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TEOLOGIA 2 MAFFEIS UNICATT BS, Appunti di Teologia II

Teologia 2 maffeis esame brescia unicatt

Tipologia: Appunti

2020/2021
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Caricato il 20/07/2021

anna-boemio
anna-boemio 🇮🇹

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17 documenti

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Scarica TEOLOGIA 2 MAFFEIS UNICATT BS e più Appunti in PDF di Teologia II solo su Docsity! Per affrontare l'introduzione al credo, è necessario elaborare la risposta ad una domanda apparentemente semplice: CHI SONO I CRISTIANI? La domanda si pone quando l'identità dei cristiani cessa di essere un dato evidente o quando il pluralismo religioso costringe a rendere esplicito il proprio modo di credere. Nell’epoca odierna i popoli si mescolano e le religioni vengono a contatto; in questa situazione l'interrogativo diventa ancora più impellente. Per rispondere a questo interrogativo: - DAL GENERALE AL PARTICOLARE: dal XVII° sec. si è cercato di capire che cosa accomuna le varie espressioni religiose- l'identità cristiana può essere definito a partire da un concetto generale di religione (l’etichetta di religione deriva dall’epoca illuministica,) se parto da un concetto universale, inserisco in una linea interpretativa che parla delle specificità della religione come un elemento secondario. La pretesa di affermare che le religioni vengono ridotte ad unità viene eliminata. - DAL PARTICOLARE A UNIVERSALE: si cerca di capire cosa ha caratterizzato le comunità cristiane fin dalle origini, tale approccio ci è suggerito dall’etimologia del termine “cristiano” a Gesù e alla sua vicenda storica. Nel Nuovo Testamento vi è un duplice legame con Gesù: © il discepolo (= colui che impara, ascolta, ma nella tradizione antica è anche una persone che fa parte in modo profondo della vita del maestro) che ha incontrato personalmente Gesù. È tuttavia un'esperienza limitata nel tempo, privilegiata: è necessario aver vissuto in Palestina al tempo di Gesù. Il discepolo incontra Dio attraverso: - la parola e la vita di Gesù - la conversione a nuova vita (per alcuni fu drastica, per altri più lenta) - l'entrata a far parte di una comunità che è germe del popolo di Dio rinnovato. ® Anche coloro che non hanno goduto di questa posizione privilegiata possono entrare in relazione con Dio. Il secondo legame è quello del credente che l'ha conosciuto attraverso la parola dei testimoni, la testimonianza. Questa è la condizione più comune. Il credente incontra Dio in questo modo: - credendo in Gesù Cristo, morto e risorto, incontrato attraverso la parola di chi lo annuncia - ricevendo il battesimo - facendosi rinnovare dallo Spirito per vivere una vita nuova nella Chiesa. Entrambe le figure presentano gli elementi costanti dell'identità cristiana: la FEDE, una PRATICA, una COMUNITÀ. Ma chi è il cristiano? Egli è colui che possiede una fede, la pratica e vive in una comunità. Nella storia del Cristianesimo in alcuni casi l’unità di questi tre elementi è andata perduta ed alcuni aspetti sono stati messi in rilevanza a discapito di altri, portando a conseguenze negative tra le quali: un cristianesimo ridotto a dottrina (tutto si riduce a conoscere precetti relativi alla trinità, al catechismo...); un cristianesimo ridotto a morale o istituzione ecclesiastica (con realizzazione di grandi opere artistiche e culturali). L'elemento fondamentale all’interno del cristianesimo è quello della FEDE, la quale possiede: un’irriducibile dimensione personale, un essenziale riferimento alla storia di Gesù ed è condivisa dalla comunità dei credenti. Entra in scena, come conseguenza il Credo o Simbolo della fede che mette in relazione l'atto personale, nella storia umana, con l’azione di dio nella storia, e con la comunità che nel corso dei secoli ha professato la fede con le medesime parole. Abbiamo due versioni del testo: 1. SIMBOLO APOSTOLICO (attestato nella liturgia battesimale della Chiesa Roma nel II sec): così chiamato perché le 12 frasi che lo compongono sono state scritte da ciascun apostolo. 2. SIMBOLO NICENO COSTANTINOPOLITANO (frutto del concilio di Nicea (325) Costantinopoli (381)): è frutto dell'inizio della fede in Gesù Cristo N.B. L'unione dei due testi dà il credo che noi abbiamo oggi. Il cristianesimo sa che se vuole far giungere il suo messaggio a coloro a cui è destinato deve rivolgersi usando il loro linguaggio. Quindi per raggiungere i destinatari il cristianesimo ha: 1. assunto il linguaggio della cultura, per rendersi comprensibile; 2. ma nonsi identifica mai con la sua espressione culturale. Secondo Martin Buber (un filosofo ebraico che ha contribuito molto al pensiero dialogico dicendo che prima di essere sostanza, siamo una relazione tra persone, io divento ciò che sono attraverso la parola che un altro mi rivolge). Per lui nella Bibbia sono attestati due tipi di fede: 1. la emunah degli ebrei = esprime un atteggiamento di fiducia in Dio del popolo di Israele. Per gli ebrei la fede è principalmente fiducia e confidenza, e quindi si definisce all’inetto della relazione tra uomo e dio. 2. la pistis dei cristiani = concezione della fede intesa come accettazione di contenuti religiosi vincolanti per i cristiani il rapporto si definisce all’interno della verità. Come possiamo definire la realtà della fede? L'Antico Testamento esprime il concetto di fede-credere con emunah, ovvero la radice verbale da cui deriva il nostro amen e che significa “stare saldo”, “essere fondato solidamente”, “essere sicuro”. La fede è dunque la condizione dell’uomo che ripone in Dio la sua fiducia e quindi trova in lui la stabilità per la propria vita. ESEMPIO DELLA CONCEZIONE DELLA FEDE: “Se non crederete, non resterete