Scarica Le fonti del diritto ecclesiastico - Diritto Ecclesiastico e Canonico e più Appunti in PDF di Diritto Ecclesiastico solo su Docsity! DIRITTO ECCLESIASTICO E CANONICO LE FONTI DEL DIRITTO ECCLESIASTICO. Esistono branche del diritto positivo dello Stato, quali il diritto civile, il diritto penale o il diritto del lavoro o il diritto commerciale anche in considerazione della varia tipologia dei rapporti regolati. Il diritto ecclesiastico è il ramo del diritto interno di uno Stato nel quale si raccolgono a unità sistematica le norme che riguardano il regolamento del fenomeno sociale religioso. Il diritto ecclesiastico è il diritto dello Stato concernente le Chiese, le confessioni religiose o i gruppi religiosi. Oggi il diritto ecclesiastico deve essere espressione di una matrice politica e culturale, sconosciuta nel passato, e riconducibile al generale principio di democrazia dell’organizzazione statale. Le regole giuridiche costituenti il diritto ecclesiastico non sono poste dallo Stato in un corpo unico, ma sono disseminate in vari settori dell’ordinamento, dalla costituzione al codice civile o al codice penale. Le regole giuridiche poste dallo Stato per molte situazioni sono frutto di accordi con altri ordinamenti, quelli confessionali, con i quali l’ordinamento dello Stato entra in rapporto. A questo diritto ecclesiastico viene riconosciuto un prevalente carattere pubblicistico dato che si tratta per o più di norme emanate dallo Stato per finalità di interesse generale. La scienza che studia ed elabora la dottrina è denominata scienza ecclesiasticistica. Il diritto ecclesiastico non va confuso con il diritto canonico, che è l’antichissimo diritto della Chiesa cattolica, fondato sul diritto divino che è il complesso di norme che non sono state poste dalla Chiesa, ma da essa sono fatte valere perché contenute nella Rivelazione divina, nella Bibbia, Vecchi e Nuovo Testamento. Il diritto canonico quindi si fonda su principi teologici e religiosi ed è costituito soprattutto dalle norme giuridiche positive poste dai competenti organi legislativi della Chiesa. Esse creano e regolano i rapporti giuridici fra i membri del corpo sociale della Chiesa. Il diritto canonico, insieme al diritto romano, è da considerarsi come una delle fonti del diritto moderno. Lo studioso del diritto ecclesiastico, regole giuridiche poste dallo Stato per la disciplina del fenomeno religioso che fa capo alla Chiesa cattolica, non può non considerare l’ordinamento giuridico canonico, che è sovrano, che governa l’istituzione religiosa confessionale diffusa in tutto il mondo, al cui vertice è il Sommo Pontefice, cui sono riconosciute prerogative sovrane nel diritto italiano e anche nel diritto internazionale e che ha sede a Roma, capitale del nostro Stato. Oggi il diritto ecclesiastico è fondato sui principi di libertà e di uguaglianza; come sancito negli artt. 7 e 8 Cost., non v’è spazio per alcuna forma di supremazia o di egemonia confessionale. Si è affermato il convincimento che il diritto ecclesiastico debba essere considerato come il diritto posto dallo Stato per tutelare quel valore assoluto che è la libertà di coscienza di tutti, in tutte le sue manifestazioni. Quando parliamo di libertà delle convinzioni ci riferiamo a quel patrimonio interiore di idee che costituiscono le concezione di vita di ogni persona e che riguardano l’adesione ad una fede religiosa o all’ateismo o l’appartenenza ad una organizzazione filosofica non confessionale. LE FONTI. Sono considerate tali quei fatti o eventi capaci di fornire criteri idonei per l’organizzazione della società e per la regolazione dei rapporti intersubiettivi. Nella dottrina giuridica, in particolare costituzionalistica si parla di fonti sulla produzione e le fonti di produzione, cioè i meccanismi di produzione delle norme. Si parla di fonti di cognizione in riferimento agli atti e agli strumenti mirati alla conoscibilità delle norme prodotte. Quando si parla di fonti del diritto, ciò che ha rilevante considerazione non sono tanto le norme prodotte quanto il potere di produrle. La questione della individuazione delle fonti del diritto ecclesiastico è resa complessa da: PAGE 68 1. l’esistenza di un soggetto con personalità giuridica internazionale, quale la Santa Sede, che è l’organo centrale di governo della Chiesa cattolica di cui lo Stato ha riconosciuto l’indipendenza e la sovranità, che ha stipulato e stipula accordi con lo Stato secondo le regole e le procedure del diritto internazionale; 2. l’esistenza delle altre confessioni religiose che non sono soggetti di diritto internazionale; 3. di conseguenza, le previsioni costituzionali considerano diversamente la Chiesa cattolica e le altre confessioni religiose; 4. l’esistenza di una pluralità di centri di potere normativo (Stato, regioni, province, comuni); 5. l’esigenza di tutelare quel valore fondamentale che è la libertà di coscienza di ogni persona. Gerarchia delle fonti vale a dire la loro collocazione nell’ordinamento giuridico in ordine alla loro efficacia normativa. a) Fonte primaria di ogni ordinamento è la costituzione. La costituzione formale coincide con la costituzione scritta. La costituzione materiale invece è data dall’insieme dei valori condivisi. Essa rappresenta “ il vero fondamento del sistema tale da garantirne l’unità e da colmarne le lacune”. Il fondamento comune della costituzione formale e di quella materiale va considerato rinforzato dalle norme contenute nelle convenzioni internazionali a protezione dei diritti dell’uomo. I principi fondamentali o supremi dell’ordinamento costituzionale rappresentano una categoria creata dalla giurisprudenza della nostra corte costituzionale. b) Anche se secondo la giurisprudenza della corte costituzionale formalmente le leggi di esecuzione dei trattati comunitari sono leggi ordinarie allo stesso livello delle leggi che danno esecuzione a tutti i trattati e accordi internazionali con la procedura indicata nell’art. 80 Cost., non v’è dubbio che le norme dei trattati che concernono l’Unione Europea costituiscono un sistema giuridico compiuto, autonomo, distinto dal sistema del diritto interno dello Stato membro dell’Unione. Nella normativa comunitaria hanno particolare rilievo le clausole contenute nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea proclamata solennemente a Nizza nel 2000: un documento senza vigore giuridico ma con un rilevante valore morale e politico. c) Ad un livello inferiore alle disposizioni costituzionali si hanno le norme di derivazione pattizia o concordataria, che derivano dalla stipulazione di accordi fra lo Stato e le confessioni religiose. La dottrina ha riservato la formula “derivazione pattizia” alle norme che conseguono ad accordi fra Stato e Chiesa cattolica. Sono fonti rinforzate o atipiche, per tentare di precisarne la natura, la forza attiva e passiva e la resistenza all’abrogazione. - Le norme che concernono la Chiesa cattolica: in via preliminare esiste un evento normativo che è la stipulazione di un accordo e poi la legge dello Stato che contiene l’autorizzazione alla ratifica e l’ordine di esecuzione; trattandosi di due soggetti sovrani posti su un piano di parità. L’ordine di esecuzione è lo strumento che consente l’immediata applicazione delle norme internazionali pattizie: il Trattato lateranense, l’Accordo del 1984, il Protocollo sulla disciplina degli enti ecclesiastici, reso esecutivo nel 1985. Tali leggi sono leggi ordinarie. Senza nuovi accordi queste leggi hanno invece “la forza passiva delle leggi costituzionali, non essendo suscettibili di abrogazione o di modifiche ad opera di semplici leggi ordinarie. - Le norme che concernono le altre confessioni religiose: in questo caso esistono più eventi normativi o presupposti posti a base delle leggi che sono emanate dallo Stato per regolare i rapporti con tali confessioni, nel rispetto del vincolo posto dalla costituzione. Le leggi dello Stato che hanno approvato le Intese riproducono i testi negoziati e firmati dal competente organo dello Stato e dai rappresentanti delle confessioni religiose. Al momento si hanno le leggi relative alle Intese stipulate con sei confessioni religiose: • L. 449/84 per la Tavola Valdese, • L. 516/88 per l’Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste, PAGE 68 dell’Atto Finale di Helsinki e al Messaggio dello stesso Giovanni Paolo II per la Giornata mondiale della Pace del 1988. soprattutto da questi ultimi due documenti emerge una concezione moderna dal punto di vista dottrinale e politico. IL MOVIMENTO PER LA LIBERTA’ RELIGIOSA IN ITALIA. In Italia l’azione della Riforma protestante non si dimostrò profonda. Il movimento è stato quasi importato dall’estero e vi fu un esodo di intellettuali italiani aderenti alla Riforma verso la Svizzera e la Germania; il fenomeno protestante italiano più rilevante fu costituito nel XVI secolo dal socinianesimo che prese il nome da Lelio Socini, senese, che rifiutava la dottrina trinitaria e negava la divinità di Cristo. L’Italia deve ad alcuni ecclesiastici cattolici, vescovi e religiosi, di grande livello culturale, un primo impulso verso idee di tolleranza religiosa, che l’Inghilterra ebbe invece dai suoi filosofi, la Germania dai suoi giuristi e la Francia dai suoi letterati. Costituzioni che interessarono i territori italiani nel 700 e che cominciarono a sancire qualche concessione per la libertà di religione: • Costituzione della Repubblica Cispadana (1797): proclama la religione cattolica, consentendo solo agli ebrei il libero e pubblico esercizio del culto; • Costituzione della Repubblica Cisalpina (1797): proclama la piena libertà di culto e il controllo del governo sui ministri di culto non graditi; • Costituzione della Repubblica Ligure (1797 e 1802): si proclama la religione cattolica e nulla è previsto per la libertà degli altri culti; • Costituzione della repubblica di Bonaparte (1802): conferma il principio della religione dello Stato ma riconosce il libero esercizio privato di altri culti; • Costituzione di Napoli e Sicilia (1808): proclama la religione cattolica come religione dello Stato ma nulla sulla libertà degli altri culti. Per quanto concerne il Ducato di Savoia, poi Regno di Sardegna, dalla fine del ‘700 videro la luce provvedimenti via via più liberali fra cui la legge della Consulta del Piemonte del 1800 nella quale si proclamava che l’esercizio dei diritti civili era fondato sui principi di libertà e di uguaglianza e che la diversità di culto non poteva provocare “distinzione tra gli individui nell’esercizio dei loro diritti civili”. Lo Statuto da parte del Re Carlo Alberto il 4 marzo 1848 rimase in vigore fino alla costituzione della Repubblica entrata in vigore il 1° gennaio 1948. lo Statuto Albertino confermò il ruolo dominante e ufficiale della religione cattolica che nell’art. 1 era definita come “la sola religione dello Stato”. Contestualmente si diceva che gli altri culti erano tollerati in conformità alle leggi. Tuttavia il Regno di Sardegna riconobbe esistenza legale e libertà alle comunità ebraiche e valdesi, oltre che piena capacità civile e politica ai seguaci degli altri culti. Le comunità ebraiche erano assai diffuse in tutti gli Stati italiani, tollerate con il godimento di alcuni diritti civili ma non di quelli politici. I Valdesi, che formavano comunità già esistenti prima della riforma protestante, furono tollerati con uno statuto giuridico nel Regno di Sardegna nel XVII secolo. Le Comunità protestanti, alla fine del XVII secolo composte soprattutto da stranieri, come gli studenti tedeschi che frequentavano l’università di Padova e da mercanti nella Repubblica di Venezia assicurò loro una pacifica convivenza. I Greci e gli orientali, presenti soprattutto a Venezia e nel Regno delle Due Sicilie. Nella Repubblica Veneta il rito degli Armeni era ben tollerato. Altre comunità greche erano a Napoli e a Messina. I Musulmani o Saraceni, in numero limitato e rigorosamente vessati. La concezione della c.d. libertà religiosa prevedeva una religione ufficiale o dominante (in Italia quella cattolica), fornita di tutti i privilegi, forte del favore e della protezione del principe e accanto ad essa una tolleranza più o meno larga per i culti ritenuti “onesti” e “pacifici”. LA LOTTA PER LA LIBERTA’ RELIGIOSA NEGLI STATI EUROPEI. BREVI CENNI. PAGE 68 L’Europa, dopo che nel’500 aveva preso avvio la Riforma protestante, visse poi secoli di guerre di religione. Il Cristianesimo cattolico e il Cristianesimo protestante, giocarono un ruolo rilevante per la definizione del sistema dei rapporti fra lo Stato e la Chiesa e quindi anche per gli assetti politici che interessarono i vari Stati. La libertà di coscienza e di religione fu la prima libertà ad essere rivendicata. Il principio “cuius regio eius religio”, sancito nella pace di Augusta nel 1555, significava che “la religione di un paese (doveva essere) quella di chi la governava” e aveva come obiettivo il raggiungimento della pace religiosa. La permanenza di gruppi confessionali diversi dalla maggioranza in uno Stato poteva e doveva essere tollerata a condizione che essi vivessero separati e comunque che assicurassero lealtà verso il potere politico costituito. Il pluralismo religioso e confessionale era divenuto un fenomeno irreversibile, si andava affermando la “laicizzazione”. Nella prima metà del 500, l’imperatore Carlo V, nato nelle Fiandre e morto in Spagna, dominò una grande parte dell’Europa, dalla Spagna alla Germania, Fiandre, Olanda, Italia, presentandosi come difensore della cristianità e proponendosi con una guerra santa di lottare contro eretici, protestanti e infedeli; fino a quando fu costretto a cedere nei confronti dei principi luterani tedeschi nel 1555 con la pace di Augusta. I PAESI TRADIZIONALMENTE E IN MAGGIORANZA CATTOLICI. Negli Stati italiani non si è avuta una grande conflittualità religiosa; Ruffini ha parlato di “indole tollerante degli italiani” ma anche di “proverbiale indifferenza degli italiani per le cose della fede”. Genova, in Piemonte e a Napoli, furono tre le comunità che sono state vessate. Gli Israeliani che subirono molte espulsioni, i Valdesi che furono limitati nell’esercizio del culto dai Duchi di Savoia in Piemonte e i Greci cattolici di rito orientale per i quali si alternarono periodi di intolleranza. Sotto l’influenza della Spagna il cattolicesimo fu molto radicato nell’Italia meridionale. La Francia vide protagonisti gli Ugonotti, i protestanti francesi ispirati al calvinismo ginevrino: l’Editto di gennaio del 1562 che fu il primo Editto di tolleranza, la strage della notte di S. Bartolomeo (23-24 agosto 1572) che colpì gli Ugonotti, infine l’Editto di Nantes del 1598 con il quale si riconosceva che la religione cattolica sarebbe stata sempre la dominante, ma si garantiva che i protestanti non avrebbero più subito persecuzioni. Pacificazione che resistette finchè la Francia fu governata da Luigi XIV; poi il re revocò l’Editto di Nantes, in ciò appoggiato dal clero francese; ma le vicende della Chiesa gallicana, che contestava le prerogative del Papato, dettero vita ad un contrasto violento fra lo Stato e la Chiesa cattolica. Si ebbe un nuovo periodo turbolento di lotte religiose fino alla Rivoluzione del 1789. L’intolleranza cattolica, l’Illuminismo, la costituzione civile del clero, il tentativo di distruzione del Cristianesimo, la Dea Ragione, il culto dell’Ente supremo, la Dichiarazione del 1789 e la costituzione del 1795 ricordano quanto complesse siano state le vicende religiose in Francia; una situazione resa più grave anche dalla nazionalizzazione degli edifici di culto che sottrasse alla Chiesa un enorme patrimonio sottoponendola al completo dominio dello Stato. La Spagna non registrò una lotta per la libertà religiosa come invece avvenne in altre regioni d’Europa. Nel secolo XIII ebbe inizio la “Reconquista” con una crociata contro l’Islam. Ma nello stesso tempo in tutta la Spagna si era sviluppata un’originale cultura costituita da un pacifico connubio fra le influenze europee e le influenze arabe. Il radicamento della Spagna nella religione cattolica ebbe due momenti particolarmente significativi. In primo luogo, la costituzione dell’Inquisizione spagnola nel 1478, Torquemada e altri inquisitori erano impegnati a combattere le diffuse eresie e a rinsaldare l’unità religiosa della Spagna nella più rigida ortodossia cattolica. Un secondo momento fu rappresentato dalla conquista dell’America del sud, che portò ricchezze alla monarchia spagnola, necessarie per finanziarie guerre, annessioni e conquiste, con l’evangelizzazione delle vastissime regioni meridionali del continente. PAGE 68 Il Belgio. Le sue vicende storiche e religiose furono strettamente legate a quella dell’Olanda, fra cattolici e protestanti. Dopo due tentativi di pacificazione, nel 1579 i cattolici dettero vita all’Unione di Arras, che li rendeva autonomi dagli olandesi ponendoli di fatto sotto l’influenza della dinastia degli Asburgo che si mostrava più tollerante di quanto non fossero le magistrature cittadine, il popolo e il clero cattolico. Ma non vi fu effettiva pace religiosa. Un coro unanime di proteste da parte del clero cattolico accolse la Patente di Tolleranza emanata nel 1781 dall’imperatore Giuseppe II. L’Austria. I monarchi austriaci nel loro vasto impero non contrastarono i tentativi di riconciliazione delle due fazioni religiose, la cattolica e la protestante, e mantennero nella sostanza le concessioni via via accordate ai loro sudditi non cattolici, soprattutto in Boemia, in Ungheria e in Transilvania. Non mancarono tuttavia lotte e forme di oppressione e anche di persecuzione, mentre la religione cattolica continuava ad essere considerata la sola dominante in Austria. L’affermazione del Movimento episcopalistico intendeva reagire alle intollerabili conseguenze della Controriforma che aveva portato all’accentramento di ogni potere ecclesiastico nel Pontefice romano; il Movimento rivendicava le prerogative dei vescovi locali e un ragionevole decentramento. L’imperatrice Maria Teresa avversò ogni principio di tolleranza nei confronti degli acattolici; di diverso orientamento fu il figlio, l’imperatore Giuseppe II che, con vari atti detti “patenti” sancì il principio della tolleranza nelle diverse regioni dell’impero per i luterani e i calvinisti detti riformati. La Polonia, potente nel 500, dovette subire invasioni e spartizioni ad opera della Russia, Prussia e Austria (1772, 1793, e 1795) vide le sue frontiere continuamente mutate, fino all’annientamento dello Stato. I polacchi si trovarono a rappresentare un bastione del cattolicesimo stretto fra la Prussia protestante e la Russia cristiana ortodossa. Per oltre due secoli gli interessi della religione e quelli della politica si incontrarono e si scontrarono vedendo protagonisti i re polacchi con la loro politica espansionistica e la potentissima nobiltà, posti però di fronte alle pretese di Federico di Prussia e di Caterina II di Russia in favore dei protestanti e degli ortodossi. Solo nel XX secolo, dopo i mutamenti politici e territoriali intervenuti alla fine della prima guerra mondiale, la Polonia viene riunificata e caratterizzata da una grande omogeneità cattolica. PAESI PASSATI ALLA RIFORMA. L’Olanda. Le provincie olandesi che erano passate alla Riforma dettero vita all’Unione di Utrecht nel 1579 costituendosi repubblica protestante indipendente, appunto l’Olanda, mentre i cattolici dettero vita alle provincie indipendenti del Belgio. Il concetto di libertà religiosa prese vita dai contrasti violentissimi che si ebbero all’interno del protestantesimo, fra la confessione luterana e la confessione calvinista detta riformata. Erasmo da Rotterdam (1469-1536), Ugo Grozio (1583-1645), uno dei massimi fondatori del diritto internazionale, condannato e perseguitato per il suo spirito liberale, dovette rifugiarsi in Francia; Baruch Spinosa (1632-1677), grande filosofo razionalista e discepolo della scuola cartesiana. La Svizzera. La libertà di religione ha visto contrasti nei Cantoni tedeschi e in quelli francesi, nei Cantoni a maggioranza cattolica e in quelli a maggioranza protestante. Furono necessarie ben 4 “Paci territoriali” (1529, 1531, 1656 e 1712) perché si potesse mettere fine alle guerre di religione. Nella Svizzera francese, in particolare nella regione ginevrina, aveva trionfato la teocrazia ad opera del riformatore Calvino il quale, a differenza di Lutero, aveva dato vita ad una riforma non solo religiosa ma anche politica. Gli Stati scandinavi (Danimarca, Svezia, Norvegia). Il trionfo della Riforma fu il frutto di un’operazione politica, con l’utilizzazione anche di mezzi violenti, ad opera dei sovrani che imposero il luteranesimo come religione ufficiale, furono in grado di dominare il potere del ricco clero cattolico e della nobiltà. La Svezia però si rese in qualche modo benemerita accogliendo gli Ugonotti cacciati dalla Francia. Nuove forme di intolleranza si registrarono quando la regina PAGE 68 I FONDAMENTI DELLA LIBERTA’ RELIGIOSA NELL’ORDINAMENTO ITALIANO. La dignità della persona è la sua condizione che, per le qualità intrinseche (razionalità e libertà), è meritevole del massimo rispetto da parte degli altri soggetti. La natura umana è un bene comune a tutte le persone. La persona vanta una dignità propria che non può essere annullata o violata. Nella nostra Carta Costituzionale sono scritte due c.d. super-norme. 