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Sintesi del testo Stigma di Erving Goffman
Art: Mitschriften
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Goffman - Stigma -
Stigma e identità sociale
La parola greca STIGMA indica il segno inciso nella carne con il fuoco che segnava (un po’ come oggi si fa con le vacche) chi era un criminale, un lebbroso, un traditore, uno schiavo. Insomma un paria. Nel cristianesimo il significato si duplica e oltre a quello negativo è quello che oggi viene chiamato stimmata , un segno miracoloso e chi lo riceve vuol dire che è addirittura un raccomandato di dio. La stimmata è il segno corporeo della Grazia.
Chi stabilisce quali sono le caratteristiche che definiscono la normalità, le qualità che uno deve avere per rientrare nella categoria dell’ordinario? Beh, la risposta più ovvia è: la società. E in effetti è così, ma con questo non si è detto ancora nulla. “Dove” nella società sono depositate le convenzioni implicite? Chi o cosa le crea o le modifica? Chi o cosa le diffonde e le rafforza? Oppure le cancella, le rende “invisibili”? Inoltre ci sono di nuovo differenti livelli, da quello macrosociale (tema della sociologia vera e propria) fino al livello delle relazioni di gruppo e interpersonali (anche nelle relazioni di coppia).
Le consuetudini sociali determinano le nostre aspettative verso chi noi quotidianamente incontriamo, ovvero tendono ad eliminare il senso di incertezza di fronte all’estraneo facendo sì che noi sappiamo già , almeno in parte, con chi abbiamo a che fare. Dalle caratteristiche esterne noi categorizziamo subito chi abbiamo di fronte.
Le nostre sono dunque richieste. Goffman: identità sociale virtuale (la nostra aspettativa di normalità) e identità sociale attualizzata.
Lo stigma non è mai qualcosa di più, è sempre qualcosa di meno (quello alto 210 differisce dalla normalità tanto quanto quello alto 130, però il primo viene rispettato, viene chiamato gigante e magari gioca a pallacanestro, il secondo è un nanerottolo): un limitazione, una mancanza. Vi è una discrepanza tra l’identità sociale virtuale e l’identità sociale attualizzata. (una questione interessante è: vi è una sorta di continuo tra la normalità e la “anormalità” o comunque l’”estraneità” oppure si tratta di un accumularsi di segnali incongruenti che di scatto ci fanno passare dalla prima alla seconda categoria: non vi è mai capitato di osservare qualcuno, presupponendolo normale, poi accorgervi che c’è “qualcosa che non va”. A quel punto, all’improvviso, un po’ come quelle figure che si possono vedere in due modi diversi (es.) ma non insieme e non qualcosa di intermedio, beh all’improvviso vedete questa persona con occhi diversi e con occhi diversi reinterpretate anche le sue azioni del passato)
Esistono diverse forme di discrepanza : relative alla situazione e “in sè”
Es. del titolo universitario oppure del difetto fisico al militare (raccontale divertende: i tre giorni, la gente che ingigantisce i propri difetti fisici (dialogo: eh, io c’ho dei problemi alla schiena, ecc.), come la vista, poi la sera escono con una ragazza e ovviamente mica si mettono gli occhiali, si mettono le lenti a contatto). O del ladro che si vergogna da morire quando va in biblioteca
Secondo Goffman però non tutti gli attributi diventano stigmata solo in relazione ad una situazione, ci sono attributi che purtroppo, per la loro vistosità o negatività, sono sempre (per il solo fatto di averli) degli stigmata.
Distinzione tra l’elemento “screditato” (stigma noto e immediatamente riconosciuto) e lo “screditabile” (non noto e apparentemente non riconoscibile subito).
Goffman individua tre tipi diversi di stigma:
“Per definizione crediamo naturalmente che la persona con uno stigma non sia proprio umana” (p. 5) Con questo “pratichiamo diverse discriminazioni, grazie alle quali gli riduciamo, con molta efficacia anche se spesso incosciamente, le possibilità di vita” (id)
imbecille: senza bastone idiota: l’unico, il singolare
Contemporaneamente attribuiamo qualità “sovranaturali” ed eccezionali (per compensare, ma in realtà non fa che acutizzare lo stigma) quali il “sesto senso”, la “bontà”, ecc.
Es. di Goffman: gridare ad un cieco come se fosse sordo, oppure sollevarlo come se fosse paralitico, ecc.
