proporzionato rispetto al valore invocato dal legislatore (la pubblica sicurezza), che risulta concretamente minacciata dall’impossibilità di identificare le numerose persone che fanno ingresso nei luoghi pubblici individuati”. Il tribunale, quindi, respinge il ricorso della signora con il burqa e dà ragione alla delibera della regione Lombardia. Cosa dicono le istituzioni europee in merito alla questione del velo? Queste hanno scelte di seguire una linea di cautela, anzi in alcuni casi hanno evidenziato un atteggiamento contrario ad un divieto generalizzato. raccomandazione del 2010 da parte del Consiglio d’Europaha auspicato una maggiore attenzione all’integrazione e agli strumenti che salvaguardino la libertà delle donne. Nessuna pratica religiosa o culturale può essere invocata per giustificare pratiche che ledono i diritti della persona. Le donne non possono essere costrette ad indossare il velo. Per il Consiglio d’Europa si tratta di un problema di libertà di religione e di espressione delle donne (in Italia si tratta di un problema di sicurezza e di ordine pubblico). Inoltre un divieto generalizzato può essere giustificato solo per motivi di sicurezza. Un altro documento importantequello presentato da alcuni membri del consiglio sempre nel 2010 emerge la necessità di integrazione e di dialogo, senza obbligare le donne di rinunciare al velo se queste hanno scelto di portarlo liberamente. I problemi sono arrivati anche alla Corte Europea di Strasburgo, che ha mostrato anch’essa estrema cautelail velo è espressione della libertà religiosa. La corte interviene a supporto dei singoli stati membri nel rispetto del principio di sussidiarietà. Tendenzialmente l’orientamento della corte è stato quello di lasciare liberi i singoli stati di gestire la materia religiosa, tenendo conto dell’art.9 CEDU. Per quanto riguarda l’abbigliamento, secondo la corte, le limitazioni devono essere contestualizzate e fare riferimento a indicazioni di spazio e tempo specifici. La corte conferma che si può comprimere la libertà religiosa anche quando sia necessario per il verificarsi di una situazione specifica (es. Tutela di un luogo pubblico che deve essere neutro). Nella slide sono riportate 2 sentenze: quella del 2015 (sentenza Affaire Ebrahimian c. France) è una piccola enciclopedia della questione del velo islamico, in quanto la sentenza afferma che: “il divieto di indossare il velo imposto ad una dipendente del servizio pubblico ospedaliero rappresenta una restrizione del diritto di libertà religiosa garantito dall’art.9 della CEDU; restrizione che risulta tuttavia necessaria, in una società democratica, alla protezione dei diritti e delle libertà altrui. La limitazione della libertà di manifestare la proprio fede religiosa sul luogo di lavoro mediante uno specifico abbigliamento costituisce, infatti, una misura proporzionata allo scopo di tutelare il principio di laicità dello stato e di assicurare l’adempimento dell’obbligo di neutralità dei servizi pubblici”. Non è il divieto in generale che la corte europea afferma, ma è il divieto nel caso specifico evitando generalizzazioni, a meno che le circostanze concrete non facciano ritenere necessario il divieto stesso. La libertà di professare il proprio credo nel luogo di lavoro costituisce una misura proporzionata al principio di laicità dello stato. L’altra sentenza è del 2017 (sentenza Affaire Belcacemi et Oussar c. Belgique) e afferma che: “il divieto di indossare il velo integrale in pubblico non viola il diritto al rispetto della vita privata e alla libertà di pensiero, coscienza e religione”. Le istituzioni europee, dunque, mantengono questo atteggiamento di tutela, evitando di proporre un divieto generale e guardando alle situazioni concrete. 28 NOVEMBRE DIRITTO ECCLESIASTICO REGIONALE Per molto tempo si è dubitato dell’esistenza tra le fonti normative del diritto ecclesiastico regionale, che si occupa delle leggi regionali che presentano un interesse classicistico. Una normativa di tutela della libertà religiosa (art.19) può aver luogo solo attraverso una disciplina di vertice. Questa sentenza ha da un lato individuato una serie di limiti nell’applicazione del diritto ecclesiastico regionale ma dall’altro non ha escluso l’importanza delle norme regionali che attengono al diritto ecclesiastico regionale. La scelta della Lombardia è stata rischiosa ed ha portato degli strascichi. Poco dopo la sentenza della Consulta, anche il Veneto ha introdotto il riferimento al tema delle intese modificando una propria legge regionale. Il Veneto, però, ha formulato la legge in modo tale da non creare delle barriere rispetto alle altre confessioni religiose. La Lombardia, invece, aveva diversificato il trattamento in base alla conclusione o meno di un’intesa con lo Stato. Nel tempo le confessioni religiose sono diventate così numerose, che siamo arrivati a ben 12 intese. Adesso siamo di fronte all’accordo di Villa Madama, a 12 intese e a una serie di confessioni religiose che non hanno alcuna intesa con lo stato (es. islam). Quando il legislatore interviene singolarmente, deve farlo senza creare differenziazioni tra le diverse confessioni religiose. 5 DICEMBRE LIBERTÀ COLLETTIVA delle associazioni e confessioni religioseart.20 Cost: “Il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d'una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività”. Potrebbe sembrare curioso che vi sia un articolo dedicato solo alla libertà degli enti religiosi. Perché il legislatore costituzionale redige una norma che garantisce l’uguaglianza degli enti religiosi? L’art.20 afferma in maniera esplicita la libertà degli enti religiosi. Il contenuto fondamentale dell’art.20 è l’uguaglianza sostanziale degli enti. Perché una norma che ce lo ricorda esplicitamente? Abbiamo già l’art.3, gli artt.17, 18,19. La motivazione è storica nella storia italiana, ossia nel 1848, furono emanate una serie di disposizioni legislative che avevano ad oggetto negativo gli enti religiosi. Concretamente vi erano 2 tipi di legislazioni che riguardavano gli entivi erano norme che incidevano sulle capacità di agire e norme che incidevano sulla capacità giuridica. Una legge del 1855, ad esempio, prevedeva in maniera esplicita che un ente religioso non poteva essere libero di esercitare attività negoziale (questa attività doveva essere autorizzata dal governo). Questa legge prevedeva che tutti gli acquisti a titolo gratuito di mobili e oneroso di immobili dovevano essere autorizzati dallo Stato, altrimenti l’acquisto era nullo. Gli unici acquisti che non richiedevano autorizzazione erano gli acquisti di beni mobili a titolo oneroso. Questa legge è durata sino al 1997, quando venne abrogata. Questa disposizione incideva sulla capacità di agire degli enti. Vi erano anche disposizioni che incidevano sulla stessa personalità giuridica degli enticon un serie di disposizioni normative, si negò la personalità giuridica di certi enti religiosi, che vennero dunque sciolti. Altro esempiovenivano espropriate da parte dello stato, in quanto prive di un soggetto titolare, moltissimi beni ecclesiastici (anche edifici di culto), che vennero incamerati dallo Stato stesso (“ASSE ECCLESIASTICO”). Lo Stato, una volta depauperata la Chiesa, si è preso l’impegno di pagare lo stipendio ai sacerdoti (fino al 1984, oggi non più). Vi furono numerose disposizioni legislative anti-ecclesialivi erano fattori ideologici ed economici (finanziare le guerre, a cominciare dalla guerra di Crimea). La motivazione di queste norme era sia ideologica che pratica. Le norme che espropriavano i beni ecclesiastici e privarono di personalità giuridica molti enti religiosi vennero meno con il Concordato del 1929. L’art.20 della Costituzione forse è un po' superfluo, ma vuole ribadire il principio di uguaglianza degli enti religiosi e vuole garantire che in futuro non si ripetano norme come quelle del 1800 espropriative dell’asse ecclesiastico. Il legislatore tutela così anche la libertà collettiva degli enti e delle associazioni. Il cammino di tutela degli enti religiosi non è stato facile e immediato. Sono stati necessari interventi legislativi da parte del legislatore e interventi legislativi concordati. ART.20UGUAGLIANZA SOSTANZIALE: gli enti religiosi non possono essere trattati in maniera diversa dagli enti di diritto comune. Si devono tutelare anche le diversità degli entil’uguaglianza non è formale (tutti sono uguali), ma sostanziale. La normativa che riguarda gli enti della chiesa cattolica sarà diversa da quella che riguarda la chiesa valdese, ma questa differenza non dovrà essere tale da determinare delle disuguaglianze tra gli enti stessi. Lo stato italiano prevede che l’8X1000 possa essere ripartito, sulla base di scelte libere dei contribuenti, tra le confessioni religiose. Alcune confessioni hanno detto che sulla parte non scelta (che dovrebbe essere redistribuita egualmente tra tutte le confessioni), non partecipavano alla redistribuzione. Le norme fondamentali sono uguali per tutti gli enti, ma vi sono anche delle norme di dettaglio che sono differenti. QUADRO NORMATIVO GENERALE: Punto di riferimento: art.20 Cost. Serie di norme concordate che riguardano gli enti religiosi: • legge 1159/1929 (ancora vigente, non applicabile alle confessioni che hanno stipulato intese)questa legge regola unilateralmente la vita delle confessioni religiose che non hanno stipulato un’intesa con lo stato. Una sezione di questa legge riguarda gli enti di confessioni acattoliche; • Accordo 18 febbraio 1984 tra Stato italiano e Chiesa Cattolica (accordo di Villa Madama)normativa quadro; • Legge 222/1985 ha reso esecutivo il protocollo del 1984; • Leggi che hanno approvato le intese tra Stato e confessioni religiose diverse da quella cattolica. L’ente religioso è anfibio, perché l’ente sorge in un ordimento giuridico-religioso, però acquisisce capacità giuridica e di agire nell’ordinamento giuridico italiano, mantenendo la sua identità religiosa. L’ente ha dunque due facce: una civile e pattizia. La soggettività religiosa è il presupposto della soggettività civile. Tutto questo comporta anche delle reciproche cessionil’ordinamento giuridico italiano deve riconoscere dei diritti religiosi sull’ente civile, mentre l’ordinamento religioso deve riconoscere altri diritti. Lo stato dà rilevanza al diritto religioso. 