Scarica appunti di diritto ecclesiastico e più Appunti in PDF di Diritto Ecclesiastico solo su Docsity! DIRITTO ECCLESIASTICO 2020-2021 Lezione iniziale: 29 settembre 2020 La laicità dello Stato e delle altre pubbliche istituzioni come principio supremo dell'ordinamento costituzionale; artt. 3, 19, 8, 20 e 7 Cost. I Principi generali del Diritto Ecclesiastico Quali sono le fonti del diritto ecclesiastico italiano? (Indicazione di studio); Costruiremo il diritto ecclesiastico italiano sulla Costituzione e su alcuni articoli della carta costituzionale: ci sono degli articoli della nostra costituzione repubblicana, sono fondamentali e devono essere imparati nel loro significato fondamentale, e fanno da fondamento al diritto ecclesiastico italiano: (quali sono?) 1. Prima di tutto l’articolo 19 Costituzione : è un presidio della libertà religiosa, “tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualunque forma, individuale o associata, di farne la propaganda e di esercitarne il culto in pubblico o in privato salvo i riti contrari al buon costume”. (non necessariamente a memoria ma contenutisticamente è da conoscere). 2. Articolo 8 Costituzione “tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze”. 3. Articolo 7 Costituzione “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuna nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale”. È un articolo che dà i principi generali della disciplina dei rapporti tra lo Stato italiano e una particolare confessione religiosa che è la Chiesa Cattolica. 4. Articolo 20 Costituzione “il carattere ecclesiastico e il fine religioso o di culto di un’associazione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività”. 5. Articolo 3 Costituzione 1 comma: è il risultato di lotte secolari, è un punto di arrivo rispetto ad altre organizzazioni statuali nelle quali a partire da una religione o da un’altra poteva determinare effetti giuridici immediati sul godimento dei diritti civili e politici. L’immediato e antecedente della nostra carta costituzionale che entrò in vigore il 1° gennaio del 1948, era lo Statuto Albertino concesso dal Re Carlo Alberto nel 1848, l’articolo 1 diceva che la religione cattolica e apostolica romana è l’unica religione ufficiale dello Stato, gli altri culti sono ammessi in conformità alla legge. “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale (non ci sono nobili ad esempio) e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso (oggi nel 2020 significa senza distinzione di orientamento sessuale), di razza (la carta costituzionale è stata costruita l’indomani della Seconda guerra mondiale, ed è stata costruita all’indomani delle leggi razziali adottate dal fascismo contro gli ebrei. Oggi c’è un ampio dibattito non solo in Italia, ma anche a livello europeo sull’uso del termine razza, le fonti normative si chiedono è giusto utilizzare questo termine? Questo utilizzo sarebbe giustificato da un punto di vista di una motivazione storica, si usa il termine razza perché nel passato è stato utilizzato di fatto per provvedimenti sfavorevoli nei confronti di persone che avevano un aspetto, provenienza o un’appartenenza famigliare diversa: indicazioni bibliografiche Andrea Ambrosi, articolo giuridico “uso del termine razza nelle fonti normative”; anche in Francia c’è un’ampia discussione, nel quale si domandano è bene conservare il termine razza nelle fonti normative oppure no?), di lingua, di religione (questo termine trova un corrispettivo nell’articolo 8 Costituzione dove si parla di confessioni religiose e nell’articolo 19 Costituzione, dove si parla di libertà religiosa), di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali (espressione della nostra civiltà e concorre a configurare il diritto ecclesiastico italiano come legislazione di libertà, cd. Legislatio libertatis, e di eguaglianza). Art 3 comma 2: è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. L’antecedente storico dell’articolo 3 che proclama la pari dignità sociale e l’eguaglianza sono quegli Stati confessionisti nei quali appartenere alla religione ufficiale o appartenere ad altre confessioni religiose determinava un trattamento giuridico e un’incidenza negativa sul godimento di diritti civili e politici. Al giorno di oggi, e soprattutto nei paesi occidentali, è abbastanza difficile che possano esserci delle conseguenze giuridiche negative ed ufficiali, formali. Le limitazioni della libertà di culto in alcuni paesi occidentali passano attraverso discriminazioni fattuali. In Italia l’articolo 19 della Costituzione dice di esercitare il culto in pubblico o in privato, significa avere il diritto reale, effettivo di aprire edifici di culto (come si chiamano?) -> per noi Chiese, per gli ebrei Sinagoghe, per i testimoni di Geova si chiamano Sale del regno, per gli islamici si chiamano Moschee. In Italia la Corte Costituzionale ha annullato, dichiarando l’incostituzionalità, una legge regionale della Lombardia che incide direttamente sull’apertura dei luoghi di culto, ed era apertamente contro la costruzione di moschee. La Corte Costituzionale l’ha abrogata, e malgrado ciò che dice solennemente l’articolo 3 Costituzione (le restrizioni e la violazione del principio dell’eguaglianza sostanziale e non formale) il cammino è lungo e il fatto che la corte costituzionale ha dovuto abrogare per incostituzionalità una legge di una regione importante come la Lombardia, dimostra che gli articoli 3 e 19 della Costituzione sono presidi di libertà, e la proclamazione formale di una determinata eguaglianza o della pari dignità sociale non necessariamente vanno di pari passo con la realizzazione effettiva del motivo per cui il legislatore costituente era stato lungimirante proclamando il 1 comma e il 2 comma (in materia di libertà religiosa la Repubblica come si impegna a rimuovere gli ostacoli? Ad esempio, controlla le leggi e la materia urbanistica che è di competenza regionale, perché le regioni possono, limitare il diritto della libertà di culto). Fase storica del diritto ecclesiastico; Nelle prossime lezioni dovremo affrontare la definizione di religione, di confessione, religiosa, di fede religiosa affrontarle, ma da quale punto di vista? Dal punto di vista della definizione giuridica. Il corso di diritto ecclesiastico è un corso di diritto, non è un corso di sociologia. Le religioni, le confessioni religiose e i culti e le fedi religiose possono esser viste da molteplici punti di vista, come dalla storia della religione, dal punto di vista della sociologia della religione, o dell’antropofagia o della filosofia. Quando ci si trova giuridicamente di fronte ad una confessione religiosa? La cassazione e la Corte costituzionale hanno dato alcuni indici. Non verranno chiesti i 139 articoli della Costituzione, ma con particolare attenzione agli articoli 3 primo comma e 19 della Costituzione, articolo 8 e 20 Costituzione. Esempio la costruzione degli edifici di culto per la possibilità, da parte degli islamici di esercitare il proprio culto: il problema della costruzione delle moschee, la realizzazione dei presupposti del perché le moschee possono essere costruite; il fatto che non debbano essere posti degli impedimenti ragionevoli. La rimozione nella sostanza, sempre però nell’ambito di una distinzione: sostanza fondamentale del principio di laicità dello stato e delle altre pubbliche istituzioni, “come ha detto la Corte costituzionale, la laicità comporta: la distinzione tra l’ordine delle questioni civili e l’ordine delle questioni religiose”: nel gergo dei giuristi ecclesiastici si usa l’espressione più breve: principio della distinzione tra gli ordini (cosa significa?) -> comporta che i precetti civili non possono essere muniti di sanzioni confessionali; i precetti di natura confessionale non possono essere muniti di sanzioni civili = questo è il nucleo fondamentale del principio supremo di laicità. Esempio: violazione del principio di distinzione tra gli ordini (no separazione): esempio tipico dell’ancien regime, nell’Impero austriaco asburgico, il precetto domenicale, cioè l’obbligo di “udire le messe la domenica e nelle altre feste comandate”-> era sanzionato civilmente, per cui il precetto pasquale era condizione per l’esercizio di determinati diritti, i parroci dovevano rilasciare il certificato dell’adempimento del precetto pasquale, il fatto che si fosse o meno adempiuto questo precetto influiva ad esempio sulla capacità di assumere delle cariche pubbliche (tipica disposizione della violazione del principio di separazione tra gli ordini). Sul principio di laicità dello stato e delle altre pubbliche amministrazioni, la Corte costituzionale ha operato delle distinzioni, nel definirlo, soprattutto: ● Sent. 203/1989: ha configurato quattro obblighi discendenti dal principio supremo di laicità, dicendo che riguardano i pubblici poteri, non sono obblighi che riguardano il privato. La laicità è un principio supremo pubblico, nessun soggetto privato, nessun ente di diritto privato in linea di massima ha l’obbligo di essere laico, anzi ad esempio l’ente di diritto privato ha la libertà di essere laico e di non esserlo. Stiamo parlando di obblighi che riguardano i pubblici poteri e sono quattro che derivano dal principio supremo di laicità: 1. l’obbligo di pubblici poteri di salvaguardare la libertà di religione in regime di pluralismo confessionale e culturale: per nessun motivo il pubblico potere può impedire l’esercizio della libertà confessionale, per quanto fastidio possa dare la confessione, per quanto estranea una determinata confessione religiosa si dica “estranea” alle nostre tradizioni: non è costituzionale se è detto da un pubblico potere, può essere detto anche da un privato. Pluralismo anche valoriale. 2. l’obbligo di assumere il cd. atteggiamento di equidistanza e di imparzialità nei confronti di tutte le confessioni religiose da parte dei pubblici poteri, salva una possibilità di regolare bilateralmente e in modo differenziato nella loro specificità i rapporti dello Stato o con la Chiesa cattolica o con le confessioni religiose diverse dalla cattolica. La possibilità da parte del pubblico potere, specialmente da parte dello Stato, di regolare bilateralmente in modo differenziato nella loro specificità i rapporti dello Stato o con la Chiesa Cattolica o con le Confessioni religiose diverse dalla cattolica la troviamo nella Carta costituzionale: Articolo 8: che prevede la possibilità delle intese dello Stato con le confessioni religiose diverse dalla religione cattolica Articolo 7: che prevede la possibilità di una regolamentazione bilaterale specifica con la Chiesa Cattolica attraverso lo strumento dei Concordati. La possibilità di una regolamentazione bilaterale prevista dalla Costituzione per garantire una determinata specificità. Una delle prime intese stipulate, a parte il Concordato con la Chiesa Cattolica, il Trattato del Laterano che è tutt’ora in vigore in forza dell’articolo 7 della Costituzione, risale al 1929 l’assetto concordatario attuale, lo strumento con la Chiesa Cattolica che risale all’accordo del 1984 con modificazione al Concordato del Laterano: una delle prime intese che lo Stato ha stipulato e poi ha approvato con legge ex articolo 8, prima intese con l’Unione delle comunità israelitiche in Italia. Quali sono le specificità? Per esempio le specificità relative alla liceità della circoncisione rituale, significa circoncisione fatta in un certo modo con determinate ritualità, perché la circoncisione fatta in ospedale al momento della nascita non pone gli stessi problemi; specificità che riguardano il riposo sabbatico, il fatto che alcune procedure concorsuali non possono essere svolte di sabato; La garanzia nell’ambito pubblico di alcune esigenze di tipo alimentari, nelle mense ad esempio. Il principio supremo di laicità dello Stato non impedisce la possibilità di una regolamentazione specifica, ma questa regolamentazione deve essere di tipo bilaterale, non può essere di tipo unilaterale. Le intese delle confessioni religiose diverse dalla cattolica possono essere un potente strumento per il liberamento del principio di libertà religiosa: deve essere sottoscritta tra il presidente del Consiglio dei ministri e il legale rappresentante della confessione religiosa, e poi approvata dal Parlamento. È scandaloso che in Italia la congregazione dei testimoni di Geova si trovi ad avere due intese sottoscritte mai approvate dal Parlamento da anni -> le intese sono sottoscritte con i testimoni di Geova ma non sono mai state approvate dal Parlamento (disdicevole per il docente). Alla luce della posizione storica dei testimoni di Geova (lui non lo è) sono una delle categorie finite nei campi di concentramento dei nazisti: ebrei, zingari, testimoni di Geova e gli omosessuali (le minoranze perseguitate). È negativo agli occhi del docente il fatto che i testimoni di Geova italiani abbiano da anni stipulato un’intesa che non è mai stata approvata in Parlamento. Sono la seconda confessione religiosa in Italia, dopo i cattolici. Inoltre, c’è mancanza di un’intesa con l’Islam italiano, ne parleremo quando affronteremo l’articolo 8 della Costituzione. (Anticipazione) Con i rapporti con l’Islam il problema visto come pretesto è il problema relativo alla rappresentanza: cioè si dice “chi rappresenta tutti gli islamici italiani?” Visto che l’articolo 8 della Costituzione dice “che i rapporti con lo stato e le confessioni religiose diverse dalla cattolica possono essere regolati attraverso un’intesa con le relative rappresentanze”: il problema centrale con i rapporti islamici italiani è il problema relativo all’identificazione della rappresentanza effettiva. Equidistanza e imparzialità come secondo obbligo che deriva dal principio di laicità, salvo la possibilità di una regolamentazione specifica di tipo bilaterale, no unilaterale, quindi non può esserci una legge unilaterale dello Stato che regola i rapporti dello Stato con gli islamici italiani, una legge del genere sarebbe incostituzionale. 3) obbligo di fornire pari protezione alla coscienza di ciascuna persona che si riconosca in una fede quale che sia la confessione di appartenenza: è un punto qualificante del principio di libertà religiosa cioè l’applicazione di un avveramento del principio di libertà religiosa che storicamente si invera nel principio di libertà di coscienza. Non è un dato scontato da un punto di vista storico (raccomanda lo studio di un grandissimo ecclesiasticista italiano morto agli inizi degli anni ’30 il Senatore del Regno, laico, liberale Francesco Ruffini scrive l’opera fondamentale sulla storia sull’idea della libertà religiosa, dove dice che “la tutela della libertà di coscienza è approdo dell’affermarsi del principio di libertà religiosa”, questo non significa che ogni obiezione di coscienza sia tutelata; l’obiezione di coscienza trova una sua realizzazione perfetta nel riconoscimento da parte della legge, perché non può tradursi in una singola coscienza, non può tradursi nella violazioni delle libertà altrui, se una legge dello Stato garantisce a determinate condizioni l’interruzione della gravidanza alla donna, la tutela della coscienza del singolo medico è commisurata alla disciplina della legge generale. L’obiezione di coscienza citando l’articolo 1 della Costituzione “nei limiti e nelle forme stabiliti dalla Costituzione”, dato che la libertà della singola coscienza non può tradursi nella violazione dei diritti degli altri. Il divorzio è stato introdotto nel 1970, viene sancito da un giudice dello Stato con una sentenza, ci sono dei giudici che si rifiutano di sottoscrivere la sentenza, perché il divorzio è contro la mia coscienza: la legge non prevedeva l’obiezione di coscienza da parte dei giudici, e si aprirono dei procedimenti penali a carico di questi giudici per denegata sentenza o per omissioni di atti di ufficio: più recentemente abbiamo avuto altre proposte di questo tipo di posizioni così integriste, come quando entrò in vigore la cod. Legge Cirinnà, unioni civili, unioni tra lo stesso sesso e unioni di fatto ci fu qualche sindaco che si rifiutò: la libertà di coscienza del singolo viene tutelata fino al limite in cui non viene a violare l’esercizio dei diritti altrui e in modo particolare i diritti costituzionalmente garantiti). 4) obbligo dei pubblici poteri dal principio supremo di laicità dello Stato, sulla base del nostro sistema dei valori costituzionali repubblicani e anche dei valori delle carte europee dello Stato moderno democratico deve realizzarsi una perfetta distinzione tra l’ordine civile e l’ordine religioso, distinzione tra gli ordini, questo è il quarto obbligo fondamentale del principio di laicità, significa che nessun precetto religioso deve essere tutelato civilmente e nessun precetto civile deve essere tutelato religiosamente nella legge dello Stato. Nel sistema del pluralismo dei valori una determinata confessione religiosa può trovare disdicevole l’interruzione volontaria di gravidanza, è legittimo che una confessione religiosa dica ai suoi aderenti di non abortire in nessun caso, ma pretendere di imporre il valore assoluto con legge dello Stato significherebbe violare la distinzione tra gli ordini. DIRITTO ECCLESIASTICO 2020-2021 Lezione: 6 ottobre 2020 - l’Impero Romano pagano: tolleranza generale; - religione e "superstitio"; - il c.d. editto di Milano (Costantino) (313); - l'editto di Tessalonica (380): la nascita dell'ortodossia di Stato; - il Cesaropapismo La lezione precedente può considerarsi una lezione introduttiva dove il docente ha posto l’accento su un principio fondamentale del diritto ecclesiastico italiano, cioè il principio di laicità dello Stato e delle altre pubbliche istituzioni: ricordare e sottolineare il fatto che il principio è un principio supremo dell’ordinamento costituzionale, non è solo un principio costituzionale e fondamentale della Costituzione, ma un principio supremo dell’ordinamento costituzionale, cioè un principio che fa parte della Costituzione formale al pari del principio di sovranità del popolo, del principio repubblicano (“l’Italia è una Repubblica” e non una Monarchia), al pari del principio di eguaglianza. Bisogna sottolineare il fatto che la laicità non è nominata nei 139 articoli della Carta Costituzionale, ma la laicità è frutto di una identificazione da parte della Corte Costituzionale, estremi di alcune sentenze: quindi un principio dell’ordinamento costituzionale identificato in sede di alta giurisprudenza, cioè la Corte Costituzionale; si estrinseca in alcuni doveri da parte dello Stato e delle altre pubbliche istituzioni e nello stesso tempo si parla di identificare le fonti normative del principio di laicità: articolo 19 Costituzione; articolo 20 Costituzione; articolo 8 Costituzione; articolo 3 principio di uguaglianza formale e sostanziale Costituzione; articolo 7 Costituzione: regola i rapporti con la Chiesa Cattolica e ha un contenuto generale nell’ambito del diritto ecclesiastico, quale è questo contenuto? Il contenuto della necessaria distinzione tra gli ordini, come dice la Corte Costituzionale, distinzione tra l’ordine religioso o confessionale e l’ordine civile: secondo il principio aureo “nessun precetto religioso deve essere sanzionato civilmente in senso lato e neanche penalmente; e nessun precetto civile deve essere Roma c’è un edificio grandioso che è il simbolo di questa mentalità non esclusivista che è il Pantheon, è dedicato a tutti gli Dei. Il romano ha anche un’altra concezione di rapporto con le divinità diverse dalle proprie, ci possono essere divinità che provengono dall’estero che sono forti, a volte anche più forti delle nostre divinità patrie. I romani pagani come frutto del rifiuto dell’esclusivismo religioso in linea tendenziale sono tolleranti, non significa che accettino tutto, la teoria della romanità pagana si impernia sulla distinzione tra religio e superstitio: per i romani la superstizione è un concetto tecnico, è una delle accuse fatte ai cristiani di essere non professanti di una religione, ma professanti di una superstizione, la superstitio è una religione per eccesso. Tutte le accuse fatte dagli scrittori pagani nei confronti dei cristiani sono delle accuse strettamente correlate al fatto che i cristiani sono esclusivisti. Famosa lettera che scrive Plinio il giovane all’Imperatore Traiano: Plinio è governatore in una provincia lontana da Roma, dove sta tre anni dal 111 al 113. Si trova di fronte a dei gruppi di cristiani, in una comunità del II secolo ed il cristianesimo si sta diluendo nell’impero Romano a macchia d’olio: Plinio interroga Traiano, su che cosa deve fare nei confronti dei cristiani, nell’ambito di questa lettera di Plinio il giovane troviamo l’espressione superstizione che dice: “sospeso il processo (sta processando dei cristiani) ricorda il tuo consiglio (sento da te cosa devo fare) mi sembra che la cosa ne sia degna soprattutto per il gran numero degli accusati (cristiani), perché molti di ogni età e sesso sono o saranno processati, il contagio di tale superstizione ha invaso non solo le città, ma anche i villaggi e i campi”. Traiano risponde “hai agito giustamente nell’esaminare le cause di coloro che ti furono denunciati come cristiani”. Plinio fece una valutazione caso per caso nei confronti dei cristiani, tende a vedere e ad accertare se i cristiani accettano di essere aperti anche al culto delle divinità pagane: il famoso principio chiede al cristiano non di rinunciare al proprio Dio, perché il romano è tollerante in linea generale, ma si chiede al cristiano di ammettere il culto ad esempio del genio dell’imperatore a fronte delle divinità pagane: non si chiede da parte dei romani pagani al cristiano di rinunciare al proprio Dio, ma gli si chiede di ammettere anche gli altri Dei ed in modo particolare gli Dei patri. La cosa diventerà sempre più pesante man mano che crescerà il culto dell’Imperatore, perché il culto imperiale si interseca strettamente con la struttura politica imperiale. In questa fase è importante il principio secondo il quale l’Impero Romano pagano in linea generale non è esclusivista perché è una religione politeista, ammettere un’altra divinità non era un problema. I cristiani come gli ebrei/giudei sono monoteisti (= status giuridico dei giudei, cioè gli abitanti della regione della Giudea sotto l’Impero Romano, veniva chiamata Palestina, che ha come capitale Gerusalemme. Gesù era Galileo di provenienza perché era di Nazareth, Galilea si trovava nella provincia settentrionale, nel racconto evangelico Gesù muore a Gerusalemme, nel 70 i romani con l’esercito di Tito distruggeranno Gerusalemme soprattutto il Tempio). Paragrafo 3: il c.d. editto di Milano (Costantino) (313) La figura di Costantino imperatore che nasce pagano, figura complessa e difficile da decifrare politicamente e religiosamente, si converte al cristianesimo, ma si fa battezzare cristiano sul letto di morte. È famoso per il celeberrimo Editto di Costantino del 313, quello che comunemente viene chiamato Editto di Milano, da tener conto che non è un provvedimento che fissa il cristianesimo come religione di stato, al contrario è un editto di tolleranza, Costantino unitamente a Licinio. Editto di Milano chiamato così, perché Costantino da Costantinopoli era andato a Milano per le nozze della sorella, lettura di un passo, pagina 30, nell’Editto di Milano del 313 Costantino e Licinio rimangono all’interno della grande concezione pagana, una concezione di tolleranza nei confronti delle divinità e una convenzione per la quale si va in cerca della divinità più forte, con la quale è necessario mantenere un rapporto di Pax deorum, la pace degli dei, stare in pace con tutte le divinità, in modo tale che le divinità siano a noi favorevoli, il favore delle divinità determina, ad esempio le vittorie militari, sono frutto e sintomo del fatto che noi abbiamo la benevolenza degli dei, e porta salute fisica, prosperità. Tra le varie accuse che vengono fatte ai cristiani in epoca precostantiniana c’è quella di non turbare la Pax deorum, il cristiano che si rifiuta di bruciare il granello di incenso alle divinità pagane provoca l’irritazione degli dei, e poi è fonte di castigo per tutti, e venivano così accusati di essere causa dei terremoti, delle pestilenze, oggi sappiamo come avvengono ma una volta si pensava che fosse un Dio adirato con gli uomini. In questo editto ritroviamo ancora riecheggiata questa concezione e dobbiamo preservare la Pax deorum, la libertà per tutte le religioni in modo tale “divinità che liberamente veneriamo, in tutto possa accordarci il suo consueto favore e benevolenza”: si ha testimonianza del fatto che Costantino nella sua storia personale incline verso il monoteismo, in un primo tempo non nel monoteismo cristiano, ma ad esempio nel monoteismo del culto solare. Da ricordare che il cd. Editto di Costantino è del 313, inizio del IV secolo, editto di tolleranza e di libertà religiosa per tutte le religioni e dunque anche per i cristiani. Paragrafo 4: l’editto di Tessalonica (380): la nascita dell'ortodossia di Stato Quando invece arriva la decisione fondamentale di proclamare il cristianesimo come un’unica religione dello stato? (fatele per la storia dell’occidente) arriva alla fine del IV secolo, l’Editto di Milano avrà vita breve dal 313 al 380 d.C., perché nel 380 che cosa interviene? Interviene l’Editto di Tessalonica, chiamato anche Editto di Teodosio. Si avrà in questo editto una decisione fatale, si sentiranno i suoi effetti nel bacino del mediterraneo, nei territori dell’Impero Romano d’Occidente e poi d’Oriente per secoli. In questo editto viene proclamata una ortodossia di Stato: il cristianesimo come ortodossia di Stato, cioè come unica religione dello Stato. Come era mutata la mentalità dall’epoca dell’Impero Romano pagano e di Roma in fase repubblicana, si aveva un politeismo tendenzialmente tollerante, e qui il monoteismo che si manifesta in modo esclusivista, c’è un unico Dio vero. Nel Codice Teodosiano alla prima pagina, si trova la professione di fede, Professio Fidae, sarebbe inimmaginabile oggi una costituzione che si apre con una professione di fede, però questo codice si apriva così, perché quella è l’ortodossia di Stato, le altre religioni sono tutte false, superstizioni. Torna il concetto di superstizione, ma concepita in modo diverso da come la concepivano i romani in epoca pagana la religione per eccesso: ora le superstizioni sono le religioni che divergono dall’ortodossia di Stato. L’ortodossia di Stato comporta la creazione di alcune figure giuridiche di coloro che dissentono dall’ortodossia di Stato, prima di tutto la figura giuridica dell’eretico, nasce lo scismatico, sono figure giuridiche peculiari, l’apostata è il cristiano battezzato che aderisce ad un’altra religione, nel Codice teodosiano, Libro XVI descrive le sanzioni penali nei confronti degli eretici, degli scismatici, e degli apostati, tutti coloro che dissentono dall’ortodossia di Stato e si apre con l’Editto di Tessalonica, Costantino aveva cominciato ad elargire, man mano che si avvicinava al cristianesimo, privilegi per la chiesa cattolica, per i cristiani ortodossi. Nel 380 abbiamo il trionfo dell’ortodossia di Stato, l’adesione o la mancata adesione incide direttamente sullo status giuridico dell’individuo e sull’esercizio di quelli che noi oggi chiamiamo diritti civili: è un passaggio che poi nella storia dell’occidente diventerà foriero con delle disposizioni terribili inaccettabili agli occhi del docente (anche le mie), disposizioni persecutorie per motivi religiosi, per motivi di intolleranza religiosa, i dissenzienti vengono puniti, nel Libro XVI Teodosiano le pene che venivano stabilite per gli eretici impenitenti sono delle pene terribili, verrà applicata per l’apostata anche la pena di morte: su questa base nel medioevo si costruirà tutto l’armamentario dell’inquisizione, dove l’accusa di bestemmia e di blasfemia nei confronti della divinità comporta la pena di morte, perché si utilizza un ragionamento tipico dei regimi inteleresti e braivi di libertà religiosa. La divinità è la cosa che abbiamo di più grande, ergo l’offesa alla divinità è la cosa più grave che un individuo possa commettere, e poiché è la cosa più grande che un individuo possa commettere deve essere sanzionata con la pena più grande, ed è la pena capitale, ovvero la pena di morte. Questo tipo di mentalità nell’occidente europeo sarà definitivamente spazzata via solo con il crollo dell’Ancien Regime, e in modo particolare con Napoleone. Quanto si dice per la blasfemia vale anche per l’apostasia, se l’individuo è tramite il battesimo all’interno della Chiesa vale per la sua salvezza, nel momento in cui rinuncia alla vera Chiesa, debba essere punito per un delitto considerato gravissimo. Con l’Editto di Teodosio del 380 l’ortodossia cattolica è religione ufficiale dell’Impero, con un aspetto ulteriore, unica religione dello Stato non ce ne sono altre, e se ci sono all’interno dello stato, se ci sono dei sudditi che fanno una scelta diversa difforme rispetto all’ortodossia di stato, eretici, apostati e scismatici, questi sono non solo cattivi fedeli ma sono anche dei cattivi sudditi, perché l’unità della religione ufficiale garantisce l’unità della compagine statale: la religione diventa strumento