Scarica Appunti diritto ecclesiastico e più Appunti in PDF di Diritto Ecclesiastico solo su Docsity! Diritto ecclesiastico Introduzione Oggigiorno le convinzioni delle persone in materia religiosa condizionano, o per lo meno possono condizionare, anche le scelte in campo giuridico. Non è più il tempo di chi diceva che le opzioni religiose sono del tutto indifferenti per l'ordinamento e devono rimanere nella sfera privata del cittadino. Ci sono moltissimi settori del diritto comune, dello stato, che sono interessati al fattore religioso. E' una casistica sterminata e se si volesse fare l'elenco di tutte le situazioni che possono riguardare il diritto risulterebbe essere incompleto. La religione non costituisce un aspetto della vita privata di ciascuno, ma interviene anche nella vita di relazione in maniera sempre più incisiva tale da condizionare il mondo del diritto. Il rapporto tra religione e diritto: la religione interessa il diritto sotto un duplice profilo - per un verso a volte è necessario che intervenga una norma a regolare una situazione in cui vi sia coinvolto il fattore religioso (ad esempio il matrimonio concordatario) - Per altro verso a volte è necessario anche che l'ordinamento civile rinvii alla norma religiosa Non è pensabile oggi, soprattutto in una società multiculturale, che la religione sia un fattore meramente privato oppure, come accade in Francia (in forza di un principio di uguaglianza che non ammette differenze), che si possa sostituire le religioni con l'idea di stato, una sorta di religione civile in cui tutte le altre confessioni religiose devono cederle il passo. Non ci si accorge che rimuovere le questioni ecclesiastiche non aiuta a cogliere la reale evoluzione di valori, principi e libertà che caratterizzano, o quantomeno dovrebbero, le moderne democrazie. Di tutto questo si occupa il diritto ecclesiastico. Nasce tra la fine del XIX e l'inizio del XX sec per occuparsi del settore dell'ordinamento giuridico dello stato volto a dettare norme per quelle fattispecie in cui sia interessato il fenomeno religioso. La rilevanza sociale di questo fenomeno religioso comporta che il legislatore italiano detti delle norme, a vari livelli, e coinvolge in numerose ipotesi l'attività della pubblica amministrazione. Quindi quando si parla di diritto ecclesiastico non bisogna farsi fuorviare dall'aggettivo ecclesiastico in quanto non si tratta di uno studio del diritto dell'ordinamento di una Chiesa, ma di un aspetto dell'ordinamento dello stato. Più precisamente il diritto ecclesiastico rientra nell'ambito del diritto pubblico dello stato, anche se, a causa della complessità delle situazione che coinvolge, ha interferenze nel diritto civile e internazionale. Ad esempio nel diritto civile il caso del matrimonio o degli enti ecclesiastici, delle pie fondazioni. Si tratta di esempi nei quali il fenomeno religioso incide fino ad impattare nella vita sociale del credente e necessita, per poter agire, di una disciplina giuridica in materia civile. Non solo, anche il diritto internazionale è intersecato dal diritto ecclesiastico: nei rapporti tra lo stato italiano e lo Stato Città del Vaticano o la Santa Sede. La dottrina più recente ha voluto modificare la definizione classica di diritto ecclesiastico intendendo con tale espressione lo studio di tematiche che coinvolgono dimensioni etiche imprenscindibili per la formazione di una salda cultura giuridica e per la preparazione ad un esercizio consapevole e critico della professione. Il diritto ecclesiastico rinvia anche ai diritti religiosi: le norme dello stato per disciplinare alcuni rapporti rinviano ad un ordinamento confessionale o presuppongono fatti, atti o negozi prodotti da un ordinamento confessionale (il matrimonio concordatario rinvia a un negozio che nasce nell'ordinamento canonico, cioè il matrimonio canonico). Quindi lo studio del diritto ecclesiastico riguarda tutto il diritto che è efficace e che si applica nell'ordinamento di uno stato per la disciplina del fenomeno religioso. !1 Tale diritto è di prevalente produzione statale, ma può anche rinviare a delle norme confessionali. Tale è la complessità della materia che alcuni autori parlano di diritto ecclesiastico civile vigente per indicare quel diritto positivo costituito sia dalle norme statali che dalle norme di ordinamenti confessionali cui il diritto statale rinvia, relativo al fenomeno religioso che trova applicazione attraverso non solo le decisioni dei giudici, ma anche ad esempio dell'azione della pubblica amministrazione. Il diritto ecclesiastico vigente fa riferimento - alle norme del legislatore - Alla giurisprudenza che ha un ruolo di custodia dei valori già formalizzati, ma anche di innovazione interpretativa - Dottrina - Fattispecie che coinvolgono gli interessi religiosi In Inghilterra in questi ultimi anni è diventata un'abitudine abbastanza comune quella di chiedere a un arbitro la risoluzione di un conflitto sulla base di un diritto religioso. In base all'"Arbitration Act" (atto legislativo che disciplina l'arbitrato come strumento di risoluzione delle controversie parallelo alla giurisdizione dello stato) prevede il rinvio ai diritti religiosi (soprattutto in materia di successioni e diritto di famiglia col diritto ebraico) In Italia l'arbitrato non è ancora sviluppato in questi termini. Sistemi di relazione tra Stato e Chiesa Il fenomeno religioso è sempre stato un elemento importante nella vita sociale dell'uomo. Nel mondo arcaico il rilievo, sia politico che giuridico, del fattore religioso non era diverso da qualunque altro aspetto della convivenza sociale tra gli uomini. In particolare era disciplinato dallo stesso stato, cioè da quelle norme che trovavano fonte esclusiva nella sovranità dello stato. Questo in particolare avveniva nelle società ierocratiche del mondo orientale (società che identificavano il re con una divinità, ad esempio gli egizi o i popoli della Mesopotamia). Vi era l'unione del sacro col politico. Leggermente diversa è la situazione a Roma quando cambia il sistema politico, cioè quando si afferma il principio della sovranità popolare. E' il periodo della repubblica romana. Non si cerca più di perseguire la pax deorum, di avere gli dei favorevoli, attraverso delle regole e dei riti che sono riservati ai collegi sacerdotali. Le norme dello stato disciplinano in via marginale tali aspetti, però comunque l'organizzazione del culto, e quindi dei sacerdoti, va di pari passo con il cursus honorum. Il collegio pontificale, che era la massima autorità religiosa, è un organo pubblico al pari del senato a Roma. Lo ius sacrum era una parte dello ius publicum dello stato. In un certo senso si può parlare in questo periodo di religione di stato, tutto ciò che aveva attinenza al fenomeno religioso era parte della sovranità dello stato anche se cominciavano ad essere distinte le funzioni. Con l'impero non cambia la situazione dell'unione del sacro col politico poiché l'imperatore diventa anche pontefice massimo e si fa chiamare divus. In tutto questo l'avvento del cristianesimo porta una vera e propria rivoluzione giuridica degli ordinamenti. Esso si fonda su delle premesse completamente diverse rispetto al modo di intendere che era dominante e l'unico fino ad allora. - La scelta religiosa è individuale e deve risultare autenticamente libera nell'ambito della coscienza di ogni uomo. Questo è un principio che rompe con quello che, ad esempio, avveniva a Roma dove si seguivano i mores della famiglia, della città e dell'imperatore. !2 Costantino dà una risposta molto importante in quanto non affida la risoluzione della questione a un proprio funzionario né se ne occupa personalmente, ma si rivolge all'autorità ecclesiastica, il papa Melchiade consigliandogli di decidere sulla base della sanctissima dei lex. Il Papa conferma Ceciliano, lo assolve e non dà ragione ai donatisti che non sono d'accordo e fanno appello di nuovo all'imperatore. A tal punto Costantino convoca un'assemblea di vescovi (Concilio) e stabilisce perché debbano riunirsi, quando (nel 314), dove (Arles), come (quali vescovi devono partecipare). Chiede ai vescovi di giudicare solo sulla consacrazione di Ceciliano, ma i donatisti avevano sollevato due vizi: sia su Ceciliano che Di Felice. I vescovi si riuniscono e alla fine dei loro lavori scrivono una lettera al Papa Silverio per comunicargli che confermano l'assoluzione di Ceciliano e anche di Felice e condannano i donatisti. Questo lo fanno non con una sentenza, ma enunciando il canone (norma generale e astratta) 13 del concilio di Arles. Tale controversia e la sua soluzione sottolineano come Stato e Chiesa, anche in assenza di una norma esplicita, si riconoscono vicendevolmente un ordine proprio. E' quello che si può iniziare a chiamare dualismo giurisdizionale: - Lo stato non opera nelle controversie interne della Chiesa e non applica le proprie norme - Lo stato riconosce che ci sono delle norme che vengono al di fuori di sé e che vanno applicate in determinate situazioni - Lo stato considera certi fenomeni che riguardano la vita della Chiesa connessi con principi di ordine pubblico che debbano essere risolti con il diritto della Chiesa (anche se creano problemi di ordine pubblico) - Lo stato riconosce che la Chiesa è dotata di organi e che sono qualcosa di esterno alla propria organizzazione - La Chiesa prende coscienza che ci sono delle materie che sono riservate alla propria giurisdizione e che vanno risolte applicando delle norme già esistente oppure creandone delle nuove - La Chiesa interpreta con libertà le iniziative e gli inviti dell'imperatore delineando soluzioni autonome Questo riconoscimento vicendevole pone le premesse per una prima sistemazione giuridica dei rapporti tra stato e Chiesa. La progressiva importanza del ruolo storico e sociale della Chiesa e del cristianesimo fanno sì che la rilevanza sociale del fenomeno religioso si trasformi in questione di relazione tra lo stato e la Chiesa. Questo pone però un problema di competenze. Questa dualità viene interpretata in modo diverso a seconda delle situazioni. Si parla di Cesaro - papismo quando lo stato rivendica la propria autorità anche sulla Chiesa. Gli interpreti hanno voluto chiamare cesaro-papismo il sistema introdotto da Teodosio che nel 380 con l'editto di Tessalonica proclama la religione cristiana la religione dello stato. L'imperatore in tal modo si fa anche garante della religione cristiana e in un tale aiuto diviene un po' invasivo. Teodosio compie tale scelta per ragioni politiche: - vuole proseguire la politica di Costantino a favore della Chiesa perché ha visto che il modo di risolvere la questione dei donatisti è stato efficace. - sa che è necessario intervenire dove le questioni teologiche e le contrapposizioni tra eretici e ortodossi turbano l'ordine pubblico. - vuole, attraverso il controllo esterno del fenomeno religioso, controllare la Chiesa stessa. Nel momento in cui dichiara il confessionismo di stato e l'intolleranza verso le altre religioni è per lui necessario entrare nelle disquisizioni teologiche e nei principi della Chiesa in quanto deve difenderla dagli eretici e dalle eresie. Altra conseguenza è mettere in dubbio la possibilità di distinguere nettamente tra la normativa canonica e quella statale: ad esempio nel momento in cui deve difenderne la Chiesa da un'eresia dovrà emanare degli !5 editti. La normativa statale quindi prevale su quella canonica. In realtà in occidente questo fenomeno non si verifica in tutta la sua pienezza. Si tratta di un fenomeno che caratterizza l'impero di Bisanzio fino al 1453. Un esempio è dato da una novella di Giustiniano nella quale si sostiene che vi sono due doni di inestimabile valore per gli uomini. Questi due doni sono il sacerdozio e l'impero. L'imperatore ha il diritto di controllare sia l'onestà dei sacerdoti che la non contaminazione dei veri dogmi. Giustiniano quindi si arroga il diritto di essere il garante della Chiesa, della sua struttura interna e dei suoi principi e in tali materie si impone contro la volontà del Papa. Alcuni autori parlano di papa - cesarismo con riferimento all'incoronazione da parte di Leone III di Carlo Magno nell'800 che segna l'inizio del Sacro Romano Impero. Il fatto che l'imperatore sia incoronato dal Papa implica che il potere dell'imperatore deriva da quello del Papa e che questi potrebbe ben sostituirlo. L'imperatore anche qui comunque si considera protettore della Chiesa e vi sarà un uguale atteggiamento di prevaricazione e un'ingerenza. Ad esempio i vescovi e gli abati delle grandi comunità religiose sono attratti nella sfera politico-giuridica dello stato e ciò ne determina il distacco dall'autorità centrale della Chiesa. Anche i pontefici cominciano a elaborare il pensiero del dualismo giurisdizionale. Primo tra questi è Papa Gelasio che in una lettera, documento privato, parla del problema delle relazioni tra il potere civile, lo stato, e la potestà spirituale, la Chiesa. Si è in una situazione caotica dovuta alle invasioni barbariche. In tale contesto la Chiesa è divenuta un punto di riferimento centrale per le popolazioni latine e anche per gli stessi barbari. Infatti coloro che invadono l'impero romano trovano nella Chiesa dapprima un'interlocutrice e poi lo strumento e veicolo necessario per poter convivere con le popolazioni latine invase e per potersi omogeneizzare. La Chiesa diviene quindi l'autorità di riferimento in tale periodo. In questo contesto vi è papa Gelasio che si rende conto della difficoltà delle relazioni tra lo stato e la Chiesa. Capisce e esprime che si tratta di veri e propri ordinamenti giuridici distinti. Infatti, presupponendo questo pensiero, scrive che "due sono le autorità da cui è retto il mondo. Quella consacrata dai pontefici e quella regale". Fatta tale distinzione aggiunge che c'è un "oriunde" in relazione al quale l'imperatore non ha alcuna competenza, ed anzi l'imperatore deve dipendere dal giudizio dei sacerdoti. Si tratta ovviamente dell'ordine spirituale al cui fine, la salvezza delle anime, deve pensare la Chiesa. Tale ordine riguarda tutti e comporta per tutti, e quindi per lo stesso imperatore, la necessità di obbedire ai sacerdoti e prima di tutti al Papa, ossia al titolare di quella sede che la somma Divinità volle preminente. Dunque ciò che si può trarre dal pensiero di papa Gelasio è la consapevolezza della distinzione dei due ordinamenti giuridici con qualche profilo però di dovere di obbedienza dell'autorità civile al potere spirituale. In tale contesto, qualche secolo dopo, si posiziona l'incoronazione da parte di Leone III di Carlo Magno. E' il natale dell'800 che segna la nascita del sacro romano impero. E' un'epoca in cui cominciano a nascere molti ordini monastici e i religiosi cercano la fuga dal mondo interessandosi solo delle cose spirituali. La Chiesa rappresenta comunque un punto di riferimento avendo costituito alla fine dell'impero romano una sorta di res publica christiana. Anche gli ordinamenti giuridici vengono visti come strumenti di un ideale teocentrico, che mette Dio al centro, e che deve tradursi in principio giuridico di suprema rilevanza costituzionale. Nel momento in cui il pontefice incorona l'imperatore ciò vuol significare che la somma autorità religiosa indica che il potere dell'imperatore deriva da Dio. Conseguenza di tale derivazione è infondo la dipendenza dell'imperatore da chi rappresenta il potere spirituale in terra, il pontefice. Tale discorso comporta che il papa, dopo aver dato il potere, potrebbe anche toglierlo. Alcuni autori hanno parlato di papa - cesarismo per indicare un sistema opposto al cesaro - papismo. !6 Si può davvero dire che tale sistema sia sorto con Carlo Magno? Non sembra proprio perché nel momento in cui l'imperatore è incoronato si considera il protettore della Chiesa. Questo dà origine a una serie equivoca di eventi. Carlo Magno aveva già espresso comportamenti che assomigliavano a quelli degli imperatori bizantini e non un atteggiamento di sottomissione. Questo apre la strada a un atteggiamento di prevaricazione del potere civile su quello spirituale. Anzitutto si ha di nuovo una commistione di poteri: le funzioni costituzionali dei due ordinamenti tornano a essere nelle mani delle stesse persone, in particolare dei vescovi, che vengono chiamati a svolgere attività di rilievo nell'ambito dell'impero e ne diventano dignitari. Vi sono in tale periodo vescovi e abati delle grandi comunità religiose attratti dalla sfera politico giuridica dello stato e vengono nominati dall'imperatore. Ciò determina un senso di lealtà più verso l'imperatore che al papa. Il clero minore si sente sempre più lontano dalla struttura ecclesiale e dall'autorità centrale in quanto non vi è più la mediazione dei vescovi