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Donne, razza e classe riassunto, Sintesi del corso di Storia Della Filosofia

Libro di Angela Davis "Donne, razza e classe"

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 27/01/2020

Giorgialarry
Giorgialarry 🇮🇹

4.3

(72)

10 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Donne, razza e classe riassunto e più Sintesi del corso in PDF di Storia Della Filosofia solo su Docsity! INTRODUZIONE A “DONNE RAZZA E CLASSE” Uscito per la prima volta nel 1981 negli Stati uniti, viene considerato uno dei testi pionieristici del femminismo odierno, poiché la Davis analizza in maniera attuale l’approccio che intercorre tra i rapporti di genere, razza e classe. Si tratta dello sviluppo di un saggio scritto dalla Davis nel 1971, quando si trovava in carcere, uno studio storico sulla condizione delle afroamericane durante lo schiavismo, volto a riscoprire la storia dimenticata delle ribellioni delle donne nere contro la schiavitù. Racconta episodi tragici della storia degli Stati Uniti, frutto di miti ancora in voga come quello dello “stupratore nero” o della superiorità della “razza bianca”, ma anche eccezionali momenti di resistenza. Attraverso le storie di alcune figure chiave della lotta per i diritti delle donne, delle nere, dei neri e della working class statunitense, ricostruisce i rapporti tra il movimento suffragista e quello abolizionista, gli episodi di sorellanza tra bianche e nere ma anche le contraddizioni insite in un movimento prevalentemente bianco e di classe media e le lotte e i bisogni delle donne nere e delle lavoratrici. CAPITOLO 1 –L’EREDITÀ DELLA SCHIAVITÙ. PRINCIPI PER UNA NUOVA CONDIZIONE DELLE DONNE- All’interno di tutti i discorsi riguardanti lo schiavismo, quello sulla condizione della donna è rimasto in ombra. Studi recenti di H. Gutman sulla famiglia nera dimostrano come, nonostante le norme sullo schiavismo concedessero molta libertà sessuale alla donna, all’interno del nucleo familiare nero fosse ci fosse un matrimonio stabile, fatto di collaborazione tra moglie e marito. Questo avveniva perché l’uomo non poteva considerarsi colui che manteneva la famiglia, in quanto, all’interno del sistema schiavista, entrambi lavoravano e “provvedevano” al sostentamento. Da questi studi emerge come gli schiavi ogni giorno tentassero di difendere le proprie vite familiari. Durante la schiavitù le donne lavoravano nei campi insieme agli uomini, soprattutto quelle del Sud, mentre al Nord erano solite assumere il ruolo di domestica, “mommy” (bambinaia). All’interno dei campi scomparivano le differenze di genere: l’oppressione degli uomini era dunque la stessa delle donne. Non sempre però venivano considerate asessuate; il proprietario, quando poteva sfruttarle, reprimerle e punirle in forme adatte solo alle donne, allora le rinchiudeva in ruoli prettamente femminili, sfruttando il loro corpo, abusandone sessualmente (pertanto a seconda della convenienza e dell’esigenza, poteva considerare la donna come un individuo al pari dell’uomo per farle svolgere pesanti compiti, mentre quando voleva attuare punizioni valide solo per il genere femminile, ritornava presente la distinzione uomo-donna). Con l’abolizione della tratta internazionale degli schiavi, fu minacciata l’espansione dell’industria: unico modo per la sopravvivenza della classe schiavista era la continua riproduzione. Venne pertanto fissato un premio per la capacità riproduttiva di una schiava; ciò nonostante le donne venivano comunque considerate degli strumenti che assicuravano la continua presenza della forza lavoro (“animali da riproduzione”). Le schiave inoltre non avevano nessun diritto sui figli, che potevano essere venduti in qualsiasi momento, in quanto a tutti gli effetti proprietà del padrone. Nel caso specifico delle donne e dei loro neonati, alcune di loro preferivano tenerli con loro tutto il giorno, per il timore che potessero essere prelevati e venduti, altre invece preferivano affidarli ad altri bambini del villaggio. Le donne incinte erano obbligate a svolgere il loro lavoro normalmente; se in alcuni casi venivano