di ordine pubblico. Nel 476 viene deposto l’ultimo imperatore romano d’occidente, le insegne imperiali vengono inviate a Costantinopoli e a Roma rimane l’autorità papale, nei rapporti dei due ordini, ovvero quello politico e religioso: quando l’ordine politico diventa debole, l’ordine religioso tende a sopraffare, tende cioè ad arrogarsi anche i poteri temporali e non solo quelli spirituali. Tra l’VIII e il IX secolo verrà creato il falso storico della donazione di Costantino, in cui si dirà che Costantino prima di morire concede patrimoni e poteri al Papa dell’epoca, ad esempio assume insegne imperiali, tra cui la porpora, il colore ufficiale del Papa, il colore bianco è successivo: il rosso porpora del Papa deriva dalla porpora imperiale, la veste ufficiale dell’imperatore era la porpora, molti imperatori nascono all’interno della stanza cd. Stanza porfirogenita, lastricata di porfido rosso, nell’Impero Romano pagano era il marmo esclusivo dell’imperatore, miniere di porfido rosso erano in Egitto. Quando cessa l’Impero Romano d’occidente la stanza romana verrà smantellata e i pannelli di marmo vengono imbarcati e ricostruita a Costantinopoli, sono i simboli del potere. Con la definizione di una religione unica e ufficiale dell’impero, si apre un problema che contenderà le storie dell’Occidente fino a Napoleone, ed è il problema tra i due poteri, perché se esiste una religione unica e ufficiale dello Stato è chiaro che gli esponenti di questa religione acquisiscono una funzione nuova, ed ufficiale, e nell’occidente alla fine del V secolo mancando l’imperatore, il problema del rapporto tra la potestà spirituale e la potestà temporale si porrà soprattutto in relazione ai poteri del Romano pontefice. L’Impero Romano d’Occidente e d’oriente in ordine al rapporto tra le due potestà iniziano a seguire delle vie diverse, per motivi storici contingenti ben precisi. A Roma non c’è l’imperatore e il papa tende ad assumere funzioni di tipo temporale. Paragrafo 5: il Cesaropapismo Nell’impero cd. bizantino a Costantinopoli invece, c’è un modo di atteggiarsi nel rapporto tra le due potestà che è parzialmente diverso dal punto di vista dei rapporti tra lo Stato e la religione, la sistematica storiografica, assume la categoria del Cesaropapismo. Il cesaropapismo è tipicamente bizantino: in questo sistema l’imperatore romano d’oriente è Rex, ma anche sacerdote, tutto questo inizia con Costantino. Nella pubblicistica iniziale dell’epoca Costantino verrà proclamato come tredicesimo apostolo, e Vescovo: dietro tutto questo rientra l’idea nel quale Costantino non è soltanto titolare della potestà imperiale, temporale ma è titolare anche di una potestà intra ecclesiastica. Il sistema dei rapporti tra Stato e chiesa è stato variamente denominato questo sistema: il Cesaropapismo può essere definito come un sistema, è una categoria storiografica tarda risalente al 1700, è un sistema dei rapporti tra la potestà temporale e spirituale nella quale si attua l’unione del potere civile con il potere ecclesiastico: è un sistema di unione e nella figura dell’imperatore si attua l’unione tra la potestà temporale e la potestà spirituale. La serie dei concili ecumenici, il primo fu del 325 celebrato a Nicea: vi è convocato dall’imperatore da Costantino, il quale non era neppure battezzato. Tutti concili celebrati in oriente del primo millennio (Nicea, Costantinopoli, Efeso), vengono convocati dall’imperatore di Costantinopoli: il concilio ecumenico convocato dall’imperatore significa che è un consiglio al quale devono partecipare tutti i vescovi anche quelli della Gallia o Spagna, Italiani, il Papa manda un suo delegato talvolta. Come mai l’imperatore si sente legittimato e viene accettato da questa legittimazione da parte della cristianità? Evidentemente nella figura dell’imperatore si attua una forma di unione tra le due potestà. Il Cesaropapismo cessa nell’impero Occidentale alla fine del V secolo quando cessa l’Impero Romano d’occidente nel 476, ma rimane a Bisanzio fino alla metà del 1400 quando Bisanzio verrà conquistata dall’impero ottomano nel 1453. Tuttavia, il Cesaropapismo trova un suo rigurgito nell’Occidente con Carlo Magno, quando verrà incoronato nella notte di Natale dell’800 imperatore del sacro romano impero incomincerà ad atteggiarsi nei confronti delle cose religiose, ad esempio nei confronti della nomina dei Vescovi, in forme nuove. Esponente storico più illustre del cesaropapismo bizantino, è Giustiniano, il quale legifera direttamente in materia religiosa e non solo in materia disciplinare come la nomina dei Vescovi, dimissioni ecc, statuisce anche in materia dogmatica: impone le sue idee di tipo cristologiche o e la moglie Teodora. DIRITTO ECCLESIASTICO 2020-2021 l’istituzione canonica, cioè di dare i poteri spirituali. L’essenza della lotta per l’investitura, che vedrà cimentarsi Gregorio VII, sta nel fatto che l’imperatore pretende non solo l’investitura feudale, ma pretende di effettuare anche l’istituzione canonica. Contro questo sistema, ed è questo il fulcro della cd. lotta all’investiture, l’istituzione canonica cioè il conferimento dei poteri spirituali da parte dell’imperatore reagirà Gregorio VII: era un monaco nato a Ildebrando di Soana, non era un prete del Clero secolare, ma era un monaco ed evidentemente a metà dell’XI secolo era influenzato dalla concezione monastica degli uffici, ad esempio per il celibato. Il motivo principale di contrapposizione tra Gregorio VII e l’Imperatore è dato effettivamente dalla volontà del romano pontefice di separare nettamente il conferimento dei poteri spirituali da parete del romano pontefice e l’investitura feudale: non è un problema della designazione della persona, ma era scontato che fosse l’imperatore esempio i patriarchi di Aquileia fino a che non fossero conquistati dalla repubblica Veneta a metà del ‘400, il patriarca che risiede a Udine rimarrà semplicemente un vescovo territoriale con particolari onori, giurisdizioni di tipo ecclesiastico, ma è scontato che sia l’autorità temporale che designa la persona, ma è il potere e lo scontro sui poteri riguarda soprattutto l’istituzione canonica, il conferimento dei poteri religiosi. La lotta per le investiture è una lotta che sostanzialmente riguarda la separazione tra le due potestà: l’investitura feudale da parte dell’imperatore e l’istituzione canonica, cioè il conferimento dei poteri religiosi da parte del romano pontefice. Tutto questo ha delle conseguenze importanti anche all’interno dell’ordinamento canonico perché progressivamente fa consolidare l’idea secondo la quale esiste, cosa sconosciuta nell’ordinamento canonico durante il primo millennio, il romano pontefice avrebbe il diritto nativo di interloquire sulla nomina di tutti i vescovi cattolici: principio che invece gli viene espressamente affermato nel codice di diritto canonico del 1983 così come era affermato nel codice del 1917. Paragrafo 3: Concordato di Worms La lotta per le investiture tra il pontefice e l’imperatore del sacro romano impero, si chiude con un accordo che si chiama Concordato di Worms del 1122, si fissa il principio tendenziale e non assoluto, secondo cui nel caso del feudo ecclesiastico i poteri spirituali sono dati direttamente o indirettamente dal romano pontefice, i poteri temporali, l’investitura temporale viene data dall’imperatore. Nell’ambito del Corpus Iuris Canonici ci sono le raccolte ufficiali dei Decretali di Gregorio IX, il Liber Extra del 1234, cinque libri: Iudex, Iudicium, Cleros, Connubiam, Crimen, nel Cleros troviamo il titolo de Feudis Ecclesisticis la regolamentazione del feudo ecclesiastico e nell’alta Italia quasi tutti i vescovili territoriali sono feudatari imperiali, come il Vescovo di Padova, storicamente sono titolari di titoli nobiliari, è Conte di Piove di Sacco; il Vescovo di Treviso è Duca di Asolo: i titoli nobiliari ecclesiastici di derivazione feudale vengono aboliti nel secolo scorso dal pontefice Pio XII, nella loro carta intestata accanto ai simboli ecclesiastici avevano anche riconosciuto i loro titoli nobiliari di derivazione nobiliare. Dopo questo concordato dobbiamo interrogarci su come si svolgono successivamente i rapporti tra queste due potestà universali che si chiamano Papato e Impero, che il rapporto più o meno conflittuale tra Papato e Impero si svolge all’interno di quell’unica realtà unitaria che è data dalla cristianità medievale, il quale non si identifica neppure giuridicamente con la Chiesa, la cristianità medievale è una realtà temporale spirituale che realizza un’esperienza unica nella storia, e di compenetrazione tra poteri spirituali e temporali: la Cristianità in quanto soggetto storico, è un fenomeno storico (sempre con la maiuscola), storicamente non si deve confondere il concetto di Cristianità con il concetto di Chiesa cattolica, quest’ultima è una parte della Cristianità come realizzazione storica, perché nella Cristianità accanto alla Chiesa c’è l’Impero. Nel concetto di Cristianità troviamo confusi i due poteri e la potestà sia spirituale sia quella temporale, da questo tipo di contaminazione si può derivare un modo per leggere il conflitto tra i due poteri. Paragrafo 4: Innocenzo III (1198-1216): la potestas directa in temporalibus in forza della "ratio peccati" Abbiamo da un lato il romano pontefice che pretende di esercitare le potestà temporali. Il pontefice che rappresenterà in maniera inarrivabile da un punto di vista mondano lo splendore temporale del papato sarà Innocenzo III, è colui che celebra uno dei massimi Concili Medievali, il Concilio della Cristianità lateranense IV poco prima di morire. All’inizio nei primi quindici anni del Duecento, a pochi anni da Gregorio IX che promulgherà il Liber Extra 1234: quindi da un lato abbiamo il papato romano che pretende di esercitare le potestà temporali e dall’altro il Sacro romano impero che pretende di esercitare potestà spirituali. Le potestà spirituali, oggi diciamo di ingerirsi nelle questioni spirituali, ma dal punto di vista della cancelleria imperiale dell’epoca? Non c’era nessuna ingerenza, perché come era sacra la persona del romano pontefice, così dal punto di vista della cancelleria imperiale era sacra la persona dell’imperatore. In termini giuridici: perché è sacra la persona dell’imperatore del Sacro romano Impero? Perché la potestà che esercita l’Imperatore, secondo questa concezione, gli viene concessa direttamente da Dio: c’è un grande sostenitore di questa teorica: la potestà imperiale e temporale concessa direttamente da Dio e non dai preti, il grande sostenitore fu Dante Alighieri: 1265-1321: l’anno prossimo centenario della morte. Le pretese reciproche di un romano pontefice intende essere titolare della potestà temporale e di un imperatore che sostenendo di derivare i suoi poteri direttamente dalla Divinità e non attraverso la mediazione di preti conduce al grande scontro tra papato e impero. Il Pontefice Innocenzo III, rappresenta il più grande esempio di successo mondano del pontificato romano all’interno della cristianità medievale, stiamo parlando del 1200, questo periodo storico si apre con Innocenzo III: cioè lo splendore massimo di queste pretese temporalistiche del papato romano a livello europeo, ma questo stesso periodo si chiuderà con il fallimento totale di queste pretese, da chi sarà rappresentato il fallimento? Sarà rappresentato da Bonifacio VIII, che l’immenso Dante Alighieri nella Divina Commedia mette all’inferno. Quali sono le prostese di Innocenzo III? Quale è il fondamento per il quale il romano pontefice pretende di esercitare direttamente o indirettamente una potestà temporale? Quale è la motivazione sulla base della quale la cancelleria papale nella quale Innocenzo III pretende di essere il giudice del cielo e della terra? La motivazione è quella che tecnicamente verrà definita potestas directa in temporalibus (= sulle cose del mondo), è una pretesa papale, il fondamento per ragionare in termini di potestas directa in temporalibus viene espressa con la locuzione medievale, il romano pontefice Innocenzo III, e poi alla fine del secolo Bonifacio VIII con scarsissimo successo pretende di essere titolare della potestas directa in temporalibus, continua ad utilizzare questa formula perché si dava per scontato che un romano pontefice fosse titolare della potestas directa in spirituali bus, nessuno disconosce questa funzione che il romano pontefice eserciti la sua giurisdizione sulle cose spirituali; mentre la contestazione imperiale invece avviene, la contestazione de parte dei re, degli Stati nazionali che si stanno formando specialmente il Re di Francia, la contestazione riguarda la pretesa papale di esercitare una potestà diretta sulle cose di questo secolo: sapete quale è il fondamento sulla base del quale il papato romano pretende di esercitare la potestà diretta? Il fondamento si esprime nella formuletta “ratio peccati”, con l’ablativo “ratione peccati”: cosa significa? Questa formula viene utilizzata nei documenti papali in questa epoca, si potrebbe tradurre in questo modo è la motivazione della possibile peccaminosità di un determinato atto, tradizionalmente la presa di Innocenzo III, esamino quattro documenti e si trovano riprodotti nel Corpus Iuris Canonici, nelle Decretali di Gregorio IX: 1. Decretale di Innocenzo III per Venerabilem fratrem del 1202, che finirà nelle Decretali di Gregorio IX: accade che un feudatario della Francia meridionale, Guglielmo di Montpellier, ha dei figli nati naturali fuori dal matrimonio, chiamati figli illegittimi. Questi figli erano nati da una seconda moglie illegittima, perché il primo matrimonio era ancora valido canonicamente, allora Guglielmo si rivolge ad Innocenzo III e gli chiede la legittimazione: un Papa che tramite la concessione o la negazione della legittimazione dei due figli interferisce direttamente sulla successione, se il Papa legittima i due figli i due figli possono succedere a Guglielmo; se il papa non li legittima i due figli non possono succedere in quanto “bastardi”, non è cosa da poco riconoscere ad un Pontefice romano di intervenire direttamente sulla successione al trono o alla linea della titolarità feudale. Il romano Pontefice non concede la dispensa per la legittimazione, la conseguenza è che i figli non legittimati dalla dispensa papale, non possono succedere al padre. 2. Secondo documento di Innocenzo III del 1204, Decretale Novit Ille: è una disputa feudale, ci sono delle ostilità, dove il romano pontefice si ingerisce direttamente in una disputa feudale perché c’è una prolungata ostilità militare tra Filippo Re di Francia e Giovanni Senza Terra Re d’Inghilterra, durano per anni a causa di alcune controversie feudali. Giovanni Senza Terra si rivolge per protestare al Papa romano Innocenzo III, il Papa desidera porre fine a questa guerra per motivi di controversie feudali perché questi due Re formalmente cristiani e cattolici si fanno guerra tra loro, non possono partecipare alla Crociata al cd. “Infedele” per liberare la Terra Santa, la IV crociata del 1204, importante anche perché i cristiani veneziani passeranno a Costantinopoli e faranno il “sacco di Costantinopoli” cristiani contro cristiani (cattolici romani contro cristiani orientali). Il Papa cerca di imporre la sua giurisdizione nella controversia contro i due Re con la decretale Novit Ille, finisce nel Liber extra di Gregorio IX, nel Corpus Iuris Canonici, in questo documento si ha la proclamazione da parte di Innocenzo III di quella dottrina che rimarrà celeberrima: “il Papa come tale non ha un’autorità diretta sulle dispute feudali, però la sua vera e propria potestà diretta, non può essere messa in discussione quando è in gioco la morale cristiana, ecco la dottrina della “ratio peccati”, potestas directa sulle cose temporali in capo al romano pontefice, razione peccati”. Nella pratica della Cristianità medievale nella sostanza, tutti gli atti politici, ma anche tutti gli atti privati coinvolgono la morale, ad esempio un contratto che viene sanzionato con un giuramento tipo quello dell’epoca medievale sanzionare o confermare un contratto con un giuramento, ma è tipico anche dei trattati internazionali, i trattati tra monarchi vengono sanzionati con un giuramento, oggi è un atto giuridico secolarizzato, però per l’uomo medievale il giuramento è un atto sommamente sacro perché con il giuramento si cita conferma la vidimità, su questo punto anche in relazione agli atti privati, come gli atti di compravendita come gli atti notarili, i giudici ecclesiastici medievali e preti pretendono di avere una competenza giurisdizionale: perciò dicono che se nel contratto di compravendita c’è il giuramento, l’invocazione della divinità il giudizio su quel contratto passerà dalla competenza del tribunale temporale alla competenza del tribunale ecclesiastico, ecco la ratio peccati, questo vale anche per i trattati internazionali: contratti e trattati tramite il giuramento chiamano in causa la divinità, quando viene richiamata in causa entra in scena la potestà spirituale, vale a dire la potestà papale e non solamente, e non per quanto riguarda l’esistenza dell’atto, ma anche per quanto riguarda la sua interpretazione e la sua esecuzione, perché l’infedeltà nei confronti di un contratto o di un trattato che abbiano invocato il nome della divinità, questa infedeltà diventa un delitto canonico spergiuro quindi è di competenza del romano pontefice darne il giudizio, razione peccati. La ratio peccati come fondamento teorico alla pretesa della potestas directa in temporalibus da parte del romano pontefice. 3. Decreto Venerabilem fratrem, marzo 1202; 3. Lettera Sicut universitaria conditor; Innocenzo III muore nel 1216, la contestazione alla pretesa della potestas directa in temporalibus da parte del romano pontefice e da parte della cancelleria imperiale, e dalle cancellerie rege dei regni nazionali, da parte soprattutto del regno di Francia diventeranno più forti e tenderanno a circoscrivere la potestà pontificia in spirituali bus. E il successo mondano del pontificato di Innocenzo III nello stesso XIII secolo si trasformerà in un fallimento totale con Bonifacio VIII. La gerarchia ecclesiastica non è di diritto divino, vi ricordate cosa diceva dell‘Unam Sanctam Bonifacio VIII? Che ci sono due spade del diritto divino e queste due spade, quella spirituale e quella temporale, sono tutte e due di diritto divino e tutte e due nelle mani del Pontefice, questo per volontà divina. Allora i Monarchici invece dicono che la gerarchia ecclesiastica non è di diritto divino ma è di creazione umana, ergo: dipende dall’autorità imperiale. Poi ancora i Monarchici sostengono una tesi: il primato del romano Pontefice, espresso in termini di plenitudo potestatis, è una creazione di diritto umano stabilita soltanto per motivi di convenienza. I Monarchici dicono che il Papa incoronò Carlo Magno, la notte del Natale dell’800, come mandatario del popolo romano. Il Papa e la curia romana non hanno nessuna potestà coercitiva, perché questa spetta esclusivamente all’imperatore. Vi ho citato i tratti essenziali della elaborazione di un autore grandioso: Marsiglio da Padova, il defensor pacis. La contestazione alle pretese della potestà pontificia nei rapporti con la potestà civile (potestas plena directa temporalibus), questa contestazione doveva fatalmente estendersi anche nel campo spirituale. Qui abbiamo vari movimenti considerati dal papato romano come movimenti ereticali tra i quali gli spirituali, i quali dicono che la ricchezza e la potestà temporale della chiesa è contraria ai principi evangelici. Naturalmente è chiaro che nel momento in cui questi movimenti divenuti ereticali devono prendere posizione tra il sostenere la cancelleria imperiale e il sostenere le pretese papali, saranno partigiani dell’autorità imperiale e pertanto saranno condannati dal romano pontefice come eretici, con tutte le conseguenze del caso possibili all’epoca. Dobbiamo dire che il terreno più favorevole per l’opposizione alle pretese di onnipotenza papale, viene preparato durante un evento storico ben preciso: il grande scisma d’occidente, che è un periodo tra la fine del ‘300, i papi tornano da Avignone, e l’inizio del ‘400, che dura esattamente 37 anni (1378-1417), nel quale il papato romano si spacca. Con la conseguenza che coesistono, durante questi 37 anni, due papi in contemporanea e poi tre papi. Il che significa: 3 obbedienze, 3 collegi cardinalizi, 3 corpi episcopali diversi di obbedienza diversa. Voi capite bene che nel momento in cui la cristianità medievale si rompe e si fronteggiano tre obbedienze papali diverse, sorge un problema fondamentale: di trovare un’istanza superiore che dica chi è il “Papa vero “. L’organo che dice “il Papa vero è questo “ha già emesso un giudizio, quindi ha subordinato evidentemente il Papa ad un giudizio superiore. Per l’epoca di cui noi stiamo parlando, in relazione alla problematica di 3 obbedienze diverse, storicamente si manifestano 2 tendenze: 1. Una prima tendenza palesemente di tipo democratico, che vuole sostituire nell’ambito della chiesa romana una forma di governo rappresentativo: la potestà suprema non risiede nel pontefice ma risiede nel concilio. All’epoca si parlava di potestà del concilio, ad un certo punto si arriva a dire che il concilio rappresenta la chiesa universale. Quindi non solamente una tendenza di tipo democratico ma anche una tendenza di tipo rappresentativo. 2. Una seconda tendenza, che comunque depotenzia l’autorità del papato romano, è di tipo aristocratico e si esprime nella ascesa di un organo collegiale che è posto accanto al pontefice e che si chiama collegio dei cardinali. In questo periodo è il collegio dei cardinali che pretende di giudicare ad esempio della genuinità dell’elezione del romano pontefice. Chi ha fatto diritto canonico ricorderà quali siano le norme attuali sul collegio dei cardinali: è completamento subordinato alla potestà pontificia e devono avere dei requisiti (deve essere ordinato almeno prete ecc). È una reminiscenza storica del periodo in cui il collegio dei cardinali pretendeva di avere una forma di giudizio sulle qualità di coloro che il romano pontefice voleva creare cardinale. Oppure le pretese del collegio cardinali arrivano fino al punto di voler imporre delle nomine al romano pontefice. Una delle maggiori pretese, storicamente avveratasi più volte, è l’imposizione da parte del collegio dei cardinali, in fase di conclave, cioè in fase di elezione, l’imposizione delle capitolazioni elettorali. (“noi ti eleggiamo Papa però tu sai che una volta eletto devi fare questo e questo e questo.”). Delle volte sono anche delle capitolazioni partigiane: un gruppo di cardinali che detiene la maggioranza dei voti dice “guarda che noi ti diamo il pacchetto dei nostri voti però tu una volta eletto Papa devi per esempio fare me cardinale segretario di stato”. Sono le cosiddette capitolazioni elettorali. Pio II verrà eletto sulla base di una capitolazione e i cardinali per accordarsi su questa capitolazione e per non farsi vedere si erano riuniti in una fogna di Roma. Il grande scisma d’occidente finisce nel 1417 con il concilio di Basilea-Costanza. Data fatidica in cui la cristianità si rompe in maniera fatidica: riforma protestante 12 ottobre 1492. Lutero era nato nel 1483, è una figura capitale nella storia dell’Europa, perché con la riforma protestante, accanto a Calvino e ZVINGLI. Però Lutero che muore nel 1546 è il fondatore. Con Lutero si rompe l’unità della cristianità medievale e giuridicamente nel cuore dell’Europa non c’è più un’unica chiesa cattolica-apostolica-romana. La riforma protestante ROMPE L’UNITA’ CONFESSIONALE DEGLI STATI, specialmente del centro Europa, in maniera particolare degli stati germanici e degli stati del nord Europa (ad es Svezia), tutti stati che erano fedeli al romano pontefice. Si parla naturalmente sul piano confessionale, sul piano politico i discorsi dovrebbero essere diversi. Con la riforma protestante si introduce in concetto di CONFESSIONE, tuttora citato all‘art 8 della costituzione repubblicana mentre l’art 19 parla di fede religiosa (tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa). invece l’art 8 parla di confessiones: esprimere un patrimonio di credenze diverse da quello ortodosso o ritenuto ortodosso. La diffusione negli stati germanici e del nord Europa della riforma protestante determina la creazione di una realtà nuova, la realtà degli stati protestanti e la realtà di un’Europa che non è più cristianità unitaria, nella quale accanto agli stati protestanti si pongono quelli cattolici e viceversa. La formazione di stati protestanti significa esattamente questo: che interi territori sfuggono completamente alla potestà papale e alle pretese uniformatrici della potestà papale. Inutile che io vi dica quanto abbia influenzato la diffusione della riforma protestante, l’adesione ad essa di moltissimi principi territoriali, specialmente in Germania, ma non solo. Nell’ Europa già unitaria, dal punto di vista della professione religiosa, un’unica religione, cattolicesimo romano, un’unica ortodossia, repressione con vere e proprie crociate di qualunque dissenso religioso, non solo le crociate esterne famigerate, ma anche le crociate, famigerate altrettanto, interne. Voglio ricordarvene una sola: “La crociata contro gli Albigesi, terribile”. A un’Europa con un'unica religione, la cristianità medievale come realtà unitaria, si sostituisce un’Europa dalle molte confessioni religiose. Il papato romano non accetta questa situazione però nello stesso tempo si pone un problema fondamentale che noi esprimiamo con un termine cruciale, cruciale nel sistema del diritto ecclesiastico e qual è questo termine? È il termine di tolleranza. Il problema della tolleranza, la molteplicità delle confessioni religiose sul medesimo territorio pone un problema di tolleranza. Il papato romano non accetta la tolleranza religiosa. Alla riforma protestante il papato romano, e gli stati che rimangono cattolici, contrappone una contro riforma, come dice la biografia, ed è chiaro che la controriforma, questo secolo sedicesimo, da che cosa è ben espressa? È espressa dal concilio di Trento (1545-1564 nella sostanza). Concilio di Trento, come crocevia storico di un’Europa che si è ormai frantumata. Il violento distacco dalla famiglia cattolico-romana della gran parte dei popoli dell’Europa settentrionale, (attenzione a questo passaggio che è un passaggio importantissimo per il corso di diritto ecclesiastico.) Il violento distacco fa sentire le sue conseguenze anche, inevitabile questo, sull’ esercizio dell’influenza moderatrice e della potestà del pontefice rispetto agli stati che si erano mantenuti cattolici, detto in modo volgare: “Il papa ha perso di credibilità e di potere, non solo come ovvio negli stati che hanno aderito alla riforma protestante, ma ha perso di credibilità e di potere anche all’ interno degli stati formalmente rimasti cattolici. Vi dico subito che noi abitiamo in una zona territoriale che è la repubblica di Venezia, zona territoriale subordinata alla sovranità di identità statuate come Venezia che è una repubblica aristocratica, la quale formalmente rimane ufficialmente cattolica, apostolica romana. Però nello stesso tempo noi abbiamo altri stati cattolici, nei quali i decreti del concilio di Trento non vengono recepiti integralmente; ecco la distinzione tra luoghi tridentini e luoghi non tridentini. È una distinzione importante per i codici dell’Europa moderna: i luoghi tridentini sono stati cattolici che recepiscono i decreti del concilio di Trento, i decreti di riforma del concilio di Trento i luoghi non tridentini sono quelli stati che formalmente rimangono cattolici apostolico-romani che però non recepiscono i decreti di Trento, oppure li recepiscono in un modo estremamente limitato. Dove vengono accettati senza restrizioni i decreti di Trento? In Italia sono accettati senza restrizioni, in Toscana da Cosimo, non invece nelle altre parti d’ Italia. Quello che oggi noi chiamiamo stato pontificio, gli stati pontifici, il patrimonio di San Pietro perché li è ovvio che il papato tendeva ad applicare in maniera piuttosto grave i decreti di Trento, però Venezia accetta i decreti di Trento con delle restrizioni tutte politiche, si accettano i decreti di Trento in relazione ai loro effetti religiosi, non ai loro effetti politici. Alla fine del 500 e all’ inizio del 600 noi avremo la grande controversia giurisdizionalista tra una repubblica di Venezia che è formalmente cattolica apostolica-romana aliena dal protestantesimo ma nello stesso tempo profondamente giurisdizionalista. Io sto alludendo alla grande controversia in cui, agli inizi del 600, la repubblica di Venezia sarà assistita legalmente, nientepopodimeno che, da Paolo Sarpi. Paolo Sarpi consultore in iure della repubblica, al quale io voglio rendere omaggio in questo momento. Correlativamente in Francia i decreti di Trento non vengono recepiti perché sono contrari alle libertà gallicane. Filippo II di Spagna li accetta ma ratificandoli, cioè Filippo II di Spagna dice: “Io faccio entrare in vigore i decreti di Trento in Spagna, però questi decreti entrano in vigore perché sono io che li ratifico con regio decreto. Questo che cosa comporta