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donne, razza e classe, Dispense di Antropologia Culturale

riassunto intero del libro per esame antropologia culturale

Tipologia: Dispense

2018/2019
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Caricato il 15/06/2019

luana1693
luana1693 🇮🇹

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Scarica donne, razza e classe e più Dispense in PDF di Antropologia Culturale solo su Docsity! DONNE, RAZZA E CLASSE DI ANGELA DAVIS L’eredità della schiavitù. Principi per una nuova condizione delle donne. Phillips, nel 1918, dichiarò che la “peculiare istituzione” dello schiavismo aveva reso civili i popoli africani, ma si parlava ancora poco o nulla della condizione della donna-schiava. Negli anni ’70 il dibattito sulla schiavitù ritorna in luce, ma ancora nulla sulle loro condizioni (i riferimenti erano solamente a temi quali promiscuità o matrimonio e sesso coatto o volontario con i bianchi). Tra gli studi più recenti, quello di Gutman sulla famiglia Nera fece emergere che, sebbene a differenza delle donne bianche, quelle nere avessero più libertà sessuali prima del matrimonio, si adattavano poi a un matrimonio stabile a cui contribuivano parimenti moglie e marito. Gutman quindi è contro la comune visione del matriarcato, ma esula ancora dalle condizioni della donna nera durante lo schiavismo. La Davis, così, propone idee a riguardo. La donna nera è sempre stata lavoratrice (spesso nei campi), lontana dall’ambiente domestico. Le schiave erano viste come “entità lavoratrici” al pari degli uomini, erano “anomale” rispetto all’ideologia femminile sviluppatasi nel XIX secolo (che vedeva la donna casalinga, dolce compagna e madre). Quelle degli stati al confine tra unionisti e confederati potevano essere anche domestiche, ma nella culla della schiavocrazia, nel profondo sud, erano principalmente lavoratrici agricole (testimonianza di J. Proctor p. 31). L’oppressione delle donne era la stessa di quella degli uomini, si andava al di là della differenza di genere. Ma le donne, in più degli uomini, subivano abusi sessuali: se erano redditizie al pari degli uomini le si trattava come loro, altrimenti le si puniva in forme adatte solo al ruolo femminile. In seguito si adottarono anche delle esaltazioni ideologiche di quelle donne che avevano una maggiore fertilità, ma ciò non dava loro uno status migliore di quello delle schiave: per i padroni erano solamente strumenti, “animali da riproduzione” che aiutavano ad aumentare la forza lavoro, e i bambini spesso venivano venduti. Addirittura il tribunale del Sud Carolina dichiarò che le schiave non avevano alcun diritto legale sui propri figli. Le donne incinta non avevano nessuna esenzione o semplificazione dal lavoro, dovevano lasciare i bambini incustoditi oppure portarseli nei campi, ma dovevano essere redditizie allo stesso modo di tutti gli altri. L’uomo poteva essere mutilato e fustigato, la donna in più veniva stuprata: lo stupro era l’espressione esplicita della supremazia economica del proprietario. Il sistema schiavista scoraggiava la differenza di genere, che avrebbe potuto provocare una pericolosa rottura nella catena di comando. Uomini, donne e bambini rientravano unicamente nella categoria “schiavi”. Le donne schiave costituivano gran parte della totalità dei lavori nelle industrie, non erano “abbastanza femminili” per esimerle da lavori quali taglialegna o nelle fonderie di ferro. Inoltre, erano più redditizie di molti uomini neri e costavano meno. Lontano dalla concezione della donna emersa nel XIX secolo, le schiave nere forse avevano imparato ad estrarre dalle circostanze oppressive la forza necessaria per sopravvivere alla disumanizzazione della schiavitù. Durante l’industrializzazione, le donne bianche vennero sempre di più concepite come lontane dalla sfera produttiva, concezione non contemplata dalle donne nere. Le relazioni maschio-femmina all’interno della comunità di schiavi esulava quindi totalmente dal modello ideologico dominante. Definire la famiglia Nera come una struttura biologica matrilocale ha i suoi fondamenti nello schiavismo: gli atti di nascita di molte piantagioni omettevano il nome del padre riportando solo quello della madre. Probabilmente, il fatto che il padre-padrone non riconoscesse il figlio avrebbe condotto direttamente a una forma di famiglia matriarcale. A riguardo è stato fatto uno studio, “The Moynihan Report”, che sosteneva che ciò abbia contribuito direttamente ai problemi sociali ed economici attuali della “Negro Family”, avendo proiettato un peso schiacciante sia sul maschio che sulla donna. Questo studio invitava a riesumare la supremazia