La reazione difensiva dello stigmatizzato la percepiamo come una diretta espressione della sua minorazione
[inoltre: i brutti sono anche cattivi]
IMP: i membri di una categoria sociale fondano criteri di giudizio che essi ritengono non debbano applicarsi anche a loro direttamente. Es. i bianchi non sono veramente “bianchi”, sono senza colore, non hanno una specificazione cromatica. Tant’è che si dice all’opposto “coloured”, come se il bianco non fosse un colore. Il termine “etnico” è applicato solo selettivamente “ethnic albanian, ethnic serb” ecc., ma avete mai sentito parlare di “ethnic english” o di “ethnic protestant”? In generale: non solo non vi è l’applicazione su di sè di una determinata qualità (tipo bianco, nero, verde), ma non viene applicata nemmeno la categoria di questa qualità (il colore). Ovvero si è esenti dal giudizio su questo punto, si gode del privilegio dell’indifferenza di attribuzione. Che è un modo per dire si ha maggiore libertà.
Concetto di “ accettazione ”: è la caratteristica principale della persona stigmatizzata. Essere “accettati” significa già avere uno stigma che gli altri “accettano” Lo stigmatizzato cerca di correggersi: il suo stato è quindi oggetto di autobiasimo. Vittimizzazione.
Quando persone “normali” vengono a trovarsi in presenza fisica di uno stigmatizzato (un down, un malato di mente, un menomato fisico, forse un extracomunitario), e sorpattutto quando inizia una interazione di tipo VERBALE, allora viene a crearsi una delle situazioni più interessanti e problematiche della sociologia e della psicologia sociale Entrambi subiscono gli effetti dello stigma, in modi diversi. Lo stimgatizzato vive presso una cosiddetta “frontiera socio-psicologica” (mentre il normale vive “all’interno” del territorio delimitato da questa frontiera). Lo stigmatizzato può percepire la nostra insicurezza riguardo a come lo identifichiamo e lo accogliamo [v. teoria dei giochi]. Questa insicurezza aumenta, diventa instabile, paradossalmente se lo stigmatizzato ha un “quasi- stigma”: il mulatto dalla pelle quasi chiara, l’adolescente (adulto o ragazzino?), l’immigrato della seconda generazione, la donna che lavora in un ambiente prevalentemente maschile. La reazione del normale rispecchia questa instabilità: è immediato il passaggio dall’accettazione tollerante, quasi amichevole, al ribrezzo e al disagio. Da buoni e disponibili si diventa cattivi. Magari si piange per la morte di Raissa Gorb. o per un film commovente, ma poi reagiamo con disgusto all’immigrato che vuole qualcosa da noi.
[Storia di Austin...: i peggiori sono quelli che si sforzano di “non vedere” il fatto che sono un nero. Interessante anche la questione dei Nigeriani e dei “livelli” di identificazione: in Nigeria, nella capitale, conta il fatto che un nero è della tribù Ibo oppure dell’altra tribù, mentre in Inghilterra un nero di questo tipo viene considerato semplicemente un Nigeriano, mentre negli Usa la stessa persona è semplicemente un “Africano” (distinto dagli “African-American”) e invece in Asia è semplicemente un “nero”....ogni livello di astrazione porta ad un de- identificazione che però non costituisce un miglioramento della posizione sociale di questa persona.]
Dalla parte del normale la discriminazione avviene anche per mezzo della esagerazioni per le piccole qualità positive o per il fatto che viene sottolineata l’ovvietà : “Anche i negri sono esseri umani”, diceva una campagna antirazzista tedesca negli anni ’50. Questa è la tipica affermazione (anche se detta inconsapevolmente) dove viene manifestato un presupposto “culturale” che è quello per cui i “neri” non sono necessariamente legati ad un concetto di umanità standard. Allora ci ricolleghiamo al tema degli stereotipi, dove vi è la concezione (semplificante) che un aumento di “astrazione” nella definizione di un soggetto comporta sempre una “liberazione” di questo soggetto dell’atteggiamento stereotipizzato. Questo esempio mostra invece che una progressiva astrazione significa solo “de-individualizzazione” del soggetto (le persone che ragionano in termini di Ibo o dell’altra tribù o che pensano a quella persona come “Nigeriano” tenderanno ad attribuire a questa persona caratteristiche meno arbitrarie. Parlare di “nero” o di “Africano” significa allargare il raggio delle possibili attribuzioni di qualità, e in genere la tendenza è quella di attingere ad un più ampio ambito di caratteristiche negative.
IMP: Come gli stigmatizzati (anche se sono “guariti”, come nel caso delle malattie mentali) tendono ad essere a disagio nel loro comportamento in quanto le anomalie verrebbero attribuite immediatamente al loro difetto. Per uno con un QI basso, se si trova in difficoltà per un compito, si penserà che ciò è dovuto appunto al suo