salvaguardate era semplicemente perché il proprietario apprezzava la nascita di un nuovo bambino quanto quella di un vitello, la vedeva come una mera merce. Le donne venivano sfruttate anche all’interno dell’industria, poiché rendevano più degli operai liberi e degli schiavi maschi. Si è soliti considerare erroneamente, nell’ottica schiavista, la famiglia nera come matriarcale; in realtà anche gli uomini svolgevano importanti mansioni domestiche. I compiti di uomini e donne erano egualmente necessari. Le donne nere, grazia alla loro forza, hanno lasciato un’eredità importante che getta le basi per la lotta ad una nuova condizione della donna. CAPITOLO 2 –IL MOVIMENTO ABOLIZIONISTA E L’ORIGINE DEI DIRITTI DELLE DONNE- Con la crescente industrializzazione la situazione delle donne stava andando deteriorandosi, cominciarono così a ribellarsi, spesso paragonando la loro situazione di oppressione a quella della schiavitù. A partire dal XIX secolo le donne bianche lavoratrici e casalinghe iniziarono a partecipare al movimento abolizionista, visto come un’occasione per lanciare una protesta contro l’oppressione dei propri ruoli domestici. Lavorando all’interno del movimento le donne ebbero modo di conoscere maggiormente la situazione di oppressione che colpiva il popolo nero. Molte donne spiccarono all’interno di questo contesto:  Prudence Crandall aveva messo a repentaglio la propria vita per difendere il diritto all’educazione dei bambini neri.  Le sorelle Sarah e Angelina Grimke, unirono donne bianche e neri per lottare assieme. CAPITOLO 3 –CLASSE E RAZZA AGLI ALBORI DELLA LOTTA PER I DIRITTI DELLE DONNE- Le donne statunitensi che parteciparono alla conferenza di Londra diventarono furiose quando vennero escluse dal voto di maggioranza, ma non si arresero. Molte donne presenziarono alla conferenza, tra queste Elizabeth Cady Stanton, donna istruita che fin da giovane aveva sfidato i principi sessisti sull’educazione, dopo Londra aderì al movimento abolizionista e si mobilitò per contrastare l’oppressione delle donne, spingendosi fino alla proposta di suffragio femminile nel congresso a Seneca Falls (1848), idea che parve azzardata agli occhi delle altre donne. A seguito di questa proposta Douglass inserì i diritti delle donne all’interno del movimento di liberazione dei neri. Nonostante ciò al congresso di Seneca Falls non partecipò nemmeno una donna nera, assenti sia tra il pubblico che nel documento sui diritti delle donne. Considerando il forte impegno abolizionista, l’indifferenza dimostrata nei confronti delle schiave nere destò molte perplessità, indicando un segno di forte debolezza del movimento, la sua incapacità di promuovere una consapevolezza antirazzista. Due anni dopo il congresso di Seneca Falls, se ne svolse un altro nel Massachusetts, mosso dall’aspirazione della libertà dall’oppressione razzista e dal dominio sessista. All’interno di questo congresso era presente una donna nera che, grazie al suo carisma e alla sua forza, spiccò anche in altri congressi successivi. Alla metà del XIX secolo le assemblee nazionali e locali iniziarono ad attrarre un numero sempre crescente di donne, che aderivano alla campagna per l’uguaglianza e l’emancipazione. L’effettiva riuscita della lotta per l’uguaglianza delle donne poteva avvenire solo se associata alla lotta per la liberazione dei neri. CAPITOLO 4 -IL RAZZISMO NEL MOVIMENTO PER IL SUFFRAGIO FEMMINILE- Piaga del razzismo e continua opposizione donne vs neri per avere il voto Nonostante anni di battaglie, le donne facenti parte i diversi movimenti, restano vulnerabili all’influsso del razzismo. Le donne e i neri, pur richiedendo entrambi il suffragio, non vengono posti sullo stesso piano; i neri rimangono vittime della schiavitù, la cui abolizione si è rivelata solo apparente. Proprio in virtù di questo cambiamento quanto mai necessario, il voto si rivela un’arma indispensabile per poter finalmente ottenere un progresso economico e porre fine alle continue rivolte violente e ai massacri (es. Memphis e New York, 1866). Frederick Douglass sostiene che il voto ai neri debba avere priorità sul