maschile nella famiglia Nera che diede origine all’oppressione. Il sociologo Rainwater, sostenitore “liberal” di Moynihan, invitava piuttosto ad attuare riforme economiche, incoraggiando proteste per diritti civili; egli però, sosteneva comunque che la famiglia Nera fosse stata distrutta dallo schiavismo, a causa della prevalenza di relazioni tra madre e figlio, con l’esclusione del padre. Solo negli anni Trenta, con “The Negro Family”, l’autore Frazier espresse la teoria del deterioramento intrinseco della famiglia Nera sotto lo schiavismo, che trovo però dei punti di critica avendo travisato lo spirito di indipendenza e di fiducia in se stesse o sottostimando la capacità dei Neri di resistere allo schiavismo. Dai dubbi sulla teoria di Frazier e dalle critiche a Moynihan Report, Gutman iniziò le sue ricerche sulla famiglia Nera pubblicando nel 1976 “The Black Family in Slavery and Freedom”. Egli aveva visto una famiglia in cui agiva non solo la donna, ma moglie, marito, figli e altri parenti allo stesso modo. Inoltre Gutman sottolineò come piccole azioni come dare il nome del padre al figlio o sposarsi con una donna che aveva un figlio avuto da un padre anonimo rendevano molto umano l’ambiente disumanizzante dei campi di schiavi. Egli distrusse quindi la tesi di una famiglia nera matriarcale, non mettendo in discussione però che la donna dominasse l’uomo. La dimensione domestica era molto importante, era l’unico luogo in cui ci si poteva sentire esseri umani, ma ciò ha finito per distorcere la realtà degli schiavi (citazioni di Elkins e Stampp, p. 44). Davis sottolinea come l’uomo svolgesse importanti attività domestiche al pari della donna, ma ciò non significava che lei lo dominasse: questa divisione di compiti non era di tipo gerarchico, entrambi erano egualmente importanti e necessari. L’aspetto che emerge è l’uguaglianza di genere, un’uguaglianza positiva che caratterizzava le loro relazioni sociali. Genovese, in “Roll, Giordan, Roll” prese come tesi il fatto che l’uomo nero accettasse il paternalismo associato alla schiavitù, con la presenza di un elemento di supremazia maschile, ma comunque fece emergere un’interessante riflessione: riscontrava uguaglianza tra uomo e donna. come la donna nera dava l’esempio alla figlia, il ragazzo nero aveva bisogno dell’esempio dell’uomo nero. Le donne nere, ponendosi sempre in posizione egualitaria rispetto all’uomo, hanno anche resistito alle aggressioni sessuali degli uomini bianchi, difeso le proprie famiglie e partecipato attivamente alle rivolte non accettando mai il destino di schiave (tema evidente in “American Negro Slave Revolts” di Aptheker). Descrizioni dettagliate sulle rivolte delle donne e le molto spesso conseguenti punizioni ci vengono fornite da Douglas. Molte donne cercavano di scappare verso il Nord, molte ce la fecero, altre vennero ricatturate. Un caso è quello di Ann Wood (capa di un carro di uomini e donne neri in fuga per la libertà): partirono il 24 dicembre 1855, furono coinvolti in una sparatoria di cacciatori di schiavi, ma solo due rimasero uccisi, gli altri riuscirono a raggiungere il Nord. Sara Grimke invece riporta un caso più sfortunato. Le comunità Maroon, formate da schiavi in fuga e i loro discendenti, erano molto in voga in quel tempo e combattevano, uomini donne e bambini, contro i bianchi. Ma la resistenza andava oltre le pratiche di fuga e guerra, ad esempio si insegnava a leggere e scrivere. Un caso importante è quello di Harriet Tubman, che condusse più di 300 persone lungo la Ferrovia sotterranea. Il padre le diede un’educazione importante (le insegnò a nutrirsi e curarsi con le piante, a camminare silenziosamente…). Questo dimostra che le donne Nere erano forti e perseveranti egualmente agli uomini. I padroni cercavano di rompere quest’uguaglianza utilizzando dei trattamenti repressivi unici per il genere della donna: ricordiamo che i castighi inflitti alle donne superavano di intensità quelli inflitti agli uomini. Lo stupro diventava un’arma di dominio, il cui fine era quello di reprimere la voglia di ribellione delle donne e demoralizzare i loro uomini. In Vietnam lo stupro diventa un’arma politica di massa sessista (per rivendicare il fatto che la guerra fosse prettamente maschile), “moralmente accettata”. I padroni bianchi avrebbero potuto adottare lo stesso ragionamento: lo stupro era un’arma per riportare la donna a una condizione di passività, debolezza e acquiescenza. Genovese, nella raccolta “Roll, Jordan, Roll”, sosteneva la tesi paternalistica per cui gli schiavisti bianchi finissero per amare la donna Nera e il suo bambino. La mescolanza raziale aveva a che fare con un nucleo di umanità, senza