saldi” (Isaia 7, 9) -in cui il profeta viene mandato dal Re con un messaggio di fiducia, in cui dice che Dio interverrà a portare il suo aiuto. Che cosa proclama l’annuncio cristiano? L’annuncio cristiano proclama che la persona di Gesù rappresenta il punto di arrivo e il vertice della rivelazione di Dio, della sua azione e della sua presenza nella storia umana. Anche la fede, dunque, si definisce in rapporto alla manifestazione personale di Dio in Gesù. La fede non sarà semplicemente in Dio, ma anche in Gesù. Nel Nuovo Testamento si sviluppa una riflessione sulla fede che mette in luce questi ® aspetti: 1. La fede è legata all'ASCOLTO La fede deve lasciar dettare il ritmo da chi parla. Se nessuno parla io non ascolto. La fede è una dimensione dell'affidamento che ha come caratteristica fondamentale l'ascolto. L'ascolto è qualcosa di ricettivo, legato alla propria disponibilità, ma comunque dipendente dal parlante. 2. La fede è legata alla CONFESSIONE “Se con la tua bocca proclamerai: Gesù è il Signore!, e con il tuo cuore crederai che dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo” (Romani 10,9). 3. La fede è legata alla CONOSCENZA Dopo aver proclamato la fede, vi è l'esigenza di conoscere/capire. La fede cristiana non è un'adesione cieca ad una verità che ci viene proposta. La fede ha in sé un'esigenza di comprensione. Questo è il compito della teologia. 4. La fede è legata alla SPERANZA Credere in Gesù vuol dire anche credere a quella promessa di vita rinnovata che nella risurrezione di Gesù si è manifestata. Il Credo esordisce con la professione di fede in Dio al quale si attribuisce l’opera della creazione: “Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili.” Il tema della creazione è molto importante, perché da una descrizione precisa del nostro mondo, quindi parla di una realtà molto concreta, qui ci troviamo davanti ad una concretezza che fa parte a dei presupposti ovvi della vita sulla terra. Se in altre epoche ci si affidava ai testi sacri per avere informazioni sul mondo, oggi ci si affida ai testi scientifici. Negli ultimi secoli il tema della creazione 2 erano già stati associati nelle prime formulazioni della fede cristiana all’interno del Nuovo Testamento: Gesù ha preso la condizione di servo fino alla morte in croce, per divenire simile all'uomo. Dio gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro uomo. La conclusione del Credo proietta infine la conclusione della vita umana di Gesù: la morte di Cristo in croce è stata tremendamente reale; egli è risorto, secondo le Scritture e siede alla destra del Padre e verrà di nuovo a giudicare i vivi e i morti. Ma qual è il ruolo di Ponzio Pilato nel Credo? Vi è un riferimento all'autorità politica sotto la cui giurisdizione è avvenuta la morte di Cristo: Gesù è morto in un periodo precisamente definito ad opera delle autorità romane. I Vangeli ci raccontano che Gesù voleva la salvezza del suo popolo: non era l’intenzione di morire che poteva essere messa in conto fin dall’inizio, ma una convinzione che matura in Gesù ed è data dalla sua disponibilità a compiere il valore del Padre. Gesù ha fatto i conti con l’esito di un epilogo violento alla sua vicenda terrena; l'invito rivolto è quello di non aver paura del martirio. La minaccia di morte non induce Gesù a modificare il proprio atteggiamento, egli compie la sua missione rivolta alla conversione di Israele fino alla fine (numerosi simboli di ciò soprattutto con l'ingresso a Gerusalemme poco prima della Pasqua). Egli era consapevole della morte incombente ma lascia un messaggio di speranza ai discepoli fino alla fine: la salvezza sarebbe arrivata comunque nel regno di Dio. Cristo ha compreso la sua morte come quella del servo sofferente, la cui afflizione assume un valore di espiazione e diviene principio di una nuova alleanza: Gesù prende su di sé il peccato degli uomini, il rifiuto della sua missione terrena e stabilisce un nuovo compimento. Tutto ciò voleva mostrare una convinzione: la fede riconosce la conformità delle Scritture alla morte di Gesù, il compimento del dono di sé per gli altri con la morte in croce. La risurrezione di Gesù dai morti è la conferma della missione divina affidata dal Padre al Figlio e rappresenta la chiave interpretativa che, attraverso la rilettura degli eventi precedenti, permette di comprendere il senso della sua vita e della sua morte. COSTEMONSPIRITO? - ABBÀ Lo Spirito o “soffio vitale” è stato donato a Gesù e viene donato a tutti coloro che credono in lui per rinascere a vita nuova. L’apostolo Paolo afferma che il corpo che può diventare strumento del peccato, può essere guarito grazie allo Spirito Santo. L’apostolo Paolo dice che lo spirito è il principio che fa nascere in noi la fiducia di figli, ci permette di liberarci dalla condizione di schiavi e ci dà la possibilità di essere figli adottivi di Dio. Questa possibilità permette di chiamare Dio: Abbà (modo più affettuoso di dire Padre, come aveva detto Gesù). Se si è figli non si ha più uno spirito da schiavi. Il figlio è membro di diritto della famiglia. Se si è figli, si è anche eredi, ovvero se si prende parte alle sofferenze di Dio, si partecipa anche alla sua gloria. Il figlio ha la certezza di potersi rivolgere al Padre senza paura, in quanto ha ricevuto lo spirito che è colui che riproduce nel credente i tratti di Gesù e quindi la relazione con il Padre; lo Spirito riveste pertanto un'importanza fondamentale. Non c'è un momento della storia biblica che non abbia presente lo Spirito Santo come fulcro dell’azione. Nonostante occupi una posizione molto marginale nella conoscenza di fede di molti cristiani, quando non è del tutto assente. + Lo Spirito Santo ci fa riconoscere il volto di Dio nella figura di Gesù, perché i cristiani ma anche le persone