1.La costituzione sancisce il riconoscimento e il rispetto dei “diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”(art.2 principio personalista). In Assemblea costituente, durante i lavori preparatori della costituzione, si preferì adottare il termine “inviolabili” piuttosto che “naturali”. Il carattere inviolabile sancito fa sì che tali diritti siano considerati sul piano strettamente giuridico come imprescrittibili. L’inviolabilità dei diritti della persona opera erga omnes ed essi assumono il carattere di diritti assoluti. 2. La Costituzione sancisce anche il principio di uguaglianza (art. 3) secondo cui “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Per assicurare tale situazione paritaria ed evitare possibili discriminazioni il legislatore è intervenuto emanando apposite norme giuridiche; la legge 122/1993, detta misure in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa e mirate alla prevenzione e alla repressione di tali reati. Il legislatore al fine di regolamentare con il criterio della ragionevolezza situazioni obiettivamente diverse, può attuare regime giuridici diversificati o differenziati. La Corte ha riconosciuto spazio alla discrezionalità legislativa, se non esercitata in modo palesemente irragionevole (ordinanza 168/2001). La derogabilità di tale principio, dice la Corte costituzionale, “trova un limite inderogabile nel rispetto dei principi supremi dell’ordinamento” (sentenza 12/1972). Ciò che è rilevante è che l’uguale libertà sia assicurata a tutte le istituzioni confessionali e a tutte le persone. LA LIBERTA’ RELIGIOSA NELL’ORDINAMENTO GIURIDICO. L’ART. 19 DELLA COSTITUZIONE. Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purchè non si tratti di riti contrari al buon costume. Tutti , cittadini stranieri o apolidi; la garanzia è posta a tutela della libertà di aderire o non aderire ad una fede o confessione religiosa e di mutare fede religiosa; la professione della fede, sia in forma individuale sia in forma associata è libera; è sancita le libertà di fare propaganda della fede religiosa professata, con l’insegnamento, con gli scritti e con i moderni mezzi di comunicazione; è garantita la libertà di praticare il culto. Quando si garantisce la libertà religiosa, si intende garantire che, per finalità e interessi religiosi, si possano rivendicare anche: 1. la piena libertà personale; 2. l’inviolabilità del domicilio; 3. la libertà e la segretezza di ogni forma di comunicazione; 4. la libertà di movimento, 5. la libertà di riunione; 6. la libertà di associazione; 7. la libertà di manifestazione del pensiero, 8. la libertà di stampa. PAGE 68 A queste previsioni ne vanno aggiunte altre due: - il dovere-diritto dei genitori di istruire e di educare i figli, - quella che riconosce il diritto a enti e privati di fondare scuole e istituti di educazione. Le manifestazioni impedite avrebbero dovuto riguardare i c.d. riti, cioè comportamenti e fatti, e avrebbero dovuto riguardare solo il comune senso del pudore in materia sessuale, nell’accezione penalistica e non in quella civilistica del termine (art.1343 cod.civ.). Il buon costume è un concetto “relativo” che varia con i mutamenti della coscienza sociale e secondo altri fattori; sarà il giudice o altro competente organo dello Stato ad applicare il parametro indicato nella Costituzione. Non riteniamo che si possa accogliere una interpretazione estensiva di buon costume nel senso di un generico sentimento etico o di morale pubblica. Si deve trattare di fatti attinenti la sfera sessuale tutelando l’onore e il pudore sessuale. La regolamentazione esclude ogni controllo per ciò che attiene il profilo dell’ordine pubblico da parte di autorità dello Stato. Non supera il limite sancito nella Costituzione quella confessione religiosa che predicasse la più totale promiscuità o l’incesto o l’iniziazione sessuale dei minori senza poi mettere in pratica previsioni di questo genere in riunioni o adunanze. Il controllo o l’intervento del competente organo dello Stato può avvenire ex post, non preventivamente per non dar vita al perseguimento di reati di opinione. Fu facile in Assemblea costituente trovare l’accordo sulla formulazione perché il panorama religioso ricomprendeva, oltre la fede cattolica, alcune denominazioni evangeliche, la comunità valdese, le comunità ebraiche, comunità cristiane ortodosse e alcuni piccoli gruppi islamici. Nessuna di tali confessioni avrebbe posto problemi in materia di buon costume. La libera manifestazione del pensiero religioso e il compimento di atti pubblici di culto devono svolgersi anche in osservanza di quanto disposto nel T.U. delle leggi di Pubblica Sicurezza (1931) e nel regolamento di esecuzione emanato con R.D. 635/1940. si impone l’obbligo del preavviso per le cerimonie fuori dei luoghi di culto e si riconosce la facoltà del questore di vietarle per ragioni di ordine pubblico o di sanità pubblica. La Corte costituzionale ha però dichiarato l’illegittimità della norma nella parte in cui implica l’obbligo del preavviso per le cerimonie in “luoghi aperti al pubblico” in riferimento all’art.17 Cost.. La convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, adottata nell’ambito del Consiglio d’Europa, firmata a Roma nel 1950, ratificata dall’Italia, che all’art.9 tutela la libertà di pensiero, di coscienza e di religione. MUTAMENTI SOCIALI. Nel costume della società italiana è avvenuta la piena acquisizione del principio della legittimità del pluralismo ideologico e culturale, a tutti i livelli. Sono avvenuti profondi cambiamenti nella Chiesa cattolica, sia dal punto di vista dell’evoluzione della sua dottrina grazie al Concilio Vaticano II, sia dal punto di vista dei comportamenti ecclesiali. L’Accordo stipulato nel 1984 tra lo Stato e la Santa Sede, che ha modificato il Concordato concluso nel 1929, ha rappresentato una svolta nei rapporti con lo Stato e un abbandono dell’attitudine di egemonia della Chiesa sulla società italiana. Lo Stato ha cominciato a dare attuazione alla norma costituzionale stipulando accordi con le confessioni diverse da quella cattolica, dopo aver sancito la loro autonomia. Tra le confessioni e movimenti religiosi che hanno acquisito diritto di esistere e di operare liberamente nel nostro Paese vi è l’Islam. Un fenomeno molto consistente è costituito dalle c.d. “nuove religioni” o “nuovi movimenti religiosi” o “ movimenti magici o profetici” e molti di essi sono stati denominati “sètte”. PAGE 68 Le questioni che risultano fra le più preoccupanti sono quelle relative ai casi di sequestro, a situazioni di grave soggezione psichica e a riti di fatto immorali o illeciti inaccettabili per la coscienza sociale, come le c.d. messe nere. Il Parlamento europeo, con una Risoluzione del maggio 1984 si è pronunciato nei confronti delle organizzazioni “che operano al riparo della libertà di religione quando le loro pratiche ledono i diritti dell’uomo e del cittadino e pregiudicano la situazione sociale degli interessati” ; un’altra Risoluzione è stata adottata dallo stesso Parlamento europeo nel febbraio del 1996 concernete proprio le sètte. Con un Rapporto del 1999, il Consiglio d’Europa ha suggerito l’adozione di opportune misure di prevenzione e l’istituzione di centri di informazione. MANIFESTAZIONI DELLA LIBERTA’ RELIGIOSA. La c.d. libertà matrimoniale. È la libertà propria di ogni persona di scegliere la forma di celebrazione del proprio matrimonio; per cui i matrimoni celebrati con un rito religioso, cattolico o di altre fedi religiose sortiscono gli effetti civili. La libertà religiosa nell’ambito della famiglia. Nel rapporto fra i coniugi. La Legge pone l’obbligo ai genitori di educare i figli secondo le proprie convinzioni. L’insegnamento religioso nella scuola. È riconosciuta la libertà di scegliere se avvalersi o no dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche. La fruizione di assistenza religiosa nelle istituzioni pubbliche. La disponibilità di luoghi di culto. L’obiezione di coscienza all’aborto. La legge dello Stato 194/78, ha voluto garantire “il diritto alla procreazione cosciente e responsabile”, ha voluto riconoscere “il valore sociale della maternità” e ha voluto tutelare “la vita umana dal suo inizio”. “Il personale sanitario ed esercente le attività sanitarie non è tenuto a prendere parte alle procedure...ed agli interventi per l’interruzione di gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione”. L’obiezione di coscienza alla vivisezione. La libertà religiosa nei rapporti di lavoro. L’assegnazione della quota pari all’otto per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e l’effettuazione di erogazioni liberali in denaro in favore di confessioni religiose; le questue e le collette all’interno degli edifici di culto. Chi lo desidera può erogare donazioni in denaro alle confessioni religiose e detrarle dal proprio reddito fino ad un massimo di due milioni di vecchie lire. Riconoscimento agli effetti civili di istituzioni ed enti e delle loro attività. Sono molteplici le procedure di cui dispongono le confessioni per ottenere il riconoscimento giuridico delle proprie strutture: a) vi è la procedura riservata agli enti della Chiesa cattolica contenuta nella legge 222/1985; b) nella legge 1159/1929 (detta legge sui culti ammessi) c) si può consentire l’attività in Italia di società, associazioni, fondazioni ed enti stranieri che rimangono disciplinati dalla legge dello Stato. Utilizzazione dei mezzi di comunicazione di massa. Stampa pubblicazioni e affissioni, con le garanzie specifiche previste nell’Accordo del 1984 con la Chiesa cattolica e nelle Intese stipulate dallo Stato con altre confessioni religiose. PAGE 68 11. Il diritto all’istruzione. 12. Particolare rilevanza la giurisprudenza ha riservato alla clausola del rispetto delle convinzioni religiose e filosofiche dei genitori che questi possono esigere dallo Stato. 13. Il rispetto delle convinzioni dei genitori deve trovare una sua applicazione anche nel quadro dell’insegnamento pubblico. 14. La giurisprudenza ha considerato la possibilità di organizzazione dell’insegnamento privato. La clausola del riconoscimento del diritto dei genitori comporta il riconoscimento della libertà di insegnamento. Questo non vuol dire che lo Stato sia obbligato a favorire la creazione di istituti privati di insegnamento. La regolazione della questione rientra nella discrezionalità degli Stati. 15. La Corte, con una sentenza del febbraio 2003, emessa in tema di art.11 della Convenzione (libertà di riunione e di associazione), si è pronunciata contro l’intenzione manifestata da un Partito mirata a sostituire in Turchia l’ordinamento democratico con un sistema giuridico fondato sulla legge islamica (la Shari’a), utilizzando i diritti e le libertà democratiche. La Corte ha sancito implicitamente un principio di laicità che non può consentire l’assunzione di una ideologia religiosa a fondamento di una società democratica. LA PROTEZIONE DELLA LIBERTA’ RELIGIOSA NELLA COMUNITA’ INTERNAZIONALE. I Trattati e le Convenzioni, se debitamente ratificati, hanno forza di legge all’interno degli ordinamenti statuali secondo i contenuti propri delle norme convenzionali adottate. Esiste un complesso di impegni politici e di obbligazioni giuridiche che derivano da atti internazionali o adottati o firmati e ratificati da moltissimi Stati che costituiscono un sistema di tutela e di controllo, assai valido anche in pratica. Se è vero che le norme più rilevanti sono quelle della Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950, è anche vero che per gli Stati membri dell’Unione Europea esiste un altro importante strumento che è la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea proclamata a Nizza in occasione del Vertice del Consiglio europeo (2000). Si può dire che la comunità internazionale, che è nata laica e che si è manifestata talvolta come anti-religiosa, ora si incontra con l’ideologia delle Chiese soprattutto cristiane per la protezione di un universale valore di libertà, come esigenza primordiale della dignità umana. La libertà di coscienza, di religione e di convinzione contribuisce alla libera circolazione delle idee nelle società governate dalla democrazia. Ogni violazione della libertà di religione o di convinzione è considerata dalla comunità internazionale come un’offesa alla coscienza umana. LA LIBERTA’ RELIGIOSA E I REGIMI DEI RAPPORTI FRA LO STATO E LE CONFESSIONI RELIGIOSE. La Pace di Augusta nel 1555, che fu il compromesso stabilito fra i principi luterani e i principi cattolici, portò all’affermazione del principio: “cuius regio eius religio”, vale a dire che ogni sovrano in pratica avrebbe avuto il diritto di imporre la confessione religiosa da lui scelta ai propri sudditi. Con la progressiva costituzione degli Stati nazionali aderenti alla Riforma si è dato vita a Chiese nazionali. Questo fattore costituì la consacrazione dell’assolutismo di Stato, ma fece sì che l’intolleranza si diffondesse. Fermiamo l’attenzione su due regimi storicamente significativi: 1. il giurisdizionalismo. Fu un’attitudine politica dello Stato assoluto, fondata su una corrente di pensiero politico-filosofica, sorta nel XV sec.e sviluppatasi nei secoli XVII e XVIII, mirata a proteggere la Chiesa cattolica ma anche di controllarla e sottometterla, ribaltando il rapporto dei poteri esistente nei secoli precedenti nei quali il sistema della teocrazia, con la subordinazione del potere temporale a quello spirituale avevano comportato la supremazia del potere papale. Fu il PAGE 68 prevalere della politica sulla religione, l’estromissione completa del Papato dalla politica attiva europea. Per la protezione della Chiesa: a) diritto di intervenire a garanzia della fede contro le eresie e a tutela delle istituzioni della Chiesa; b) diritto di imporre le riforme ritenute utili e di intervenire sull’organizzazione ecclesiastica e sulle questioni dottrinali; Per la tutela dello Stato dalla Chiesa: a) diritto di intervento per la nomina dei vescovi e di alti dignitari della Chiesa; b) diritto di intervento degli organi dello Stato per limitare i rapporti fra la Chiesa nazionale e il Papa e per disciplinare il funzionamento; c) diritto di esclusione da un ufficio ecclesiastico di persona non gradita allo Stato; d) diritto dei fedeli e degli ecclesiastici di ricorrere al sovrano contro provvedimenti dell’autorità ecclesiastica; e) diritto vantato dal sovrano sui beni ecclesiastici per l’amministrazione e l’imposizione di tributi; f) autorizzazione previa del sovrano per la pubblicazione di atti ecclesiastici; g) potere di procedere a sequestri di beni della Chiesa in caso di cattiva amministrazione o di ostilità allo Stato. La pratica del giurisdizionalismo dello Stato deve essere studiata insieme alle lotte e alle guerre di religione che insanguinarono l’Europa; così come la progressiva tolleranza o le prime forme di libertà religiosa vanno comprese in relazione al tipo di giurisdizionalismo praticato dal sovrano secondo i suoi interessi politici e all’intensità delle lotte religiose che hanno interessato quasi tutti gli Stati europei. Poi il giurisdizionalismo, sempre in forme diversificate, e via via meno rigide, fu fatto proprio dallo Stato liberale. 