contare il profondo senso dello stupro che emerge in moltissime testimonianze. Molte donne bianche partecipavano al movimento anti schiavista, sentendosi profondamente offese per il trattamento delle donne Nere, ma non avrebbero mai capito realmente la posizione di queste ultime: le donne Nere avevano sviluppato tratti della personalità diversi da quelli delle bianche a causa delle rivoluzione avrebbe condotto o a un paese totalmente schiavista o a un paese totalmente libero, se non erano liberi gli schiavi non lo sarebbero state nemmeno le donne. Il razzismo nel movimento per il suffragio femminile In una lettera alla redazione del New York Standard (p.105) Elizabeth Cady Stanton fece emergere il suo pregiudizio raziale, sostenendo che la causa abolizionista e la causa sessista dovessero essere scisse. Allo stesso modo, Henry Ward Beecher, in un suo discorso, sostenne che le donne bianche avessero più diritto di voto rispetto ai Neri. La Stanton riprese questa tesi al primo meeting annuale della Equal Rights Association del 1876, sostenendo che le donne bianche avessero la capacità di modificare la capacità di governo, al contrario dell’uomo Nero. I punti principali di questo congresso erano due: la concessione del diritto di voto ai Neri e valutare se le suffragiste volessero appoggiare il voto dei Neri nel caso in cui le donne non avessero potuto ottenerlo nella stessa occasione. La Stanton, insieme a molti altri, riteneva che concedere il diritto di voto ai Neri sarebbe stato umiliante per le donne bianche, perché così i Neri sarebbero stati “superiori” alle donne bianche. La Guerra civile fu vinta dalla fazione unionista e il partito repubblicano del dopoguerra non implicava che il maschio Nero fosse superiore alla donna bianca e viceversa, gli interessi politici erano altri. Il Partito repubblicano preferì accaparrarsi due milioni di voti dei Neri; lo slogano “è l’ora del Negro” fu interpretata dalle seguaci della Stanton come “è l’ora del maschio”, quasi a indicare che i repubblicano fossero pronti ad estendere la supremazia del maschio anche all’uomo Nero. Dopo che furono approvati il XIV e XV emendamento, le donne bianche borghesi si sentirono lese nei loro obiettivi politici, il razzismo imperversante aleggiava tra le suffragiste che sostenevano di essere importanti quanto l’uomo Nero e nonostante ciò non avevano ancora ottenuto il diritto di voto, al contrario dei Neri. Però, nonostante le catene della schiavitù erano state rotte, i Neri subivano ancora una deprivazione economica: al Sud il razzismo era ancora potente, l’abolizione della schiavitù era avvenuta solo a livello formale. Douglas, nonostante avesse alla base ragionamenti maschilisti, quando affermò che il diritto di voto ai Neri era un’arma indispensabile per raggiungere la libertà di questi non aveva alcuna influenza maschilista. Senza il voto, disse, il popolo Nero del sud non avrebbe mai potuto ottenere alcun progresso economico. Inoltre la violenza delle squadre razziste, incoraggiate da chi cercava di ottenere lavoro dagli ex schiavi, sarebbe sicuramente stata portate avanti finché i Neri non avessero ottenuto potere politico. Sia a Memphis che a New Orleans erano stati uccisi dei neri e dei bianchi progressisti, già anticipate dalla rivolta di New York del 1863, dove filo schiavisti stupravano, uccidevano, picchiavano. Per questo, l’argomentazione di Douglas sul fatto che fosse più urgente il potere elettivo ai neri rispetto che alle donne bianche era abbastanza convincente e lui non chiedeva il suffragio per i Neri come merce di scambio, la voleva per una questione essenziale di sopravvivenza. Le vite delle donne bianche non erano ancora fisicamente in pericolo. Si verificarono però numerosi episodi di opportunismo, soprattutto da parte di democratici che appoggiavano la causa femminile per contrastare i repubblicani. In questo periodo, però, il XV emendamento, che proponeva nessuna discriminazione elettorale sulla base di razza, colore o precedente stato di schiavitù, stava per diventare legge, ma non comprendeva ancora la discriminazione di genere. La citazione a p. 118 sottolinea quanto effettivamente le donne non subissero la medesima oppressione degli schiavi. Il significato dell’emancipazione secondo le donne Nere Alle Nere del 1890 la libertà doveva sembrare ancora più lontana che nel periodo schiavista: lavoravano nella degradazione più assoluta svolgendo le mansioni peggiori. Per ogni minimo pretesto venivano arrestati e dati in custodia alle autorità locali per svolgere lavori forzati. Alcuni latifondisti arrivarono ad utilizzare la forza lavoro di un centinaio di prigionieri Neri, e da qui aumentava