in se hanno bisogno di conoscere l'identità di una persona per fidarsi di essa e per conoscerla motivo per cui lo spirito agisce in questo modo. Cosa significa il termine spirito? Alla base del termine “spirito” (ruah) c’è l’idea di “vento”, “respiro”, è anche alla base della parola italiana sospirare, vi è quindi alla base di questa idea comincia una base umana. * dal punto di vista cosmico, il vento è percepito come una potenza che l’uomo non riesce a dominare (il vento ha come caratteristica quella di non poter essere afferrato motivo per cui viene scelto come termine) ed è quindi considerata strumento nelle mani di Dio; è l’idea di una potenza che non può essere afferrata dall'uomo infatti solo Dio può afferrarla. * dal punto di vista antropologico, dall’osservazione elementare che l’uomo che respira è vivo e si passa a identificare il respiro con la vita - respiro vitale è qualcosa che non ci appartiene, è infat&i un dono che deriva da Dio (Gen 2, 7); ma per l’uomo il respiro non un possesso stabile, al contrario egli lo perde con la morte. Per quanto riguarda la concezione presenete nell'Antico Testamento del rapporto tra Dio e lo Spirito Santo: si parla di tutte le creature viventi, quindi se viene meno il soffio vitale le creature ricadono nella polvere, se invece Dio manda il suo spirito tutto si rinnova, esso è quindi il principio della vita, ed esso permettere alla terra di rinnovarsi. Il Nuovo Testamento parla di un’altra realtà, ovvero ci parla dello Spirito Santo che Gesù dona ai suoi discepoli. Paolo parla del mondo che circonda gli esseri umani, affermando che viviamo in un mondo in cui tutta la creazione è soggetta a caducità. Coloro che hanno ricevuto lo Spirito Santo sono la primizia, l'annuncio di qualcosa che si sta rinnovando. Il credente che è stato liberato dalla schiavitù è nella creazione un elemento di novità e di speranza su cui tutte le creature guardano, è l’inizio della trasformazione del mondo. Paolo, inoltre, insiste sul fatto che l’opera dello Spirito Santo è il principio che anima la comunità dei credenti. Emerge quindi un concetto particolare di comunità: per l’apostolo Paolo quello che succede nella collettività non è una divisione razionale dei doni in base ai bisogni della comunità, ma è un'unione di persone alle quali lo Spirito dona talenti diversi per l'edificazione della comunità. Queste necessità a cui bisogna provvedere provengono dallo spirito che rende capaci i membri della comunità di servire gli altri seguendo queste funzioni. Non è semplicemente una logica razionale per cui vi è una divisione di compiti in base alla capacità, perché Paolo dice questo è il dono che ti è stato dato, ed in funzione di esso edifichi la comunità. La chiesa e quindi il principio dell'unità è dato dallo spirito ma le rende capaci di convergere verso una comunità. Lo spirito è per l'appunto questa realtà che salvifica tutta la storia della salvezza e che il risorto dona alla chiesa.In questo mondo, coloro che sentono una vocazione meditativa, come le persone che offrono i propri talenti alla comunità, contribuiscono alla diffusione dello Spirito e al benessere della società. Alla professione di fede vengono aggiunti infine tre elementi: il Battesimo, il perdono dei peccati e la risurrezione. Perché si è sentita l'esigenza di aggiungere questi elementi che non sono strettamente legati all'espressione di Dio? Non si tratta di un abbandono del ritmo trinitario del Credo, ma più verosimilmente di un riferimento all’azione dello Spirito Santo attraverso la Chiesa, il Battesimo e la risurrezione, i quali sono strumenti indispensabili per manifestare il compimento del dono. Cosa dice il Nuovo testamento della Chiesa? La domanda non trova risposta facile ed è necessario distinguere almeno G livelli d'indagine su cui il livello si pone: 1. La riflessione esplicita sulla chiesa, individuando il termine e le metafore che si riferiscono alla chiesa. Nei vangeli però ci sono solo due passi, nel vangelo di Matteo, in cui si parla di ecclesia. Gli altri evangelisti non usano questo termine, ma gli scritti del Nuovo Testamento sono nati all'interno di una comunità e sono destinati ad una comunità. I vangeli mettono insieme dati già precedentemente stabiliti, non sono scritti di “getto”. La ricerca sulle unità letterarie (parabole ecc.) fa emergere che c'è sempre una realtà ecclesiale alla base, ad esempio quella di istruire o fondare una pratica liturgica della comunità. Non basta fermarsi al livello dell'indicazione esplicita, ma tutti gli scritti del Nuovo Testamento sono pervasi da una situazione ecclesiale e dalla presenza di un destinatario, che è una comunità ecclesiale. Perciò nella trama dei Vangeli ritroviamo la realtà ecclesiale. Questo passaggio porta al secondo punto. 2. Gli scritti del Nuovo Testamento come documenti ecclesiali: anche se non parlano della chiesa sono scritti dalla chiesa per la chiesa. 3. L'intenzione di Gesù in rapporto alla chiesa. Gesù la voleva la chiesa o è nata indipendentemente dalla sua volontà o addirittura in contrasto? C'è un'ampia indagine sulla realtà della chiesa all'interno del Nuovo testamento. Noi partiremo dall'ultimo punto, che è poi il meno recente fra i tre (prima della Pasqua).Il secondo passaggio vedrà invece uniti il primo e secondo punto (dopo la Pasqua). Le risposte, date riguardo alla domanda se Gesù volesse la chiesa, sono ®© teorie opposte: 1- L'apologetica cattolica, secondo cui Gesù ha voluto e fondato la chiesa, stabilendone la struttura essenziale. 