e non vi si riconosce. Lo stato quindi dilata la propria influenza a scapito della Chiesa. Gli imperatori si impegnano nella convocazione dei concili, nell'orientamento di questi e cominciano a emanare leggi negli ambiti ecclesiali. Tant'è vero che nelle fonti del diritto canonico di tale periodo non vi è una netta distinzione tra provvedimenti civili e canonistici. In realtà, anche se Leone III aveva pensato a un sistema di papa - cesarismo, questo non venne mai realizzato. Tutto sommato rimane una situazione di equilibrio fino al X sec. In tale periodo il potere imperiale passa ai re della Germania, in particolare a Ottone I, che non vogliono compiere i medesimi errori dei carolingi che avevano perso il potere centrale. Cominciano a usare in misura ancora maggiore i vescovi: non solo assegnando importanti poteri civili a quelli nominati dall'imperatore, ma addirittura concedendo ai vescovi dei feudi. Questo in considerazione anche del fatto che i vescovi non potevano avere figli legittimi, così che alla morte del vescovo l'imperatore sarebbe divenuto di nuovo titolare del feudo. Ciò comporta delle corruzioni, in tale periodo dilaga la simonia. I pontefici rendendosi conto della situazione cercano di reagire. E' con Papa Niccolò II che si condanna la pratica della simonia (vendita di cariche ecclesiastiche dietro compenso di denaro). I papi Leone IX e Niccolò II hanno un ministro plenipotenziario, il monaco Ildebrando di Soana. Questi diverrà papa col nome di Gregorio VII. Tale pontefice avvia una riforma importante che lui stesso comincia prima del suo pontificato che copre un arco temporale di cinque papati. Intende riformare la chiesa e in particolare afferma la necessità di definire l'effettiva sovranità della Chiesa e l'esclusività della competenza della Chiesa rispetto allo stato. Anzi, per rafforzare il potere del pontefice, riesce a svincolare e allontanare l'ingerenza dell'autorità civile (ancora con Leone IX l'imperatore tedesco nominava anche il pontefice). Gregorio VII prevede l'elezione del pontefice dal collegio di cardinali. Nel 1074 indice un concilio romano ed emana provvedimenti contro i chierici simoniaci e concubinari. Nel 1075 emette un decreto che proibisce l'investitura laica dei vescovi, respingendo e condannando così la pretesa dell'imperatore di attribuire ai vescovi, con l'attribuzione dei feudi, non solo l'autorità civile, ma anche la potestas iurisdictionis canonica (la potestà d'ordine) sulle Chiese locali (diocesi) territorialmente coincidenti con il feudo. La potestas deriva dalla missione canonica, che è qualcosa di spirituale e non si può confondere con l'attribuzione di feudi. La potestà canonica non può essere conseguenza di quella civile. Nello stesso anno si occupa del "dover essere relazionale" dei due ordinamenti. Anche papa Gregorio VII ha bene presente il fatto che ordinamento della Chiesa e civile sono indipendenti o comunque distinti. !7 l'uomo non si salva per le opere che compie, ma si salva per la fede. Da qui nasce quella che sarà poi la dottrina della giustificazione o dottrina della salvezza: la salvezza si ottiene per fede e non per le opere che si compiono. L'uomo non può lusingare Dio facendo opere buone, tanto più il peccato originale lo porterà inevitabilmente a peccare di nuovo. Ha una visone dell'uomo molto pessimista (ripresa da Sant'Agostino ma peggiorata). Tutto dipende da dio che interviene direttamente sull'uomo attraverso la fede. Il cristiano quindi non necessita dei sacerdoti per salvarsi (assenza intermediazione chierici), ad esempio con l'interpretazione personale dei testi sacri. Altro momento fondamentale è quello in cui prende posizione contro il sistema delle indulgenze. Il desiderio di Lutero non solo è legittimo, ma anche ottimo in tale periodo in quanto vuole riformare la Chiesa contro il vercimonio. Non è possibile che si paghi per ottenere l'indulgenza. Il modo in cui Lutero conduce la sua critica contribuisce a sottomettere la Chiesa al potere civile. Nel 1517 viene affisso sul portone della chiesa di Wittenberg il documento contenete le 95 tesi contro le indulgenze. A gennaio dell'anno successivo viene citato a comparire davanti al capitolo dell'ordine agostiniano per rendere conto di tali affermazioni sul sistema di Leone X. Nel 1520 con la bolla "Exurge domine" il pontefice intima a Lutero di ritirare le sue affermazioni oppure lo avrebbe scomunicato. Lutero, ricevuta la bolla, la brucia in piazza insieme a un testo delle decretali accusando i canonisti di essere cattivi cristiani. Scrive poi una lunga lettera della nobiltà cristiana tedesca in cui prende posizione contro - l'infallibilità del papa (che non è ancora un dogma), - il monachesimo - il celibato sacerdotale. L'anno dopo viene scomunicato. Arriva all'elaborazione della teoria delle chiese che segnerà la nascita delle chiese nazionali. Per Lutero esiste una chiesa visibile e una chiesa invisibile. La vera Chiesa è quella invisibile o abscondita che è retta esclusivamente dalla legge della carità. Tale Chiesa è per coloro che hanno la fede più totale, i veri cristiani, e non necessita di gerarchie o leggi in quanto non vi è bisogno di intermediari tra il buon cristiano e Dio. La Chiesa visibile o esterna è un apparato sociale, è retta da norme di diritto umano che non sono necessarie per la salvezza, ma hanno un obiettivo socio-morale: devono aiutare i deboli in nome della carità cristiana. Non serve quindi la legge umana che regola la Chiesa visibile per la salvezza, ma serve per aiutare coloro che non sono abbastanza forti, abbastanza cristiani. Non il Papa, ma il principe deve provvedere all'organizzazione giuridica di tale Chiesa. Qui Lutero fa diventare la Chiesa un apparato/organizzazione dello stato. Si passa così alla teoria dei due regni. Ricordando la teoria dei due poteri di Gelasio (temporale, monarca - spirituale, papa) dice che l'ordine della salvezza è costituito da due regni che sono entrambi voluti da Dio ma completamente differenti. - Il regno della mano destra è quello spirituale, governato da Dio , fondato sulla fede e guidato dalla carità. In tale regno si colloca il cristiano credente. - Il regno della mano sinistra è quello temporale governato sempre da Dio, ma con la mano sinistra; vi vive il non credente ed è governato dal male. Il regno della mano sinistra non è fondato sulla carità, ma sulla necessità. Il diritto è quindi il frutto della volontà di potenza che è indispensabile data la volontà dell'uomo. In diverse culture antiche vi sono similitudini trasversali tra oriente e occidente. Così ad esempio gli induisti distinguono molto la mano destra da quella sinistra (possono mangiare solo con la mano destra o gli uomini possono andare in bagno solo con la mano sinistra). !10 Il contributo di Lutero alla teorizzazione dello stato assoluto è rilevante. Infatti fa riferimento a quattro principi che verrano ripresi dalla dottrina - il principe è supremo garante dell'ordine - Il potere del sovrano non ha limiti. Il mondo esteriore per Lutero è il regno della mano sinistra, fondato sulla necessità e ha bisogno del diritto per arginare la brutalità dell'uomo. Chi guida il regno della mano sinistra può tutto, può usare anche la forza e la violenza purché garantisca al cristiano la tranquillità esteriore per dedicarsi alla sua vita interiore. In tale modo lo stato luterano è lo stato che garantisce con ogni mezzo l'ordine sociale. Conseguenze di tale concezione: - Lo stato è l'unico strumento di garanzia perché possa aversi una vita ordinata e pacifica. - Nello stato ci sono le basi per lasciargli il totale dominio sulla religione del principe. Comincia a vigere il principio cuius regio, eius religio. - Il principe è considerato sciolto da qualunque vincolo, anche morale. - Il principe è irresponsabile (quello che poi sarà il sovrano assoluto, sciolto da ogni legge) - Il principe è nettamente separato dal popolo. Il popolo è troppo cattivo, se gli si vuole accordare troppa libertà nessuno poi potrà più dirigerlo. - La Chiesa è una semplice organizzazione sottoposta allo stato. La contestazione forse più forte di Lutero è quella contro la Chiesa universale, cioè contro il papato. Nascono in tale modo le Chiese di stato. Lo stato assoluto e il diritto divino dei re Dalle chiesa nazionali si passerà nel '600 allo stato assoluto. Tale dottrina, che domina il XVII sec, è caratterizzata da tre principi fondamentali nei quali vengono ripresi i contributi rinascimentali. 1. Il potere del sovrano deriva direttamente da Dio. Il sovrano assoluto è il garante della Chiesa nel suo stato. 2. Il sovrano non risponde a nessuno, se non alla propria coscienza che è l'unico tribunale cui deve sottomettersi. Ricorda quanto affermato da Gregorio VII nel Dictatus papae 3. La ragion di stato è l'unico limite alla assoluta irresponsabilità del sovrano: il sovrano può abbandonare anche i propri principi morali solo qualora ciò sia richiesto dai supremi interessi dello stato. Questo per quanto riguarda l'origine del potere. I principi che governano i rapporti tra lo stato e la Chiesa nello stato assoluto Lutero aveva proclamato la necessità di riportare la Chiesa alla semplicità delle regole evangeliche, senza le sovrastrutture create dalla Chiesa stessa che portavano agli abusi che derivavano dal collegamento della Chiesa con gli stati. Da tale concezione luterana derivano due conseguenze - il disconoscimento della Chiesa come ordinamento primario (non è un ordinamento giuridico a sé stante) - Potere dei principi di imporre la propria religione ai sudditi. Chi vuole cambiare religione ha lo ius migrandi, ma non il diritto di permanere nello stato salvo ammissione dello stesso principe di altri culti Ciò determina quel sistema di regolamentazione del fenomeno religioso che nei paesi germanici prende il nome di territorialismo. Ciò vale per i paesi che abbracciano la riforma luterana. Di fatto sono prodotti però dei riflessi anche sugli altri stati. !11 In tale ambito questi stati non solo rivendicano la propria autonomia in materia temporale, ma cercano anche di imporre la loro supremazia nell'ambito spirituale. E' tipico dello stato assoluto. Lo fanno atteggiandosi a protettori della Chiesa e difensori della fede e in questo modo si ingeriscono e cercano di essere sovrani anche in materia spirituale. Il giurisdizionalismo è il sistema dei rapporti tra lo stato e la Chiesa che vede la rivendicazione del sovrano della giurisdizione sulla Chiesa come propria e irrinunciabile. A seconda della connotazione geografica tale fenomeno prender il nome di - Gallicanesimo in Francia - Regalismo in Spagna - Giuseppinismo in Austria - Leopold?!???! VD SLIDE in Toscana - Legazia apostolica in Sicilia - Tanuccinismo a Napoli Il potere statale si pone come protettore degli organi della Chiesa, dei fedeli e della Chiesa stessa. Tale compito di protezione è considerato dai sovrani come un dovere fondamentale che è anche un potere. Qual'è la differenza tra gli stati che abbracciano la riforma luterana e quelli cattolica? Gli iura in sacris e iura circa sacra. Iura in sacris: i luterani si erano arrogati il diritto di intervento diretto sull'organizzazione religiosa cristiana. Iura circa sacra: i sovrani cattolici ritengono di poter legittimamente intervenire quando ci siano dei problemi relativi all'organizzazione. Tali interventi sono sia volti a difendere la fede e la Chiesa sia destinati alla tutela del popolo contro gli abusi ecclesiastici. Sono suddivisibili in due gruppi: - diritti del sovrano di intervenire per difendere la fede e la Chiesa. Ad esempio - lo ius reformandi che il sovrano si riserva per modificare la struttura della Chiesa nel proprio stato. - Lo ius inspiciendi che consente al sovrano di controllare i rapporti tra la Chiesa del suo stato e Roma. - Lo ius advocationis che sancisce il potere del sovrano di reprimere eresie, scismi, controversie interne alla Chiesa e pericolose per la sua unità. - Lo ius nominandi permette al sovrano di concorrere alla nomina dei vescovi e dei sacerdoti. - diritti destinati alla tutela del popolo contro gli abusi ecclesiastici - Execuator: interventi autoritativi con cui lo stato condiziona la pubblicazione e l'efficacia degli atti dell'autorità ecclesiastica. - ius appellationis: un fedele può richiedere al principe la riforma di un provvedimento emesso dall'autorità ecclesiastica. Si tratta dell'esemplificazione più evidente del giurisdizionalismo. Anche i beni ecclesiastici vengono ricondotti alla disciplina statale. I sudditi devono seguire la religione del sovrano, ma si afferma il diritto del sovrano di concedere anche l'esercizio della religione privata diversa da quella propria. Esempio concreto di stato assoluto: Francia del re sole. Come cerca di reagire la Chiesa di Roma a tale situazione che si determina negli stati assoluti? Luigi XIV ha fatto diventare la corona francese gloriosa e pone le basi della struttura burocratica francese accentrando il potere nelle sue mani. Usava la metafora del corpo e della testa umana dicendo che solo alla testa spetta decidere il bene di tutto il corpo (lo stato) e le membra (persone e situazioni dello stato) devono solo obbedire. La politica ecclesiastica di Luigi XIV !12 regalisti saranno coloro che porteranno all'affermazione del matrimonio civile in Francia con sostituzione del matrimonio canonico. - Il giansenismo contribuisce alla lotta contro l'assolutismo perché mette in evidenza come siano fuori dal cristianesimo tutti quei valori della civiltà umana che non si rifanno a Cristo (il potere temporale, la mondanità e tutto il lusso cui era abituata la Chiesa) - Gli scrittori allegri (ad esempio Cyranò de Bergeraque, Moliere): sono prose o poesie comiche, leggere, satiriche che scardinano l'idea che si possa parlare solo di religione e che non si possa scherzare o avere altri valori Tutto ciò determina quello che è il movimento europeo contro l'assolutismo. Le linee direttrici del movimento (obiettivi) - lottare per la riforma dello stato: è una direttiva politica e punta a scardinare l'accentramento assolutistico chiedendo, ad esempio, l'abolizione delle differenze di classe, il controllo delle attività e persone pubbliche, allargamento della vita economica, un sistema più moderno - Lottare contro la Chiesa (cioè contro l'alleanza tra trono e altare). Già verso la metà del XVIII sec ha come risultato quello di condurre l'atteggiamento dell'uomo che si pone di fronte a Dio, non più come al padre misericordioso e a cui obbedire, ma l'uomo comincia a considerare Dio come un sovrano cui non vuole più obbedire. Viene stravolta la visione cristiana. Tutto questo porterà, anche con l'influenza dell'illuminismo, alla rivoluzione francese e da questa nascerà lo stato laico. Dalla rivoluzione francese alla separazione tra lo Stato e la Chiesa Il separatismo illuminista Tra i fattori di deconfessionalizzazione l'ultimo in ordine cronologico è l'illuminismo. L'illuminismo è il culto della ragione. Quali conseguenza ha questo nuovo pensiero sui rapporti tra stato e chiesa? Propone un sistema separatista che afferma l'assoluta autonomia dell'ente stato rispetto a qualsiasi entità o apparato ecclesiastico e quindi la totale neutralità dello stato nei confronti di qualsiasi fede o dottrina religiosa. Si è visto che da quando comincia ad affermarsi il cristianesimo allo stato assoluto, premesso il riconoscimento del dualismo giurisdizionale, vi è stato un continuo alternarsi di periodi in cui un potere cercava di avere la meglio sull'altro. Con l'illuminismo questo schema tradizionale si rompe. Il dualismo giurisdizionale è ancora riconosciuto, ma si proclama il totale parallelismo tra aspetto politico e aspetto confessionale. Se l'ente stato è autonomo rispetto alla confessione religiosa ed è neutrale nei confronti di qualunque confessione religiosa la conseguenza è la piena libertà religiosa per ogni chiesa o confessione (questo dal punto di vista istituzionale). Dal punto di vista individuale la conseguenza è l'uguaglianza di tutti i cittadini a prescindere dalle opinioni di ciascuno. Si rifondano lo stato e le istituzioni pubbliche in modo da rendere irrilevante di fronte a essi ogni profilo religioso della vita del cittadino. Il privato per lo stato è solo civis. Si esalta il carattere privato della religione e si dice che lo stato ha il dovere di tutelare la privacy del cittadino ignorando completamente le sue certe religiose. E' celebre l'espressione di Friedberg per cui i rapporti tra lo stato e i cittadini devono strutturarsi in modo tale che la vita dei cittadini trascorra dalla culla alla tomba senza che dallo stato derivi alcun intralcio o alcun impulso di carattere religioso. Lo stato deve essere completamente neutrale, non deve