implicitamente? Che come il re di Spagna dice che entrano in vigore perché io li promulgo con regio decreto egualmente un domani ho anche il potere di processare il loro vigore, titolo di legittimazione diverso. Questo vale anche per Emanuele Filiberto e Venezia che permette la pubblicazione, dunque l’entrata in vigore dei decreti di Trento, ma non accetta quanto sia pregiudizievole alla potestà civile. Il sacro romano impero che continua ad essere identificato nella persona di un Asburgo, continua ad essere formalmente cattolico, apostolico romano, qui abbiamo la figura immensa di Carlo V. L’estesa di stati protestanti accanto a stati cattolici pone il problema della tolleranza religiosa. Allora nell’Europa rotta nella sua unità spirituale abbiamo l’inizio delle cosiddette paci religiose: termine tecnico-storiografico per indicare degli strumenti di pace dopo una guerra di religione. Il centro Europa in questo periodo è funestato dalle guerre di religione, noi oggi ci meravigliamo di fronte alcune espressioni di intolleranza religiosa come quella dell’ISIS, ma noi in Europa facciamo scuola da questo punto di vista. Evoco solo la Guerra dei trent’anni (1618-1648), il centro dell’Europa è caratterizzato da “fiumi di sangue” provocato dalle lotte religiose tra cattolici e protestanti che si scannano a vicenda. La guerra di trent’anni è importante perché si conclude con il grande trattato di Westfalia. Ma prima ancora vorrei ricordarvi i martiri della libertà religiosa della notte di S. Bartolomeo (24 agosto 1572, Parigi), quando gli Ugonotti di Francia si erano radunati a Parigi per la celebrazione delle nozze di Margherita di Valois, erano cattolici, con Enrico di Navarra, capo degli Ugonotti in quel momento. La regina vedova Caterina de Medici (italiana), la quale ha paura di un colpo di stato da parte degli Ugonotti, allora dice che “devono essere tagliate un po' di teste dei capi”. Ma la situazione sfugge di mano perché Parigi era una città cattolica fanatica, e tutt’oggi non sappiamo quante migliaia di Ugonotti siano stati trucidati il 24 agosto 1572 (la strage di S Bartolomeo). Uno dei capi, l’ammiraglio Coligny, che era l’amico di Enrico di Navarra, venne raggiunto in casa a Parigi e gli viene tagliata la testa in camera da letto, il corpo venne gettato fuori dalla finestra e venne trascinato per ore per tutta Parigi e infine gettato nella Senna. La testa verrà inviata come trofeo da Caterina de Medici al pontefice Gregorio XIII a Roma, il quale proclamerà festa nazionale. potere che il principe territoriale vuole esercitare: ius circa sacra, ovvero diritto circa le cose sacre; ius in sacris, il diritto dentro le cose sacre: questo che cosa comporta giuridicamente? Comporta l’inserimento dei funzionari Ecclesiastici protestanti (pastori) e dell’organizzazione delle comunità riformate nella compagine dello Stato, e anche nella attribuzione dei beni temporali (possedimenti fruttiferi, le immense campagne) tutti i beni che erano anteriormente appartenenti alle istituzioni cattoliche, la riforma protestante spazza via tanti monasteri ricchissimi ad esempio, riduce molte diocesi ricchissime. L’attribuzione dei beni di queste comunità al dominio del Principe, e nel principe protestante si trasferisce la facoltà anche di legiferare nella materia ecclesiastica. Il principio comunitario nella riforma protestante era fondamentale, antigerarchico, principio secondo il quale è la comunità titolare della potestà legislativa interna, non la gerarchia ecclesiastica. Come si concilia sul piano teorico il fatto che dal punto di vista religioso si affermi che la potestà legislativa spetta alla comunità ma che allo stesso tempo viene pretesa dal principe territoriale? Viene giustificata sul piano teorico sulla base di un consenso tacito: la comunità riformata tacitamente fa acquiescenza alla volontà del principe, sulla base di una presunzione, la presunzione che al principe siano trasferiti i poteri dei vescovi scomparsi. Ius circa sacra e ius in sacri, la cosa più importante è l’inserimento dei funzionari ecclesiastici nella struttura dello Stato e nella compagine ecclesiastica riformata nella struttura dello Stato. Abbiamo appena visto il territorialismo negli Stati protestanti. Domanda in sede d’esame: mi parli del giurisdizionalismo e dei suoi istituti. Il giusnaturalismo è per noi concettualmente importante, perché la trama, della Costituzione Repubblicana, di uno Stato moderno, democratico e rappresentativo, parlamentare, laico esclude l’esercizio del giurisdizionalismo: esso si impernia sull’esercizio di determinati penetranti e specifici, poteri giuridici nei confronti della giurisdizione ecclesiastica, da qui il termine giurisdizionalismo. Il giurisdizionalismo in negativo: affermazione iniziale dell’articolo 7 Costituzione “lo Stato e la Chiesa sono ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”, questa disposizione normativa è stata fatta oggetto, fu criticata dai costituzionalisti, è una disposizione testuale sulla quale non si può sempre rimanere perplessi, perché la concezione dell’Assemblea Costituente nella quale hanno proposto questa locuzione la Chiesta è stata guarda con la medesima “lente” dello Stato e della Sovranità territoriale. Si scorge una sorta di analogia tra Chiesa e Stato, è un’analogia inesistente per il fatto molto semplice che la Sovranità dello Stato è per definizione imprescindibile, sovranità territoriale. A tale proposito qualcuno ha parlato non di disposizione normativa, ma di affabulazione letteraria: ciò premesso ci torna utile la prima parte di questo articolo perché ci dice che questa indipendenza e questa sovranità di Stato e Chiesa è ciascuno nel proprio ordine, se dovessimo vedere in negativo il giurisdizionalismo diremmo che nell’esercizio da parte dello Stato la linea teorica non c’è il rispetto dell’ordine proprio. Ma come mai gli Stati cattolici, gli Stati che dopo Il Concilio di Trento proclamano il Cattolicesimo romano come ortodossia di Stato? Proprio questi Stati esercitano dei poteri penetranti nei confronti dell’organizzazione ecclesiastica: domanda complessa e politica e le motivazioni sono molteplici: in fondo lo Stato cattolico giurisdizionalista manifesta una forma di affermazione e una potestà che deriva direttamente da Dio, nell’incontro tra Papato e Impero, i seguaci di Dante i monarchisti, l’Imperatore è titolare di una potestà originaria, nel giurisdizionalismo probabilmente uno dei presupposti fondamentali è questo: che il monarca che professa il cattolicesimo e ritiene di essere anche titolare di alcune potestà nei confronti della Chiesa che non gli vengono concesse, ma che gli vengono date direttamente dalla divinità. Le forze centrifughe che avevano avuto modo di esplicarsi nei Paesi, specialmente in quei Paesi dove si era affermata la riforma protestante, queste forze furono neutralizzate nei Paesi che si erano conservati fedeli al cattolicesimo romano e all’autorità del Pontefice romano. Queste forze centrifughe connesse alla riforma protestante negli Stati cattolici erano state contrastate dal movimento di accentramento nell’organizzazione ecclesiastica derivante dallo sforzo del Concilio di Trento e tuttavia non va dimenticato che anche negli Stati che erano rimasti cattolici l’atteggiamento dei pubblici poteri, ad esempio la Repubblica di Venezia che formalmente rimane cattolica, che recepisce i decreti di Trento, ma che nello stesso tempo costituisce una Repubblica aristocratica, informata costituzionalmente come gli altri stati cattolici al principio dell’assolutismo regio, quest’ultimo fu influenzato da quello tenuto dagli Stati protestanti sotto forma di territorialismo, tanto è vero che l’assolutismo regio negli Stati cattolici si svolge in forme analoghe e persino parallele, in ordine all’organizzazione e alla disciplina ecclesiastica. Anche negli Stati cattolici, si manifesta la tendenza a formare, ovviamente non una forma di territorialismo che poteva essere assecondata e giustificata solo dai principi della riforma protestante, però la tendenza a formare nell’ambito dei paletti fondamentali del cattolicesimo romano le cd. Chiese Nazionali, si usa un termine tecnico storiografico: è espressione che si riferisce agli Stati rimasti cattolici, le Chiese nazionali sono quelle istituzioni viventi nell’ordinamento dello Stato. Ma dato che la Chiesa Nazionale vive sul territorio dello Stato essa è largamente soggetta allo Stato medesimo. Quale è l’esempio più importante, rilevante di uno stato rimasto formalmente cattolico, di una monarchia borbonica rimasta formalmente cattolica, ma nello stesso tempo definita in forma nazionale? Le due cose sembrano antitetiche e contrastanti, ma questa è la realtà storica, l’emblema è dato dall’Eglise de France, cioè la Chiesa di Francia, talvolta chiamata anche Chiesa Gallicana. Nella teorica posta a fondamento della Chiesa Gallicana, godeva fin dall’antico di alcune libertà: Ad esempio, Unam Sanctam, di Bonifacio VIII del 1302-1304, costituisce un’affermazione del Papa di essere titolare delle due spade, i Francesi cosa diranno, dato che lo scontro avvenne perlopiù con la Francia da parte di Bonifacio VIII, diranno che un altro papa ci dispensò dall’osservare l’Unam Sanctam. Il monarca in terra Gallicana, è cattolico apostolico romano, ma allo stesso tempo è titolare ab immemorabili, significa affermare potentemente l’esistenza di un diritto senza dimostrarne il titolo, “in Francia siamo titolari, di alcuni diritti nei confronti dell’organizzazione ecclesiastica”. Un autore della fine del ‘500, 1594 Pier Pithou, punta un trattatello sulle libertà della Chiesa Gallicana, dice che il Re per antico privilegio, non si sa quando, quindi ab immemorabili, ha il diritto di convocare i Concili nei propri Stati, avvenuto nel primo millennio con gli imperatori di Costantinopoli, di fare leggi ecclesiastiche e di fare regolamenti sulle materie ecclesiastiche. L’affermazione della Chiesa Gallicana va di pari passo con la teoria conciliarista, per la quale il Concilio universale è sopra il Papa, esempio lo scisma d’occidente che si chiude nel 1417. Tuttavia, c’è un altro documento ancor più importante che connoterà l’attitudine gallicana della Chiesa di Francia e della Monarchia Borbonica francese, un documento che viene pubblicato nel 1682 “Declaratio Cleri Gallicani”, cioè proclamazione del clero di Francia, testualmente dichiarazione del Clero gallicano: quattro proposizioni: 1. Che i poteri del Papa riguardano solo le materie spirituali: i papi medievali dicevano, Innocenzo III “ratione peccati”, è una presa di posizione antipapale, non esiste una potestas pontificia in temporalibus ne immediata ne mediata: significa dire che i re e i principi hanno la potestà piena in temporalibus e non c’è ratio peccati che tenga, quando i re, principi regolano le cose temporali sono subordinati solamente e immediatamente alla potestà divina e non alla potestà papale; 2. Debbono ritenersi intoccabili intangibili, le regole e le consuetudini recepite dal regno e dalla chiesa gallicani e che le decisioni del papa siano irriformabili, cioè che siano definitive. 3. Solo nelle questioni di fede; 4. Solo quando ci sia il consensus ecclesie, l’affermazione secondo cui il Concilio è superiore al Papa: il papa può dire qualcosa di definitivo giuridicamente nelle questioni di fede e secondo a condizione che ci sia una forma di consenso da parte della chiesa, il consenso poi verrà costruito o espressamente o implicitamente. Viene condannata dal Papa, questa dichiarazione influenzerà tutta l’Europa giurisdizionalista, dalla Francia passa ad esempio in scrittori giurisdizionalisti tedeschi e olandesi, e anche in Italia non mancheranno i sostenitori di questa forma di giurisdizionalismo di derivazione gallicana, ad esempio nel regno di Napoli ci sarà Giannone; di origine Toscana presso Ferdinando IV a Napoli Bernardo Tanucci, da cui il termine tanuccismo; eccetera: le attività pratiche e dottrinali che si riferiscono culturalmente al gallicanesimo raggiungono il loro apice nel ‘700, quando si forma a livello costituzionale e statuale una forma di Stato di polizia, e quest’ultimo riesce ad imporre la sovranità territoriale anche sugli ordinamenti ecclesiastici. Negli Stati cattolici tramite queste forme costituzionali la Chiesa diventa instrumentum regni, cioè strumento dell’esercizio del potere assoluto, è in questo senso che si può dire che il giurisdizionalismo informa nel ‘700 la politica di quasi tutti gli Stati di Europa rimasti aderenti al cattolicesimo romano. Anche nella Repubblica Veneta ci si trova di fronte ad un dato che sembra contraddittorio e ambivalente di fronte ad un dato, un dato per cui lo Stato è temporaneamente uno Stato ufficialmente cattolico, cioè dotato di un’unica religione ufficiale però nello stesso tempo è anche uno Stato assoluto. Questo dato ambivalente porta a chiedersi se sia coerente che da un lato lo Stato proclami un’unica religione ufficiale ma nello stesso tempo eserciti una forma di assolutismo che influisce direttamente sull’esercizio dei poteri ecclesiastici e sull’organizzazione ecclesiastica: aspetto ambivalente va tenuto presente quando analizzeremo gli istituti tipici del giurisdizionalismo, analizzare l’egemonia statuale dello Stato cattolico ma assoluto sulla Chiesa, l’egemonia statuale in riferimento a questo periodo non deve essere mai disgiunta dall’attività di difesa e protezione dalla chiesa stessa. Lo Stato assoluto e assolutista, ma specialmente cattolico è uno Stato ambivalente, cioè uno stato che da un lato esercita la potestà assoluta però nello stesso tempo difende e protegge la Chiesa e i suoi istituti. Questo lo si intravede nell’atteggiamento di due grandissimi monarchi del ‘700 in terra d’Austria, Maria Teresa d’Austria morta nel 1780, e Giuseppe II il figlio morto nel 1790, chiamati monarchi Illuminati, le cd monarchie illuminate: gli Asburgo erano cattolici rimasti fedeli al cattolicesimo romano, però nell’esercizio del potere nel XVIII gli Asburgo concepiscono la religione come uno dei mezzi principali per l’educazione del popolo, e contemporaneamente in questa concezione considerano i monarchi illuminati la Chiesa depositaria della verità dogmatiche, quindi la Chiesa deve essere considerata come un’istituzione di fondamentale interesse pubblico. Questa è un’introduzione generale al sistema del giurisdizionalismo nel quale si verifica l’esatto contrario di quello che sarà invece il separatismo, quest’ultimo vede la Chiesa come un ente privato tra gli altri almeno in linea di principio, è un’istituzione privata tra le altre, non è un’istituzione di interesse pubblico di cui lo Stato si debba interessare per finalità di protezione e di ingerenza. Nella lezione di domani ricostruiremo gli istituti tipici singoli del giurisdizionalismo e vedremo come si distinguono in due tipologie che corrispondono alle due caratteristiche fondamentali dello Stato cattolico giurisdizionalista: uno Stato nel quale si concreta l’esercizio della potestà regia assoluta, quindi uno Stato assoluto, ma nello stesso tempo uno Stato confessionista, cioè uno Stato che proclama un’unica ufficiale religione, il cattolicesimo romano. Gli istituti del giurisdizionalismo siano influenzati in maggior misura dall’uno. Principio o dall’altro, avremo istituti del giurisdizionalismo che tendono a tutelare il potere assoluto dello Stato a riconoscerlo e a farlo valere, dall’altro avremo degli istituti del giurisdizionalismo che invece tendono a esaltare la protezione che lo Stato cattolico fa nei confronti della religione ufficiale e delle sue persone e dei suoi istituti (istituti ecclesiastici). DIRITTO ECCLESIASTICO 2020-2021 Lezione: 21 ottobre 2020 Il Territorialismo negli Stati protestanti; Il Giurisdizionalismo negli Stati cattolici: lo Stato assoluto e confessionista; tradusse di fatto nell’esercizio di poteri e controlli su tutta la vita ecclesiastica cattolica dell’isola di Sicilia da parte dello Stato. 2. Altro istituto tipico della prima tipologia, e cioè gli istituti del giurisdizionalismo posti in capo allo Stato a protezione dell’organizzazione ecclesiastica, vanno sotto il nome di Ius reformandi: significa diritto di riforma, consiste nella facoltà che pretende di avere lo Stato o comunque riconosciuta allo Stato di stabilire le condizioni sotto le quali la Chiesa doveva svolgere le sue attività, ma con uno scopo migliorativo. Lo Stato si sente titolare del potere di migliorare il funzionamento dell’organizzazione ecclesiastica. È tipico non solo del giurisdizionalismo in ambito cattolico, ma del territorialismo di stampo protestante, quindi il diritto di riforma con intensità diverse si trova presso gli Stati cattolici, ma che presso gli Stati protestanti. In questi ultimi lo ius riformandi raggiungeva delle ampiezza, va ricordato il principe del territorio protestante aveva il diritto di entrare direttamente negli interna corporis, cioè di esercitare non solo gli iura circa sacra, ma anche gli iura in sacris quindi addirittura di determinare modificazioni strutturali interne o di mutare autoritativamente la religione dei propri sudditi cuius regio, eius et religio: riconoscendo ai sudditi che vogliono rimanere fedeli alla religione precedente il diritto di andarsene. Lo ius riformandi nel giurisdizionalismo di stampo cattolico ebbe un contenuto più ristretto, ma fino ad un certo punto, ad esempio nella Repubblica Veneta a metà del ‘700, pone in essere provvedimenti legislativi sulla soppressione dei conventini che erano disseminati su tutto il territorio della Repubblica Veneta, il provvedimento che parte dal Senato veneto, dice che tutti i conventi esistenti in terra ferma che abbiano meno 12 religiosi debbano essere soppressi, questa riforma è famosa con il nome di “soppressione dei conventini”: è un’intromissione diretta nella struttura dell’organizzazione ecclesiastica. Anche Giuseppe II non sarà di meno, muore nel 1790, a sua volta pratica un’ondata grandiosa di soppressione di conventi ritenuti inutili, il pontefice Pio VI cercherà di far desiste da questa sua attitudine giurisdizionalista, si recherà a Vienna, ma sarà inutile. Va ricordato che si considera una forma dello ius reformandi, l’esercizio del diritto di riforma anche il diritto da parte dello Stato di ammette oppure no, nuove società religiose: lo Stato formalmente cattolico dice che “solo io posso decidere se possono sistemarsi sul territorio confessioni religiose diverse da quella ufficiale”, lo Stato afferma di essere titolare di questo potere concessorio indipendentemente dalla posizione ecclesiastica. Lo Stato da questo punto di vista, dove la pretesa statuale, una pretesa comprensibile dal punto di vista del diritto di libertà religiosa, è lo Stato che deve determinare le condizioni per l’esistenza di una confessione religiosa sul proprio territorio, non l’autorità ecclesiastica almeno in uno stato laico e democratico, lo Stato italiano nella sua costituzione dice che tutti diritto di professare liberamente la propria fede religiosa, salvo il limite del buon costume, l’articolo 8 Costituzione porrà il non contrasto con l’ordinamento giuridico italiano. All’epoca cosa fa il sovrano nei riguardi dei dissidenti della confessione dominante, cioè ufficiale cattolica, lo Stato concede la devotio domestica, la Repubblica veneta da questo punto di vista è emblematica, a Venezia benché all’autorità ecclesiastica cattolica non piaccia, essendo aristocratica ma anche mercantile, impernia la sua vita sullo scambio commerciale in pieno centro vicino al Ponte di Rialto c’è il fonte dei tedeschi, ma molti di questi erano protestanti ragione per cui al suo interno metterà un’oratorio protestante, non possono accedere tutti ma solo per i mercanti tedeschi di religione protestanti, principio/concessione della devotio domestica. B. Analizzare gli istituti del giurisdizionalismo posti a difesa delle prerogative dello Stato: il presupposto ideologico da parte dello Stato per questo tipo di pretese è correlato ad un’affermazione ben precisa, lo Stato è titolare di alcune potestà anche in materia ecclesiastica perché queste potestà vengono demandate direttamente dalla divinità e non per concessione ecclesiastica: è una concezione che ha radici antiche, ed è la divinità stessa che da al monarca assoluto una potestà in materia ecclesiastica. In linea generale queste funzioni di queste pretese dello Stato si usano raccogliere sotto l’espressione ius cadendi al principe, rex, monarca, all’organo collegiale dirigente, il Senato, alla suprema potestà statuale, si afferma che competa prima di tutto un potere ispettivo generale sulle attività ecclesiastiche, come viene chiamato questo potere ispettivo generale? Viene chiamato ius ispicendi o anche ius supreme inspetionis, diritto di sorveglianza suprema. Nell’esercizio di questo generico diritto di vigilanza, si include la possibilità da parte dello Stato di limitare la libertà delle relazioni tra gli enti ecclesiastici locali e la Santa Sede (questo è il motivo per cui quando si guarda allo Stato giuridico della Chiesa cattolica nella repubblica popolare cinese si parla di neo giurisdizionalismo, in Cina nella repubblica popolare cinese i vescovi non possono avere rapporti diretti con la Santa Sede , questo è il motivo per cui si parla di neo giurisdizionalismo, ma questo vale anche per i vescovi della Repubblica veneta, dovevano passare attraverso gli organi politici della Repubblica per avere rapporti con il Papa romano , dove questo tipo di limitazione nell’esperienza storica della Repubblica veneta ha a che fare con il fatto che il Papa oltre ad essere Supremo Principe Spirituale è anche capo di un’entità statuale confinante con la Repubblica veneta esempio Ferrara). Quindi limitare la libertà degli enti ecclesiastici con l’autorità ecclesiastica romana nello ius ispicendi si comprende anche il diritto di sorvegliare la celebrazione dei concili locali, e il diritto di sorvegliare l’istituzione di nuovi enti ecclesiastici sia quelli secolari come le diocesi, parrocchie; sia quelli regolari come i conventi: Il diritto preteso dallo Stato di sopprimere quegli enti ed istituti ecclesiastici che siano ritenuti ovviamente dal punto di vista dello Stato, non più necessari, oppure che siano considerati dannosi; Il diritto di sorvegliare la filiazione religiosa, che cosa è? È il diritto da parte dello Stato l’entra nei conventi, soprattutto l’entrata nei monasteri è un tema dolente perché c’era il problema l’immissione dei voti forzata per le donne, monasteri importantissimi di clausura esempio il monastero Benedettino di S. Zaccaria a Venezia, riservato a nobil donne veneziane, messe a forza contro la loro volontà all’interno del convento, per motivi ereditari, Diritto da parte dello Stato di sorvegliare l’insegnamento nei seminari, esempio l’Austria di Maria Teresa e Giuseppe II sarà particolarmente feroce nel controllare i libri di testo delle facoltà teologiche, anzi sarà la cancelleria imperiale a dire quali libri di testo debbono essere usati e quali no. Il diritto di controllare gli acquisti e l’amministrazione dei beni da parte degli enti ecclesiastici. Quali sono i diritti principeschi che si raggruppano all’interno di questo potere generale di ispezione: 1. Ius nominandi: cioè diritto di nomina, lo Stato proclama il diritto a concorrere nelle nomine degli ufficiali ecclesiastici e nelle nomine dei vescovi. Si realizza con due modalità: a. Designando la persona fisica, per via diplomatica a Roma alla cancelleria papale. b. Nomina diretta, da parte dello Stato, cd. nomina cesarea in base ad antichi privilegi, che magari non si conosce il titolo, ma si dice per privilegio immemorabile., fino alla fine del ‘700 con la caduta della repubblica veneta si ritroveranno nomi di nobili veneziani, quei vescovi erano nominati direttamente dal Senato Veneto. 2. Riguarda a una partecipazione dello Stato alla nomina degli ufficiali ecclesiastici, questo secondo diritto si esplica in forma negativa, oggi parleremmo di diritto di veto, ius exclusive è una forma negativa di concorso alla nomina, che si esprimeva nella dichiarazione di non gradimento, l’autorità ecclesiastica proporne un nome, l’autorità statuale dice che questa persona è minus grata, cioè una persona non grata per quell’ufficio. 2. Placitum regium, istituto ha denominazione diverse in base alle esperienze storiche, quindi si parla di placet, exequatur, ius placitino regi, placitammo regium, che cosa è? É una categoria nell’ambito del diritto amministrativo, secondo la categoria generale è un visto, nel corso del diritto amministrativo, è un atto amministrativo che condiziona, non la validità di un altro atto precedente, ma la sua efficacia o exquatur (sia eseguito), consiste nella pretesa da parte dello Stato di esaminare prima della pubblicazione gli atti emanati dall’ autorità ecclesiastica, questa produce l’atto relativo all’amministrazione ecclesiastica o all’organizzazione, non può avere effigia civile se non viene apposta sopra il visto. Quali sono gli atti che nell’esperienza generale del giurisdizionalismo sono sottoposti all’exequatur? Sono atti di nomina, ad esempio la Santa sede vuole nominare un vescovo, lo Stato si rifiuta a dare l’exquatur, le conseguenze per il soggetto nominato sono enormi, dannose perché quel vescovo non può entrare nella sua sede e soprattutto non può prendere possesso dei beni patrimoniali senza l’exquatur. Il diritto di placito condiziona la vita ecclesiastica in modo penetrante. 4. Sequestro di temporalità: che cosa è? Temporalità significa, beni temporali, patrimoniali: è posto in essere dallo Stato nei confronti del patrimonio dell’istituto ecclesiastico, è viene esercitato dallo Stato per due motivi: uno perché l’istituto ecclesiastico dal punto di vista dello Stato è male amministrato: sequestro preventivo; o eventualmente perché il titolare, la persona fisica, dell’istituto ecclesiastico teneva una condotta non congrua con gli interessi dello Stato: sequestro repressivo o rappresaglia. Lo Stato interviene e sequestra i beni dell’istituto ecclesiastico, questo comportata per colui che è titolare, ovvero l’amministratore dell’isti ecclesiastico, un vescovo ad esempio nei confronti del usale viene attuata il sequestro di temporalità, non ha più di che sostenersi 5. Domanda esame: Appello per abuso, chiamato ius appellationis, ha altre denominazioni a seconda delle diverse esperienze storiche, che cosa è? Tra l’altro viene praticato anche dalla Repubblica veneta, è il riconoscimento da parte dello Stato giurisdizionalista, il riconoscimento ai propri sudditi e contemporaneamente fedeli di ricorrere al principe o ad un organismo dello Stato variamente identificato, e di ricorrere contro le decisioni dell’autorità ecclesiastica che siano ritenute o dal suddito o dallo Stato stesso, lesive dei diritti individuali del ricorrente. L’ecclesiastico o un altro suddito in base all’appello per abissò aveva il diritto di ricorre al principe o all’organo pubblico, per esempio per il regno di Sardegna competente a giudicare era il Consiglio di Stato. Il diritto di ricorre al principe per sentire dichiarare privo di efficacia o vedere modificato un atto o sentenza dell’autorità ecclesiastica. Per esempio, si ammetava l’appello per abuso addirittura nelle sentenze dei tribunali ecclesiastici, esempio relativo contro la decisione di sepoltura ecclesiastica, l’autorità ecclesiastica escludeva qualcuno da tale sepoltura, contro la decisione dicevano i trattati “si da appello per abuso”. 6. Affermazione da parte dello Stato dello ius domini eminentis: che cosa è? È una concezione dello Stato patrimoniale, tipica dell’Ancien regime per la quale il rapporto tra il principe e il territorio è di dominio, il codice napoleonico spazzerà via questa concezione, quando dice che diritto di proprietà è indivisibile: mentre nell’ancien regime il principe è proprietario imminente di tutto il sullo nazionale, e di tutte le cose che vi si trovano sopra sul suolo nazionale ente i sudditi sono soltanto proprietari utili, distinzione del diritto di proprietà tra proprietà imminente e proprietà utile. Questa concezione comporta la conseguenza per la quale il sovrano si considera proprietario di tutti i beni e anche quelli ecclesiastici, in relazione a questa concezione che la curia romana contrapporrà l’altra concezione secondo la usale il loro ponete fine è proprietario di tutti i beni ecclesiastici sparsi nel modo. Questo diritto, cioè l’affermazione secondo la quale il monarca è proprietario imminente di tutti i beni e di beni ecclesiastici ad esempio delle chiese, con eventi e monasteri, le cancellerie statuale fanno derivare delle conseguenze giuridiche ben precise, ad esempio la conseguenza sgradita all’autorità romana, di fa pagare i tributi anche sui beni ecclesiastici, ancora la conseguenza di pretendere da parte dello Stato dì amministrare questi beni separatista privo dei fardelli e delle eredità che invece si portava dietro il vecchio continente. Due sono gli elementi che favoriscono questa situazione: 1. La presenza di Chiese, e sette religiose differenti tra loro caratterizzanti l’insediamento sociale del Nord America: dunque abbiamo una presenza originaria di un pluralismo confessionale, che oggi in Italia e in Europa si parla molto di pluralismo confessionale , per noi è una situazione relativamente nuova che deriva dai forti flussi migratori di cui abbiamo cominciato ad essere oggetto, ma nel nuovo mondo questo pluralismo confessionale era diffuso già in origine, e aveva impedito l’affermarsi di una Chiesa dominante. In Europa invece sappiamo che c’era la Chiesa cattolica. Il primo elemento quindi la presenza di cHiese nessuna dominante rispetto alle altre. 