6 DICEMBRE La legge prevede che l’ente religioso acquista la personalità giuridica per antico possesso di stato. Sino al concordato del 1929, non vi era un procedimento per il riconoscimento della personalità giuridica di enti ecclesiastici e di enti di diritto pubblicoper il solo fatto di essere istituito, l’ente già godeva di personalità giuridica. Non era necessario un formale procedimento di riconoscimento della personalità. Solo con il concordato e con il codice del ’42 si stabilirono dei procedimenti per il riconoscimento della personalità giuridica di enti ecclesiastici (concordato) e di enti di diritto pubblico. È necessario un attestato del governo che confermasse la personalità giuridica (che doveva essere approvata dall’ente). L’ente deve dimostrare il possesso di stato attraverso delle prove giuridiche rilevanti. Se mostra queste prove, il ministero gli riconosce la personalità giuridica (modalità di riconoscimento per antico possesso di stato). Un’altra modalità di riconoscimento è quella per leggees. art.13 della legge 222 prevede che la conferenza episcopale italiana goda di personalità giuridica di tipo civile. Talora è la legge stessa che attribuisce ad un ente la personalità di tipo civile. Abbiamo poi il riconoscimento per decretodobbiamo distinguere 2 ipotesi: • Riconoscimento abbreviato • Riconoscimento ordinario. L’art.2 della legge 222 prevede che il riconoscimento avvenga con un decreto del presidente della repubblica su consiglio del ministro dell’interno. Tuttavia la legge 13 del 2001 ha privato il presidente di queste competenze. Come si risolve il problema? La competenza dovrebbe rimanere al presidente della repubblica, tuttavia tutti i decreti sono del ministro dell’interno perché nel 2007 lo stato italiano e la chiesa cattolica hanno firmato un accordo diplomatico nel quale si prevede che il decreto di riconoscimento degli enti ecclesiastici transita dal presidente della repubblica al ministro dell’interno. Questo accordo non ha però modificato la leggela competenza è del presidente, ma si tratta solo di un accordo interpretativo che prevede un’interpretazione contra legem. La competenza adesso è transitata al ministro dell’interno (vi è un’eccezione, per la quale è necessaria la competenza del presidente del consiglio). Il riconoscimento degli enti di diritto comune è automatico, mediante l’iscrizione nel registro delle persone giuridiche tenuto presso la prefetturadunque la dichiarazione è costitutiva (prima non lo era) Dunque adesso non è necessario il decreto, basta l’iscrizione nel registro delle persone giuridiche (a partire dal 2000). Questa procedura semplificata non si adotta per gli enti ecclesiasticiil riconoscimento per decreto è più oneroso rispetto a quello automatico (secondo il professore vi è violazione dell’art.20 della Costituzione). Il decreto di riconoscimento degli enti ecclesiastici è di competenza del ministro dell’interno. il procedimento di riconoscimento della personalità giuridica è riservato solo per gli enti religiosi. Vi sono due modalità di riconoscimento: • Procedimento ordinario: vi sono dei requisitil’ente deve avere la sua sede in Italia; l’ente deve essere costituito o approvato dall’autorità ecclesiastica competente. Nel diritto della chiesa esistono soggetti con o senza personalità giuridica, tuttavia questi sono centri di imputazione di effetti giuridici. Possono essere riconosciuti come enti ecclesiastici sia le persone giuridiche canoniche sia le persone soggette nell’ordinamento canonico senza essere dotati di personalità giuridica canonica. Altro requisito è che l’autorità ecclesiastica che ha approvato gli enti dia l’approvazione per il riconoscimento civile dell’ente stesso. Il riconoscimento può essere richiesto dal presidente dell’associazione (che deve presentare anche un documento firmato dal vescovo) o dal vescovo. Vi è un ultimo requisito: l’ente deve svolgere un’attività di culto o di religione in maniera costitutiva ed essenziale (questo non vuol dire che l’ente non può svolgere altre attività, tuttavia queste attività diverse devono essere funzionali o non primarie rispetto all’attività di culto o di religione). La natura dell’ente ecclesiastico è definita dall’attività che svolge. 12 DICEMBRE Riconoscimento degli enti ecclesiastici- 4 sono le modalità attraverso cui può essere riconosciuto un ente ecclesiastico della chiesa cattolica: la quarta modalità è il procedimento abbreviato, riservato al riconoscimento delle parrocchie, delle diocesi e degli (…). Più che il lungo iter per il procedimento ordinario, in questo caso si tratta di un procedimento di omologazione da parte dell’autorità amministrativa (e non del giudice). Accanto agli enti della chiesa cattolica, lo Stato italiano riconosce gli enti delle altre religioni, sia di quelle che hanno stipulato un’intesa sia di cui culti che non hanno voluto nessuna intesa con lo stato. La legge che disciplina questi ultimi è la 1159 del 1929 (Legge sui culti ammessi)all’art.2 prevede che gli enti di confessioni diverse da quella cattolica possono ottenere il riconoscimento della personalità giuridica in Italia con decreto del Presidente della repubblica, sentiti il Consiglio di Stato e il Consiglio dei ministri (organo che poteva dare solo una valutazione politica del riconoscimento e non tecnica). Questa norma è stata promulgata in momento storico in cui le confessioni diverse da quella cattolica erano viste con sfavore dallo Stato italiano. Nel momento in cui l’ente presentava i requisiti necessari per ottenere il riconoscimento in base alla normativa generale e il parere dei Consiglio di Stato era favorevole, il parere del Consiglio dei ministri non era più necessario. La domanda di riconoscimento può essere proposta al ministro dell’interno (la domanda prima viene formulata al prefetto locale)chi presenta la domanda per l’ente? Il rappresentante legale, che deve depositare lo Statuto dell’ente; da questo Statuto devo risultare lo scopo, le risorse (mezzi finanziari dell’enti adeguati allo scopo da raggiungere), organi di amministrazione e norme di funzionamento. Questi sono elementi che devono essere sempre chiari per qualsiasi tipo di ente. Questi enti di confessione acattolica rientrano nella clausola generale del d.p.r 361/2000 che fa salve le norme speciali rispetto alla disciplina delle persone giuridichese gli enti non si iscrivono al registro delle persone giuridiche, hanno comunque piena capacità negoziale. che per quanto riguarda l’esenzione al pagamento dell’IMU occorre che sussistano una serie di requisiti, ossia: 1. L’ente deve svolgere un’attività socialmente utile; 2. L’ente non deve svolgere un’attività di lucro o un’attività commerciale. È difficile capire se effettivamente l’attività posta in essere non sia svolta con metodi commerciali. Altro problemaUn immobile può avere un’utilizzazione mistail legislatore ha stabilito che per il pagamento dell’IMU o si fraziona l’immobile o lo si proporziona. Questa disposizione è stata confermata e ancora oggi è valida. [Sentenza della Cassazione che ha portato alla qualificazione sulla base della distinzione tra requisito soggettivo e oggettivocaso di un istituto scolastico, gestito da religiosi, che faceva pagare una retta salata agli studenti ma non pagava l’IMU. Inoltre questo istituto scolastico andava sostenendo che il bilancio dell’istituto era in perdita e dunque sosteneva che non vi era lucro. È nato un contenzioso, che alla fine si è risolto con la condanna dell’istituto al pagamento della tassa]. Ci interessa che il pagamento della retta rientrava nel concetto di attività avente scopo di lucro; inoltre