2- La teologia liberale (parte della teologia protestante che si sviluppa soprattutto nel XIX secolo), secondo cui Gesù ha annunciato il regno di Dio e non c'è spazio per la chiesa. L'annuncio del Regno di Dio prevede una certa imminenza/immediatezza, mentre fondare la chiesa prevede che vi sia del tempo per eseguire la missione di Dio. Entrambe le tesi hanno risposta opposta, ma hanno un presupposto comune. Entrambe rivelano un difetto fondamentale: tentano di isolare l'intenzione di Gesù, senza coglierla nel contesto di ciò che la precede (l'ambiente giudaico) e di ciò che è seguito (la nascita della comunità cristiana). La Chiesa deve essere considerata in un contesto concreto, il popolo di Israele. Il linguaggio utilizzato da Gesù era comprensibile alla comunità. Inoltre, le azioni di Gesù hanno determinato la creazione della Chiesa, è l'effetto dell'agire di Gesù. Per considerare questo punto, non si deve quindi “perdere d'occhio” il contesto precedente e gli effetti che ha provocato. L'intenzione di Gesù si comprende con il contesto religioso, il terreno su cui Gesù ha compiuto la sua missione e attraverso le Sacre Scritture. Da questo si è formata la comunità dei cristiani. Non bisogna affidarsi totalmente alle scritture, perché sono un eco dei discepoli. Un conto è dire “credo in Dio” e “credo nella Chiesa”, ma è altrettanto vero che Dio noi l'abbiamo incontrato in una comunità di credenti che ci ha aiutato a percepire una “rivelazione divina”. È il veicolo attraverso cui siamo arrivati alla fede in Dio. Chiesa e Dio non sono due cose estrinseche. La Chiesa è quel gradino in basso che mi permette di andare verso l'alto. Ci sono due elementi: 1. Il regno di Dio è per il popolo di Dio: Gesù rifiuta un’interpretazione politica del suo messaggio (quello che volevano gli zeloti), ma si rivolge all’Israele storico. 2. Su questa linea si capisce anche il secondo elemento: la chiamata dei Dodici è segno dell'inizio dell’Israele rinnovato. L'allusione alle 12 tribù di Israele è evidente, ma al tempo di Gesù Israele non esisteva come popolo delle 12 tribù. La chiamata era legata alla storia passata di Israele. Oppure guardava al futuro, perché il popolo d'Israele sperava in una restaurazione delle 12 tribù. Con Gesù, il popolo di Israele disperso viene richiamato e reintegrato come popolo delle 12 tribù. Questo è particolarmente significativo se guardiamo ad alcuni elementi del Vangelo, tra i quali il numero simbolico dei Dodici discepoli (riferimento ai dodici figli di Giacobbe, capostipiti delle tribù di Israele). Gesù intende alludere all’identità religiosa e culturale del Popolo. La chiamata dei Dodici diventa quindi segno dell’inizio dell’Israele rinnovato. Ma in che modo Cristo entra in relazione con il suo popolo? Bisogna osservare che il fatto che Israele avesse perso una sua vera e propria determinazione politica (era già in atto la Diaspora), crea le condizioni per una definizione religiosa dell'intervento di Dio che avrebbe preso in mano il destino del proprio popolo. La predicazione di Gesù entra infatti in relazione con le attese e le speranze di Israele. La concezione di Israele faceva leva sulla fedeltà alla legge e sulla necessità che questa diventasse ispirazione per tutto l’agire umano dei credenti. Per i Farisei, in particolare, la fedeltà alla legge era indispensabile per poter accogliere l’arrivo di Dio; per i monaci di Qumran (figli della luce), l’Israele ufficiale di Gerusalemme era corrotto, vi era la necessità di recarsi nel deserto e vivere secondo insegnamenti, salvezza figli della luce (visione molto lontana dal vero messaggio di Dio); i Sadducei pensavano in termini conservatori all'identità del popolo di Israele (importanza della discendenza e del tempio) e infine Giovanni il Battista sottolineava l’importanza della conversione nell’imminenza del giudizio. Quest'ultimo era il più vicino al messaggio di Gesù, che per questo motivo si fa battezzare dal Battista. Gesù sembrerebbe concentrarsi solo sul popolo di Israele, ma Paolo diffonderà largamente la sua parola. L'impianto che abbiamo dato a questo discorso mostra il nesso essenziale fra l'annuncio del regno di Dio e il popolo di Dio, ma sembrerebbe ristretto su Israele. Il problema concreto è che il popolo ha un nome preciso, sa di essere il popolo eletto ed è cosciente della propria unicità. Ma la chiesa è per tutti i popoli? Troviamo interpretazioni diverse di ciò nel Nuovo Testamento: in Matteo Non possiamo ricavare questo criterio da una presunta essenza della chiesa che starebbe al di sopra del tempo, perché questa comunità è costituita da un popolo che possiede un carattere storico. Risulta particolarmente interessante a questo proposito la proposta del teologo Dianich che individua nell’inizio della chiesa il suo probabile principio. Cosa è successo all’inizio? Ci sono molti aspetti che potremmo mettere in luce, ma ce n'è uno particolare che Dianich sceglie e ricava dagli Atti degli Apostoli, il libro che più da vicino tocca la tematica della missione della chiesa. Attraverso il racconto degli apostoli riuniti nel cenacolo durante la celebrazione della Pentecoste, ci viene proposto il discorso di Pietro relativo al dono dello Spirito che li ha resi in grado di farsi comprendere nelle diverse ripe e alla morte e alla risurrezione di Cristo. Alla fine del battezzaretticevendo cosililldonodello!Spitità! L'annuncio di Gesù morto e risorto, proclamato da Pietro produce quindi comunione, stabilisce un legame tra chi predica il Vangelo e chi accoglie la predicazione, ovvero coloro i quali costituiscono la chiesa, la comunità dei credenti in Gesù Cristo morto e risorto. La Chiesa risulta essere allo stesso tempo tradizione, cioè processo comunicativo che trasmette nel tempo il messaggio dell'origine e permette l’incontro personale con il Signore. La dimensione istituzionale della chiesa, in quanto non è a disposizione dei singoli membri della Chiesa è mezzo attraverso cui la Chiesa rimane legata all’inizio (Scrittura, simboli di fede, riti