2. Il secondo elemento nel Nord America manca una questione patrimoniale ecclesiastica, questo contribuisce a creare una situazione di uguaglianza. Quali sono i caratteri del separatismo Nord Americano? separazione istituzionale, che rifiuta ogni confessionismo di Stato, cioè l’ente Stato non prende una confessione come confessione ufficiale, le considera tutte ma nessuna è ufficiale. Dunque, c’è una separazione istituzionale tra lo Stato e le confessioni. Queste confessioni essendo molto diffuse, lo Stato non laicizza la rete delle strutture civili e sociali: significa che le strutture civili e sociali restano grettamente collegate alle confessioni religiose, esempio la presenza del crocifisso di un ente pubblico o di una scuola: le scuole, la sanità, sono strettamente collegate alla e confusioni religiose, quest’ultime creano le scuole, ognuna ha la sua scuola fino all’università, alcuni hanno criticato questo sistema perché hanno sottolineato ce a volte questo ha portato soprattutto in ambito universitario ad una ricerca non libera, la docente non è d’accordo. Quindi il primo carattere è la separazione istituzionale, che non significa però laicizzazione delle strutture, quindi molte delle strutture civili e sociali (scuola, sanità, associazioni, strutture di solidarietà) restano in mano alle confessioni religiose: la società è religiosa. Il secondo carattere il diritto di libertà religiosa che viene garantito sia agli individui che alle istituzioni, associazioni, alle Chiese, alle confessioni religiose quindi c’è un diritto di libertà religiosa dall’inizio presente e ben tutelato, si tratta di un diritto di libertà religiosa che fatica ad affermarsi come diritto di libertà di coscienza, ossia è la libertà religiosa che noi oggi chiameremo positiva, cioè il credere in una fede religiosa che viene tutelato; invece ad esempio il l’ateismo è visto con molto sfavore. Nel sistema nordamericano il fattore religioso non è un fattore privato, ma fa parte anche della vita pubblica e sociale dei cittadini, anche nell’elezioni si coinvolge la comunità religiosa. Il terzo carattere è quello del favor religionis, cioè favore nei confronti della religione che l’opposto di quello che si verifica in Europa, in particolare quella che è la prima forma di separatismo europeo, quello francese. B. Separatismo Francese: che si afferma con la Rivoluzione Francese: l’obiettivo è l’abbattimento dell’Ancien Regime, i principali momenti che fanno riferimento al rapporto di sistemi tra Stato e Chiesa, sono: 26 agosto 1789 Dichiarazioni dei diritti dell’uomo e del cittadino, dopo la presa della Bastiglia, afferma all’articolo 1 “tutti gli uomini nascono e rimangono liberi ed eguali” sono il simbolo della Rivoluzione francese, non solo afferma l’uguaglianza e la libertà di tutti gli uomini, ma dice ad esempio che nessuno deve essere molestato per le proprie idee, opinioni e neanche per le proprie opinioni religiose, afferma anche la libertà di pensiero; abolizione dei diritti feudali; Nazionalizzazione del patrimonio ecclesiastico sia quelli del clero secolare sia quello dei religiosi, lo Stato francese nazionalizza e incamera tutti i beni ecclesiastici, sia del clero e sia dei religiosi e li abolisce gli ordini religiosi, e vieta a tutti, di professare i voti di castità, povertà ed obbedienza; L’imposizione di leggere e commentare in tutte le parrocchie le decisioni dell’Assemblea costituente; 12 luglio del 1790 la Costituzione civile del clero è una legge con la quale la Francia riordina tutto il sistema ecclesiastico francese, disciplina le diocesi, le parrocchie , i ministri di culto: stabilisce che il clero deve giurare sulla costituzione civile, tanto che o sacerdoti francesi si distingueranno tra sacerdoti che accettano di giurare sulla costituzione civile del clero e saranno chiamati preti costituzionali, e quelli che si rifiutano di giurare saranno chiamati preti refrattari. È un separatismo brutale e ancora oggi si parla del sistema della laicità francese come una laicità di combattimento, di attacco. C’è il periodo di Robespierre; Poi arriva Napoleone, restauro l’ordine precedente e stipula un concordato con la Chiesa Cattolica del 1801; anni Trenta in Francia si riafferma una corrente di separatismo liberale; Si arriverà definitivamente per quanto riguarda ai rapporti tra lo Stato e la Chiesa al 1905 viene promulgata la legge sulla separazione dello Stato dalle Chiese, è la legge tutt’oggi in vigore, relega la religione nello Stato francese a fenomeno privato, la religione deve essere un fatto privato dei cittadini, e lo Stato non deve avere nessuna idea che i cittadini confessano. La legge del 1905 presenta anche delle ingerenze, vieta ad esempio il matrimonio cattolico se non prima non ci sia sposati civilmente, c’è una separazione con un a totale mancanza di collaborazione con un’eccezione, nell’Alsazia sono i territori che nel 1801 erano in Francia, poi annessi alla Prussia e poi ritornano in Francia dopo la Seconda guerra mondiale, dove vige ancora il concordato del 1801. In gran parte dei suoi territori vige la legge del 1905 che non è affatto una legge liberale, ma una legge che potremmo definire anti-ecclesiastica. Ci porta ad un elemento di forte contrasto e differenza tra il separatismo francese e nord americano: per il primo la religione deve essere un fatto privato dei cittadini, lo Stato non deve sapere quale è la religione dei cittadini; nel secondo non solo non è un fatto privato, ma si favorisce la presenza nelle strutture civili e sociali del fattore religioso, ma di tutte le componente religiose, invece la legge francese del 1905 bandisce tutte le componenti religiose del settore pubblico, esempio gli insegnati non devono manifestare la propria fede religiosa, le strutture pubbliche devono essere laiche, quasi a fare ella laicità dello Stato, quindi della neutralità dello Stato una religione al di sopra di tutte le religioni. Abbiamo visto come la Rivoluzione Francese si è scagliata con l’Ancien Regime e ha efferato con forza due essenziali principi: 1. Il Principio di libertà: portava la necessità di definire incoercibili e irrinunciabili i diritti fondamentali della persona, tra questi diritti c’è quello di formare senza condizionamenti la propria coscienza e di esprimere senza alcuna limitazione le idee personali e di professare qualunque credo religioso senza che l’autorità civile, lo Stato, l’autorità pubblica intervengano. 2. Il principio di uguaglianza: il quale garantisce la pratica e l’esercizio del culto a tutti e a ciascuno come meglio ritiene, per questo bandisce il concetto di religione di Stato e quindi bandisce ogni intervento autoritativo volto a difendere una professione di fede rispetto altre, volto ad avere una confessione ufficiale, una confessione di Stato e quindi a discriminare i cittadini gli uni con gli altri ad essi attribuendo posizioni o di privilegio, se sono appartenenti alla confessione ufficiale oppure di inferiorità giuridica a tutti gli altri. Dunque, per rendere tutti uguali e liberi lo Stato deve ripudiare definitivamente le regole sia del territorialismo, sia del giurisdizionalismo, sia quella potestas ecclesie indirecta in temporalibus che si è vista dominare nel medioevo. Lo Stato deve dichiararsi estraneo alle questioni religiose che i singoli devono risolvere privatamente, è ance il messaggio della laicità del separatismo francese. Cominciano ad emergere i tratti salienti di quello che possiamo definire sistema separatista classico, viene introdotto in diversi Stati in precedenza cattolici subito dopo la Rivoluzione Francese: Quali sono i caratteri di questo sistema separatista classico? 1. La neutralità dello Stato nei confronti di qualunque confessione religiosa, dottrina, fede; 2. L’autonomia dell’ente rispetto a qualunque Chiesa; 3. La libertà religiosa per ogni Chiesa o confessione; 4. L’uguaglianza di tutti i cittadini a prescindere dalla propria fede religiosa, affermazione del carattere privato della fede, per cui lo Stato non deve interessarsi; 5. La libertà di coscienza, che caratterizza il separatismo europeo contro il separatismo americano Una parte della dottrina parla di separatismo liberale, indicando che esso pur nella diversità delle singole forme storiche e geopolitiche, ruota attorno a tre caratteri essenziali: La negazione di ogni potestà spirituale dello Stato: lo Stato non ha nessuna competenza in materia spirituale; La negazione di ogni potestà temporale della Chiesa, la Chiesa non deve avere nessuna potestà in materia temporale; È corollario degli altri due principi, la reciproca libertà dello Stato e della Chiesa, e dalla Chiesa e dallo Stato, ossia libertà dello Stato dalla Chiesa, e viceversa, ma arriva ad essere in realtà totale reciproca ignoranza: nel senso che a livello giurisdizionale, in Italia 1848 concessione dello statuto Albertino, la trasformazione dello Stato assoluto in Stato democratico, prima di questo passato nel regno di Sardegna vigeva un vero e proprio giurisdizionalismo, dopo la restaurazione da part di Carlo Emanuele I, lo Stato di Sardegna era confessionale, aveva la religione cattolica, era la religione di Stato; 1837 religione cattolica era stata proclamata religione dello Stato protetta dal re e la legislazione aveva riservata ad altri culti una legislazione di mera tolleranza. La situazione è quella tipica del giurisdizionalismo: lo Statuto Albertino del 1848 determina il trasferimento della sovranità al popolo, e la proclamazione di alcuni diritti come fondamentali e primari senza la possibilità di discriminazione. Quella che può sembrare una rivoluzione giuridica non lo è fino in fondo secondo le richieste dei liberali, perché il Re spinto dalle proprie convinzioni religiose, pur avendo proclamato i diritti primari senza possibilità di discriminazioni riconferma all’articolo 1 dello Statuto che la religione cattolica, apostolica e romana è la sola religione dello Stato, gli altri culti all’epoca esistenti sono meramente tollerati conformemente alle leggi. Il principio del riconoscimento della religione di Stato è un principio che non appartiene minimamente al sistema separatista è il contrario di tutto quello che abbiamo detto fino ad ora, infatti è un sistema separatista sui generis, che il manuale di testo difinisce giurisdizionalismo liberale. La proclamazione della religione cattolica come religione di Stato deve essere interpretata con i principi fondamentali stabiliti dallo Statuto Albertino tra questi il principio che sanciva l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. Da una parte questo principio di uguaglianza prevedeva delle eccezioni se determinate dalla legge, si poneva la possibilità di discriminazione, se leggo in una norma che tutti i cittadini sono uguali salvo le Il sistema della coordinazione per quanto riguarda i rapporti con la Chiesa cattolica prende corpo nei concordati: Cosa sono i concordati? Definito da molti punti di vista, giuridicamente è uno strumento negoziale stipulato dagli Stati, con chi? La Santa Sede e NON con lo Stato Città del Vaticano, questo presuppone una precisazione: [queste due realtà operano a livello internazionale e che si chiamano rispettivamente: Santa Sede; e Stato Città del Vaticano dell’altro; sono due persone giuridiche operanti a livello internazionale ma completamente diverse, distinte, perché lo Stato C del V è uno Stato territoriale: ha un territorio, popolo, e sovranità, e ha la legge che si chiama legge fondamentale dello Stato Città del Vaticano, che il romano pontefice viene definito Sovrano, il Papa il vicario di Cristo nel 2020 viene definito sovrano è titolare di tutti e tre i poteri: legislativo, amministrativo e giudiziario come un monarca assoluto (il professore si permette di dire se Cristo pensava a questa cosa: la ritiene assurda ma realtà mondana e politica ha portato a questa situazione) il Papa è capo Stato territoriale, dello Stato della Città del Vaticano; può stipulare delle convenzioni internazionali, dove il legale rappresentante è il romano pontefice, ma i rapporti a livello internazionale al livello sono esercitati dalla Santa Sede, attraverso una forma di unione personale: unione tra Santa Sede e Stato Città del Vaticano nella persona fisica del romano pontefice. la Santa Sede è un’organismo al quale da moltissimi Stati, organismi internazionali viene riconosciuta la personalità di diritto internazionale, ma non è uno Stato territoriale. Deve essere chiaro che i concordati vengono stipulati con gli Stati con la Santa Sede, di cui come il legale rappresentante è il romano pontefice. I rapporti internazionali sono degli Stati e vengono mantenuti con la Santa Sede e non con lo Stato Città del Vaticano, il personale supremo diplomatico della Santa Sede è dato dai Nunzi apostolici, sono degli ambasciatori della Santa Sede, c’è ne uno in Italia a Roma, istallato presso la nunziatura della Santa Sede presso la Repubblica italiana, viceversa a Roma in Via Po c’è la ed è dell’Ambasciata di Italia presso la Santa Sede. Lo Stato Città del Vaticano è un fazzoletto di terra nel quale manca completamente l’autonomia della difesa, è un problema del diritto internazionale, dei cd Stati minuscoli (ed entità internazionali non statuali), uno Stato dovrebbe auto preservarsi, ad esempio in termini di difesa territoriale, esempio la Repubblica di San Marino] Il concordato stipulato dagli Stati con la Santa Sede, uno strumento negoziale e nella definizione non può mancare l’aspetto contenutistico: che cosa regola il concordato? L’oggetto del concordato sono le materie di comune interesse, tecnicamente e storicamente si chiamano res miste “le cose miste”: non è semplice definirle perché, si pone il problema della qualificazione della materia: a chi spetta tale qualificazione? Testo articolo 7 Costituzione: Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. = la materia è nel loro ordine, e poi si incontrano in relazione alle materie di interesse comune. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale [cfr. art. 138]. Considerazione: Che cosa avvenuto durante questa pandemia, a marzo e aprile quando l’autorità governativa italiana nell’esercizio delle sue prerogative ha emesso dei provvedimenti, dei decreti posti sulla base di un provvedimento legislativo, per motivi attinenti alla tutela della pubblica salute all’articolo 32 della Costituzione: nel dare questi provvedimenti, malgrado l’Italia sia un paese concordatario, c’è un regime concordatario, nell’esercizio di queste prerogative il governo ha stabilito la sospensione di tutte le cerimonie civili e religiose, dove ci sono stati dei giuristi ad avviso del professore poco fondatamente, i quali anno parlato della violazione dell’ordine proprio della Chiesa e delle altre confessioni religiose, a dire il vero quando DPCM parlavano di cerimonie religiose indicavano le cerimonie nelle Chiese cattoliche, ma comprendevano le cerimonie delle altre confessioni come quelle cristiane e nelle sale del regno dei testimoni di Geova, nelle sinagoghe, nelle mosche, tutte le cerimonie religiose vennero sospese: secondo alcuni si violò l’ordine, ma questa tesi è insostenibile sul piano giuridico, perché lo Stato agiva prettamente a tutela della salute pubblica, in quanto definiti luoghi di assembramento. Lo Stato pone delle limitazioni solo nell’esercizio della tutela della saluta pubblica è una prerogativa dello Stato non è una res mista: non c’era nessuna violazione del concordato. Un accordo che disciplina le materie di comune interesse sul piano giuridico, non sul piano di fatto, ad esempio l’autorità ecclesiastica potrebbe avere anche una sua interesse fattuale a disciplinare reti stradali che intersecano i luoghi di culto, esempio disciplinare i sensi unici presso gli edifici di culto spetta all’organò pubblico al Comune, non è un interesse comune, ad esempio se il Comune stabilisce un parcheggio pubblico vicino ad una Chiesa non possa essere utilizzato come tale , non ha violato l’ordine proprio della Chiesa. (N.B = gli scrittori clericali tendono ad acuire, ampliare gli ordini propri della Chiesa o delle altre confessioni religiose, non è costituzionalmente accettabile, portando a delle interpretazioni contrarie al principio supremo costituzionale che si chiama laicità). L’accordo del concordato ha natura di tipo transattivo: cioè che le parti si obbligano a tenere rispetto a queste materie un determinato comportamento, nell’ambito della sovranità territoriale dello Stato stipulante. (Su questa parte il docente è sempre, imbarazzato, lo è sempre chissà perché!!??? -. -) la sovranità dello Stato territoriale non può essere posta sullo stesso piano dell’autorità confessionale, qualunque sia la sua tradizione storica. Nei rapporti tra lo Stato sovrano territoriale (è la casa di tutti dei credenti, credenti di qualunque confessione religiosa, dei non credenti, degli agnostici, dei razionalisti) mentre la confessione religiosa cade sotto la sovranità dello Stato perché dimostra sul territorio dello Stato, vale soprattutto per la legislazione penale, non ha la caratteristica della sovranità territoriale perché soprattutto si appartiene alla confessione religiosa in forza di una atto di libera adesione: c’è una diversità concettuale, di presupposti e di principi radicale. Stiamo affrontando un problema ben delineato, cioè della natura giuridica dei concordati, può essere vista da tre ordinamenti diversi, è uno strumento tradizionale, storicamente l’abbiamo già incrociato all’inizio del XII secolo, nel 1122 Accordo di Worms che avrebbe posto fine alla lotta per le investiture. La problematica della aura giuridica del concordato può essere vista: Dal punto di vista dell’ordinamento della Chiesa cattolica romana: dal punto di vista canonico i concordati sono degli atti fondamentali, toccano direttamente la personalità giuridica della Chiesa cattolica come tale. Conseguentemente i concordati ai sensi di un canone ben preciso del Codice dell’83 numero 333, i concordati sono di competenza della Santa Sede. La competenza dal puto di vista dell’ordinamento canonico per stipulare i concordati con gli Stati spettata alla Santa Sede. Dal punto di vista dell’ordinamento italiano: l’articolo 7, primo comma Costituzione: Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. = la materia è nel loro ordine, e poi si incontrano in relazione alle materie di interesse comune. non obbliga lo Stato a concordare con la Chiesa la disciplina delle materie di comune interesse, ad esempio una materia di comune interesse è il matrimonio, la celebrazione e non gli effetti, disciplinare gli effetti è dello Stato, in un’ottica di libertà e di laicità, ma la celebrazione a cui consentire e riconoscere effetti civili è una materia di comune interesse. Lo Stato non ha l’obbligo di concordare con la Chiesa la disciplina delle materie di comune interesse: però quando lo Stato si mette sulla strada degli accordi bilaterali, si ritiene che questi atti, non siano atti di diritto interno, ma atti di diritto esterno (= questa è l’opinione di orti ecclesiastici): è importante ricordare quello che sosteneva un grande ecclesiasticista di Milano Professore Mario Falco, scrive un corso di diritto ecclesiastico negli anni ’30, dopo il concordato del 1929, dice che il concordato è un atto di diritto pubblico interno dello Stato, quando lo Stato stipula un concordato con la Chiesa Cattolica: citazione “non solo lo Stato non riconosce sul terreno giuridico la superiorità della Chiesa, ma neppure le riconosce una potestà giuridica ne pari, ne analoga alla propria e non considera la Chiesa come un ente esterno allo Stato ad esso coordinato entro un ordinamento giuridico superiore ad entrambi, ma afferma (lo Stato) la propria sovranità sulla Chiesa e considera l’organizzazione cattolica esistente all’Italia soggetta alle proprie leggi” (1938). L’opinione di Manlio Miele è un’altra. Un’altra tesi che viene sostenuta con sfumature diverse specialmente dagli ecclesiastici, mentre i costituzionalisti e i nazionalisti propongono esplicano questo argomento con accenti diversi: l’altra dottrina dice che il concordato ecclesiastico è un negozio di diritto esterno, che è se non simile almeno analogo ai trattati internazionali: non è cosa da poco giuridicamente qualificare un concordato tra lo Stato e la Chiesa cattolica come un analogo di un trattato internazionale, significa che a questo analogo di un trattato internazionale si debbono applicare le norme dell’ordinamento internazionale che riguardano i trattati: è un’affermazione impegnativa tenuto conto del fatto che la Chiesa non ha una sua sovranità territoriale. L’articolo 7 Costituzione suppone un ordinamento esterno, perché “l’ordine” significa nel proprio ambito/materia, indicando che ci sono un settore di materie nel quale lo Stato e la Chiesa tratterebbero su un piano di parità, quindi significa che si pongono su un’ordinamento esterno. La disposizione normativa dell’articolo 7 Costituzione lascia impregiudicata la soluzione del problema dell’appartenenza dei concordati all’ordinamento internazionale generale o ad un settore speciale dell’ordinamento internazionale: con questa affermazione si allude al fatto che nel momento in cui si qualificava/qualifica ancora oggi il concordato come un analogo di un trattato internazionale la dottrina si divide tra il riferendo i concordati all’ordinamento (diritto) internazionale generale oppure ad uno speciale settore dell’ordinamento internazionale generale. E dall’ordinamento terzo in cui i loro rapporti si svolgono: Ma il concordato entra nell’ambito dell’ordinamento internazionale generale o nell’ambito di uno speciale settore dell’ordinamento internazionale? L’ordinamento internazionale non è costituito esclusivamente da entità statuali, nell’ordinamento internazionale è costituito anche da organismi non statali e fra questi rientra anche la Santa Sede, rientra anche lo Stato Città del Vaticano come Stato territoriale, ma rientra anche la Santa Sede come organismo non statale, significa che quando lo Stato e la Chiesa cattolica si incontrano per concordare all’interno di un’ordinamento esterno per disciplinare i rapporti in relazione alle materie di interesse comune, questo si dice sarebbe un’ordinamento terzo rispetto all’ordinamento internazionale, parte della dottrina dice che è l’ordinamento internazionale stesso, perché le parti sembrano sottomettersi alle regole dell’ordinamento internazionale. Da questa prospettiva dobbiamo dire che il primo comma dell’articolo 7 Costituzione, se da un lato la disposizione normativa non impone i concordati, dall’altro sembrerebbe dire che i concordati ecclesiastici sono per il diritto italiano degli accordi tra due ordinamenti primari, sono Stato italiano Quali sono i problemi pratici che nascono dal principio di distinzione tra gli ordini (ciascuno nel proprio ordine indipendente e sovrano)? 1. Problemi pratici nati soprattutto in materia di giurisdizione sul matrimonio concordatario -> in Italia la Chiesa esercita con i suoi tribunali una giurisdizione sulle cause di nullità dei matrimoni concordatari. Corte Cost molti anni fa in un passaggio disse che di per sé i tribunali dello Stato non dovrebbero avere una competenza sui vizi del matrimonio concordatario, perché questa competenza sarebbe solo dei tribunali dello Stato -> Corte Cost sentenza 1993: questa competenza dello Stato dalla corte viene giustificata con la distinzione tra gli ordini; la Cassazione invece dice che il giudice dello Stato può giudicare anche di quei vizi di volontà. 2. Questione nomine docenti di religione -> i docenti di religione cattolica per disposizione concordataria vengono “liberamente” nominati o revocati dal vescovo territoriale. Il Consiglio di Stato dice che non c’è sindacabilità diretta del provvedimento di revoca (materia delicata perché si tratta di un rapporto di lavoro) -> nel 2000 il Consiglio di Stato dice che non c’è possibilità da parte dello Stato di sindacare direttamente la decisione, però c’è insindacabilità indiretta del provvedimento della revoca perché il vescovo comunica la propria volontà alla dirigenza scolastica, la quale deve verificare che non ci sia una manifesta arbitrarietà del provvedimento canonico. 3. Valutazione della legittimità dei provvedimenti posti in essere dalla autorità ecclesiastica in materia di remunerazione dei sacerdoti -> i sacerdoti che prestano qualunque servizio in favore di una diocesi sono, per quanto riguarda quello che possiamo definire stipendio (si tratta di remunerazione per il sostentamento), posti a carico, in ogni diocesi, dell’istituto diocesano per il sostentamento del clero. Può verificarsi una situazione tale per cui, ad esempio per motivi disciplinari, il prete si trova privato della remunerazione -> le sezioni unite della Corte di Cassazione nel ‘90 hanno detto che la remunerazione dei preti, da parte dell'istituto diocesano per il sostentamento clero, alla faccia dello Stato è un vero e proprio diritto soggettivo (il prete che si trova privato della remunerazione ha a disposizione una doppia via di tutela, può andare direttamente davanti al giudice dello stato o rivolgersi al competente organo ecclesiastico, secondo il principio “electa una via non datur recursus ad alteram”). Cosa possiamo dire in relazione al primo comma dell’art 7 Cost: “lo Stato e la Chiesa sono ciascuno nel proprio ordine indipendenti e sovrani”? possiamo dire due cose: 1) la disposizione del primo comma è, dal punto di vista storico, fortemente intrisa di elementi politici; 2) tecnicamente non è possibile operare una analogia tra l’indipendenza e la sovranità di uno Stato territoriale e l’indipendenza e la sovranità di un ordinamento confessionale come quello canonico, che non è territoriale (territorio è elemento costitutivo ed essenziale esclusivamente dello stato); 3) Corte Cost nel delineare la laicità come principio supremo dell’ordinamento costituzionale ha detto in modo irrefutabile che è contenuto essenziale della laicità a distinzione tra gli ordini; 4) lo Stato e la Chiesa sono ciascuno nel proprio ordine indipendenti e sovrani -> chi decide in ultima istanza se un determinato rapporto giuridico appartiene a un ordine o all’altro? La risposta riguarda una domanda ben precisa, chi ha la competenza sulle competenze? Da sempre sul punto nascono dei conflitti perché lo stesso rapporto giuridico può essere qualificato in modo diverso dai due angoli visuali dei due ordinamenti. Es: applicazione art 32 Cost (tutela della salute pubblica) -> tutela della salute pubblica che ha determinato formalmente provvedimenti con efficacia nell’ordine confessionale. Problema di diversa qualificazione giuridica del rapporto, ma la competenza sulle competenze spetta allo Stato. I rapporti tra Stato e Chiesa sono regolati dai Patti Lateranensi, le modificazioni dei patti accettate dalle parti non richiedono procedimenti di revisione costituzionale. I Patti Lateranensi sono un trattato, un concordato e convenzione finanziaria stipulati alla stregua di provvedimenti di rango internazionale nel 1929 (11 febbraio 1929). Patti sottoscritti tra il capo di governo dell’epoca e il cardinale segretario di stato dell’epoca; la stipula dei patti venne circondata da una grandissima esaltazione da parte del clero, un patto che poneva fine alla questione di Roma capitale. I Patti lateranensi contribuirono al rafforzamento del regime fascista. Dopo l’entrata in vigore della Costituzione si pone il problema interpretativo dottrinale dell’art 7 Cost -> sulla disposizione “i loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi” si aprì un quesito importante, quali erano le conseguenze giuridiche del fatto che il testo della Costituzione richiamasse espressamente i Patti Lateranensi stipulati l’11 febbraio 1929? ● 1° tesi) Tesi clericale: tesi della costituzionalizzazione dei Patti Lateranensi -> art 7 Cost, capoverso, avrebbe sortito l’effetto di costituzionalizzare le norme lateranensi, dando a ciascuna di queste norme lo stesso valore formale delle norme costituzionali. Vincenzo Del Giudice fu il primo a sostenere questa tesi (era un ecclesiasticista ultra-clericale), il quale poi disse che poiché queste norme supposte costituzionali sono delle norme speciali esse avrebbero addirittura avuto la prevalenza nei confronti delle norme generali poste dalla stessa Costituzione (ius speciale rispetto a ius generale -> norme super costituzionali). Preoccupazione politica dei giuristi che la norma di derivazione pattizia potesse essere dichiarata incostituzionale dalla Corte costituzionale. Tesi insostenibile dal punto di vista tecnico-giuridico perché l’art 7 dice che è vero che i loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi, ma