interessarsi alla fede religiosa dei propri cittadini. !15 La neutralità dello stato è il primo elemento del modello normativo proposto dall'illuminismo dei rapporti tra stato o chiesa. Neutralità che significa la cancellazione della rilevanza confessionale di norme e istituti che fino ad ora avevano rilevanza anche nello stato. Dalla nascita, all'educazione e alla vita matrimoniale tutto passa nelle mani dello stato, mentre precedentemente l'educazione era gestita dalla Chiesa. Quindi si crea una rete di istituzioni e strutture e sociali laiche (dello stato) che sono l'embrione del futuro stato di diritto e che sono impensabili senza la svolta separatista. Il separatismo, con la neutralità dello stato, esclude anche qualsiasi rapporto diretto tra lo stato e la confessione religiosa. In un sistema separatista non sono minimamente presi in considerazione i concordati. Il secondo elemento fondante il sistema separatista illuminista è quello della libertà di coscienza. Il concetto di libertà religiosa non riguarda solo le istituzioni religiose e confessionali, non solo la Chiesa o il protestantesimo, ma si estende a tutte le manifestazioni del libero pensiero. Quindi libertà religiosa è anche libertà di pensiero. In Europa però i sistemi separatisti sono diversi. Il separatismo europeo non riesce a rimanere fedele ai presupposti illuministici di libertà e neutralità confessionale che lo ispirano. Quindi è profondamente ostile al cattolicesimo e alle sue istituzioni. Ciò perché, per affermarsi, il separatismo in questo momento necessita di combattere il cattolicesimo sino quasi a arrivare a una sorta di scristianizzazione della società civile. Mantenere il riconoscimento della libertà alle confessioni religiose in Europa significherebbe continuare a mantenere lo status quo. Ad esempio mantenere il riconoscimento del matrimonio religioso avrebbe significato che tutti si sposassero col matrimonio canonico e di fatto non avrebbe portato a una situazione di eguale libertà di tutti i culti. Lo stato si sarebbe sempre trovato di fronte una presenza forte quale quella della Chiesa cattolica. Così favorire le istituzioni private nel campo assistenziale avrebbe consentito alla chiesa cattolica di mantenersi egemone in questo settore. Ed è proprio questo che il separatismo vuole debellare. Per questo si indirizza a contenere, se non proprio a debellare, la struttura proprietaria e il tessuto associativo del cattolicesimo. Questo in particolare in Francia, ma anche in Italia con la legislazione verso nel periodo dell'unificazione. Il separatismo europeo quindi si distacca dal modello individuato precedentemente per essere caratterizzato da queste tre direttrici: - l'abolizione degli ordini religiosi: i frati e le suore sono coloro che fanno il voto di povertà, castità e obbedienza, ma in Francia e in Italia hanno raggiunto una consistenza immobiliare tale che lo stato non può accettare di lasciarla così. Gli ordini religiosi vengono quindi aboliti con il conseguente incameramento del patrimonio immobiliare o l'immissione del mercato immobiliare degli edifici di questi ordini. - L'abolizione delle opere pie e di quelle istituzioni cattoliche finalizzate all'assistenza e alla beneficienza e creazioni di istituzioni proprie da parte dello stato (scuole, strutture sanitarie), ma non lascia la libertà anche alla chiesa di farlo. - L'abolizione della dipendenza organica delle scuole dall'autorità ecclesiastica e anche estromissione dell'insegnamento religioso (anche quando sia divenuto cultura religiosa) dalla scuola pubblica. E' un separatismo che più che essere neutrale e laico assume una dimensione negativa di laicismo (al contrario di altri sistemi separatisti come quello nord americano). !16 Il diritto di libertà religiosa non è positivo in tale contesto che garantisce situazioni positive. E' tutelato solamente come fatto privato. Allora nessuna cerimonia pubblica può avere carattere confessionale. La scuola deve essere totalmente esente dall'influenza e dalla presenza religiosa, la scuola deve essere laica. La Chiesa non può essere sovvenzionata dallo stato perché il denaro dello stato è di tutti, mentre la chiesa è solo di alcuni. Nelle forze armate non c'è la presenza di un cappellano, anche se poi ci si accorge della necessità della loro presenza quando i soldati muoiono in guerra. Il separatismo europeo, e francese in particolare, sembra quasi sostituire la religione della laicità alle altre confessioni religiose. La religione deve essere un fatto privato di cui gli altri non devono sapere nulla, a cominciare dallo stato che non deve sapere qual'è la confessione religiosa dei propri cittadini. Quello che nasce come sistema che voleva garantire libertà e uguaglianza a tutti, sia alle confessioni religiose che ai singoli individui, finisce invece per trasformarsi in un sistema segregante ed emarginante. Coloro che non possono mantener privata la propria confessione religiosa (i sacerdoti) saranno i principali emarginati. Vi è quindi questa travalicazione del modello ideale. La svolta separatista cambia completamente e definitivamente i rapporti tra stato e Chiesa. L'influenza sui vari ordinamenti varia da paese a paese. Nei paesi cattolici si ha un impatto maggiore rispetto ai paesi protestanti perché in tali paesi la tradizione e la forza della Chiesa cattolica erano preponderanti. Il separatismo nei paesi protestanti non sente il bisogno di debellare quello che c'era prima, perché la potenza della realtà confessionale non è così imponente come nei paesi cattolici nei quali il separatismo si afferma con un'alternanza di vittoria e di sconfitte. Vi è una prima fase di modernizzazione laicista e una seconda di restaurazione che segue il congresso di Vienna del 1815 che segna un temporaneo ritorno al regime assolutistico e confessionista. Come avviene tale diffusione: 1. La Spagna Sul finire del XVIII sec prima Carlo IV e poi Giuseppe Bonaparte realizzano le prime riforme - aboliscono l'inquisizione - Riducono il numero dei conventi - Procedono all'incameramento dei beni - Giuseppe nel 1812 approva la costituzione liberale. Sale però al trono Ferdinando IV che - ristabilisce l'inquisizione - Riporta i gesuiti in Spagna restituendo loro i beni che i predecessori avevano incamerato - Abroga la costituzione del 1812 I passaggi in questo periodo sono molto veloci tra la spinta verso il separatismo e il ritorno a un sistema più tradizionale. Nel 1820 vi è un'insurrezione anti monarchica e Ferdinando viene cacciato con conseguente ritorno alle riforme precedenti. Tali cambiamenti sembrano dettati, più che da una politica legislativa, da cambiamenti d'umore. Vicende analoghe avvengono in Portogallo. 2. La Francia La situazione francese rappresenta l'esempio tipico del separatismo europeo: la nascita di un sistema che ancora ad oggi vuole essere un modello e che spesso anche la nostra dottrina vuole prendere in tal senso. !17 del separatismo europeo, anti-ecclesiastico). Un separatismo che fa della laicità dello stato una religione a cui tutti le altre devono asservirsi. Pretende di disciplinare gli ordinamenti interni delle confessioni religiose obbligandole a organizzarsi sulla base di associazioni culturali (di culto, come quelle riconosciute dal diritto civile). Decade formalmente il concordato del 1801 e la Francia torna a essere un paese separatista con le asprezze originarie. MA la Francia è una paese di contraddizioni perché è vero che nel 1905 c'è questa legge di separazione e viene applicata in modo severo, ma nell'Alsazia e nella Mosella è ancora in vigore il concordato del 1801 (il clero è quindi ancora stipendiato dallo stato, i vescovi sono nominati dal capo dello stato). Contraddizioni a cui si aggiungono particolari regimi nei territori di oltre mare. Italia Nel Regno di Sardegna nel XIX, dal punto di vista dei rapporti tra stato e Chiesa, la legislazione è ispirata ai principi del giurisdizionalismo. Si è visto come la rivoluzione francese negava l'anciem regime e tutto ciò che era collegato al sistema dell'alleanza tra il trono e l'altare. Negava il riconoscimento delle Chiesa come ordinamento. Ciò a favore dei principi che vuole era affermare: quello di libertà e uguaglianza. La rivoluzione sosteneva la necessità di definire come fondamentali, e quindi incoercibili e irrinunciabili, i diritti essenziali della persona e quindi anche quello di libertà di coscienza: cioè quello di formare senza condizionamenti la propria coscienza e idee anche in materia religiosa. Secondo principio di cui è portatrice la rivoluzione francese è quello dell'uguaglianza degli uomini. Per il profilo che interessa questo si traduce nel garantire a tutti la pratica religiosa e a tutti nelle migliori condizioni. Quindi non può più esistere il concetto di religione di stato. Di conseguenza viene meno ogni intervento dello stato in difesa di una professione di fede rispetto alle altre: lo stato non si identifica più con una confessione religiosa, non sostiene più la religione di stato, ma le considera tutte uguali e tutte relegate nella sfera privata dei cittadini. Per rendere tutti liberi e tutti uguali la Chiesa deve abbattere anche i principi della potestas indirecta in temporalibus perché il cittadino deve essere libero da ogni condizionamento, non può quindi subire quelle pressioni che la Chiesa esercita anche nelle cose temporali. Tutto questo portato della rivoluzione francese impone un nuovo sistema nei rapporti tra stato e Chiesa. Si tratta di un sistema di separatismo liberale e che si fonda su tre principi - lo stato non ha alcun potere spirituale - La Chiesa non ha nessuna potestà nell'ordine temporale - La illimitata e reciproca libertà dello stato e della Chiesa: totale ignoranza, nel senso di non riconoscimento, di un ordinamento nei confronti dell'altro e in particolare dello stato nei confronti della Chiesa. Su tali basi non vi erano i presupposti per poter avere delle soluzioni di compromesso o anche di concordato. Riassume molto bene tale situazione la celebre frase di Cavour "Libera Chiesa, in libero stato". Solo che poi anche questo sistema di rapporti subirà delle evoluzioni. Questa è la situazione in cui i re sabaudi si trovano ad operare e anche a portare avanti il loro progetto di unificazione dell'Italia. Nel regno sabaudo la legislazione è ancora conforme ai principi del giurisdizionalismo e comunque la codificazione del 1837 proclama la religione cattolica come religione dello stato e in quanto tale protetta dal re e gli altri culti sono meramente tollerati. !20 Il 18 febbraio 1848 vengono concessi ai valdesi i diritti civili e politici precedentemente negati e la possibilità di fare carriera nelle università. Formalmente vige ancora il sistema giurisdizionalista, ma pian piano tale situazione viene sradicata. Si tratta di una svolta legislativa e tuttavia non si radica ancora il concetto di discriminazione per motivi religiosi. Non viene fatta dal re perché altrimenti i valdesi sarebbero discriminati, ma il sovrano concede tali diritti. Si è ancora nella cornice dei diritti soggettivi essenziali come concessione del sovrano e quindi ben lontani dai principi di uguaglianza e libertà proposti e portati avanti dalla rivoluzione francese. Sempre per concessione del re Carlo Alberto viene promulgato il 4 marzo lo Statuto Albertino che comporta il trasferimento, almeno a parole, della sovranità al popolo e la proclamazione dei diritti primari a tutti senza possibilità di discriminazioni. Ancora una volta però ci sono delle evidenti contraddizioni perché a fronte di queste altisonanti affermazioni il re, spinto alle proprie convinzioni religiosi, impone la perpetuatio dell'antico principio della religione di stato: cioè impone di continuare a considerare la religione cattolica come quella di stato. Da qui il contenuto - dell'art 1 statuto: " La religione cattolica apostolica e romana è la sola religione dello stato. Gli altri culti ora esistenti sono tollerati conformemente alle leggi" Si tratta di una norma che deve essere interpretata in armonia con i principi del sistema delineato e anche con gli altri articoli dello statuto: - Art 24 sancisce l'uguaglianza di fronte alla legge di tutti i cittadini Tuttavia sono ancora presenti effettive discriminazioni e disposizioni volte a ribadire la funzione del sovrano come custode e difensore della Chiesa, infatti da un parte il principio di uguaglianza è temperato dalla clausola che ci possono essere eccezioni determinate dalla legge. D'altra parte lo statuto prevede altre disposizioni che limitano la libertà di religione e quella di stampa: - Art 28 "Le bibbie, i catechismi, i libri liturgici e di preghiere non possono essere stampati senza il preventivo permesso del vescovo" A tali contraddizioni si aggiungono dei residui di giurisdizionalismo soprattutto nel - art 18 proclama la riserva dei diritti spettanti alla potestà civile, specie in materia di benefici - Art 33 ripresenta l'opportunità di collegamento giuridico-politico tra stati e Chiesa nazionale stabilendo che possano essere eletti a senatori gli arcivescovi ed i vescovi. Dunque l'indirizzo di questo nuovo stato non è propriamente conforme a quello che i principi dello statuto fanno intendere. Lo Statuto Albertino però è una costituzione flessibile, quindi, oltre alle contraddizioni interne e alle tracce residuali di giurisdizionalismo, vi è anche la possibilità che lo statuto sia modificato per legge ordinaria. Così infatti avviene: nuove norme si sostituiscono o aggiungono a quelle viste - con l'editto del 17 marzo del 1848 si riconoscono i diritti elettorali indipendentemente dal culto professato - 29 marzo del 1848 con rd sono proclamati i diritti civili degli israeliti regnicoli - 26 marzo rd sulla libertà di stampa toglie tutte le restrizioni circa le manifestazioni del pensiero a mezzo stampa e viene quindi implicitamente a abrogare l'art 28 dello statuto (le dispositizioni statutarie sui libri sacri) - L 735 del 19 giugno 1848 si afferma che "volendo togliere ogni dubbio sulla capacità civile e politica dei cittadini che non professano la religione cattolica" prevede che "la differenza di culto non forma eccezione al godimento di diritti civili e politici ed all'ammissibilità alle cariche civili e militari" Pochi anni dopo vi è di nuovo una deriva a favore ecclesiastico - la legge Casati (1859) sottolinea il valore dei principi religiosi. La religione cattolica non rimane del tutto priva di un ruolo all'interno del sistema. Ciò in Italia è inevitabile per ragioni sia storiche che geografiche, vi è l'impossibilità di un sistema di giurisdizionalismo puro. !21 - Regolamenti carcerari (1861-62) che garantiscono ai detenuti l'esercizio del culto cattolico - Leggi che riconoscevano festività religiose - Codice penale del 1859 : reprime i reati con la religione dello stato stato in modo diverso rispetto ai reati commessi contro i "culti tollerati". L'art 106 di questa legge elenca tra le cause di sospensione o di rimozione di un membro del corpo accademico l'avere, con l'insegnamento o con gli scritti, impugnato le verità sulle quali risposa l'ordine religioso e morale. Tale decennio è anche delle legislazione eversiva che tende a spogliare, anche in Italia, la Chiesa dell'immane patrimonio, immobiliare soprattutto, che detiene. Tale legislazione allarga il solco tra lo stato e la Chiesa e fa sentire la sua importanza anche in materia della questione romana. Con la legge 3036/1866 - vengono soppresse le corporazioni religiose - viene revocato il riconoscimento nello stato degli enti ecclesiastici che presupponevano una vita comunitaria secondo una regola. Vengono eliminati gli enti regolari per trasferire al demanio dello stato tutti i beni, di qualunque specie, che fossero appartenuti alle corporazioni soppresse con l'obbligo di iscrivere a favore del fondo per il culto, con effetto dal giorno della presa di possesso, una rendita del 5% eguale alla rendita accertata e sottoposta al pagamento della tassa di manomorta, fatta deduzione del 5% per spese di amministrazione. Nasce il fondo per il culto (che a di oggi si chiama fondo edifici di culto). - Devolve alle pubbliche biblioteche e musei tutto ciò che era appartenuto alle case religiose, fatta salva la conservazione dell'uso degli oggetti di culto per le Chiese in cui essi si trovano Ai religiosi viene riconosciuto - il diritto di convivere secondo il diritto comune (a differenza di quanto era stato disposto per i gesuiti nel '48, si quali tale convivenza era stata vietata) - Un assegnamento annuo (indennità) diverso a seconda della qualifica posseduta La legge specifica le caratteristiche e le categorie dei beni che non devono essere trasferite al demanio pubblico. Nel 1873 vi è l'applicazione