sacramentali) e mantiene la comunione tra le chiese locali (ministero dei vescovi e del papa, concilio economico). Quali caratteristiche presenta l'annuncio apostolico? Ha un carattere interpersonale, porta un riferimento essenziale alla storia di Gesù e stabilisce infine una comunione con il Risorto presente. Gli strumenti di una comunione che dura nel tempo risultano essere: la Sacra Scrittura, strumento dell’oggettivo, mediazione necessaria che ci permette di accedere alla storia di Gesù; i sacramenti, strumento di una comunicazione integrale, manifestata e realizzata attraverso il linguaggio dei simboli; i carismi e i ministeri, veicoli della dimensione interpersonale della comunione. STRUMENTI di comunione con la chiesa 1. La Sacra Scrittura: = la Bibbia è essenziale perché nasca la Chiesa e mantenga la sua identità, perché la scrittura è lo strumento che attesta la vita di Cristo. Pietro non aveva bisogno di nulla di scritto perché è il testimone di prima mano, il problema nasce quando con il passare del tempo muoiono i testimoni nasce la necessità di mettere per iscritto la testimonianza dei primi testimoni (gli apostoli) che hanno fissato della loro esperienza di Gesù. Se è vero che l'annuncio cristiano deve parlare della storia di Gesù noi abbiamo il documento che testimonia ciò che sappiamo su Gesù. L'antico testamento è stato considerato scrittura cristiana, infatti mentre nei primi secoli Marcione ed i suoi hanno cercato di scardinare questo testo perché troppo imperfetto, i grandi teologi hanno testimoniato che è necessario perché la salvezza inizia con la creazione, anche perché all’epoca Marcione ed i suoi vedevano Dio come qualcosa che non poteva avere a che fare con qualcosa di materiale. La scrittura non è in grado di parlare da sola, ancora meglio se qualcuno la proclama in pubblico, quindi la liturgia - qui c'è sotto il tema che dalla riforma protestante in avanti ha tormentato la religione protestante quindi il rapporto tra scrittura e Chiesa. . Se io porto all'estrema conseguenza il sistema protestante dice che ogni singolo può modificare l’interpretazione mentre la chiesa cattolica dice che può farlo solo chi di dovere, all’interno della comunità. 2.1 sacramenti strumento di una comunione integrale, manifestata e realizzata attraverso il linguaggio dei simboli = linguaggio ricco che se funziona è perfetto, ma se ci sono delle dissonanze la ricchezza si trasforma in qualcosa che non funziona. 10 3.I carismi e i ministeri, strumento della dimensione interpersonale della comunione = se la scrittura ha un contenuto che è normativo e deve funzionare, come criterio di ciò che la chiesa proclama, c'è bisogno di qualcuno che parla della chiesa. Nella comunità di cristiani in quanto battezzati tutti sono chiamati a portare avanti la propria testimonianza, mentre i sacramenti - i carismi= sono spontanei e liberi, sono affiati a tutti, in quanto battezzati sono chiamati a compiere la missione - ministeri= doni conferiti con il sacramento dell'ordine . Devono garantire l’unità della comunità cristiana. ha il compito di ricordare alla comunità che il fondamento apostolico è l'annuncio di Cristo, e devono promuovere l’unità della comunità intorno ad esso. l’unità intorno alla fede degli apostoli è capace di reggere espressioni plurali, però non facile stabilire il confine tra ciò che deve essere comunitario e di ciò che all’interno della chiesa . : es. il catechismo era organizzato secondo ciò che si faceva a scuola, oggi i modi di procedere sono cambiati, se uno fa catechismo deve fare un progetto sensato che permette di avvicinare alla chiesa, è un processo comunicativo che potrebbe essere catalogato attraverso la pedagogia, a volte vi è un miracolo per cui si riesce ad avvicinare una persona alla fede e proprio ciò accade in una maniera diversa da quello che ci aspetta. -> questo sottolinea che non posso pianificare la fede ma non posso neanche rinunciare a mettere in atto le strategie pedagogiche, talvolta vi è infatti una concezione dell'annuncio cristiano che sembra essere preoccupato di come annunciare. - La chiesa è comunione fondata sull’accoglienza credente dell'annuncio del vangelo e tradizione, cioè processo comunicativo che trasmette nel tempo il messaggio dell'origine e permette l’incontro personale con il Signore Il sacramento è uno strumento grazie al quale la comunione ecclesiale si protrae nel tempo. La terminologia si è formata attraverso un processo complesso. Per trovare l'etichetta giusta, si sono analizzati i contesti in cui questa parola è stata utilizzata nelle sacre scritture. Nella chiesa cattolica, nonostante siano celebrati molti riti, solo sette sono riconosciuti come sacramenti: battesimo, confermazione, eucaristia, penitenza, unzione dei malati, ordine e matrimonio. Nel Nuovo Testamento non si trova un concetto che designa l’insieme dei riti celebrati dalla comunità cristiana (battesimo, eucaristia, ecc.). Si parla di diversi riti che non sono riuniti in una categoria che li designi. Il concetto di sacramento che utilizziamo noi non c'è, ma c'è il termine da cui “sacramento” deriva: il termine greco mysterion. MYSt@Rion ha però un significato più ampio. Nel mondo antico esso riveste tre sign: (coloro che erano ammessi ad assisterv: diventavano partecipi del mistero); in ambito filosofico indica la verità da conoscere al di là della realtà visibile; nell’uso profano, infine, il termine mysterion fa riferimento al sonno o al segreto in genere. All’interno del Nuovo Testamento questo termine, nella linea della tradizione apocalittica, indica il piano di Dio per la storia umana: chi ha una visione profonda del mondo coglie il mysterion, come espresso nel Vangelo di Marco. Il contesto è quello apocalittico, il profeta vede il