dice anche che le modificazioni ai patti accettate dalle due parti non hanno bisogno di procedimento di revisione costituzionale. ● 2° tesi) Tesi della costituzionalizzazione del principio concordatario: tesi secondo la quale necessariamente in italia, in forza dell’art 7, i rapporti tra Stato e Chiesa devono essere disciplinati in forma concordataria, anzi dovevano essere disciplinati fino al 1984 dai Patti Lateranensi -> secondo questa teoria il principio garantiva a livello costituzionale sia gli accordi del 1929 sia le norme concordate che li avrebbero modificati successivamente (a partire dal 1984), secondo un regime analogo a quello previsto dall’art 11 Cost per i trattati europei; oppure costituzionalizzazione del principio concordatario in forza degli artt. 10 e 11 Cost. Questo perché il capoverso dell’art 7 sarebbe una delle norme che concretizzano valore costituzionale al principio generale del diritto internazionale “stare pactis stare decisis”. La tesi della costituzionalizzazione del principio concordatario ha riscontro nell’art 7 capoverso della costituzione? No, non ha riscontro -> avrebbe potuto avere riscontro se fosse passata la proposta del padre costituente Palmiro Togliatti, il quale aveva detto: “non citiamo i patti del ‘29 ma scriviamo nella Costituzione che i rapporti tra Stato e Chiesa sono regolati in termini concordatari”. -> il legislatore costituente volle citare espressamente i patti del 1929 perché c’era timore da parte cattolica che le successive vicende politiche potessero travolgere quei testi (timore dovuto dal fatto che già all’epoca erano impresentabili in quanto manifestavano un peccato originale, quello di essere stati formati durante il regime fascista e di aver contribuito in maniera non secondaria all’affermarsi di questo regime antidemocratico). DIRITTO ECCLESIASTICO 2020-2021 Lezione: 3 novembre 2020 - l'Accordo di Villa Madama del 18 febbraio 1984: l'art. 13; - il suo rapporto con la Costituzione: art. 10, co. 1, Cost.: pacta sunt servanda DIRITTO ECCLESIASTICO 2020-2021 Lezione: 3 novembre 2020 ● l'Accordo di Villa Madama del 18 febbraio 1984: l'art. 13; ● il suo rapporto con la Costituzione: art. 10, co. 1, Cost.: pacta sunt servanda Cosa sono i principi supremi dell’ordinamento costituzionale? Caratteristica principale dei principi supremi dell’ordinamento costituzionale sta nel fatto che la loro determinazione è rimessa al giudizio della corte -> i principi supremi dell'ordinamento costituzionale sono delle regole di altissimo livello gerarchico, di produzione giurisprudenziale (giurisprudenza della Corte costituzionale). La determinazione non sempre è stata agevole e la categoria come tale, ha incontrato delle critiche in dottrina. Esempi riguardanti le problematiche relative all’identificazione dei principi supremi: 1. Tra le varie sfere delle quali la corte ha parlato di principio supremo dell’ordinamento costituzionale c’è quell’aspetto capitale caratterizzante di una carta costituzionale e democratica come la nostra, e cioè l’art 3 (principio di eguaglianza) -> in che senso il principio di eguaglianza è principio supremo della Corte costituzionale? Nei giudizi che hanno riguardato la legislazione di derivazione concordataria del ‘29 la corte ha, talvolta, ritenuto che le norme concordatarie potessero, in forza dell’art 7 Cost, derogare al principio di eguaglianza (sentenza 30/1971 -> la corte nel ‘71 dice che il principio di eguaglianza non sarebbe supremo, fondamentale sì ma non supremo; per cui tramite l’art 7 Cost questo principio potrebbe essere derogato). L’art 7 Cost, che dà ingresso alle norme concordatarie del ‘29, così avrebbe anche la forza di derogare il principio di cui all’art 3 Cost, il quale esclude discriminazioni tra i cittadini anche in base al criterio della religione di appartenenza -> questo quando l’applicazione delle norme del concordato del ‘29 fosse stata postulata (richiesta) da soggetti pienamente capaci di intendere e di volere; 2. Art 24 Cost (diritto di difesa) -> sentenza 18/1982 (corte dice che perché sia tutelato il diritto di difesa deve esserci un giudice e un giudizio). Gli accordi del Laterano del ‘29 avevano determinato la costruzione del matrimonio canonico trascritto, cioè del matrimonio canonico con effetti civili, stabilendo anche che su questi matrimoni (matrimoni concordatari) il giudizio sulla validità di questi matrimoni spettasse esclusivamente ai tribunali ecclesiastici (giudizio di validità non il divorzio) -> con sentenza 18/1982 Corte Cost affronta il problema dell’effettiva tutela del diritto di difesa nei processi regolati dal diritto canonico, identificando il diritto di agire e di resistere come inviolabile proprio in forza dell'art 24 Cost. La Corte dice che l’art 24 Cost costituisce, nel suo nucleo più ristretto, un principio supremo dell’ordinamento costituzionale; 3. Corte costituzionale definisce principio supremo “l’inderogabile tutela dell’ordine pubblico”, a proposito delle sentenze dei tribunali ecclesiastici sulla validità dei matrimoni canonici trascritti. Queste sentenze possono avere efficacia sul territorio dello Stato a condizione che rispettino l’ordine pubblico. L’ordine pubblico viene definito nella sentenza 18/1982 -> l’ordine pubblico è costituito “dalle regole fondamentali poste dalla Costituzione e dalle leggi a base degli istituti giuridici”. Inoltre, queste sentenze non devono aver violato un altro principio supremo, quello dell’art 1 comma 2 Cost -> la sovranità appartiene al popolo. I Patti Lateranensi sono costituiti dal trattato lateranense, il quale istituì uno Stato territoriale, lo stato Città del Vaticano. Secondo documento è il concordato del Laterano, terzo la convenzione finanziaria. Ora dei Patti lateranensi rimane in pieno vigore il trattato del Laterano, salvo una modifica intervenuta con l’accordo di Villa Madama del 18 febbraio 1984, ossia l’art 1 del trattato -> l’art 1 del trattato e l’art 1 del concordato del ‘29 ripetevano il testo dell’art 1 dello Statuto Albertino del 1848, quello statuto che era in vigore nel ‘29. Art 1 Statuto Albertino: la religione cattolica apostolica romana è l’unica religione ufficiale dello Stato. Accordo di Villa Madama dell’84 -> sottoscritto dalle parti il 18 febbraio 1984; per trovare esecuzione nell’ordinamento interno dello Stato dovrà aspettare la legge di ratifica e di esecuzione. Le due leggi interverranno nel 1985, legge 121/1985 e legge 206/1985. Ciò comporta che il rapporto tra il concordato e la Costituzione non si pone più con riferimento alle norme del concordato del ‘29 bensì con riferimento alle nuove norme, che sono entrate in vigore con la ratifica dell’accordo di Villa Madama (nuove norme entrano in vigore per disposizione di queste due leggi il 3 giugno 1985). Tema di oggi: domanda esame articolo 8 Costituzione -> articolo centrale nella definizione del nostro sistema di Diritto ecclesiastico insieme agli artt. 3,7,19 e 20 Cost. Art 8 Cost: 1. Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. 2. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano. 3. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze. Cosa si intende per confessione religiosa? Nozione di confessione religiosa la si trova al 1° e 2° comma e soltanto alle confessioni religiose è garantita dal nostro legislatore costituzionale la possibilità di accedere alle intese previste al 3° comma art 8 Cost. Definizione di confessione religiosa è importante perché ci permette di capire quali siano i soggetti destinatari delle disposizioni dell’art 8 Cost; tuttavia la nozione di confessione religiosa non è data né nell’art 8 né in altri luoghi della Costituzione; la Costituzione non enuncia gli elementi costitutivi della confessione religiosa ma presuppone solo lo schema conoscitivo elaborato dall'esperienza sociale. Vi è quindi nel testo costituzionale una indeterminatezza del concetto di confessione religiosa. L’art 8 Cost ci fornisce qualche parametro indicativo di cosa possa intendersi per confessione religiosa -> il comma 2 parla di statuti e di organizzazioni, hanno il diritto di organizzarsi secondo i propri statuti. Dal comma 2 si ricava l’idea che le confessioni religiose siano dotate di una organizzazione anche normativa; mentre al comma 3 si fa riferimento alle relative rappresentanze. Quindi le confessioni religiose sono degli aggregati sociali dotati di statuti interni e di organi di rappresentanza. Tuttavia, questi parametri che ricaviamo dall’art 8 Cost non sono di per sé esaustivi, cioè non ci danno una definizione completa di confessione religiosa; la confessione religiosa è estranea anche a qualsiasi disposto di legge primaria. Il fatto che il legislatore costituzionale e il legislatore primario non abbiano dato una definizione valida di confessione religiosa non è di per sé biasimevole. La nozione di confessione religiosa è legata alla mutevolezza del fenomeno religioso il quale può differire sia dal punto di vista sincronico sia da un punto di vista diacronico, esempio l’emergere di nuovi movimenti religiosi provenienti da oltreoceano o dall’oriente che poco o nulla hanno a che fare con la nostra tradizione religiosa. Il legislatore costituzionale, qualora avesse voluto dare una definizione di confessione religiosa, avrebbe inevitabilmente creato delle limitazioni e delle esclusioni arbitrarie -> per questo motivo la dottrina dice che il legislatore costituzionale ha fatto bene a evitare di dare una definizione di confessione religiosa, in questa maniera si è data la possibilità di accogliere sotto le tutele della Costituzione tutti quei fenomeni religiosi che nel 1946-1947 non si potevano prevedere, ma che poi si sono comunque manifestati nella società italiana. Il fatto che il legislatore non abbia voluto dare una definizione preconfezionata di confessione religiosa attinge al fondo del principio supremo di laicità, il quale impone al legislatore un atteggiamento di neutralità nei confronti di qualsiasi credo filosofico o religioso. La mancanza di una definizione di confessione religiosa ha delle incidenze pratiche, se manca una definizione esplicita di confessione religiosa possiamo però ricavare alcune indicazioni: tra il 2° e 3° comma si trovano dei parametri volti a dare una qualche indicazione di quella che può essere una confessione religiosa. In via implicita si può inoltre dire che l’art 8 Cost, quando parla di confessioni religiose, faccia riferimento a delle formazioni sociali in cui si manifesta e si sviluppa la personalità del singolo, cioè una di quelle formazioni sociali tenute a mente dall’art 3 Cost. Dal momento poi che si parla di confessioni religiosi si può inoltre dire per implicito che le confessioni religiose sono dei centri di aggregazione, di valori e interessi, di un gruppo qualificabile in senso lato come religioso -> formazioni sociali in cui si svolge la personalità dei singoli e sono centri di aggregazione con finalità religiosa, con gli ulteriori parametri dell’organizzazione, della disponibilità di statuti e di propri organi (dire questo tuttavia non significa dare una definizione di confessione religiosa). Per quanto riguarda la definizione di confessione religiosa, in dottrina si sono affrontate a riguardo diverse dottrine: ● Teoria volta a privilegiare l’elemento quantitativo del gruppo -> secondo questa teoria dottrinale si avrebbe confessione religiosa solo in presenza dell’adesione e del concorso stabile di un numero significativo di aderenti. Non potrebbe cioè assurgere al rango di confessione religiosa una mera compagnia di 3 amici, sia pure legati tra di loro legati da interessi di matrice religiosa. ● Teoria dottrinale del criterio sociologico -> teoria in base alla quale si può individuare una confessione religiosa in quel gruppo stabile che, secondo la pubblica opinione vigente in un determinato periodo di tempo, può essere considerata effettivamente come confessione religiosa. Rimanda cioè al comune sentire vivente all’interno della società. ● Teoria dottrinale che fa riferimento al criterio storico -> teoria in base alla quale si debbono riconoscere come confessioni religiose quelle aggregazioni sociali che tali sono state percepite nel corso della tradizione storica e legislativa italiana. Queste tre teorie ci danno una indicazione; la teoria più attenta ha ritenuto che ognuno di questi criteri preso di per sé non sia in grado di individuare una definizione precisa di confessione religiosa -> con riferimento a Francesco Finocchiaro, la teoria più attenta ha posto l’accento sul carattere progettuale del gruppo e ha definito confessioni religiose quelle comunità stabili, dotate o meno di organizzazione e normazione propria e di una originale concezione del mondo, basate sull’esistenza di un essere trascendente in rapporto con gli uomini o sulla ricerca del Divino nell’immanenza -> definizione sulla quale vi è più consenso da parte della dottrina, anche se alla luce dell’evoluzione socio-religiosa che si è avuta in Italia, è stata posta a critica: si è detto che la definizione di Finocchiaro da un lato va bene con le religioni monoteistiche tradizionali, ma dall’altro lato è la meno indicata per accogliere le nuove religioni (soprattutto quelle a bassa presenza del divino). Una parte della dottrina allora ha ritenuto che sia da abbandonare il problema di trovare una vera definizione del concetto di confessione religiosa e che invece a tale scopo sia utile il ricorso del criterio dell’autoreferenzialità, cioè la confessione religiosa non può che essere quella che tale si definisce sulla base di un processo di auto qualificazione del gruppo sociale in questione. Tuttavia, anche questa teoria più recente è stata criticata, soprattutto dalla giurisprudenza, perché il criterio dell’autoreferenzialità è un criterio che da un punto di vista pratico non può essere utilizzato. Lo Stato non può rinunciare del tutto a un controllo sui caratteri del gruppo, fidandosi solo alla auto qualificazione del gruppo stesso, ma è tenuto in ogni caso a qualificare confessione un gruppo religioso, stabilendo in che cosa una confessione si differenzia dagli altri movimenti di pensiero o dalle semplici associazioni Il problema della definizione di confessione religiosa è dibattuto all’interno della dottrina ecclesiasticistica, anche se la migliore dottrina fa riferimento al criterio programmatico del Finocchiaro. Sulla questione è intervenuta la giurisprudenza costituzionale; la Corte costituzionale ha affermato la necessità che la qualifica di confessione religiosa debba essere accertata caso per caso secondo i criteri desumibili dall’insieme delle norme dell’ordinamento, Sent. 467/1942. La Corte costituzionale ha stabilito successivamente, con la sentenza 195/1943 quali sono i criteri che possono essere seguiti per assegnare la qualifica di confessione religiosa: 1. stipulazione di un’intesa con lo Stato italiano; 2. eventuali precedenti e riconoscimenti pubblici; 3. uno statuto che esprima i caratteri dell’organizzazione; 4. la comune considerazione. Con la sentenza 346/2002 la Corte costituzionale ha sancito l’illegittimità costituzionale di normative regionali che consentivano l’accesso a regimi di favore soltanto a quelle confessioni religiose che avessero stipulato un'intesa con lo Stato (la stipula di un’intesa è un criterio, ma non è l’unico). Art 8, comma 1: “tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge”. Il primo comma dell’art 8 Cost, secondo una parte della dottrina, assurge alla regola fondamentale del diritto ecclesiastico. Questa disposizione muove infatti da una concezione per la quale il fenomeno religioso è rilevante come tale, senza che si possano più discriminare gradi diversi di libertà per le differenti confessioni. L’art 8, comma 1, Cost vincola i pubblici poteri a costruire un pluralismo confessionale aperto -> principio del pluralismo confessionale. L'eguaglianza nella libertà di cui parla il primo comma comporta innanzitutto che i pubblici poteri debbano astenersi dal favorire, propagandare o biasimare i valori di una determinata dottrina confessionale; in secondo luogo impone il diritto alla parità delle chance di tutte le confessioni (lo Stato deve garantire a tutte le confessioni religiose la partecipazione ai mezzi giuridici predisposti dall’ordinamento per rendere effettivo il perseguimento dei diritti di libertà). Diritto di libertà delle chance non significa che tutte le confessioni religiose debbano essere assoggettate a un regime giuridico uniforme; l’art 8 comma 1 Cost parla di confessioni religiose egualmente libere, ma lascia aperta la possibilità di un regime giuridico parzialmente differenziato. Il principio del pluralismo confessionale che sta a fondo del primo comma dell’art 8 Cost impone cioè che in ragione della specifica identità, delle specifiche esigenze della singola confessione religiosa possa darsi luogo ad un regime giuridico parzialmente differenziato per ogni singola confessione religiosa -> art 8 comma 1 lascia allo Stato la possibilità di valorizzare le identità specifiche di ogni singola confessione religiosa mediante la regolazione dei reciproci rapporti, con lo Stato, calibrata sulla base delle proprie specificità. Contrapposizione di due tesi: 1. Tesi che ritiene le intese siano negozi di diritto pubblico interno -> le intese costituirebbero il presupposto, in senso giuridico, della legge che riproduce il contenuto dell’intesa; 2. Tesi che ritiene che le intese avrebbero rilievo, non sul piano del diritto interno, ma sul piano di un diritto esterno allo Stato, diverso dal diritto internazionale, in cui si incontrano le volontà dello Stato e della confessione religiosa in questione -> questa è la diretta conseguenza di un corollario che la dottrina ricava dal comma 2 art 8 Cost. L’art 8 comma 3 Cost dà alle confessioni religiose la possibilità di accedere alla stipula di intese, ma questo non costituisce un obbligo per le confessioni religiose -> le confessioni religiose potrebbero scegliere autonomamente di non accedere alla stipula di un'intesa con lo Stato, ma vi sono casi in cui le confessioni religiose non possono accedere alla stipula di intese con lo Stato: es congregazione dei testimoni di Geova -> questi hanno stipulato nel 2007 un'intesa con il governo italiano, ma il disegno di legge di approvazione dell’intesa giace in Parlamento poiché quest'ultimo non ha mai approvato l'intesa per motivi di natura politica. L’iter di approvazione delle intese non è disciplinato da alcuna legge, ma in via di prassi le intese che finora sono state approvate hanno previsto questi passaggi: ● presupposto perché una confessione religiosa possa avviare la procedura di stipula di un'intesa è il previo riconoscimento della personalità giuridica, ai sensi della legge 1159/1929; ● richieste di intesa vanno rivolte al Presidente del Consiglio dei ministri, il quale affida l’incarico di condurre le trattative con le rappresentanze delle confessioni religiose al Sottosegretario alla presidenza del consiglio; ● il Sottosegretario presiede la Commissione Interministeriale per le intese, la quale ha il compito di predisporre una bozza di intesa; ● la bozza di intesa, una volta siglata e avuto il parere preliminare della Commissione per la libertà religiosa, viene siglata dal Sottosegretario e dal rappresentante della confessione religiosa e sottoposta all’esame del Consiglio dei ministri; ● il Consiglio dei ministri autorizza la firma ufficiale del Presidente del Consiglio dei ministri; ● l’intesa viene trasmessa al Parlamento per l’emanazione della legge di approvazione. Una volta che il disegno di legge è proposto in Parlamento, il Parlamento ha di fronte 2 strade: 1. lo approva senza modifiche; 2. non lo approva. Vi deve essere una necessaria conformità tra il contenuto dell’intesa e il contenuto della legge di approvazione dell’intesa, altrimenti si violerebbe la procedura rinforzata, prevista dall’art 8 comma 3 Cost, e il prodotto legislativo, che ne uscirebbe, sarebbe viziato da illegittimità costituzionale. Il Parlamento non può autonomamente modificare o derogare all’intesa raggiunta, vi è un vincolo di necessaria conformità tra la legge di approvazione e l’intesa raggiunta con la confessione religiosa. Le confessioni che non possono o non vogliono aderire ad una intesa con lo Stato vedono il loro rapporti con lo Stato regolati dal diritto comune, in particolare dalla legge 1159/1929 (legge sui culti ammessi). DIRITTO ECCLESIASTICO 2020-2021 Lezione: 7 novembre 2020 Art. 19 Cost.: - sua storicità; - integrazione da parte delle fonti internazionali; - nozione di fede religiosa; - la libertà di coscienza; - la libertà di ateismo L’articolo 19 Costituzione Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa (1)in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume [cfr. artt.8, 20]. = deve essere imparato nel suo principio (1) Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa: precisazione preliminare importante, questa è una formula ampia rilevantissima , nella configurazione dei diritti fondamentali dei cittadini e dei non cittadini, “tutti”, è una formula che pur nella sua ampiezza e rilevanza ideale nel sistema costituzionale italiano è una formula anche da un certo punto di vista incompleta e integrabile, no è una notazione negativa: oggettivamente questa proposizione normativa viene costruita dal 1946 al ’48, si limita al riconoscimento della sola libertà positiva di religione, riconoscendo delle facoltà indubbiamente estese, ma nello stesso tempo facoltà ce sono tipiche di chi? Si vede scolpito un fedele tipo, cioè il fedele nelle facoltà, di una religione organizzata: quando il costituente scolpisce l’articolo 19 Costituzione ha di fronte la cd la confessione di maggioranza, cioè la Chiesa cattolica, ma aveva di fronte altre confessioni organizzate, ance da antica data come ad esempio le comunità ebraica, queste in Italia erano state regolate da una legge, cd legge Falco del 1930, di cui quest’anno sarebbe anche l’anniversario. È una formula incompleta ed integrabile perché è una formula ristretta rispetto a quelle internazionali nella medesima materia se noi andassimo a vedere l’articolo 18 del Patto sui diritti politici e civili dell’ONU; articolo 9 della Carta europea dei diritti dell’uomo; articoli 10 e 17 della Carta di Nizza, in quelle formule che riguardano la libertà religiosa di rango internazionale, sono molto più ampie perché esplicitano delle facoltà ulteriori rispetto a quelle rilevanti dell’articolo 19 Costituzione: queste facoltà ulteriori sono: i. La libertà di coscienza; l’articolo 19 non la esplicita; ii. La libertà di mutare il proprio credo in ogni momento, il soggetto, l’individuo, il cittadino o non è padrone di avere una religione diversa per ogni ora della giornata, lo ius mutandi, il diritto, la libertà di mutare il credo; iii. Il diritto di non avere alcun credo: il diritto di ateismo coperto dalla libertà religiosa non è scontato, in Italia anche ad opera della Corte costituzionale ha avuto una copertura da parte della giurisprudenza della Corte costituzionale diversa, agli inizi degli anni ’60 dice che il diritto all’ateismo, cioè la libertà di non avere nessuna confessione religiosa non è garantito dall’articolo 19 Costituzione, ma è garantito dal principio relativo di libertà di manifestazione del pensiero. Il diritto di ateismo o la libertà di essere agnostici, cioè non prendere posizione in materia religiosa, questa impostazione risalente nel tempo è stata superata anche dalla Corte Cost.: è garantita dalla liberà manifestazione del pensiero. La limitatezza dell’enunciazione dell’articolo 19 Costituzione ha fondato un’ordinamento restrittivo iniziale della Corte costituzionale sentenza del 1960: nella parte motivata dice che l’ateismo comincia dove finisce la libertà religiosa; nel 1979 e nel 1996 ha detto che la libertà religiosa garantita dall’articolo 19 della Costituzione tutela anche i non credenti, atei e gli agnostici. Il Professore ha commentato un’ordinanza dell’inizio dell’anno 2020 della Corte di Cassazione è intervenuta su un fatto accaduto a Verona, in cui gli ( atei, agnostici e razionalisti in Italia sono rappresentati da una famosa associazione UAAR) questa associazione aveva fatto stampare dei manifesti di stampo ateistico e aveva chiesto al comune di Verona di affiggere questi manifesti, ma il comune negò questa possibilità, li si innescò un procedimento giurisdizionale che è finito alla Corte di cassazione, il quale ha prodotto un’ordinanza con un’articolata motivazione nella quale dice che l’articolo 19 della Costituzione copre anche l’ateismo, la professione di ateismo: per la prima volta utilizza un’espressione nella giurisprudenza “credo ateistico”, cosa è? È l’ateismo militante, motivato. Per quanto riguarda un’altra facoltà tipica della liberà religiosa, nella passeggiata storica che abbiamo fatto abbiamo già incrociato il diritto di mutare il credo religioso, il principio cuius regio illius et religio, cioè puoi mutare il credo ma devi andare via in un altro territorio in cui ci sia un principe che professa il credo da te adottato. I riferimenti al diritto del mutare il credo sono dei riferimenti. Meno espliciti dell’articolo 19 Costituzione, ma non c’è dubbio come ha detto la Corte Costituzionale nella sentenza 239/1984, dice che il diritto di mutare il credo può essere agevolmente ricompreso nell’articolo 19 Costituzione: è una sentenza che interveniva proprio sulla legge falco, e messa in pieno regime fascista nel 1930, disciplinava le comunità israelitiche, oggi dette comunità ebraiche, però si stabiliva l’appartenenza obbligatoria, per noi oggi concezione inconcepibile, dell’ebreo alle comunità israelitiche, anche il figli dovevano appartenere obbligatoriamente non avevano scelta: nel 1984 la Corte Costituzionale dichiara l’incostituzionalità della legge falco nella parte in cui stabiliva l’obbligo di appartenere alle comunità israelitiche regolate con legge unilaterale di Stato, per contrasto con gli articoli 2, 3 e 18 della Costituzione. Un’interpretazione costituzionale che sia integrata e rispettosa delle norme citate: nello sviluppo del diritto ecclesiastico italiano molte volte ci sono delle posizioni poco rispettose delle fonti di diritto internazionale, ci sono delle fonti in vigore nell’ordinamento: ad esempio all’importanza delle norme relativa a questa materia presente nella CEDU o nel Trattato fondativo dell’Unione europea. Man mano che si da rilievo alle fonti internazionali si amplia il contenuto della libertà religiosa, e allora tale libertà oggi comprende anche la libertà di coscienza, e che cosa è? Presuppone necessariamente la libertà di formarsi una coscienza, l’ordinamento interno reca tracce in alcune previsioni sulle libertà di formarsi una coscienza: ad esempio in materia scolastica, la libertà di coscienza degli alunni, oppure la libertà di avvalersi o meno dell’ora di religione a partire dal 14° anno di età, oppure viene garantita dalla tutela dei minorenni nella disciplina radiotelevisiva. Non sono trascurabili i vincoli che sarebbero imposti dalla Corte europea dei diritti dell’uomo relativamente all’insegnamento della materia, c’è una decisone importante de 2007, riguardava un caso norvegese: nelle scuole pubbliche norvegesi c’era la materia di Cristianità, religioni e filosofia e la Corte europea dei diritti dell’uomo ritiene una violazione dei diritti garantiti a livello europeo relativamente a alla non completa facoltatività di questo insegnamento, perché l’istruzione pubblica deve rispettare il Lezione: 11 novembre 2020 - l'ente ecclesiastico civilmente riconosciuto come concetto esteso alle confessioni con Intesa - i suoi profili generali: collegamento con la confessione / finalità essenziale di religione o di culto come elemento indefettibile; - l'art. 7 dell'Accordo del 1984 Argomento degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti L’articolo in oggetto sancisce un principio di eguaglianza per gli enti, non più un principio di uguaglianza per le persone fisiche ma gli enti che siano religiosamente determinati ed ispirati, articolo 20 Costituzione (N: B. va imparato bene domanda esame). Fonte normativa dell’accordo sulle modificazioni del 18 febbraio 1984: chiamato anche nuovo concordato: è importante perché al suo interno c’è un articolo il quale da la linee generali sugli enti ecclesiastici civilmente riconosciute e sulla gestione del patrimonio ecclesiastico in Italia: Realtà sociale ed economica in Italia degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti cattolici: dal punto di vista delle dimensioni sociali, e dal punto di vista dei riflessi economici è chiaro che gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti cattolici in Italia sono una realtà preponderante. I più diffusi in Italia sono: 1. decine di migliaia i di parrocchie, la parrocchia territoriale è un’istituzione locale, ed è un ente ecclesiastico civilmente riconosciuto; 2. Diocesi 3. Conventi 4. Monasteri 5. Chiese, quando analizzeremo la sent.222/1985, come tali non essendo parrocchiali sono delle persone giuridiche hanno come enti ecclesiastici civilmente riconosciuti. 