suffragio femminile, in quanto per loro non è il semplice riconoscimento di un diritto, ma un concreto mezzo di sopravvivenza, necessario alla tutela fisica della loro vita. Poiché la concessione del voto ai neri era fortemente ostacolata, in molti decisero opportunisticamente di appoggiare le leader del movimento suffragista femminile, affermando la priorità del voto delle donne su CAPITOLO 8 –LE DONNE NERE E IL MOVIMENTO DEI CLUB- Viene presentato il “caso Ruffin” dal quale emerge nuovamente il razzismo delle suffragette: esse infatti decidono di non accettare all’interno del congresso una donna bianca che vuole rappresentare un club di donne nere. Il primo club di donne nere fu fondato negli anni ’90 del 1800, periodo in cui i linciaggi e le violenze sessuali indiscriminate raggiunsero l’apice. La figura di spicco fu Ida Wells che permise grazie a congressi in cui le donne nere si incontrarono, la nascita dei club e dei giornali che denunciavano i linciaggi e le ingiustizie subite dai neri. All’interno di questi club c’erano donne appartenenti a classi sociali differenti che, schierandosi assieme, si battevano per la liberazione dei neri. Prima però che si stabilisse un’organizzazione nazionale dei club delle donne nere, fra le dirigenti (Ida e Mary Terrell) scoppiò una spiacevole rivalità personale. La loro faida andò avanti per decenni e fu una drammatica costante nella stori dei club; da sole hanno infatti raggiunto risultati grandiosi, ma assieme avrebbero potuto fare davvero la differenza. CAPITOLO 9 –LAVORATRICI, DONNE NERE E LA STORIA DEL MOVIMENTO SUFFRAGISTA- Nel 1868 le donne lavoratrici avevano da poco ingrossato i ranghi della forza lavoro, difendendo con le lotte i loro propri diritti. L’industria dell’abbigliamento presentava il maggior numero di donne impiegate; tuttavia il maschilismo nel movimento operaio predominava, solo le industrie di tabacco e le tipografie avevano aperto la porta alle donne. Vennero fondate due associazioni, una bianca, la National Labor Union, e una nera, la National Colored Labor Union. All’interno della prima i membri furono costretti ad accettare le donne, poiché col loro contributo all’interno dell’industria tessile aiutavano l’economia del Paese. Nell’associazione dei neri invece le donne furono ben accolte, al punto da arrivare ad assolvere importanti compiti all’interno dell’associazione stessa. Le bianche erano troppo impegnate nel far valere i propri diritti e prendersela con gli uomini per capire i progressi fatti dai compagni neri; nella loro lotta al suffragio c’era solamente la questione femminile al centro, l’obiettivo era quello di avere gli stessi diritti in ambito lavorativo degli uomini: salario, ore di lavoro e condizioni lavorative. Solo negli anni ’20 del ‘900 le suffragette e le donne lavoratrici iniziarono a combattere per il diritto di voto, poiché capirono che si trattava dell’unico modo per far emergere i loro diritti anche sul piano del lavoro. Anche le donne nere lavoratrici si batterono per il diritto di voto, nonostante le bianche fossero profondamente razziste, tanto da non accettarle all’interno delle loro associazioni. Mentre nel nord le donne riuscirono ad ottenere la loro vittoria, al sud erano violentemente ostacolate nell’esercizio del loro nuovo diritto. CAPITOLO 10 –LE DONNE COMUNISTE- L’ideologia marxista ebbe una grande influenza sulla società e in particolare sulle donne stesse, in quanto Marx aveva compreso l’importanza delle donne militanti e diede sempre più peso alla rivendicazione dell’uguaglianza. Inoltre all’interno del partito comunista si sviluppò una solida teoria della liberazione dei neri, raggiungendo un notevole numero di militanti attivi nella lotta al razzismo. Esempi di donne note ed attive all’interno del partito comunista:  Lucy Persons fu una delle militanti nere più attive nella campagna in difesa del marito, ingiustamente ucciso, e inoltre, grazie alla sua attività giornalistica, si combatté per la classe operaia per più di sessant’anni. Aderì ufficialmente al partito comunista solo nel 1939 e morì nel 1942;  Ella Reeve Bloor era nota come “Mother” Bloor, fu una straordinaria sindacalista, una militante per i diritti delle donne, dei neri, della pace. Con il tempo divenne il cuore e l’anima di un’infinità di scioperi: elle infatti sosteneva, insieme ai suoi compagni che la classe lavoratrice non avrebbe potuto ottenere degli effettivi risultati se non avesse prima combattuto il veleno sociale del razzismo. La lunga lista degli straordinari risultati che questa donna ottenne dimostrare quanto sia stata una profonda alleata del movimento di liberazione dei neri.  