piano di Dio che si dispiega; quello che l’apostolo Paolo sottolinea è che si tratta del progetto che Dio aveva fin dalla creazione del mondo, rivelato attraverso le parabole e gli insegnamenti di Cristo e portato a compimento nella gloria finale. In virtù di ciò Paolo afferma che pur essendo inizialmente un peccatore, egli è stato convertito per rivelare il mistero ela grandezza di Dio. Nell’epoca patristica si comincia anche a usare il termine di mysterion in riferimento ai riti celebrati dalla chiesa. In senso polemico, di difesa del cristianesimo, gli Apologisti sottolineano che i riti cristiani sono altro dai misteri pagani (ma implicitamente essi vengono accostati); in tutto ciò rimane la validità del termine mysterion accostato al mistero del Nel passaggio dal greco al latino come lingua veicolare del tempo, i missionari ll cristiani che portavano il messaggio di Cristo si pongono il problema di trovare una traduzione latina adatta a questo concetto: il termine mysterion viene quindi reso con i due termini misterium e sacramentum. Entrambi i vocaboli sono utilizzati sia per indicare il disegno divino di salvezza che i riti liturgici nei quali esso diviene attuale per i fedeli. Da dove deriva il termine sacramentum? Secondo lo storico latino Tertulliano esso era utilizzato per indicare il giuramento militare di fedeltà e la cauzione in denaro depositata in un luogo sacro prima di affrontare un processo; entrambe le traduzioni sono quindi relative ad un impegno sacro, ad una sottomissione. Tertulliano assume il termine sacramentum per designare il battesimo, sottolineando in particolare l'impegno di fedeltà assunto dal battezzato nei confronti del suo Signore: l'impegno del cristiano ad assumere uno stile di vita coerente agli insegnamenti di Dio si identifica con questo concetto; gradualmente l’uso del concetto si estenderà anche agli altri sacramenti. Oggi, il sacramento viene identificato come un rito relativo alla religione, ma alla fine dell’epoca patristica, con la comprensione del termine in chiave spirituale, secondo Isidoro di Siviglia quanto si compiva visibilmente faceva riferimento ad una realtà invisibile, da ricevere santamente; venivano perciò considerati sacramenti il battesimo, la cresima e l’eucaristia in virtù della loro potenza salvifica nascosta. Questo risulta essere il grande problema della teologia medievale, che cercherà di comprendere come la realtà visibile possa entrare in contatto con quella invisibile. Ciò presuppone un cambiamento dal punto di vista filosofico: tutta la chiesa fi è influenzata dalla filosofia di Platone, mentre quella medievale da Agostino. Ugo di San Vittore risponde alla domanda relativa ai sacramenti, dicendo che essi possono essere costituiti sia da ciò che può essere percepito attraverso i sensi sia dalla realtà invisibile (l'acqua che viene utilizzata durante il battesimo non è solo quella corporea, ma quella che va a purificare lo Spirito). C'è quindi un’istituzione che ha voluto dare un significato a questi riti e un senso che va oltre alla realtà materiale . Risponde alla spiegazione di San Vittore dicendo che i sacramenti vanno considerati in un orizzonte di causa: non sono soltanto dei riti che indicano qualcosa, ma sono causa della grazia invisibile che comunicano e per la quale sono stati istituiti, oltre ad essere “simbolo, forma e materia”. nel XII° secolo giunge ad una definizione precisa del concetto di sacramento, sulla base della quale fissa il numero di sette sacramenti. Nessuno di questi autori nega che c’è bisogno della fede, per ottenere l’effetto di questi riti, ma questo tema non è messo in primo piano nella loro riflessione. Dopo questo lavoro, durante il Concilio di Firenze del 1439, le due parti della chiesa (Occidentale e Orientale) si incontrano e si dichiarano concordi nel ritenere che siano da tenere in considerazione i sette sacramenti del Nuovo Testamento: il battesimo, la confermazione, l’eucaristia, la penitenza, l'estrema unzione, l’ordine e il matrimonio, in quanto “contengono in sé la grazia e la conferiscono a coloro che li ricevono degnamente”. Un secolo dopo, tuttavia, queste affermazioni vengono messe in discussione dalla Riforma protestante, che giudica con molta severità quella che ritiene un'invasione della filosofia nella teologia. Lutero mette in questione la dottrina scolastica sui sacramenti e la prassi liturgica del tempo. Sulla base di un più ristretto concetto di sacramento (promessa di grazia legata a un segno), sono riconosciuti come tali solo il battesimo e la cena del Signore. Quello che non dovrebbe essere esclusivo in linea di principio affinché il sacramento abbia valore è la disposizione personale. Alla Riforma protestante risponde il Concilio di Trento, in ritardo per la mancanza di accordi tra Papa e politica. Trento è città italiana e imperiale che non soddisfa i desideri dei religiosi tedeschi, ma permette anche ai vescovi che erano in contatto con l’imperatore di avere una voce in capitolo. 