6. Ci sono degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti al di fuori dell’esperienza confessionale cattolica, ad esempio le comunità ebraiche ad esempio a Padova, è riconosciuto da un punto di vista tecnico, gli enti cioè che mentono costruiti sul fondamento delle intese che riguardano per tentato la realtà e i riflessi giuridici delle intese con le confessioni religiose diverse dalla cattolica. Testo dell'Accordo Tenuto conto del processo di trasformazione politica e sociale verificatosi in Italia negli ultimi decenni e degli sviluppi promossi nella Chiesa dal Concilio Vaticano II; avendo presenti, da parte della Repubblica italiana, i principi sanciti dalla sua Costituzione, e, da parte della Santa Sede, le dichiarazioni del Concilio Ecumenico Vaticano II circa la libertà religiosa e i rapporti fra la Chiesa e la comunità politica, nonché la nuova codificazione del diritto canonico; considerato inoltre che, in forza del secondo comma dell'articolo 7 della Costituzione della Repubblica italiana, i rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica sono regolati dai Patti lateranensi, i quali per altro possono essere modificati di comune accordo dalle due Parti senza che ciò richieda procedimenti di revisione costituzionale; hanno riconosciuto l'opportunità di addivenire alle seguenti modificazioni consensuali del Concordato lateranense: Articolo 1 La Repubblica italiana e la Santa Sede riaffermano che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani, impegnandosi al pieno rispetto di tale principio nei loro rapporti ed alla reciproca collaborazione per la promozione dell'uomo e il bene del Paese. Articolo 2 1.La Repubblica italiana riconosce alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione. In particolare, è assicurata alla Chiesa la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale nonché della giurisdizione in materia ecclesiastica. 2. È ugualmente assicurata la reciproca libertà di comunicazione e di corrispondenza fra la Santa Sede, la Conferenza Episcopale Italiana, le Conferenze episcopali regionali, i Vescovi, il clero e i fedeli, così come la libertà di pubblicazione e diffusione degli atti e documenti relativi alla missione della Chiesa. 3. È garantita ai cattolici e alle loro associazioni e organizzazioni la piena libertà di riunione e di manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. 4. La Repubblica italiana riconosce il particolare significato che Roma, sede vescovile del Sommo Pontefice, ha per la cattolicità. Articolo 3 1. La circoscrizione delle diocesi e delle parrocchie è liberamente determinata dall'autorità ecclesiastica. La Santa Sede si impegna a non includere alcuna parte del territorio italiano in una diocesi la cui sede vescovile si trovi nel territorio di altro Stato. 2. La nomina dei titolari di uffici ecclesiastici è liberamente effettuata dall'autorità ecclesiastica. Quest'ultima dà comunicazione alle competenti autorità civili della nomina degli Arcivescovi e Vescovi diocesani, dei Coadiutori, degli Abati e Prelati con giurisdizione territoriale, così come dei Parroci e dei titolari degli altri uffici ecclesiastici rilevanti per l'ordinamento dello Stato. 3. Salvo che per la diocesi di Roma e per quelle suburbicarie, non saranno nominati agli uffici di cui al presente articolo, ecclesiastici che non siano cittadini italiani. Articolo 4 1. I sacerdoti, i diaconi ed i religiosi che hanno emesso i voti hanno facoltà di ottenere, a loro richiesta, di essere esonerati dal servizio militare oppure assegnati al servizio civile sostitutivo. 2. In caso di mobilitazione generale gli ecclesiastici non assegnati alla cura d'anime sono chiamati ad esercitare il ministero religioso fra le truppe, oppure, subordinatamente, assegnati ai servizi sanitari. 3. Gli studenti di teologia, quelli degli ultimi due anni di propedeutica alla teologia ed i novizi degli istituti di vita consacrata e delle società di vita apostolica possono usufruire degli stessi rinvii dal servizio militare accordati agli studenti delle università italiane. 4. Gli ecclesiastici non sono tenuti a dare a magistrati o ad altra autorità informazioni su persone o materie di cui siano venuti a conoscenza per ragione del loro ministero. Articolo 5 1. Gli edifici aperti al culto non possono essere requisiti, occupati, espropriati o demoliti se non per gravi ragioni e previo accordo con la competente autorità ecclesiastica. 2. Salvo i casi di urgente necessità, la forza pubblica non potrà entrare, per l'esercizio delle sue funzioni, negli edifici aperti al culto, senza averne dato previo avviso all'autorità ecclesiastica. 3. l'autorità civile terrà conto delle esigenze religiose delle popolazioni, fatte presenti dalla competente autorità ecclesiastica, per quanto concerne la costruzione di nuovi edifici di culto cattolico e delle pertinenti opere parrocchiali. Articolo 6 La Repubblica italiana riconosce come giorni festivi tutte le domeniche e le altre festività religiose determinate d'intesa fra le Parti. Articolo 7 1. La Repubblica italiana, richiamandosi al principio enunciato dall'articolo 20 della Costituzione, riafferma che il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto di una associazione o istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività. =analogamente ad altri delle altre intese con le confessioni diverse da quella cattolica richiama la natura fondamentale dell’articolo 20 Costituzione 2. (1) Ferma restando la personalità giuridica degli enti ecclesiastici che ne sono attualmente provvisti, (2) la Repubblica italiana, (4) su domanda dell'autorità ecclesiastica o con il suo assenso, (3) continuerà a riconoscere la personalità giuridica degli enti ecclesiastici aventi sede in Italia, (5) eretti o approvati secondo le norme del diritto canonico, i quali abbiano finalità di religione o di culto. Analogamente si procederà per il riconoscimento agli effetti civili di ogni mutamento sostanziale degli enti medesimi. = esprime un’attitudine conservativa dell’ordinamento giuridico italiano nei confronti degli enti ecclesiastici e nello stesso tempo e scolpisce gli elementi essenziali per il riconoscimento degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti: Il primo inciso parla (1) questa è una clausola conservativa dell’esistente, già nella legislazione concordataria del 1929 si trovava una clausola analoga, una disposizione del genere era molto importante perché da non dimenticare che in Italia moltissimi enti ecclesiastici esempio le parrocchie , monasteri, diocesi, noi non abbiamo la cognizione esatta del momento costitutivo, ci sono delle parrocchie che rimandano all’epoca medievale, quando si deve riconoscere un ente, il riconoscimento della personalità giuridica dell’ente ha come punto fondamentale il momento costitutivo, l’atto costitutivo: di molti enti ecclesiastici non si ha la disponibilità di fatto dell’atto costitutivo perché l’ente potrebbe essere nato molti secoli fa. Questo comma ha una linea di continuità che esisteva già nel concordato nel 1929: enumera quelli che debbono essere considerati i capisaldi per il riconoscimento di presupposti, quando un ente verrà eretto secondo le norme del diritto canonico l’autorità ecclesiastica farà la domanda per il riconoscimento, ma l’ente può essere semplicemente approvato secondo le norme del diritto canonico: in questo caso l’autorità ecclesiastica ai fini del riconoscimento darà il suo assenso: termine erezione è un utilizzo antichissimo, da erectio si trova anche nelle decretali medievali “erectio in titulum eclesiasticum”. Quando si deve fare la qualificazione giuridica di un ente antico per negare che questo ente sia un ente, non è un ente ecclesiastico civilmente riconosciuto, perché manca l’erectio in titulum ecclesiasticum: a Padova c’è un ente storico antichissimo non è un ente ecclesiastico civilmente riconosciuto perché non è mi stato eretto dell’autorità ecclesiastica ma da solo quella civile, e questo ente è annesso alla basilica di Sant’Antonio da Padova e si chiama Veneranda arca del Santo, è un ente non ecclesiastico nato in pieno medioevo all’epoca dei carraresi, nato con l’osso corpo di gestire la costruzione e la manutenzione conseguente della basilica di Sant’Antonio da Padova, rientra nelle categorie generale giuridiche delle fabbricerie, si è salvata dalla legge eversiva ottocentesca in quanto facevano salve le fabbricerie dei templi monumentali. 3. Agli effetti tributari gli enti ecclesiastici aventi fine di religione o di culto, come pure le attività dirette a tali scopi, sono equiparati a quelli aventi fine di beneficenza o di istruzione. Le attività diverse da quelle di religione o di culto, svolte dagli enti ecclesiastici, sono soggette, nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti, alle leggi dello Stato concernenti tali attività e al regime tributario previsto per le medesime. 4. Gli edifici aperti al culto, le pubblicazioni di atti, le affissioni all'interno o all'ingresso degli edifici di culto o ecclesiastici, e le collette effettuate nei predetti edifici, continueranno ad essere soggetti al regime vigente. 5. l'amministrazione dei beni appartenenti agli enti ecclesiastici è soggetta ai controlli previsti dal diritto canonico. Gli acquisti di questi enti sono però soggetti anche ai controlli previsti dalle leggi italiane per gli acquisti delle persone giuridiche. 6. All'atto della firma del presente Accordo, le Parti istituiscono una Commissione paritetica per la formulazione delle norme da sottoporre alla loro approvazione per la disciplina di tutta la materia degli enti e beni ecclesiastici e per la revisione degli impegni finanziari dello Stato italiano e degli interventi del medesimo nella gestione patrimoniale degli enti ecclesiastici. In via transitoria e fino all'entrata in vigore della nuova disciplina restano applicabili gli articoli 17, comma terzo, 18, 27, 29 e 30 del precedente testo concordatario. Articolo 8 1. Sono riconosciuti gli effetti civili ai matrimoni contratti secondo le norme del diritto canonico, a condizione che l'atto relativo sia trascritto nei registri dello stato civile, previe pubblicazioni nella casa comunale. Subito dopo la celebrazione, il parroco o il suo delegato spiegherà ai contraenti gli effetti civili del matrimonio, dando lettura degli articoli del Codice civile riguardanti i diritti e i doveri dei coniugi, e redigerà quindi, in doppio originale, l'atto di matrimonio, nel quale potranno essere inserite le dichiarazioni dei coniugi consentite secondo la legge civile. La Santa Sede prende atto che la trascrizione non potrà avere luogo: a) quando gli sposi non rispondano ai requisiti della legge civile circa l'età richiesta per la celebrazione; b) quando sussiste fra gli sposi un impedimento che la legge civile considera inderogabile. La trascrizione è tuttavia ammessa quando, secondo la legge civile, l'azione di nullità o di annullamento non potrebbe essere più proposta. La richiesta di trascrizione è fatta, per iscritto, dal parroco del luogo dove il matrimonio è stato celebrato, non oltre i cinque giorni dalla celebrazione. l'ufficiale dello stato civile, ove sussistano le condizioni per la trascrizione, la effettua entro ventiquattro ore dal ricevimento dell'atto e ne dà notizia al parroco. Il matrimonio ha effetti civili dal momento della celebrazione, anche se l'ufficiale dello stato civile, per qualsiasi ragione, abbia effettuato la trascrizione oltre il termine prescritto. La trascrizione può essere effettuata anche posteriormente su richiesta dei due contraenti, o anche di uno di essi, con la conoscenza e senza l'opposizione dell'altro, sempre che entrambi abbiano conservato ininterrottamente lo stato libero dal momento della celebrazione a quello della richiesta di trascrizione, e senza pregiudizio dei diritti legittimamente acquisiti dai terzi. 2. Le sentenze di nullità di matrimonio pronunciate dai tribunali ecclesiastici, che siano munite del decreto di esecutività del superiore organo ecclesiastico di controllo, sono, su domanda delle parti o di una di esse, dichiarate efficaci nella Repubblica italiana con sentenza della corte d'appello competente, quando questa accerti: a) che il giudice ecclesiastico era il giudice competente a conoscere della causa in quanto matrimonio celebrato in conformità del presente articolo; b) che nel procedimento davanti ai tribunali ecclesiastici è stato assicurato alle parti il diritto di agire e di resistere in giudizio in modo non difforme dai principi fondamentali dell'ordinamento italiano; c) che ricorrono le altre condizioni richieste dalla legislazione italiana per la dichiarazione di efficacia delle sentenze straniere. La corte d'appello potrà, nella sentenza intesa a rendere esecutiva una sentenza canonica, statuire provvedimenti economici provvisori a favore di uno dei coniugi il cui matrimonio sia stato dichiarato nullo, rimandando le parti al giudice competente per la decisione sulla materia. 3. Nell'accedere al presente regolamento della materia matrimoniale la Santa Sede sente l'esigenza di riaffermare il valore immutato della dottrina cattolica sul matrimonio e la sollecitudine della Chiesa per la dignità ed i valori della famiglia, fondamento della società. Articolo 9 1. La Repubblica italiana, in conformità al principio della libertà della scuola e dell'insegnamento e nei termini previsti dalla propria Costituzione, garantisce alla Chiesa cattolica il diritto di istituire liberamente scuole di ogni ordine e grado e istituti di educazione. A tali scuole che ottengano la parità è assicurata piena libertà, ed ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni delle scuole dello Stato e degli altri enti territoriali, anche per quanto concerne l'esame di Stato. 2. La Repubblica italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i princìpi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado. Nel rispetto della libertà di coscienza e della responsabilità educativa dei genitori, è garantito a ciascuno il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento. All'atto dell'iscrizione gli studenti o i loro genitori eserciteranno tale diritto, su richiesta dell'autorità scolastica, senza che la loro scelta possa dar luogo ad alcuna forma di discriminazione. Articolo 10 1. Gli istituti universitari, i seminari, le accademie, i collegi e gli altri istituti per ecclesiastici e religiosi o per la formazione nelle discipline ecclesiastiche, istituiti secondo il diritto canonico, continueranno a dipendere unicamente dall'autorità ecclesiastica. 2. I titoli accademici in teologia e nelle altre discipline ecclesiastiche, determinate d'accordo tra le Parti, conferiti dalle Facoltà approvate dalla Santa Sede, sono riconosciuti dallo Stato. Sono parimenti riconosciuti i diplomi conseguiti nelle Scuole vaticane di paleografia, diplomatica e archivistica e di biblioteconomia. 3. Le nomine dei docenti dell'Università Cattolica del Sacro Cuore e dei dipendenti istituti sono subordinate al gradimento, sotto il profilo religioso, della competente autorità ecclesiastica. Articolo 11 1. La Repubblica italiana assicura che l'appartenenza alle forze armate, alla polizia, o ad altri servizi assimilati, la degenza in ospedali, case di cura o di assistenza pubbliche, la permanenza negli istituti di prevenzione e pena non possono dar luogo ad alcun impedimento nell'esercizio della libertà religiosa e nell'adempimento delle pratiche di culto dei cattolici. 2. l'assistenza spirituale ai medesimi è assicurata da ecclesiastici nominati dalle autorità italiane competenti su designazione dell'autorità ecclesiastica e secondo lo stato giuridico, l'organico e le modalità stabiliti d'intesa fra tali autorità. Articolo 12 1. La Santa Sede e la Repubblica italiana, nel rispettivo ordine, collaborano per la tutela del patrimonio storico ed artistico. Al fine di armonizzare l'applicazione della legge italiana con le esigenze di carattere religioso, gli organi competenti delle due Parti concorderanno opportune disposizioni per la salvaguardia, la valorizzazione e il godimento dei beni culturali d'interesse religioso appartenenti ad enti e istituzioni ecclesiastiche. La conservazione e la consultazione degli archivi d'interesse storico e delle biblioteche dei medesimi enti e istituzioni saranno favorite e agevolate sulla base di intese tra i competenti organi delle due Parti. 2. La Santa Sede conserva la disponibilità delle catacombe cristiane esistenti nel suolo di Roma e nelle altre parti del territorio italiano con l'onere conseguente della custodia, della manutenzione e della conservazione, rinunciando alla disponibilità delle altre catacombe. Con l'osservanza delle leggi dello Stato e fatti salvi gli eventuali diritti di terzi, la Santa Sede può procedere agli scavi occorrenti ed al trasferimento delle sacre reliquie. Articolo 13 1. Le disposizioni precedenti costituiscono modificazioni del Concordato lateranense accettate dalle due Parti, ed entreranno in vigore alla data dello scambio degli strumenti di ratifica. Salvo quanto previsto dall'articolo 7, n. 6, le disposizioni del Concordato stesso non riprodotte nel presente testo sono abrogate. 3) i criteri per la scelta dei libri di testo; 4) i profili della qualificazione professionale degli insegnanti. c) Le disposizioni di tale articolo non pregiudicano il regime vigente nelle regioni di confine nelle quali la materia è disciplinata da norme particolari. 6. In relazione all'articolo 10 La Repubblica italiana, nell'interpretazione del n. 3 - che non innova l'articolo 38 del Concordato dell'11 febbraio 1929 - si atterrà alla sentenza 195/1972 della Corte costituzionale relativa al medesimo articolo. 7. In relazione all'articolo 13, n. 1 Le Parti procederanno ad opportune consultazioni per l'attuazione, nel rispettivo ordine, delle disposizioni del presente Accordo. Il presente Protocollo addizionale fa parte integrante dell'Accordo che apporta modificazioni al Concordato lateranense contestualmente firmato tra la Santa Sede e la Repubblica italiana. Roma, diciotto febbraio millenovecentottantaquattro. Agostino Card. Casaroli Bettino Craxi Abbiamo visto gli elementi essenziali dell’articolo 7 dell’accordo del 1984, si vedranno i singoli elementi costitutivi ed essenziali di un ente ecclesiastico civilmente riconosciuto in modo più analitico: bisogna dare una valutazione globale su questi enti. Di che cosa sono il riflesso gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti? Il libro primo del Codice civile prevede due categorie generali da un punto di vista dogmatico: Le associazioni Le fondazioni Se dovessi mo ascoltare i dogmi del separatismo gli stessi enti religiosi cattolici o non cattolici, dovrebbero organizzarsi secondo il diritto comune, cioè dovrebbero organizzarsi secondo l’abito giuridico delle associazioni o l’abito giuridico delle fondazioni, la realtà è che tutti gli ordinamenti confessionali presentano molto spesso delle strutture complesse, esempio le parrocchie potrebbero essere viste come una fondazione, ma non è così pacifico, nel codice del diritto canonico viene definite come una certa comunità di fedeli sotto l’autorità di un parroco, qualificare la parrocchia come semplicemente una fondazione è riduttivo e distorcente: la realtà delle strutture degli enti religiosi negli ordinamenti confessionali sono delle strutture complesse, articolate, variegate e soprattutto queste strutture debbono avere delle finalità precise come quelle di religione o di culto. Rispetto a questi enti la nostra costituzione, all’articolo 20 ha sancito la illegittimità di qualunque disciplina che ne stabilisca un trattamento peggiore rispetto a quello riservato a questi enti, o meglio agli latri enti civili. Gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti costituiscono una categoria generale: la loro esperienza non riguarda solo gli enti cattolici, anzi l’insistente indirizzo dottrinale dopo il concordato del 1929, utilizzava la terminologia ente ecclesiastico solo per gli enti cattolici, mentre gli altri erano quelli dei culti ammessi: oggi è difficile pensare che nel sistema attuale conseguente alle intese il predicato ecclesiastico serva a distinguere gli enti cattolici dagli altri enti religiosi, perché? Perché questo predicato “ente ecclesiastico” è utilizzato nelle fonti pattizie, convenzionali le intese anche in riferimento agli enti valdesi, avventisti, pentecostali, Battisti, luterani, mormoni e alle chiese ortodosse; mentre l’intesa con le comunità ebraiche si parla di enti ebraici; non si parla di enti ecclesiastici neppure nel caso dei testimoni di Geova, induisti, buddisti e degli apostolici. Sembrerebbe che il requisito, l’appellativo “ecclesiastico” generalmente indichi un ente esponenziale delle confessioni cristiani (ma il docente non è convinto). Va sottolineato un altro dato generale, “fine di religione o di culto”: sembra una condizione necessaria per la riconoscibilità, nell’ambito dell’ordinamento interno, statuale, di un ente confessionale come persona giuridica: la legge definisce le finalità di religione o di culto: quindi il fine di religione o di culto è la nota individuante, indefettibile, insostituibile del carattere ecclesiastico dell’ente: l’ecclesiasticità è l’espressione sintetica di una attività, cioè dell’attività di religione o di culto; da questo punto di vista l’ente ecclesiastico come termine, denominazione sembra il sinonimo dell’ente confessionale. Sussiste un legame sancito dalla normativa pattizia più recente tra l’ecclesiasticità dell’ente e l’attività di religione o di culto: voluto dallo Stato nell’esperienze pattizie più recenti, l’accordo dell’84 con la chiesa cattolica e poi le intese, questo legame casuale o è veramente voluto dallo Stato? Questo legame è stato fortemente voluto dallo Stato, il legame tra l’ecclesiasticità dell’ente e le finalità di religioni o di culto: all’appellativo di ente ecclesiastico civilmente riconosciuto e anche il trattamento giuridico relativo ma non ha finalità di religione o di culto teoricamente questo potrebbe anche avvenire, ma di fatto no, perché lo Stato vuole evitare sancendo questo legame indefettibile: che cosa interessa allo Stato? Vuole evitare ogni possibile trasformismo, dequalificazione degli enti ecclesiastici, essendo ad esempio garantiti sul piano tributario e il pericolo è che sia svolga attività commerciale: esempio se abbia finalità di educazione cristiana e che nello stesso tempo svolga attività scolastica commerciale; ad esempio la figura di Don Bosco fondava delle scuole per i ragazzi poveri, nei suoi istituti erogava l’attività educativa gratuitamente ai ragazzi del popolo, oggi nei collegi salesiani si fa l’attività educativa dietro il pagamento di una retta, come deve essere considerata questa attività? È una attività di finalità di religione o di culto o attività commerciale? Questo ci aiuta ad individuare i motivi per cui lo Stato voglia I caratteri di: - dell’ecclesiasticità dell’ente sia legata alle finalità di religione o di culto; - per evitare la dequalificazione e il trasformismo dell’ente ecclesiastico; Questo comporta da parte dello Stato la pretesa assoluta nel momento in cui un ente riconosciuto come ente ecclesiastico non svolga più in maniera essenziale attività di religione o di culto in quel momento possa intervenire la revoca del riconoscimento e l’impossibilità per l’ente di continuare a dirsi ente ecclesiastico. Punto centrale: legame generale indefettibile tra carattere giuridico di qualificazione di ecclesiasticità e finalità di religione o di culto: “Simul stabunt, simul cadent”: questa formula si diceva sui Patti del Laterano sul rapporto tra il trattato lateranensi e il concordato, pare che il Pontefice Pio XII, secondo cui continueranno ad essere vigenti insieme o cadranno insieme nel futuro: si segnala il rapporto giuridico che lo Stato italiano intravede nel collegamento tra la camicia giuridica dell’ecclesiasticità e le sue finalità di religione o di culto. Il riconoscimento da parte dello Stato della personalità giuridica, l’ente ecclesiastico civilmente riconosciuto non esiste perché l’autorità ecclesiastica gli da vita, anche nel caso dell’ente ecclesiastico civilmente riconosciuto deve passare attraverso il vaglio della Sovranità dello Stato, è questa che da la personalità giuridica agli enti sulla base di determinati presupposti: 1. Erezione nell’ordinamento confessionale o l’autorizzazione, l’assenso; 2. Le finalità di religione o di culto; Devono essere accertati dallo Stato in sede autoritativa. Questione generale e preliminare: quale è la natura della personalità giuridica riconosciuta agli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti? Nel passato in sede dottrinale taluno sosteneva che questi sarebbero stati degli enti pubblici: questo deve escludersi. Un altro filone dottrinale dice che sono delle persone giuridiche private, poi la via di mezzo, il terzium genus, dove sono definiti come una categoria a sé. Secondo il professore sono particolare categoria di persone giuridiche private, che assumono una loro fisionomia giuridica su una base pattizia, sempre come fondamento nella Sovranità dello Stato: persone giuridiche private dotate di una particolare autonomia. Quale è la modalità con cui viene riconosciuta la personalità giuridica? Quali sono i modi con i quali nel nostro ordinamento si realizza il riconoscimento della personalità giuridica degli enti religiosi o confessionali? 1. Riconoscimento della personalità giuridica dell’ente confessionale per antico possesso di Stato; 2. Riconoscimento per legge; 3. Riconoscimento secondo la procedura ordinaria o speciale stabilita dalla legge Queste sono le tre modalità attraverso la quale il nostro ordinamento avviene il riconoscimento giuridico di quella particolare categoria di persone giuridiche private con speciale autonomia che vanno sotto il nome di enti religiosi, enti confessionali ed enti ecclesiastici civilmente riconosciuti. Il terzo aspetto di specialità è una specialità che riguarda il regime giuridico, la disciplina nel nostro ordinamento di questi enti, perché gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti sono soggetti innanzitutto alla disciplina pattizia, cioè una disciplina che è il frutto dell’accordo tra lo Stato e, nel caso degli enti cattolici la Chiesa cattolica, nel caso degli enti appartenenti alle confessioni dotate di intesa, la confessione di volta in volta che stipula l’intesa. Quindi questo è il terzo elemento di specialità. Questo per inquadrare il tema di cui tratteremo a partire da oggi. Ci soffermeremo soprattutto sul primo aspetto, quello del riconoscimento. Come avviene questo riconoscimento? Quali sono i presupposti, i requisiti richiesti ad un ente che voglia essere riconosciuto come ente ecclesiastico? Entreremo nel vivo di questo riconoscimento. Ovviamente ci riferiremo anzitutto al procedimento speciale di riconoscimento degli enti ecclesiastici cattolici, cioè vedremo nel particolare come si svolge il loro riconoscimento, quali sono i requisiti richiesti loro, vedremo qual è la disciplina di derivazione pattizia applicabile agli enti ecclesiastici cattolici etc. Questo perché? Perché ci riferiamo a quelli cattolici e non a quelli delle altre confessioni (li vedremo in maniera marginale alla fine del corso)? Per due ragioni: 1-La disciplina che riguarda questo tema di fonte pattizia con la Chiesa cattolica è stata anche storicamente il modello di riferimento sul quale si sono poi conformate le altre discipline con le confessioni religiose. 