Anita Whitney nacque da una famiglia benestante e nessuno s sarebbe mai immaginato che sarebbe divenuta presidente del Communist Party in California. Fu una delle prime donne bianche a lottare contro il razzismo, tanto da farsi denunciare e arrestare per avere parlato pubblicamente scagliandosi contro i linciaggi.  Elizabeth Gurley Flynn ha militato all’interno di socialismo e comunismo per circa sessant’anni. Già i suoi genitori erano sostenitori della lotta contro i capitalisti. All’età di 16 anni fu arrestata, insieme al padre, per aver tenuto un comizio sui diritti della classe operaia in strada, senza autorizzazione. Negli anni successivi entrò a afra parte di varie associazioni socialiste e viaggiò molto per diffondere i suoi ideali. Quado entrò ufficialmente a far parte del Communist Party, fu un’attiva collaboratrice assieme ai comunisti neri nella lotta per l’emancipazione della classe lavoratrice. Diede tutta la sua vita alla difesa dei diritti della classe operaia, tanto da venir arrestata a New York, insieme ad altre tre comuniste.  Claudia Jones immigrò nelle Isole Trinidad insieme alla sua famiglia, negli Stati Uniti. Fin da subito fu attiva politicamente e aderì al Communist Party. Si batté per la difesa del lavoro domestico delle donne nere, che i sindacalisti ancora non difendevano. Anch’essa fece esperienze in carcere che le permisero di conoscere il razzismo dello Stato stesso: poiché infatti era una nere, venne portata in una struttura per neri. CAPITOLO 11 –STUPRO, RAZZISMO E IL MITO DELLO STUPRATORE NERO- Lo stupro è un sintomo emblematico del deterioramento sociale. Dopo anni di silenzio numerose donne hanno iniziato a denunciare le violenze subite; ai tempi negli Stati Uniti le leggi sullo stupro erano in difesa delle classi sociali più alte e di conseguenza un numero davvero poco rilevante di maschi bianchi venne processato per violenza, contrariamente a quanto invece accaduto agli uomini neri, spesso persino colpito dal fenomeno della falsa accusa di stupro, che divenne una fondamentale arma sfruttata dal razzismo. Un numero davvero irrisorio di donne nere trovava il coraggio di denunciare le violenze subite, poiché rivolgersi agli uomini in divisa costituiva un rischio in quanto spesso erano i primi ad approffittarsene. Ciò nonostante i club organizzarono proteste e manifestazioni per contrastare questa barbarica pratica. Lo stupro perpetrato nei confronti delle donne nere si rivelava ancora più violento poiché condizionato e giustificato in qualche modo dal sistema schiavistico e dall’ideologia razzista, secondo le quali il corpo della donna era uno strumento nelle mani del padrone per soddisfare i propri piacere sessuali. Il diffondersi dell’ideologia del nero come stupratore, il mito dello stupratore nero, rinforzò la legittimità dei bianchi a disporre dei corpi delle donne nere. Le donne bianche inoltre, soggiogate dall’ideologia razzista radicata nella società, spesso testimoniavano il falso pur di far condannare un uomo nero. Il fenomeno dello stupro venne utilizzato per giustificare il terribile atto di linciaggio, cioè le uccisioni fuori legge degli uomini neri, mascherate in questo modo da misura punitiva. A questi fatti si aggiunga che la denuncia di una donna nera non era affatto credibile perché secondo l’ideologia del tempo, se avesse avuto credibilità, avrebbe portato i neri alla ribellione e alla supremazia sui bianchi. Tutto ciò si dimostrò una vera e propria aggressione sociale contro i neri, motivo per cui le donne si attivarono e protestarono contro i linciaggi grazie ai primi club di