di tutte queste disposizioni anche alla provincia di Roma. Nel 1873 perché nel frattempo scoppia la questione romana. Per questione romana si intende, dal punto di vista dello stato, la necessità di ricondurre a Roma la capitale d'Italia. Nel 1848 la capitale è Torino, poi Firenze, ma l'obiettivo è Roma (realizzato solo nel 1870). Dal punto di vista dello stato c'è anche la necessità di definire la posizione giuridica del pontefice (al momento è il sovrano dello Stato Pontificio). Fare di Roma la capitale d'Italia significa impadronirsi di Roma e quindi sottrarre al Pontefice il suo stato. E' ovvio quindi che lo stato si ponga il problema di stabilire uno status quo non solo con la Chiesa, ma anche con coloro che vi appartengono che sono cittadini dello stato italiano. Nel 1870 vi è la debellatio dello Stato Pontificio: le truppe militari invadono Roma. Con il Rd 9 ottobre 1970 si sancisce che Roma e le provincie e romane vengono a far parte del Regno d'Italia. All'art 2 si fa salva la dignità e l'inviolabilità delle prerogative personali del pontefice. La legge 13 maggio 1871 definisce meglio la situazione dei rapporti tra lo stato e la Chiesa. Si tratta della "legge delle guarentigie": è una legge unilaterale dello stato italiano ed è proprio questo che il pontefice mai accetterà. Di per sé non è una legge cattiva in quanto riconosce al Pontefice tutte le dignità e le caratteristiche di un sovrano, ma questi non l'accetterà perché è una legge unilaterale dello stato che gli viene imposta. Alcune disposizioni del titolo I e II sono relative alle prerogative del sommo pontefice e della Santa Sede e le relazioni dello stato con la Chiesa. Tali prerogative mirano a svincolare il pontefice dalla posizione di soggetto alla sovranità dello stato. !22 Rivolgendosi a tutti l'episcopato ribadisce che "giudichiamo dovere dell'apostolico nostro ufficio dichiarare solennemente a tutto il mondo che non solo le cosiddette garanzie, le quali erroneamente provocano la solerzia del governo subalpino, ma, ogni genere di titoli, onori, immunità e privilegi in nessun modo possono essere validi per affermare l'esercizio del potere che ci è stato divinamente trasmesso e neppure per proteggere la necessaria libertà della Chiesa". Il "non expedit" La Santa Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari comunica alla Penitenziaria Apostolica la risposta negativa al dubbio sulla partecipazione dei cattolici alle elezioni politiche del Regno d'Italia. Il quesito era stato posto già nel 1868 dai vescovi napoletani che si trovavano esiliati a Roma. Nell'occasione venne coniata una formula che sarebbe divenuta famosa e che avrebbe significato l'impedimento posto dai Pontefici all'attività politica di quanti intendevano seguire le direttive morali e di coscienza: la risposta veniva sintetizzata in "non expedire" (non essere conveniente, opportuno). Il principio viene ribadito nel novembre del 1870 dalla Penitenziaria, cioè dal tribunale della Curia Romana deputato a dirimere i problemi di coscienza, proprio per definirsi il fondamento morale e per valorizzare il vincolo di necessaria adesione che ne derivava. Il perentorio assunto veniva ripetuto perché le circostanze si sono aggravate con la violenta occupazione di Roma e con i nuovi eletti che dovrebbero rappresentare anche Roma e forse farle da legislatori in faccia al legittimo Sovrano. Il 30 luglio 1886, nel timore che il non expedire sia male interpretato e per il delinearsi nel mondo cattolico di un orientamento più liberale, interviene anche il Santo Officio per spiegare come il Santo Padre riferisca alla formula il significato preciso di divieto. Solo Pio X inizierà a temperare la situazione. Dal pontificato di Pio X alla conciliazione Pio X con l'enciclica "Il fermo proposito" del 1905 nomina l'unione popolare che raccoglie in questo periodo, attorno a un solo centro comune di dottrina, propaganda e organizzazione sociale, i cattolici italiani e loda quest'istituzione di carattere generale. E' già in contro tendenza rispetto a Pio IX. Rivolge analoghi complimenti all'opera dei congressi e comitati cattolici che opera in ambito economico e sociale. E' evidente che con tale enciclica Pio X vuole valorizzare quei cattolici italiani che si danno da fare e sono coinvolti nella vita sociale e politica in senso lato dello stato italiano. Incoraggiava il progresso dell'azione cattolica a beneficio del Paese e veniva, quasi necessariamente, a affrontare la questione del transito tra l'impegno sociale, cui il cattolico era chiamato, e quello politico che invece le disposizioni previe della gerarchia continuavano a impedire. In proposito ribadiva le ragioni gravissime che avevano ispirato Pio IX e Leone XIII a dettare tali disposizioni, ma indicava, contemporaneamente, l'esistenza di altre ragioni altrettanto gravissime, tratte dal supremo bene della società in presenza delle quali, nei casi particolari, i Vescovi avrebbero dovuto valutare, con riferimento alla stretta necessità per il bene delle anime e sei supremi interessi delle singole diocesi, ipotesi di dipenda e quindi la possibilità di impegno civile. Era perciò sottolineato come la possibilità di questa benigna concessione inducesse il dovere nei cattolici di prepararsi alla vita politica quando vi fossero stati chiamati. Pio X non arriva a sconfessare i suoi predecessori, ma cerca di mitigare la situazione anche in vista di una possibile conciliazione. !25 Oltre a tale enciclica, vi è la nomina nel 1909 del conte Vincenzo Gentiloni a presidente dell'Unione elettorale cattolica, organizzazione volta a favorire l'attività politica dei cattolici. Il non expedit è implicitamente superato. Sulla base di sette principi, che sintetizzano quelli che sono i pilastri della dottrina sociale della Chiesa (la difesa della libertà di coscienza, l'educazione della gioventù, l'insegnamento della religione, l'opposizione al divorzio, la tutela delle organizzazioni sociali, la giustizia tributaria per gli istituti giuridici, la crescita economica e morale del paese), Gentiloni realizza una serie di accordi privati con esponenti liberali in vista delle elezioni del 1913. Quindi vi è una prima partecipazione pubblica anche se in qualche modo mediata. I canditati si assumevano così l'impegno, attraverso tali accordi privati, che prevedevano il voto dei cattolici, di portare avanti le riforme necessarie per realizzare i principi e di avversare quindi la politica anticlericale del parlamento. Furono effettivamente eletti 200 canditati dai cattolici. Pio X puntava anche alla conciliazione e per tale motivo nel 1919 cominciano delle trattative per la soluzione della questione romana, Nel frattempo anche Benedetto XV di fatto porta avanti una politica favorevole allo stato italiano. Nel 1919 il presidente Orlando riceve un piano di trattato dalla Santa Sede che prevede l'indipendenza e la sovranità internazionale della Santa Sede e fa riferimento a un recinto vaticano e forse ad altri territori confinanti, nonché il riconoscimento dell'accordo ad opera di altri paesi. Il problema delle legge delle guarentigie era che era una legge unilaterale dello stato che concedeva in godimento al Pontefice una porzione di territorio italiano senza riconoscere la sovranità e l'indipendenza del Pontefice e della Santa Sede. In tale piano di trattato si fa invece riferimento all'indipendenza e alla sovranità internazionale e si prevede anche che questo accodo tra la Santa Sede e lo stato italiano sia riconosciuto in qualche modo da altri stati cattolici ai quali la Santa Sede fa riferimento per affermare la propria indipendenza. Le trattative però si interrompono perché il re Vittorio Emanuele III continua a proseguire una politica coerente allo spirito della legge delle guarentigie, una politica liberale. Nel 1923 vengono ripristinate le festività religiose e vengono emanati provvedimenti economici a favore del clero, in particolare vengono aumentati i supplementi di congrua per i sacerdoti. Nel 1924 viene riconosciuta l'Università Cattolica del Sacro Cuore, nata tre anni prima per impulso di padre Gemelli. Nel frattempo viene punita dal codice penale la bestemmia e nel rd sui mezzi di stampa si parla anche di vilipendio della religione cattolica. Tutto ciò mentre, nella situazione lasciata dalla prima guerra mondiale, in Italia si afferma lo stato fascista con un'ideologia che prende molto dal nazionalismo che in tale periodo va affermandosi in tutta Europa e dall'idealismo hegeliano. E' soprattutto in Italia, sulla base di queste due dottrine, che Giovanni Gentile plasma l'ideologia del fascismo. Il suo motto è "tutto nello stato, tutto per lo stato, niente al di fuori dello stato". E' ovvio che in una concezione così totalizzante non c'è spazio per le pretese di indipendenza e di sovranità della Chiesa. Non si dice che non vi è spazio per la religione, ma sicuramente non vi è spazio per l'indipendenza della Santa Sede. E' coerente con tale impostazione la contrarietà espressa da Gentile alla conciliazione tra lo stato e la Chiesa. Anzi in un discorso del 1928 afferma che chi parla di conciliazione non ama lo stato o non ama la Chiesa. Per lui è lo stato ad essere anche educatore e quindi deve assumere anche l'obbligo dell'insegnamento. Fa una riforma della scuola del 1923 con rd che prevede l'insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica inferiore, ma non in quella superiore perché per Gentile la religione è sì un qualcosa di positivo, ma come forma introduttiva alla dottrina del fascismo. Sarà estesa alle scuole superiori solo nel 1929 col concordato del Laterano perché Mussolini si rivela uno statista molto pragmatico, come del resto pragmatica è sempre stata la legislazione italiana in materia ecclesiastica. Si arriva alla conciliazione tra lo stato e la Chiesa !26 non come punto di arrivo di una visione programmatica, ma ci si arriva per il forte pragmatismo. Tant'è vero che molti autori riportano che gli stessi contatti che in tale periodo hanno Mussolini e i rappresentanti pontifici per le trattative sono per lo più casuali, privi di uno studio effettivo sulle questioni trattatarie. In questo senso si può dire che Mussolini vede nella Chiesa un instrumentum regni perchè funzionale al suo piano politico. Il pragmatismo è quindi un carattere fondamentale che ha caratterizzato la legislazione ecclesiastica dello stato fin dall'unità e anche prima. Mai in Italia la dottrina anti-ecclesiatica ha raggiunto gli obiettivi come negli altri stati. E' vero sì che la Chiesa è vista come una stampella e instrumentum regni, ma è anche vero che tutto rientra in questa politica molto pragmatica italiana. Si arriva così alla conciliazione. Nel 1925 sono nel frattempo riprese le trattative, il governo italiano nomina una commissione unilaterale composta di rappresentanti dello stato e aperta a ecclesiastici che vi volevano partecipare. Commissione però che non riesce a arrivare a alcun risultato. Il progetto viene accantonato e ripreso poi nel 1926. I contatti tra lo stato italiano e la Santa Sede rimangono segreti. Vi sono varie bozze di accordo e poi l'11 febbraio 1929 si arriva alla stipula dei Patti lateranensi che vengono firmati da Mussolini per lo stato italiano e dal cardinale Gasparri per la Santa Sede. Vi è il riconoscimento della Santa Sede come soggetto di diritto che in ambito internazionalistico che ha la medesima posizione degli altri stati. Fino al 1925, quando lo stato procede ancora unilateralmente, non vi sono delle vere trattative, vi sono tentativi di riforma in materia ecclesiastica. Solo nel momento in cui lo stato accetta l'idea di avviare delle trattative considerando così la Chiesa suo pari (indipendente e sovrana) permette la stipula dei patti. I patti lateranensi Il testo prende il nome dal palazzo del Laterano dove viene firmato. Si compongono: - il trattato: composto da 27 articoli e di 4 allegati (tra cui la pianta dello stato città del vaticano, gli elenchi degli immobili che esistono in Italia e hanno il privilegio dell'extra territorialità o esenti da espropriazione o che sono estinti dalle tasse). È il trattato internazionale che risolve la questione romana. Vi sono contenute le garanzie di libertà e indipendenza della Santa Sede. Viene riconosciuta, e non concessa, la sovranità internazionale della Santa Sede e lo stato Città del Vaticano. Si tratta degli stessi territori che erano stati concessi in godimento al Pontefice con le legge delle guarentigie, poco nulla cambia dal punto di vista territoriale, ma cambia molto la forma. - Il concordato: trattato internazionale che tratta delle res mixtae, ossia quelle materie che hanno interesse sia per lo stato che per la Chiesa, prima fra tutte la materia del matrimonio. Il pontefice avrebbe detto che pur di ottenere l'art 34 sarebbe andato a trattare col diavolo. La Santa Sede ottiene che il matrimonio canonico sia riconosciuto agli effetti civili: i cattolici non sono più costretti a contrarre matrimonio civile obbligatorio, ma possono chiedere allo stato italiano di riconoscere il matrimonio come sacramento che hanno contratto e celebrato nell'ordinamento canonico. Il concordato è un necessario completamento del trattato ed è destinato a porre le condizioni della religione e della Chiesa in Italia e quindi a regolare i rapporti tra i due ordinamenti quanto alle materie di comune interesse (insegnamento religione cattolica) - Una convenzione finanziaria volta a soddisfare la Sede Apostolica dei danni ingenti subiti per la perdita del patrimonio di San Pietro (legge eversive emanate dallo stato italiano per incamerare i beni della Chiesa cattolica e di ordini religiosi) I patti lateranensi sono trattati internazionali e come tali recepiti in Italia da una legge di esecuzione: L 810/29. Sono il primo allargamento di orizzonte: per la prima volta l'Italia si apre a un altro stato per !27 il Pontefice è il sovrano dello stato Città del Vaticano e gode della pienezza dei poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario): assenza della divisione dei poteri. Dunque si può affermare come sia proprio di questo Stato patrimoniale il regime giuridico delle monarchie assolute. Tale posizione costituzionale del pontefice è comunque diversa da quella dell'ordinamento canonico poiché in quest'ultimo il pontefice ha la plenitudo potestatis (pienezza del potere in quanto vicario di Cristo) che certamente non è assolutismo. Il fatto che il Pontefice sia il capo della Santa Sede e il sovrano dello stato non incide sulla reciproca autonomia ed indipendenza dei due enti, cioè sulla loro singolare realtà giuridica (in ambito internazionalistico e circa i rapporti con l’Italia). Lo stesso trattato fa riferimento alla distinzione tra i due soggetti come ad esempio dimostrano l’art 24 con il riconoscimento della sovranità internazionale della Santa Sede; la qualificazione neutrale per il territorio della Città del Vaticano; il rinvio alle norme di diritto internazionale per l’esecuzione nel Regno delle sentenze emanate dai tribunali della Città del Vaticano (che certamente non sono i tribunali dell’ordinamento canonico alle cui decisioni si fa invece riferimento nel Concordato). Il dato si evince anche ripetendo come la “creazione” dello Stato ad opera del Trattato implichi la preesistenza della Santa Sede che ha voluto e sottoscritto il trattato stesso. Le fonti normative dello Stato Città del Vaticano Il trattato del Laterano viene pubblicano negli acta apostolicae sedis, che sono la gazzetta ufficiale dell'ordinamento canonico e sono anche la gazzetta ufficiale dello stato Città del Vaticano in una sezione apposita che si chiama supplementum. Nel primo numero del supplementum viene pubblicato il trattato e ciò vale come promulgazione. Normalmente le leggi che vengono pubblicate nel supplementum per lo stato entrano in vigore dopo 7 giorni (3 mesi di vacatio legis per l’ordinamento canonico). Nel giugno del 1929 vengono emanate le "sei leggi organiche" che disegnano la struttura formale dello stato Città del Vaticano e le regole del suo funzionamento. La prima legge organica è detta legge fondamentale. Delinea le regole essenziali dello stato, enunciandone i principi supremi e la sua struttura costituzionale. All'art 1 si ribadisce che "il sommo pontefice, sovrano dello stato Città del Vaticano, ha la pienezza dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario". Come nell'ordinamento canonico, così anche nello stato non vi è la divisione dei poteri in capo al pontefice. Tale legge è stata poi sostituita dal motu proprio di San Giovanni II del 26 novembre del 2000, entrato in vigore solo nel 2001 in quanto la legge può stabilire un tempo diverso di vacatio legis. Tale nuova legge fondamentale riprende il precetto