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Diritto della previdenza sociale, Sintesi del corso di Diritto della Previdenza Sociale

Riassunto libro Fondamenti di diritto della previdenza sociale

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 19/12/2019

Lockhart96
Lockhart96 🇮🇹

4.6

(10)

8 documenti

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Scarica Diritto della previdenza sociale e più Sintesi del corso in PDF di Diritto della Previdenza Sociale solo su Docsity! FONDAMENTI DI DIRITTO DELLA PREVIDENZA SOCIALE CAPITOLO I – ORIGINI ED EVOLUZIONE DELLA PREVIDENZA SOCIALE 1. Premessa Il sistema previdenziale, essendo stato creato durante il periodo corporativo, prevedeva tutele destinate unicamente ai datori di lavoro e ai lavoratori. Si riteneva che tra contributi e prestazioni previdenziali intercorresse una relazione di corrispettività perché l’ammontare delle prestazioni era rigorosamente proporzionato ai contributi versati, mentre il mancato versamento di questi ultimi escludeva il diritto alle prestazioni. Al contrario, con la Costituzione repubblicana si estese la tutela previdenziale a tutti i cittadini. 2. Origine della previdenza sociale Le trasformazioni economiche e sociali determinate dalla rivoluzione industriale posero in piena evidenza il problema di quanti si trovassero in condizioni di bisogno: questo perché il fenomeno dell’industrializzazione, dell’inurbamento e dei bassi livelli salariali resero praticamente impossibile continuare a fare ricorso alla tradizionale beneficienza familiare e resero inadeguati gli interventi di beneficienza pubblica e privata. La prima manifestazione di quella che poi sarà la previdenza sociale fu determinata dalla spontanea iniziativa dei lavoratori interessati: le società di mutuo soccorso, associazioni volontarie di lavoratori, realizzarono la solidarietà tra gli associati provvedendo, con i loro contributi, ad erogare prestazioni a chi si fosse trovato in condizioni di bisogno a causa di malattia, di infortunio o di invalidità, nonché una pensione agli associati che avessero raggiunto un’età che li rendeva inabili ad un lavoro proficuo o un’erogazione una tantum ai familiari degli associati defunti. Esse si rivelarono solo parzialmente idonee a risolvere il problema, poiché a queste potevano iscriversi solo i lavoratori meglio retribuiti, così da poter sostenere l’onere economico della contribuzione, mentre i difetti del sistema e la tendenza dei giovani a costituire nuove mutue furono fattori che portarono alla progressiva decadenza di questo sistema. L’atteggiamento dello Stato cominciò a modificarsi quando l’attenzione dei politici e dell’opinione pubblica fu richiamata dal grave problema degli infortuni sul lavoro, sempre più frequenti con l’intensificarsi dell’industrializzazione. La legge 80/1898 rese obbligatoria, per i datori di lavoro, l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro: questa non era limitata agli infortuni determinati da colpa del datore di lavoro, ma era estesa anche agli infortuni determinati da caso fortuito, forza maggiore o anche colpa non grave del lavoratore. Nello stesso periodo, con l’istituzione della Cassa nazionale di previdenza per la vecchiaia e per l’invalidità degli operai (l. 350/1898), vennero poste le premesse per una più ampia solidarietà tra i lavoratori, che con il tempo diverrà poi anch’essa obbligatoria e che vedrà la partecipazione finanziaria anche dei datori di lavoro (d. lgs. 603/1919). 3. La previdenza sociale nel periodo precorporativo e corporativo La tutela previdenziale, nata volontaria, diventa dapprima obbligatoria e infine necessaria, ovvero opera ex lege e prescindendo del tutto da eventuali inadempimenti riguardanti la contribuzione. Nonostante ciò la realizzazione della tutela previdenziale continua ad essere considerata un compito proprio delle categorie interessate, sulle quali ricade solo l’onere di finanziarne l’attuazione. Lo Stato si limita a dar vita a nuovi istituti, a dettare legge sulla disciplina dei rapporti, ma raramente interviene per finanziare o per favorire la solidarietà dei gruppi. Durante il periodo corporativo, all’originaria concezione del rischio professionale, venne affiancata una concezione più ampia: quella della solidarietà corporativa tra datori e prestatori di lavoro, ispirata alla realizzazione dell’interesse pubblico dell’economia, nel quale si pretendeva di risolvere autoritativamente il conflitto sociale. Questa nuova concezione consentì l’estensione o il completamento della tutela previdenziale, estendendola anche a rischi non direttamente connessi allo svolgimento di un’attività lavorativa, come l’invalidità, le malattie comuni o la morte. 4. L’idea della sicurezza sociale a partire dal secondo dopoguerra L’ulteriore evoluzione della previdenza sociale si ha nell’immediato secondo dopoguerra, con l’affermarsi dell’idea della sicurezza sociale: questa esprime l’esigenza che venga garantita a tutti i cittadini la libertà dal bisogno, in quanto questa libertà è ritenuta condizione indispensabile per l’effettivo godimento dei diritti civili e politici. A ragione della situazione sociale ed economica determinata dalla guerra, viene attuata la riforma inglese, soprattutto grazie alla teorizzazione di Lord Beveridge (1948). Nella varietà dei modi di attuazione si possono individuare due principi fondamentali: - il decisivo intervento dello stato, che assume tra i suoi fini la realizzazione della tutela previdenziale e la progressiva estensione di questa a nuove situazioni di bisogno e a nuove categorie di soggetti, anche nell’ambito del lavoro subordinato; - la definitiva constatazione che, nella società contemporanea, la condizione umana ha finito per coincidere con la condizione di chi lavora. 5. L’evoluzione della previdenza sociale nelle disposizioni della Costituzione L’idea della sicurezza sociale è stata accolta nel nostro ordinamento per effetto dell’accoglimento, in Costituzione, del principio secondo cui è compito dello stato rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, sociale ed economica del Paese (art. 3, co. 2 Cost.). Tale principio sta quindi a significare che la liberazione dal bisogno corrisponde ad un interesse riferibile a tutta la collettività. In particolare l’art. 38 prevede che: ‘Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale’ ‘I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria’ ‘Gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale’ ‘Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato’ ‘L'assistenza privata è libera’ L’evoluzione del nostro sistema previdenziale è stato segnato da questa disposizione che costituisce il suo fondamento: la tutela di chi vive del proprio lavoro non resta più affidata alle categorie interessate, ma diviene un’espressione necessaria della solidarietà di tutta la collettività. Secondo la Costituzione, l’intervento statale non può limitarsi alla predisposizione degli organi e degli istituti necessari ma deve tendere all’effettiva realizzazione della tutela dei soggetti protetti, realizzazione che costituisce un fine fondamentale dello Stato, nel senso che ad essa corrisponde un interesse pubblico immediato e diretto. Le prestazioni previdenziali devono essere adeguate alle esigenze di vita della famiglia del lavoratore e quindi devono essere forniti mezzi adeguati alle esigenze di vita e una retribuzione proporzionata e sufficiente. 6. L’evoluzione della previdenza sociale nella legislazione ordinaria complementare occupa una posizione particolare, diversa da quella delle assicurazioni private, poiché essa realizza una forma di solidarietà meritevole di particolare tutela. 