2. il separatismo. È legato all’affermazione storica dell’uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge indipendentemente dalla religione professata e della libertà di coscienza e di culto. Tutti coloro che si sono interessati della questione muovevano dalla convinzione che le Chiese dovessero essere considerate come semplici corporazioni o associazione private, senza personalità giuridica. La storia ne ha registrati in particolare due modelli, quello francese e quello americano. a) Il separatismo francese, conseguenza della filosofia illuminista e della Rivoluzione del 1789, sulla base della libertà e dell’uguaglianza reagì all’ancien règime, e con esso al potere della Chiesa. Il liberalismo dell’800 costituì la dottrina etico politica del separatismo, volendo far trionfare la centralità dell’individuo. Nella dottrina liberale l’autorità non si considerava più come derivata da Dio ma dal popolo. Il laicismo , l’anticlericarismo e la reazione ai sistemi confessionisti, caratterizzati dalla tendenza alla “di scristianizzazione”, resero difficile l’esercizio di quella libertà. In epoca moderna, la separazione fra lo Stato e le confessioni religiose è stata sancita in Francia con la legge del 1905 tuttora in vigore. b) Il separatismo americano ebbe origine completamente diversa. La storia religiosa delle colonie dell’America del nord è assai diversificata, in considerazione della provenienza dei coloni. Le vicende della maggioranza delle colonie furono legate alle vicende inglesi. Nel Maryland i cattolici furono fra i precursori della libertà religiosa e furono i primi cattolici ad adottare una Carta dei diritti nel 1648. A questa seguirono la Dichiarazione dei diritti della Virginia (1776), la Costituzione di Filadelfia (1787) ed altre. Via via si operò negli Stati una separazione fra i due poteri fino al 1791 quando il primo Congresso degli Stati Uniti sancì che non avrebbe emanato nessuna legge che si fosse riferita allo “stabilimento della religione” o avesse proibito “il libero esercizio di essa”. PAGE 68 GIURISDIZIONALISMO E SEPARATISMO IN ITALIA. ASSAI SINGOLARE RISULTò LA SITUAZIONE IN Italia dopo il 1861, anno dell’Unità. Gravi difficoltà creava il conflitto esistente fra il nuovo Stato e la Santa Sede. Si sommavano insieme due problemi: .1 il contrasto teorico e pratico di alcuni principi liberali con i postulati del cattolicesimo in tema di concezione di diritti e di libertà, specialmente della libertà di culto; .2 l’affermata superiorità giuridica dello Stato sulla Chiesa, propria delle dottrine liberali. Assai evidente fu l’influenza delle idee che avevano trionfato in Francia. La formula cavouriana “libera Chiesa in libero Stato”, indicava un ideale separatista che era propugnato da molti esponenti della cultura e della politica. Cavour considerava con grande correttezza politica l’esigenza di giungere a dichiarare Roma capitale del Regno con una soluzione che tenesse opportuno conto dell’esistenza del Papato. Nel Regno di Sardegna e poi inizialmente nel Regno d’Italia vigeva in sostanza un regime di giurisdizionalismo separatista, vale a dire con il riconoscimento della religione di Stato e l’esercizio dei diritti sovrani di controllo sulla Chiesa. L’elemento separatista fu sempre tenuto in considerazione dallo Stato liberale che dopo l’Unità si sforzò di laicizzare l’amministrazione e la società togliendo alla Chiesa il controllo della scuola, dell’assistenza e della beneficenza, oltre che del matrimonio. Dopo l’Unità d’Italia ci fu un sistema denominato neo-giurisdizionalismo con il quale lo Stato si interessava delle cose della Chiesa. Né il giurisdizionalismo né il separatismo rigidamente considerati furono in grado di assicurare la piena libertà religiosa. Il regime di Mussolini tenne conto dell’influenza della Chiesa cattolica sulla società italiana e si adoperò per giungere a quella che fu chiamata la “Conciliazione” fra lo Stato e la Chiesa nel 1929. LA LIBERTA’ DELLA CONFESSIONI RELIGIOSE. CHE COSA E’ UNA CONFESSIONE RELIGIOSA. Per confessioni religiose potremmo intendere le comunità sociali stabili, dotate o non dotate di organizzazione strutturata, con formazioni proprie rigide o attenuate, con una concezione propria e originale del mondo basata sull’esistenza di un Essere trascendente o superiore che è in rapporto con gli uomini. Nella concezione europea tradizionale la comunità sociale a carattere religioso è monoteista. Nella tradizione europea c’è un concetto di religione istituzionalizzata e possiamo riferire la definizione sopra proposta alla confessione cattolica, protestante, ortodossa, ebraica, islamica. È necessario far rientrare nella definizione alcune religioni orientali, ora presenti nel nostro Paese: l’Induismo radicato in India, con i suoi caratteri di religione sincretista che prevede pratiche e culti riferiti a più divinità. Il Buddhismo, presente dall’India alla Cina, non prevede un culto della divinità ma costituisce un sistema filosofico-religioso per la salvezza dell’uomo con l’estinguersi del dolore, dei desideri e delle passioni nel nirvana collegato alla reincarnazione. Si tratta di istituzioni o strutture sociali che tramandano norme etiche o salvifiche insegnano atteggiamenti e comportamenti che possono corrispondere al sentimento di dipendenza della creatura umana dell’Essere divino. Gli elementi presenti in tutte le religioni sono la concezione di vita e i comportamenti che da essa conseguono. In dottrina si è posta la questione della differenza esistente fra “confessione religiosa” e “associazione religiosa” nel sistema giuridico italiano. L’associazione che ha fine religioso o culturale non ha una concezione propria originale del mondo; è un organismo nato da una comunità più vasta da cui prende ispirazione circa i principi da accettare e i comportamenti da tenere. Alle associazioni religiose è riconosciuto il diritto di richiedere il riconoscimento giuridico come enti morali, ferma restando la possibilità del PAGE 68 4. Oggetto della tutela. La norma indica tre situazioni che possono interessare le strutture e che rappresentano oggetto della tutela: la costituzione dell’ente o dell’istituzione, la sua capacità giuridica e le forme di attività da essi svolte. Si deve applicare il diritto comune per non incorrere nella disparità di trattamento, da un punto di vista legislativo e regolamentare e dal punto di vista di imposizioni fiscali o oneri finanziari. Va condivisa l’opinione di una autorevole dottrina tributaristica secondo la quale rimane preclusa al competente organo dello Stato la libertà di individuare “una specifica capacità contributiva differenziale a carico di associazioni religiose o di culto, nei confronti di ogni altra associazione od istituzione aventi altre finalità pur lecite...”; per cui si potrebbe parlare di “una particolare considerazione” e quindi di “una tutela preferenziale, sul piano costituzionale, degli interessi religiosi e di culto rispetto ad ogni altra finalità che associazioni ed istituzioni possono avere nell’ambito dell’ordinamento giuridico” 5. Destinatari della norma. Sono il legislatore nazionale, i poteri normativi degli enti locali, i giudici e le pubbliche amministrazioni: a questi soggetti è posto il divieto di costituire o applicare limitazioni legislative o speciali gravami fiscali. IL REGIME GIURIDICO DEL RAPPORTO FRA LO STATO E LE CONFESSIONI RELIGIOSE. LA DISCUSSIONE ALL’ASSEMBLEA COSTITUENTE SULL’ART. 7 COST. Nell’ambito dei lavori della I Sottocommissione del 1946 a discutere il tema del rapporto fra il nuovo Stato democratico e la Chiesa, da parte dell’on. Dossetti, relatore di parte democristiana, fu posto il problema di un riconoscimento della Chiesa sotto il profilo internazionalistico. Con distinte norme contenute nella sua Relazione, egli proponeva il riconoscimento da parte dello Stato dell’ordinamento della Chiesa; la previsione che le norme di diritto internazionale, come gli accordi in vigore tra lo Stato e la Chiesa, facessero parte dell’ordinamento dello Stato; infine, un esplicito richiamo al principio della religione cattolica come religione dello Stato e ai Patti lateranensi, conclusi nel 1929, come base del diritto nelle relazioni tra Stato e Chiesa. Il Dossetti giungeva ad affermare la necessità della bilateralità della disciplina regolante i rapporti. Riconoscendo alla Chiesa una personalità di diritto internazionale, concludeva che i rapporti tra Stato e Chiesa dovevano essere regolati da atti di diritto esterno e non di diritto interno, cioè dagli Accordi del Laterano. Detti Patti lateranensi, stipulati fra l’Italia e la Santa Sede nel 1929. L’on. Togliatti, capo del Partito comunista, rilevava di trovarsi di fronte ad uno stato costituito dai Patti lateranensi e ad un’esigenza di principio relativa all’indipendenza dello Stato dalla Chiesa e quindi della completa libertà di coscienza e di culto. L’on. Mastrojanni, comunista, pur non condividendo le argomentazioni di Dossetti, ammetteva che la Chiesa, anche se non venisse riconosciuta come uno Stato, esisterebbe sempre come ordinamento giuridico originario. L’on. Cevolotto, l’altro relatore di area laica, l’oppositore più tenace delle argomentazioni di Dossetti non accettava di far discendere come conseguenza il riconoscimento dell’originarietà dell’ordinamento giuridico internazionale e di quello degli altri Stati, dato che tale riconoscimento era previsto unicamente per arrivare a quello della originari età dell’ordinamento giuridico della Chiesa. Durante i lavori il Dossetti intervenne ripetutamente, sostenuto in particolare dall’on. Moro, per ribattere alle obiezioni e alle contestazioni. Il riconoscimento della originalità dell’ordinamento della Chiesa risponde alla posizione dottrinale largamente condivisa che si oppone alla statualità del diritto; Dossetti sottolineava che la base della teoria era il principio della distinzione fra l’ordinamento dello Stato e quello della Chiesa, cosicchè ambedue possano procedere per strade distinte e indipendenti e che tale distinzione costituiva anche la base della laicità dello Stato. La questione del richiamo o inserimento dei Patti lateranensi nella norma costituzionale, fortemente voluta dalla Democrazia Cristiana in conformità a quanto la Santa Sede desiderava, sollevò una opposizione assai ampia e motivata. Da molte parti politiche veniva un generale riconoscimento del permanente vigore dei Patti del 1929, ma non si riteneva che dovessero entrare “nel tessuto vitale e organico della Repubblica”. L’opposizione faceva valere sostanzialmente quattro motivazioni: PAGE 68 • impossibilità di leggere “per trasparenza” nella Costituzione le norme dei Patti; • l’inserimento dell’art. 1 del Trattato nella Costituzione avrebbe sancito una prevalenza di diritto della religione cattolica non conciliabile con i principi di libertà e di laicità; • il contrasto insanabile fra talune clausole dei Patti e le norme costituzionali e la coscienza civile; • la cristallizzazione della posizione giuridico-politica dei rapporti fra Stato e Chiesa. Con la stipulazione dei Patti, lo Stato si era impegnato con la Santa Sede dando vita ad un rapporto di carattere internazionale. Allo Stato rimaneva la facoltà di denunciare i Patti pur incorrendo in un illecito internazionale. Ora si chiedeva di far divenire quel particolare rapporto con la Chiesa anche un impegno a carattere costituzionale. Nella seduta del dicembre 1946 il Presidente on. Tupini sottopose ai parlamentari della Sottocommissione una nuova formulazione “nell’intento di facilitare un accordo tra i diversi punti di vista”. In sede di Commissione dei “75”, nella seduta del gennaio 1947 la discussione fu tutta dominata dal problema del rapporto fra Stato e Chiesa. L’on. Dossetti riteneva che la formula che si approvava aveva un evidente significato giuridico- politico che raggiungeva ugualmente l’obiettivo di riconoscere l’originarietà dell’ordinamento giuridico della Chiesa cattolica affermandone l’indipendenza e la sovranità. Dossetti concludeva affermando che quando si parla di “indipendenza” e “sovranità”, se ne parla nel senso proprio e tecnico di autonomia primaria. L’on. Terracini, comunista, aveva cercato di far chiarezza affermando che “l’origine di cui si parla...non è la struttura interna della Chiesa, dato che “la Chiesa ha una propria indipendente sovranità nel piano che le compete, essa si dà un libero ordinamento interno”. A parere di Dossetti, il comma 2 andava inteso come una norma strumentale, cioè, sulla produzione giuridica; la disciplina giuridica del rapporto doveva essere definita bilateralmente e la eventuali norme dirette a modificare clausole del Trattato e del Concordato dovevano essere “prodotte” attraverso l’iter dell’accordo bilaterale. Le norme dei Patti non venivano costituzionalizzate, Dossetti precisava che esse sarebbero state modificabili, con l’accordo della Chiesa, senza il procedimento di revisione costituzionale. Sulla questione della necessità di procedere a modifiche di alcune norme del Concordato, da parte democristiana si tendeva a sminuirne la rilevanza, presentandole come punti di dettaglio o questioni facilmente risolvibili stante la sicura disponibilità della Chiesa a trattare le difficoltà che si sarebbero incontrate per realizzare l’obiettivo. Nell’ultimo suo ampio intervento in Assemblea, l’on. Togliatti, per conto del Partito comunista, confermando che non era in discussione la sovranità e l’indipendenza della Chiesa, che un conflitto con essa avrebbe turbato la coscienza di molti italiani, annunciò il voto favorevole dei comunisti con motivazioni squisitamente politiche. Il testo approvato da una maggioranza composta da democristiani e comunisti risultò così formulato: “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due Parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale”. L’INTERPRETAZIONE DELLA NORMA COSTITUZIONALE. Con i “principi fondamentali”, si è inteso identificare il nucleo inderogabile della Costituzione, cioè i valori e i criteri che non potrebbero subire deroghe. La dottrina ha considerato l’art. 7 come una delle norme che hanno più richiesto approfondimenti e interpretazioni fra quante compongono la parte della Costituzione relativa ai principi fondamentali. Con un grande sforzo i costituenti avevano identificato il modello di rapporto da instaurarsi tra Stato e Chiesa cattolica nella rinata democrazia italiana, ma poi la realtà è incaricata di domistrare quanto il problema non fosse solo quello del rapporto fra i due ordinamenti giuridici sovrani quanto piuttosto quello di un rapporto dinamico fra due realtà vive in profonda cintinua trasformazione e anche in contrapposizione. Il comma 1. PAGE 68 Da un punto di vista strettamente giuridico, ai sensi dell’art. 7.1 Cost., si può ritenere che la Chiesa si trovi in una situazione di non dipendenza dello Stato. Secondo il diritto canonico per giurisdizione ecclesiastica si intende l’insieme dei poteri di governo che, per istituzione divina, competono alla Chiesa, esercitati da soggetti insigniti dell’ordine sacro ai diversi livelli, nei confronti dei fedeli battezzati. Da un punto di vista tecnico-giuridico i due aggettivi (indipendenti e sovrani), non indicano due caratteri autonomi propri dei due enti (Stato e Chiesa), dato che l’indipendenza di ognuno dei due enti segue alla loro sovranità interna ed esterna. Nella Costituzione si riconosce l’indipendenza e la sovranità della Chiesa e non della Santa Sede, in quanto il riferimento era alla istituzione presente e operante nella società italiana; non avrebbe avuto senso riconoscere l’indipendenza e la sovranità di un altro ente che è sovrano nella comunità internazionale. Sembrerebbe che parlare di “ordine” implichi anche parlare di limiti al libero esercizio della giurisdizione ecclesiastica e quindi, pur ammettendo una immunità giurisdizionale, prevedere un certo controllo sull’esercizio della giurisdizione ecclesiastica e poter valutare la liceità degli atti emanati. Interventi o direttive magisteri ali dell’autorità ecclesiastica, pur coperti dalle garanzie generali sulla libertà e rispondenti a specifici interessi della Santa Sede e/o della Chiesa, possano rifluire in modo incisivo nell’ordine sociale e configgere con interessi dello Stato. Un rigido giurisdizionalismo o un rigido separatismo non farebbero sorgere tali questioni; si può affermare che rientra nella logica dello Stato democratico, che comporta partecipazione e libertà di espressione, prendere atto della pluralità delle opinioni. Alcune tematiche nell’epoca contemporanea provocano diversità di vedute che costituiscono forme di pressione sugli orientamenti degli organi dello Stato e sulle loro decisioni: • la politica di pace e il rifiuto della guerra; • la politica relativa all’immigrazione, ai clandestini e all’accoglienza: la Chiesa cattolica è interessata ad una attuazione piena dei principi di carità e di fratellanza universale; • le soluzioni legislative concernenti i problemi posti da alcune questioni della bioetica: la Chiesa cattolica mira a far conservare nella società i valori cristiani della famiglia e della procreazione; • la Chiesa cattolica difende in tutti i suoi aspetti l’esercizio del dovere-diritto dei genitori all’educazione dei figli. La Chiesa non ha mai rivendicato, né avrebbe potuto farlo, poteri di sindacato sui processi normativi statali o sulle pronuncie emanate da organi giurisdizionali dello Stato. Prima di giungere ad una decisione unilaterale, lo Stato deve risolvere le controversie come previsto nell’art.14 dell’Accordo del 1984, perseguendo un’amichevole soluzione, ricercata con l’istituzione di una Commissione paritetica per materie disciplinate dall’Accordo; in cui rientrano interessi delle due parti. Fermo restando il vigente regime pattizio, potranno essere identificate nuove materie, diverse da quelle disciplinate nell’Accordo, che potranno essere oggetto di regolamentazione bilaterale. Viene fatta salva la potestà dello Stato di intervenire comunque unilateralmente. Anche se si parla della non ingerenza dello Stato nell’”ordine” della Chiesa, va ricordato che la formula dell’art. 7.1 contiene anche il precetto della non ingerenza della Chiesa nell’ordine dello Stato. a) La sovranità e l’indipendenza della Chiesa, è riconoscibile e riconosciuta solo laddove non si manifesta la sovranità dello Stato, ossia relativamente a rapporti e comportamenti, che per la loro intrinseca natura, puramente spirituale o religiosa; b) Che l’implicito riconoscimento della potestà originaria della Chiesa non intacca il principio fondamentale secondo cui l’efficacia di norme canoniche non è mai diretta o immediata nello Stato; c) Che il riconoscimento contenuto nel comma 1 impedisce solo un’attività normativa diretta a intaccare o alterare o controllare la struttura gerarchico-istituzionale della Chiesa; d) Che il riconoscimento della sovranità e indipendenza della Chiesa costituisce riconoscimento dell’originarietà dell’ordinamento canonico. PAGE 68 b. Che cosa sono le Intese. La parola indica accordi su interessi, ma indica un preciso strumento di regolamentazione di situazioni giuridiche. L’Intesa ha la funzione di costituire un presupposto o una condizione di legittimità costituzionale. La norma fissa il principio di bilateralità e la rinuncia alla potestà di intervento unilaterale dello stato. Per quanto riguarda la natura giuridica dell’Intesa, si può dire che essa è una convenzione di diritto pubblico interno, accordo stipulato fra lo stato, che è un ordinamento giuridico primario e sovrano, e una confessione religiosa, ordinamento giuridico originario ma non sovrano. Un Accordo stipulato dalla Santa Sede con lo Stato. È una convenzione di diritto esterno perché essa è posta secondo norme esterne ai due ordinamenti sovrani, cioè a norme proprie del diritto internazionale. Non si può sostenere che lo Stato possa rifiutarsi di stipulare un’Intesa in assenza di situazioni o di richieste contrastanti con l’ordinamento giuridico non eliminabili o non derogabili; lo Stato disapplicherebbe la norma costituzionale. Di regola sono state le confessioni ad avviare i contatti preliminari; lo Stato non ha esercitato né esercita pressioni per giungere ad un’Intesa. Le 6 Intese finora stipulate sono formulate in modo articolato; nulla però esclude che possano essere formulate con l’enunciazione di principi generali, non articolati, che poi il legislatore statale potrebbe “tradurre” in articoli di legge. c. Rapporto fra legge e Intesa. La Costituzione prevede che sia la legge dello Stato lo strumento necessario per regolare i suoi rapporti con una confessione religiosa. Si pone così una riserva di legge. La legge di cui all’art. 8.3 Cost., non può essere emanta se non sulla base di un’Intesa raggiunta. Una legge emanata per iniziativa unilaterale dello Stato sarebbe incostituzionale. La legge di approvazione dell’Intesa è a tutti gli effetti una legge dello Stato. È una legge ordinaria che vanta una particolare resistenza all’abrogazione in quanto “condizionata” da un presupposto (l’Intesa) costituzionalmente previsto. Si possono avere Intese integrative o modificative di precedenti Intese che devono essere approvate con altrettante leggi. d. Chi negozia