si pone l’attenzione sulle modalità con cui l’attività viene concretamente svolta dall’ente. Questa attività di verifica in concreto dell’attività svolta dall’ente ecclesiastico non si fa solo nel caso in cui sia nato un contenzioso, ma si fa anche in caso di riconoscimento degli effetti civili dell’ente. 6 FEBBRAIO Per il riconoscimento dell’ente ecclesiastico sono necessari alcuni presupposti: 1. L’ente deve svolgere un’attività di culto e di religione (art.16 legge 122elenca quelle attività che sono considerate di culto e di religione; vengono anche elencate quelle attività che non sono considerate di culto e di religione). L’ente può svolgere anche altre attività, ma queste non devono prevalere su quella di culto e di religione. L’attività di culto e di religione deve essere ESSENZIALE e PREVALENTE. Non si considerano attività di culto e di religione le attività commerciali e a scopo di lucro. Gli enti ecclesiastici possono svolgere attività commerciali ad alcune condizioni, stabilite dalla Corte di Cassazione: a. L’ente ecclesiastico può svolgere attività commerciali ma senza che vi sia un lucro soggettivo (ripartizione di utili tra i soci). Può, invece, esserci un lucro oggettivo (reinvestito nell’attività di impresa). La Cassazione ha anche affermato che non è necessario che vi sia un lucro affinchè esista attività commercialel’ente, infatti, può svolgere l’attività commerciale purché vi sia pareggio tra entrate e uscite (può non esservi alcun guadagno, ma deve esserci necessariamente pareggio di bilancio- c.d. metodo economico). L’ente ecclesiastico che svolge attività di impresa può fallire? Nessuna legge dice se l’ente può fallire o meno. Non c’è nessuna norma specifica che affermi che l’ente ecclesiastico può essere sottoposto o meno a procedura concorsuale. L’unica norma si trova nel decreto sull’impresa sociale (ossia un tipo di impresa che svolge attività socialmente utili e che ha vantaggi dal punto di vista fiscale). L’ente ecclesiastico che è anche impresa sociale può non fallire (l’impresa sociale in generale può fallire). Un ente ecclesiastico “normale” può fallire? Vi sono alcune sentenze di certi tribunali che affermano che l’ente ecclesiastico può fallire. Il fallimento riguarda quel ramo dell’ente ecclesiastico che svolge l’attività di impresa dunque nel caso di fallimento non è l’ente ecclesiastico in quanto tale che fallisce. L’ente ecclesiastico non può essere liquidatola norma concordataria prevede che l’ente può essere liquidato solo in alcune modalità specifiche, che sono la soppressione e l’estinzione dell’ente. Ciò che viene liquidato non è tutto il patrimonio dell’ente, ma è quella parte del patrimonio dell’ente destinato allo svolgimento dell’attività di impresa. I creditori dell’ente possono rivalersi solo sulla parte del patrimonio destinato all’attività di impresadunque una parte del patrimonio dell’ente è indisponibile (quella che non riguarda l’attività di impresa). Come si fanno a distinguere i beni destinati all’attività di religione e quelli destinati all’attività di impresa? Vi sono 2 modalità: la prima è quella del bilancio (unico) di esercizio con contabilità separata. Vi è poi un altro strumento, ossia una norma del codice di diritto canonico, che prevede che il vescovo possa indicare con decreto una sorta di patrimonio indisponibile dell’ente canonico (anche ecclesiastico). Questo patrimonio, pertanto, sarà indisponibile anche per lo Stato. L’ente può svolgere attività commerciale, e quello che la svolge può essere sottoposto a procedura fallimentare, con le limitazioni che abbiamo visto! L’ente ecclesiastico che svolge o non svolge attività commerciale è libero di svolgere la propria attività all’interno dell’ordinamento giuridico italiano, che in passato richiedeva delle autorizzazioni, che oggi non esistono più. Tuttora, però, esistono ancora delle autorizzazioni canoniche, che sono rilevanti per il diritto dello Stato se l’attività negoziale dell’ente non è autorizzata con autorizzazioni canoniche, questa attività è invalida o inefficace. Se l’attività è svolta senza controllo canonico, il negozio non è nullo, ma annullabile. L’autorizzazione, infatti, è un’integrazione alla capacità giuridica dell’ente se manca l’autorizzazione, viene meno una condizione di efficacia del contratto. L’annullamento del contratto viene richiesto dall’autorità ecclesiastica, perché la norma è fatta proprio a tutela dell’autorità stessa. Il negozio non autorizzato può essere impugnato dall’autorità ecclesiastica, che ne chiede l’annullamento con sentenza costitutiva. 7 FEBBRAIO Modifica-estinzione-soppressione ente Possono esserci mutamenti accidentali e sostanziali dell’ente. Tra i primi, ad esempio, rientra il cambiamento della sede o comunque cambiamenti che non interferiscono sulla sostanza dell’ente stesso. Tra i secondi si distinguono due tipi: mutamenti che non facciano perdere uno dei requisiti prescritti per il riconoscimento dell’ente ecclesiastico e mutamenti che facciano perdere uno dei requisiti per il riconoscimento dell’ente come ente ecclesiastico. Ad esempio, uno dei mutamenti che non fa venire meno uno dei requisiti è il cambiamento dell’attività di culto di religione (viene a svolgere un’attività diversa da quella per cui era stato riconosciuto, mantenendo però l’attività religiosa). Tra i mutamenti che invece incidono su uno dei requisiti dell’ente: l’ente inizia a svolgere attività commerciale. In caso di mutamento che faccia perdere uno dei requisiti c’è la revoca del decreto del Ministro dell’Interno. L. 127/97 ha abrogato l’obbligo del parere del Consiglio di Stato in merito alla revoca del decreto, non è più un parere vincolante ma facoltativo; il parere dell’autorità è invece obbligatorio. È altrettanto vero che la competenza transita dal ministro dell’interno al Presidente del consiglio. Se viene meno il riconoscimento ecclesiale, viene meno anche il riconoscimento civile, perché la soggettività canonica costituisce un requisito essenziale per la personalità giuridica. L’ente può quindi perdere la personalità giuridica di diritto civile o perché l’ente ha perso uno dei requisiti per il riconoscimento civile o perché si estingue nell’ordinamento canonico provvedimento di estinzione iscritto nel registro delle persone giuridiche su istanza dell’autorità ecclesiastica competente. È necessario il patrimonio? I beni devono essere devoluti in base ad una norma di diritto canonico, ma il patrimonio deve essere sufficiente allo scopo a cui è destinato. Lo Stato non può valutare se un determinato patrimonio (in quanto non competente in base all’art. 7 Cost.) è sufficiente al raggiungimento di un fine spirituale: sta alla Chiesa stabilire quali sono i fini e i mezzi necessari per raggiungerli. È anche stabilito che l’autorità ecclesiastica dichiari che l’ente abbia un patrimonio sufficiente al raggiungimento dello scopo. Lo Stato fa sua la valutazione della Chiesa, così che se secondo la Chiesa il patrimonio è sufficiente, lo sarà anche per lo Stato e in presenza dei quattro requisiti riconosce la personalità giuridica di diritto civile all’ente canonico, senza valutarne la sufficienza patrimoniale. Secondo il nuovo concordato, la Chiesa non è un ente ecclesiastico ma un edificio di culto, la parrocchia lo è. È possibile che l’edificio di culto sia riconosciuto come ente ecclesiastico: oltre i quattro requisiti ordinari ne servono altri innanzitutto deve essere un edificio aperto al culto pubblico, non deve poi essere annesso ad un altro ente ecclesiastico e devono essere fornite dei mezzi sufficienti per manutenzione e officiatura. 13 FEBBRAIO (LE CONFESSIONI RELIGIOSE NEL DIRITTO SPAGNOLO) La questione terminologicanel diritto spagnolo non esiste una nozione precisa di confessione religiosa. La Costituzione Spagnola, all’articolo sulla libertà religiosa, parla della “Chiesa Cattolica” e delle “altre confessioni”. La legge Organica di Libertà Religiosa (LOLR) del 1980 parla di “chiese, confessioni e comunità religiose”. In linea di massima, si parla di confessioni religiose per riferirsi a tutte queste realtà, caratterizzate dall’esistenza di una organizzazione e da una finalità religiosa. La dottrina ha tentato di fornire una nozione di confessione religiosa, ma non si è giunti ad una definizione accettata da tutti. La nozione appare nell’ordinamento spagnolo abbastanza generica, serve a denominare gruppi religiosi che esistono nell’ambito della società spagnola. Il termine si usa anche per riferirsi sia alle Chiese che alla libertà religiosa, include quindi una serie di fenomeni. In Portogallo sono più precisicon la legge del 2004 si introducono le definizioni di Chiese e di confessioni religiose. Nel diritto spagnolo esistono le FEDERAZIONI RELIGIOSE, che sono gruppi di comunità religiose riconosciuti dal diritto che si uniscono per conferire una struttura a carattere federale, soprattutto per raggiungere la finalità di poter stabilire rapporti con lo Stato. In Spagna