12 l'imposizione delle mani. A partire dal V secolo in Occidente la confermazione si distacca dal battesimo per l'impossibilità del vescovo di presiedere personalmente i riti battesimali. Le comunità lontane dalla città sono affidate ai presbiteri, che hanno la facoltà di battezzare, mentre il vescovo mantiene la prerogativa di confermare l’iniziazione cristiana. Nel XIII secolo la separazione è completa, come conferma il Pontificale di Durando di Mende, che prevede un rito autonomo per la cresima, ormai staccata dal contesto della veglia pasquale. Il rito prevede l'imposizione generale delle mani da parte del vescovo sui candidati, l’unzione con il crisma sulla fronte in forma di croce, lo schiaffetto sulla guancia e la benedizione. Il dono dello Spirito, già ricevuto nel battesimo, si rinnova con la confermazione che porta a compimento l’iniziazione cristiana. L’eucaristia celebrata dalla chiesa rimanda alla comunione di mensa vissuta da Gesù con tutti i suoi discepoli, con i peccatori, con tutti coloro che accoglievano la sua parola. Il pasto comune è il segno della raccolta del popolo di Dio e dell'unità che il regno di Dio rende sperimentale. L'ultima cena di Gesù con i suoi discepoli prima di morire è il luogo nel quale Gesù anticipa la sua morte e la spiega come offerta di sé stesso, il suo corpo e il suo sangue, in espiazione dei peccati e per la nuova alleanza. La Pasqua per i discepoli di Gesù diventa quindi simbolo della morte e della risurrezione di Cristo; è memoria del sacrificio sulla croce, non solo ricordo della liberazione dall'Egitto dei Padri (tradizione ebraica precedente). L’eucaristia rimanda alla tradizione ebraica della cena pasquale nella quale Israele faceva memoria della presenza del dono della salvezza e, insieme, dell’attesa della liberazione definitiva. Nei secoli successivi la liturgia e la riflessione teologica sottolineano tre aspetti riguardo all’eucaristia: essa significa “rendimento di grazie”, ovvero lode a Dio per le opere che ha compiuto; essa è memoria della morte e della risurrezione del Signore e, infine, sacrificio influenzato dal linguaggio delle altre religioni e personificato dal dono totale di sé e della propria vita che Gesù compie (non si tratta tuttavia di un “Do ut des”). Nel passaggio dall’antichità al medioevo, la perdita del concetto di simbolo familiare al pensiero platonico, porta la teologia scolastica a concentrare l’attenzione sulla trasformazione che avviene nel pane e nel vino: la realtà di tale metamorfosi è definita come cambiamento della sostanza o TRANSUSTANZIAZIONE (riferimento alla filosofia aristotelica, sostanza come unione di forma e materia). In seguito, la Riforma protestante contesta la comprensione dell’eucaristia come sacrificio in nome dell’unica vera immolazione compiuta da Cristo. Sulla presenza di Gesù nel pane e nel vino, le opinioni variano da chi, pur rifiutando il concetto di transustanziazione, riconosce la presenza effettiva (Lutero) a chi ne dà un’interpretazione puramente simbolica (Zwingli). In riferimento a ciò, il Concilio di Trento conferma la presenza reale ed effettiva di Cristo sotto i simboli del pane e del vino, ma non canonizza il concetto di transustanziazione definito dalla chiesa cattolica. La nozione di realismo della presenza di Cristo potrebbe essere intesa come corpo, ma rende anche vaporosa e indefinita la sostanza (concetto metafisico), è un tentativo di spiegare la realtà che cambia attraverso la celebrazione di un sacramento. Le dimensioni del sacramento dell’eucaristia sono: il convìto, il simbolo fondamentale del sacramento dell’eucaristia è la comunione di mensa, il mangiare insieme di una comunità raccolta (succede ancora oggi al raggiungimento di un traguardo importante); il rendimento di grazie, nel mangiare e nel bere gli esseri umani sperimentano la loro dipendenza dal mondo, le cose che possiamo fare sono sorrette dalla dimensione molto concreta di un mondo che con i suoi doni ci permette di vivere. Anche al centro della celebrazione eucaristica sta la grande preghiera di ringraziamento: il motivo di ciò è il dono del pane e del vino e di tutta la creazione, ma anche quanto Dio ha compiuto nella storia del suo popolo; la memoria, il rendimento di grazie si trasforma in un racconto che fa anamnesi dell'ultima cena di Gesù e nella memoria l'evento ricordato si rende presente alla comunità che celebra l’eucaristia (la memoria diventa un elemento critico e di importanza profonda in quanto ci permette di ricordare la diversità di una situazione precedente). Altri simboli esplicitati attraverso la celebrazione di questo sacramento sono: la venuta di Cristo, che rappresenta il carattere personale della presggza del Signore in mezzo alla comunità, in una pluralità di forme e specialmente nelle azioni liturgiche in cui è manifestato attraverso la lettura delle Scritture; la trasformazione del pane, del vino e della comunità: nella celebrazione eucaristica essi divengono infatti corpo e sangue del Signore e l'assemblea dei fedeli è a sua volta trasformata in “corpo di Cristo”; l’invocazione dello Spirito Santo, tutto ciò che avviene nell’eucaristia è mediato dalla presenza dello Spirito invocato nell’epiclesi. La relazione tra epiclesi e anamnesi è equivalente alla natura del sacramento, che non è un gesto magico o un semplice modo per stare insieme, ma rappresenta l’essenza di una comunità che si raccoglie per fare memoria del Signore, non potendo tuttavia produrne la presenza o la trasformazione. La presenza dello Spirito rende quindi possibile la realizzazione concreta del significato dei gesti compiuti dalla comunità e delle parole delle Scritture (vi è l'invocazione piena di fiducia dei fedeli nei confronti dello Spirito Santo). Sia nell’eredità della cena pasquale che nella celebrazione eucaristica, la chiesa celebra la presenza del Signore in quel luogo unita ad uno sguardo verso il futuro compimento del Regno di Dio. L’anticipazione di questo avvenimento riveste una dimensione diversa rispetto a quella quotidiana: la celebrazione eucaristica risulta infatti essere, per il fedele che vi si accosta, un'esperienza positiva di riconciliazione, un momento di pace rispetto alla frenesia e alla conflittualità della quotidianità (pace come vero significato della vita). Un'ultima dimensione di questo sacramento è rivestita dalla celebrazione della chiesa, formata da tutti i credenti del mondo che condividono una fede, ma allo stesso tempo con una forte identità locale, di una comunità nella quale è presente la chiesa “una, santa, cattolica e apostolica” (Lumen Gentium). Un sacramento in crisi per diverse ragioni: 1. Difficoltà a riconoscersi peccatori 2. Difficoltà ad accettare la mediazione del perdono da parte della chiesa. Perché è necessario rivolgersi alla chiesa per ottenere il perdono di Dio? Nel Nuovo Testamento l’appello alla conversione, ad abbandonare il peccato per rivolgersi a Dio, occupa una posizione centrale. Il sacramento della penitenza non riguarda però tutti gli aspetti della conversione, ma si riferisce alla situazione del battezzato che con il suo peccato si trova in contraddizione con la sua vocazione battesimale. Nella storia della chiesa la riconciliazione del peccatore ha assunto due forme fondamentali: 1. Penitenza pubblica nella chiesa antica 2. Confessione privata che si afferma tra il VI e l'VIII secolo e perdura fino ad oggi. Nell'antichità la penitenza prevedeva i seguenti momenti: 1. Il peccatore è allontanato dalla comunità e non può partecipare alla celebrazione eucaristica (scomunica) 2. Quando si ravvede, si rivolge al vescovo il quale gli impone opere penitenziali da compiere per un periodo determinato, durante il quale rimane escluso dall’eucarestia; egli appartiene all'ordine dei penitenti e come i catecumeni possono partecipare solo alla liturgia della parola. 3. Al termine del periodo di penitenza, il vescovo gli concede il perdono e lo riammette alla vita della comunità cristiana (riconciliazione). La penitenza pubblica della chiesa antica entra in crisi, oltre che per la sua severità, anche perché è possibile accedere ad essa una volta sola nella vita. Si afferma così il costume di avvalersi di questa possibilità nel momento in cui si avvicina la morte. - L'evoluzione del modo di celebrare la penitenza giunge a compimento con il Concilio Lateranense IV che nel 1215 prescrive la confessione annuale a tutti i fedeli. — La riflessione della teologia scolastica precisa la struttura del sacramento della penitenza. Essa vede due elementi: 1. Gli atti del penitente: contrizione, confessione e soddisfazione 16 2. L'azione della chiesa che attraverso il suo ministro pronuncia l'assoluzione. La questione fondamentale per la teologia scolastica, come per la riflessione teologica in generale, è di mantenere l'equilibrio tra il lato personale e il lato ecclesiale del sacramento della penitenza: senza conversione personale non c'è infatti perdono dei peccati; al tempo stesso, la chiesa non si limita a constatare la conversione del penitente, ma gli dona efficacemente il perdono di Dio. Tommaso d'Aquino offre la risposta classica a tale questione, adattando alla penitenza lo schema materia - forma: “gli atti del penitente sono da ritenere la quasi-materia del sacramento, mentre l'assoluzione del ministro ne è la forma”. — La Riforma protestante, coerentemente con l’accento posto sul peccato, riconosce la centralità della dimensione penitenziale nella vita cristiana. Al tempo stesso rivolge una severa critica ad elementi della dottrina e della pratica medievale della penitenza quali: 1. carattere obbligatorio 2. enumerazione dettagliata dei peccati 3. interpretazione giuridica dell’azione della chiesa. Sul piano della dottrina, il sacramento della penitenza perde la sua autonomia ed è compreso come attualizzazione del battesimo e ritorno alla sua grazia. Il Concilio di Trento ribadisce che la penitenza è sacramento istituito da Cristo ed è distinta dal battesimo. -— Il sacramento della penitenza è un elemento centrale nella pastorale della chiesa tridentina: 1. strumento per la disciplina dei costumi 2. nella vita spirituale la penitenza diviene strumento di perfezione e mezzo di introspezione. La penitenza è il sacramento della conversione e del perdono per il battezzato peccatore e deve perciò essere distinto dal sacramento del battesimo, nel quale giunge a termine la conversione di chi non è ancora cristiano e con il battesimo diviene membro della chiesa. Chi compie l'ingresso nella chiesa con il battesimo è chiamato a vivere nella santità e il peccato compromette anche la verità più profonda dell'appartenenza alla chiesa. Tale condizione contraddittoria deve essere anzitutto resa visibile e consapevole (nella chiesa antica ciò avveniva mediante la scomunica). Il sacramento della penitenza è la via attraverso la quale il peccatore recupera la comunione con Dio e la piena verità della propria appartenenza alla chiesa; quindi riconciliazione con Dio, il prossimo e con se stesso. Unzione degli infermi o estrema unzione? I due modi di designare il sacramento indicano due diverse accentuazioni che nel corso dei secoli esso ha ricevuto. 1.Il fine primario della unzione degli infermi è il conforto e il sollievo del cristiano malato. 2.Il sacramento può anche aiutare il cristiano ad affrontare la morte. L’unzione rimette i peccati, quando non è possibile celebrare il sacramento della penitenza. Tutti i credenti hanno ricevuto un dono dello Spirito, che li rende capaci di un servizio alla comunità. Emergono però gradualmente anche ministeri più stabili, che esercitano una responsabilità complessiva per la vita della comunità. A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune: - Linguaggio della sapienza o della scienza - Fede - Far guarigioni - Varietà e interpretazione delle lingue. Una situazione nuova si affaccia nella chiesa delle origini quando scompare la generazione degli apostoli e viene così meno l’autorità dei testimoni oculari della vita di Gesù e della sua risurrezione. La testimonianza degli apostoli si fissa in modo immutabile negli scritti del Nuovo Testamento, mentre l'aspetto personale del loro ministero continua nell'opera di coloro che la chiesa sceglie per il ministero. Il gesto dell'imposizione delle mani deriva dall'ambiente giudai@6,