e stipula Intese. Le parti abilitate al negoziato sono il Governo cui compete la responsabilità politica delle trattative e la responsabilità è del Presidente del Consiglio dei Ministri. Nel caso in cui l’Intesa riguardi un settore specifico, responsabile sarà il Ministro competente. Ai sensi della legge 400/1988 gli atti concernenti le Intese con le confessioni religiose devono passare al vaglio del Consiglio dei Ministri che solo può autorizzare la stipulazione e la firma dell’Intesa e la presentazione del relativo disegno di legge di approvazione. Le rappresentanze devono fornire per conto delle confessioni un opportuno livello di affidabilità. Qualche problema si può porre per quanto concerne religioni di origine orientale. È necessario tenere presenti alcuni elementi: 1. la pronuncia della Corte di Cassazione del 1997, legittima una interpretazione estensiva del concetto di “confessione religiosa” che va aldilà di una concezione propria delle religioni monoteiste di ascendenza biblica presenti nella cultura europea; 2. il fatto che tali religioni di origine orientale siano considerate “confessioni religiose” nel Paese in cui hanno avuto origine; 3. l’esigenza che la confessione religiosa di origine orientale sia in grado di esprimere una effettiva rappresentanza capace di negoziare con lo Stato e assumere impegni ed obblighi. e. Le Intese stipulate. Al momento ne sono state stipulate con 6 confessioni religiose: • Chiese rappresentate dalla Tavola Valdese, 1984. • Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste del 7° giorno, 1986, (Mormoni) • Assemblea di Dio in Italia, 1986,(Geova) • Unione delle Comunità ebraiche italiane, 1987, • Unione cristiana evangelica battista d’Italia, 1993, • Chiesa evangelica luterana in Italia, 1993. PAGE 68 I CONTENUTI DELLE INTESE. Si può dire che vi sia una significativa analogia tra l’Accordo stipulato nel 1984 con la Chiesa cattolica e le Intese, una generale significativa analogia esiste tra i contenuti delle diverse Intese. Per comprenderne analogie e diversità quanto ai contenuti si deve tenere presente: 1. le trattative tra lo Stato e le confessioni religiose, sono state condotte nell’intento di dare piena attuazione al principio fondamentale della libertà religiosa; 2. si è negoziato nell’intento di dare piena attuazione al principio della “eguale libertà” e al principio sancito nell’art. 20 Cost. circa il divieto di discriminazione di tutte le istituzioni di tutte le confessioni religiose. Materie più rilevanti regolate nelle Intese. a) Autonomia e indipendenza dell’ordinamento confessionale. Nell’Intesa con la Tavola Valdese si aggiunge il riconoscimento della sua “indipendenza”; alle comunità ebraiche è riconosciuta la qualifica di “formazioni sociali originarie”. b) Attuazione del principio di bilateralità. c) Ministri di culto. Lo status e l’attività dei ministri di culto costituiscono una questione centrale nel rapporto giuridico che si stabilisce fra le confessioni e lo Stato. 1. Nomina. Per tutte le confessioni è sancita la piena libertà di nomina di coloro che le confessioni considerano ministri di culto con l’attribuzione di funzioni particolari nella comunità, senza alcuna ingerenza statale. Nell’Intesa con l’Unione battista, data la pluralità di ministeri esistente è prevista comunicazione dei nominativi dei ministri ai competenti organi dello Stato. 2. Tutela e rispetto del segreto. Per i ministri dei culti acattolici è prevista la tutela espressa nell’art. 200 cod.proc.pen. dove si dice che “non possono essere obbligati a deporre su quanto conosciuto per ragione del proprio ministero...i ministri di confessioni religiose, i cui statuti non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano”. 3. Remunerazione e previdenza. In vari Stati dell’Unione lo Stato direttamente prende a suo carico il trattamento economico dei ministri di culto erogando stipendi e provvidenze. Nel nostro ordinamento questo non avviene. Nelle Intese stipulate si è convenuto: 1. ogni confessione religiosa provvede al sostentamento dei propri ministri di culto e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali; 2. fermo restando il principio sancito, l’attuazione avviene in modo differenziato. L’assistenza sanitaria per i ministri di culto è prevista nella legge 669/1967; la previdenza è assicurata dalla loro iscrizione al Fondo istituito per il clero cattolico e per i ministri di culto delle altre confessioni con la legge 903/1973. l’intervento dello Stato è solo indiretto. d) Assistenza spirituale e religiosa, con opportuni accordi e con l’intento di favorire quanto più possibile le richieste di coloro che prestano servizio militare, ai degenti negli ospedali e case di cura, e ai detenuti negli istituti penitenziari. Non si dà una presenza permanente dei ministri di culto e gli oneri finanziari per l’organizzazione del servizio religioso sono a carico delle confessioni. e) Celebrazione del matrimonio. Lo Stato riconosce gli effetti civili al matrimonio celebrato secondo il rito di tutte le confessioni che hanno stipulato Intese , secondo una procedura e con adempimenti esattamente uguali a quelli previsti nell’Accordo con la Chiesa cattolica. Pubblicazioni alla casa comunale, nullaosta dell’ufficiale di stato civile, celebrazione, redazione dell’atto di matrimonio in duplice originale di cui uno viene trasmesso all’ufficiale di stato civile, trascrizione del matrimonio. Nell’Intesa con le Comunità ebraiche “resta ferma la facoltà di PAGE 68 celebrare e sciogliere matrimoni religiosi, senza alcun effetto o rilevanza civile, secondo la legge e la tradizione ebraiche”. f) Libertà di istituzione di scuole. Tre confessioni su sei hanno richiesto e ottenuto la speciale garanzia con le stesse formulazioni contenute nell’Accordo con la Chiesa cattolica: le Comunità ebraiche, gli Avventisti e i Luterani. g) Cultura religiosa nella scuola statale. Tutti hanno il diritto di non avvalersi di insegnamenti religiosi. Nell’Intesa con le Comunità ebraiche c’è l’esplicito riferimento allo studio dell’ebraismo e si precisa che rimane “esclusa ogni ingerenza sulla educazione e formazione religiosa degli alunni ebrei”. h) Disciplina degli enti e delle istituzioni, forme di finanziamento, regime patrimoniale e tributario. - le attività di religione o di culto agli effetti tributari sono equiparate alle attività degli altri enti aventi fini di beneficienza o di istruzione, quindi un trattamento favorabilis; - iscrizione degli enti riconosciuti nel registro delle persone giuridiche ai sensi del D.P.R. 361/2000; - le attività diverse da quelle di religione o di culto sono regolate agli effetti tributari dal diritto comune; - la gestione patrimoniale e gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione degli enti si svolgono secondo gli ordinamenti propri delle confessioni e senza ingerenza statale; - ad eccezione dell’Unione battista, tutte le confessioni concorrono alla ripartizione della quota pari all’8 per mille dell’IRPEF nel rispetto delle scelte operate dai contribuenti; - le persone fisiche possono dedurre dal proprio reddito complessivo, agli effetti dell’IRPEF le erogazioni liberali in denaro fino all’importo di 2 milioni di vecchie lire a favore di tutte le confessioni religiose; i) Libertà di professione, di organizzazione e di attività l) Libertà per le affissioni, per la distribuzione di pubblicazioni a carattere religioso e per la raccolta di collette, all’interno e all’ingresso dei luoghi di culto. m) Regime degli edifici di culto. Tutte le Intese, ad eccezione di quella con la Tavola Valdese, prevedono il divieto di occupazione, espropriazione o demolizione degli edifici aperti al culto, se non per gravi ragioni e previo accordo con gli organi delle confessioni; inoltre, salvi casi di urgente necessità, è previsto il divieto di ingresso della forza pubblica negli edifici di culto senza preavviso e senza accordo con i responsabili. n) Tutela dei beni culturali. È sancito in tutte le Intese, analogamente a quanto convenuto con la Chiesa cattolica, il principio della collaborazione fra Stato e confessioni per la tutela e la valorizzazione dei beni di patrimonio storico e culturale. o) Servizio militare. Ad eccezione delle Intese con l’Unione battista e con i Luterani, le altre prevedevano agevolazioni per quanto riguardava l’obiezione di coscienza al servizio militare per i ministri di culto e il rinvio pre gli studenti di teologia. p) Riconoscimento dei titoli accademici. Norme particolari sono previste in alcune Intese per esigenze specifiche solo di alcune confessioni: PAGE 68 esser lette in armonia con il principio di laicità che più volte la Corte costituzionale ha considerato come principio supremo dell’ordinamento costituzionale. L’ITALIA E LA SANTA SEDE. LA STIPULAZIONE DEL TRATTATO DEL LATERANO. Nel settembre 1870, quando avvenne la conquista di Roma da parte dell’esercito italiano, fu opinione generale che lo Stato pontificio fosse stato debellato ad eccezione della basilica di S. Pietro, dei palazzi pontifici, dei giardini vaticani e di quella parte della città di là dal Tevere, fino a Castel S. Angelo, chiusa entro le vecchie mura vaticane fatte erigere dal papa Leone IV e per questo chiamata “Città leonina”. Su richiesta delle stesse autorità pontificie, anche una parte della Città Leonina (quella fuori del complesso del Vaticano) fu occupata dalle truppe italiane. Il plebiscito di annessione di Roma e della provincia romana riguardò di fatto anche quel quartiere. La “questione romana” consisteva nell’esigenza di regolare sia la condizione giuridica del Papa, sia le relazioni dello Stato italiano con la Santa Sede, denominata anche Sede Apostolica, come ente sovrano cui fa capo io governo centrale della Chiesa cattolica. Le difficoltà in sede politica erano rappresentate dall’intransigenza del Papa Pio IX, che considerava la presa di Roma come una “usurpazione” che lo rendeva “prigioniero” e dal tipo di soluzione che doveva essere adottata per rendere in qualche modo “visibile” l’effettiva indipendenza del Pontefice. Lo Stato italiano aveva ritenuto di dare una soluzione alla “questione romena” con la legge 214/1871 detta legge delle guarentigie perché il suo oggetto principale era quello di “garantire” l’indipendenza del Papato. In quegli anni, il documento pontificio più famoso fu il c.d. Sillabo, cioè una raccolta di 80 proposizioni ritenute erronee dal Papa; il Sillabo era annesso all’enciclica Quaranta cura, 1864, che condannava le posizioni dottrinali del tempo considerate contrarie alla fede cattolica. L’enciclica è una lettera che il Papa indirizza ai Vescovi o anche ai fedeli della Chiesa cattolica, contenente il suo pensiero in materia dottrinale o socio-politica. È indicata con le prime parole del testo. Il Consiglio di Stato aveva affermato che la legge delle guarentigie dovesse essere considerata come una legge di diritto pubblico interno da qualificarsi come legge fondamentale dello Stato, alla stregua dello Statuto del Regno del 1848. La legge delle guarentigie del 1871, atto unilaterale dello Stato e mai accettato dalla Santa Sede, aveva cercato di armonizzare le diverse esigenze affermando la sovranità dello Stato su tutti i territori del debellato Stato Pontificio, inclusa tutta la città di Roma e stabilendo altresì una sorta di uis singulare per garantire la persona del Pontefice che, cessando di essere un sovrano politico per la caduta del potere temporale, veniva considerato come un cittadino; la legge voleva garantire l’esercizio della giurisdizione del Papa sulla Chiesa e una libertà ritenuta adeguata per l’azione della Sede Apostolica anche a livello internazionale. La legge del 1871 “permise alla Santa Sede di continuare a svolgere la sua attività con la massima indipendenza, ma era pur sempre una manifestazione del potere unico dello Stato che riconosceva alla Chiesa il “diritto” di rimanere a Roma, con privilegi sovrani al Pontefice e assicurando immunità, secondo il diritto internazionale, per gli Inviati dei governi esteri presso il Papa e per i suoi Inviati presso i governi esteri. Lo Stato attribuiva alla Chiesa una libertà che però il Papa Pio IX rifiutava, invitando i cattolici italiani a boicottare la vita politica dello Stato unitario non partecipando alle elezioni per ritorsione contro la monarchia sabauda. Grazie alla frequenza e alla cordialità dei rapporti che via via si erano instaurati fra alcuni uomini di governo italiani e i vertici della Segreteria di Stato della Santa Sede, veniva riservata attenzione anche alla ricerca del tipo di strumento ritenuto più idoneo per assicurare l’effettiva e anche visibile indipendenza del Papato, senza riprodurre il precedente “potere temporale”. Nelle c.d. intese che erano state abbozzate a Parigi nel 1919, dopo la fine della guerra durante i negoziati per il Trattato di pace, fra il Presidente del Consiglio V.E. Orlando e il Nunzio mons. PAGE 68 Cerretti, si prevedeva anche la possibilità di fornire garanzie internazionalmente rilevanti attraverso la Società delle Nazioni, con la richiesta da parte italiana di ammissione della Santa Sede ad essa. Discussioni e polemiche anche in campo cattolico portarono all’accantonamento dell’adesione della Santa Sede all’organizzazione internazionale. Il Governo italiano manifestò la propria contrarietà all’ingresso della Santa Sede nella Società delle Nazioni. Anche fra coloro che sostenevano che dopo gli Accordi del ’29 la Santa Sede, per conto e in nome della Città del Vaticano avrebbe avuto attitudine giuridica di entrare a far parte della Società delle Nazioni prevalse l’orientamento che tale partecipazione non sarebbe risultata opportuna. La sistemazione dei rapporti fra lo Stato unitario italiano e la Santa Sede, si è avuta con la stipulazione dei Patti lateranensi, così chiamati perché sono stati firmati a Roma nelò palazzo del Laterano l’11 febbraio 1929. Con il Trattato è stata regolata ex novo la posizione della Santa Sede nei confronti dell’ordinamento dello Stato italiano. Con il Concordato, stipulato congiuntamente, sono state regolate le condizioni della religione e della Chiesa in Italia, modificato nel 1984. fu firmata anche una Convenzione finanziaria per la liquidazione dei crediti della Santa Sede verso l’Italia. La stipulazione dei Patti lateranensi vedeva, da un alto, lo Stato italiano che annullava la situazione giuridica sancita con la legge delle guarentigie; dall’altro, la Santa Sede considerato subiectum iuris riconosciuto sovrano nel campo internazionale, che governa e rappresenta la Chiesa cattolica e che si vedeva garantita la piena proprietà e giurisdizione sul nuovo Stato della Città del Vaticano. Dopo aver consolidato il suo potere, il regime fascista si adoperò per “impadronirsi” di questa avvertita esigenza e trasformarla in un poderoso e incisivo strumento di consenso sociale, anche nell’ambiente ecclesiastico. Decise di chiudere con il regime fascista il contenzioso che esisteva con lo Stato italiano; il regime le offriva con il Concordato condizioni giuridiche particolarmente favorevoli su materie assai importanti per essa, come il matrimonio, gli enti ecclesiastici e l’insegnamento religioso, il riconoscimento ufficiale della religione cattolica. Di qui l’enorme rilevanza politica dei Patti e della c.d. Conciliazione fra lo Stato italiano e la Chiesa. In luogo di una regolamentazione unilaterale espressione della sovranità statuale, com’era avvenuto con la legge delle guarentigie; con i Patti lateranensi sia stata posta in essere, con il riconoscimento della piena sovranità della Santa Sede, una disciplina bilaterale convenzionalmente stabilita fra Stato italiano e Chiesa e modificabile solo di comune accordo. Il Trattato è stato stipulato e ratificato nelle forme specifiche degli accordi internazionali; all’art. 27 si fa riferimento alla procedura della ratifica e le Parti hanno riconosciuto la qualifica di atto internazionale di carattere essenzialmente politico, di grande rilevanza, caratterizzato dall’assunzione di impegni giuridicamente vincolanti sia di natura temporale sia attinenti alla posizione giuridica della Santa Sede in Italia con l’individuazione di garanzie e obblighi. Alla Santa Sede lo Stato italiano riconosceva la personalità nel campo del diritto internazionale. Il Trattato del Laterano ha avuto rilevanza anche nei confronti degli altri Stati. Dal punto di vista del diritto internazionale si è attuata una differenza specifica e sostanziale fra la nuova situazione risultante con il Trattato e quella anteriore. Finchè il Pontefice risiedeva in territorio italiano e come “cittadino” seppur privilegiato, all’Italia incombeva l’obbligo di provvedere ad assicurare sia l’indipendenza e la libertà del Papa sia le “condizioni idonee” per garantire i suoi rapporti con gli altri Stati. Il Trattato del Laterano ha costituito un Trattato di pace, con il quale la Santa Sede rinunciava ai suoi diritti sovrani sui territori occupati dall’Italia, ad eccezione di quella porzione di territorio sul quale si costituiva una nuova entità statale, cioè lo Stato della Città del Vaticano. Il Trattato non sarebbe mai stato rimesso in discussione dato che la pace era stata conclusa, mentre il Concordato avrebbe potuto subire integrazioni e modifiche o essere anche denunciato e fatto cadere senza coinvolgere necessariamente il Trattato. Il Capo del Governo Mussolini affermava al Senato il 25 maggio del 1929 che gli eventuali dissidi non avrebbero interessato il Trattato ma il Concordato. I Concordati si modificano e quello italiano è stato modificato nel 1984 con le procedure proprie del diritto internazionale. Al Trattato PAGE 68 lateranense, in occasione della stipulazione del nuovo Accordo fra Italia e Santa Sede nel 1984, sono state riservate solo 2 “dichiarazioni” concernenti l’art. 1 del Trattato relativo alla religione dello Stato; l’altra all’art. 23.2 sull’efficacia civile dei provvedimenti emanati dalle autorità ecclesiastiche. Si possono ritenere di carattere universale quegli interessi tutelati dal Trattato e particolari quelli tutelati dal Concordato. Pio XI in una lettera al suo Segretario di Stato ribadiva che la Santa Sede considerava “l’uno complemento necessario dell’altro. La concisa frase (“o avranno insieme lo stesso vigore o cadranno insieme”) costituiva un avvertimento politico al Governo italiano nel senso di obbligarlo a considerare chiusa la “questione romana” solo se avesse mantenuto gli impegni circa la condizione della Chiesa in Italia. Da parte del Governo italiano si preferiva riconoscere solo che il Concordato era “il logico e necessario sviluppo” del Trattato. GLI OBIETTIVI DEL TRATTATO. 