Scarica Donne, razza e classe e più Dispense in PDF di Sociologia solo su Docsity! DONNE RAZZA E CLASSE di Angela Davis Uscito per la prima volta negli Usa nel 1981, è considerato uno dei testi pioneristici del femminismo odierno. È con questo fondamentale lavoro infatti che Angela Davis ha aperto un nuovo metodo di ricerca che appare più attuale che mai: l’approccio che interconnette i rapporti di genere, razza e classe. Il libro sviluppa un saggio scritto in carcere nel 1971, uno studio storico sulla condizione delle afroamericane durante lo schiavismo volto a riscoprire la storia dimenticata delle ribellioni delle donne nere contro la schiavitù. Racconta episodi tragici della storia degli Stati Uniti, frutto di miti ancora in voga come quello dello “stupratore nero” e della superiorità della “razza bianca”, ma anche eccezionali e coraggiosi momenti di resistenza. Raccontando le storie di alcune delle figure chiave della lotta per i diritti delle donne, delle nere e dei neri, e della working class statunitense, ricostruisce i rapporti tra il movimento suffragista e quello abolizionista, gli episodi di sorellanza tra bianche e nere ma anche le contraddizioni tra un movimento prevalentemente bianco e di classe media e le lotte e i bisogni delle donne nere e delle lavoratrici. Tensioni e contraddizioni che si ripresentano di nuovo tra il movimento femminista degli anni Sessanta e Settanta e le afroamericane. La lezione principale di Angela Davis è quella di abbandonare l’idea di un soggetto “donna” omogeneo, nella convinzione che qualsiasi tentativo di liberazione, per essere realmente universalista, deve considerare la storia e la stratificazione delle esperienze e dei bisogni dei diversi soggetti in gioco. Un testo che offre prospettive cruciali per il rinnovamento profondo di teorie, linguaggi e obiettivi del movimento femminista, in una fase storica come quella odierna segnata da una presenza crescente di donne migranti in Italia e in Europa, e un sempre più allarmante ritorno del razzismo. In occasione della recente uscita in Italia di un classico del femminismo contemporaneo come Donne, razza e classe di Angela Davis (trad. it. di M. Moïsee A. Prunetti, a cura di C. Arruzza, Edizioni Alegre, Roma 2018, 304 pp.) abbiamo colto l’opportunità di porre alcune domande sul libro alla curatrice dell’edizione italiana, prof.ssa Cinzia Arruzza, attualmente Associate Professor of Philosophy presso la New School for Social Research di New York. * * * * D: Il testo di Angela Davis da lei recentemente curato in edizione italiana, Donne, razza e classe, è stato pubblicato per la prima volta in America nel 1981. Come lei stessa attesta nell’Introduzione, il suo nucleo programmatico era già contenuto e in parte delineato nell’omonimo articolo che la Davis scrisse durante la sua prigionia nei primissimi anni ’70. Il periodo storico in cui quest’opera è stata elaborata è quindi, non solo temporalmente, estremamente distante da quello odierno. Secondo lei è corretto rapportarsi a quest’opera esclusivamente come importante documento storico femminista o in esso è ancora possibile ritrovare delle linee guida per interpretare un contesto storico e sociale come il nostro? R: Il libro di Angela Davis ha rappresentato uno dei testi fondativi del femminismo nero e, a partire dagli anni ’90, del femminismo dell’intersezionalità. In questo volume Davis offre una ricostruzione storica e un’interpretazione della nascita e dello sviluppo del femminismo statunitense, a partire dall’emergere del movimento suffragista e dei suoi rapporti con l’abolizionismo. All’interno di questa ricostruzione Davis analizza alcuni momenti chiave che determinarono frizioni e rotture tra il movimento femminista e il movimento Nero di liberazione e, soprattutto, tra un certo femminismo liberale bianco e gli interessi e i bisogni della grande maggioranza delle donne di colore e di classe lavoratrice. Da questo punto di vista, sarebbe sbagliato considerare questo volume come un mero documento storico che non abbia molto da dire sul nostro presente. Al contrario, Davis ci offre una diagnosi penetrante delle impasse del femminismo liberale bianco che contiene delle lezioni importantissime per la nuova ondata femminista che si sta mobilitando dall’America Latina alla Polonia da due anni a questa parte. Questa nuova ondata