14. Le esigenze di razionalizzazione del sistema della previdenza sociale La crisi finanziaria che caratterizza il nostro sistema è stata determinata da diversi fattori. Da un lato, l’equilibrio finanziario delle gestioni pensionistiche è stato turbato dall’introduzione di miglioramenti delle prestazioni e dall’ampliamento del campo di applicazione della tutela previdenziale senza che fosse prevista un’adeguata copertura finanziaria. Dall’altro lato, per i regimi pensionistici, quella crisi è stata determinata anche dalle profonde modificazioni del rapporto esistente tra pensionati e lavoratori in servizio: il costante aumento della disoccupazione unito alla diminuzione della popolazione in età da lavoro e la frammentarietà della contribuzione dei lavoratori atipici hanno ridotto inevitabilmente il gettito della contribuzione previdenziale, mentre l’aumento del numero dei pensionati e il costante aumento della speranza di vita hanno portato ad un aumento dei costi determinati dall’erogazione delle pensioni. A ciò bisogna aggiungere che le contribuzioni versate nel tempo si sono rivelate inadeguate a compensare la costante lievitazione dei trattamenti pensionistici, se ragguagliati alle ultime retribuzioni. Per il Servizio sanitario nazionale la perdurante assenza di una coerente ed efficace programmazione e la conseguente carenza di coordinamenti, unite alla mancanza di educazione sanitaria e agli sperperi di gestione, hanno determinato costi sempre crescenti, ai quali corrisponde una tutela della salute inadeguata e incompleta. 15. La razionalizzazione del sistema pensionistico L’esigenza di realizzare l’equilibrio finanziario delle gestioni pensionistiche ha ispirato numerosi provvedimenti legislativi a partire dal 1992. Tali provvedimenti hanno introdotto numerosi elementi di razionalizzazione sia perché hanno avviato un’omogeneizzazione delle tutele sia perché hanno previsto modifiche dei criteri di calcolo delle prestazioni pensionistiche, per ridurne progressivamente il livello, e più rigorosi requisiti d’accesso. Per attenuare gli effetti della riduzione di tutela derivante dalla razionalizzazione, il legislatore ha anche tentato di favorire il ricorso alla previdenza privata e quindi volontaria. L’obbiettivo della definitiva stabilizzazione del rapporto tra spesa previdenziale e PIL è stato perseguito soprattutto dalla l. 335/1995 che ha introdotto radicali modifiche non solo ai criteri ma anche al sistema di calcolo delle prestazioni pensionistiche. Tali modifiche e la circostanza che il titolo della legge è ‘riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare’ hanno indotto alcuni commentatori a ritenere che sarebbe stata introdotta una vera e propria riforma del nostro sistema previdenziale. Questa opinione si basa sulla reintroduzione del sistema di calcolo delle pensioni che assume come base la contribuzione versata ormai non più nell’ultimo periodo dell’attività lavorativa, ma nell’interno arco di quest’ultima. A tale reintroduzione corrisponderebbe una significativa inversione di tendenza del sistema e una vera e propria riforma, in quanto il principio di solidarietà sarebbe stato sostituito con quello della rigorosa corrispettività tra contributi versati e prestazioni pensionistiche, segnando così un ritorno alle concezioni che avevano ispirato il sistema previdenziale durante l’ordinamento corporativo. La differenza tra pensione retributiva e contributiva consta nel fatto che nella prima l’ammontare della pensione è determinato direttamente sulla base delle retribuzioni percepite, nella seconda si fa riferimento alla contribuzione previdenziale e all’età di ingresso in pensione. L’esiguità delle risorse disponibili ha finito per accentuare la tendenza a condizionare l’importo delle prestazioni previdenziali non più al bisogno, ma all’ammontare dei contributi versati; così non è solo per la cosiddetta pensione integrativa ma anche per le nuove prestazioni per la disoccupazione. Nonostante ciò, il sistema pensionistico continua ad essere prevalentemente ispirato al principio di solidarietà ed infatti sono stati conservati sia il determinante contributivo finanziario dello Stato sia la tecnica di ripartizione, espressione entrambi di solidarietà generale tra le generazioni. La riforma Dini non ha quindi determinato una riforma del sistema pensionistico in quanto non ne ha modificato l’ispirazione che continua ad essere conforme alle convenzioni di politica previdenziale risultanti dai principi costituzionali: ha piuttosto introdotto un’ulteriore razionalizzazione riconducendo la funzione del sistema pensionistico alla liberazione delle effettive situazioni di bisogno. Gli interventi legislativi della fine del secolo scorso avevano attenuato solo in parte le preoccupazioni suscitate dalla perdurante crisi finanziaria delle gestioni pensionistiche, tant’è che negli ultimi tempi è stata nuovamente avvertita l’esigenza o di una riforma o di un’ulteriore razionalizzazione del sistema che concorresse a ristabilire l’equilibrio finanziario delle gestioni. Questa esigenza è stata soddisfatta dapprima con la legge 243/2004 che ha introdotto nuovi elementi di razionalizzazione: con tale provvedimento il legislatore ha delegato il Governo ad emanare norme aventi forza di legge per liberalizzare l’età pensionabile, per eliminare progressivamente il divieto di cumulo tra pensioni e redditi di lavoro, per rivedere il principio di totalizzazione dei periodi assicurativi estendendone l’applicazione e per sostenere lo sviluppo delle forme di previdenza complementare. Sempre la stessa legge ha modificato soprattutto la disciplina della pensione di anzianità e ciò perché l’onere derivante dall’erogazione delle pensioni di anzianità, incide in modo determinante nella formazione del deficit dei bilanci delle gestioni pensionistiche, soprattutto perché quella pensione viene erogata per notevoli periodi di tempo in quanto spettante a quei soggetti che ancora sono in età relativamente giovane. Infine il legislatore è nuovamente intervenuto a modificare la disciplina del nostro sistema ancora una volta in un’ottica di razionalizzazione delle risorse disponibili e al fine di meglio garantire la stabilità economico-finanziaria e il rafforzamento della sostenibilità di lungo periodo del sistema pensionistico, attraverso la riduzione della incidenza della spesa previdenziale sul PIL. 16. L’influenza delle fonti sovranazionali sull’evoluzione del sistema A livello internazionale, vanno ricordate soprattutto le Convenzioni dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL). Di particolare rilievo sono almeno due convenzioni: la prima è la convenzione n. 102/1952 sulla norma minima di sicurezza sociale, che prevede un sistema di protezione sociale basato su livelli elementari per rendere tale sistema accessibile anche ai paesi meno sviluppati; la seconda è la convenzione n. 118/1962 sulla parità di trattamento dei cittadini e degli stranieri in materia di sicurezza sociale. A livello di fonti europee, la materia trova una disciplina unitaria nel Regolamento (CEE) del Consiglio del 14 giugno 1971, n. 1408, concernente l’applicazione di regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, autonomi e ai loro familiari che si spostano all’interno dell’attuale UE. I principi base su cui è incentrato l’ordinamento europeo sono essenzialmente due: a) la territorialità del regime previdenziale per cui il lavoratore è soggetto alla legislazione dello Stato membro dove lavora anche se risiede in un altro Stato, ovvero l’impresa legale ha sede legale in uno Stato diverso; b) la totalizzazione dei periodi assicurativi, per cui devono cumularsi tutti i periodi assicurati presso diverse gestioni nazionali sia per l’acquisizione e il mantenimento del diritto alle prestazioni, sia per il calcolo delle stesse. Tali principi non operano con riguardo alle prestazioni che non sono condizionate dal versamento di una contribuzione, collegate normalmente alla situazione finanziaria e reddituale del soggetto beneficiario e alla sua residenza abituale. CAPITOLO II – IL SISTEMA GIURIDICO DELLA PREVIDENZA SOCIALE 17. Sistema giuridico della previdenza sociale e rapporto giuridico previdenziale La realizzazione della tutela previdenziale è compito anzitutto dello Stato: l’erogazione delle prestazioni previdenziali è affidata ad enti detti previdenziali, i quali reperiscono i mezzi necessari per la realizzazione del loro fine istituzionale dalla contribuzione obbligatoria posta a carico dei soggetti protetti, nonché dei soggetti che si trovano con questi ultimi in determinati rapporti, e dal concorso finanziario statale. Chi partecipa alla realizzazione sarà quindi: lo Stato, gli enti previdenziali, i soggetti tenuti al pagamento dei contributi e i soggetti protetti, aventi diritto come tali alle prestazioni previdenziali. 