la voglia di incrementare il popolo penitenziario. Dopo lo schiavismo, le donne Nere che lavoravano nei campi furono costrette a diventare domestiche, cosa che continuò per molto tempo. Nel 1919, quando le leader degli stati del sud della National Association of Colored Women esposero le loro lamentele, in cima alla lista c’erano le condizioni del lavoro domestico. Ovviamente le lavoratrici domestiche della Georgia appoggiavano a pieno queste lamentele. I padroni bianchi ritenevano che i lavori domestici dovessero essere svolti dalle donne Nere in quanto era un lavoro degradante e loro erano altrettanto “inette” e “promiscue”. Secondo il censimento del 1890 il Delaware era l’unico stato in cui i Neri erano contadini e braccianti e non domestici. La ricerca di Isabel Eaton contenuta nel saggio di Dubois “The Philadelphia Negro” dimostrava che in Pennsylvania il 60% dei lavoratori neri era occupato in attività domestiche; le donne Nere erano messe peggio ancora, quasi il 100% erano domestiche. Nelle interviste della Eaton, i padroni preferivano i domestici neri a quelli bianchi, come se fosse un complimento. In realtà stava a significare che i Neri erano destinati ad essere schiavi. Dubois sosteneva che finché il servizio domestico dei Neri fosse rimasto la regola l’emancipazione sarebbe rimasta un concetto astratto. Educazione e liberazione: le prospettive delle donne Nere. Milioni di Neri, soprattutto le donne, pensavano che l’emancipazione sarebbe stata “la venuta del signore”. Come F. Douglas da giovane schiavo voleva studiare, i quattro milioni di Neri che pretendevano l’emancipazione avevano compreso da tempo che “la conoscenza rende un bambino inadatto ad essere schiavo”. E dopo secoli di deprivazione educativa reclamavano il diritto a soddisfare il profondo desiderio d’istruzione: così. La comunità Nera di Memphis si riunì e decise che l’educazione era la priorità. Secondo l’ideologia razzista i Neri erano considerati incapaci di progredire intellettualmente, ma in realtà già nel 1787, in Massachusetts, i Neri, sotto l’iniziativa di Pince Hall presentarono delle petizioni per il diritto a frequentare le scuole libere di Boston, ma la petizione fu respinta e Hall fondò una scuola nella propria abitazione. Nello stesso anno, una ex schiava fondò a New York la Katy Ferguson’s School for the Poor, e i suoi studenti erano sia bianchi che neri. Anche Myrtilla Miner rischiò la vita per garantire l’istruzione ad alcune ragazze Nere. Aprì la scuola nel 1851, dopo pochi mesi aveva già quaranta studenti. Secondo Douglas, pochi bianchi avrebbero sostenuto la causa della Miner: la solidarietà verso i neri, in quel periodo, andava diminuendo. Infatti, l’edificio della scuola venne distrutto da un incendio. Dopo la rivolta di Nat Turner, nel 1931, in tutto il sud fu resa più severa la legge che proibiva l’istruzione agli schiavi. Quasi la metà degli insegnanti che parteciparono alla campagna educativa del Freedman’s Bureau erano donne: le donne bianche durante la Ricostruzione, andarono al sud per assistere le sorelle nere (con cui c’era una reciproca stima) per spazzare via l’analfabetismo tra gli ex schiavi (Dubois affermò che il tasso di analfabetismo raggiungeva il 95%). La storia della lotta contro l’analfabetismo raggiunse l’apice proprio quando le donne bianche e nere si unirono, negli anni successivi alla Guerra Civile. La loro solidarietà confermava una delle più fruttuose speranze della nostra storia: il suffragio universale. Il suffragio femminile tra Ottocento e Novecento: l’influenza crescente del razzismo Da un dialogo tra la leader delle suffragiste Susan B. Antony e Ida B. Wells si prese spunto per fondare il primo club per il suffragio femminile delle Nere. Wells ammirava la resistenza individuale contro il razzismo di Anthony e rispettava i suoi contributi nella campagna per i diritti delle donne, ma criticò il fatto che non sovrappose mai la lotta contro il razzismo con il movimento suffragista. Anthony non voleva accogliere nel movimento delle donne di colore, perché temeva che le associate bianche del sud avrebbero potuto ritirarsi dall’organizzazione. Il razzismo, al di là di questo episodio, stava obiettivamente crescendo e in questi anni si misero in atto proteste fondate contro il razzismo, che ad esempio Anthony definiva come una debole giustificazione per l’indifferenza delle suffragiste verso le richieste dei diritti dei Neri. Nel 1888 il Mississippi emanò delle normative che rendevano lecita la segregazione raziale e nel 1890 i Neri non avevano diritto di voto; successivamente altri stati seguirono queste emanazioni, come il North Carolina, la Virginia, Georgia… Wells