contenuto nella legge del '29 e ancora prima nel trattato. La seconda legge organica è sulle fonti del diritto. Ancora oggi nello stato sono in vigore tali leggi per cui si applica - il codice di diritto canonico - le costituzioni apostoliche per la produzione normativa - le leggi emanate dal pontefice o un'autorità da lui delegata - i regolamenti emanati dall'autorità competente. Per rinvio materiale la legge sulle fonti prevede che nello stato si applichino le leggi emanate dal regno d'Italia (in vigore fino al 7 giugno del 1929) salvo che siano contrarie a precetti diritto divino o precetti generali del diritto canonico - il codice penale Zanardelli del Regno d'Italia - codice di procedura penale - codice civile !30 - codice di commercio - parti del codice di procedura civile che poi è stato emanato dal legislatore dello stato Città del Vaticano nel 1946 Tra le fonti suppletive vi sono anche le consuetudini (dello stato Città del Vaticano dal 1929, in quanto prima non vi era uno stato, e quelle della diocesi di Roma cui lo stato appartiene) e la giurisprudenza che colma dei vuoti legislativi. Tale legge sulle fonti è stata modificata da Benedetto XVI nell'ottobre del 2008. Principali novità - art 1.1 specificazione per cui "l'ordinamento giuridico vaticano riconosce nell'ordinamento canonico la prima fonte normativa ed il primo criterio di riferimento interpretativo" - "l'ordinamento giuridico vaticano si conforma alle norme di diritto internazionale generale e a quelle derivanti da trattati e altri accordi di cui la Santa Sede è parte". Ad esempio nella convezione di Vienna lo stato Città del Vaticano non è parte, ma con tale clausola l'ordinamento giuridico vaticano si conforma a tali disposizioni in quanto la convezione è ratificata dalla Santa Sede - "nelle materie alle quali non provvedono le fonti indicate all'art 1 si osservano in via suppletiva le leggi e gli atti normativi emanati nello stato italiano". Non è quindi un rinvio automatico, ma materiale. Lìefficcia del rinvio è puntuale e specifica, cioè di volta in volta e materiale, piche opererà previo recepimento da parte della componente autorità vaitcana. Tale rinvio sarà comunque possibile se le norme non siano contrarie al diritto divino, ai precetti generali del diritto canonico e alle norme del patto del Laterano e ai successivi accordi - si specificano quali sono le norme dello stato italiano che sono recepite: - il codice civile del 1942 - quelle già in vigore Ma lo stato Città del Vaticano si riserva alcune materie che sono trattate dal codice civile che sono - la cittadinanza - la capacità di agire - il matrimonio - i registri dello stato civile - i rapporti di lavoro - l'esercizio della professione notarile I rapporti tra lo stato città del vaticano e l’Italia Vi è una normativa bilaterale (pattizia) tra lo stato Città del Vaticano e l'Italia che prevede specifici obblighi di natura internazionale. Una prima parte di tali obblighi è volta a assicurare allo stato Città del Vaticano forniture materiali o mezzi di collegamento con l'estero. Il trattato prevede che l'Italia debba assicurare un'adeguata dotazione di acqua in proprietà della Città del Vaticano e provvedere alla comunicazione con le ferrovie mediante la circolazione di veicoli propri del vaticano sulle ferrovie italiane (trattato art 6). L''art 20 del trattato afferma che le merci provenienti dall'estero e dirette alla Città del Vaticano saranno sempre inoltrate con piena esenzione dai diritti doganali e daziali. Un secondo gruppo di obblighi mira a rendere effettiva la sovranità dello stato Città del Vaticano: l'art 19 prevede una serie di impegni per assicurare il libero accesso alla Città del Vaticano per quanto possa rilevare circa la libera attività diplomatica. Ciò significa che non vi sono guardie italiane che impediscono l'ingresso nello stato Città del Vaticano, ma si deve passare il controllo dei gendarmi. !31 I rapporti sono anche logistici con riferimento alla piazza e alla basilica di San Pietro: esse sono aperte ai fedeli, ma soggette alla sovranità del Pontefice, ma per evidenti ragioni pratiche, ossia disciplinare il transito dei fedeli, sono state previste norme che implicano reciproci obblighi tra di due stati. La Città del vaticano deve - lasciare la piazza aperta al pubblico - permettere nella piazza l'esercizio dei poteri di polizia italiana, le forze però devono arrestarsi ai piedi della scalinata della basilica se non sono chiamate. L'Italia deve - vigilare con la propria polizia in questa zona - intervenire, se viene fatta richiesta dall'autorità competente, per svolgere funzioni di ordine pubblico sulle scalinate e anche all'interno della Basilica - ritirare, salvo diverso invito, al di là delle linee esterne del colonnato berniniano e del suo prolungamento, le proprie forze di polizia quando, in vista di particolari funzioni la piazza venga, dalla Santa Sede, sottratta al libero transito del pubblico Talvolta vi può essere una cooperazione giudiziaria. L'art 22 del trattato distingue due ipotesi - quella in cui ci siano comportamenti delittuosi posti in essere nella Città del Vaticano: se l'autore del delitto si rifugia nello stato italiano questi procederà in base alle proprie leggi. L'autore potrebbe essere arrestato o rimanere nello stato Città del Vaticano che potrà o processare direttamente il reo o richiedere e delegare l'Italia a provvedere nel suo territorio alla punizione. In tale secondo caso però la dottrina è divisa sulla legge che il giudice italiano debba applicare: secondo alcuni la legge vaticana, secondo altri la legge italiana. Secondo la prima ipotesi la cooperazione sembra riferire all'Italia il compito di agire nell'interesse della Città del Vaticano e pertanto di applicare la legge penale dello Stato Città del Vaticano, e non quella sua propria. Altri, invece, sottolineano lo Stato italiano non potrebbe espletare la funzione punitiva applicando «le leggi di un altro paese». - quella in cui siano posti in essere comportamenti nel territorio italiano da soggetti che scappano nella Città del Vaticano. In tale caso si prevede il rinvio alla normativa italiana. In questo caso le parti volevano chiaramente che il giudice italiano decidesse con il diritto italiano, nella prima ipotesi invece nulla viene detto e di conseguenza deve essere applicata la legge vaticana. I rapporti nel campo giudiziario: se vi è una sentenza vaticana per eseguirla in Italia si fa riferimento alle norme sulla delibazione delle sentenze straniere. L’art. 23 del Trattato disciplina il coordinamento tra le giurisdizioni dei due Stati, richiamando, per l'esecuzione in Italia delle sentenze emanate dai tribunali dello Stato Città del Vaticano, le norme di diritto internazionale: il che implica, per il diritto interno della Repubblica, l’equiparazione di queste sentenze alle altre straniere e dunque possibilità di delibazione. Lo stesso articolo si riferisce anche, nel secondo comma, ai rapporti tra l'Italia e l'ordinamento canonico, in quanto stabilisce come dovrebbero avere «senz'altro piena efficacia giuridica», «a tutti gli effetti giuridici», «le sentenze e i provvedimenti emanati da autorità ecclesiastiche o religiose e concernenti materie spirituali»: la disposizione va oggi letta in correlazione con i 'principi supremi' della Costituzione e coordinata con le regole nuove poste dall'«Accordo di modificazioni del Concordato Lateranense». Il regime relativo alla notificazione degli atti in materia civile e commerciale è stabilito da una convenzione tra Italia e Santa Sede del settembre del 1932. Chi (soggetto pubblico o privato) intenda notificare tale genere di atti a persona che si trovi nell'altro stato dovrà rivolgersi - al procuratore della Repubblica laddove dall'Italia si intenda operare la notificazione nello stato città del vaticano !32 - Uffici della Santa Sede Il problema però non si è risolto. L'art 11 del trattato è stato presentato più volte nei tribunali italiani. Una di queste è stata la vicenda del crack del banco ambrosiano. Il problema era relativo alla responsabilità di alcuni dirigenti dell'istituto per le opere di religione (IOR). I magistrati italiani ritenevano che fossero coinvolti, e quindi penalmente responsabili, alcuni dirigenti. La dottrina si è distinta dando - un'interpretazione restrittiva di enti centrali della Chiesa: sono considerati enti centrali solo quelli che perseguono il fine del governo universale della Chiesa - Un'interpretazione estensiva: sono enti centrali tutti gli enti pontifici, ossia gestiti direttamente dalla Santa Sede anche se autonomi rispetto alla Curia romana e anche se svolgono attività in settori lontani da quella che è la missione spirituale della Chiesa. Secondo tale la concezione lo IOR è un ente centrale Per cercare di uscire da tale empasse è stato sottolineato che l'art 11 del trattato viene a completare il quadro delle garanzie che la sovranità del Pontefice richiede affinché questi possa governare la Chiesa con la necessaria libertà. E' sì vero che è stata riconosciuta la sovranità del Pontefice da parte dello strato italiano, ma il Pontefice deve essere messo in grado di agire liberamente. Si tratta quindi di garanzie che vengono riferite alla Santa Sede, alla plenitudo potestatis del Pontefice che viene esercitata attraverso enti che partecipano della missione del Pontefice. Da tale enti quindi sarebbero esclusi solo quelli periferici (ad esempio gli apparati degli episcopati residenziali) o quelli adiuvanti (ordini religiosi, le associazioni dei fedeli, le prelature personali che dovessero nascere. Esistere solo la prematura dell'opus dei ad oggi). Se per enti centrali si fa riferimento alla volontà del Pontefice e se, da un'indagine storica, emerge che il Pontefice si è sempre fornito di strumenti operativi (che poi hanno creato la Curia Romana) allora si può considerare come enti centrali tutti quelli che costituiscono la curia. Non si può ritenere che gli enti che formano la curia siano a numero chiuso perché, con l'evoluzione dei tempi, il Pontefice può avere altre necessità (la stessa Curia Romana ha subito un'evoluzione nei secoli). Garantire la libertà del Pontefice esige garantire la libertà di tutti quegli enti che partecipano della potestà e della missione del Pontefice. Perciò non è possibile aderire alla tesi di chi, ammettendo come gli “enti centrali mutino nel tempo con il mutare delle strutture della Curia»”, assume che “ove la Santa Sede ritenga che anche altri enti debbano rientrare nel novero di quelli previsti dal Trattato” dovrebbe “concordare con lo Stato un elenco che faccia stato, salvo un aggiornamento periodico”. La norma del Trattato sembra infatti operare, in proposito, rinvio formale del diritto dello Stato al diritto canonico che se, a sua volta, non definisce il concetto di «ente centrale», certo lo presuppone e così permette di operarne concreta considerazione. Lo IOR L’11 febbraio 1887 Papa Leone XIII istituisce la Commissione Cardinalizia ad pias causas con un proprio regolamento “nell'intento di custodire ed amministrare i capitali delle fondazioni”. Il 24 novembre 1904 Papa Pio X cambia il nome della Commissione in Commissione Cardinalizia per le Opere di Religione ed approva un nuovo regolamento. Nel 1908, quando con la Costituzione Sapienti consilio passano alla Sacra Congregazione del Concilio, per la competenza attribuita alla medesima Costituzione Pontificia, alcuni compiti fino allora esercitati dalla suddetta Commissione Cardinalizia, la Commissione stessa cessa di essere Cardinalizia per divenire Prelatizia. Nel 1931, per speciale mandato di Pio XI, viene promulgato uno Statuto per la Commissione Prelatizia Amministratrice delle Opere di Religione. !35 Il 10 febbraio 1934 Papa Pio XI approva lo Statuto della Commissione che diventa la Commissione Prelatizia Amministratrice delle Opere di Religione. Successivamente la Commissione assume il nome di Amministrazione delle Opere di Religione e viene affidata ad una Commissione di Cardinali. Questa esprime, nel 1942, il voto che l'Amministrazione sia “eretta in persona giuridica, allo scopo di dare ad essa un ordinamento più rispondente alla necessità dei tempi e di far apparire ancor più espressamente separata e distinta la responsabilità, che ognora la Santa Sede ha voluto nettamente disgiunta, dell'Amministrazione anzidetta da quella degli Uffici della Santa Sede». Il chirografo del 27 giugno 1942 di Pio XII stabilisce l'erezione dell'Istituto per le Opere di Religione, che: - assorbe l'Amministrazione sopra citata (art. I); - gli attribuisce personalità giuridica (art. I); - specifica come suo scopo sia di provvedere alla custodia e all'amministrazione di capitali (in titoli od in contanti) e di immobili, gli uni e gli altri trasferiti od affidati all'Istituto medesimo da persone fisiche o giuridiche e destinati ad opere di religione e di cristiana pietà (art. II). La specificità dell'ente e la sua autonomia rispetto ad ogni altro organismo canonico viene poi ribadito dall'art. 120 della Regimini ecclesiae Universae di Paolo VI, nel quale espressamente si afferma come il medesimo abbia speciale ordinamento. La vera banca del Vaticano è l'APSA (amministrazione patrimoniale sede apostolica) Bisogna quindi chiedersi se lo IOR sia partecipe o meno alla volontà del Pontefice. In caso di risposta positiva è da considerarsi come ente centrale della Chiesa. La normativa canonica specifica che non è un ente periferico e nemmeno un centro di potestà sub-delegata della Curia Romana. Rispetto alla Curia è indipendente ed esercita un'attività che fa riferimento direttamente al Pontefice che certamente non potrebbe governare la Chiesa senza avere dei mezzi. Lo IOR quindi partecipa in qualche modo della autorità del Pontefice e, reciprocamente, si può affermare che il Pontefice partecipa delle scelte operative e delle responsabilità dello IOR. La conseguenza è che, per tale chiave di lettura, lo IOR potrebbe essere considerato ente centrale della Chiesa. 4. Garanzie reali per le libertà della Santa Sede Art 15 del trattato prevede le immunità proprie della sede degli agenti diplomatici degli stati esteri e una serie di immobili individuati dall'art 13, ossia basiliche che sono prestigiose sedi di culto e a palazzi destinati ad ospitare alcuni dicasteri in cui si articola l’organizzazione della Santa Sede.