vi sono diverse federazioni religiose, tra le quali spiccano la FEREDE (Federaciòn de Entidades Evangèlicas de Espana), la FCJE (Federaciòn de comunidades Judias de Espana) e la CIE (Comisiòn Islamica de Espana). Queste tre sono riuscite ad ottenere l’accordo con lo Stato nel 1992. Le confessioni religiose possono creare associazioni, fondazioni ed altri enti per la realizzazione dei loro fini. Questi enti sono dunque vincolati alla confessione matrice e partecipano dei suoi fini, servendo come strumento per la realizzazione di uno o più in particolare. A loro si riferisce l’art.6 de la LOLR, nel contesto dell’autonomia di organizzazione delle confessioni religiose. Di fronte a queste diversità, la dottrina ha stabilito una distinzione tra due grandi categorie di enti religiosi in Spagna: 1. ENTIDADES MAYORES (rientrano le chiese, le comunità religiose e le loro federazioni); 2. ENTIDADES MENORES (rientrano gli enti creati dalle confessioni religiose). Considerazioni generali sulla giuridicità delle confessioni religiose in Spagna non tutte le confessioni religiose hanno la stessa situazione o posizione giuridica in Spagna. Tale diversità di posizioni o situazioni giuridiche è presente anche in altri paesi. Anche l’Unione Europea rispetta e non pregiudica lo status di cui le chiese e le associazioni o comunità religiose godono negli Stati membri. Nonostante ciò, è possibile tratteggiare alcuni elementi che definiscono un tratto comune per le confessioni religiose riconosciute dallo Stato spagnolo. Elementi comuni per le confessioni religiose in Spagna: 1. SOGGEZIONE AD UN DIRITTO SPECIALE: • Le confessioni religiose non sono soggette al comune diritto di associazione riconosciuto dall’art.22 della Costituzione Spagnola, ma ad un diritto speciale; • Non si reggono per le disposizioni della LODA (Legge Organica sul Diritto di associazione del 2002), bensì per la LOLR e le correlative norme che la sviluppano; • Di particolare interesse sono il RD 594/2015 sul Registro de Entidades Religiosas (RER) ed il RD 593/2015 sulla Dichiarazione di “Notorio Arraigo”. 2. AUTONOMIA DI ORGANIZZAZIONE E DI FUNZIONAMENTO: • Si tratta di una manifestazione o conseguenza della soggezione ad un diritto speciale; • Le chiese e comunità religiose non sono dunque tenute a regolarsi internamente secondo quanto stabilito per gli enti di natura 3. LE CONFESSIONI ISCRITTE HANNO PERSONALITÀ GIURIDICA COME ENTI RELIGIOSI: • Le Chiese, confessioni e comunità religiose e le loro Federazioni godono di personalità giuridica, una volta iscritte nel corrispondente 4. POSSIBILITÀ DI INTESE CON LO STATO PER LE CONFESSIONI CON “NOTORIO ARRAIGO”: • Lo Stato, tenendo conto delle credenze esistenti nella società, può stabilire, se nel caso, intese o accordi di cooperazione con le confessioni religiose; • Si richiede però che esse, oltre ad essere iscritte al Registro degli enti religiosi, abbiano anche Notorio arraigo. (VEDERE FOTO FRANCI) Più tardi, dopo la Prima Guerra Mondiale, si crea la Società delle Nazioni (le potenze disciplinano l’esercizio dei mandati coloniali), che ha una Convenzione al cui art.22 afferma: “(…) Altri popoli, specie dell'Africa centrale, sono in tale stato che il mandatario dovrà rispondere dell'amministrazione del territorio, a condizioni che garantiscano la libertà di coscienza e di religione (…)”. Chi viene tutelato sono le minoranze in quanto gruppo, non il singolo individuociò che importa alle potenze è di “tenere buone” le minoranze. La tutela della libertà religiosa è motivata dall’interesse nazionalela tutela è affidata al Consiglio delle Nazioni e quindi vi è un meccanismo che risponde ad un interesse nazionale, ma le potenze sono poco inclini a verificare ciò che è prescritto dai Trattati. Questa tutela nazionale non è universale, perché i Trattati si applicano agli Stati che li hanno firmati. Negli anni ’30 del 900 la Società delle nazioni crolla e si affermano in Italia e in Germania dei regimi totalitarivengono approvate delle leggi razziali. Si arriva alla Seconda Guerra Mondiale, che è uno spartiacque per la tutela religiosa. Nel 1948 viene adottata la Dichiarazione Universale dei Diritto dell’uomonel catalogo dei diritti umani da rispettare universalmente, all’art.18, vi è la libertà religiosa. L’art.18 può essere suddiviso in tre parti: 1. Tutela della libertà di pensiero, coscienza e religione; 2. Diritto di cambiare la religione; 3. Libertà di manifestare la propria religione. In questo articolo si utilizza il termine “religione” o “credo- belief”. FREEDOM OF CONSCIENCE (un esempio è l’obiezione di coscienza) FREEDOM OF THOUGHT (manifestazione del proprio pensiero) La Dichiarazione Universale non è un trattato, ma viene considerato come diritto internazionale consuetudinario (dunque è vincolante non per la forma, ma per il contenuto). Successivamente, nel 1960, vi è il rapporto Krishnaswami, dopo il quale sorge la necessità di tutelare la libertà religiosa. Nel 1966 vengono firmati i patti di New York (che sono 2: il primo tratta della libertà religiosa). L’art.18 della Dichiarazione Universale (forse è del pattocontrolla) tratta della libertà religiosaha 4 commi: nel primo, il ius penitendi è sparito. Viene un po' introdotto a compensazione il comma 2. Il comma 3 prevede una disposizione autonoma. Al comma 4 c’è una previsione curiosalibertà dei genitori di educare i figli secondo le proprie convinzioni. All’art.20 vi è un divieto di incitamento all’odio religioso. L’art.26 vieta la discriminazione su base religiosa. L’art.27 prevede una tutela delle minoranzeè interessante non perché prevede una tutela delle minoranze, ma perché siccome l’art.18 non cita i diritti delle comunità religiose in quanto tali, l’art.27 si fa carico di questo problema e riconosce una soggettività alla comunità religiose di minoranza. 21 FEBBRAIO (seminario) Viene data la possibilità di un rimedio ulteriore e superiore a quelli nazionali. Viene ad affermarsi un ordinamento superiore a quello statale, che costituisce un rimedio a un fallimento domestico- nazionale che prevede una tutela costituzionale. Dichiarazione sull’eliminazione di tutte le forme d’intolleranza e di discriminazione fondate sulla religione o il credo (1981) • Art.1nozione di libertà religiosa e tema della coercizione “Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Questo diritto include la libertà di professare una religione o qualunque altro credo di propria scelta, nonché la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo, sia individualmente che in comune con altri, sia in pubblico che in privato, per mezzo del culto e dell'osservanza di riti, della pratica e dell'insegnamento (…)”. • Art.2 “Nessun individuo può essere soggetto a discriminazioni di sorta da parte di uno Stato, di un'istituzione, di un gruppo o di un qualsiasi individuo sulla base della propria religione o del proprio credo (…)” • Art.3molto politico, contro la discriminazione religiosa perché va contro la dignità umana; è un’espressione di principio “La discriminazione tra gli esseri umani per motivi di religione o di credo costituisce un affronto alla dignità umana ed un disconoscimento dei principi dello Statuto delle Nazioni Unite, e dovrà essere condannata in quanto violazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali proclamati nella Dichiarazione universale dei diritti umani ed enunciati in dettaglio nei Patti Internazionali relativi ai diritti umani, essa viene altresì condannata come un ostacolo alle relazioni amichevoli e pacifiche tra le nazioni”. • Art.4sempre in materia di discriminazione, dice che tutti gli stati devono prendere le misure necessarie ed effettive per prevenire le discriminazioni. • Art.5 “1. I genitori o, all'occorrenza, i tutori legali di un fanciullo hanno il diritto di organizzare la vita in seno alla famiglia in conformità alla propria religione o al loro credo e tenuto conto dell'educazione morale secondo cui ritengono che il fanciullo debba essere allevato. 2. Ogni fanciullo dovrà godere del diritto di ricevere un'educazione in materia di religione o di credo secondo i desideri dei genitori o, all'occorrenza, dei suoi tutori legali, e non dovrà essere costretto a ricevere un'educazione religiosa contraria ai desideri dei suoi genitori e dei suoi tutori legali, avendo come principio ispirativo l'interesse del fanciullo. 3. Il fanciullo dovrà essere protetto contro ogni forma di discriminazione fondata sulla religione o il credo. Egli dovrà essere allevato in uno spirito di comprensione, di tolleranza, di amicizia tra i popoli, di pace e di fraternità universale, di rispetto della religione o del credo altrui e nella piena consapevolezza che la sua energia ed i suoi talenti debbono essere dedicati al servizio dei propri simili. 4. Qualora un fanciullo non si trovi né sotto la tutela dei genitori, né sotto quella di tutori legali, i desideri espressi da questi ultimi, o qualunque testimonianza raccolta sui loro desideri in materia di religione o di credo, saranno tenuti in debita considerazione, avendo come principio ispirativo l'interesse del fanciullo. 