inoltre condannò il silenzio che circondava numerosi episodi di violenza squadrista. La neutralità della National American Woman Suffrage Association nei confronti della questione raziale, in realtà, incoraggiò le idee esplicitamente razziste nel movimento suffragista. Henry Blackwell sosteneva che il suffragio femminile avrebbe portato numerosi vantaggi alla supremazia bianca, poiché il voto alle donne poteva eliminare l’incombente peso politico della popolazione Nera. In realtà, però, il suprematismo bianco venne accettato dal movimento suffragista solo nell’ultimo decennio del XIV secolo, rifiutando totalmente i diritti di uomini e donne Neri, eludendo dagli ideali democratici che tanto proclamavano. La giustificazione a ciò quindi era di stampo capitalista: questi ideali razzisti erano inseriti nella logica capitalista monopolista la cui ricerca indiscriminata di profitti non conosceva limiti umani. Se le donne bianche medio borghesi avessero ottenuto il diritto di voto, avrebbero sicuramente superato la working class statunitense (Neri, immigrati e operai bianchi analfabeti). Questi tre gruppi erano obbligati a lavorare da schiavi, con salari minimi e condizioni deleterie. Nel 1893 si inaugurò la dottrina del “separati ma uguali”, che consolidava il nuovo sistema di segregazione del sud. Nel 1899 le suffragiste non mancarono di dar prova della loro fede al capitalismo, che fece emergere Anna Garlin Spencer leggendo un discorso intitolato “Doveri delle donne dei nostri nuovi possedimenti”. Così si lanciò un appello alle donne del sud a non rinunciare alla loro inclinazione verso il suprematismo bianco. Anthony non fu responsabile diretta del razzismo nei movimenti suffragisti bianchi, ma era la leader e di certo la sua neutralità sull’argomento fomentò il pensiero. Molti Neri in quel periodo venivano oggettivamente aggrediti. Nel frattempo, razzismo e maschilismo si rafforzavano a vicenda e il culto della maternità all’interno delle organizzazioni suffragiste stava agendo per eliminare la supremazia maschilista. Al convegno del 1901 del National American Woman Suffrage Association, Carrie Catt affermò che l’emancipazione della donna bianca era la via per la salvezza della razza, mettendo in evidenza che gli ostacoli per il suffragio delle donne erano il militarismo, la prostituzione e la fretta nel dare il diritto di voto anche ai Neri. Quest’associazione non mancò di dare affermazioni razziste che confermavano l’alleanza tra questo e il sessismo. La lotta tra lavoratori bianchi e Neri era inevitabile, e il capitalismo voleva provocarla per facilitare i progetti di sfruttamento delle working class multiculturali da parte delle classi economiche in ascesa. Quello che doveva essere preservato non erano i diritti delle donne, ma la superiorità della razza bianca che non doveva essere intaccata. Le donne Nere e il movimento dei club Nel 1900 la General Federation of Women’s Clubs si dichiarò razzista decidendo di escludere dal congresso la delegata Nera del Boston’s Women’s Era Club. Le organizzazioni pro all’abolizionismo esistevano già dagli ultimi anni del Novecento, ma, mentre le donne bianche erano spinte da sentimenti di carità, le donne Nere erano spinte soprattutto dalla motivazione di sopravvivenza del popolo Nero. I club nacquero intorno alla fine degli anni Sessanta dell’Ottocento, e nel 1890 erano talmente tanti che poté costituirsi una federazione nazionale, la General Federation of Women’s Club. I club attraevano le donne bianche di classe media perché proponevano attività ricreative esterne ma comunque collegate al loro ambito tradizionale domestico. la maggior parte di queste donne non avevano un lavoro: il problema del vuoto della vita domestica non esisteva per le donne Nere. Dopo che Ida Wells fece un discorso circa un linciaggio di tre Neri, iniziarono ad emergere i primi club unicamente formati da donne Nere. La Wells fondò il primo club di Nere a Chicago e affiancò Douglas nell’organizzazione della protesta contro l’Esposizione universale del 1893. Il Women’s Era Club, dopo aver sottolineato la privazione di spazi di formazione e cultura subita dalle donne Nere, fomentarono una protesta di massa contro il linciaggio. Wells fece appello sia alle donne Nere che a quelle bianche perché in masso si opponessero al regime del linciaggio. Mentre le donne Nere combattevano per la liberazione dei Neri, le donne bianche attuavano spesso atteggiamenti elitari nei confronti delle masse popolari. Ad esempio, Fannie Barrier Williams concepiva i club delle donne come “la nuova intelligenza, la conoscenza illuminata” della propria razza. Nel 1895 nacquero due federazioni rivali, che