“Le stesse immunità si applicano pure nei riguardi delle altre chiese, anche fuori di Roma, durante il tempo in cui vengano nelle medesime, senza essere aperte al culto, celebrate funzioni coll'intervento del Sommo Pontefice” (art. 15): dovendosi intendere che possono presenziare a tali funzioni solo persone esplicitamente invitate dall'autorità ecclesiastica. Art 16 parla di esenzioni riconosciute ad altri immobili che non saranno mai assoggettati a vincoli o ad espropriazioni per causa di pubblica utilità se non previo accordo con la Santa Sede e che resteranno esenti da qualsivoglia tributo. Di questi privilegi godono le basiliche e i palazzi muniti di immunità diplomatica e le sedi di alcuni istituti pontifici, in ragione di quanto dispone l'art. 16. A tutti i suddetti immobili la Santa Sede può dare l'assetto che creda, senza bisogno di autorizzazioni o consensi. Il caso di Radio Vaticana Radio Vaticana è stata fondata nel 1931 da Pio XI ed era oggetto di un accordo tra Italia e Santa Sede che prevedeva per i centri di Radio Vaticana le esenzioni e immunità degli art 15 e 16. !36 Nel 2001 sorge un problema perché gli impianti di Radio Vaticana di Santa Maria vengono accusati di inquinamento ambientale. In un primo momento sembra sia raggiungibile un accordo: viene istituita una commissione bilaterale tra Italia e Santa Sede per cercare una soluzione al problema. Alcune associazioni ambientaliste però denunciano penalmente i massimi dirigenti di Radio Vaticana secondo l'art 674 (getto pericoloso di cose). Il tribunale dichiara il non procedere sollevando il difetto di giurisdizione. Il caso giunge quindi in Cassazione che rinvia la sentenza al tribunale di primo grado poiché la radio non ha la qualifica di ente centrale della Chiesa e quindi vi è la giurisdizione dello stato italiano. Nel 2005 vi è quindi la condanna dei dirigenti a 10 giorni d'arresto. La decisone viene appellata e nel 2007 vi è una sentenza di archiviazione perché il presunto inquinamento elettromagnetico non è punito dalla legge. Interviene quindi nel 2008 la Cassazione che annulla con rinvio la pronuncia della corte d'appello, la quale condanna di nuovo Radio Vaticana. All'inizio del 2001 nasceva un contenzioso inerente all'osservanza, o meno, delle nuove disposizione normative dello Stato sull'emissione delle onde elettromagnetiche. Nonostante fosse siglato, in proposito, un accordo raggiunto tramite trattative svolte in una apposita Commissione bilaterale, venne introdotta, per la denuncia di associazioni ambientaliste, azione penale nei confronti dei massimi responsabili (il presidente del Comitato di gestione, il direttore generale ed il direttore tecnico) della «Radio». L'azione penale riguardava l'«inquinamento elettromagnetico» che sarebbe stato provocato dagli impianti di S. Maria di Galeria: per il che si chiamava in causa, come ipotesi specifica di reato, l'art. 674 del Cod. pen. che punisce con arresto e ammendo il «getto pericoloso di cose». L’adito Tribunale abbia dichiarato il «non doversi procedere», in proposito, «per difetto di giurisdizione» in quanto qualificava la Radio Vaticana «ente centrale della Santa Sede» a mente dell'art. 11 del Trattato con la conseguente necessità di dare applicazione ai relativi disposti che per tali enti escludono «ogni ingerenza da parte dello Stato italiano». La Cassazione ha riformato, annullandola con rinvio, la citata sentenza del Tribunale negando alla Radio la qualifica di ente centrale e altresì annotando — il che non va, per quanto detto, condiviso — come la sovranità dello Stato non sia limitata nell'«esercizio della giurisdizione penale per fatti illeciti i cui eventi si verifichino in territorio italiano e siano legati da rapporti di causalità con condotte poste in essere in territorio appartenente alla Santa Sede». Per completezza di informazione va ancora considerato come il Tribunale del rinvio abbia allora individuato nella fattispecie la considerata ipotesi di reato, condannando, nel 2005, gli imputati a 10 giorni di arresto con sospensione della pena. La Corte di Appello di Roma, presso la quale la pronuncia era stata impugnata, ha poi pronunciato, il 4 giugno 2007, sentenza di archiviazione assumendo come il presunto inquinamento elettromagnetico non sia previsto come reato dalla legge. In particolare affermava la Corte l'impossibilità di ricondurre siffatto inquinamento all'ipotesi di «getto pericoloso di cose» di cui al citato art. 654 C.p. Sull'annosa questione interveniva, successivamente, ancora, la Cassazione il 26 settembre 2008 per annullare, con rinvio, la pronuncia della Corte d'Appello in quanto ha ritenuto effettivamente rilevante la previsione codicistica anche in ordine all'inquinamento elettromagnetico. Laicità e pluralismo nella Costituzione italiana: disciplina contenuta nella costituzione del fenomeno religioso Nel 1948 è emanata la costituzione. Il contesto è quello di uno stato sociale. Se ne deve tenere conto nel momento in cui ci si appresta a parlare della posizione del fenomeno religioso all'interno della stessa costituzione. L'analisi della disciplina del fenomeno religioso non può limitarsi a quelle norme che ne parlano !37 possibile un intervento preventivo perché il rito deve verificarsi cosicché possa essere vietato. Si fa inoltre riferimento solo al buon costume. La dottrina ritiene concordemente che il concetto di buon costume all'art 19 coincida con l'art 21 che vieta le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni che sono contrarie al buon costume. Negli anni '60 è intervenuta anche la corte costituzionale per definire il concetto. Con la sent del 65 sembra far coincidere il principio di buon costume con i principi della morale sessuale (concetto che comunque si evolve). Il buon costume "non può essere fatto coincidere con la morale o la coscienza etica, ma risulta da un insieme di precetti che impongono un determinato comportamento nella vita sociale di relazione, la inosservanza dei quali comporta in particolare la violazione del pudore sessuale sia fuori, sia soprattutto nell'ambito della famiglia, della dignità personale che con esso si congiunge e del sentimento morale dei giovani, aprendo la via al mal costume con la possibilità di comportare anche la perversione dei costumi, il prevalere cioè di regole opposte". Non tutti concordano su tale definizione: non è accettata tale lettura da quegli autori che ritengono che il concetto faccia riferimento al costume e alla coscienza sociale della società contemporanea. Si tratta quindi di un concetto in evoluzione che ricomprende il rispetto per la persona umana (i diritti personalissimi), e il rispetto per le istituzioni pubbliche (l'ordinamento). La cassazione nel 1997 sembra aver abbracciato tale interpretazione e ha affermato che il limite del buon costume va inteso nel senso più ampio possibile: come risultante dall'osservanza di un complesso di leggi, soprattutto penali, e di quelle regole di condotta che garantiscono la libera e pacifica convivenza. In ogni caso non è ammissibile un confronto preventivo tra le enunciazioni dottrinali di una confessione religiosa e i principi del buon costume, volto a limitare la libertà di azione della confessione. È necessario infatti per legittimare un intervento repressivo che si dia in concreto la celebrazione di un rito nel corso del quale si abbiano manifestazioni e atti contrari al pudore sessuale o manifestazioni ingiuriose nei confronti di persone o istituzioni statali. L'intervento repressivo a sua volta sarà commisurato alle specifiche manifestazioni o ai singoli atti, potendo aversi lo scioglimento della riunione ove questa comporti pratiche collettive contrarie al buon costume o l'arresto o la denuncia dei soggetti personalmente responsabili di specifici reati. Anche una delle altre facoltà all'art 19, ossia il diritto di propaganda della fede religiosa, si radica nelle restrizioni che erano state poste ai culti non cattolici negli anni precedenti alla costituzione. La legge delle guarentigie del 1871 riconosceva la discussione pienamente libera sulle materie religiose. La legge sui culti ammessi riprende tale norma modificandola: la discussione in materia religiosa è pienamente religiosa. La L 1159/29 viene modellata dalla giurisprudenza sul favore per la religione di stato diventando strumento di sfavore per i culti di minoranza. Vi sono stati dei casi emblematici. Un pastore protestante negli anni '30 cercava di vendere dei libri di propaganda religiosa in una piazza e un gesuita glielo impedì imponendogli di restituire il prezzo ottenuto e di bruciare le copie restituite. Il pastore quindi denuncia il gesuita che in primo grado viene condannato per la violenza e le lesioni provocate al protestante. In corte d'appello la sentenza è ribaltata: essa riconosce al gesuita (religioso cattolico) l'esimente della provocazione e lo assolve. Il fatto che il pastore protestante stesse cercando di vendere testi della propria confessione sarebbe stata una provocazione per il gesuita. La corte d'appello ritenne che "nelle discussioni si espongo le ragioni favorevoli e contrarie di un dato argomento per giungere a una conclusione e non si fa opera di propagare la propria religione presso chi non ne ha alcuna o ne segue una diversa dalla propria." La sentenza proseguiva affermando che "il principio della libertà religiosa dei culti ammessi nello stato fu sempre ritenuto nel senso che la libertà di coscienza non può essere sottoposta ad alcuna sorveglianza finché non si esplichi con atti e manifestazioni esterne; ma quando l'esercizio di tale libertà, eccedendo dalla propria sfera d'azione o per altre ragioni, venga a costituire causa di gravi disordini, lo stato ha l'obbligo d'intervenire per tutelare che la libertà religiosa di ciascuno sia contenuta nei suoi limiti e non turbi quella degli altri". !40 Un problema che si pone nell'art 19 è quello della tutela dell'ateismo. Negli anni '50 prevale un'interpretazione secondo la quale le norme costituzionali si limiterebbero a garantire la fede religiosa in quanto tale e i comportamenti ad essa consequenziali. La fede religiosa era considerata in base all'art 19 un bene giuridico da tutelare. Oggetto delle norme costituzionali era l'atteggiamento religioso affermativo (positivo) e diritti di libertà e uguaglianza erano strumentali a favorire e proteggere il contesto religioso e l'assolvimento dei doveri che la religione impone all'individuo. Secondo questa concezione l'art 19 non fa riferimento alle opzioni negative in materia religiosa perché la disposizione ha adottato una terminologia che presuppone che l'individuo appartenga a un credo positivo. Le guarentigie costituzionali sono espressamente dirette alla fede religiosa, alla sua professione, all'esercizio del culto e l'art 3, come testimoniato dai lavori preparatori, limita l'uguaglianza dei cittadini a quanti professano un determinato credo. Quindi anche l'art 3 va riferito all'atteggiamento religioso affermativo. Tale lettura teista della costituzione sostiene che l'ateismo sia lecito e irrilevante quando è costituito da un mero orientamento della coscienza individuale. Quando però l'ateismo religioso/irreligioso diviene ateismo anti-religioso propagandistico entra in conflitto non solo con la religione, ma con lo stesso ordinamento italiano che all'art 19 tutela la libertà religiosa come bene giuridico. L'ateo, facendo propaganda, vuole modificare le convinzioni religiose del fedele che sono tutelate dall'art 19. L'ateismo attivo resterebbe fuori dello schema teorico e dalla tutela giuridico-costituzionale della libertà religiosa, come afferma Origone "dall'inserimento di questo triste fenomeno entro uno schema al quale esso è genericamente estraneo deriva l'assurda conseguenza che esso possa essere introdotto con frode nel mondo giuridico sotto l'insegna della libertà religiosa. Esso lo interessa, è ben vero, ma soltanto come una piena contraddizione, e, quella (la libertà religiosa) può essere invocata in proposito solo contro di esso. Perché è proprio la libertà religiosa dei soggetti religiosi che impedisce, esclude e vieta una libertà religiosa dei soggetti antireligiosi". Tale lettura teista ha concrete attuazioni in giurisprudenza - nel 1948 il tribunale di Ferrara decide per l'affidamento della prole alla madre sulla base dell'ateismo dell'altro genitore - Nel 1949 il tribunale di Trani non nega che anche i genitori atei possano educare bene i figli, ma deve trattarsi di un ateismo non volgare. Questo significa entrare nel merito della questione e dare un giudizio negativo sull'ateismo Nel frattempo sul piano dottrinale si è superata tale impostazione e la dottrina si è accostata a impostazioni più moderne: - Ruffini afferma che la libertà religiosa è la facoltà di ogni individuo di credere a quello che più gli piace o non credere, se più gli piace, a nulla - D'Avack con riferimento all'ateismo affermava che in qualunque configurazione e aspetto si presenti finisce sempre per risultare strettamente collegato col fenomeno religioso e che in qualunque campo del diritto rimane sempre in diretto rapporto con il problema della religiosità. Sul terreno più generale della tutela dell'ateismo alcuni autori ritengono che sia da cercare e ritrovare nell'art 21 per tre ragioni - concettualmente l'ateismo è il contrario della religione, essi sono la negazione uno dell'altra e viceversa - Storicamente si è sempre fatta una netta distinzione tra ateismo e religione da parte della dottrina filosofica, politica, giuridica e dagli stessi legislatori - Giuridicamente il testo della costituzione italiana impedirebbe di trattare allo stesso modo i due fenomeni perché la terminologia dell'art 19 fa riferimento a un atteggiamento religioso positivo Gli stessi autori poi segnalano che sono proprio i non credenti a invocare la tutela dell'art 21 (per loro l'ateismo non è "la celebrazione di un culto") dal momento che rifiutano la religione e non si sentono !41 impegnati nella celebrazione di alcun rito o culto. E comunque è pur sempre applicabile ai non credenti l'articolo 21 che sancisce per chiunque la libera manifestazione del proprio pensiero e quindi la libera propaganda delle proprie idee. Data la sua formulazione appare ben difficile provare che esso non sia applicabile, nella sua pienezza, a tutti, e quindi agli atei, anche in quelle che sono le loro manifestazioni esteriori positive, esplicatesi in attività di propaganda di idee atee e di proselitismo. Vi è anche chi sostiene che la tutela di qualsiasi opinione, scelta, comportamento, sia positivo che negativo, che il singolo ha in materia religiosa debba essere ricondotta all'art 19. Si nega la possibilità di individuare un confine preciso tra ateismo e religione e soprattutto si nega che questo confine acquisti rilievo giuridico. La variabilità contenutistica delle diverse religioni e degli orientamenti ateistici, agnostici o indifferenti è tale che si stenterebbe a trovare sicure linee di demarcazione: a fronte di religioni il cui contenuto dogmatico è pressoché nullo, limitandosi esse ad esprimere determinate regole morali, possono rinvenirsi orientamenti ateistici caratterizzati da una notevole carica religiosa. Ateismo e religione sono due facce della stessa medaglia in quanto sono sempre atteggiamenti dell'uomo davanti al fenomeno religioso che non possono drasticamente separarsi al punto da situarli in differenti discipline normative. Anche la constatazione che il concetto di ateismo è antitetico a quello di religione ha un valore molto limitato dal momento che entrambi questi approdi costituiscono risposte diverse al medesimo problema e alle medesime domande. Storicamente la posizione giuridica di fenomeno è stata sempre legata alla posizione giuridica dell'ateismo. Ogni privilegio per la religione o per le Chiese è per sé influente e discriminante nei confronti delle scelte negative o indifferentiste in materia religiosa. Così come ogni privilegio per l'ateismo si traduce in emarginazione o discriminazione verso i credenti e verso le religioni delle Chiese. Vi è un rapporto di proporzione inversa (e quindi vi è pur sempre un legame). Le organizzazioni atee non sono confessioni religiose e quindi non godono della tutela dell'art 8 cost. Tuttavia, poiché svolgono la loro azione in materia religiosa, negando la validità delle religioni positive e proponendo una propria concezione del destino dell'uomo, sarebbero tutelate dall'art 19, 20, 21. In Italia non sono molto frequenti diversamente da altri paesi come il Belgio (dove vige un separatismo moderato che riconosce cinque confessioni e l'associazione atea). Non essendo l'associazione atea un fenomeno così frequente non vi è molta giurisprudenza al riguardo. In ogni caso la Costituzione garantisce sempre la libertà di coscienza, ossia la libertà di seguire la religione che si voglia o di non seguire alcuna religione o di avere una visione del tutto laica e immanentistica del mondo e della vita, fonte fondamentale di tutte le facoltà che discendono dal diritto di libertà religiosa. Si tratta dell'intimo e libero atteggiamento dell'uomo di fronte al problema dell'essere e dell'esistere. Ammettere o meno l'esistenza di Dio, aderire a questa o quella o nessuna fede religiosa, prima di dar luogo ad atteggiamenti esterni, importa la formazione di un convincimento. Dal punto di vista giuridico ciò che rileva è la manifestazione esterna della libertà di coscienza. La protezione delle manifestazioni esteriori è rilevante anche al fine di una libera formazione delle coscienze perché la tutela degli atteggiamenti esterni dà valore a ciò che avviene in interiore, nella coscienza individuale. La manifestazione esterna deve essere garantita, ma non senza condizionamenti in quanto almeno uno vi sarà sempre (in funzione del contesto). L'ordinamento italiano però non sembra garantire un diritto alla formaizone della coscienza diverso dal diritto fondamentale di - esprimere (art 15 cost) - comunicare e ricevere comunicazione del pensiero altrui (art 21 cost) - istruzione (art 34 cost) !42 Il legislatore, menzionando i Patti Lateranensi, come accordi stipulati nel 1929, intendeva vincolare in eterno i rapporti tra lo stato e la Chiesa? Una volta modificati i patti del '29 poteva presumersi che il legislatore non ne fosse più vincolato. Si pongono quindi numerose discussioni. Il primo problema è quindi quello della costituzionalizzazione dei Patti Lateranensi perché alcuni membri della sotto-commissione temevano che inserire letteralmente il riferimento ai Patti avrebbe significato conferire valore costituzionale alle norme dei patti stessi e anche alla L 810/29 (legge di esecuzione). Le norme dei patti sono speciali rispetto alle norme generali della costituzione e, per il principio che la legge speciale deroga alla legge generale, potrebbero addirittura avere un valore ultra-costituzionale. Per questo si vorrebbe eliminare il riferimento ai patti. A tali obiezioni risponde Dossetti che nega che il riferimento in oggetto valga a costituzionalizzare i patti del '29 perché le norme contenute possono essere modificate con legge