5. Le pratiche di una religione o di un credo in cui è allevato un fanciullo non devono recare danno alla sua salute fisica o mentale e al suo completo sviluppo, tenuto conto del paragrafo 3 dell'articolo 1 della presente Dichiarazione”. • Art.6è il più importante “In conformità all'articolo 1 della presente Dichiarazione e previa riserva delle disposizioni del paragrafo 3 del suddetto articolo, il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza, di religione, di credo include, tra l'altro, le libertà seguenti: a) La libertà di professare un culto e di tenere riunioni connesse ad una religione o a un credo, e di istituire e mantenere luoghi a tali fini; b) La libertà di fondare e di mantenere appropriate istituzioni di tipo caritativo o umanitario; c)La libertà di produrre, acquistare ed usare, in misura adeguata, gli oggetti necessari ed i materiali relativi ai riti e alle tradizioni di una religione o di un credo; d) La libertà di insegnare una religione o un credo in luoghi adatti a tale scopo; e) La libertà di sollecitare e di ricevere contributi volontari, di natura finanziaria e di altro tipo, da parte di privati e di istituzioni; f) La libertà di formare, di nominare, di eleggere, di designare per successione leaders appropriati, in conformità ai bisogni e alle norme di qualsiasi religione o credo; g) La libertà di osservare i giorni di riposo e di celebrare le festività ed i riti di culto secondo i precetti della propria religione o credo; h) La libertà di istituire e di mantenere comunicazioni con individui e comunità in materia di religione o di credo, a livello nazionale ed internazionale”. Gli articolo 7 e 8 non sono tanto importanti. Le Nazioni Unite nominano una persona fisica che assolve 2 funzioni: 1) visita di particolari stati, all’esito della quale viene prodotto un rapporto sulla libertà religiosa di quello stato; 2) fa un rapporto in cui tratta delle situazioni degli Stati e tratta anche delle singole tematiche. General Comment n.22 del 1993 (documento che rappresenta una interpretazione di un documento della ICCPR, in particolare l’art.18) si stabilisce che l’art.18 ICCPR (“Everyone shall have the right to freedom of thought, conscience and religion. This right shall include freedom to have or to adopt a religion or belief of his choice, and freedom, either individually or in community with others and in public or private, to manifest his religion or belief in worship, observance, practice ...”) si applica anche alle nuove religioni (quelle non tradizionali). Questo principio ha trovato larga applicazione. [chiedere appunti] Il Consiglio d’Europa nasce con la firma del trattato di Londra (1949) come aggregazione degli Stati dell’Europa occidentale. La Germania non può accedere al Consiglio perché è limitata nella sua capacità di agire nell’ordinamento internazionale; non accedono neanche Austria, Spagna, Portogallo e Svizzera. In questo contesto storico, sorge la CEDU (1950), al cui art.9 viene citata la libertà religiosa. Essendo una convenzione giuridicamente vincolante, ci si preoccupa delle limitazionil’art.9.2 prevede alcuni criteri per le limitazioni alla libertà religiosa: 1. Le limitazioni devono essere previste dalla legge; 2. Queste limitazioni devono essere misure necessarie nelle società democratiche; 3. Valutazione della pubblica sicurezza e dell’ordine pubblico Con la CEDU viene creata una Commissioneall’inizio vengono previsti solo ricorsi statali (è lo Stato a dover sollevare la questione contro un altro Stato). I ricorsi individuali sono solo opzionali. I ricorsi interstatali attenevano a situazioni riguardanti la politica interna. Originariamente l’impostazione prevedeva un confronto tra Statipoi si diffondono sempre più i ricorsi individuali, per arrivare ad una sentenza del 1976 che va a toccare nuovi diritti umani socialmente rilevanti. Si iniziano così a trattare di diritti che riguardano le persone nella loro individualità. Nel 1989 aderiscono al Consiglio d’Europa, e quindi alla CEDU, gli Stati ex sovietici. Nel 1990 viene istituita la Commissione di Venezia, che emette delle opinioni su testi legislativi. Nel 1994 viene istituita la European (…), che fa un monitoraggio dei paesi. 27 FEBBRAIO ENTI ECCLESIASTICI- PROFILI DI DIRITTO TRIBUTARIO ART.20 COST. il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto di una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività. Se un ente o un’associazione o una istituzione hanno carattere ecclesiastico non possono per questo motivo essere gravati negativamente dal punto di vista positivo dallo stato. Questo articolo sancisce il principio di divieto di un trattamento fiscale di sfavore rispetto agli enti di diritto comune. Questa norme pone 2 tipi di problemi: 1. Problema di carattere sistematico il rapporto dell’art.20 con gli altri articoli della Costituzione come si struttura? Dobbiamo fare riferimento all’art.53 Costituzione, che sancisce che tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività. Dunque non può essere introdotto un tributo speciale a carico dei beni degli enti stessi e non può essere approvata un’imposta che gravi solo su tali enti. Inoltre lo Stato non può intraprendere, introducendo appositi fiscali, un’azione perequativa fra gli enti di una confessione religiosa o, addirittura, una redistribuzione delle risorse fra gli enti di tutte le confessioni religiose. 2. Problema di carattere esegetico è del tutto conforme alla norma costituzionale che lo Stato con legge, che sia esecutiva di un accordo con la Santa Sede o di un’intesa con una confessione acattolica, sia con una legge unilaterale, possa sia garantire delle esenzioni e agevolazioni, ma possa anche attribuire efficacia civile ad un’imposta che l’autorità religiosa introduca sugli appartenenti alla propria confessione religiosa oppure sugli enti a questa collegati. Lo Stato può prevedere un trattamento fiscale più favorevole per gli enti ecclesiastici (agevolazioni o esenzioni). È pertanto costituzionale il sistema di finanziamento della Chiesa Cattolica previsto dagli artt.46 e 47 della L.206 e 222 del 1985: ART.46: “A decorrere dal periodo d'imposta 1989 le persone fisiche possono dedurre dal proprio reddito complessivo le erogazioni liberali in denaro, fino all'importo di lire due milioni, a favore dell'Istituto centrale per il sostentamento del clero della Chiesa cattolica italiana. scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all’art.16, lettera A, della legge 20 maggio 1985, n.222 (criterio oggettivo). Il D.l. 1/2012 (conv. L.27/2012), all’art.91 bis afferma: 1. Al comma 1, lettera i), dell'articolo 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, dopo le parole: «allo svolgimento» sono inserite le seguenti: «con modalità non commerciali». 2. Qualora l'unità immobiliare abbia un'utilizzazione mista, l'esenzione di cui al comma 1 si applica solo alla frazione di unità nella quale si svolge l'attività di natura non commerciale, se identificabile attraverso l'individuazione degli immobili o porzioni di immobili adibiti esclusivamente a tale attività. Alla restante parte dell'unità immobiliare, in quanto dotata di autonomia funzionale e reddituale permanente, si applicano le disposizioni dei commi 41, 42 e 44 dell'articolo 2 del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286. Le rendite catastali dichiarate o attribuite in base al periodo precedente producono effetto fiscale a partire dal 1° gennaio 2013. 3. Nel caso in cui non sia possibile procedere ai sensi del precedente comma 2, a partire dal 1° gennaio 2013, l'esenzione si applica in proporzione* all'utilizzazione non commerciale dell'immobile quale risulta da apposita dichiarazione. *il rapporto proporzionale tra le attività svolte con modalità commerciali e non commerciali deve essere individuato con riferimento ad uno dei seguenti criteri: a) SPAZIO destinato; b) NUMERO di SOGGETTI destinatari; c) GIORNI DELL’ANNO durante i quali l’immobile è utilizzato per un’attività. TASI la legge 147/2013 (legge di stabilità 2014), art.1, co.639, istituisce l’IMPOSTA UNICA MUNICIPALE (IMU+ TASI+ TARI). Anche alla TASI si applicano i criteri di esenzione previsti per l’IMU: ai fini dell’applicazione della lettera i) resta ferma l’applicazione delle disposizioni di cui al D.L 1/2012, art.91 bis. IMPOSTA SULLE DONAZIONI O SUCCESSIONI sono esenti dal versamento dell’imposta i trasferimenti effettuati, tra l’altro, in favore di fondazioni o associazioni legalmente riconosciute che hanno come scopo esclusivo l’assistenza, lo studio, la ricerca scientifica, l’educazione, l’istruzione o altre finalità di pubblica utilità (D.lgs.346/1990, art.3). PRIMA DELLA RIFORMA DEL TERZO SETTORE anche gli enti ecclesiastici delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi (…). Il D.lgs. 460/1997 prevede alcune deroghe per gli enti ecclesiastici al fine di rendere compatibile