18. Il rapporto giuridico previdenziale secondo la dottrina tradizionale Secondo la dottrina tradizionale il rapporto giuridico previdenziale avrebbe una struttura analoga a quello che deriva dal contratto di assicurazione privata: questo sarebbe formato dal rapporto intercorrente tra i lavoratori e l’istituto assicuratore e da quello intercorrente tra quest’ultimo e i datori di lavoro, senza inglobare all’interno i rapporti dei quali lo Stato è parte. 21. Mutualità e solidarietà nel sistema giuridico della previdenza sociale La struttura mutualistica non appare idonea a realizzare il fine della previdenza sociale, posto che ad esso corrisponde ormai un interesse pubblico, che deve essere immediatamente e necessariamente realizzato e rispetto al quale gli interessi privati finiscono per essere necessariamente subordinati. A dimostrazione di ciò il fatto che ormai i mezzi necessari per la realizzazione della tutela previdenziale sono reperiti attraverso il finanziamento pubblico: l’onere previdenziale è sostenuto anche dai soggetti che beneficiano della tutela, ma non sussistono comunque le caratteristiche proprie della mutualità e manca il sistema di reciprocità tra i soggetti esposti al rischio. Nelle varie forma di previdenza sociale è prevalsa la tendenza verso l’adozione del sistema finanziario detto della ripartizione: tale sistema prevede che l’importo delle contribuzioni siano proporzionate all’onere delle prestazioni man mano che queste vengono erogate ed ha sostituito quello della capitalizzazione, già prevalente nella forma del premio medio generale, per il quale la contribuzioni doveva essere proporzionale all’onere finanziario derivante dal numero degli eventi che si sarebbero verificati in futuro, stimato secondo il calcolo delle probabilità. Ciò significa che l’onere dell’erogazione delle prestazioni previdenziali a favore di quei lavoratori che si trovano in situazioni di bisogno non è coperto con il gettito di contributi che essi hanno versato, ma ricade su quella parte della popolazione che in quel momento è attiva e quindi sta lavorando. E’ quindi assente quell’identità tra soggetti esposti al rischio e coloro tra i quali sono ripartite le conseguenze del verificarsi di quest’ultimo, che caratterizza la struttura mutualistica. 25. Gli enti previdenziali come enti strumentali Gli enti pubblici possono essere definiti enti pubblici strumentali, qualora fungano da strumenti per la realizzazione di fini fondamentali dello Stato. Quando sussiste solo una connessione e non una coincidenza fra gli interessi dello Stato e quelli dell’ente pubblico, quest’ultimo gode di una certa autonomia. Lo Stato affida agli enti previdenziali il perseguimento di fini che sono suoi e provvede anche al reperimento dei mezzi che sono necessari al loro raggiungimento e ciò avviene essenzialmente in due modi: scopo per cui vengono erogate le prestazioni sanitarie è esclusivamente quello di sollevare determinati soggetti dal bisogno delle cure sanitarie necessarie per riacquisire la salute. Va inoltre ricordate che la tutela previdenziale si estende a tutti i cittadini ultrasessantacinquenni che si trovano in disagiate condizioni economiche. Viene infine stabilito che quando all’interno di regolamenti, leggi, disposizioni, sono contenute le parole coniuge o coniugi o termini equivalenti questi si riferiscono anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso. 48. I soggetti protetti: i lavoratori stranieri Soggetti protetti sono anche i lavoratori stranieri che lavorano regolarmente in Italia come lavoratori subordinati, autonomi, parasubordinati, liberi professionisti e imprenditori. Essi sono assoggettati all’obbligo di versare i contributi previdenziali ai loro datori di lavoro o committenti e hanno diritto alle stesse prestazioni pensionistiche previste per i lavoratori italiani, inclusi i trattamenti pensionistici per vecchiaia, invalidità e superstiti. Tuttavia il principio di parità di trattamento soffre di due eccezioni: - l’art. 25 del d. lgs. n. 286/1998 prevede che agli stranieri titolari di permesso di soggiorno per lavoro stagionale si applichino solo alcune forme di previdenza e assistenza obbligatoria e non l’assegno per il nucleo familiare e l’assicurazione contro la disoccupazione involontaria; - l’art. 3 della legge 335/1995 stabilisce che il lavoratore straniero che desideri tornare nel proprio paese di origine e cessare l’attività lavorativa in Italia, non può richiedere la liquidazione dei contributi versati. Ma dal 2002 questa regola è stata eliminata: i cittadini extracomunitari che rimpatriano non possono più chiedere rimborso della contribuzione versata, ma in caso di rimpatrio il lavoratore conserva i diritti previdenziali e di sicurezza sociali maturati e può goderne a partire dal 65° anno di età. I lavoratori privi di permesso di soggiorno o con permesso scaduto restano invisibili al sistema della tutela previdenziale. Nel 2012 tuttavia è stato previsto che il datore di lavoro, qualora occupi alle proprie dipendenze lavoratori stranieri privi di permesso di soggiorno, è tenuto a pagare non solo la retribuzione, ma anche le somme dovute a fini contributivi e fiscali. 49. Specie e funzione delle prestazioni previdenziali Le prestazioni previdenziali sono determinate dalla legge, in relazione ad ogni singolo evento protetto, e queste possono essere economiche, quando consistono nell’erogazione di denaro, oppure sanitarie, quando hanno ad oggetto l’assistenza medico-chirurgica, ambulatoriale, di ricovero in casa di cura, la somministrazione di medicinali. Nel caso in cui l’infortunato sul lavoro si rifiuti, senza giustificato motivo, di sottoporsi alle cure mediche ritenute necessarie dall’Istituto erogatore ai fini del recupero dell’attitudine al lavoro, perderebbe il diritto alle indennità pecuniarie. Diversamente accade per la tutela per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti. Nei casi in cui si fosse potuto evitare o ritardare ad un soggetto protetto di rimanere invalido ovvero si fosse potuto eliminare o ritardare l’invalidità già accertata, mediante opportune cure mediche, l’ente previdenziale non può imporre tali cure al soggetto protetto e in caso di rifiuto non si ha la soppressione o la riduzione delle prestazioni economiche. 50. Prestazioni previdenziali, retribuzione e reddito lavorativo Il principio fondamentale del nostro sistema è che il compito dello Stato, da realizzare attraverso la previdenza sociale, è quello di garantire a tutti i cittadini il minimo essenziale alle esigenze di vita, mentre il mantenimento del livello di vita raggiunto durante il normale svolgimento dell’attività lavorativa non rientra nei compiti dello Stato, bensì tra quelli propri degli individui e dei gruppi. 