però si fusero negli anni successivi. Ida Wells era un’esperta di tattiche di agitazione e di conflitto, ma Mary Church Terrell aveva come armi il ragionamento logico e la persuasione. Entrambe comunque furono donne grandiose per quel periodo, da sole hanno raggiunto obiettivi inimmaginabili per la libertà delle donne e del popolo Nero. Claudia Jones immigrò negli USA con i genitori e entrò a far parte del Communist Party. Diede un’interessante riflessione nell’articolo “Per la fine dell’indifferenza verso i problemi delle donne Nere” (1949), dove rifiutava il classico stereotipo maschilista sul ruolo delle donne e tese a sottolineare quanto le Nere fossero centrali per la difesa della sua razza. Lei rimproverò ai progressisti e ai sindacalisti di non aver riconosciuto gli sforzi di organizzazione delle lavoratrici domestiche Nere. Sosteneva inoltre che le bianche dovessero assumersi una specifica responsabilità nei confronti delle donne Nere. Claudia venne condannata per la violazione dello Smith Act e venne segregata in una “struttura di colore”, e quando fu rilasciata nell’ottobre 1955, la compagna Elizabeth Gurley Flynn scrisse una poesia intitolata “Addio a Claudia” (p.219). Stupro, razzismo e il mito dello stupratore Nero Lo stupro oggi è negli Stati Uniti uno dei crimini violenti che cresce con maggiore rapidità nelle statistiche ufficiali e finalmente, dopo anni di silenzio, sta emergendo come emblema delle disfunzioni della società capitalista. All’epoca le leggi contro lo stupro erano soprattutto a tutela di uomini dell’alta società con figlie o mogli che rischiavano di essere aggredite. Ciò che accadeva nelle working class non era d’interesse per i tribunali. Quindi la denuncia verso uomini bianchi era pressoché inesistente, colpendo soprattutto i Neri, innocenti o colpevoli che fossero. Il mito dello stupratore Nero era prontamente evocato per difendere e giustificare le teorie razziste e il terrore verso la comunità Nera. Al contempo, le Nere venivano stuprate da uomini bianchi senza avere risultati dopo la denuncia, anzi talvolta subivano una seconda violenza da parte della polizia da cui si recavano per la denuncia. Agli inizi del movimento femminista non venne osservata con attenzione la questione delle donne Nere stuprate dai bianchi e degli uomini Neri accusati spesso ingiustamente di stupro. Gerda Lerner fu una delle poche bianche a scrivere sul tema negli anni Settanta, esaminando in profondità l’effetto combinato di razzismo e sessismo sulle donne Nere. Joan Little venne accusata di omicidio nel 1975, per aver ucciso una guardia bianca nella prigione in cui era detenuta. Lei era stata stuprata da questo e lo uccise per legittima difesa: fu assolta, e questa fu una grande vittoria. Joan Little fece poi numerosi appelli a sostegno di Delbert Tibbs che stava per essere giustiziato in Florida perché falsamente accusato. Molte Nere sostennero la causa, al contrario delle donne bianche, solo quando caddero le accuse le attiviste bianche iniziarono a schierarsi progressivamente in sua difesa. La violenza sessuale fu una prerogativa del rapporto tra il padrone e la schiava. La licenza di stupro derivava e alimentava allo stesso tempo la crudeltà del sistema schiavistico economico e sopravvisse all’abolizione della schiavitù. Ma lo stupro delle donne nere non è sempre stato praticato in maniera così manifesta, anche se il razzismo ha sempre ricavato forza dalla sua capacità di alimentare la violenza sessuale. La guerra del Vietnam ha mostrato come il razzismo possa servire da legittimazione degli abusi. Ma a seguito di questi comportamenti verso le Nere, anche le bianche ne hanno risentito perché sono aumentati gli atteggiamenti sessisti. Alcune intellettuali dei movimenti contro lo stupro hanno però spesso teorizzato l’inclinazione dei Neri alla violenza sessuale. Susan Brownmiller sosteneva che l’oppressione storica degli uomini Neri non gli abbia permesso l’accesso a molte delle espressioni “legittime” di maschilismo e per questo motivo ricorressero ad atti di violenza sessuale. I suoi scritti sono sicuramente molto interessanti, ma al contempo intrisi di razzismo. Anche la scrittrice Jean MacKellar è stata così influenzata dalla propaganda razzista che è giusta ad affermare che il 90% degli stupri denunciati negli USA sono commessi da uomini Neri. “Politics of Rape” di Diana Russel rafforza il senso comune secondo cui lo “stupratore tipo” sia un uomo di colore. Firestone fu una delle prime femministe a teorizzare il nesso tra razza e stupro (p.231). le affermazioni di queste autrici hanno contribuito a riesumare il vecchio mito dello stupratore nero, che legittima ancora