il regime ONLUS con la loro struttura ed attività gli enti ecclesiastici non hanno il divieto di svolgere attività diverse da quelle individuate dall’art.10, co.1, e da quelle direttamente connesse ad essa: svolgono anche altre attività, anzitutto quelle di religione o di culto. Gli enti ecclesiastici ottengono la qualifica di ONLUS limitatamente all’esercizio di una specifica attività: RAMO ONLUS o ONLUS PARZIALE. Non sono tenuti ad utilizzare la locuzione ONLUS nella loro denominazione e sono esonerati dall’adeguamento dello Statuto e dell’atto costitutivo al vincolo dell’ordinamento democratico come definito dall’art.10, co.1, lettera h). Inoltre non hanno l’obbligo di adottare un atto costitutivo o uno Statuto conforme a quanto prescritto dal decreto ONLUS, ma devono adottare un REGOLAMENTO relativo al solo segmento di attività ONLUS, che faccia proprie tali prescrizioni. Infine hanno l’obbligo di operare nel rispetto del principio di separazione contabile tra l’attività ONLUS, per le quali devono tenere le prescritte scritture contabili, e le altre attività ed hanno anche l’obbligo di iscrizione presso l’anagrafe delle ONLUS. DOPO LA RIFORMA D.lgs. 117/2017: le onlus sono scomparse e sono state sostituite dagli ETS (enti del terzo settore) l’impostazione è rimasta la stessa: gli enti religiosi civilmente riconosciuti possono costituire un ramo di attività ETS. Un problema che si pone è quello del cambiamento di denominazione. Nella delega per il terzo settore era riportata la medesima espressione (ossia enti ecclesiastici che hanno stipulato accordi con lo Stato), ma nel codice del terzo settore si parla di enti religiosi civilmente riconosciuti, perché il Consiglio di Stato aveva detto che parlare di enti ecclesiastici che avevano stipulato un’intesa o un accordo era discriminatorio. Tutto ciò ha consentito agli enti che sono manifestazione del diritto di libertà religiosa di accedere ad un particolare regime giuridico, mantenendo le proprie caratteristiche organizzative ed identitarie e continuando a svolgere la propria attività istituzionale. La struttura può anche essere gerarchica e non necessariamente democratica. Gli enti religiosi non solo devono essere civilmente riconosciuti, ma per accedere al terzo settore devono costituire un patrimonio destinato allo svolgimento di un’attività di interesse generale. Questo obbligo potrebbe far sorgere dei problemi sotto il profilo della discriminazioneperché solo gli enti religiosi devono costituire un patrimonio? PRIMA DELLA RIFORMA, l’ente ecclesiastico poteva avere a che fare con l’impresa sociale. OGGI l’impresa sociale è rimasta e si è evoluta le imprese sociali sono quelle che esercitano in via stabile un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi di utilità sociale*, diretta a realizzare finalità di interesse generale. *si considerano beni o servizi di utilità sociale quelli prodotti o scambiati nei seguenti settori: assistenza sociale, assistenza socio-sanitaria, educazione, istruzione e formazione, tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, valorizzazione del patrimonio culturale, turismo sociale, formazione universitaria, ricerca ed erogazione culturali […]. A prescindere dal settore in cui operano, possono acquisire la qualifica di imprese sociali le imprese finalizzate all’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati o disabili. Per gli enti ecclesiastici l’attività di impresa nei settori indicati dal D.lgs. 155/2006 non deve (e non può) essere l’attività principale [per attività principale si intende quella per la quale i relativi ricavi sono superiori al 70% dei ricavi complessivi dell’organizzazione che esercita l’impresa sociale] la disciplina dell’impresa sociale si applica agli enti ecclesiastici limitatamente allo svolgimento dell’attività imprenditoriale nei settori indicati dal decreto (RAMO IMPRESA SOCIALE o IMPRESA SOCIALE PARZIALE). • Per le attività di impresa sociale devono adottare un regolamento, in forma di scrittura privata autenticata, che recepisca i contenuti normativi; il regolamento deve essere depositato presso il competente ufficio del registro delle imprese per l’iscrizione nell’apposita sezione. • Il regolamento dell’impresa deve prevedere il divieto di distribuzione di utili, anche in forma indiretta. • Per l’attività di impresa sociale devono essere tenute separatamente le scritture contabili previste dal decreto. • Non sono soggetti al regime di responsabilità patrimoniale previsto dall’art.6 del decreto. • Non sono tenuti ad utilizzare la locuzione di IMPRESA SOCIALE nella loro denominazione. • In caso di cessazione dell’impresa, non sono tenuti a devolvere il patrimonio residuo a organizzazioni non lucrative di utilità sociale, associazioni, comitati, fondazioni od enti ecclesiastici, secondo le norme statuitane. • Non possono essere soggetti a liquidazione coatta amministrativa. DOPO LA RIFORMA, è stato varato anche il nuovo decreto legislativo recante la nuova disciplina in merito alla impresa sociale. (…) Quali sono le attività che possono essere svolte dalle imprese sociali? L’elenco è molto lungo: interventi e servizi sociali, pari opportunità, non discriminazione, prestazioni sanitarie, micro-credito, salvaguardia delle condizioni dell’ambiente… Quali sono i vantaggi? Distinguiamo tra: • VANTAGGI FISCALI per l’impresa socialeregime fiscale che consente la detassazione degli utili e degli avanzi di gestione; restano imponibili gli utili e gli avanzi che comportano l’aumento del capitale sociale. • VANTAGGI FISCALI per gli investitori (soggetti che vengono in contatto con le imprese sociali)detrazione sull’imposta sul reddito pari al 30% della somma investita… 6 MARZO MATRIMONIO Sino al 1540-1560 negli ordinamenti occidentali l’unico matrimonio riconosciuto era quello religioso (che aveva effetti religiosi e civili). Non c’era un matrimonio civile. Il primo matrimonio civile fu introdotto per salvare le libertà religiosenella prima metà del 1500 maturò la riforma religiosa d’Europa (Riforma protestante e scisma della chiesa anglicana) e da qui la cristianità iniziò a scindersi. A partire dal 1517 la cristianità anche nell’Europa occidentale si frantumasi parla di varie confessioni cristiane, alcune appartenenti alla riforma luterana, altre scismatiche (non riconoscevano il capo della chiesa cattolica). Anche in questi territori protestanti l’unico matrimonio riconosciuto era quello religioso (In ogni territorio veniva riconosciuto il matrimonio ufficiale di quella religione. in Inghilterra era riconosciuto il matrimonio anglicano, in Svizzera quello calvinista, in Germania quello luterano. Il primo matrimonio civile venne istituito in Olanda, perché la religione ufficiale era il calvinismo ma vi era una forte minoranza cattolica. Le autorità civili olandesi stabilirono che l’unico matrimonio valido per lo Stato era quello calvinista. L’olanda decise di creare un nuovo matrimonio, quello civile, che avesse un valore per lo Stato. Una coppia di cattolica, o di ebrei o di luterani, si sarebbe potuta sposare con matrimonio civile e quel matrimonio sarebbe stato riconosciuto dallo Stato (dunque anche se la religione era diversa da quella ufficiale). La causa efficiente del matrimonio è il consenso tra le parti. La Chiesa per mandato pontificio affermò che quella forma olandese di celebrazione del matrimonio dovesse essere considerata valida per la Chiesail matrimonio civile può essere riconosciuto come celebrazione straordinaria del matrimonio canonico. Il matrimonio civile è nato per tutelare la libertà religiosa ed era alternativo rispetto a quello religioso- calvinista. In Francia, con la Rivoluzione Francese e con la Costituzione del 1792, venne introdotto un matrimonio civile obbligatorio per tuttil’unico matrimonio riconosciuto dallo Stato era quello civileil matrimonio civile è un contrattoil matrimonio religioso non aveva alcun valore. Il matrimonio religioso viene abolito e il matrimonio civile era un mero contratto civile e come tali contratti, esso può essere stipulato e scioltoil matrimonio civile è intrinsecamente solubile, perché può essere sciolto facilmente tramite l’istituto del divorzio. Viene dunque introdotto anche l’istituto del divorzio, che prima era sconosciuto agli ordinamenti. Il matrimonio era così facile da sciogliere tanto che il legislatore rivoluzionario intervenne e volle cambiare la legge perché la facilità di sciogliere il matrimonio creava varie fratture all’interno della societàSCIOGLIMENTO VINCOLATO, non più libero (es. i figli per divorziare dovevano chiedere ai genitori). Il Codice Napoleonico contemplava al primo libro il matrimonio civileanche qui si ha la concezione che l’unico matrimonio che ha valore per lo Stato è quello civile. Con Napoleone nel Codice Civile venne introdotto sia il matrimonio che il divorzioil matrimonio era considerato “il più santo dei contratti”, ma per volontà dello stesso Napoleone venne introdotto il divorzio (perché