54. Il rischio nel sistema giuridico della previdenza sociale Nel sistema giuridico della previdenza sociale le conseguenze del verificarsi di determinati eventi, da cui deriva una situazione di bisogno per chi vive del proprio lavoro, vengono sopportate dagli enti previdenziali, i quali sono obbligati ad erogare le prestazioni previdenziali, al verificarsi dell’evento. CAPITOLO V – LA TUTELA PER GLI INFORTUNI SUL LAVORO E LE MALATTIE PROFESSIONALI 56. Origine ed evoluzione Una tutela contro gli infortuni sul lavoro fu prevista per la prima volta alla fine del XIX secolo: la l. 80/1898 impose ai datori di lavoro dell’industria l’obbligo di assicurarsi per la responsabilità civile dei danni derivanti dagli infortuni sul lavoro di cui fossero rimasti vittima i loro operai in funzione di garantire questi ultimi contro l’ulteriore rischio dell’insolvenza del datore di lavoro, responsabile dell’infortunio. Questa assicurazione obbligatoria poteva essere stipulata con qualsiasi assicuratore, anche privato e assumeva una dimensione speciale non solo perché obbligatoria, ma perché la tutela era estesa anche agli infortuni derivanti da caso fortuito, forza maggiore o colpa non grave del lavoratore e cioè a infortuni dei quali il datore di lavoro non sarebbe stato responsabile. Il regio decreto n. 264/1933 affidò la gestione della tutela contro gli infortuni ad un ente pubblico, l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL). 57. Il fondamento della tutela Al momento della sua istituzione, il fondamento della tutela contro gli infortuni sul lavoro era, ed è ancora, finanziata con i contributi posti esclusivamente a carico dei datori di lavoro. I datori di lavoro che espongono i loro dipendenti al rischio dell’infortunio e che traggono utilità dall’attività lavorativa che essi svolgono nel loro interesse, devono sopportare anche le conseguenze negative del verificarsi di quel rischio. 59. L’organizzazione amministrativa La tutela per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali è affidata dalla legge all’INAIL: questo ha una struttura centrale e si articola in sedi periferiche, specialmente per l’erogazione delle prestazioni economiche, con competenza estesa all’ambito di ciascuna provincia. Gli originari compiti di assistenza sanitaria sono svolti dal Servizio Sanitario Nazionale, mentre restano ancora attribuite all’INAIL le funzioni concernenti le attività medico-legali e i relativi accertamenti e verifiche. 60. L’ambito di applicazione della tutela per gli infortuni sul lavoro nell’industria: a) le lavorazioni pericolose Nonostante l’estensione teorica dell’ambito soggettivo della tutela infortunistica, questa continua a restare limitata solo ai lavoratori la cui attività comporti una più intensa esposizione al rischio dell’infortunio. L’ambito di applicazione della tutela, eccetto che per i lavoratori agricoli, è delimitato dalla legge in base a due criteri che devono trovare applicazione in concorrenza tra loro: il primo attiene alle lavorazioni considerate pericolose e il secondo attiene alle persone ammesse dalla tutela. Le lavorazioni pericolose a loro volta sono definite secondo due criteri: - la legge fa riferimento alla pericolosità derivante sia dall’attività svolta sia dall’ambiente in cui si svolge l’attività. La legge considera quindi pericolosi i lavori che comportano l’uso di macchine mosse non direttamente dalla persona che le usa, ovvero l’uso di apparecchi a pressione, apparecchi o impianti elettrici o termici. La legge ritiene che la pericolosità della macchina sussista per gli addetti che sono esposti al pericolo di infortunio direttamente prodotto dalle macchine, apparecchi o impianti, ma se la macchina è inserita in un laboratorio o in un ambiente organizzato, la legge la considera pericolosa non solo per la persona addetta, ma anche per tutte quelle che comunque lavorano in quello stesso ambiente; - il legislatore ha infine escluso dall’ambito di applicazione della tutela per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali nell’industria il personale delle forze di polizia e delle forze armate, che rimane quindi assoggettato alla disciplina prevista dai rispettivi ordinamenti. 65. L’infortunio sul lavoro: b) colpa e dolo del soggetto protetto; il rischio elettivo Il nesso che deve intercorrere tra il lavoro e l’infortunio non è interrotto dall’eventuale colpa del lavoratore, almeno quando questa si concreti nell’imprudenza, nella negligenza o nell’imperizia attinenti alla esecuzione della sua prestazione di lavoro. La legge esclude il diritto alle prestazioni solo quando l’infortunio consegue ad un comportamento doloso del soggetto protetto e in caso di autolesionismo, confermando l’equiparazione della colpa del lavoratore al caso fortuito. Per contro, è opinione diffusa che, ove il comportamento colposo non sia collegato all’esecuzione del lavoro, venga meno l’occasione di lavoro (es. stato di ubriachezza), ovvero quando il soggetto pone in essere dei comportamenti che non sono riconducibili all’adempimento dell’obbligazione di lavoro. 68. L’infortunio sul lavoro: e) la lesione Il diritto alle prestazioni previdenziali sorge quando dall’infortunio derivi la morte o l’inabilità al lavoro. L’inabilità da lavoro deve essere intesa come eliminazione o riduzione delle attitudini psicofisiche del soggetto protetto a svolgere attività lavorativa: essa pertanto non va accertata con riguardo alle alterazioni anatomofisiologiche che sono conseguenza dell’infortunio, ma con riguardo all’inabilità al lavoro che ne deriva. Di recente, la legge ha esteso la nozione di lesione ricomprendendovi anche le lesioni all’integrità psicofisica del lavoratore, indipendentemente dalla capacità di produzione di reddito e dall’esistenza di un’inabilità al lavoro. L’inabilità può essere di due tipi: - inabilità temporanea: si ha quando le conseguenze dell’infortunio sono sanabili nel tempo e il soggetto può recuperare completamente le sue attitudini di lavoro. In questo caso il diritto alle prestazioni previdenziali sorge solo quando si tratti di un’inabilità assoluta che impedisca totalmente all’infortunato di lavorare e quindi quando si tratti di inabilità specifica, ovvero riferita al lavoro effettivamente svolto dal soggetto protetto al momento dell’infortunio. - inabilità permanente: si ha quando le conseguenze dell’infortunio sono destinate a durare per tutta la vita e, al contrario dell’inabilità temporanea che deve essere specifica, questa deve avere carattere generico, ovvero deve essere riferita a qualsiasi lavoro proficuo. L’inabilità permanente può essere a sua volta assoluta o parziale. Nel caso di inabilità parziale, già calcolata secondo tabelle che elencavano un certo numero di menomazioni tipiche e per ciascuna di esse fissavano un corrispondente grado di riduzione dell’attitudine al lavoro, viene attualmente calcolata sulla base della tabella delle menomazioni del d. m. 12 luglio 2000. Per aver diritto alle prestazioni previdenziali, le attitudini al lavoro, nel caso di inabilità permanente parziale, devono essere ridotte in misura superiore al 10%. 69. Danno estetico Il cosiddetto danno estetico, ovvero la lesione che consiste in un’alterazione dell’estetica, quando deriva da un infortunio sul lavoro, dà luogo al diritto a prestazioni previdenziali solo se incide su attitudini al lavoro del soggetto protetto. La riduzione della capacità di lavoro, secondo la giurisprudenza, non deve necessariamente essere determinata da una lesione fisica. Ne deriva quindi che questo tipo di danno, quando per la ripugnanza che suscita crei Nei casi in cui il lavoratore rimane sospeso, in quanto è impossibilitato a prestare la sua attività, la legge dispone, in casi tassativi e insuscettibili di applicazione analogica, che vengano accreditati, d’ufficio o su domanda dell’interessato, i cosiddetti contributi figurativi, il cui ammontare è posto a carico della gestione pensionistica o della gestione erogatrice del trattamento. I periodi coperti da contribuzione figurativa sono: servizio militare, malattia e infortunio, assenza da lavoro per donazione di sangue, congedo per maternità o paternità, congedo parentale, riposi giornalieri per allattamento, assenze da lavoro per malattia del bambino, congedo per gravi motivi familiari. I contributi figurativi vengono accreditati anche durante i periodi di disoccupazione e di ricovero. 