1. assicurare alla Santa Sede in modo stabile “l’assoluta e visibile indipendenza” per il compimento della sua missione; 2. si riconosceva la necessità di “garantirLe una sovranità indiscutibile pur nel campo internazionale”, costituendo allo scopo la Città del Vaticano; 3. da parte della Santa Sede si esprimeva il riconoscimento che la “questione romana” poteva considerarsi “composta in modo definitivo e irrevocabile”. Con la solenne dichiarazione contenuta nell’art. 26, la Santa Sede: • riconosceva che con gli Accordi sottoscritti le veniva assicurato “adeguatamente quanto Le occorre per provvedere con libertà e indipendenza al governo pastorale di Roma e della Chiesa in Italia e nel mondo”, • considerava “definitivamente e irrevocabilmente composta e quindi eliminata la questione romena”; • riconosceva “il Regno d’Italia sotto la dinastia di Casa Savoia con Roma capitale”. A sua volta l’Italia riconosceva “lo Stato della Città del Vaticano sotto la sovranità del Sommo Pontefice”. Nel 1962 nel Palazzo del Campidoglio l’apertura del Concilio Vaticano II, il card. Montini, futuro Papa Paolo VI, ricordava il crollo del dominio territoriale pontificio. Dopo aver delineato il rapporto esistente fra la “Roma civile” e la “vicina Città religiosa”, il card. Montini aggiungeva che il Risorgimento italiano ebbe per meta di dare al nuovo Stato italiano capitale Roma. LA SOVRANITA’ DELLA SANTA SEDE. Con l’art. 2 del Trattato lateranense l’Italia ha riconosciuto “la sovranità della Santa Sede nel campo internazionale”. È una sovranità di natura religiosa e spirituale. Lo Stato italiano rinunciava “a considerare la suprema istituzione della Chiesa come ente soggetto al suo potere d’imperio e alle sue leggi, per ritenerla come un’istituzione autonoma. L’ordinamento giuridico proprio della Chiesa cattolica “diritto canonico”, fondato su principi teologici e religiosi, governa l’istituzione ecclesiastica che è una società di persone umane battezzate. Il diritto positivo della Chiesa cattolica ne regola l’organizzazione e il funzionamento per il raggiungimento degli obiettivi spirituali nell’interesse dei singoli e della società intera, è contenuto soprattutto nel codice di diritto canonico; quello vigente è stato promulgato nel 1983. Alla Santa Sede competono prerogative e diritti quale supremo potere universale della Chiesa cattolica, con la pienezza di poteri e il diritto esclusivo di rappresentarla di fronte a Stati, a organizzazioni e ad altri soggetti. Il codice parla di una potestà ordinaria, suprema, piena, immediata e universale propria del Pontefice, esercitata liberamente su tutta la Chiesa. Il codice canonico precisa che col nome di Sede Apostolica o Santa Sede si intende in primo luogo personalmente il Sommo Pontefice oltre che i dicasteri e gli uffici della Curia Romana. Il Pontefice può assumere decisioni in nome e per conto della Chiesa universale. PAGE 68 )b le costituzioni apostoliche, )c le leggi emanate per la Città del Vaticano dal Sommo Pontefice, )d i regolamenti emanati dall’autorità competente. L’interferenza esistente fra ordinamento canonico e ordinamento giuridico vaticano costituisce un altro elemento che caratterizza lo Stato “atipico”. Non sono solo le costituzioni apostoliche a dover essere considerate fonti del diritto, ma anche le Lettere apostoliche emanate Motu Proprio dal Pontefice che con tali strumenti può integrare il diritto canonico vigente o anche derogare ad esso. Dal punto di vista della gerarchia delle fonti, sotto il profilo sia formale che sostanziale, agli interventi del Pontefice va riservato il rango più alto ma sempre nel rispetto del diritto divino. Il Pontefice non potrebbe, ad esempio, annullare i poteri propri dei vescovi. Il 7 giugno 1929, oltre la legge fondamentale e la legge sulle fonti del diritto vaticano, furono emanate altre leggi per l’organizzazione dello Stato: • sulla cittadinanza e il soggiorno; • sull’ordinamento amministrativo; • sull’ordinamento economico, commerciale e professionale; • sulla pubblica sicurezza. Con alcune norme contenute nella legge sulle fonti del diritto del 1929, sono stati operati ampi rinvii alla legislazione italiana. L’art. 3 della legge del 1929 sulle fonti del diritto ha previsto che la legislazione italiana avesse vigore nello Stato vaticano fino a che non si fosse provveduto con leggi proprie dalla competente autorità vaticana, con la precisa riserva che la norma italiana non dovesse contrastare con il diritto divino, con i principi generali del diritto canonico e con le norme dei Patti lateranensi e sempre che risultasse applicabile. Il governo dello Stato vaticano è così organizzato: 1. alla Pontificia Commissione cardinalizia per lo Stato della Città del Vaticano, con mandato quinquennale, compete il potere legislativo per l’emanazione di leggi e regolamenti. Il Presidente della Commissione esercita il potere esecutivo in collaborazione con la Commissione e rappresenta lo Stato. 2. il Consigliere Generale e i Consiglieri dello Stato costituiscono un organo consultivo. 3. esiste un apparato amministrativo detto Governatorato, organizzato in Direzioni generali, Dipartimenti, Uffici e Servizi. Al Governatorato fa capo il Corpo di vigilanza dello Stato. 4. con la legge del 1987 n.889 sono stati definiti e regolati gli organi del potere giudiziario dello Stato. La legge prevede il giudice unico, il tribunale, la corte d’appello e la Corte di cassazione che esercitano le rispettive competenze in nome del Sommo Pontefice. È il Pontefice che giudica attraverso gli organi. Questi operano indifferentemente per le cause civili e per quelle penali e dipendono gerarchicamente dal Sommo Pontefice e dagli organi per mezzo dei quali egli esercita la potestà legislativa. 5. il Segretario Generale, oltre che coadiuvare il Presidente della Commissione nelle sue funzioni, “sovraintende all’applicazione delle leggi e delle altre disposizioni normative...e all’attività amministrativa del Governatorato. 6. l’Ufficio del lavoro della Sede Apostolica è competente per le controversie relative al rapporto di lavoro tra i dipendenti dello Stato e l’amministrazione. È stata consentita la costituzione dell’Associazione Dipendenti Laici Vaticani (che non è un sindacato) con proprio statuto. Non è possibile sollevare alcuna eccezione sui vari tipi di provvedimenti che il Romano Pontefice può adottare. Va ricordato il disposto del canone 333.3 del codice canonico secondo cui contro le sentenze o i decreti del Pontefice non si dà né appello né ricorso. PAGE 68 È riservata esplicitamente al Pontefice la rappresentanza dello Stato nei rapporti con gli Stati esteri e la esercita per mezzo della Segreteria di Stato. I rapporti di carattere giudiziario fra Italia e Stato vaticano si svolgono secondo le procedure del diritto internazionale. A partire dal 1929 l’Italia e lo Stato vaticano hanno stipulato vari Accordi e Convenzioni. Una convenzione risulta particolarmente rilevante sotto il profilo giuridico ed è quella relativa alla notificazione degli atti in materia civile e commerciale stipulata nel 1932. La questione più interessante regolata da tale convenzione è quella concernente i casi in cui possono essere convenuti in giudizio, nello Stato italiano, la Santa Sede, lo Stato vaticano o lo stesso Pontefice, per questioni patrimoniali. Con ciò esiste una rinuncia della Chiesa all’immunità giurisdizionale dei suoi soggetti nei riguardi dell’Italia per le materie regolate dalla convenzione. Va precisato che l’eventuale citazione deve avvenire in persona del card. Segretario di Stato cui compete la rappresentanza processuale. Nessuno Stato intrattiene rapporti diplomatici con lo Stato vaticano per le ragioni concernenti la sovranità internazionale del soggetto Santa Sede. Tuttavia, la personalità giuridica dello Stato vaticano è stata esplicitamente riconosciuta nei concordati stipulati con la Spagna nel 1953, con la Repubblica Dominicana nel 1954 e con il Venezuela nel 1964. Lo Stato della Città del Vaticano è parte di oltre 70 convenzioni e accordi stipulati nell’ambito di organizzazioni internazionali concernenti materie riferite allo Stato come base territoriale o per esigenze di funzionamento dell’entità territoriale. Quando la Santa Sede firma convenzioni per lo Stato della Città del Vaticano intende indicare l’ambito territoriale su cui alcuni diritti e alcuni obblighi imputabili alla Santa Sede possono concretarsi o gravare. Accordi concernenti servizi postali, radio e telecomunicazioni, grano,, turismo, navigazione marittima, protezione delle opere letterarie e artistiche, proprietà industriali, forma del testamento internazionale, apolidi recupero degli alimenti all’estero, questioni doganali. LE GARANZIE DELL’ITALIA ALLA SANTA SEDE. Nelle clausole del Trattato è ricompreso un complesso di riconoscimenti e di garanzie in favore della Santa Sede e dello Stato vaticano che si doveva costituire, conseguenti alla sovranità e indipendenza che lo Stato italiano intendeva assicurare in modo “esplicito, leale, perfetto”. Le garanzie previste nel Trattato consistono in pratica in assicurazioni e in mezzi per il compimento di atti. Nella Relazione del Capo del Governo al Parlamento in occasione della ratifica del Trattato, veniva fatta anche una importante precisazione:” data la natura della sovranità della Santa Sede si sono dovuti adottare criteri speciali per quanto riguarda la cittadinanza, il diritto di estradizione, l’amministrazione della giustizia penale e altre minori peculiarità di questa Città che si può chiamare Città di anime più che di cose o di uomini”. Garanzie politiche e giuridiche generali. LA RELIGIONE DELLO STATO. L’Italia nell’art.1 del Trattato “riconosce e afferma” il principio che era consacrato nell’art.1 dello Statuto Albertino del 1848, in forza del quale “la religione cattolica, apostolica e romana è la sola religione dello Stato”. La clausola, contenente la qualificazione religiosa dello Stato, voleva costituire una garanzia offerta alla Santa Sede circa l’identità ideologica dello Stato italiano. La clausola, di carattere concordatario, rendeva più forte la posizione della Chiesa cattolica in Italia. Si parlava di doveri dello Stato cattolico nei confronti della religione: • la professione sociale della religione del popolo da parte dello Stato; • l’ispirazione cristiana della legislazione; • la difesa del patrimonio morale e religioso del popolo. PAGE 68 Il regime fascista in realtà non faceva una professione di fede religiosa; il cattolicesimo poteva essere usato come una religione civile dello Stato nazionale per avere il favore della Chiesa. Nessuna formulazione della carta costituzionale consente di considerare lo Stato italiano come confessionista. In tema di riconoscimento ufficiale della religione cattolica sia il testo del Trattato del Laterano che il testo del Concordato si aprono “in nome della Santissima Trinità”, che stava a significare l’adesione formale alla dottrina cattolica circa la Chiesa che stipulava con la forza dell’autonomia divina e l’altra, lo Stato. Sull’effettiva portata del discorso dell’art. 1 del Trattato la dottrina si è ovviamente divisa. Quella più vicina alla parte cattolica ha visto nella disposizione un preciso orientamento confessionale, in senso cattolico. Quella più laica ha ritenuto che in realtà la clausola avesse un carattere puramente programmatico perché gli stipulanti non potevano non avere presente come questo non avesse impedito la laicizzazione dello Stato e la politica anticlericale che si ebbe prima e dopo l’unità d’Italia. La clausola poteva così essere ritenuta come una questione di limitata importanza. Nel protocollo addizionale dell’Accordo di Villa Madama del 1984 si è dichiarato che il principio di cui all’art. 1 del Trattato lateranense era da considerarsi “non più in vigore”, aveva un carattere concordatario, quindi tale da poter rientrare nel procedimento di revisione del Concordato. LA SOVRANITA’E LA GIURISDIZIONE SULLA CITTA’ DEL VATICANO. Alcune norme particolari disciplinano il regime giuridico che interessa la piazza S. Pietro; onere posto a carico dello Stato italiano. La piazza è a tutti gli effetti territorio vaticano. La Parte favorita è la Santa Sede la quale non avrebbe gli strumenti per operare in modo efficace la necessaria vigilanza. Considerata la peculiarità del luogo e l’enorme affluenza, l’onere assunto risponde anche ad un interesse dello Stato italiano che è in grado di eliminare una possibile dannosa “zona franca”, che potrebbe provocare gravi rischi per l’ordine pubblico dell’intera città di Roma. Il regime giuridico prevede che: • la piazza è normalmente aperta al pubblico e soggetta ai poteri di polizia delle autorità italiane; • l’esercizio di tali poteri di polizia giunge ai piedi della scalinata della basilica; le autorità di polizia si devono astenere dal montare e dall’accedere ad essa, salvo che siano invitate ad intervenire dalla competente autorità vaticana; • nel caso che la piazza sia sottratta temporaneamente al libero transito del pubblico, in occasione di particolari funzioni, le autorità italiane si ritireranno al di là del colonnato del Bernini. È una norma che ha rilevato una drammatica attualità nel caso dell’attentato al Papa Giovanni Paolo II il 13 maggio 1981. IL DIRITTO DI LEGAZIONE E DI LIBERO TRANSITO. Gli artt. 12 e 19 del Trattato costituiscono garanzie secondo le regole generali del diritto internazionale; nel can. 362 del codice canonico, si ricorda “il diritto nativo e indipendente” del Pontefice di nominare e inviare suoi rappresentanti diplomatici “nel rispetto però delle norme del diritto internazionale”. La ratio della norma non consiste nel riconoscimento del diritto è una formulazione semplicemente dichiarativa. Da parte dell’Italia si è proceduto: • al riconoscimento pieno del diritto di legazione attivo e passivo che compete al Pontefice, vale a dire il diritto di inviare e ricevere rappresentanti diplomatici secondo le regole del diritto internazionale; PAGE 68 un “ente centrale” della Chiesa cattolica ai sensi dell’art. 11 del Trattato lateranense; la Corte di Cassazione, I sez. penale, ha negato tale qualifica. L’incidente si è chiuso il 18 maggio 2001 quando la Commissione bilaterale Italia-Santa Sede ha emesso un comunicato congiunto dal quale risultavano mantenuti gli impegni della Santa Sede di ridurre l’emissione di onde elettromagnetiche. L’ESENZIONE DA DAZI E DIRITTI DOGANALI. L’art. 20 del Trattato contiene un’ulteriore garanzia in favore della Santa Sede: esenzione da dazi e diritti doganali sulle merci provenienti dall’estero e dirette alla Città del Vaticano o ad altri istituti o uffici della Santa Sede siti fuori del Vaticano. Garanzie personali. LA TUTELA PENALE PER LA PERSONA DEL PONTEFICE. La norma del Trattato, “considerando sacra ed inviolabile” la persona del Pontefice, riserva ad essa la stessa tutela penale riconosciuta al Capo dello Stato italiano, in precedenza al Re: punibilità dell’attentato contro la sua persona, della provocazione a commetterlo, delle offese e delle ingiurie pubbliche commesse nel territorio italiano con discorsi, con fatti e con scritti. La base della tutela riconosciuta e il carattere sacro e inviolabile della persona, nel passato riservata al Re d’Italia e sancita nello Statuto del Regno. Sulla base della prerogativa della “inviolabilità” la dottrina penalista ed ecclesiasti cistica tradizionalmente ha riservato al Sommo Pontefice una incapacità penale generale, vale a dire non solo una sua non punibilità ma anche l’impossibilità di costituire soggetto di imputazione di un qualsiasi illecito penale. Nell’epoca contemporanea il riferimento al carattere “sacro” e “inviolabile” non ha più alcuna base giuridica, la costituzione ora vigente all’art. 90 dispone in modo diverso circa la responsabilità del capo dello Stato. La norma costituzionale prevede che egli non sia da considerarsi “responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla costituzione”. Di conseguenza, risulterebbe di impossibile applicazione al Sommo Pontefice l’immunità di cui all’art. 90 Cost.. LE GARANZIE E LE ESENZIONI PER I CARDINALI E ALTRI DIGNITARI ECCLESIASTICI. I cardinali, anche se residenti in Roma fuori della Città del Vaticano sono considerati a tutti gli effetti cittadini vaticani. Godono in Italia di onori e precedenze nelle cerimonie e funzioni pubbliche. L’esenzione dal servizio militare, dall’ufficio di giudice popolare e da ogni prestazione di carattere personale per i seguenti soggetti: • i dignitari della Chiesa • i componenti della Corte pontificia • gli ufficiali di curia e i funzionari di ruolo. È garantita l’assenza di ogni impedimento, investigazione o molestia da parte delle autorità italiane nei confronti degli ecclesiastici che partecipano fuori dei confini vaticani all’emanazione di atti della Santa Sede. Ogni persona straniera che ricopra un ufficio ecclesia sirtico in Roma non può essere soggetta ad espulsione. LE GARANZIE PER LA CELEBRAZIONE DEI CONCLAVI E DEI CONCILI. Il codice di diritto canonico e la legge fondamentale dello Stato Vaticano prevedono la situazione della sede vacante. La vacanza della Sede Apostolica si può dare per la morte del Papa o per la sua rinuncia, sia come capo della Chiesa sia come sovrano dello Stato della Città del Vaticano. Nel caso della rinuncia, perché sia valida, si richiede che sia fatta liberamente e sia manifestata con le dovute modalità e PAGE 68 non è necessaria l’accettazione da parte di alcun soggetto; ma si tratta di un evento che forse si è registrato con certezza una sola volta con Celestino V nel 1294. Il Collegio dei cardinali è l’organo cui compete l’elezione del nuovo Sommo Pontefice dal 1059. Per procedere all’elezione il Collegio dei cardinali si riunisce in riunione solenne plenaria denominata conclave. 