era lui stesso a voler divorziare). In Italia, dove venne recepito il Codice Napoleonico, l’unico matrimonio religioso valido era quello cattolico salvo per gli Stati sottoposti all’impero austro-ungarico, dove era riconosciuto anche quello protestante e ebraico. La situazione mutò con il Codice Pisanelli (1865)in base al modello francese venne introdotto il matrimonio civile obbligatoriol’Italia cambia radicalmente prospettiva: prima infatti vi era un matrimonio religioso obbligatorio! Lo Stato riconosce come unico matrimonio valido agli effetti civili quello civile. L’Italia tuttavia non riconosceva il divorzio Il matrimonio civile in Italia godeva di unità e indissolubilità (come quello religioso). Il matrimonio poteva essere civile o religioso, con l’annullamento di uno dei due rimaneva in vigore l’altro. La situazione si modificò ulteriormente con il Concordato del 1929in particolare l’art. 34 afferma che lo Stato si impegna a riconoscere effetti civili al matrimonio religioso che sia regolarmente trascritto nei registri dello Stato civile. Lo Stato riconosce che per accedere alla condizione di coniuge non c’è solamente la via del matrimonio civile, ma anche il matrimonio religioso può produrre effetti civili a determinate condizioni. Con il 1929 abbiamo un matrimonio civile, un matrimonio cattolico (produttivo anche di effetti civili) e un matrimonio acattolico, celebrato davanti a confessione diversa da quella cattolica (che produce anch’esso effetti civili se trascritto). Abbiamo così 3 possibilità di poter accedere allo status di coniuge. La situazione venne fotografata anche dal Codice Civile artt.82 e 83 istituzionalizzano la situazione creata dal Concordatoanche il codice riconosce altri matrimonio oltre quello civile. Il matrimonio segreto non può essere trascritto, perché manca la pubblicità In realtà, però, vi può essere una modalità di trascrizione del matrimonio segreto, ossia quando vengo meno i motivi di segretezza (dunque vi può essere trascrizione tardiva quando vengono meno gli elementi di segretezza). In questo caso il matrimonio canonico segreto ora reso pubblico può essere trascritto tardivamente. Un’altra forma straordinaria è quella innanzi solo a 2 testimoni (no ministro di culto) anche in questo caso non è possibile trascrivere il matrimonio nel registro dello Stato civile. Il matrimonio per procura può essere trascritto, purché la procura sia fatta per atto pubblico. La procura (art.111 c.c.) deve essere fatta per atto pubblico e ha durata di 6 mesi. 13 MARZO- Efficacia civile del matrimonio canonico in molti paesi (seminario) Secolarizzazione delle nozze nel matrimonio civile Questa secolarizzazione subisce un salto di qualità con l’introduzione del divorzio. Vengono introdotti diversi tipi di divorzio. RICOSTRUZIONE DEL MATRIMONIO Che cos’è il matrimonio civile? Non è più caratterizzato dall’indissolubilità e ha perso la sua identità originaria. Alla fine il matrimonio diventa un termine vuoto di contenuto. Possiamo definire il matrimonio civile come l’unione volontaria di 2 persone indipendenti. L’efficacia civile del matrimonio canonico in una società secolarizzatala secolarizzazione del matrimonio civile si è verificata in alcuni paesi dell’occidente. Vi sono stati numerosi Concordati. L’efficacia civile del matrimonio canonico è una realtà in crescita nel mondo. Nonostante la secolarizzazione, nel mondo è sempre più frequente il riconoscimento del matrimonio religioso. 14 MARZO Abbiamo 3 momenti: 1. Sistema matrimoniale spagnolo; 2. Matrimonio canonico nell’ordinamento spagnolo; 3. Riconoscimento civile di altri matrimoni religiosi. IL SISTEMA MATRIMONIALE SPAGNOLO Antecedenti storici: • Dal 1492 al 1502: vi erano diversi regimi matrimoniali; • Dal 1870 vi è il monopolio del matrimonio canonico; • 1870 sistema di matrimonio civile obbligatorio; • 1875 sistema di matrimonio civile sussidiario (1889 c.c.) • 1931-1939 sistema di matrimonio civile obbligatorio; • 1939-1978 sistema di matrimonio civile sussidiario Fonti e tratti generali del sistema: • 1978 Costituzione sistema facoltativo; • 1979 Accordo su questioni legali con la Santa Sede si opta per non parlare di Concordato, ma di accordi concordatari parziali (che sono su diverse materie). • 1980 legge sulla libertà religiosa in Italia già si parlava di questa legge. • 1981 riforma del codice civile in materia di matrimoniosistema facoltativo (matrimonio civile, matrimonio canonico e matrimonio religioso) ed introduzione del divorzio. • 1992 accordi di cooperazione con altre confessioni; • 2015 matrimonio delle confessioni con notorio arraigo (dichiarazione di radicamento in Spagna). • Diversità di norme • Binomio matrimonio civile- matrimonio religioso • Sistema facoltativo plurale di formazione progressiva • Applicazione di norme civili a tutti i tipi di matrimonio • Matrimonio canonico è riconosciuto con certa sostantività Tratti costituzionali del sistema: • Diritto fondamentale al matrimonio • Principi di libertà e uguaglianza religiosa, laicità dello Stato e cooperazione con le confessioni religiose • Art.32 riferimento generico alle forme di matrimonio e silenzio riguardo al divorzio • Artt.14 e 16 rendono possibile un sistema matrimoniale facoltativo • Art.149 non va bene un sistema composto da matrimoni civili • Conclusione: sistema facoltativo, composto e di formazione progressiva IL MATRIMONIO CANONICO NELL’ORDINAMENTO SPAGNOLO Quadro specifico del matrimonio concordatario: • Matrimonio concordatario: matrimonio canonico con effetti civili; • Accordo sugli affari giuridici tra Santa Sede e Stato Spagnolo (1979): 1) natura concordataria e gamma di tratti internazionali; 2) applicazioni di norme civili al matrimonio canonico. • Riforma del codice civile grazie alla legge 30/1981 del 7 luglio: 1) legge unilaterale che riguarda l’accordo; 2) maggiore applicazione di norme civili. • Tre momenti chiave: costitutivo, registrazione e critico-procedurale. Matrimonio celebrato secondo le norme del diritto canonico: • Produce effetti civili dalla sua celebrazione; • Riconoscimento civile del matrimonio canonico 1) certificato ecclesiastico di esistenza del matrimonio; 2) esenti da precedenti atti civili e licenza civile; 3) per la celebrazione non richiede la presenza del funzionario civile; 4) nessuna lettura del codice civile riguardo ai diritti e doveri dei coniugi. • Conclusione: autonomia dei contenuti al momento costitutivo. Iscrizione del matrimonio canonico nel registro civile: • È necessaria affinchè si producano pieni effetti civili; • In linea di principio semplice meccanismo amministrativo; • Semplice presentazione del certificato ecclesiastico; • Chi può o deve sollecitare l’iscrizione? • Sarà negata se non è conforme ai requisiti civili di validità; • Va oltre l’ordine pubblico matrimoniale; • Matrimonio canonico non iscritto/ non iscrivibile; • Interpretazione logica: non è possibile l’iscrizione di un matrimonio tra minori di 16 anni e neppure in presenza di un vincolo civile preesistente; • Conclusione: il riconoscimento del matrimonio è subordinato al momento della registrazione. LE DECISIONI MATRIMONIALI CANONICHE NELL’ORDINAMENTO SPAGNOLO Il matrimonio e la sua crisi: • Espressione “crisi matrimoniale”; • Separazione; • Dissoluzione; • Nullità; • Riconoscimento. Applicazione delle norme civile al momento critico del matrimonio concordatario: • Separazione: silenzio concordatario; • Nullità: perplessità sull’applicazione delle norme civili; • Dissoluzione (divorzio): protesta della Santa Sede per l’estensione del divorzio al matrimonio canonico. L’efficacia civile delle decisioni matrimoniali canoniche: • Punto finale per l’esclusiva competizione canonica; • Adeguamento al diritto dello Stato è una novità dell’art.6.2 AJ; • Art.80 Codice civile “Le risoluzioni emesse dai tribunali ecclesiastici sulla nullità del matrimonio canonico o sulle decisioni pontificie sul matrimonio inopportuno e non consumato saranno efficaci nell'ordine civile, su richiesta di una delle parti, se dichiarate conformi alla legge dello Stato in una risoluzione emanata dal Giudice civile competente secondo le condizioni di cui all'articolo 954 della legge sulla Procura civile”. • Le condizioni dell’art.954 Ley de Enjuiciamiento Civil (1881) “Se non si trova in nessuno dei casi menzionati nei tre articoli precedenti, gli esecutori avranno forza in Spagna se soddisfano le seguenti circostanze: 1) che l'esecuzione è stata dettata dall'esercizio di un'azione personale; 2) che non è stato dettato in ribellione; 3) che l'obbligo di conformità è stato legittimo in Spagna; 4) che la lettera finale soddisfi i requisiti necessari nel paese in cui è stata rilasciata per essere considerata autentica, e quelli richiesti dalla legge spagnola per avere fiducia in Spagna”. • La distinzione dell’art.778 della legge 1/2000 “1. Nei procedimenti giudiziari richiesti per l'efficacia civile delle risoluzioni dettate dai tribunali ecclesiastici sulla nullità del matrimonio canonico o sulle decisioni pontificie sul matrimonio non consumate, se l'adozione o la modifica di misure non è richiesta, il tribunale emetterà sentenze per il termine dieci giorni all'altro coniuge e alla Procura della Repubblica e risolvere mediante ordinanza ciò che è appropriato in merito all'efficacia nell'ordine civile della decisione o decisione ecclesiastica. 