100. Le prestazioni di invalidità: a) requisiti, domanda, decorrenza La domanda per ottenere le prestazioni di invalidità costituisce un onere per il soggetto protetto: ad essa deve essere allegato un certificato medico ed ogni altro documento idoneo a provare l’esistenza di uno stato invalidante. La presentazione della domanda produce molteplici effetti: costituisce il punto di riferimento per accertare l’esistenza di requisiti contributivi; determina la decorrenza dei trattamenti di invalidità che vengono erogati dal primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda; fa decorrere il termine di 120 giorni entro il quale l’INPS è tenuto ad erogare la pensione e trascorso il quale sono dovuti gli interessi legati. Il sorgere del diritto alle prestazioni è condizionato a requisiti contributivi essendo richiesto che l’assicurato possa far valere almeno 5 anni di contribuzione, di qualunque tipo, anche non continuativa, di cui almeno 3 nel quinquennio immediatamente precedente la domanda della prestazione. Tali requisiti devono esistere al momento della presentazione della domanda e a tale momento, deve essersi già verificata l’invalidità. La legge ha stabilito che le prestazioni di invalidità debbono essere ugualmente erogate anche quando i requisiti richiesti per il sorgere del relativo diritto, pur non sussistendo alla data della domanda, risultino tuttavia posseduti prima della sua definizione o della decisione del successivo ricorso in via amministrativa. In questo caso, la decorrenza è spostata al primo giorno del mese successivo a quello in cui quei requisiti si sono verificati. La legge ha anche disposto che il giudice, nel decidere le controversie in materia di invalidità pensionabile, debba tener conto dell’eventuale aggravamento della malattia nonché di tutte le infermità comunque incidenti sul complesso invalidante, ancorchè si siano verificate nel corso tanto del procedimento amministrativo che di quello giudiziario. La legge ha previsto l’obbligo degli uffici dell’INPS di procedere alla liquidazione della pensione, qualora nel corso dell’istruttoria di una domanda di pensione di invalidità risulti accertato che il lavoratore sia in possesso dei requisiti per la pensione di vecchiaia e di anzianità. 102. Le prestazioni di invalidità: c) la nuova nozione di invalidità e quella di inabilità professionale La legge considera invalido il soggetto protetto la cui capacità di lavoro, in occupazione confacenti alle sue attitudini, sia ridotta in modo permanente a causa di difetto fisico o mentale di un terzo. Va comunque notato che la nuova nozione di invalidità non si riferisce ad una generica riduzione della capacità di lavoro, ma alla riduzione della specifica capacità di lavoro in occupazione confacenti alle attitudini del soggetto protetto, le quali devono essere individuate facendo riferimento alla sua specifica personalità professionale e alle sue conoscenze tecniche, alle sue esperienze di lavoro e alle sue eventuali capacità di adattamento. La legge considera invece inabile il soggetto protetto che a causa di un’infermità o difetto fisico o mentale si trovi nell’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa e questa nozione non sembra presentare difficoltà interpretative. 103. L’assegno ordinario di invalidità Invalidità e inabilità danno luogo all’erogazione di prestazioni previdenziali differenti. L’invalido, ove sussistano i requisiti di assicurazione e di contribuzione, ha diritto ad un assegno, non reversibile per i superstiti. Tale assegno viene erogato per un periodo di tre anni, ma se permane lo stato di invalidità, può essere prorogato per periodi della stessa durata, sotto richiesta del soggetto stesso. Dopo tre riconoscimenti consecutivi la legge prevede che l’assegno di invalidità sia confermato automaticamente e cioè assume carattere di erogazione permanente tipico della pensione, salva la possibilità di una revisione. Il legislatore dispone che al compimento dell’età stabilita per il diritto alla pensione di vecchiaia, l’assegno di invalidità si trasformi in pensione di vecchiaia, mentre non è consentita la conversione da pensione di invalidità a pensione di anzianità. 104. La pensione di inabilità Il soggetto inabile ha invece diritto alla pensione di inabilità, a condizione che cessi del tutto l’attività lavorativa, ma anche che si abbia la cancellazione da qualsiasi elenco o albo professionale e che espressamente rinunci ai trattamenti di disoccupazione o ad ogni altro trattamento previdenziale. La pensione di inabilità è incompatibile con i compensi per attività di lavoro autonomo o subordinato, svolto sia in Italia che all’estero, ed è cumulabile con l’eventuale rendita da infortunio sul lavoro o malattia professionale solo per la parte eventualmente eccedente l’ammontare di tale rendita. La pensione di inabilità, reversibile ai superstiti, è costituita da una somma pari all’importo dell’assegno di invalidità integrato da una maggiorazione di un importo tale da elevare l’ammontare dell’assegno stesso alla misura che sarebbe spettata ove l’inabilità si fosse verificata al raggiungimento dell’età pensionabile. La prestazione non ha durata prefissata a differenza di quanto accade per l’invalidità. La pensione di inabilità non si trasforma automaticamente in pensione di vecchiaia, ma perché ciò avvenga è necessario che il pensionato possa far valere i requisiti di età e di contribuzione previsti per tale prestazione e presenti apposita domanda all’ente. 109. Revisione dell’assegno di invalidità e la pensione privilegiata di inabilità La legge prende in considerazione la possibilità che lo stato di invalidità o di inabilità possano subire delle modifiche nel tempo. Si prevede che il titolare possa essere sottoposto, su richiesta dell’INPS, ad accertamenti sanitari per la revisione dello stato di invalidità o di inabilità che ha dato luogo al riconoscimento del diritto alle rispettive prestazioni. Pertanto nel caso vengano constate condizioni mutata, rispetto a quelle originariamente accertate, viene adottato il conseguente provvedimento di revoca del trattamento liquidato. L’erogazione del trattamento viene anche sospesa per il periodo per il quale l’interessato si rifiuti, senza giustificato motivo, di sottostare agli accertamenti sanitari necessari. Qualora nei confronti del titolare di pensione di inabilità venga accertato un recupero solo parziale e sussistono gli estremi per l’attribuzione del diritto all’assegno di invalidità, la pensione di inabilità viene revocata e viene riconosciuto il diritto all’assegno di invalidità e nel caso in cui vi sia un aggravamento, è riconosciuto il diritto al passaggio da pensione di invalidità a pensione di inabilità. Nell’ipotesi in cui la pensione di inabilità cessi in seguito al recupero della capacità lavorativa da parte del titolare, i periodi di godimento della pensione di inabilità sono considerati come contribuzione figurativa. La revisione dello stato di invalidità o inabilità accertato può essere richiesta anche dallo stesso titolare della prestazione. 