1. Viene assicurato il libero transito ed accesso dei cardinali al Vaticano attraverso il territorio italiano, senza alcuna limitazione o impedimento alla loro libertà personale; 2. è prevista una garanzia perché nel territorio italiano, intorno alla Città del Vaticano, non venga commesso alcun atto capace di turbare lo svolgimento del conclave; 3. la stessa garanzia è assicurata per i conclavi che si tenessero fuori del Vaticano. Le garanzie enunciate valgono anche per quelle particolari assemblee cui partecipano i vescovi di tutto il mondo o di particolari regioni e che sono denominate “concili”. IL TRATTAMENTO FISCALE DEI DIPENDENTI DELLA SANTA SEDE E DEGLI ALTRI ENTI. Le loro retribuzioni, anche quelle dovute per un rapporto di lavoro, sono esenti da ogni tipo di imposta anche verso lo Stato italiano. In sostanza, è disposto in modo analogo a quanto avviene per i dipendenti italiani di ambasciate straniere. L’Italia e la Santa Sede hanno stipulato una Convenzione il 16 giugno 2000 al fine di regolare i loro rapporti nel campo della sicurezza sociale, stabilendo un regime di coordinamento delle normative assicurative e previdenziali delle due Parti, oltre che il divieto di cumulo di prestazioni sociali o di altri redditi di qualsiasi natura. GLI IMPEGNI ASSUNTI DALLA SANTA SEDE. L’ESTRANEITA’ ALLE COMPETIZIONI TEMPORALI. “La Santa Sede , in relazione alla sovranità che le compete anche nel campo internazionale, dichiara che Essa vuole rimanere e rimarrà estranea alle competizioni temporali fra gli altri Stati ed ai Congressi indetti per tale oggetto, a meno che le parti contendenti facciano concorde appello alla sua missione di pace, riservandosi in ogni caso di far valere la sua potestà morale e spirituale”. Sulla base del magistero del Vaticano II e delle prese di posizione della diplomazia della Santa Sede s’intende che Essa intende rimanere estranea alle controversie di carattere politico e militare e alle istanze internazionali ad esse collegate. La Santa Sede non è membro, ma solo osservatore delle Nazioni Unite e del Consiglio d’Europa. Nel Trattato la Santa Sede non rinuncia a svolgere un ruolo super partes e si obbliga a non schierarsi in favore di una parte e a non operare in favore do essa. Imparzialità vuol dire rinuncia a far proprie le posizioni di una parte, rinuncia ad alleanze politiche. La Santa Sede tutela sostanzialmente due tipi di interessi: 1. l’indipendenza da ogni potere politico e la difesa degli interessi che riguardano le istituzioni cattoliche nei confronti degli Stati; 2. interessi e valori che hanno un fondamento etico e che riguardano le persone e i popoli nella comunità internazionale. La c.d. neutralità della Santa Sede si è avuta nell’ultimo conflitto mondiale durante il quale la Chiesa ha dispiegato significativi sforzi per affermare, dimostrare e far accettare la propria “imparzialità” che l’ha portata a divenire parte delle convenzioni adottate nell’ambito delle Nazioni Unite dopo il secondo conflitto mondiale, al fine di far valere gli interessi umanitari riferiti alle vittime civili, ai prigionieri di guerra, ai rifugiati e agli apolidi. In particolare, ha avuto rilevanza la partecipazione della Santa Sede ai lavori della Conferenza ad Helsinki (1972-1975) conclusa con la firma dell’Atto Finale che contiene un decalogo di regole per le relazioni fra gli Stati nell’epoca contemporanea; il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, inclusa la libertà di pensiero, di coscienza, religione e credo. PAGE 68 La Santa Sede, con la sua partecipazione all’attività delle organizzazioni internazionali può far valere la sua autorità morale in favore dell’interesse comune di evitare i conflitti armati e di contribuire a stabilire buone relazioni fra gli Stati. I mutamenti avvenuti nelle relazioni internazionali e nel quadro politico generale devono far considerare almeno inadeguata oggi la previsione dell’art. 24 del Trattato, che, tuttavia, conserva una sua validità. L’ATTIVITA’ DI MEDIAZIONE E DI ARBITRATO. La Santa Sede è disposta ad adoperarsi per comporre le “competizioni temporali” nel caso in cui “le parti contendenti facciano concorde appello alla sua missione di pace”. La forma più semplice per favorire un negoziato e un accordo fra parti contendenti è rappresentata dai c.d. buoni uffici. Un’altra forma è la mediazione: vengono suggeriti punti d’incontro e possibili ipotesi transattive o soluzioni della controversia. L’arbitrato invece si ha quando il regolamento di liti fra Stati avviene ad opera di giudici di loro scelta. Il potere ecclesiastico veniva esercitato anche sulle questioni temporali e sugli affari civili qualora lo richiedessero il bene delle anime e gli interessi della religione. Ma già fra la fine del secolo XIX e l’inizio del XX secolo la comunità internazionale si era data una prima codificazione delle procedure utili per la soluzione pacifica delle controversie: ciò era avvenuto nelle due conferenze de l’Aja del 1899 e del 1907. La Santa Sede pur sollecitata in particolare dallo zar di Russia Nicola II a partecipare, era stata poi esclusa dalle conferenze che avevano prodotto la convenzione ora ricordata. Il governo italiano aveva avuto buon gioco ad evitare che la Santa Sede fosse invitata a partecipare, anche nel timore che la Chiesa internazionalizzasse in quella sede la “questione romana” non ancora risolta e soprattutto perché l’Italia si era adoperata in sede diplomatica per evitare che la Santa Sede si affermasse quale Potenza internazionale. Numerose sono state durante il pontificato di Leone XIII, le attività di pacificazione svolte con successo dalla Santa Sede, anche fra Stati non cattolici che le facevano credito di grande prestigio morale, competenza e imparzialità. In epoca moderna solo nel 1905 si sarebbe avuta una clausola compromissoria a favore del Papa secondo la figura dell’arbitrato: fu il caso del Trattato di amicizia tra Perù e Colombia dove le Parti erano vincolate a sottoporre ogni controversia all’arbitrato del Pontefice. Con il suo prestigio politico e morale può intervenire utilmente nella vita della comunità internazionale, essendone parte pleno iure, per il perseguimento degli interessi più generali, in particolare per la pace e la concordia fra le nazioni. Per quanto concerne i termini usati nella clausola del Trattato, va rilevato che essi risentono in modo evidente della dottrina sulla potestas Ecclesiae in temporalibus che nei diversi periodi storici si è presentata ed attuata prima come directa e poi come indirecta. Se si dovesse scrivere oggi la clausola in questione, per riconoscere alla Santa Sede il diritto di intervenire, se richiesto, per mediare e comporre controversie fra Stati, piuttosto che il termine “potestà” si userebbero i termini “autorità morale e politica”. LA NEUTRALITA’ DELLA CITTA’ DEL VATICANO. La Città del Vaticano sarà sempre ed in ogni caso considerata territorio neutrale ed inviolabile. Il concetto di neutralità, riferito al territorio ha il significato generale di impegno assunto dalla Santa Sede ad escludere l’utilizzazione del territorio dello Stato vaticano da parte di altri Stati e i suoi coinvolgimenti in caso di vicende belliche. Si pone l’obbligo degli Stati a rispettare l’impegno di neutralità e l’inviolabilità dello spazio aereo dello Stato del vaticano come garantito dall’Italia. Bisogna ricordare che questo spazio fu violato durante la seconda guerra mondiale, la sera del 5 novembre 1943, da un velivolo di nazionalità sconosciuta che sganciò 4 bombe di medio tonnellaggio, provocando gravi danni ma senza vittime. LA FRUIBILITA’ DELLE OPERE D’ARTE E DEI MUSEI. PAGE 68 Il codice canonico esclude ogni diritto del religioso che abbandona l’ordine o associazione ad esigere compensi o risarcimenti o trattamenti particolari per fine rapporto per l’attività prestata. Nell’ordinamento statuale tale tipo di pretesa è considerato un diritto inderogabile, ma la previsione del canone 702 è una conseguenza dell’atto di libera volontà per l’adesione religiosa confermata con il voto di povertà con la quale il soggetto si è dedicato per fini spirituali all’attività di insegnamento e di educazione o di assistenza propria dell’ordine nel quale egli era entrato. Non sono configurabili né un datore di lavoro, né un rapporto di lavoro subordinato o come professionista; non è configurabile una retribuzione. Jemolo osservava giustamente che “non si entra a fare vita monastica per esercitare una professione, ma per fini di perfezione spirituale”. Tuttavia, nella legge 222/1985, che disciplina gli enti e i beni ecclesiastici e il sostentamento del clero, conseguenza dell’Accordo stipulato nel 1984 fra lo Stato e la Santa Sede, si prevede che gli Istituti diocesani che amministrano le risorse finanziarie destinino “una quota delle proprie risorse per sovvenire alle necessità che si manifestino nei casi di abbandono della vita ecclesiastica da parte di coloro che non abbiano altre fonti sufficienti di reddito”. Jemolo scriveva: resta a vedere quali provvedimenti possano dirsi concernenti materia spirituale e quali di natura disciplinare. È certo che rientrano tra i provvedimenti previsti la privazione dell’autorizzazione ad un ecclesiastico a predicare o a confessare, la sospensione dalla celebrazione della Messa, la privazione dell’ufficio, la espulsione del religioso dalla sua religione; mentre non vi rientrano la privazione della libertà personale inflitta all’ecclesiastico od al religioso, né misure che toccassero il suo patrimonio. Il canone 1752, ultimo canone del codice di diritto canonico concernente le cause di trasferimento dei parroci; disposizione che impone l’abbandono effettivo dell’ufficio e della casa parrocchiale, si dice che bisogna comunque attenersi a principi di equità canonica. COMPOSIZIONE DEL CONTENZIOSO FINANZIARIO. Per quanto concerne la Convenzione finanziaria facente parte integrante del Trattato, essa aveva lo scopo di regolare definitivamente i rapporti finanziari fra l’Italia e la Santa Sede con la liquidazione dei crediti della stessa Santa Sede verso l’Italia. I crediti vantati erano motivati dai danni ingenti subìti per la perdita dello Stato pontificio e dei beni degli enti ecclesiastici. Tuttavia avendo presente la situazione finanziaria dello Stato e le condizioni economiche del popolo italiano dopo la guerra, la Santa Sede riteneva di limitare allo stretto necessario la richiesta di indennizzo, domandando una somma, parte in contanti e parte in consolidato che, a parere della Santa Sede, risultava in valore di molto inferiore a quella che lo Stato italiano si era impegnata a sborsare con la legge delle guarentigie del 1871. lo Stato italiano apprezzando i paterni sentimenti del Sommo Pontefice aderiva alla richiesta. L’art. 4 della legge delle guarentigie aveva previsto a favore del Papa e della Santa Sede, alle manutenzioni dei palazzi pontifici, la rendita perpetua e inalienabile annua di lire 3.225.000 che però era sempre stata rifiutata. Pur invocando l’obbligo dello Stato a sborsare tutti gli arretrati della rendita prevista e mai accettata a datare dal 1871, la Santa Sede con le motivazioni sopra ricordate accettava la somma in contanti di 750 milioni di lire e la consegna di consolidato italiano 5% annuo al portatore del valore nominale di lire di un miliardo. LA SANTA SEDE NEI CONFRONTI DELL’ORDINAMENTO ITALIANO. Dall’esame del Trattato Lateranense si evince chiaramente che il rapporto fra i due enti risulti per natura sua assai complesso aldilà di un “normale” rapporto fra due ordinamenti sovrani. 1. Secondo il canone 361 del codice di diritto canonico, con il nome di Sede Apostolica o Santa Sede si intendono non solo il Romano Pontefice, ma anche i vari uffici e organismi della Curia Romana. In senso stretto, si deve intendere il solo Sommo Pontefice considerato nell’esercizio del suo ufficio che lo rende titolare di una potestà ordinaria, suprema, piena, immediata e universale; in senso più lato, si deve intendere il Sommo Pontefice e gli organi che lo coadiuvano nel governo centrale della Chiesa che costituiscono la Curia Romana. PAGE 68 2. L’ente “Santa Sede” è soggetto di diritto internazionale perché titolare di sovranità qualificabile come religiosa, umanitaria e universale, effettiva e inalienabile. 3. Con la stipulazione del Trattato del Laterano si è stabilita una situazione “unica” in sede internazionale dato che: • la Santa Sede, ente sovrano, è presente nello Stato italiano; • la Santa Sede intrattiene rapporti anche diplomatici con moltissimi altri soggetti sovrani e organizzazioni internazionali e questo comporta la presenza di un Corpo diplomatico distinto da quello accreditato presso lo Stato italiano; • la Santa Sede governa l’entità territoriale che è lo Stato della Città del Vaticano che costituisce un conclave nel territorio italiano ; • per quanto concerne i rapporti di diritto privato, la Santa Sede è stata sempre riconosciuta come persona giuridica o ente morale; • la Santa Sede è certamente da considerarsi in senso lato come un “ente ecclesiastico” cui però non si applica la disciplina propria degli enti ecclesiastici contenuta nelle leggi 206. 222 del 1985. L’ACCORDO DI VILLA MADAMA. L’Accordo di Villa Madama, così denominato perché firmato il 18 febbraio 1984 nell’edificio di rappresentanza del Ministro degli Affari Esteri italiano, è giunto alla conclusione di un iter negoziale molto lungo, iniziato nell’ottobre 1976 con la nomina di una delegazione da parte dell’on. Andreotti, allora Presidente del Consiglio. Durante il negoziato si sono succedute ben 7 bozze o progetti prima di giungere al testo definitivo. NATURA GIURIDICA DELL’ACCORDO. L’Accordo del 1984 rientra nella categoria dei “Concordati”, strumenti diplomatici usati per sancire accordi, regimi giuridici, regolamentazione di situazioni e concessioni di privilegi fra Santa Sede e autorità politiche degli Stati nel corso della storia. L’Accordo è stato condotto da una delegazione di esperti nominata dal Governo italiano, da una delegazione di parte vaticana con esponenti della Segreteria di Stato che è l’Ufficio della Santa Sede. È stato usato il termine “Accordo” e non il termine “Concordato” per sottolineare l’innovazione che si è voluta attuare nei confronti delle materie di comune interesse fra lo Stato e la Chiesa cattolica. Si è pensato ad un Accordo-quadro o Accordo-cornice contenente i principi fondamentali che regolano i rapporti di soggetti – Stato e Santa Sede - . Ma la natura giuridica e il carattere politico dell’Accordo del 1984 corrispondono a quelli di un concordato tradizionale. In dottrina si è distinto fra un concetto di concordato riferito a “qualsiasi accordo diplomatico stipulato tra la Santa Sede e uno Stato in relazione a materie (ecclesiastiche) di comune interesse” e un concetto più ristretto riferito ad accordi e convenzioni mediante i quali è regolata la condizione giuridica delle istituzioni ecclesiastiche nazionali e si dà vita a quel sistema di rapporti che si denomina “concordatario” (Catalano). La Santa Sede, soggetto stipulante, si presenta nella sua qualifica di ente sovrano e suprema istituzione della Chiesa, con personalità giuridica internazionale. Negoziando un accordo si pongono come soggetti autonomi e coordinati di uno stesso ordinamento, che è quello internazionale. Possono considerarsi cadute molte remore circa la possibilità di ritenere i concordati come trattati di diritto internazionale soprattutto dopo l’entrata in vigore della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1980 firmata e ratificata anche dalla Santa Sede. L’art. 1 della Convenzione precisa che essa “si applica ai trattati fra Stati”. Risulta dai lavori della Commissione di Diritto Internazionale nel suo Rapporto all’Assemblea Generale delle nazioni Unite, che si intendeva aggiungere al termine “Stati” l’espressione “altri soggetti di diritto internazionale”, volutamente, per non escludere enti come la Santa Sede. PAGE 68 L’art. 2 della Convenzione precisa che “l’espressione Trattato significa un accordo internazionale concluso per iscritto fra Stati e disciplinato dal diritto internazionale”. L’art. 3 della Convenzione enuncia il principio secondo cui “il fatto che la la presente Convenzione non si applichi né ad accordi internazionali conclusi fra Stati ed altri soggetti di diritto internazionale, né ad accordi internazionali che non sono stati conclusi per iscritto, non pregiudica: a) il valore giuridico di tali accordi; b) l’applicazione a questi accordi di qualsivoglia regola posta dalla presente Convenzione; c) l’applicazione della Convenzione alle relazioni fra Stati disciplinate da accordi internazionali di cui siano anche parti altri soggetti del diritto internazionale”. I concordati vanno considerati come negozi di diritto esterno, formati nell’ordine internazionale che è diverso da quello statuale e da quello canonico. Sono assimilabili ai trattati internazionali. Nel nostro ordinamento la procedura per la rilevanza nel diritto interno è dettata all’art. 80 Cost. dove si prevede che siano le Camere ad autorizzare la ratifica dei trattati internazionali di natura politica. Tali sono stati considerati tutti gli Accordi conclusi fra Italia e Santa Sede. Il legislatore canonico del 1983 ha emanato una norma di salvaguardia per la conservazione degli impegni assunti attraverso accordi internazionali e concordati con gli Stati. Le norme del codice “ non abrogano le convenzioni stipulate dalla Sede Apostolica con le nazioni...nè ad esse derogano. La Santa Sede considera le clausole di un concordato o di un accordo come una lex specialis riguardante le materie negoziate e rilevanti nel territorio di un determinato Stato, in grado anche di derogare al diritto comune; intende altresì precludersi qualsiasi formazione unilaterale per quanto concerne la disciplina definita in un accordo relativa alle persone ecclesiastiche fisiche e giuridiche in un determinato Stato, nonostante eventuali disposizioni contrarie del codice. La stipulazione di concordati e accordi con gli Stati è sempre stata considerata dalla Santa Sede come materia sulla quale ha inteso far valere una riserva piena. La Santa Sede affida ai suoi rappresentanti diplomatici o ai suoi plenipotenziari (ministri), non agli episcopati del luogo (vescovi), il compito di trattare la stipulazione e l’attuazione degli accordi con gli Stati secondo le regole del diritto internazionale. Questo avviene per due ragioni. Da un punto di vista giuridico è la Santa Sede il soggetto che ha la capacità giuridica a trattare come conseguenza della sua sovranità; da un punto di vista politico, la Santa Sede colloca la stipulazione di concordati e accordi nel quadro della sua generale politica internazionale. L’intervento dell’episcopato locale può essere successivo quando è rimessa alla Conferenza episcopale nazionale sempre con l’autorizzazione delle Santa Sede, la stipulazione di Intese come strumenti per dare attuazione a principi o disposizioni generali contenuti nelle clausole dell’Accordo. Per la Santa Sede, un concordato acquista vigore canonico di legge con la sola pubblicazione sul Bollettino ufficiale “Acta Apostolicae Sedis”, dopo che il Sommo Pontefice ha confermato l’atto stipulato. Una legge di esecuzione non avrebbe alcun senso data la distinzione ma non separazione dei poteri che risiedono tutti nel Pontefice. UN “ACCORDO DI LIBERTA’” Dopo i riferimenti fatti in Assemblea costituente nel 1946-47 da varie parti politiche per procedere alla modifica di alcuni punti del Concordato lateranense, la questione tacque fino al 1965 quando alla Camera dei Deputati l’on. Ferri e l’on. Basso posero il problema di avviare il processo di revisione. Una situazione anche giuridica di consolidata libertà rappresentava l’obiettivo dell’Accordo del 1984 che è stato appunto presentato come un “Accordo di libertà”. “Si tratta di una riforma che modifica il sistema generale dei rapporti Stato-Chiesa” che “viene a configurarsi come una “cornice” di principi essenzialmente direttivi caratterizzata dalla aconfessionalità dell’ordinamento costituzionale, dalla libertà e volontarietà dei comportamenti individuali”. Quando si parla di “riforma che modifica profondamente il sistema generale dei rapporti Stato- Chiesa” si vuole affermare che i contenuti dell’Accordo del 1984 sono “nuovi” nei confronti di quelli del precedente Concordato. L’Accordo di Villa Madama “apporta modificazioni al Concordato Lateranense”. PAGE 68 L’autorità giudiziaria, nel caso in cui dia avvio a procedimenti penali a carico di ecclesiastici, ne darà comunicazione alla competente autorità ecclesiastica. Va ricompresa nel sistema di tutele per la funzione svolta dagli ecclesiastici la previsione dell’art. 498 cod.pen. che punisce chi “indossa abusivamente in pubblico l’abito ecclesiastico”; il reato è stato trasformato in illecito amministrativo (legge delega 205/1999). Matrimonio celebrato secondo le norme del diritto canonico. l’art. 8 dell’Accordo sancisce la libertà propria della persona di scegliere la forma di celebrazione del proprio matrimonio in corrispondenza delle proprie convinzioni. CONDIZIONI PER IL RICONOSCIMENTO DEGLI EFFETTI CIVILI. Il riconoscimento previsto nell’Accordo si differenzia sostanzialmente da quello contenuto nella disciplina del ’29 caratterizzato nel confessionismo di Stato e che , nell’art. 34 del Concordato lateranense, sanciva il riferimento al carattere sacramentale del matrimonio disciplinato dal diritto canonico. Nell’art. 8 dell’Accordo, invece, si dice che “sono riconosciuti gli effetti civili ai matrimoni contratti secondo le norme del diritto canonico...”