di più i bianchi a disporre dei corpi delle Nere come oggetto sessuale, alimentando l’ideale della donna nera come promiscua. Nel saggio “Sex and racism”, lo studioso Nero contemporaneo Calvin Hernton diede la colpa alla vittima per la punizione feroce che le è stata inflitta (p.232). Insieme alla frusta, lo stupro era un metodo per tenere sotto controllo il popolo Nero. I linciaggi avvenuti prima della Guerra Civile erano rivolti soprattutto agli abolizionisti bianchi, che non avevano alcun valore sul mercato. I linciaggi aumentarono infatti quando i proprietari di schiavi iniziarono ad essere attaccati e per reprimere le forze antischiaviste preferirono usare “il cappio e il rogo”. Con l’emancipazione degli schiavi, i Neri persero valore di mercato per gli ex padroni e i linciaggi aumentarono, in relazione all’aumento della diffusione del mito dello stupratore Nero. Douglas sottolineò come, durante la schiavitù, nessun Nero venne etichettato come violentatore. Ma i linciaggi, successivamente, iniziarono ad essere visti come un’ottima arma politica, infatti sempre Douglas sottolineò come spesso le uccisioni delle persone Nere erano spesso descritte come misure preventive per evitare che esse si rivoltassero. Ma quando si iniziò a vedere che, comunque, queste presunte rivolte non avvenivano mai, si iniziò a cambiare motivo del linciaggio: esso veniva utilizzato per riaffermare la supremazia bianca sui Neri. Il mito dello stupratore Nero servì a soffocare ogni opposizione al linciaggio e, soprattutto, a indebolire il supporto dei bianchi alla causa dell’uguaglianza dei Neri. Frances Willard, che fino ad allora aveva sostenuto la lotta di liberazione dei Neri, in quel momento intervenne con veemenza contro le violenze sessuali attribuite ai Neri. Il senatore Ben Tillman consegnò un uomo Nero al linciaggio nonostante la vittima fosse stata pubblicamente discolpata dalla donna che aveva denunciato lo stupro. Non erano però i Neri ad essere aggressori, piuttosto erano vittima di un’aggressione contro il loro gruppo sociale. Così le donne Nere si misero subito alla guida del movimento contro il linciaggio, di cui Ida B. Wells fu il leader maggiore. Nel 1892 tre suoi conoscenti vennero uccisi perché il loro negozio stava avendo successo più di quello di un proprietario bianco nello stesso quartiere. Anche Mary Church Terrell fu un’eccezionale protagonista del linciaggio, contraddicendo la legittimazione di tale pratica. Sotto la guida di Mary Talbert, venne creata nel 1922 la Antu-Linching Crusaders, con l’obiettivo di creare un movimento non segregazionista di donne contro il linciaggio, dove si fece appello anche alle donne bianche. Le bianche non risposero fino al 1930, quando fu fondata la Association of Southern Women for the Prevention of Lynching per iniziativa di Jessie Daniel Ames. L’obiettivo dell’organizzazione era quello di mettere in discussione il linciaggio come pratica necessaria a difendere le donne del sud. Solo a quel punto le bianche riuscirono a identificarsi con la causa Nera in virtù dell’oppressione che vivevano in quanto donne. Infatti il linciaggio rafforzava il dominio maschile. In ogni caso, la decostruzione del mito dello stupratore Nero non doveva essere fraintesa come una difesa dello stupro in quanto tale (Douglas, 1894) e dei Neri che lo compirono realmente. La ripresa del razzismo a metà degli anni Settanta ha visto anche un riesumarsi del mito dello stupratore Nero, talvolta legittimato dalle bianche che combattevano contro lo stupro. Ad esempio, Susan Brownmiller distorse alcuni casi (p. 248-249) e finse di difendere la causa di tutte le donne, chiudendosi in realtà nella difesa particolare delle donne bianche. Il mito dello stupratore Nero continua ad alimentare l’ideologia razzista ed è un grave sintomo del fallimento della maggior parte delle studiose in lotta contro lo stupro. I bianchi, che erano “proprietari” delle donne Nere, approfittarono di queste considerandole come esseri inferiori, legittimati dal loro potere economico. Eppure i loro crimini sessuali difficilmente venivano alla luce. Da quando è nata la logica capitalista, gli uomini che possiedono potere politico ed economico sono incentivati a diventare agenti quotidiani dello sfruttamento sessuale. Perciò, questa aggressione economica è fortemente accompagnata da sessismo. Nelle working class, la subalternità delle donne rispecchia la situazione degradante dei laboratori di colore e la crescente influenza del razzismo nel sistema giudiziario, scolastico, nelle politiche di governo, caratterizzate da un colpevole disinteresse verso la condizione dei Neri e di altre persone di colore. Le dimensioni