donne nere. Bisogna tenere presente, anche ai giorni d’oggi, che davanti ad un fenomeno di questo genere, la lotta contro il razzismo deve essere la base, non solo per difendere le donne nere, ma anche per coloro che possono diventare vittime della strumentalizzazione dell’accusa di stupro (uomini neri ad es.). CAPITOLO 12 –RAZZISMO, CONTROLLO DELLE NASCITE E DIRITTI RIPRODUTTIVI- La campagna per il controllo delle nascite ha origine nel XIX secolo, quando le femministe per la prima volta rivendicano la “maternità consapevole”. Siccome si trattava di un argomento che coinvolgeva indistintamente le donne di tutte le classi sociali, ci si sarebbe aspettato che i vari gruppi si unissero in nome della causa, cosa che non avvenne se non raramente. La più importante vittoria del movimento fu la legalizzazione dell’aborto nei primi anni ’70. All’interno del movimento emerse un elemento razziale: poca era infatti la presenza delle nere, motivata da due ragioni. In primo luogo esse erano sovraccaricate dalla lotta contro il razzismo per occuparsi di questa battaglia ed inoltre non avevano ancora preso coscienza della centralità del sessismo. Le donne bianche avevano però analizzato la questione delle donne nere con superficialità. Le donne nere infatti, fin dalla schiavitù hanno abortito, perché non volevano mettere al mondo figli in condizioni di miseria, scegliendo in tal modo l’aborto come soluzione più per le condizioni sociali nelle quali erano costrette a vivere che non per loro stesse o l’incapacità di crescere un figlio. Al centro della maternità consapevole c’era l’idea che la donna potesse sottrarsi alla sottomissione dei mariti. Tutto ciò era necessario anche perché si andava diffondendo il desiderio femminile di realizzare una propria carriera al di fuori delle mura domestiche; era in tal modo necessario pianificare le gravidanze. Questo primo appello di controllo delle nascite, avvenuto alla fine del XIX secolo, vedeva coinvolte donne dei ceti elevati, le lavoratrici invece facevano fatica ad identificarsi in tutto questo perché impegnate nella lotta per la sopravvivenza economica. Alla fine del secolo il numero delle nascite, soprattutto in città, era decisamente calato (le donne non mettevano al mondo più di 4 figli), sintomo che la loro attività sessuale iniziava ad essere controllata. Assieme a questo calo però si diffuse la minaccia del “suicidio di razza” ed iniziarono pertanto delle campagne sul controllo delle nascite di neri, immigrati e poveri; in questo modo le fertili bianche avrebbero potuto mantenere la superiorità numerica della stirpe. Fra le persone nere si verificarono degli episodi di sterilizzazione forzata, le donne infatti venivano minacciate dai medici stessi, ricattate se non avessero eseguito la pratica. Con la sterilizzazione forzata veniva di fatto negato il diritto riproduttivo che ogni donna, di qualsiasi razza o classe, possiede e pertanto si trattava di un fenomeno che andava immediatamente fermato. CAPITOLO 13 –VERSO LA FINE DEL LAVORO DOMESTICO: UNA PROSPETTIVA WORKING CLASS- Nonostante il lavoro domestico non sia riconosciuto a tutti gli effetti come tale, le donne si sono mobilitate e hanno coinvolto gli uomini nell’equa divisione dei compiti. L’industria capitalista ha alleggerito il lavoro delle donne con la sua industrializzazione, fornendo macchinari tecnologici che diminuiscono il lavoro all’interno della casa stessa. L’idea della donna come domestica e serva del marito si è sviluppata con l’avvento del capitalismo, poiché in epoca coloniale il lavoro domestico non riguardava solo l’ambito ristretto della casa, le donne venivano considerate lavoratrici a pieno titolo perché era il sistema economico stesso ad essere impostato su base domestica. Man mano che l’industrializzazione avanzava, il lavoro domestico delle donne perdeva importanza e riconoscimento. Questa nuova concezione della produzione economica provocava una spaccatura sempre più grande fra economia domestica ed economia orientata al profitto: non generando alcun profitto, il lavoro domestico veniva ritenuto inferiore rispetto a quello salariato.