ordinaria quando vi sia l'accordo con la Santa Sede. Se la costituzione stessa prevede che tali norme possono essere modificate con legge ordinaria vuol dire che non sono norme costituzionali. Dossetti spiega che il riferimento ai patti non è una norma materiale, ma è una norma strumentale: una norma sulla produzione giuridica. Il fine della norma è indicare l'iter da seguire per formulare le ulteriori ed eventuali norme che possano modificare i patti. In tal modo riesce a trovare un accordo su tale norma, anche se comunque i giuristi laici cercarono di emendarla. Ad esempio Togliatti propose che la norma fosse sostituita con un'altra che diceva che "i rapporti tra stato e Chiesa cattolica sono regolati in termini concordatari". Prevale comunque la visione di Dossetti e la norma viene approvata. Verrà accettata la proposta dell'On. Lucifero "qualunque modifica di essi, bilateralmente accettata, non richiederà un procedimento di revisione costituzionale, ma sarà sottoposta a normale procedura di ratifica". Vengono ripresi tali tema dalla dottrina. Con riferimento al I comma afferma che lo scopo sia il riconoscimento del carattere di originarietà dell'ordinamento canonico in quanto nato per forza propria, senza alcun intervento esterno. L'ordinamento giuridico della Chiesa cattolica è nato per proprio volere. Perché il costituente ha voluto inserire tale riferimento? Anche se non l'avesse fatto l'ordinamento della Chiesa cattolica rimaneva indipendente e sovrano. Alcuni autori hanno sottolineato che il riconoscimento esplicito di tale originarietà dalla carta costituzionale comporti che questa è stata elevata a presupposto costituzionale della Chiesa nei confronti dello stato, o meglio nei confronti del diritto dello stato. Non sarebbe possibile instaurare ad esempio un sistema cesaro-papista. Lo stato italiano non può intervenire autoritativamente in quei settori della confessione cattolica che non sono di sua competenza, ciò per evitare il ripetersi di errori storici. Lo stato quindi non può agire in tal modo per tutelarsi dalla Chiesa o costituire una chiesa nazionale. La dottrina ha messo in evidenza che il primo comma dell'art 7 non solo esclude la subordinazione della Chiesa allo Stato, ma anche viceversa per cui, se è vero che la norma vieta alo stato italiano di porre in essere una politica di cesaro-papismo, è vero anche che tale norma esclude che lo stato italiano possa realizzare gli altri sistemi (giurisdizionalismo, Chiesa di stato, teocrazia, accettazione della teoria della potestas directa/ indirecta in temporalibus). Altri autori però si sono posti un problema delicato. E' vero che l'art 7 non si limita a riconoscere che lo stato e la Chiesa sono entrambi indipendenti e sovrani, ma aggiunge che tale indipendenza e sovranità è realizzata da ognuna delle due entità nel proprio ordine. La costituzione non ha però individuato quali siano questi ordini propri. La dottrina, canonistica soprattutto, ha pensato di risolvere il problema dicendo che l'ordine proprio della Chiesa coincide, indicativamente, con i rapporti spirituali e religiosi; ma quali sono tali rapporti? Si tratta della questione della competenza delle competenze: se lo stato afferma che una determinata materia rientri nel proprio ordine e lo stesso fa la Chiesa, qual'è il soggetto che dovrà risolvere la controversia !45 di attribuzione della competenza? Si spera che si mettano d'accordo. Il concordato si occupa delle rex mistae, prime fra tutte il matrimonio, che sono disciplinate concordemente dalla Stato e dalla Chiesa. Il II comma dell'art 7 ha suscitato ulteriori dibattiti. - prima concezione: dopo l'entrata in vigore della costituzione, senza tener conto delle motivazioni dei costituenti e del ragionamento giuridico di Dossetti, quasi tutti i giuristi hanno affermato che sono stati costituzionalizzati i Patti del '29. Ciò è stato affermato anche dalla giurisprudenza nella seconda metà degli anni '50 (nel '57 il consiglio di stato) e negli anni '60 la cassazione ha detto che il secondo comma dell'art 7 ha recepito i Patti Lateranensi nell'ordinamento delle Repubblica in tutto il loro contenuto. Le singole norme pattizie hanno quindi lo stesso valore e efficacia che avrebbero se fossero state incluse nella carta costituzionale o approvate da legge costituzionale. Anzi, sempre secondo la cassazione, valgono qualcosa in più le norme dei Patti perché a loro è inapplicabile il procedimento di revisione costituzionale. - seconda concezione: altra parte della dottrina ha affermato che non sono i patti a essere costituzionalizzati, ma è il principio concordatario. - Secondo alcuni la costituzionalizzazione del principio concordatario significa che lo stato, in virtù del secondo comma dell'art 7, è obbligato a regolare concordatariamente tutte le materie che interessano la Chiesa. - Altri aggiungono che il secondo comma ha creato uno ius singulare cioè un sistema particolare, all'interno dell'ordinamento dello stato, che non è influenzato/influenzabile dalle norme costituzionali e le cui disposizioni, essendo speciali (riguardano il fenomeno religioso), prevalgono sulle norme costituzionali. - Altri ancora ritengono che la costituzionalizzazione del principio concordatario sia il riconoscimento dello stare partis che svolgeva una funzione analoga a quella prevista dagli art 10 e 11 cost per i rapporti tra stato italiano e altri stati. Ciò comporta che le norme italiane che contrastano con le norme dei patti sarebbero addirittura ???????? - terza concezione: altra parte della dottrina ha affermato che l'art 7 non solo garantisce la conservazione delle norme del '29, ma anche i nuovi accordi solo se riguardano le stesse materie disciplinate dai Patti Lateranensi. Questo è simile alla prima versione della costituzionalizzazione del principio concordatario che però si riferiva a tutte le materie. - quarta concezione: l'art 7.2 garantirebbe, così come è formulato, non solo le norme di origine pattizia in vigore al 1948, ma qualsiasi altro accordo concluso in qualsiasi tempo tra l'Italia e la Santa Sede come se questo comma fosse un ordine di esecuzione nell'ordinamento italiano delle norme pattizie. L'art 7 è quindi inteso come norma di adattamento automatico agli accordi con la Santa Sede. - quinta concezione: parte della dottrina ritiene che l'art 7.2 sia in realtà una norma sulle fonti ed individua una scala di tre gradini: - norme e leggi costituzionali - Fonti normative atipiche: su tale grado vi sarebbe adagiata la L 810/29 (alcuni autori parlano anche di leggi pseudo-atipiche) - Leggi ordinarie - sesta concezione: l'oggetto comunque della tutela dell'art 7 risulta essere duplice: vuole tutelare la L 810 nell'ordinamento interno, ma anche i Patti Lateranensi nell'ordinamento internazionale. Lo stato italiano è come se si fosse impedito dal '48 di denunciare i patti o di non eseguirli. - settima concezione: parte della dottrina ritiene che l'art 7.2 abbia parificato la L 810/29 alle leggi costituzionali prevedendo un procedimento di decostituzionalizzaizone. Il fatto che l'art 7.2 abbia previsto che se c'è l'accordo tra le parti si può procedere a modificare i Patti Lateranensi, vuol dire che si è previsto !46 un procedimento di decostituzionalizzaione e quindi quando c'è una modifica questa perde la parificazione alle leggi costituzionali in quanto se vi è l'accordo tra le parti basta una legge ordinaria. Oltre alla dottrina anche la Corte Costituzionale ha affrontato due problemi: - quello relativo ai rapporti tra la costituzione e le norme del concordato - La competenza della corte costituzionale, come giudice della legittimità costituzionale delle legge, circa le leggi pattizie La Corte ha elaborato alcuni principi. Anzitutto nel nostro ordinamento esistono dei principi costituzionali superiori alle norme della Costituzione formale. In tale senso molti costituzionalisti parlano di costituzione materiale: la costituzione formale è quella scritta, i principi supremi sono qualificabili come costituzione materiale. Tali principi valgono come parametro per il giudizio di costituzionalità delle norme costituzionali e delle norme pattizie. La Corte ha individuato un diritto prodotto dall'art 7. La norma non sancisce solo un generico principio che deve essere fatto valere nei rapporti tra lo stato e la Chiesa cattolica, ma, facendo riferimento al concordato, ha prodotto diritto con riferimento al contenuto dello stesso concordato. La Corte in questo primo periodo propende per la tesi della costituzionalizzazione dei patti. Ha inoltre affermato che, prevedendo l'art 7 una posizione reciproca di indipendenza e sovranità dello stato e della Chiesa e viceversa, ha ammesso comunque la possibilità di un proprio sindacato sulle norme dei patti con riferimento ai principi supremi dell'ordinamento. Nel 1984 i patti sono stati modificati con gli accordi del 18 febbraio e del 15 novembre. L'accordo è titolato "modificazioni dei Patti Lateranensi". Questi nuovi protocolli sono formalmente modifiche al concordato del '29, ma non sostanzialmente perché sono veri e propri nuovi accordi. Addirittura l'art 13 prevede che le norme non richiamate sono da intendersi abrogate. Questi accordi sono stati recepiti in Italia con legge ordinaria: le nuove norme abrogatrici dei patti del 29 sono di legge ordinaria e quindi suscettibili di modifica da qualsiasi altra norma ordinaria, non essendoci più la tutela dell'art 7. Ad oggi la dottrina maggioritaria ritiene che gli accordi tra lo stato e la Santa Sede sono parificati a veri e propri trattati internazionali e risultano quindi garantiti dall'art 10 cost. Pur essendo quindi caduta la riserva prevista esplicitamente dall'art 7.2, non possono essere modificati con legge ordinaria. Sull'argomento è intervenuta anche la corte costituzionale. Nell'89 e nel '91 ha affrontato questioni di legittimità riguardanti norme di esecuzione dell'accordo del 18 febbraio 1984 e ha ritenuto che, anche in tali casi, il giudizio di legittimità delle norme contestate potesse essere espresso non con riferimento a qualsiasi norma costituzionale, ma solo avvalendosi del parametro dei principi supremi dell'ordinamento costituzionale. Art 8 costituzione "Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze" Il primo comma riguarda tutte le confessioni religiose. Esso contiene una norma che funge da cardine nel sistema laico-pluralista di cui si è parlato e assicura la eguale libertà davanti alla legge di tutte le confessioni religiose. E' anche la base su cui si costruisce l'intero art 8. I tre commi sono consequenziali logicamente. !47 - altra prospettiva ritiene che le intese non possano essere considerate trattati internazionali in quanto è difficile considerare le confessioni religiose ordinamenti sovrani nell'ambito internazionale, ma nemmeno possono essere considerate delle mere formazioni sociali all'art 3 cost. Si sostiene quindi che le intese sono atti che si vengono a concludere in un ordinamento, che non è quello internazionale, ma è un ordinamento terzo dato dall'incontro tra l'ordinamento dello stato e l'ordinamento della confessione religiosa. Ciò ha rilievi anche pratici perché l'intesa deve essere approvata con una legge per entrare in vigore in Italia. Se si sostiene che l'intesa è un trattato di diritto internazionale ci vorrà una legge di esecuzione, invece tutte le intese sono recepite in Italia con una legge di approvazione. Essa riporta il testo integrale dell'intesa che viene approvata in parlamento articolo per articolo (cosa che non avviene con le leggi di esecuzione). Sono però anche leggi rinforzate nel senso che la legge di approvazione dell'intesa non può mai essere abrogata da una legge ordinaria. La legge di approvazione, pur essendo una legge ordinaria, ha una resistenza passiva salvo che non vi sia un previo accordo con la confessione religiosa di riferimento. Per questo la dottrina parla di leggi rinforzate. Alcuni ritengono quindi che per la loro modifica si necessiti di una legge di revisione costituzionale. Le fonti del diritto ecclesiastico Le fonti del diritto ecclesiastico nella Costituzione sono gli artt 7, 8, 19, 20. Vi sono poi altri articoli (art 2, 3 cost) che, letti in combinato con questi quattro principali creano un insieme di fonti che, organizzate a sistema, consente di attribuire una vera e propria autonomia scientifica a questo settore del diritto. Al di sotto di ogni norma si sono individuati dei principi - di tutela della libertà religiosa - Pattizio - Distinzione degli ordini - Uguaglianza - Di collaborazione Essi caratterizzano il diritto ecclesiastico unitamente al principio di laicità dello stato. A differenza però degli altri principi, che sono ricavabili dalle norme, il principio di laicità dello stato nasce dal combinato degli articoli della costituzione che si occupano del fenomeno religioso. La corte costituzionale nella sent 203/1989 afferma che dall'insieme degli articoli 7, 8, 19 e 20 si trae tale principio. Mentre in altri paesi, come in Francia, il principio è espressamente indicato dalle leggi dello stato, in Italia è ricavato dall'interpretazione della consulta. Sent 203/89 "Laicità non significa indifferenza dello stato dinnanzi alle religioni, ma garanzia dlelo stato per la salvaguardia della libertà di religione, in un regime di pluralismo confessionale e culturale". Tale definizione dà la cifra di quella che è la laicità italiana: non è un fenomeno relegato alla sfera individuale del singolo verso cui lo stato è indifferente, ma è una laicità in forza della quale lo stato si rende garante della libertà religione in un regime di pluralismo. Tale salvaguardia non è intesa unicamente in senso negativo, ma è una laicità positiva che potrebbe tradursi in due tipi di atteggiamento: da un lato la definizione di norme che indicano dei divieti (illiceità del comportamento che comporti delle discriminazioni in riferimento all'appartenenza alla confessione religiosa), dall'altro lo stato si fa inoltre promotore di ulteriori iniziative che tutelino la confessione (ad esempio valorizzazione die beni culturali di interesse religioso). Questo principio di laicità è stato definito come supremo dalla corte costituzionale. I principi supremi sono quelli che non possono essere modificati o sovvertiti nemmeno per effetto di una legge di revisione !50 costituzionale in quanto appartengono all'essenza stessa dell'ordinamento. Ha quindi una preminenza nella gerarchia delle fonti. Vi sono quindi i principi supremi e poi le norme costituzionali. Altra caratteristica è che esistono due diverse tipologie di fonti: - fonti unilaterali - Fonti bilaterali (o pattizie): sono fonti che sono il frutto di un accordo tra le autorità civili e quelle confessionali. Questa è una peculiarità del diritto ecclesiastico in quanto si è in presenza da un lato di esigenze che riguardano la persona-cittadino e dall'altro esigenze relative alla persona-fedele. Quando si è in presenza di entrambe queste esigenze le fonti bilaterali sono la meglio tutela per il cittadino-fedele. Avviare un accordo tra le parti è la soluzione più semplice onde evitare conflitti di competenza con riferimento alle materie mixtae. Non tutto quello attiene al fenomeno religioso però è regolato via bilaterale, vi sono norme che si occupano della materia religiosa in via del tutto unilaterale. Si tratta di disposizioni che solitamente tutelano il diritto di libertà religiosa individuale e collettiva senza tener conto della confessione di appartenenza. Ad esempio in Italia vi è una legge che tutela e valorizza gli oratori o nel codice dei beni culturali (codice urbani) del 2004 vi è l'art 9 dedicato ai beni culturali di interesse religioso. Anche tale norma è una fonte di diritto ecclesiastico unilaterale che si trova all'interno di un corpo normativo più vasto. E' evidente che queste fonti unilaterali, ossia non precedute da un accordo, si trovano in ambiti più vasti (soprattutto nelle leggi regionali) e questo rende più ardua l'individuazione della norma che possa essere catalogata come norma di diritto ecclesiastico. Ciò vale a livello di legislazione statale, ma soprattutto a livello regionale con riferimento, ad esempio, al tema degli edifici di culto. Fonti bilaterali gerarchia Nell'800 la maggioranza delle disposizioni relativa alla materia ecclesiastica erano di tipo unilaterale. Con il fascismo fino ai Patti Lateranensi questo stato di cose si mantiene inalterato. E' solo nel 1929 che vi è il momento di svolta con l'introduzione della possibilità di convenire in modo bilaterale la disciplina di una serie di materie. E' da tale momento che i rapporti tra Stato Italiano e la Chiesa cattolica sono disciplinati da fonti bilaterali (il trattato). Per quel che riguarda gli altri culti la presenza di disposizioni di tipo unilaterale permane nella L sui culti ammessi. Con la costituzione le cose cambiano in quanto il principio pattizio viene esteso anche alle confessioni acattoliche e poichè viene introdotta una gerarchia delle fonti molto precisa che renderà più semplice e strutturato il sistema delle fonti in generale e del diritto ecclesiastico in particolare. Se si parla di gerarchia di fonti 1. i principi supremi 2. le leggi costituzionali 3. L'attuazione dell'art 7.2 porta all'accordo di Villa Madama, firmato a Roma nel febbraio dell'84, che viene ratificato in Italia con la L 121/85 ed apporta modifiche al Concordato lateranense del 1929. Non si giunse all'accordo in poco tempo ('67 presentazione di una mozione parlamentare, costituzione di una commissione paritetica italo-vaticano, stesura di sei bozze...). L'accordo di Villa Madama trova come unico limite alla sua validità i principi supremi dell'ordinamento costituzionale, non può essere oggetto di sindacato di legittimità costituzionale e non può essere modificato da una successiva legge costituzionale. Deriva da una lettura sul valore giuridico del concordato del 29 dalla consulta con la sent 30/71 in cui si affermò che il fatto che fossero stati inseriti in costituzione il riferimento ai patti lateranensi si era prodotto diritto. L'accordo di Villa Madama venne ad essere considerato come accordo quadro perché il suo paradigma istituzionale si caratterizza per l'introduzione di una serie di disposizioni di principio !51 costruite in modo da essere completate da successivi accordi ad opera di soggetti di rango inferiore e coloro che avevano concluso l'accordo. Vi è la volontà della Santa Sede e dello stato italiano di fare in modo che quelle materie inserite nell'accordo vengano poi elaborate in modo più articolato sempre tramite il sistema dell'intesa mediante successivi interventi ad opera di soggetti di livello diverso da quello degli sottoscrittori. L'accordo introduce in Italia una sorta di bilaterilità diffusa/negoziazione permanente: si apre una nuova stagione di accordi. 