. Nel codice canonico il matrimonio è “il patto matrimoniale con cui l’uomo e la donna stabiliscono tra loro la comunità di tutta la vita per sua natura ordinata al bene dei coniugi e alla procreazione e educazione della prole...”. Mentre il diritto canonico circonda e regola il sacramento di particolari cautele e richiede particolari condizioni personali interiori per quanto riguarda il consenso, il diritto civile prevede solo requisiti generalissimi non ponendo problemi di coscienza. Il riconoscimento degli effetti civili al matrimonio religioso non comporta la trasformazione di questo in matrimonio civile. Il riconoscimento è condizionato da un presupposto: che i due nubendi si trovino sia di fronte allo Stato, sia di fronte alla Chiesa nella medesima condizione giuridica che consente di celebrare il matrimonio. Secondo la legge civile: 1. età matrimoniale, 18 anni o con autorizzazione del Tribunale per i minorenni che hanno raggiunto i 16 anni; 2. non interdizione per infermità di mente; 3. libertà di stato che si ha in assenza di un vincolo da precedente matrimonio; 4. assenza di situazioni di parentela, affinità, adozione o affiliazione, salva autorizzazione del Tribunale nei casi e alle condizioni previste; 5. assenza del divieto temporaneo di nozze se non sono trascorsi 300 giorni dallo scioglimento, annullamento o cessazione degli effetti civili del precedente matrimonio, salva autorizzazione del Tribunale. Secondo la legge canonica: 1. assenza di impedimenti dirimenti: età inferiore ai 16 anni per l’uomo e 14 per la donna, impotenza copulativa antecedente al matrimonio e perpetua; precedente vincolo matrimoniale; disparità di culto; ordine sacro; voto pubblico e perpetuo di castità; uccisione del proprio coniuge o del coniuge di un’altra persona a scopo di matrimonio; consanguineità e affinità in linea retta; pubblica onestà; parentela legale sorta per adozione. 2. cause di incapacità a contrarre valido matrimonio: mancanza di sufficiente uso di ragione, impossibilità ad assumere gli obblighi essenziali del matrimonio per cause di natura psichica. L’interdetto secondo il codice civile può risultare incapace al matrimonio anche secondo il codice canonico, ma non necessariamente viceversa. La disciplina canonica è molto più complessa di quella civile circa le condizioni prerequisite proprie dei contraenti. La validità del vincolo sacramentale, che è indissolubile, costituisce per PAGE 68 l’ordinamento canonico un interesse pubblico mentre nell’ordinamento civile la validità del vincolo che si costituisce attiene prevalentemente alla sfera privatistica. Le condizioni necessarie da rispettare sono quelle indicate nel codice civile; in particolare, le pubblicazioni presso la casa comunale e il rilascio del nullaosta da parte dell’ufficiale di stato civile. LA CELEBRAZIONE DEL MATRIMONIO E LA SUA TRASCRIZIONE. La disciplina relativa alla celebrazione ora ha come fonti l’art. 8 dell’Accordo e il p. 4 del Protocollo addizionale. Osservate tutte le condizioni, si può dar vita al matrimonio concordatario. La disciplina prevede: • la celebrazione del matrimonio con il rito religioso secondo la forma ordinaria canonica con la presenza degli e di due testimoni e con l’assistenza del vescovo o del parroco competente per territorio o di un suo delegato; • la lettura degli articoli del codice civile riguardanti i diritti e i doveri dei coniugi; • la redazione dell’atto di matrimonio in doppio originale dove potranno essere inserite le dichiarazioni dei coniugi consentite dalla legge civile; • la trasmissione da parte del parroco entro 5 gg di un originale dell’atto di matrimonio all’ufficiale di stato civile con la richiesta della trascrizione nel registro dello stato civile; la trasmissione dell’atto di matrimonio è un atto giuridico di notificazione; • la trascrizione deve avvenire entro 24 ore successive al ricevimento dell’atto; • la produzione degli effetti civili è ex tunc, con efficacia retroattiva, cioè dal momento della celebrazione religiosa. La trascrizione ha luogo anche se, dopo il rilascio del nullaosta, risulti l’esistenza di un impedimento civile; in tal caso l’ufficiale dello stato civile informa la competente autorità giudiziaria per l’impugnazione della trascrizione. Il parroco o il suo delegato, dando lettura degli articoli del codice civile, redigendo l’atto di matrimonio e poi trasmettendolo all’ufficiale di stato civile con la richiesta di trascrizione svolgono certamente una funzione pubblica, ma questo fatto comporta la qualifica di “pubblici ufficiali” ovvero “incaricati di pubblico servizio”? Lo Stato può affidare ad un soggetto privato che non è un suo organo la cura di un particolare suo interesse, cioè un incarico speciale, e può essere il caso dell’ecclesiastico che assiste al matrimonio, senza per questo far assumere al soggetto la qualifica formale di “pubblico ufficiale”. Sempre nell’art. 8 dell’Accordo è prevista la possibilità di una trascrizione tardiva, nell’osservanza di alcune condizioni: • su richiesta delle parti o anche una di esse senza l’opposizione dell’altra, dato che lo status coniugale è un diritto personalissimo; • conservazione ininterrotta dello stato libero da parte dei coniugi dal momento della celebrazione del matrimonio canonico; • non vi sia pregiudizio dei diritti legittimamente acquisiti dai terzi. La legge matrimoniale 847/1929 può dare anche la possibilità di una trascrizione c.d. ritardata. È una procedura ammessa dagli ufficiali di stato civile per i matrimoni detti” di coscienza” celebrati secondo le norme canoniche nella forma ordinaria; tali matrimoni si hanno quando le parti di comune accordo decidono di “accantonare gli effetti civili” per la tutela di interessi anche economici particolari. L’ufficiale di stato civile, oltre ad acquisire l’opportuna documentazione, affigge nella casa comunale avviso del matrimonio già celebrato e di cui si chiede la trascrizione ai fini di eventuale opposizione alla trascrizione da parte di aventi titolo. L’avviso resterà affisso per 10 gg consecutivi. Se non si dà alcuna opposizione, l’ufficiale di stato civile procede alla trascrizione del matrimonio celebrato con efficacia ex tunc. Vi è chi attribuisce alla trascrizione la qualifica di atto di certazione che non vuol dire “certificazione”. La dottrina amministrativa più autorevole considera la certazione come un PAGE 68 procedimento di certezza. Vi è poi chi preferisce considerare la trascrizione come un atto cui viene attribuita la qualifica di atto di natura costitutiva. Riteniamo siano sostenibili ambedue le interpretazioni. Il riconoscimento degli effetti civili può avvenire solo con la trascrizione dell’avvenuto matrimonio religioso nei registri dello stato civile. Con la trascrizione si dà l’opponibilità erga omnes dello status personale di coniuge. Relazione del Ministro Rocco al Parlamento: la trascrizione “non è una semplice registrazione probatoria; ma costituisce l’atto essenziale per l’attribuzione degli effetti civili, giacchè, in mancanza di essa, il matrimonio canonico rimarrebbe puramente un atto religioso...”. La Santa Sede ha preso atto che la trascrizione non può aver luogo quando gli sposi non hanno il requisito dell’età matrimoniale secondo la legge civile: 18 anni o 16 anni con autorizzazione del Tribunale per i minorenni mentre per il diritto canonico l’età è fissata in 16 e 14 anni rispettivamente per l’uomo e la donna, fermo restando che il matrimonio canonico può essere sempre validamente celebrato. La Santa Sede ha preso atto che la trascrizione non può aver luogo quando sussista fra gli sposi un impedimento considerato inderogabile dalla legge civile: interdizione per infermità di mente, precedente vincolo matrimoniale, impedimenti derivanti da delitto o da affinità in linea retta; la trascrizione è tuttavia ammessa, anche nei casi sopra indicati, quando, secondo la legge civile, l’azione di nullità o di annullamento non può essere più proposta; il matrimonio del minore che non fu autorizzato, una volta trascorso il termine circa il raggiungimento della maggiore età. Non si può dare trascrizione dopo la morte di una delle parti. Si può dare la trascrizione del matrimonio canonico celebrato per procura ai sensi del can. 1105 del codice di diritto canonico. Una importante innovazione in materia di efficacia civile è costituita dal fatto che l’Accordo del 1984 non la prevede più per la dispensa dal matrimonio rato e non consumato, che era una fattispecie prevista all’art. 34 del Concordato lateranense. Si tratta di un matrimonio valido quanto ai requisiti personali e formali ma non consumato in quanto fra i coniugi è mancato il compimento dell’atto “per sé idoneo alla generazione della prole”. Si può dare la dispensa pontificia che scioglie il vincolo. La Corte costituzionale (sentenza 18/1982) l’ha considerata un atto amministrativo che contrsta con il diritto alla tutela giurisdizionale di ogni cittadino; principio supremo dell’ordinamento costituzionale. È per questa ragione che la fattispecie non ha trovato spazio nell’Accordo che ha modificato il Concordato del 1929. LA FORMA DI CELEBRAZIONE DEL MATRIMONIO. Per i matrimoni celebrati nella forma straordinaria prevista nel codice canonico si pongono problemi per la loro trascrizione. Questi sono: )a Il matrimonio segreto “per una grave e urgente causa”; di tale matrimonio tutte le parti devono conservare il segreto per il tempo e con le modalità previsti dal codice; finchè rimane segreto il matrimonio non può avere rilevanza civile. )b Il matrimonio celebrato in pericolo di morte: il codice canonico ne prevede la validità se celebrato in presenza di due soli testimoni nel caso in cui una o ambedue le parti si trovino in tale grave situazione e non sia possibile la presenza di chi possa assistere validamente o non sia raggiungibile “senza grave incomodo”; per una possibile trascrizione bisognerebbe prevedere l’adempimento di tutte le condizioni previste dalla legge civile. )c Il matrimonio celebrato in situazione eccezionale, rappresentata dall’assenza per almeno un mese dell’ecclesiastico che possa assistere validamente alla celebrazione, ma sempre alla presenza di due testimoni. Questo matrimonio non è trascrivibile. Infine, va precisato che il matrimonio canonico pur con effetti civili celebrato all’estero può essere riconosciuto nell’ordinamento italiano non in forza del disposto dell’art. 8 dell’Accordo, ma con gli strumenti del diritto internazionale privato (legge 218/1995). PAGE 68 • la citazione delle parti; • per quanto concerne la sentenza passata in giudicato, si intende tale quella divenuta esecutiva secondo le norme canoniche; • la sentenza ecclesiastica non deve essere contraria ad altra sentenza pronunciata da un giudice italiano; • la sentenza ecclesiastica non contiene disposizioni contrarie all’ordine pubblico. Il concetto di ordine pubblico espresso dalla Corte costituzionale (sentenza 18/1982) secondo cui debbono intendersi “le regole fondamentali poste dalla costituzione e dalle leggi a base degli istituti giuridici in cui si articola l’ordinamento positivo”. Il principio del rispetto dell’ordine pubblico si pone come principio fondamentale per regolare i rapporti fra l’ordinamento giuridico dello Stato e gli ordinamenti degli altri Stati. La legge 218/1995 che ha riformato il sistema di diritto internazionale privato, oltre che abrogare alcuni articoli del codice di procedura civile, ha abrogato anche vari articoli della legge in generale premesse al codice civile. Sulla questione della rilevanza civile della sentenza ecclesiastica, che incontra in ogni caso il limite dell’ordine pubblico deve argomentarsi sulla base dell’art. 797 del cod.proc.civ., abrogato ma ugualmente in vigore ai fini dell’esecutività delle sentenze ecclesiastiche. Si possono ritenere in contrasto con l’ordine pubblico le sentenze ecclesiastiche che dichiarassero la nullità del vincolo per l’esistenza di alcuni impedimenti al momento della celebrazione del matrimonio, non rimossi con la dispensa dell’autorità ecclesiastica, e che potremmo definire “confessionali”: a) impedimento della disparità di culto b) impedimento dell’ordine sacro: invalidità del matrimonio se una delle parti ha ricevuto l’ordine sacro del diaconato, del presbiterato o dell’episcopato senza riceverne dispensa; c) impedimento del voto pubblico perpetuo di castità: è invalido il matrimonio se una o ambedue le parti avevano emesso il voto in un ordine religioso. Per tali casi il contrasto con l’ordine pubblico sarebbe individuabile nella violazione del principio di uguaglianza. In sede giurisprudenziale si è presentata una fattispecie relativa alla tutela della buona fede di un coniuge. La simulazione unilaterale si ha quando esiste una divergenza fra l’effettiva volontà interna e la manifestazione esterna del consenso matrimoniale. In diritto canonico è rilevante la volontà interna, mentre secondo il diritto civile è rilevante la manifestazione esterna del consenso: a) lo stesso matrimonio e si ha la simulazione totale; b) oppure uno o più elementi essenziali: il diritto di ciascun coniuge alla esclusività del rapporto coniugale, il diritto di procreare e di educare i figli, l’indissolubilità del vincolo matrimoniale; c) una delle proprietà essenziali che sono l’unità e l’indissolubilità. Nei casi indicati ai punti b) e c) si ha la simulazione parziale. Il coniuge che non conosceva la simulazione o riserva mentale messa in atto dall’altro coniuge era in buona fede e quindi meritevole di tutela, se egli intende opporsi all’esecutività della sentenza emanata dal Tribunale ecclesiastico per simulazione unilaterale, la Corte d’appello potrà invocare la contrarietà all’ordine pubblico. Diversa conclusione si ha se il coniuge non intende opporsi all’esecutività della sentenza. All’interno dell’Unione Europea è in vigore il Regolamento CE 2201/2003, modificato con altro Regolamento 2116/2004 che contiene una normativa applicabile in tutti gli Stati membri dell’Unione e concernente la competenza, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni dei Tribunali degli Stati membri in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale. Le decisioni pronunciate in uno Stato membro sono riconosciute in tutti gli Stati membri dell’Unione. PAGE 68 RISERVA DI GIURISDIZIONE O RIPERTO DI GIURISDIZIONE? a) Nel Concordato del ‘29 era stato sancito che le cause concernenti le nullità dei matrimoni celebrati secondo il rito canonico e le norme concordatarie erano riservate ai Tribunali ecclesiastici. Oltre che confermare l’esistenza del regime confessionista, aveva fatto sì che le Corti d’appello dessero vita ad una procedura di automatica omologazione delle sentenze ecclesiastiche, senza possibilità di interventi di organi giurisdizionali dello Stato. b) Negli anni 70 la giurisprudenza ha avviato il processo di revisione della procedura per rendere esecutive le sentenze ecclesiastiche, in particolare per quanto riguarda il riconoscimento della presenza delle parti e l’esigenza di affermare forme di controllo effettivo da parte degli organi dello stato, fino alle sentenze fondamentali della Corte costituzionale del 1982, la 18 nella quale si riconosceva una “riserva” di giurisdizione a favore del giudice ecclesiastico dato che il matrimonio concordatario nasce nel diritto canonico e da questo è regolato. La Corte in 3 sentenze (30/1971, 175/1973, 176/1973) aveva affermato altri 3 principi: • che il riconoscimento della giurisdizione ecclesiastica non incontrava il divieto di giudici speciali; • che si può ammettere una deroga razionalmente e politicamente giustificabile alla giurisdizione statale; • che il riconoscimento della giurisdizione ecclesiastica non comporta rinuncia dello Stato a disciplinare il rapporto matrimoniale quanto agli effetti civili. c) La sentenza della Corte costituzionale 421/1993 ha peraltro ritenuto abrogato l’art. 34 del Concordato del ’29, sulla base della disposizione dell’art. 13 dell’Accordo del 1984, dove si dice che le disposizioni del Concordato lateranense non riprodotte devono considerarsi come abrogate; la Corte confermava tuttavia la competenza del giudice dello Stato ad esprimere la propria giurisdizione sull’efficacia civile delle sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio. d) Era molto ampio il dibattito di riconsiderare l’opportunità di instaurare il regime di doppia distinta forma di celebrazione del matrimonio (civile e religiosa) e il regime di duplice giudizio sul vincolo civile e su quello religioso. Proposte che non hanno avuto successo considerando l’importanza che la Chiesa annetteva al riconoscimento degli effetti civili al matrimonio canonico; dall’altro, il riconoscimento alla libera scelta personale quanto alla forma di celebrazione. e) Nel vigore della disciplina matrimoniale instaurata nel 1984, quando in dottrina si parla di caduta o superamento della riserva di giurisdizione ecclesiastica si intende affermare che lo Stato con procedure proprie del suo ordinamento o con altre procedure concordate sottopone le pronunce dei tribunali ecclesiastici a valutazioni e giudizi con il procedimento di deliberazione non ammettendo che sia l’ordinamento canonico a giudicare in toto sulla validità del vincolo matrimoniale. f) La posizione della Santa Sede, da Nota verbale del 1985, considerava il concorso del giudice statale solo come “strumentale rispetto alla deliberazione, nel senso che le sentenze ecclesiastiche dichiarative della nullità del matrimonio, per essere operanti nell’ordinamento dello Stato hanno bisogno del concorso della giurisdizione statale e che solo dopo le pronuncia della Corte d’Appello la sentenza canonica di nullità è efficace anche di fronte allo Stato”. g) Il giudice ecclesiastico va ritenuto competente, nel rispetto delle norme canoniche, a decidere sulla validità o sulla nullità del vincolo sacramentale. h) Dal punto di vista dell’ordinamento giuridico dello Stato e dell’esercizio della sua giurisdizione possiamo distinguere 2 procedimenti: PAGE 68 1. Nel procedimento relativo alla costituzione del vincolo, i competenti organi dello Stato intervengono: - sulla idoneità dei soggetti a contrarre matrimonio, rilasciando l’apposito nullaosta alla celebrazione; - sulla validità della trascrizione che è l’unico atto giuridico capace di introdurre nell’ordinamento civile un matrimonio celebrato in un ordinamento confessionale consentendo gli effetti civili. 