critiche della violenza sessuale costituiscono un aspetto di profonda e permanente crisi del capitalismo. Razzismo, controllo delle nascite e diritti riproduttivi Nel XIX secolo, le femministe rivendicarono per la prima volta la “maternità consapevole”. Il controllo delle nascite è stato uno dei requisiti fondamentali, insieme ad altri, per l’emancipazione della donna. Ma questo movimento lascia molto a desiderare sul terreno della lotta al razzismo e allo sfruttamento di classe. Le donne di colore non avrebbero mai potuto ignorare l’importanza della campagna per il diritto all’aborto, in quanto erano a favore del diritto all’aborto (ma non per questo sostenitrici dell’aborto): se il numero di Nere che vi fanno ricorso è molto alto, è a causa delle condizioni miserabili che le dissuadono dal portare nuove vite sulla terra e non tanto perché desiderino veramente interrompere la gravidanza. Le donne Nere hanno sempre abortito da sole, fin dalla schiavitù, epoca in cui le donne compivano infanticidi e aborti come gesti di disperazione motivati dalla loro condizione. Il diritto all’aborto era quindi spesso sovrapposto a una posizione favorevole agli aborti, che sono due cose differenti. Solo negli anni Settanta si iniziano a mettere a fuoco le necessità specifiche delle donne povere e oppresse dal razzismo in relazione all’aborto. Siccome la sterilizzazione chirurgica rimase gratuita per molto tempo, molte donne si sentirono costrette a ricorrere all’infertilità permanente, rinunciando al diritto alla riproduzione. Siccome erano le donne a dover partorire, e gli uomini detenevano il dominio sessuale, le donne rimanevano incinta molto spesso, in un’epoca in cui gli anticoncezionali non avevano legittimità di essere neppure nominati. In questo senso, Sarah Grimke difendeva il “diritto all’astinenza sessuale” per la donna. Nel 1905 il presidente Roosevelt affermo che il tasso di natalità dei bianchi era in declino e sarebbe potuto verificarsi un “suicidio della razza”: per lui la purezza della razza doveva essere salvaguardata e ammonì le donne bianche n buona condizione economica che si ostinavano alla “sterilità volontaria”. Margaret Sanger diede inizio alla sua lunga crociata per il controllo delle nascite. Nella prima fase la campagna fu strettamente connessa al Socialist Party a cui lei era iscritta, ma l’alleanza tra questa campagna e il movimento operaio radicale non durò a lungo, e quindi la Sanger ruppe i rapporti con il Socialist Party. Così costruì una campagna indipendente per il controllo delle nascite che fu enormemente esposta alla propaganda anti-Neri e anti-immigrati. Come i loro predecessori ingannati dalla propaganda del “suicidio della razza”, le fautrici del controllo delle nascite iniziarono ad abbracciare l’ideologia razzista dominante. Verso la fine del lavoro domestico: la prospettiva working class La presa di coscienza dei lavori domestici e della cura dei figli ha incoraggiato le donne alla richiesta di sgravarsi almeno in parte di questi lavori, che occupavano molte ore. Il lavoro domestico è sempre stato percepito come un “lavoro da donne”. Inoltre questo è un lavoro a tutti gli effetti, ma non è retribuito in quanto l’economia capitalistica è strutturalmente ostile all’industrializzazione del lavoro domestico. secondo l’idea borghese, la donna di casa è la serva del proprio marito per tutta la vita. Durante l’epoca coloniale le donne non erano “donne delle pulizie”, ma lavoratrici a pieno titolo in un sistema economico a base domestica (facevano il pane, tessevano…). Ma man mano che l’industrializzazione avanzava, il lavoro domestico delle donne perse strutturalmente importanza e veniva sostituito dalle macchine. E questo comportò la nascita della “casalinga”, che fu poi imposta come modello universale di femminilità e che ha sottolineato sempre di più la differenza tra l’economia pubblica del capitalismo e l’economia privata della casa. “la casa non si è sviluppata proporzionalmente alle nostre altre istituzioni” come afferma Gilman, osservando come il lavoro domestico ha minacciato l’umanità delle donne. Le origini teoriche del movimento per il salario alle casalinghe si possono riscontrare nel saggio “Potere femminile e sovversione sociale” di Mariarosa Dalla Costa, che si basano sull’assunto che le casalinghe producono un mercato fondamentale che ha valore quanto le merci che produce il marito. L’economia industriale ha prodotto una separazione strutturale tra economia domestica e pubblica, di cui la prima è vista come precondizione della produzione capitalistica. A questo si aggiunge anche la rivendicazione di un sistema di servizi di assistenza all’infanzia.