2-Per un dato sociale. Noi siamo giuristi e dobbiamo tener conto dei dati sociali. Questo dato sociale ci dice che in Italia attualmente (sono dati del ministero dell’interno) ci sono all’incirca più di 30.000 enti ecclesiastici civilmente riconosciuti della confessione cattolica, a fronte circa di 150 o poco più enti ecclesiastici civilmente riconosciuti appartenenti a tutte le altre confessioni religiose. Quindi c’è questo dato sociologico da tener presente. Non che questo debba portare a una maggiore rilevanza degli enti ecclesiastici cattolici, ma semplicemente ci fa capire perché anzitutto dobbiamo concentrare la nostra attenzione di studio sugli enti ecclesiastici cattolici, per poi considerare anche gli altri. Quindi, fatta un po’ questa premessa, che spero vi abbia aiutato ad inquadrare il tema sul quale ci soffermeremo nel corso delle nostre lezioni, entriamo in medias res, parlando appunto del procedimento di riconoscimento dell’ente ecclesiastico cattolico agli effetti civili. Che cos’è questo procedimento? Abbiamo già detto che è un procedimento speciale che è stato definito in sede di accordi bilaterali tra Stato e Chiesa, e attraverso il quale un ente canonico, cioè un ente dell’ordinamento della Chiesa, dell’ordinamento canonico, acquisisce la personalità giuridica nell’ordinamento dello Stato. Ecco perché si parla di riconoscimento. È un procedimento, tecnicamente un procedimento amministrativo, attraverso il quale un ente costituito nell’ordinamento canonico, nell’ordinamento della Chiesa cattolica, acquisisce la personalità giuridica, viene riconosciuto, nell’ordinamento dello Stato. La normativa di derivazione pattizia, appunto accordo di revisione concordataria e legge 222 del 1985, prevede dei presupposti, dei requisiti, che l’ente deve dimostrare di soddisfare per poter essere appunto riconosciuto ed ottenere la personalità giuridica nell’ordinamento dello Stato. Le norme in cui troviamo enumerati, indicati questi requisiti sono in particolare due: 1-Articolo 7 n.2 dell’accordo di revisione concordataria; 2-In generale, i primi 3 articoli del titolo primo della legge 222 del 1985. Anche la legge 222 dell’85 è una legge ordinaria dello Stato, il cui contenuto però è frutto di un accordo tra lo Stato e la Chiesa: cioè c’è stata una commissione bilaterale che ha definito, di comune accordo fra le due parti, secondo una previsione contenuta nello stesso accordo di revisione concordataria, che ha definito un contenuto per questa legge che è andata a disciplinare gli enti, i beni, il finanziamento, diciamo la dimensione patrimoniale della presenza della Chiesa in Italia. Ebbene, nei primi 3 articoli del titolo primo di questa legge troviamo indicati i requisiti che gli enti devono soddisfare per essere riconosciuti all’interno dell’ordinamento dello Stato italiano. Vedremo che si tratta sia di requisiti generali (in particolare sono 4) ma anche di requisiti speciali, cioè ulteriori requisiti che si aggiungono a questi 4 e che sono previsti solo per alcune tipologie di enti. Ma su questo aspetto ci torneremo. La cosa che mi preme precisare è che questi requisiti, previsti dall’articolo 7 dell’accordo di revisione concordataria e dai primi articoli del titolo primo della legge 222 del 1985, sono gli unici requisiti che si richiedono a un ente canonico, cioè a un ente dell’ordinamento canonico, per accedere al riconoscimento agli effetti civili. Può sembrare una cosa banale il fatto che siano gli unici, ma in realtà su questo tema c’è stato un lungo dibattito, sia in dottrina, sia soprattutto in sede di prassi amministrativa ma anche con qualche riflesso in sede giurisprudenziale, cioè sul fatto che questi requisiti non fossero propriamente gli unici, cioè che fosse legittimo all’autorità statale richiedere non solo quei requisiti previsti nella disciplina pattizia, ma anche in generale tutti gli altri requisiti previsti dal codice civile per il riconoscimento della personalità giuridica agli enti di diritto comune. Mi spiego: la pubblica amministrazione aveva preso questa prassi, soprattutto nel caso di determinati enti, di dire “non richiedo solo quei requisiti previsti dalla normativa pattizia, ma richiedo quelli più tutti quelli previsti dalle norme di diritto comune e in particolare dal Codice civile, per il riconoscimento delle persone giuridiche diverse dalle società”. Quali sono questi requisiti ulteriori che venivano richiesti? Per fare degli esempi: la forma dell’atto pubblico per quanto riguarda l’atto costitutivo. Cioè, si richiedeva agli enti canonici che domandavano il riconoscimento di presentare un atto costitutivo redatto nella forma dell’atto pubblico notarile. Oppure, la pubblica amministrazione richiedeva la presentazione di uno statuto, cosa che non sempre gli enti canonici hanno; o ancora ulteriore requisito che richiedeva era quello della consistenza patrimoniale, cioè l’ente doveva dimostrare di avere un patrimonio iniziale adeguato ai fini che si proponeva di perseguire. Ebbene, questa prassi, che aveva suscitato un certo dibattito, è stata interrotta formalmente con un’intesa tecnica- interpretativa del 1997, cioè le due parti, Stato e Chiesa, si sono nuovamente ritrovate in una commissione paritetica e hanno stilato un’intesa volta a interpretare alcune disposizioni dell’accordo di revisione e della legge 222 dell’85. Ebbene, in questa sede si è proprio sancito il principio che vi dicevo: che quei requisiti, che sono frutto dell’accordo tra lo Stato e la Chiesa, sono gli unici requisiti, e non è legittimo che la pubblica amministrazione richieda all’ente che domanda il riconoscimento civile di soddisfare ulteriori requisiti previsti dalla normativa di diritto comune, quindi dal Codice civile. Quindi, non è necessario ad esempio che l’ente produca un atto costitutivo redatto nella forma dell’atto pubblico notarile, o ancora non deve dimostrare in sede di riconoscimento nessuna particolare consistenza patrimoniale. Su questo punto però vi faccio una precisazione, lo vedremo poi: tutto il procedimento termina con l’iscrizione dell’ente nel registro delle persone giuridiche; in quel momento comunque l’ente sarà tenuto ad indicare qual è il suo patrimonio, e dovrà fare questa cosa a fini di pubblicità, cioè di tutela dei terzi che devono sapere qual è la consistenza patrimoniale dell’ente. Tuttavia, questo patrimonio non costituisce un requisito per il riconoscimento, perché? Perché non è previsto dalla normativa pattizia. L’intesa tecnica interpretativa del 97 dice proprio che: “non si applicano agli enti ecclesiastici le norme dettate dal Codice civile in tema di costituzione, struttura, amministrazione ed estinzione delle persone giuridiche, ma ad essi è richiesto sono soddisfare i requisiti previsti dalla normativa di derivazione pattizia.” Bene, allora vediamo di capire quali sono questi requisiti. Vi dicevo, ci sono dei requisiti generali e dei requisiti speciali. Iniziamo a vedere quelli generali. Sono 4, e servono anzitutto a provare, in sede di riconoscimento, che l’ente presenta quei caratteri di specialità sostanziale che vi dicevo all’inizio, che sono due, cioè il fine di religione o di culto e il collegamento con la confessione cattolica. Quindi, i requisiti generali che si richiede all’ente di dimostrare in sede di riconoscimento, servono a dimostrare appunto che l’ente presenta questi caratteri speciali. Vediamo quali sono questi 4 requisiti: 1-Erezione o approvazione da parte dell’autorità ecclesiastica dell’ente. L’ente è collegato all’autorità ecclesiastica, e questo requisito ci dice che possono essere riconosciuti agli effetti civili solo gli enti che sono stati costituiti o approvati dall’autorità ecclesiastica secondo le norme del diritto canonico. L’ordinamento statale, con questo requisito, esige dalla Chiesa una c.d. prova di appartenenza, cioè occorre certificare che quell’ente che richiede il riconoscimento esiste nell’ordinamento della Chiesa, nell’ordinamento canonico. Però cosa significa eretto o approvato nell’ordinamento della Chiesa? Può voler dire diverse cose, vediamo alcune ipotesi. Certamente, un ente che sia dotato di personalità giuridica nell’ordinamento della Chiesa è un ente che soddisfa questo requisito, cioè è eretto o approvato dall’autorità ecclesiastica. (Faccio una piccola parentesi: anche l’ordinamento canonico ha al suo interno delle norme che riguardano gli enti e riguardano la personalità giuridica degli enti nell’ordinamento della Chiesa.) Tuttavia, nella Chiesa non esiste solo l’erezione di persona giuridica, ma esistono anche altre forme di approvazione dell’autorità ecclesiastica di enti. Ad esempio, ci sono delle associazioni di fedeli che non hanno la personalità giuridica nell’ordinamento canonico, ma che sono stati comunque approvati, attraverso l’approvazione dei loro statuti, da parte dell’autorità ecclesiastica, ad esempio il vescovo. Il vescovo, con un proprio atto, approva gli statuti di una determinata associazione di fedeli. Oppure, nell’ordinamento della Chiesa esistono delle fondazioni che non sono dotate di personalità giuridica ma sono dei patrimoni destinati ad un determinato scopo, che però sono collegati, connessi ad enti dotati di personalità giuridica. Quindi, queste figure soddisfano il requisito dell’erezione o approvazione da parte dell’autorità ecclesiastica, ai fini del riconoscimento civile? La risposta, in linea di massima, è sì, perché anche questi hanno ricevuto dall’autorità ecclesiastica una forma di approvazione, diversa dall’erezione di persona giuridica, ma comunque una forma di approvazione. Però dobbiamo tener presente che ci sono delle norme, o sempre di derivazione pattizia, o regolamentari interne della Chiesa, che impediscono a questi enti di acquisire la personalità giuridica di diritto civile, cioè di essere riconosciuti nell’ordinamento dello Stato. Quindi, nella sostanza, possiamo dire che ad oggi, sulla base della normativa vigente, solo gli enti che sono dotati già di personalità giuridica nell’ordinamento canonico soddisfano il requisito dell’erezione o approvazione da parte dell’autorità ecclesiastica per ottenere il riconoscimento civile. 2-Assenso dell’autorità ecclesiastica al riconoscimento civile; Questi primi due requisiti servono a dimostrare che l’ente è collegato alla confessione cattolica, alla Chiesa cattolica. 3-È un requisito che fa riferimento alla c.d. nazionalità dell’ente, cioè l’ente deve dimostrare, proprio perché chiede il riconoscimento all’ordinamento italiano, di avere la propria sede in Italia. 4-L’ente deve dimostrare di avere fine di religione o di culto. Il requisito più importante, che dal punto di vista sostanziale ha un peso maggiore e che si presta a maggior discrezionalità nell’apprezzamento. L’ente deve perseguire in modo costitutivo ed essenziale un fine religioso. Questo costitutivo ed essenziale ci dice già una cosa: questo fine non è il fine esclusivo dell’ente, ma può perseguire anche altri fini, in particolare dei fini di carattere caritativo. Tuttavia, questi fini di carattere caritativo possono essere solo eventuali, secondari, NON costitutivi ed essenziali, perché costitutivo ed essenziale deve essere il fine di religione o di culto. Dire che un ente deve perseguire un fine di religione o di culto (due fini differenti, alternativi o combinati, ma due fini diversi) può apparire una cosa un po' evanescente, un requisito dai confini un po' poco nitidi. Pensiamo, innanzitutto, come determiniamo quale è lo scopo, il fine di un ente? Quali sono dei fini di religione o di culto? Consapevoli di questa evanescenza, la normativa di derivazione pattizia non si è limitata ad enunciare questo requisito (persecuzione di fini religiosi o di culto), ma ha anche specificato, determinato un contenuto più puntuale di questo fine, dicendo che, il fine di religione o di culto deve essere accertato di volta in volta in conformità alle disposizioni dell’articolo 16 della legge 222. Andiamo a capire cosa dice questo art. 16 [vi faccio una raccomandazione: mentre studiate sui vostri appunti etc. tenete ben presente questa norma, leggetene il testo, è una norma fondamentale nel contesto della materia che ci occupa.] L’art. 16 ci presenta due elenchi di attività: un elenco di attività di religione o di culto, cioè quelle che ai fini civili si considerano attività di religione o di culto e un elenco di attività diverse da quelle di religione o di culto. Allora che significato ha questo rinvio a questa norma? Il rinvio a questa norma significa che il legislatore pattizio ha scelto di identificare, definire il fine di religione o di culto in base a un principio: il principio di effettività. Il principio di effettività che è molto utilizzato soprattutto in ambito tributario ma anche in altri contesti come appunto quello ecclesiastico dove ha trovato molto riscontro. Il principio di effettività ci dice che il fine di un ente non è quello che lui dichiara di perseguire nel proprio statuto, nel proprio atto costitutivo o qualsiasi altra formale dichiarazione, ma è quello identificato dall’attività che quell’ente svolge , principio di effettività, lo scopo, il fine di un ente deriva, dipende dall’attività che effettivamente quell’ente svolge.Nel nostro caso significa che un ente ha fine di religione o di culto.non quando dice nel proprio statuto di riconoscimento degli enti appartenenti agli altri culti nella parte finale di questo blocco di lezioni. I requisiti che abbiamo visto ai fini del riconoscimento sono i requisiti generali e sono 4: 1. L’ente deve essere costituito o approvato dall’autorità ecclesiastica; 2. Deve avere l’assenso dall’autorità ecclesiastica al riconoscimento civile; 3. Deve avere la sede in Italia; 4. Deve avere fine di religione e di culto, con riferimento a questo fine deve essere un fine costitutivo ed essenziale e deve essere accertato sulla base del ‘’principio di effettività’’ cioè in relazione all’attività che effettivamente svolge l’ente. Come fare questo accertamento? Come la pubblica amministrazione svolge questo accertamento? Facendo riferimento a una norma importantissima che è l’art.16 della Legge 222. Art.16 che distingue due elenchi (vi ho raccomandato di impararli) di attività: quelle di religione o di culto; e quelle che sono diverse da quelle di religione o di culto. L’ente per avere fine costitutivo ed essenziale di religione o di culto deve dimostrare di svolgere una delle attività dell’art.16 lett. A, come proprio compito essenziale, deve essere sia qualitativamente che quantitativamente l’attività che costituisce l’impegno principale per l’ente che domanda il riconoscimento. La regola è che questo fine viene accertato di volta in volta, tuttavia ci sono delle eccezioni perché ci sono alcuni tipi di enti che sono specificatamente identificati dalla L. 222/1985 per i quali è prevista un’eccezione: non occorre verificare di volta in volta, come da regola generale, il requisito costitutivo ed essenziale di religione o di culto, ma questo requisito può presumersi, perché ci sono alcuni enti appartenenti a 3 categorie che per la loro natura, la loro conformazione, sicuramente perseguono in maniera costitutiva ed essenziale un fine di religione o di culto, per tanto in sede di definizione delle regole in relazione al riconoscimento si è scelto che per questi enti non occorra andare tutte le volte a verificare questo requisito, il quale si può dare per presunto. Resta valido il requisito ma non va accertato di volta in volta. Quali sono questi enti? La L. n. 222/1985 all’art.2 co. 1, li identifica negli enti che fanno parte della costituzione gerarchica della Chiesa, gli istituti religiosi e i seminari. Vuol dire che quando un ente appartenente a queste categorie domanda il riconoscimento non è tenuto a dimostrare il requisito del fine, perché questo requisito si presume; quindi dovrà dimostrare gli altri: di essere costituito o eretto dall’autorità ecclesiastica, di avere l’assenso al riconoscimento e di avere la sede in Italia, il quarto requisito si presume. Vediamo meglio quali sono questi enti: cosa si intende per ‘’enti che fanno parte della costituzione gerarchica della Chiesa’’? Sono quegli enti che costituiscono la struttura, l’ossatura organizzativa essenziale della Chiesa, in primo luogo due tipologie di enti che sono le parrocchie e le diocesi. La parrocchia per sua natura per il tipo di ente che è sicuramente ha un fine costitutivo ed essenziale di religione e di culto, sennò non sarebbe una parrocchia, ecco perché si può presumere. Quindi le parrocchie e le diocesi, ma non sono gli unici enti appartenenti alla costituzione gerarchica della Chiesa, ce ne sono altri come le Regioni Ecclesiastiche, oppure le Abbazie territoriali, il Consiglio di Stato ha qualificato come appartenente alla costituzione gerarchica della Chiesa anche le prelature personali, che sono in sostanza degli enti analoghi che possono essere equiparati alla diocesi, in realtà di prelature personali ne esiste una sola che è quella dell’Opus Dei. Quando vi viene chiesto un esempio di ente gerarchico della chiesa appartenente alla sua struttura organizzativa sicuramente potete fare riferimento alle parrocchie e alle diocesi che sono un po’ quelli che conoscete di più. Il secondo gruppo sono gli istituti religiosi, per intenderci, gli ordini religiosi, quelli che volgarmente (non utilizzate questo termine in sede di esame) si identificano come frati, suore ecc., le congregazioni e così via; tutti quegli istituti e congregazioni i cui membri fanno riferimento in vario modo ai consigli evangelici di castità, povertà e obbedienza. Anche in questo caso l’interpretazione di questa categoria è stata ampliata in sede interpretativa e sebbene la norma faccia riferimento agli istituti religiosi il Consiglio di Stato ha avuto modo di puntualizzare che anche i così detti ‘’istituti di vita consacrata’’, anche quelli laici come il terzo ordine ecc., rientrano in questa categoria. Quindi seconda categoria: gli istituti di vita consacrata, chiamiamola così, esempio ordini e congregazioni religiose. La terza categoria è molto più semplice, quella dei seminari, i quali sono degli enti di natura prevalentemente fondazionale che si occupano della formazione di coloro che diventeranno sacerdoti, e quindi saranno ammessi ai tre gradi di ordine sacro (diaconato, presbiterato ed episcopato), quindi è la scuola formativa di chi diventa sacerdote. Quindi per gli enti che appartengono a queste tre categorie il fine di religione o di culto si presume, anche i seminari capite che hanno come attività esclusiva la formazione del clero e dei religiosi, che sappiamo essere un’attività di cui all’art.16 lett. A, per cui siccome tipicamente il seminario svolge quell’attività non deve necessariamente dimostrare di avere il fine di religione o di culto perché sicuramente soddisfa quel requisito. Per tutti gli altri enti ecclesiastici riconosciuti, e ce ne sono di diverso tipo, invece bisogna accertarlo di volta in volta, cioè la finalità dell’ente sarà fatta oggetto di un accertamento specifico e l’ente stesso potrà essere destinatario di un diniego da parte della pubblica amministrazione se non soddisfa il requisito del fine istitutivo essenziale di religione o di culto. In cosa consiste questo accertamento? Sostanzialmente nella valutazione della documentazione prodotta che deve dimostrare qual è l’attività che costituisce l’impegno qualitativo e quantitativo principale dell’ente, ma potrà svolgere anche una indagine ulteriore per verificare anche la rispondenza di quanto prodotto e dichiarato alla verità dei fatti. Quindi sia la Prefettura che lo stesso Ministero potranno valutare la documentazione ed eventualmente effettuare delle indagini ulteriori per verificare quanto dichiarato. L’accertamento della finalità di religione o di culto è certamente un’attività discrezionale. La normativa pattizia, la L. n. 222 in particolare, prevede dei requisiti ulteriori, dei requisiti speciali, richiesti non a tutti gli enti come quelli generali, ma solo ad alcune tipologie di enti. I requisiti generali bisogna dimostrarli tutti, per alcuni enti si prevedono dei requisiti ulteriori e speciali rispetto a questi. Quali sono questi enti? 1- Istituti religiosi e le società di vita apostolica. Per esempio, ordini e congregazioni religiose (frati e suore) di cui ne abbiamo già parlato, a questi enti per il riconoscimento si chiede qualcosa in più cioè di avere la propria sede principale in Italia, quindi non solo una qualsiasi sede in Italia, in alternativa in Italia deve esserci l’attività esclusiva o principale di questo istituto religioso o società di vita apostolica. Le società di vita apostolica, sulle quali non possiamo soffermarci sopra, sono sostanzialmente degli enti analoghi. Gli istituti religiosi, come i frati minori per esempio, spesso sono presenti in tutto il mondo come ente unitario e poi hanno una serie di articolazioni come enti nazionali che dipendono da quello principale che prendono il nome appunto di provincie, quindi abbiamo una Provincia italiana, una francese e così via. Spesso in alcuni Paesi come in Italia ci sono più provincie, quindi avremo la Provincia del Nord Italia, la Provincia del Centro e quella del Sud, sono delle articolazioni territoriali. Ebbene anche queste Provincie possono essere riconosciuti come enti ecclesiastici, ma devono dimostrare di svolgere la propria attività (ulteriore requisito) limitatamente al territorio dello Stato o alle terre di missione, cioè una Provincia religiosa può essere riconosciuta come ente ecclesiastico autonomo se svolge la propria attività solo nel territorio italiano o eventualmente in aggiunta in terre di missione come Africa, Sud America ecc. se ad esempio una Provincia svolge l’attività un po’ in Italia e un po’ in Francia ponendosi a cavallo tra i due Stati non può essere riconosciuta come ente ecclesiastico. Secondo requisito che si richiede alle Provincie è quello di essere rappresentate da cittadini italiani aventi domicilio in Italia, quindi il legale di rappresentanza deve essere un cittadino italiano domiciliato in Italia. Sempre con riguardo agli istituti religiosi, quelli che sono detti di ‘’diritto diocesano’’, cioè che sono costituiti non a livello nazionale o addirittura mondiale ma costituiti solamente all’interno di una diocesi, hanno necessità come requisito ulteriore quello di avere l’assenso della Santa Sede oltre a quello del vertice diocesano come per esempio il vescovo della diocesi di Padova. Si è previsto questo per evitare che vengano riconosciuti come enti ecclesiastici delle realtà degli enti che sono poco stabili, allora richiedere anche l’assenso della Santa Sede al riconoscimento rappresenta un requisito di stabilità. Alle società di vita apostolica si richiede anche ulteriori requisiti: l’assenso sempre della Santa Sede e occorre altresì che tali società non abbiano carattere locale. Carattere locale vuol dire che non hanno articolazioni in altri luoghi. 2- Riconoscimento delle chiese intese come edifici di culto, cioè anche il singolo edificio può essere riconosciuto come ente ecclesiastico civilmente riconosciuto autonomo, come i santuari i quali sono tecnicamente degli enti chiesa autonomi riconosciuti come enti ecclesiastici, quindi dotati di personalità giuridica. La normativa pattizia consente il riconoscimento di enti ecclesiastici come autonomi ponendo alcune condizioni (da imparare molto bene): a) devono essere aperte al pubblico culto, quindi non devono essere chiese private ma devono essere chiese aperte al culto pubblico e officiate regolarmente, quindi devono svolgersi celebrazioni religiose con una certa regolarità alle quali sia possibile accedere a chiunque; b) devono essere fornite di mezzi patrimoniali sufficienti per la manutenzione e l’officiatura, significa che l’ente chiesa che domanda il riconoscimento deve avere un patrimonio proporzionato all’attività di culto che si svolge e sufficiente per garantire il mantenimento della struttura; c) non deve essere annessa ad un altro ente ecclesiastico, ad esempio non deve essere una chiesa parrocchiale, cioè non deve essere la sede di una chiesa parrocchiale perché questa in genere, poi ci sono delle eccezioni, la chiesa parrocchiale non è un ente autonomo riconoscibile come ecclesiastico in proprio, ma è semplicemente un bene immobile di proprietà dell’ente parrocchia e strumentale all’attività di culto della parrocchia. 3- Fondazioni di culto, sono degli enti tipici dell’ordinamento canonico, denominate anche ‘’pie fondazioni’’, quindi sono delle masse patrimoniali destinate a un fine cultuale o religioso che possono essere definite enti ecclesiastici se dimostrano di avere, oltre ai requisiti generali anche altri requisiti: a) anche loro come le chiese devono avere i mezzi patrimoniali sufficienti per il raggiungimento dei fini che si propongono; b) il loro scopo e la loro attività deve essere, dice la normativa pattizia ‘’rispondente alle esigenze religiose della popolazione’’, si ritiene che questa valutazione discrezionale per stabilire quando un ente risponda alle esigenze religiose della popolazione non spetti alla pubblica amministrazione, ma questa debba affidarsi alla valutazione dell’autorità ecclesiastica e alle sue indicazioni. 24/11/2020 Lezione di diritto ecclesiastico Abbiamo visto i requisiti, ora vedremo il procedimento amministrativo che termina con il riconoscimento della personalità giuridica dell’ente ecclesiastico. Questo procedimento può essere suddiviso in 4 fasi: 1) fase della domanda; 2) fase istruttoria; 3) fase del parere consultivo del parere del Consiglio di Stato; 4) fase di adozione del decreto di riconoscimento. 1- Fase della domanda: il procedimento prende avvio su istanza di parte, cioè deve essere l’autorità ecclesiastica o il legale rappresentante dell’ente con l’assenso dell’autorità ecclesiastica a introdurre la domanda di riconoscimento, questa domanda deve essere diretta al Ministero dell’Interno e presentata fisicamente all’Ufficio territoriale del Governo, cioè la Prefettura competente sulla base della Provincia nella quale ha sede l’ente. Nella domanda devono essere presenti alcuni elementi: la denominazione, la natura dell’ente (se è una parrocchia, una fondazione di culto, un ente chiesa, ecc.), le finalità, la sede dell’ente e la persona che lo rappresenta. Alla domanda occorre inoltre allegare una documentazione che ha lo scopo ll procedimento abbreviato è alternativo rispetto a quello ordinario. Le cause per cui è inserito nella Normativa Pattizia sono delle cause di mutamento storico della struttura gerarchico territoriale ma anche patrimoniale della Chiesa in occidente ed in particolare in Italia. La legislazione canonica vede susseguirsi diversi momenti storici. Dal Concilio di Trento fino al 1917 la normativa di riferimento per la Chiesa Cattolica era rappresentata da una collezione ampia, articolata chiamata complessivamente CORPUS IURIS CANONICI. Nel 1917, c’è il primo Codice di diritto canonico in cui tutto il materiale precedente, normativo e giurisprudenziale, che faceva da riferimento per la vita della chiesa, viene travasato, sintetizzato, ordinato, concentrato e ripensato in un Codice “sistematico”. Questo Codice di Diritto Canonico diventa il testo normativo di riferimento a sostituzione del Corpus Iuris Canonici, e rimane in vigore fino al 1983, anno in cui entra in vigore un nuovo codice che recepisce le novità del Concilio Vaticano II. Fino al 1983, le parrocchie e le diocesi non erano enti dotati di personalità giuridica nell’ordinamento canonico e, di conseguenza, tantomeno lo erano per l’ordinamento statale: se non fossero esistiti nell’ordinamento d’origine, tantomeno avrebbero potuta essere riconosciute in un ordinamento diverso come quello dello Stato. Ma allora in luogo delle parrocchie e delle diocesi, chi aveva personalità giuridica? Con riferimento alle parrocchie e alle diocesi avevano personalità giuridica degli enti diversi chiamati BENEFICI ECCLESIASTICI, termine generale all’interno del quale troviamo: le mense vescovili o i benefici parrocchiali. Questi enti erano delle masse patrimoniali destinate ad un determinato scopo: quello di garantire il sostentamento al titolare di un determinato ufficio ecclesiastico (es. parroco, vescovo). In sostanza, per ogni parroco c’era un beneficio ecclesiastico (meglio definirlo “parrocchiale” in questo caso) che consiste in una massa di beni dedicata a mantenere il sostentamento della persona che ricopriva la carica di parroco di una determinata parrocchia. [Esempio, il Parroco della Chiesa di San Tommaso a Padova aveva un proprio beneficio ecclesiastico: un insieme di immobili e terreni che producevano delle rendite dalle quali traeva il suo sostentamento.] Queste masse patrimoniali erano dotate di personalità giuridica nell’ordinamento della Chiesa e riconosciute come enti ecclesiastici nell’ordinamento dello Stato. Erano in genere dotati di personalità giuridica anche gli edifici di culto. Anche, la normativa attuale prevede la possibilità di riconoscere singoli edifici come “enti-chiesa”, come “enti ecclesiastici”, ma nel precedente regime quasi tutti gli edifici erano dotati di personalità giuridica. Nel sistema attuale abbiamo “l’ente parrocchia di San Tommaso a Padova” dotata di personalità giuridica dall’ordinamento canonico e riconosciuto dall’ordinamento dello stato; nel precedente sistema cioè fino al 1983 al posto dell’“ente parrocchia di San Tommaso” avevamo 2 enti: - “ente Chiesa di San Tommaso” (che era un ente autonomo) - “ente beneficio parrocchiale di San Tommaso”: questo secondo ente serviva per mantenere nella sostanza e garantire il sostentamento al titolare dell’ufficio ecclesiastico di parroco della Chiesa di san Tommaso. [Da sottolineare che lo stesso valeva per le diocesi, avevamo infatti: -ente cattedrale; -mensa vescovile: massa di beni dalle cui rendite traeva sostentamento il vescovo della diocesi.] Con il nuovo codice di diritto canonico del 1983 abbiamo veramente una rivoluzione copernicana per quanto concerne l’ambito patrimoniale della Chiesa, in quanto vengono espressamente previsti dalla normativa canonica gli enti dotati di personalità giuridica delle parrocchie e delle diocesi. Si ha così un superamento del sistema dei benefici. Cosa succede per gli enti precedenti dei benefici e degli enti chiesa parrocchiali? In genere gli enti precedenti (non sempre è stato così, io faccio riferimento al 90% dei casi), sono stati estinti e, in particolare, tutti i beni che costituivano i vari benefici sia delle singole parrocchie (benefici parrocchiali) sia delle mense vescovili sono stati trasferiti a dei nuovi enti costituiti a livello diocesano. Enti che, secondo la legge 222, sono succeduti in tutti i rapporti attivi e passivi (quindi, sia nella proprietà dei patrimoni sia anche nei debiti di questi benefici avevano), e che hanno preso il nome di “Istituti per il sostentamento del clero”. Cioè in ogni diocesi è stato costituito un istituto