110. La pensione ai superstiti La pensione ai superstiti è volta ad aiutare i familiari che si trovano in una condizione di bisogno a seguito della morte dei soggetti protetti. La pensione ai superstiti spetta al coniuge, ossia alla vedova o al vedovo. Una quota della pensione ai superstiti può anche essere attribuita al coniuge superstite che abbia contratto nuovo matrimonio a seguito di sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio che era stato contratto con il lavoratore defunto e questa quota di pensione compete alla condizione che il coniuge defunto fosse tenuto alla somministrazione dell’assegno periodico. CAPITOLO VII – LA TUTELA DELLA SALUTE 117. Le funzioni del Servizio Sanitario Nazionale Il fondamento della tutela della salute è da ricercare non solo nei principi accolti dal comma 2 dell’art. 3 e dall’art. 38 Cost. ma anche dall’art. 32 il quale recita che la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. Mentre la tutela della malattia comportava l’erogazione di prestazioni quando la malattia già si era manifestata, la tutela della salute postula che i soggetti protetti siano tutti i cittadini, indipendentemente dal loro attuale stato di salute e ha come obbiettivo la conservazione e l’accrescimento di quest’ultima. La tutela alla salute è stata realizzata mediante l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale, costituito dal complesso delle aziende sanitarie locali, dei presidi ospedalieri e dei servizi multizonali di prevenzione, ai quelli sono affidati la promozione, il mantenimento ed il recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l’uguaglianza. Con l’istituzione del SSN tutti i cittadini beneficiano della tutela della salute anche perché questa è resa obbligatoria a decorrere dal 1° gennaio 1980. 118. L’organizzazione sanitaria Le aziende sanitarie locali sono dotate di personalità giuridica pubblica e sono dotate di autonomia organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica e devono assicurare livelli uniformi di assistenza, eventualmente adattandoli alle caratteristiche del territorio secondo quanto è previsto dal piano sanitario regionale. La legge ha inoltre restituito autonomia agli ospedali di rilievo nazionale, a quelli di alta specializzazione e a quelli destinati a centri di riferimento per la rete di emergenza. Il piano sanitario nazionale deve individuare, ogni 3 anni, gli obbiettivi fondamentali di prevenzione, cura e riabilitazione e le linee generali di indirizzo del Servizio, oltre che individuare i livelli essenziali di assistenza da assicurare, in coerenza con l’entità del finanziamento. 119. I soggetti protetti La legge istitutiva del SSN ha disposto l’estensione dell’obbligatorietà dell’assicurazione contro le malattie nei confronti di tutti i cittadini, in condizioni di uniformità e uguaglianza. La salute è tutelata dalla Costituzione non solo come interesse della collettività ma anche come diritto fondamentale dell’individuo: i cittadini che non si siano in precedenza iscritti ad un ente di malattia, sono comunque assicurati dal SSN e sono tenuti al pagamento dei contributi, anche per i familiari a carico, alla sola condizione che siano soggetti all’obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi ai fii dell’imposta sul reddito delle persone fisiche. La tutela alla salute si estende ai lavoratori italiani all’estero e ai cittadini che si trovino temporaneamente fuori del territorio nazionale per ragioni diverse dal lavoro o dalla fruizione di borse di studio. E’ previsto l’obbligo di iscrizione al SSN per i lavoratori stranieri regolarmente soggiornanti per motivi familiari, per asilo politico o umanitario, per attesa costitutivo della sua erogazione. Il legislatore prescrive anche che il beneficiario delle prestazioni di disoccupazione è tenuto ad attenersi ai comportamenti previsti nel progetto personalizzato nei tempi ivi stabiliti e il mancato rispetto di tali comportamenti condiziona l’erogazione dei benefici previdenziali. Le sanzioni sono graduate in base al numero di inadempimenti e alle diverse prestazioni di politiche passive: prima la decurtazione, poi la sospensione e infine la decadenza del godimento dei sussidi a sostegno del reddito. In tutte le ipotesi in cui ricorre la decadenza dello stato di disoccupazione, il disoccupato beneficiario di forme di sostegno al reddito non potrà presentare una successiva dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro prima della decorrenza di due mesi, con la conseguenza di non poter fruire neppure delle politiche attive. 141. La Cassa integrazione guadagni: origini ed evoluzione Alla tutela contro la disoccupazione involontaria, si affianca quella per la disoccupazione parziale consistente nella riduzione dell’orario di lavoro o nella sospensione temporanea del lavoro. Questa forma di tutela, istituita nel 1941 dalla contrattazione collettiva corporativa, aveva la funzione di attenuare gli effetti negativi che gli avvenimenti della guerra avevano prodotto sui lavoratori e aveva la funzione di equilibrare il potenziale produttivo tra i settori immediatamente impegnati nella produzione di guerra e quelli non impegnati. Nel 1945 la tutela per la riduzione dell’orario di lavoro venne mantenuta ed ebbe la sua prima regolamentazione legislativa che comportò l’istituzione, nell’ambito dell’INPS, di una Cassa Integrazione Guadagni, finanziata esclusivamente con contributi posti a carico dei datori di lavoro. La legge ha così previsto l’intervento della Cassa integrazione guadagni, che sotto il profilo della tutela del lavoratore costituisce una forma di assicurazione sociale, mediante la quale ai lavoratori stessi viene assicurato, a fronte di particolari esigenze che interessano l’impresa, un trattamento previdenziale sostitutivo della retribuzione e, sotto il profilo dell’impresa, un ausilio statale nelle situazioni di difficoltà o nella fase di attuazione di processi riorganizzativi. Esistono due diverse tipologie di intervento, entrambe caratterizzate dal presupposto della temporaneità della crisi e dalla conseguente previsione di ripresa produttiva: la Cassa integrazione guadagni ordinaria e la Cassa integrazione guadagni straordinaria. La funzione comune ad entrambe è quella di garantire la continuità del reddito e dell’occupazione dei lavoratori temporaneamente allontanati dal processo produttivo, ma l’intervento ordinario è finalizzato alla conservazione dell’occupazione e del reddito in presenza di situazioni di tipo congiunturale, mentre l’intervento straordinario è destinato a fronteggiare situazioni di tipo strutturale e di durevole, ma non necessariamente definitiva, eccedenza di personale. La legge del 1991 ha rappresentato il primo significativo intervento riformatore con il proposito sia di limitare l’erogazione del trattamento di integrazione salariale ad un periodo di tempo ragionevole ed alle sole ipotesi in cui fosse stato effettivamente prevedibile un rientro dei lavoratori sospesi sia di consentire il licenziamento collettivo anche in assenza del preventivo ricorso alla Cassa integrazione guadagni straordinaria. Ma per superare la disorganicità della disciplina bisognerà attendere la riforma Fornero (l.n. 92/2012), cui seguirà la l.n. 183/2014 che aveva delegato il Governo a razionalizzare e riordinare il sistema delle integrazioni salariali ed è così che il legislatore delegato ha collocato all’interno di un unico corpo normativo le diverse disposizioni in materia: si tratta di un vero e proprio testo unico che tende non solo a dare coerenza alla normativa ma che revisiona alcuni aspetti, con l’intento di ricondurre gli interventi alle tradizionali finalità. 142. La disciplina generale La nuova disciplina detta per entrambe le forme di integrazione salariale norme comuni di carattere generale. L’integrazione salariale spetta a tutti i lavoratori subordinati, compresi gli apprendisti con contratto di apprendistato professionalizzante, ad esclusione dei dirigenti e dei lavoratori a domicilio, a condizione che abbiano conseguito un’anzianità effettiva di lavoro, presso l’unità produttiva per la quale è richiesto l’intervento di almeno 90 giorni. La misura del trattamento è pari all’80% della retribuzione globale che spetterebbe per le ore di lavoro non prestate, comprese fra le zero ore e il limite orario contrattuale. L’ammontare del trattamento è comunque soggetto ai massimali, rivalutati annualmente e stabiliti in rapporto alla retribuzione mensili. 