2. Nel procedimento relativo alla validità del vincolo, l’intervento dei competenti organi dello Stato consente: - di richiedere e di accogliere la domanda delle parti per rendere esecutiva la sentenza canonica di nullità; - di attivare il procedimento di deliberazione con l’accertamento della competenza del giudice ecclesiastico, del rispetto del diritto di agire e di resistere riconosciuto alle parti nel giudizio dinanzi al Tribunale ecclesiastico; - di decidere per la non esecutività della sentenza pronunciata dal giudice ecclesiastico per l’esistenza di impedimenti essenzialmente confessionali o canonistici invocando il rispetto dell’ordine pubblico, - di non procedere all’esecutività della sentenza ecclesiastica ove risulti preventivamente adito un giudice italiano per il medesimo oggetto, - di accertare tutte le condizioni per la pronuncia di provvedimenti di carattere economico- patrimoniale. La Corte di Cassazione a Sezioni Unite nel 1993, con una sentenza, dopo aver ricordato la sua precedente giurisprudenza favorevole all’esercizio della piena giurisdizione ecclesiastica, ha rilevato che “non si rinviene nell’Accordo del 1984 una disposizione che sancisca il carattere esclusivo” di tale giurisdizione in materia matrimoniale. Per cui ne ha tratto come conseguenza l’esercizio della competenza del giudice statale sulle nullità matrimoniali “concordatarie”. La Corte costituzionale ha ritenuto che il matrimonio religioso rimane regolato dal diritto canonico senza che sia operata dall’ordinamento italiano una ricezione di quella disciplina. La Corte ha ancorato questa sua opinione anche al principio di laicità dello Stato che comporta il rispetto della reciproca indipendenza dei due ordinamenti. A noi sembra che sia nato un regime di riparto di giurisdizione, tenendo conto delle sentenze della Corte costituzionale 176/1973 e 421/1993. in sostanza: • lo Stato si è obbligato a riconoscere gli effetti civili solo a quei matrimoni che avrebbero potuto essere celebrati anche davanti all’ufficiale di stato civile; • in presenza di un matrimonio, ha detto la Corte costituzionale, che ha avuto origine nell’ordinamento canonico e che resta disciplinato da questo diritto, il giudice civile non esprime la propria giurisdizione sull’atto di matrimonio, ma sull’efficacia civile della sentenza ecclesiastica; non si procederà al riesame del merito; • il giudice civile si pronuncia sulla validità dell’atto di iniziativa del procedimento di trascrizione e sulle condizione considerate inderogabili per l’esecutività delle sentenze ecclesiastiche poste; • il matrimonio celebrato con il rito canonico, dice la Corte costituzionale con la trascrizione assume gli effetti civili. LA CESSAZIONE DEGLI EFFETTI CIVILI A SEGUITO DI DIVORZIO. Sulla base del principio secondo cui gli effetti civili del matrimonio rientrano nella competenza statale, ai sensi dell’art. 149 cod.civ., il competente organo dello Stato può decidere la “cessazione degli effetti civili”, pronunciando sentenza di divorzio. L’insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica. La conflittualità fra lo Stato liberale e la Chiesa cattolica su questa materia, fra gli interessi politici e le esigenze religiose e fra la politica di laicizzazione della scuola e il mantenimento dell’influenza della religione cattolica nell’attività educativa che la legge Casati del 1859 aveva rispettato PAGE 68 QUESTIONI APERTE. Lo status degli insegnanti: la Chiesa li considera in qualche modo “collaboratori” della sua attività di magistero e quindi non può non esercitare forme di controllo, con il rischio per gli insegnanti della perdita del lavoro. La doverosa esposizione della dottrina cattolica può comportare una mortificazione della libertà di insegnamento. La possibile discriminazione fra gli studenti . Qualche inconveniente si crea circa le valutazioni degli studenti svolte dagli insegnanti di religione. È discutibile sotto il profilo pedagogico ed educativo consentire l’allontanamento temporaneo dalla scuola degli studenti che non frequentano la lezione di religione. L’ORGANIZZAZIONE DELL’INSEGNAMENTO DA PARTE DELLE CONFESSIONI DI MINORANZA. Alcune confessioni religiose che hanno stipulato Intese non organizzano un insegnamento religioso curricolare ma possono rispondere alle richieste degli studenti, delle loro famiglie o degli organi scolastici in ordine allo studio del fenomeno religioso. Rimane comunque nell’autonomia degli organi scolastici l’organizzazione di attività culturali religiose riguardanti anche le confessioni religiose che non abbiano stipulato Intese. L’ONERE FINANZIARIO. L’organizzazione del servizio di insegnamento della religione cattolica grava sullo Stato. In altri Paesi dell’Unione Europea il regime di impegno finanziario dello Stato è accettato, ma nel nostro caso esiste una differenza fra il trattamento riservato agli insegnanti di religione cattolica, che vengono ad essere dipendenti pubblici, e quello riservato ai ministri di culto o incaricati delle diverse confessioni che hanno stipulato Intese, abilitati a svolgere attività culturali religiose nella scuola ma senza oneri finanziari per lo Stato. Assistenza spirituale in istituzioni pubbliche. L’on. Dossetti proponeva che si affermasse come principio costituzionale che “i rapporti di lavoro, l’appartenenza alle forze armate o a pubblici servizi, la degenza in ospedali, ricoveri, istituti, carceri, non possono dar luogo a nessun impedimento di diritto in ordine all’adempimento dei doveri religiosi fondamentali”. La proposta non fu accolta in quanto ritenuta compresa nella norma che si stava approvando sulla libertà religiosa. Per “assistenza religiosa” si dovrebbe intendere l’organizzazione e l’esercizio dell’attività confessionale e per “assistenza spirituale” si dovrebbe intendere ogni pratica mirata a sostenere le esigenze di coscienza, ad alleviare la sofferenza e a prestare conforto alla persona che si trova in una situazione di disagio. L’una può essere praticata contestualmente all’altra. Il legislatore ha per lo più utilizzato l’espressione “assistenza spirituale” riferendosi all’esercizio dell’attività di culto. Prima ancora della stipulazione dell’Accordo con la Chiesa cattolica nel 1984, le leggi dello Stato hanno previsto l’organizzazione dei servizi religiosi. Il codice di diritto canonico prevede la categoria dei cappellani che sono sacerdoti cui è affidata la cura pastorale di una comunità o categoria di fedeli secondo norme speciali. Il legislatore ha stabilito il modello che in dottrina è definito del “doppio binario” circa la differenza della posizione giuridica e al trattamento economico che le leggi dello Stato riconoscono agli ecclesiastici cattolici e i ministri di culto di altre confessioni religiose. Forze armate. Una prima organizzazione del servizio religioso si è avuta con i cappellani militari a partire dall’inizio del ‘900 dopo che il corpo di cappellani esistente al momento dell’unità d’Italia era stato sciolto in nome della laicità dello Stato. Attualmente è disciplinato dalla legge 512/1961 e riguarda i soli sacerdoti della religione cattolica. Il servizio è diretto dall’Ordinario Militare, che è un arcivescovo, e il servizio è assicurato da un corpo di cappellani militari. All’Ordinario Militare è riconosciuto l’esercizio di una vera giurisdizione ordinaria sui fedeli battezzati; è una PAGE 68 giurisdizione personale. I cappellani militari sono dipendenti dello Stato e sono inquadrati in un ordinamento gerarchico che vede al vertice l’Ordinario Militare con il grado di generale di brigata. La legge del 1961 contiene una norma nella quale si afferma che il servizio di assistenza spirituale alle Forze Armate è istituito “per integrare secondo i principi della religione cattolica la formazione spirituale delle Forze Armate stesse”. Questa norma non ha come riferimento l’art. 19 Cost. per l’esercizio della libertà religiosa. Ora ha rilevanza la legge 382/1978 che recita: “i militari di qualunque religione possono esercitare il culto e ricevere l’assistenza dei loro ministri...la partecipazione alle funzioni religiose nei luoghi militari è facoltativa...”. Rimane la rilevanza istituzionale accordata ai sacerdoti cattolici cappellani militari, dipendenti pubblici. Polizia. La previsione dellìart. 11 dell’Accordo per l’assistenza religiosa alla Polizia di Stato si basa sulla legge 121/81. al personale che risiede in caserma o scuole è assicurata l’assistenza religiosa ed è escluso però il ricorso per questa ai cappellani militari; le spese sono a carico dell’Amministrazione della pubblica sicurezza. Una specifica Intesa fra il Ministro dell’Interno e il Presidente della Conferenza episcopale italiana, resa esecutiva con D.P.R.421/99, si stabiliscono le modalità per l’organizzazione del servizio di assistenza religiosa, il reclutamento del personale ecclesiastico che dipende dal vescovo locale e non entra in una struttura gerarchica, la permanenza nel servizio e il compenso. Ospedali, case di cura o di assistenza. È fatto obbligo agli ospedali di disporre di un servizio di assistenza religiosa nel rispetto della volontà e della libertà di coscienza dei cittadini. L’ordinamento è definito dai regolamenti interni, d’intesa con i vescovi diocesani. Per l’assistenza a seguaci di altre fedi è compito della direzione sanitaria individuare i ministri di culto. Gli oneri finanziari sono a carico dell’ente ospedaliero. Istituti di prevenzione e pena. L’inserimento dei cappellani cattolici nell’organizzazione e nell’amministrazione degli istituti carcerari era molto articolato e ai cappellani erano riservate molte funzioni di carattere umanitario e morale, mirate a curare i comportamenti dei detenuti e di collaborazione con la direzione del carcere, e non tanto per rispondere ad esigenze della loro libertà di religione. Lo Stato liberale considerava la religione come un valore della collettività, anche utile al mantenimento dell’ordine all’interno delle strutture carcerarie e al reinserimento del condannato nel sistema economico-sociale. Per i cappellani degli istituti penitenziari è dettata una disciplina particolare che prevede interventi delle competenti autorità dello Stato, ivi compresa l’eventuale applicazione di sanzioni disciplinari. È riconosciuta ai detenuti la libertà di professare la propria religione e di praticarne il culto; i non cattolici hanno la facoltà di chiedere l’assistenza dei ministri del proprio culto; durante il tempo libero possono praticare il proprio culto purchè non si tratti di riti pregiudizievoli all’ordine e alla disciplina dell’istituto. I cappellani cattolici ricevono l’incarico dal Ministro della Giustizia sentito il parere dell’Ispettore dei cappellani; la legge determina il trattamento economico, le loro responsabilità, le sanzioni e le relative procedure. Condizioni giuridiche particolari nell’interesse delle istituzioni e delle strutture. Gli enti ecclesiastici. Nell’Accordo, art. 7, sono definiti i principi concernenti la disciplina giuridica degli enti ecclesiastici. “Ente” vuol dire “realtà esistente”. Sono da intendersi gli organi, le istituzioni, le strutture, le associazioni o le fondazioni in cui la Chiesa cattolica è articolata. Il carattere ecclesiastico proviene dal fatto che tali entità sono costituite erette, approvate dalla competente autorità ecclesiastica. L’esistenza, l’attività e i patrimoni degli enti ecclesiastici hanno rappresentato occasione di conflitti aspri fra la Chiesa e lo Stato nel secolo XIX. Ragioni e fasi del conflitto. PAGE 68 1. Lo Stato moderno non poteva tollerare l’ingente accumulo di proprietà di beni immobili intestati a vescovati “fenomeno della c.d. manomorta” che a causa dell’ immobilismo del patrimonio, costituiva un danno all’economia e alle finanze dello Stato. 2. l’emanazione da parte del Regno di Sardegna di alcune leggi contenenti misure a carattere neo-giurisdizionalista, fra il 1850 e il 1867, ha consentito di sbloccare e controllare il patrimonio immobilizzato. 3. le ultime due leggi emanate in materia nel 1866 e nel 1867 furono dette leggi eversive ed ebbero obiettivo di sviluppare una politica ecclesiastica caratterizzata dall’ingerenza statale nella vita interna della Chiesa e la necessità di sostenere le finanze dello Stato logorate dalle guerre contro l’Austria. 4. I provvedimenti più rilevanti emanati hanno riguardato: l’incameramento dei beni, la vendita da parte dello Stato dei beni degli enti soppressi con ricavo (detta conversione), la soppressione di enti e di ordini religiosi, la devoluzione di beni al demanio, la costituzione della Cassa ecclesiastica e del Fondo per il Culto,poi per l’amministrazione delle rendite e di beni immobili per provvedere al mantenimento del clero e degli edifici di culto. 5. la legge del 1890 sulle c.d. Opere Pie; lo Stato rivendicò il diritto di dirigere tali istituzioni (Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza, IPAB) sottraendo di fatto alla Chiesa strumenti che essa aveva utilizzato per la sua attività caritativa ma che erano divenuti, specialmente nel meridione, rete di consistenti interessi economici anche privati. 6. L’idea dominante era che la libertà per la Chiesa non dovesse essere considerata un diritto ma una concessione che si potesse attuare per gradi. Lo Stato liberale voleva fondarsi sull’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge e sulla libertà di pensiero, ma con una marcata ispirazione di laicismo e di indifferentismo in materia religiosa. La Chiesa era ostile alle idee liberali, voleva conservare la supremazia sulla società civile. Essa doveva affrontare anche il problema della collocazione politica dei cattolici nello Stato liberale che era tendenzialmente anticlericale. 7. Il Concordato del ’29 chiuse anche questo contenzioso, considerato che l’antico patrimonio non esisteva più e lo Stato si potè impegnare a riconoscere la personalità giuridica degli enti ecclesiastici secondo il diritto comune, a rispettare l’autonomia della Chiesa per la gestione ordinaria ma con interventi statali per l’amministrazione straordinaria, a riconoscere esenzioni in materia fiscale e a continuare a provvedere al mantenimento del clero. L’Accordo del 1984 procede sul terreno delle garanzie e della libertà. Non vi erano contenziosi in sospeso. L’art. 7 dell’Accordo: • richiama il principio enunciato nell’art. 20 Cost. secondo cui “il carattere ecclesiastico e il fine religioso di una associazione non possono essere causa di limitazioni legislative o gravami fiscali per la sua costituzione”; • contiene l’impegno dello Stato al riconoscimento della personalità giuridica non di tutti gli enti ecclesiastici ma di quelli aventi fine di religione o di culto con sede in Italia; • agli effetti tributari gli enti ecclesiastici riconosciuti godono di un trattamento favorabilis essendo equiparati a quelli aventi fine di beneficenza o di istruzione; • prevede che le attività diverse da quelle istituzionali che possono svolgere siano soggette al diritto comune; • riconosce che l’amministrazione dei beni appartenenti agli enti ecclesiastici sia soggetta ai controlli previsti dal diritto canonico; • dispone che gli acquisti operati dagli enti siano soggetti alla disciplina italiana propria delle persone giuridiche private. Nel Protocollo addizionale si enuncia l’assicurazione da parte dello Stato che resterà escluso l’obbligo per gli enti ecclesiastici di procedere alla conversione dei beni immobili, a meno che vi sia accordo. Il Governo italiano e la Santa Sede, dopo aver apportato alcune modifiche, espressero il loro consenso dando vita a un Accordo – denominato “Protocollo di approvazione PAGE 68 Il D.P.R. 361/2000 confermando il regime di specialità precisa: • che le norme in esso contenute sono applicabili ai procedimenti di riconoscimento delle associazioni cattoliche di cui all’art. 10 della legge 222; • che nulla è innovato nella disciplina degli enti ecclesiastici cattolici. Non possono essere opposte a terzi, che non ne fossero a conoscenza, le limitazioni dei poteri di rappresentanza o l’omissione di controlli canonici che non risultino dal codice di diritto canonico o dal registro delle persone giuridiche. Sotto il profilo del regime della registrazione agli anti ecclesiastici va applicato il diritto comune così come viene applicato alle persone giuridiche private. Un altro tipo di enti è conosciuto dal nostro ordinamento giuridico. Ai sensi della legge 218/1995, istituzioni cattoliche straniere, costituite come persone giuridiche nel loro Stato, sono disciplinate dalla legge di tale Stato, hanno capacità giuridica e di agire nell’ordinamento italiano, fatto salvo il limite dell’ordine pubblico senza alcuna procedura di riconoscimento. Attività svolte dagli enti e regime tributario. La legge 222/1985 dispone: a) attività di religione o di culto sono quelle dirette all’esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all’educazione cristiana; b) attività diverse: assistenza, beneficenza,istruzione, educazione, cultura; attività commerciali o a scopo di lucro. Mentre per le attività di religione o di culto è previsto un regime di specialità, per tutte le altre è previsto il regime di diritto comune. L’Accordo di Villa Madama prevede l’equiparazione degli enti che hanno fine di religione o di culto e le conseguenti attività a quelli che hanno fine di beneficenza o di istruzione. L’equiparazione si giustifica con il riconoscimento di una rilevanza sociale e dell’assenza di fini di lucro. L’equiparazione comporta l’applicazione di un trattamento favorabilis di tutto rilievo previsto in alcune norme di natura fiscale: • l’imposta sul reddito delle persone giuridiche è ridotta alla metà nei confronti degli enti il cui fine è equiparato per legge ai fini di beneficienza o di istruzione, a condizione che abbiano personalità giuridica, • l’esenzione dall’imposta dell’IVA nei casi di cessioni di beni o di importazioni di beni donati ad enti il cui fine è equiparato al fine di beneficienza o di istruzione. Esenzione dall’ICI per i fabbricati adibiti all’esercizio del culto e per gli immobili utilizzati per le attività. A differenza delle attività “istituzionali”, le attività diverse da quelle di religione o di culto sottostanno al regime di diritto comune anche sotto il profilo fiscale. Gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, come pure gli enti o associazioni non riconosciuti come tali, possono essere ricompresi in quella categoria di soggetti che per le loro attività istituzionali possono godere di norme agevolative in quanto perseguono anche finalità educative, culturali, sportive, religiose e di assistenza e solidarietà sociale. Sono norme che esentano da tasse o imposte concernenti l’IVA, i passaporti, le cessioni di beni nuovi per la vendita, ecc. Il legislatore , con l’emanazione del D.Lgs. 460/1997 ha preso in considerazione anche gli enti ecclesiastici delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese limitatamente all’esercizio di attività di sicuro interesse sociale. La previsione non riguarda solo la Chiesa cattolica ma anche le 6 confessioni religiose che hanno stipulato Intese con lo Stato (Tavola PAGE 68 Valdese, Chiese Avventiste, Assemblee di Dio in Italia, Unione delle Comunità ebraiche, Unione Cristiana Evangelica Battista e Chiesa Evangelica Luterana). Questi enti vengono considerati “organizzazioni non lucrative di utilità sociale” ONLUS, limitatamente all’esercizio delle attività elencate: • assistenza sociale e socio-sanitaria, • assistenza sanitaria, • beneficienza, • istruzione, • formazione, • sport dilettantistico, • tutela, promozione e valorizzazione delle cose d’interesse artistico e storico, • tutela e valorizzazione della natura e dell’ambiente, • promozione della cultura e dell’arte, • ricerca scientifica di particolare interesse sociale a certe condizioni. PAGE 68