nel quale sono stati confluiti tutti quei beni che erano dei cosiddetti “benefici ecclesiastici”. Questi enti per legge hanno come scopo quello di assicurare un congruo e dignitoso sostentamento del clero che svolge servizio in favore di quella determinata diocesi. Quindi, prima c’era una galassia di piccole masse patrimoniali autonome che prendevano il nome di “benefici ecclesiastici” che garantivano il sostentamento dei singoli titolari degli uffici. Adesso, c’è un unico ente per ogni diocesi che garantisce il sostentamento di tutti. Questo ente trae le risorse in parte, se non principalmente, dai beni che ha ereditato dai vari benefici ecclesiastici estinti nel 1983; in parte, c’è anche un altro ente sempre costituito dalla normativa di derivazione pattizia che è “l’istituto centrale per il sostentamento del clero” che è stato costituito dalla conferenza episcopale italiana e che ha lo scopo di integrare le risorse dei vari istituti diocesani quando queste non sono sufficienti. Questo istituto trae le risorse per l’intervento integrativo dall’8x1000 del gettito IRPEF (ci sarà lezione apposita su questo tema). Però sono stati costituiti al posto dei vecchi benefici ed enti-chiesa dei nuovi enti: l’ente-diocesi e l’ente- parrocchia. Quindi oggi abbiamo “l’ente-parrocchia di San Tommaso” e “l’ente-diocesi di Padova”. Ma allora il patrimonio di questi enti da dove deriva se i vari beni degli edifici ecclesiastici sono andati agli “Istituti diocesani per il sostentamento del clero”? Concretamente cioè i beni che oggi una parrocchia ha, da dove derivano? In sostanza, sono i beni che facevano riferimento all’ente-chiesa soppresso (quindi, la chiesa parrocchiale ora non ha più una sua autonomia, ma è una proprietà immobiliare dell’ente- parrocchia). In più, sono stati dotati di tutti quei beni che non avevano una funzione reddituale (cioè non servivano a garantire il sostentamento del sacerdote), ma che avevano una funzione diretta rispetto ad iniziative educative, caritative, pastorali o di attività di culto. Questi beni sono andati non all’Istituto Diocesano che si è accaparrato i beni reddituali, ma sono andati ai nuovi enti-parrocchia ed enti-diocesi. Es: la casa-canonica in cui vive il sacerdote non è un bene reddituale e quindi è di proprietà dell’ente parrocchia. Quindi, ora, si può dire che l’ente parrocchia ha di proprietà: la casa-canonica, l’edificio di culto “la Chiesa”, gli spazi che servono ai patronati, oratori.... Questa evoluzione normativa è paragonabile ad una rivoluzione copernicana dell’organizzazione patrimoniale della Chiesa in quanto i benefici e il loro sistema avevano determinato in Occidente tutto una serie di legislazioni di risposta-reazione a questo fenomeno: ad esempio, la legislazione eversiva, la mano- morta ecc. ecc… questa tipologia normativa era una reazione ad un determinato modo di organizzazione del patrimonio della chiesa fondato sui benefici che consistevano in queste masse in cui i beni erano sostanzialmente bloccati al traffico economico-giuridico al fine di garantire una rendita a qualcuno. Questo cambio del 1983 ha assicurato un superamento di una serie di problematicità che erano connesse a particolari reazioni del legislatore statale al sistema precedente. Come è avvenuta questa modifica? Si è avuta sia nell’ordinamento canonico ma anche nell’ordinamento dello stato. È stata in un certo senso una evoluzione concordata perché per renderla più agevole si è previsto nella normativa di derivazione pattizia un procedimento speciale dal nome di procedimento “abbreviato”. Si è stabilito che i nuovi enti- parrocchia, enti-diocesi, e gli Istituti per il sostentamento del clero, fossero riconosciuti con un procedimento speciale, appunto, “abbreviato” o “semplificato” secondo questo schema: l’autorità canonica ha eretto entro il 30 settembre del 1986 tutti i nuovi enti (cioè tutte le parrocchie, tutte le diocesi, tutti gli istituti per il sostentamento del clero). La Normativa pattizia prevede, infatti, che ci sia tempo fino al 30 settembre del 1986 perché l’autorità ecclesiastica emani tutti i decreti necessari ad erigere i vari enti dopo di che questo decreto di erezione viene trasmesso al Ministero dell’Interno che dal momento della ricezione ha tempo 60 giorni per riconoscere con un decreto ministeriale l’ente che è stato eretto. Tale decreto viene poi pubblicato nella Gazzetta ufficiali per far sì che i nuovi enti acquistino personalità giuridica civile. In sostanza, l’autorità ecclesiastica emana il decreto, lo trasmette al ministero che entro 60 gg lo riconosce con un proprio decreto del Ministro dell’Interno, poi il decreto viene pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Questo procedimento è molto più strigato e con la previsione di tempi specifici rispetto al procedimento ordinario che può durare anche mesi, anni. Rimane tuttavia fermo anche per questi enti l’obbligo di iscrizione nel registro delle persone giuridiche che, secondo la Normativa pattizia, doveva essere adempiuto entro il 31 dicembre del 1989. Questo procedimento abbreviato ha però un carattere transitorio cioè è stato un procedimento previsto solo per quegli anni lì (cioè la fine degli anni 80’). Questa transitorietà la manifesta esplicitamente l’art. 14 del Decreto del Presidente della Repubblica 33/1987, sostanzialmente, un regolamento attuativo della legge 222 /1985. Questa norma dice che tutte le parrocchie, diocesi, istituti eretti dopo quel famoso termine del 30 settembre del 1986 devono essere riconosciuti secondo la procedura ordinaria→ in sostanza, oggi il vescovo, che voglia costituire una nuova parrocchia, per ottenere il riconoscimento civile dovrà seguire la procedura ordinaria in quanto il sistema abbreviato che abbiamo visto valeva solo per quegli anni determinati. Non trovate che ci sia qualcosa di strano negli “Istituti diocesani per il sostentamento del clero” rispetto alle nozioni apprese nelle lezioni precedenti? C’è qualcosa di strano ed afferisce proprio allo scopo di questi enti che è quello di garantire il sostentamento dei sacerdoti che prestano servizio presso determinate diocesi. La volta scorsa è stato detto che gli enti ecclesiastici devono perseguire un fine costitutivo ed essenziale di religione o di culto, al contrario questo ente ha chiaramente un fine diverso: l’attività svolta “dall’Istituto per il sostentamento dei sacerdoti” è di gestione di un patrimonio dal quale trae delle rendite che, poi, distribuisce; questo poco cozza con “l’attività di religione o di culto” ai sensi dell’art.16 lett. A della Legge 222. [NB: bisogna ricordare queste attività ai fini dell’esame]. Come allora è possibile che questo ente venga riconosciuto come ente ecclesiastico civilmente riconosciuto? E’, certamente, un’eccezione al principio generale. La dottrina si è molto interrogata su come collocare questa eccezione. La ragione è che questo ente pur non perseguendo direttamente uno scopo costitutivo ed essenziale di religione o di culto, a livello di sistema però svolge certamente una funzione essenziale al soddisfacimento delle esigenze religiose della popolazione cioè dei fedeli della religione cattolica. È un ente che svolge una funzione essenziale e peculiare in ordine al soddisfacimento delle esigenze religiose della popolazione dei fedeli di religione cattolica. Quindi se preso singolarmente non persegue il fine della religione o di culto, ma se valutato all’interno del sistema è essenziale perché garantisce il sistema dei ministri di culto cioè dei sacerdoti. RICONOSCIMENTO PER LEGGE In questo caso, la personalità giuridica non viene concessa all’ente attraverso un procedimento amministrativo, ma viene conferito il riconoscimento e la personalità giuridica attraverso una previsione legislativa. Perché dovrebbe essere il legislatore a conferire la personalità giuridica? La scelta può essere dettata da tante ragioni dalla natura, dalla rilevanza, dalle funzioni del soggetto che viene così riconosciuto e che rendono nella sostanza superfluo passare attraverso un procedimento Questo principio connaturale che prende il nome di autonomia privata nella gestione dei beni, non è semplicemente il fatto …significa anche qualcosa più che la dottrina identifica come un principio positivo, ovvero l’impegno di astensione rispetto al riconoscimento di rilevanza civile delle norme canoniche e delle prerogative della ecclesiastica o site nel riconoscimento di rilevanza civile prerogative ecclesiastica amministrazione dei beni nell’era chiesa cattolica. Le disposizioni canoniche che riguardano l’amministrazione dei beni ma non del singolo, ma al sistema di gestione del patrimonio ecclesiastico dell’ordinamento che acquistano rilevanza civile diventano parte integrante del regime civilistico dell’ente ecclesiastico, affermato: 1. nell’articolo 7 n. 5 di revisione concordataria; 2. legge 222/1985 Le quali prevedono: o controlli garantiscono che amministrazione fatta dalle singole parrocchie, diocesi risulti confermi ai fini ordinamento e autorità ecclesiastica. Interna o Controlli per gli acquisti delle persone giuridiche: controlli di carattere tutorio Integrazione delle slide con spiegazione del docente 1. Diocesi ed altri enti ecclesiastici amministrati direttamente dal vescovo diocesano 2. Parrocchie ed altri enti ecclesiastici soggetti all’autorità del vescovo diocesano Straordinaria amministrazione: Determinazione: I. è data dalla Conferenza episcopale II. Dal Vescovo Controllo: i. È dato dal consenso CAE e CC ii. Licenza ordinario Alienazione di beni che costituiscono il patrimonio stabile ed atti equiparati (canone 1295) Minore di 250.000 atti di ordinaria e straordinaria amministrazione Maggiore di 250.000 consenso CAE e CC Minore di 1MLN licenza del vescovo più l’Assenso CAE e CC Maggiore di 1MLN ex voto beni storici-artistici licenza dalla Santa Sede Atti di maggior rilievo: parere (non vincolante) CAE e CC Locazioni: C.E, se maggiore di 250.000 consenso CAE e CC, altrimenti licenza ordinario Agire e resistere in giudizio, accettazione di eredità con oneri o condizioni, investimenti di denaro: licenza p ordinario Istituti di vita consacrata e società di vita apostolica: Statuti e diritto proprio Alienazioni ed atti equiparati: licenza del superiore e consenso del consiglio Alienazioni maggiori di 1MLN, ex voto, bensì storico-artistici: licenza Santa Sede 25/11/2020 Lezione di diritto ecclesiastico SISTEMA INERNO DEI CONTROLLI CANONICI Amministrazione e gestione del patrimonio ecclesiastico dato dall’art 7 dell’accordo concordatario, stabilisce la libertà della chiesa cattolica di organizzarsi secondo l’ordinamento, da qui si trae la conseguenza del fatto che venga riconosciuta alla chiesa la più autonomia di gestione in termini di principi generali, cosa significano questi principi? Lo Stato si impegna a non ingerirsi in quelle che sono la vita patrimoniale degli enti ecclesiastici. Questo principio connaturale che prende il nome di autonomia privata nella gestione dei beni, non è semplicemente il fatto …significa anche qualcosa più che la dottrina identifica come un principio positivo, ovvero l’impegno di astensione rispetto al riconoscimento di rilevanza civile delle norme canoniche e delle prerogative della ecclesiastica o site nel riconoscimento di rilevanza civile prerogative ecclesiastica amministrazione dei beni nell’era chiesa cattolica. Le disposizioni canoniche che riguardano l’amministrazione dei beni ma non del singolo, ma al sistema di gestione del patrimonio ecclesiastico dell’ordinamento che acquistano rilevanza civile diventano parte integrante del regime civilistico dell’ente ecclesiastico, affermato: 1. nell’articolo 7 n. 5 di revisione concordataria; 2. legge 222/1985 Le quali prevedono: o controlli garantiscono che amministrazione fatta dalle singole parrocchie, diocesi risulti confermi ai fini ordinamento e autorità ecclesiastica. Interna o Controlli per gli acquisti delle persone giuridiche: controlli di carattere tutorio Integrazione delle slide con spiegazione del docente 1. Diocesi ed altri enti ecclesiastici amministrati direttamente dal vescovo diocesano 2. Parrocchie ed altri enti ecclesiastici soggetti all’autorità del vescovo diocesano Gli atti di ordinaria amministrazione: per questi atti non è previsto nessun controllo, il parroco per ciò eh riguarda la parrocchia potrà opere questi atti senza nessun tipo di intervento e né di organi consultivi e né di autorità superiore Straordinaria amministrazione: ci sono due colonne determinazione e controllo: Determinazione: significa a chi spetta dire individuare e determinare quali sono gli atti di straordinaria amministrazione per la diocesi e per gli enti ecclesiastici amministrati direttamente sinistrati dall’esodo diocesano? I. Conferenza episcopale delle diesi del luogo, nel caso delle diocesi italiane è la inferenza episcopale italiana che 2005 ha approvato una istruzione in materia amministrativa nei quali si die eh per le diocesi (1) si ossideranno atti di ordinaria amministrazione li ha definiti II. Vescovo: perciò invece che riguarda le persone ibridi che soggette all’autorità del vescovo diocesano? Chi determina quali sono gli atti di straordinaria amministrazione? È lo stesso vescovo, ovvero ciascun vescovo diocesano dice che per gli enti che dipendono dalla sua autorità che si trovò sul territorio della sua diocesi, ad esempio il vescovo di Padova qualche hanno fa ha emanato un proprio decreto individuando quali sono gli atti di straordinaria amministrazione. Controllo: i. Quale è il controllo previsto per gli atti sopra indicati nella determinazione? È rappresentato dato dal consenso dei due organi collegiali CAE e CC ciò oltre dire che il vescovo diocesano per porre validamente in essere questi atti di straordinaria amministrazione deve chiedere preventivamente il consenso ai due organi Consiglio per gli Affari Economici e Collegio dei Consultori, sono due organi della Diocesi il primo ha competenza tecnica economiche giuridiche, mentre il secondo ha una funzione consultiva sul piano pastorale, ad esempio il vescovo che deve compiere un atto tra quelle che sono state identificate per tutte le diocesi italiane nella offerta episcopale italiana dovrà richiedere il consenso di questi due organi. ii. Licenza ordinario: per gli atti che rientrano in questa categoria e che sono compiuti da parrocchie o da enti assimilati il controllo è la licenza dell’ordinario, chi è l’ordinario? È lo stesso vescovo diocesano oppure dei soggetti che sono equiparati ad esempio un vicario episcopali di una diocesi, sono dei soggetti che partecipano alla potessi governo del vescovo su un determinato territorio con una “determinata porzione del popolo di Dio” cioè, una diocesi. Esempio una parrocchia nella diocesi di Padova che vorrà compiere un atto tra quelli individuati come atti di straordinaria amministrazione dal Vescovo di Padova dovrà chiederà la licenza all’ordinari, al vicariò generale o competente per quella determinata materia. Alienazione di beni che costituiscono il patrimonio stabile ed atti equiparati (canone 1295): il libro V del codice del diritto canonico, il sistema di controlli è strutturato come una sorta di scala ascendente, più gli atti sono gravi, pericolosi per la sta il patrimoniale dell’ente più maggiori e penetranti sono i controlli canonici (= riepilogo quelli di ordinaria amministrazione possono essere compiuti dall’amministratore, quelli di straordinaria amministrazione hanno il genere di controllo descritto sopra). Il concetto di patrimonio stabile, si intende un nucleo di beni che sono essenziali al perseguimento dello scopo e allo svolgimento delle attività istituzionali di un determinato ente, un esempio per capire cosa sia un patrimonio stabile e cosa non lo sia è una valutazione da fare caso per caso sulla base della natura dell’ente, della sua attività e del suo scopo, per cui prendendo ad esempio una parrocchia certamente l’edificio di culto della chiesa parrocchiale è parte del patrimonio stabile, la casa canonica dove abita il sacerdote, il parroco è parte del patrimonio stabile perché sono elementi patrimoniali essenziali alle svolgimento delle attività e al perseguimento del fine di quell’ente, mentre un computer di proprietà della parrocchia sono beni patrimoniali che non appartengono a questo patrimonio stabile perché non sono essenziali al perseguimento dello scopo, e allo svolgimento dell’attività istituzionale dell’ente. Le alienazioni che vanno a coinvolgere uno di quei beni, ma non solo anche gli atti equiparati (canone 1295) sono tutti quegli atti che possono mettere a rischio quegli elementi patrimoniali che rientrano nel patrimonio stabile, è la consistenza stessa del patrimonio stabile, un esempio pur mantenendo la proprietà dei beni, come la costituzione di una servitù su un determinato bene, un diritto reale oppure la concessione in comodato d’uso, si presume essere gratuito di quello stesso bene, sono esempi di atti che tecnicamente non sono alienazioni, ma che sono equiparati all’alimentazione dal punto di vista del rischio per la consistenza patrimoniale che questi provocano, anche qui non c’è un elenco dettagliato di quali siano questi atti equiparati ma va valutato caso per caso, certamente un comodato d’uso di una durata significativa può essere equiparati ad una alienazione perché priva l’ente proprietario della disponibilità e del godimento di quella determinato bene per un periodo consistente. Quel è la disciplina dei controlli di questa categoria unitaria? Bisogna distinguere sulla base del valore del bene che viene alienato oppure che ha fatto oggetto di un atto equiparato, e abbiamo due soglie quantitative: sono soglie di valori stabiliti dalla Conferenza episcopale, il codice di diritto canonico non prevede per tutti gli enti della Chiesa cattolica queste soglie quantitative, ma dice che ogni conferenza episcopale ha il compito di stabilire sulla base della vita economica del singolo paese, le soglie quantitative. La conferenza episcopale italiana ha individuato queste soglie in 250.000 euro e 1MLN, la loro fonte non è nel codice ma in una delibera della conferenza episcopale italiana. Le alienazioni o gli atti equiparati di beni che sono di valore inferiore/ Minore di 250.000 ricadono tra gli atti di ordinaria o straordinaria amministrazione, dipende dalla determinazione e quella alienazione o l’atto equiparato è stato inserito d’ala conferenza episcopale o dal Vescovo diocesano tra gli atti di straordinaria amministrazione allora allora si applicavano i controlli secondo il consenso dei due organi oppure richiedere la licenza dall’ordinario; se non è stato inserito allora sarà un atto di ordinaria amministrazione; senza chiedere la licenza al suo vescovo chi può secondo questa linea interpretativa chi può impugnare quel negozio e chiederne l’annullamento per omissione della licenza? Secondo la disciplina generale può farlo lo stesso ente ecclesiastico quindi lo stesso parroco che ha omesso la licenza, quindi c’è un problema di legittimazione rispetto all’impaginazione del negozio e quindi annullabilità eventualmente del negozio stesso. Secondo la giurisprudenza, dovrebbe per coerenza di sistema riconoscersi la legittimazione ad impugnare anche all’autorità ecclesiastica che doveva esercitare il controllo, quindi al nostro esempio il vescovo. Sì ha risposto a questa giurisprudenza che è vera questa cosa ma sembra una forzatura nel senso che, la disciplina della invalidità nella forma dell’annullabilità è prevista dall’ordinamento civile prevede la legittimazione esclusiva ad impugnare l’atto all’ente che lo aveva posto in essere, quindi il suo legale rappresentante, quindi questa ulteriore legittimazione Forzatura del sistema si è obiettato anche perché sarebbe sufficiente che il vescovo facessi che cosa che è pienamente nei suoi poteri anche sostituisse l’amministratore, il legale rappresentante, il parroco nel nostro esempio, ricostruendo quindi il parroco pone in essere un negozio omettendo il controllo previsto dall’ordinamento canonico quindi determinando una possibile annullabilità del negozio. Il vescovo prende coscienza di questa omissione può sostituire il parroco, quindi nominare un nuovo rappresentante legale dell’ente è sarà quest’ultimo eventualmente ad impugnare il negozio chiedendone all’autorità civile l’annullamento. Questo è il primo profilo che riguarda la legittimazione all’impugnazione dell’atto. 2. Il secondo profilo riguarda proprio l’Effetto, vi ho parlato di annullabilità del contratto quindi disciplina 1442 e seguenti del Codice civile questo perché la giurisprudenza maggioritaria quantomeno si è orientata verso questa direzione. Tuttavia, non mancano alcuni casi si è detto più che annullabilità forse sarebbe più corretto parlare di nullità del negozio, in particolare di nullità relativa che non può essere richiesta da entrambe le parti non solo da una parte, cioè dallo stesso ente ecclesiastico. sarebbe una differenza molto significativa perché innanzitutto non ci sarebbe il termine di prescrizione di cinque anni, ma in quel momento si potrebbe impugnare l’atto, e richiedere la nullità e in secondo luogo questa scelta della nullità sarebbe conforme all’effetto che l’omissione produce all’interno dell’ordinamento canonico che è quello della nullità dell’atto, invalidità nella forma della nullità. Sintesi possiamo dire che la giurisprudenza maggioritaria di orienta per l’annullabilità del negozio, mentre la giurisprudenza minoritaria che parla di nullità del contratto. N.B: Non tutti i controlli eventualmente previsti dall’ordinamento canonico hanno rilevanza civile, perché diverrebbe un grande onere per i terzi, ma solo quei controlli che troviamo indicati in due fonti: nel codice di diritto canonico, sistema del libro V; controlli previsti dai singoli enti nei propri statuti depositati presso il registro delle persone giuridiche e sono disponibili per tutti, per tutelare l’affidamento dei terzi che devono disporre di fonti di pubblicità di questi controlli certi, per modificare questo sistema di controlli deve e intervenire sul codice di diritto canonico. Lezioni di diritto ecclesiastico Prof.Perego 1/12/2020 Regime tributario degli enti ecclesiastici Tra i vari aspetti che riguardano la disciplina degli enti ecclesiastici quello del tema tributario, quello che riguarda il tema tributario di questi soggetti è senza dubbio quello che potremmo definire come tema caldo, quelli che ciclicamente in un certo senso non si parla sui mezzi di stampa o nell’opinione pubblica largamente intesa degli enti ecclesiastici Se non quando appunto questo tema inizia a toccare qualche aspetto che riguarda l’esenzione tributaria, il trattamento tributario, il privilegio o presunti privilegi, esempio in materia di IMU che riguarda il trattamento di esenzione o agevolazione concessa agli enti ecclesiastici in particolare agli enti della chiesa cattolica. Questi argomenti non dobbiamo guardarli dal punto di vista dell’uomo della strada, ma come giuristi, tecnico-giuridico. Bisogna partire dai pilastri dell’ordinamento, cioè dal quadro costituzionale: quale è il quadro costituzionale all’interno del quale si collocano le norme che disciplinano la posizione degli enti ecclesiastici nell’ordinamento tributario italiano? I. Pilastro articolo 20 Costituzione: Il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d'una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività [cfr. artt. 8, 19]. Il fatto che un ente ecclesiastico che persegua un fine di religione o di culto non può essere causa di un trattamento fiscale di sfavore rispetto a quello che è previsto per gli enti di diritto comune: cioè nell’ordinamento tributario non possono essere previste disposizioni di aggravio dal punto di vista fiscale esclusivamente per gli enti ecclesiastici o per gli enti che perseguono un fine di religione o di culto. L’esperienza storica ci ha dimostrato spesso è capitata questa cosa, esempio le leggi eversive dell’asse ecclesiastico che andavano a colpire proprio gli enti ecclesiastici o almeno certi enti ecclesiastici con dei particolari gravami fiscali: quella esperienza mutato il contesto ordinamentali del nostro Paese, introdotta la Costituzione passando al regime costituzionale non può più ripetersi perché abbiamo questo presidio costituzionale: il legislatore tributario non può prevedere un trattamento di sfavore per gli enti ecclesiastici, ma devi garantire un livello/tratta analogo a quello degli enti di diritto comune. Il termine di paragone è rappresentato dagli enti di diritto comune. L’articolo 20 Costituzione impedisce un trattamento di sfavore rispetto agli enti di diritto comune, si intendono gli altri enti non lucrativi, cioè gli altri enti senza scopo di lucro (associazioni, fondazioni, costituiti ai sensi del Libro primo del Codice civile o con la normativa del codice ETS. II. Secondo pilastro è l’articolo 53, primo comma Costituzione: Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività. Si pone l’accento su “tutti”: la Corte Costituzionale ha definito questa norma nella quale è espresso il cd principio di uguaglianza tributaria , una traduzione settoriale del principio di uguaglianza sostanziale di cui all’articolo 3 Costituzione, 2 comma: non è un principio di uguaglianza formale, ma è sostanziale cioè che le differenze sono ammissibili e anche sotto il profilo del trattamento tributario nel momento in cui queste differenze siano giustificate da presupposti, da una ragionevolezza riconducibili alle sole differenze di partenza ma, presupposti differenti, non a tutti il medesimo trattamento, ma a ciascuno il trattamento che è giustificato in ragione della sua condizione: tradotto in termini tributari potremmo dire che questo principio di uguaglianza sostanziale in materia tributaria tollera delle differenze di trattamento tributario, tollerando delle agevolazioni e delle esenzioni rispetto a determinati tributi, ma queste differenze sono possibili e legittime in prospettiva costituzionale solo se supportate da adeguate e ragionevoli giustificazioni , più volte la Corte Costituzionale è intervenuta in materia tributaria ha posto l’attenzione, dove ha richiamato il criterio della ragionevolezza nella differenziazione. Le differenze sono possibili e legittime purché supportate da adeguate e ragionevoli giustificazioni, in assenza delle quali la differenziazione, l’agevolazione o l’esenzione da un determinato tributo diventa discriminazione quindi è una violazione del principio di uguaglianza sostanziale. In sintesi: il legislatore può introdurre delle agevolazioni o esenzioni solo se queste sono supportate da ragionevoli o adeguate giustificazioni, altrimenti siamo in presenza di discriminazione, di un ingiustificato privilegio che viola il principio di uguaglianza in materia tributaria sancito dall’articolo 53 costituzione. Dobbiamo affermare che è possibile prevedere delle delle agevolazioni o delle esenzioni, è possibile prevedere un trattamento tributario più favorevole per gli enti ecclesiastici: Quelle è il fondamento di questo trattamento di favore, di queste esenzioni ed agevolazioni? Il fondamento è rappresentato: a. Dall’esigenza di tutelare e promuovere la libertà religiosa degli individui e le lecite manifestazioni di dare libertà all’interno delle formazioni sociali. Nella sostanza la trama che cogliamo dagli articoli 7, 8 e 19 Costituzione ci dice che il legislatore costituzionale ha inteso tutelare e promuovere la libertà religiosa dei cittadini, sia come singoli e sia come formazioni sociali e questa promozione può passare attraverso anche un trattamento tributario di favore per gli enti ecclesiastici che sono proprio formazioni sociali all’interno delle quali si esprime la libertà religiosa dei cittadini e degli individui in termini generali. b. Questo secondo fondamento lo dobbiamo agganciare a tutte quelle attività che presentano un interesse generale e una utilità sociale, e che costituiscono le attività tipiche degli enti ecclesiastici, cioè tanti enti ecclesiastici svolgono senza uno scopo lucrativo attività che hanno di per se un interesse generale e una utilità sociale, esempi l’attività scolastica, l’attività assistenziale, sanitaria e socio-sanitaria sono tutte attività che in genere e tipicamente che gli enti ecclesiastici svolgono come attività diverse, secondarie secondo le loro attività istituzionale, ma rappresentato un intrinsecò un interesse generale e una utilità sociale. La Natura di queste attività e il fatto di svolgere senza uno scopo lucrativo può costituire un fondamento per giustificare un trattamento fiscale di favore, in materia di IMU, una delle agevolazioni di cui godono gli enti ecclesiastici non è fondata è giustificato sul fatto che questi soggetti sono enti ecclesiastici, ma è giustificata sul fatto che svolgono certe attività tra cui queste senza scopo di lucro, quelli che li svolgono senza scopo di lucro beneficiano di agevolazioni fiscali. c. Perché gli enti ecclesiastici possono godere di alcuni trattamenti di favore dal punto di vista fiscale? Perché sono espressione del diritto di libertà religiosa che il legislatore deve promuovere; Perché svolgono attività di interesse generale e di utilità sociale;