143. La disciplina della gestione ordinaria La cassa integrazione guadagni ordinaria si applica generalmente al settore industriale e l’elenco dei destinatari è contenuto nell’art. 10 del d. lgs. n. 148/2015. I dipendenti di imprese agricole continuano invece a godere dei trattamenti regolati dalla l.n. 457/1972. L’intervento ordinario di integrazione è strutturalmente di durata limitata nel tempo: il periodo massimo è di 13 settimane continuativa, prorogabile fino a un massimo complessivo di 52 settimane e quando l’impresa ha fruito delle 52 settimane può essere proposta una nuova domanda a condizione che, nel frattempo, la seconda attività lavorativa sia ripresa per almeno 52 settimane di normale attività lavorativa, salvo che l’intervento sia determinato da eventi non oggettivamente evitabili. 144. La disciplina della gestione straordinaria Il campo di applicazione della Cassa integrazione salariale straordinaria è stato progressivamente ampliato nel tempo e ad oggi comprendere tutte le aziende industriali che abbiano occupato mediamente 15 dipendenti nel semestre antecedente la richiesta e le aziende del commercio con più di 50 dipendenti. Le causali dell’intervento straordinario riguardano ipotesi di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa determinata da a) riorganizzazione aziendale b) crisi aziendale, ad esclusione dei casi di cessazione dell’attività produttiva dell’azienda o di un ramo di questa c) contratto di solidarietà difensivo, ovvero accordi collettivi aziendali aventi la finalità di evitare in tutto o in parte la diminuzione dei livelli occupazionali attraverso una generalizzata riduzione dell’orario di lavoro dei lavoratori occupati nell’impresa. Nell’accordo deve essere quantificata la riduzione dell’orario di lavoro che può essere giornaliera, settimanale o mensile, ma non può superare il 60% dell’orario di lavoro contrattuale dei lavoratori coinvolti. In ogni caso per ciascun lavoratore, la riduzione complessiva dell’orario non può essere superiore al 70% dell’intero periodo per il quale il contratto di solidarietà viene stipulato. La durata dell’intervento straordinario è variabile in relazione alle diverse cause integrabili: per la riorganizzazione aziendale, l durata massima è pari a 24 mesi in un quinquennio mobile; per la crisi aziendale il trattamento può avere una durata massima di 12 mesi e si prevede che una nuova autorizzazione non possa essere concessa prima che sia decorso un periodo pari a 2/3 di quello relativo alla precedente autorizzazione; per la stipulazione di contratti di solidarietà il trattamento può avere una durata massima di 24 mesi in un quinquennio mobile, ma è possibile raggiungere i 36 mesi in alcuni casi e in questo caso non vi è una procedura standard da dover regolamentare. Per gli eventi riferiti a crisi e riorganizzazione, la procedura si articola nelle due fasi, sindacale ed amministrativa, dove nella prima le parti devono espressamente dichiarare che non è possibile stipulare un contratto di solidarietà. Al centro del confronto con il sindacato vi è il programma che l’impresa intende attuare, comprensivo di durata e del numero dei lavoratori interessati, nonché i criteri di scelta dei lavoratori da sospendere. La legge non detta una specifica disciplina circa i criteri ai quali il datore di lavoro deve attenersi nella scelta dei lavoratori da sospendere e quindi da porre in cassa integrazione. Nel programma devono essere indicata le modalità della rotazione tra i lavoratori e le ragioni tecnico-organizzative della mancata adozione di meccanismi di rotazione: nel caso in cui non si proceda con la rotazione bisogna espressamente motivarlo e ciò sarà sottoposto al controllo della pubblica amministrazione. La concessione del trattamento avviene con decreto del ministro del lavoro che è adottato, fatte salve eventuali sospensioni del procedimento amministrativo, entro 90 giorni dalla presentazione della domanda da parte dell’impresa. 145. La Cassa integrazione in deroga L’assetto definitivo del nuovo sistema della Cassa integrazione guadagni delineata nel 2015 dovrebbe comportare la scomparsa dei cosiddetti trattamenti in deroga. Questi furono creati per far fronte a casi straordinari suscitati dall’acuirsi della crisi economica. La cassa integrazione straordinaria in deroga può essere richiesta dalle imprese in crisi, indipendentemente dal settore in cui operano e dal numero di lavoratori occupati ed è destinata ad integrare il salario di tutti i loro dipendenti assolvendo alla funzione di garantire l’occupazione in attesa che il miglioramento della situazione economica ne permetta la ripresa. La sua gestione è localizzata nel senso che resta affidata alle Regioni in cui si trova l’unità produttiva che occupa i lavoratori che ne usufruiscono. Le prestazioni di tale Cassa consistono in un’indennità, della quale è stabilito, anno per anno, l’importo massimo e che corrisponde tendenzialmente all’80% della retribuzione e che sarebbe spettata per non oltre 40 ore settimanali. L’indennità è erogata dall’INPS, per il tramite del Fondo per l’occupazione e la formazione, ma nei limiti delle risorse assegnate. 147. La condizionalità e le politiche di attivazione Anche in questo caso opera il cosiddetto meccanismo di condizionalità e il vincolo con le politiche attive. I lavoratori che beneficiano di integrazione salariale per i quali la sospensione o la riduzione dell’orario di lavoro, nell’arco di 12 mesi, superi il 50% sono convocati dai centri per l’impiego per stipulare patti di servizio personalizzati, il cui contenuto è obbligatorio ma ridimensionato. Due elementi sono esclusi espressamente: la definizione degli atti di ricerca attiva che devono essere compiuti e la tempistica degli stessi e le modalità con cui la ricerca attiva di lavoro è dimostrata al responsabile delle attività. In caso di comportamenti non attivi da parte dei percettori dei sussidi, opera un sistema sanzionatorio generale in ragione della prima, seconda e terza ingiustificata assenza agli appuntamenti dei centri per l’impiego, alle attività di orientamento, di formazione, alle iniziative di politiche attive. Il lavoratore decade dal diritto qualora non provveda a informare la sede territoriale dell’INPS dell’eventuale svolgimento di un’altra attività. CAPITOLO IX – LA TUTELA DELLA FAMIGLIA E LE MISURE A SOSTEGNO DELLA GENITORIALITA’ 152. Fondamento della tutela Il diritto alla maternità tutelata è riconosciuto a partire dal 1902 nell’alveo del lavoro subordinato, come deroga alle obbligazioni discendenti da quel rapporto. Le prestazioni di maternità di natura pecuniaria sono state configurate come una forma di sostegno del reddito con funzione compensativa della retribuzione non percepita per l’impossibilità presunta di continuare a prestare l’attività lavorativa in prossimità del parto o nei periodi immediatamente successivi ad esso. La disciplina stratificatasi nel corso di molti decenni ha trovato una sua sistematizzazione nel d.lgs. n. 151/2001, ovvero il cosiddetto Testo unico delle disposizioni legislative in materie di tutela e sostegno della maternità e paternità, recentemente novellato dal d. lgs. n. 80/2015. adesione, a partire dal 1° gennaio 2007, non è più subordinata alla condizione della mancata istituzione di forme di previdenza complementare sindacali. 