2. Quando la domanda ha richiesto l'adozione o la modifica delle misure, sarà motivata la petizione di efficacia civile della risoluzione o decisione canonica insieme al relativo alle misure, seguendo la procedura che corrisponde in conformità con le disposizioni dell'articolo 770”. • Regolamento UE 2201/2003 relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale rispetto dei Concordati; • Impatto della legge 29/2015 sulla cooperazione giuridica internazionale in materia civile. • Art.46 (cause di negazione del riconoscimento) Ley de Cooperaciòn juridica internacional en materia civile “Le sentenze estere non saranno riconosciute: a) quando erano contrarie all’ordine pubblico; b) Quando la risoluzione è stata emessa con una violazione manifesta dei diritti di difesa di una delle parti. Se la decisione è stata emessa in contumacia, resta inteso che sussiste una violazione manifesta dei diritti della difesa se il convenuto non ha ricevuto un certificato di ubicazione o un documento equivalente su base regolare e con tempo sufficiente per difendersi; c) Quando la decisione straniera è stata pronunciata su una questione rispetto alla quale i tribunali spagnoli sono esclusivamente competenti o, rispetto alle altre questioni, se la giurisdizione del giudice di origine non obbedisce a una connessione ragionevole. L'esistenza di una ragionevole connessione con il contenzioso sarà presunta quando l'organo giurisdizionale straniero ha basato la sua competenza giudiziaria internazionale su criteri simili a quelli previsti dalla legislazione spagnola; d) quando la risoluzione era inconciliabile con una risoluzione emessa in Spagna”. MATRIMONIO DELLE MINORANZE RELIGIOSE NELL’ORDINAMENTO SPAGNOLO Sintesi storica: • Dal XVI sec. al fine del XX sec 1) dall’illegalità alla tolleranza; 2) efficacia indiretta diritto internazionale privato e diritto canonico; • Chiave: Stato confessionale e libertà religiosa limitata; • L’eccezione africana (…) • Legge sulla libertà religiosa del 1967celebrazione religiosa prima o dopo il matrimonio civile Tratti giuridici generali: • La Costituzione del 1978 e le forme del matrimonio; • Ley organica sulla libertà religiosa del 1980 riconoscimento de riti matrimoniali e possibilità di firma di accordi con lo Stato (confessioni iscritte nel RER e dichiarazioni di notorio arraigo); • Codice civile del 1981matrimonio in forma religiosa è legalmente previsto mediante accordo di cooperazione con lo Stato oppure mediante autorizzazione unilaterale dello Stato. Il matrimonio religioso negli Accordi del 1992 con evangelici, ebrei e islamici: • Gli accordi con FEREDE, FCJE e CIE; • Caratteristica generale del sistema adottatoirretroattività, territorialità e ambito personale; • Momento precedente espediente civile (art.56 c.c. e art.7.2 FEREDE e FCJE), certificato civile di capacità matrimoniale (non lo esige l’art.65 c.c. per il matrimonio religioso e neanche l’art.7 dell’Accordo con la CIE) • Indizio di riconoscimento limitato al rito o cerimonia religiosa. • Momento costitutivo davanti a ministro di culto delle Chiese della FEREDE oppure, secondo la normativa formale israelita, davanti a ministro di culto della FCJE oppure, secondo la forma religiosa stabilita dalla legge islamica, davanti a un dirigente religioso o iman. Inoltre vi devono essere 2 testimoni maggiorenni. La riforma del 2015 • La legge 15/2015 riguardo alla giurisdizione volontaria e il nuovo art.60.2 c.c. sono alla base della riforma; • I matrimoni riconosciuti negli Accordi del 1992; 4) che la sentenza è passata in giudicato secondo la legge del luogo in cui è stata pronunciata [per le sentenze di nullità è necessario il decreto di esecutività. Inoltre il protocollo chiarisce che si intendono passate in giudicato le sentenze divenute esecutive secondo la legge canonica]; 5) che essa non è contraria ad altra sentenza pronunciata da un giudice italiano (ne bis in idem); 6) che non è pendente davanti ad un giudice italiano un giudizio per il medesimo oggetto e tra le stesse parti, istituito prima del passaggio in giudicato della sentenza straniera; 7) che la sentenza non contiene disposizioni contrarie all'ordine pubblico italiano. Ai fini dell'attuazione il titolo è costituito dalla sentenza straniera e da quella della corte d'appello che ne dichiara l'efficacia”. Questo ultimo punto ci interessa maggiormente cosa si intende per ordine pubblico? Già la Corte Costituzionale ne aveva parlato nella sentenza n.18 del 1982, dicendo che l’ordine pubblico è quello che presiede (foto) Con l’introduzione del Codice Civile il principio fondamentale del matrimonio era l’indissolubilità; quando è stato firmato il Concordato del 1929 era questo il principio di ordine pubblico che dominava in Italia. Le condizioni sono cambiate quando con l’accordo del 1984 era intervenuta la legge del divorzio dunque l’indissolubilità è stata sostituita da un principio, ossia quello dell’effettività dell’unione Sono intervenute anche le sentenze “gemelle” delle SU della Cassazione del 17 luglio 2014È principio di ordine pubblico la convivenza triennale tra i coniugi. Se i coniugi hanno convissuto come marito e moglie per 3 anni, e poi uno dei due chiede e ottiene la nullità, quando va a chiedere la nullità in Italia, l’altro può opporgli il principio di ordine pubblico. Formalmente le SU hanno dato una giustificazione, prendendola dalle leggi internazionali in materia di adozione i giudici della Cassazione hanno detto che 2 coniugi raggiungono una stabilità di vita dopo 3 anni, perché dopo 3 anni possono adottare un bambino; allora se sono stati insieme per 3 anni hanno raggiunto la comunione. Per cui se uno dei due vuole il riconoscimento della nullità, ma l’altro si oppone, non la può ottenere. Se le parti sono d’accordo, il principio di ordine pubblico non vale e la nullità può essere delibata. Problema: il principio di ordine pubblico non ammette eccezioniè sollevato anche d’ufficio. Se le parti sono d’accordo ottengono la nullità anche dopo 3 anni. Altri motivi di ordine pubblico potrebbero essere ad esempio l’impedimento tipicamente confessionale (se uno dei due chiede la nullità per impedimento confessionale, la sentenza non può essere riconosciuta), oppure la nullità per simulazione, che nell’ordinamento canonico è possibile ma secondo la Cassazione va tutelata la buona fede dell’altro coniugese questo si oppone, la nullità non viene riconosciuta, oppure la tutela del coniuge debole. Prima, fino al 2015, la sentenza di primo grado doveva essere confermata in appello (con un’altra sentenza o un decreto). Solo con 2 sentenze conformi si poteva andare a chiedere il decreto di esecutività. Ora la c.d. doppia conforme è stata abolitabasta una sentenza. Se la sentenza non viene appellata (termine di 15 giorni), il tribunale fa un decreto esecutorio, dove dice che la sentenza non può più essere appellata. Solo dopo tale decreto, si può andare in Signatura a chiedere il decreto di esecutività per andare in appello. C’è un’altra novitàc.d. processo brevior: quando la domanda per la nullità è congiunta e la prova è evidente, la nullità può seguire un percorso che può chiudersi in 45 giorni davanti ad un vescovo. La Corte d’appello di Milano e la Corte d’appello di lecce hanno delibato senza problemi anche le sentenze di nullità breve. Legge 218 del 1995ha abrogato gli articoli 796 e 797, prevendendo un meccanismo di riconoscimento quasi automatico delle sentenze straniere. Oggi tali sentenze vengono trascritte in italiano e registrate nei registri di Stato civile, successivamente si può fare opposizione. Per le sentenze di nullità invece è previsto ancora un procedimento che, nonostante dovesse essere di favore, appesantisce il riconoscimento, cioè lo rende rarissimo. La legge 218 non può applicarsi alle sentenze di nullità matrimoniali perché l’accordo dell’84 è un trattato internazionale e la legge 218 fa salvi tutti i trattati internazionali. (foto) Tendenzialmente la Cassazione è sempre stata contraria al riconoscimento della nullità, perché in Italia quando il matrimonio è nullo si applica il c.d. matrimonio putativo. (franci). L’oggetto del giudizio nel processo di nullità matrimoniale e nel processo di divorziofoto Con la nullità si chiede l’invalidità del matrimonio (il matrimonio è come se non fosse mai esistito); nel divorzio è diverso sia il petitum sia la causa petendi, però la dottrina e la giurisprudenza fa leva sul fatto che in entrambi i casi l’esito del giudizio in Italia è l’assetto dei rapporti tra le parti. Per questo si potrebbero porre questioni su litispendentia o ne bis in idem.