4. le intese. La L 449/84 è la prima intesa, sottoscritta con la tavola Valdese nel 21 febbraio dell'84, tre giorni dopo l'accordo di Villa Madama. Essa è stata approvata con legge nell'84, cioè prima ancora della ratifica di esecuzione dell'accordo di Villa Madama. A questa seguono altre cinque intese che si collocano tra gli anni 80 e 90. Vi sarà poi una nuova stagione di intese a partire dal 2007. Tutto ciò per un totale di 12 intese approvate con legge. La tesi maggiormente accreditata circa la natura giuridica delle intese è che queste siano convenzioni di diritto pubblico interno in quanto si ritiene che nascono interno allo stato poiché la solo la Chiesa cattolica viene riconosciuta come ordinamento giuridico sovrano, diversamente dalle altre confessioni. Tale tesi è da accogliere perché risulta essere confermata dal tipo di legge che rende giuridicamente l'intesa nell'ordinamento: si necessita di una legge di approvazione, viene redatto un progetto di legge dal parlamento e segue poi l'iter ordinario. Il testo dell'intesa e quello di approvazione devono essere identici, in caso contrario l'intesa torna in trattativa. Le intese sono fonti atipiche in quanto, nonostante siano leggi ordinarie, non possono essere modificate o abrogate da alcuna legge ordinaria successiva che disponga in senso contrario, salvo che si tratti di una legge che a sua volta è una legge di approvazione dell'intesa. A differenza dell'accordo di Villa Madama tali leggi sono soggette al sindacato di legittimità costituzionale. 5. Le disposizioni derivate dall'accordo del 1984 L 206/85 è la ratifica ed esecuzione del protocollo firmato a Roma nell'84 che approva le norme per la disciplina della materia degli enti e dei beni ecclesiastici formulate dalla commissione paritetica istituita dall'art 7. L 222/85: quasi contemporaneamente alla ratifica e all'esecuzione del protocollo fa l'ingresso nell'ordinamento tale legge il cui testo è identico al contenuto al testo del protocollo dell'84. Essa reca disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia ed il sostentamento del clero cattolico in servizio nelle diocesi. Sono due fonti normative con identico contenuto sostanziale: in un caso nell'allegato all l 206, nell'altro è proprio il testo della 222. Genericamente si fa riferimento alla 222. E' una legge fondamentale per la Chiesa cattolica (riformula la materia del riconoscimento degli enti ecclesiastici, introduzione 8 per mille). La L 222/85, pur essendo ordinaria, proprio perché riproduce l'accordo che le parti hanno deciso di siglare, non può essere modificata unilateralmente dal legislatore italiano. Ci sono stati casi in cui involontariamente il legislatore italiano è andato a interferire con il dettato della legge, creando così un problema diplomatico? Sì, con la L 13/91 e la L 127/87 il legislatore italiano, nell'ottica di semplificazione, ha individuato un elenco di fattispecie in cui il provvedimento da emanarsi doveva essere emanato con decreto del presidente della repubblica. In tale elenco non compare il riconoscimento di un ente ecclesiastico, diversamente da quanto previsto dalla L 222. La L 127/97 ha elencato una serie di casi in cui il parere del consiglio di stato è obbligatorio, tra cui non vi rientra il riconoscimento degli enti ecclesiastici, diversamente da quanto previsto dalla l 222. La Santa Sede e l'Italia hanno effettuato uno scambio di note diplomatiche in cui si accettava che il parere del consiglio di stato non fosse obbligatorio e il provvedimento di riconoscimento venisse adottato dal ministero dell'interno. !52 specificità di una confessione religiosa (diversamente dalle intese presenti dette anche "fotocopia"). La Fumagalli nel 2004 scrisse un articolo su "Justitia" intitolato "Dai culti ammessi alla libertà religiosa: un cammino incompiuto" e sosteneva la tesi di affiancare all'accordo di revisione. . Ad esempio nell'ambito dell'assistenza sanitaria nelle strutture sanitarie le confessioni che hanno le intese possono far entrare nelle strutture il ministro di culto in qualsiasi orario su richiesta del fedele, diversamente dalle altre confessioni per cui si necessita di un'autorizzazione della direzione sanitaria. I primi disegni di legge sulla libertà religiosa sono stati presentati negli anni '90, fino ad ora sono stati 16. Tutt'ora non si è ancora arrivati a una legge sulla libertà religiosa. Ordinamento europeo e fattore religioso Parte della dottrina afferma che non esista una competenza europea nelle materie di rilievo ecclesiasticistico. Tuttavia si riscontra una serie di fonti che riguardano il fenomeno religioso. Altra parte della dottrina invece si riferisce alla presenza di un diritto ecclesiastico europeo. La posizione sulla presenza di norme che attengono al fenomeno religioso all'interno dell'ordinamento comunitario europeo è indiscussa, dibattuta è invece la possibilità che l'Unione europea possa dire la sua attraverso le normative sulle chiese all'interno degli stati nazionali. Alcune fonti che forniscono i punti di riferimento - Trattato sull'Unione Europea (1992) - Trattato di Amsterdam (1997) - Carta di Nizza (2001) - Trattato che adotta una costituzione per l'Europea (Costituzione Europea) sottoscritto a Roma nel 2004, ratificato in Italia con la L 57/2005. Questo avrebbe dovuto sostituire le altre fonti con un unico testo normativo. La scelta però di utilizzare una costituzione ha portato una serie di dibattiti ed infine l'opposizione di Francia e Olanda che hanno indetto un referendum per decidere se ratificare o meno con legge la costituzione, con conseguente esito negativo. Ciò ha fatto sì che la costituzione europea non sia mai entrata in vigore (fintanto che tutti gli stati facenti parte dell'Ue non hanno ratificato con legge il trattato questo non entra in vigore). - Nel 2005 vi è stato un percorso di riflessione e il consiglio europeo, nel 2007, ha convocato una conferenza inter-governativa incaricata di definire un nuovo trattato che fosse modificativo dei testi precedenti e non sostitutivo. Il Trattato di Lisbona (2007), reso esecutivo in Italia nel 2008 ed entrato in vigore nel 2009, dopo essere stato ratificato da tutti gli stati membri. Il Trattato ha apportato delle modifiche al Trattato di Maastrich del 1992 e al Trattato istitutivo della Comunità Europea il quale viene rinominato come Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea. Pagina WEB BOLGIANI "Versione consolidata del trattato sull'Unione Europea e del trattato sul funzionamento dell'Unione Europea". Per quel attiene agli aspetti di interesse di carattere ecclesiastico del Trattato di Lisbona anzitutto essi riguardano la formula adottata nel preambolo del TUE perché, già nella costituzione per l'Europa, la Santa Sede, gli episcopati europei e molti paesi avrebbero voluto inserire nel preambolo un riferimento alle radici cristiane dell'Europa per dare l'idea di come il processo di unificazione europea avesse alla sua base un unico principio ispiratore. Sul tema si è dibattuto a lungo. La Francia si è opposta all'inserimento di una tale formula in quanto riteneva che in qualche modo avrebbe leso la laicità dell'ordinamento europeo. Alla fine al !55 secondo capoverso del preambolo si afferma che l'Unione Europea "ISPIRANDOSI alle eredità culturali, religiose e umanistiche dell'Europa, da cui si sono sviluppati valori universali dei diritti inviolabili e inalienabili della persona, della libertà, della democrazia , dell'uguaglianza e dello stato di diritto..." Non vi è quindi un riferimento al cristianesimo, ma alle eredità religiose. Il riconoscimento costituzionale dell'influenza che avuto il cristianesimo non è stato esplicito nemmeno con il Trattato di Lisbona. Art 6 TUE (versione consolidata) 1 co "L'Unione riconosce i diritti, le libertà ed i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea del 7 dicembre 2000 (Carta di Nizza) , che ha lo stesso valore giuridico dei trattati." 2 co "L'Unione aderisce alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Tale adesione non modifica le competenze dell'Unione definite dai trattati". La CEDU è del 1950 ed è stata resa esecutiva in Italia già dal 1955. L'UE fa propri i diritti e i principi che la convenzione contiene che quindi entrano a far parte dell'ordinamento europeo. La CEDU riconosce - la libertà religiosa e di coscienza (art 9 e art 10); - il diritto dei genitori all'educazione e istruzione dei figli secondo le proprie credenze religiose; - il diritto all'obiezione di coscienza; - il divieto di qualsiasi forma di discriminazione. 3 co "I diritti fondamentali, garantiti falla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli stati membri, fanno parte del diritto dell'Unione in quanto principi generali". Art 2 Trattato di Lisbona "L'Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini". L'art 7 del trattato di Lisbona prevede che, qualora una maggioranza qualificata di stati appartenenti all'Ue, indichi al consiglio dell'UE la presenza di violazione di uno di questi diritti fondamentali da parte di uno degli stati membri questi è tenuto a fornire una giustificazione. In caso di insufficienza di quest'ultima può sospendere l'applicazione dei trattati nei confronti di questi, compresa la sospensione del diritto di voto del rappresentante dello stato che violi tali diritti. Art 17 TUE "L'Unione rispetta e non pregiudica lo status di cui le chiese e le associazioni o comunità religiose godono negli Stati membri in virtù del diritto nazionale. L'Unione rispetta ugualmente lo status di cui godono, in virtù del diritto nazionale, le organizzazioni filosofiche e non confessionali" L'Unione quindi non si intromette in quella che è la condizione delle chiese o delle associazioni degli agnostici in uno stato in quanto ciascun paese ha un diverso percorso storico. 3 co "Riconoscendone l'identità e il contributo specifico, l'Unione mantiene un dialogo aperto, trasparente e regolare con tali chiese organizzazioni". La dottrina si è chiesta fino a che punto l'Unione rimanga estranea per quel attiene ai rapporti tra lo stato e le confessioni religiose. La dottrina ha potuto rilevare che l'Unione non interverrà nella misura in cui il trattamento che viene garantito alle chiese/associazioni contribuisca all'identità di una determinata nazione. Dall'altro lato però l'Unione non potrà mai accettare che in un determinato paese, dietro il concetto di identità, si nascondano delle discriminazioni che ledano i diritti di libertà del cittadino (all'art 6 TUE e art 2). Art 9 CEDU- Libertà di pensiero, di coscienza e di religione !56 "Ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, così come la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo individualmente e collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l'insegnamento, le pratiche e l'osservanza dei riti. La libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono stabilite dalla legge e costituiscono misure necessarie, in una società democratica, per la pubblica sicurezza, la protezione dell'ordine, della salute o della morale pubblica, o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui". E' altra norma fondamentale, insieme all'art 17, che riguarda la materia ecclesiasticistica all'interno dell'ordinamento europeo. Gli organi posti a tutela dell'applicazione di tali norme sono - Corte di Giustizia Europea (a Lussemburgo), che è organo giurisdizionale dell'Unione Europea - Corte Europea dei diritti dell'Uomo (a Strasburgo), che è organo giurisdizionale del sistema creato dalla CEDU La corte di giustizia europea si è occupata relativamente di tematiche attinenti al fenomeno religioso, molto di più la Corte Europea dei diritti dell'uomo. Questo è dovuto al diverso meccanismo di funzionamento delle corti: mentre la corte di giustizia europea è attivata per effetto di un intervento degli stati membri, la CEDU accetta ricorsi proposti da singoli che si ritengono lesi i propri diritti fondamentali. Sono due le condizioni affinché il singolo possa rivolgersi alla corte: - devo essere esauriti, all'interno del paese di appartenenza, tutti i mezzi di impugnazioni possibili - Non devono essere trascorsi più di sei mesi dalla pronuncia definitiva La Corte è divisa in sezione e vi è la Grande Camera, organo deputato a valutare in seconda istanza le pronunce delle sezioni. I compiti della corte sono chiariti dal par 1 art 32 CEDU "La competenza della corte si estende a tutte le questioni concernenti l'applicazione e l'interpretazione della convenzione e dei protocolli che siano sottoposte ad essa". Con la sent 348/2007 la corte costituzionale ha chiarito che, nell'emettere una sentenza, deve effettuare un ragionevole bilanciamento di interessi: deve tenere conto da un lato gli obblighi comunitari (il contenuto della convenzione) e dall'altro deve tenere conto degli interessi tutelati nella costituzione italiana (o quella di altro paese cui la sentenza si riferisce). La L 212/2006 ha stabilito le modalità di esecuzione delle sentenze della corte europea in Italia e ha previsto che spetta alla presidenza del consiglio di ministri verificare che il legislatore italiano adegui le norme a quanto le sentenze della corte prevedono. Questo è quello che è successo nel caso dell'esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche. La signora Lautzi, cittadina italiana di origini finlandesi, ha figli che frequentano la scuola media di Abano Terme in cui è esposto in classe il crocifisso. La signora si rivolge al preside affinché il crocifisso venga rimosso. A seguito del diniego dell'autorità scolastica, si rivolge al TAR Veneto sostenendo che l'esposizione del crocifisso leda il diritto di libertà religiosa dei figli e l'educazione. Il TAR ritiene la quesitone non manifestamente infondata e deferisce la questione alla consulta della corte costituzionale. La Corte non entra nel merito della quesitone sostenendo che la norma che prevedeva l'esposizione del crocifisso era una disposizione di rango regolamentare e di conseguenza non era sua competenza sindacarne la legittimità. Si trattava infatti di un regolamento. Il TAR è quindi costretto a pronunciarsi nel 2005 affermando che il crocifisso non lede in alcun modo il diritto di libertà religiosa degli alunni perché si tratta comunque di un simbolo che fa parte della cultura dell'Italia. Guardando quindi al crocifisso come simbolo dell'identità del paese il TAR stabilì che dovesse rimanere appeso. La Signora fece ricorso al Consiglio di stato il quale confermò la sentenza del TAR, condividendone le motivazioni. La causa venne presentata davanti alla Corte europea dei diritti dell'uomo. Con la sentenza !57