174. La governance delle forme di previdenza complementare Gli organi di amministrazione e controllo dei fondi pensione, se questi sono finanziati anche dal datore di lavoro, hanno composizione paritetica e, se finanziati esclusivamente dal lavoratore, devono consentire la partecipazione delle categorie interessate. La legge prevede che il consiglio di amministrazione di ciascuna forma pensionistica complementare nomini un responsabile, che deve svolgere la sua attività in modo autonomo e indipendente. Il responsabile ha il compito di: verificare che la gestione della forma pensionistica sia svolta nell’esclusivo interesse degli aderenti e nel rispetto della normativa vigente; inviare agli organi di controllo e di sorveglianza dati e notizie sull’attività svolta dal fondo; vigilare sul rispetto dei limiti di investimento, sulle operazioni in conflitto di interesse e sulle buone pratiche, al fine di migliorare la tutela; riportare direttamente agli organi di amministrazione i risultati dell’attività svolta. La legge prevede inoltre per i fondi pensione aperti l’istituzione di un organismo di sorveglianza, composto da almeno due membri, designati dai soggetti che hanno istituito il fondo e scelti tra gli amministratori indipendenti iscritti all’apposito albo istituito dalla Consob, e da un rappresentante ciascuno, per i lavoratori e per il datore di lavoro, nel caso di iscrizione al fondo pensione di almeno 500 lavoratori appartenenti ad una stessa impresa o gruppo di imprese. L’organismo di sorveglianza rappresenta gli interessi degli iscritti e verifica che l’amministrazione e la gestione complessiva del fondo avvenga nei loro esclusivi interessi, anche sulla base delle informazioni ricevute dal responsabile della forma pensionistica. I fondi pensione non possono assumere direttamente funzioni assicurative e devono gestire le loro risorse affidandole a società di intermediazione mobiliare, ad imprese assicurative, a società di gestione del risparmio, agli enti previdenziali. 175. Il regime delle prestazioni La previdenza complementare si realizza sostanzialmente con l’erogazione di prestazioni pensionistiche: le prestazioni sono determinate nell’atto costitutivo o nello statuto, ma devono essere condizionate all’esistenza di requisiti minimi, di età e di contribuzione, fissati dalla legge per il regime generale gestito dall’INPS. Ai fini della prestazione pensionistica di vecchiaia, il requisito di età è analogo a quanto previsto per l’assicurazione obbligatoria e il requisito di contribuzione deve essere pari ad almeno 5 anni. I livelli delle prestazioni sono determinati in base alla tecnica della capitalizzazione, essendo necessario adottare il regime detto a contribuzione definita. Il livello delle pensioni è determinato dal totale dei contributi accreditati su ogni conto individuale e alla somma dei relativi rendimenti. Ne consegue quindi che il livello delle prestazioni è rigorosamente determinato in base all’ammontare della prestazione versata da ogni lavoratore e dall’importo dei relativi rendimenti. La legge consente che le prestazioni pensionistiche siano erogate sia sotto forma di rendita, sia sotto forma di capitale, fino ad un massimo del 50% del montante finale accumulato, ma fa eccezione il caso in cui la rendita derivante dalla conversione di almeno 70% del montante finale sia inferiore al 50% dell’assegno sociale, perché in questo caso la prestazione può essere interamente erogata in capitale. In entrambi i casi le prestazioni sono sottoposte allo stesso regime di cedibilità, sequestrabilità e pignorabilità del sistema di previdenza obbligatorio. Nel caso di cessazione dell’attività lavorativa che comporti un’inoccupazione per un periodo superiore a 48 mesi, le pensioni possono essere erogate con un anticipo massimo di 5 anni rispetto ai requisiti previsti per l’accesso alle prestazioni nel regime previdenziali obbligatorio di appartenenza. In caso di morte del lavoratore che abbia maturato il diritto alla pensione complementare e ne sia in godimento, gli eredi possono beneficiare in alternativa o della restituzione del montante residuo alla data del decesso oppure della erogazione di una rendita calcolata in base al montante residuale. Dal 1° gennaio 2001 è stato revocato il divieto di cumulo con redditi da lavoro dipendente, ma resta l’esclusione di forme di perequazione automatica che facciano riferimento alla dinamica retributiva dei dipendenti in servizio. 177. La tutela degli iscritti alle forme di previdenza complementare: a) il sistema della capitalizzazione e la Commissione di vigilanza sui fondi pensione La legge impone ai fondi pensione l’adozione del sistema della capitalizzazione, che offre garanzie di conservazione, almeno al valore nominale, degli importi accreditati sui conti individuali. Allo stesso modo di quanto avviene per le forme di previdenza commerciali non offre però garanzie sull’entità dei rendimenti e sull’accumulazione di un capitale sufficiente ad erogare nel tempo prestazioni adeguate. Le gestioni dei fondi pensione sono assoggettate alla vigilanza della Commissione di vigilanza sui fondi pensione (COVIP) istituita presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Nel 2005 il legislatore ha rafforzato i poteri di controllo e di vigilanza della COVIP estendendoli a tutte le forme di previdenza complementare. 178. La tutela degli iscritti alle forme di previdenza complementare: b) il trasferimento e il riscatto della posizione previdenziale individuale Nel caso di perdita di requisiti di partecipazione al fondo pensione quando non siano stati ancora maturati i requisiti per aver diritto alle prestazioni, il lavoratore può richiedere il trasferimento della posizione al fondo pensione inerente alla sua nuova attività, ovvero può chiedere il riscatto della sua posizione individuale. Il riscatto può essere totale o parziale: il riscatto parziale è consentito nei casi di cessazione dell’attività lavorativa che comporta la disoccupazione per oltre 12 mesi, ma fino a 48 mesi, e di ricorso da parte del datore di lavoro a procedure di mobilità, cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria ed è nella misura del 50% della posizione individuale maturata; il riscatto totale invece è consentito nei casi di invalidità permanente che comporti una riduzione della capacità di lavoro di meno di 1/3 e di cessazione dell’attività lavorativa che comporti la disoccupazione per oltre 48 mesi, ma non è consentito il riscatto totale quando mancano meno di 5 anni alla maturazione della prestazione pensionistica complementare, perché in questo caso il lavoratore può richiedere l’anticipazione della prestazione. 179. La tutela degli iscritti alle forme di previdenza complementare: c) la portabilità della posizione previdenziale individuale Già la legge n. 335/1995 aveva consentito il trasferimento ai fondi pensione aperti della posizione individuale maturata presso le forme di previdenza sindacale, dopo 5 anni di iscrizione. La disciplina vigente attenua quei limiti in quanto attribuisce al lavoratore la facoltà, decorsi 2 anni dalla data di iscrizione ad una forma pensionistica sindacale, di trasferire l’intera posizione individuale maturata ad altra forma pensionistica anche commerciale. Inoltre la legge prevede che il lavoratore abbia diritto al versamento non solo del tfr, ma anche delle contribuzioni che la contrattazione collettiva avesse posto a carico del datore di lavoro a favore delle forma di previdenza sindacali. La portabilità degli accantonamenti al tfr non porta particolari problemi poiché non altera l’assetto finanziario delle forme di previdenza complementare. Ma la contrattazione collettiva ha posto a carico del datore di lavoro la portabilità delle contribuzioni per il finanziamento dei fondi pensione sindacali e questo perché il contratto collettivo che istituisce o regola un fondo di previdenza complementare, quando prevede che sia finanziato anche con una contribuzione posta a carico del datore di lavoro, esercita la sua fondamentale funzione. E’ attribuita alla contrattazione collettiva la facoltà di prevedere limiti alla portabilità della contribuzione a carico del datore di lavoro: la contrattazione collettiva dovrebbe quindi evitare che il trasferimento del lavoratore ad altra forma di previdenza complementare si risolva in una esenzione del datore di lavoro all’obbligo di contribuzione e a tal fine sarebbe ragionevole che il contratto collettivo preveda che la contribuzione del datore di lavoro continui ad essere versata al fondo pensione sindacale.