femminista sta operando un importante rinnovamento del femminismo a livello internazionale. In primo luogo perché, adottando lo sciopero come forma non solo di lotta, ma di politicizzazione e soggettivazione, ha messo al centro il lavoro delle donne, la sua organizzazione sociale e il suo sfruttamento all’interno del capitalismo neoliberista, rompendo con un certo femminismo dell’auto-promozione individuale, del ‘farsi avanti’ o della ‘donna in carriera’. In secondo luogo, perché – essendo emerso a partire da paesi del Sud del mondo e dell’Europa dell’Est e avendo assunto da subito un carattere transnazionale – il movimento ha messo in luce il nesso tra oppressione delle donne, politiche migratorie, guerra e neocolonialismo. Quest’ultimo aspetto è estremamente rilevante nel contesto europeo, dove un settore del femminismo ha sfortunatamente accettato – per usare un’espressione di Nancy Fraser – di fare da ‘ancella’ dell’islamofobia. All’interno di questo contesto, la pubblicazione di una nuova traduzione italiana del libro di Davis rappresenta un’occasione importante di riflessione per il movimento italiano e offre degli strumenti fondamentali per evitare di commettere gli stessi errori del passato e per ragionare su come sviluppare in Italia un femminismo antirazzista e di classe. Questo, ovviamente, non vuol dire sovrapporre meccanicamente il contesto statunitense descritto da Davis e il nostro: commetteremmo un errore madornale, ad esempio, se provassimo a leggere il razzismo istituzionale italiano negli stessi termini del suprematismo bianco e del razzismo istituzionale statunitense. Si tratta piuttosto di raccogliere l’invito di Davis a storicizzare, a evitare di proporre formule astratte basate, ad esempio, su un presunto universalismo che altro non è che universalizzazione del proprio particolare e a comprendere il proprio presente comprendendo i processi storici contingenti che lo hanno determinato. D: Come si legge nell’Introduzione al libro, la Davis ha portato avanti (sia come militante che come intellettuale) una visione inclusiva del femminismo. In tutto il testo, in effetti, le varie diversità sembrano venire affrontate con lo spirito di chi crede che chiarire e storicizzare le divergenze (e non ignorarle completamente) sia l’unica strada percorribile ai fini di pervenire a un’uguaglianza reale e per acquisire un autentico approccio universalista. Crede che il femminismo odierno si sia attenuto a questa ‘lezione’ o se ne sia discostato? R: Il femminismo, ovviamente, non è una corrente politica o di pensiero omogenea, dunque non è possibile fornire una risposta univoca a questa domanda. Porrei la questione in questi termini. Ci troviamo a doverci muovere su un crinale molto sottile che separa due approcci opposti, ma speculari, alla è spesso l’unico modo efficace per avviare un processo di trasformazione interna che porti a superare il più possibile atteggiamenti e pratiche sessiste o razziste. Si tratta, piuttosto, di prendere seriamente la celebre osservazione di Marx all’inizio del Diciotto Brumaio: ‘Gli uomini fanno la propria storia, ma non la fanno in modo arbitrario, in circostanze scelte da loro stessi, bensì nelle circostanze che essi trovano immediatamente davanti a sé, determinate dai fatti e dalla tradizione’. Insomma, o si accetta di operare all’interno di contraddizioni o si insegue un ideale di purezza difficilmente realizzabile. Credo che Angela Davis ci suggerisca la prima alternativa. La lezione principale di Angela Davis è quella di abbandonare l’idea di un soggetto “donna” omogeneo – quialsiasi tentativo di liberazione deve considerare la storia e la stratificazione delle esperienze e dei bisogni dei diversi soggetti in gioco. Marta Panighel, Marie Moise e Valeria Ribeiro Corossacz il 23 marzo hanno presentato un libro fresco di stampa : ANGELA DAVIS Donne, razza e classe (Alegre 2018) Un testo pioneristico del 1981, con il quale Angela Davis ha aperto un nuovo metodo di ricerca che appare più attuale che mai: l’approccio che interconnette i rapporti di genere, razza e classe. Attraverso le storie di alcune delle figure chiave della lotta per i diritti delle donne, delle nere e dei neri, e della working class statunitense, ricostruisce i rapporti tra il movimento suffragista e quello abolizionista, gli episodi di sorellanza tra bianche e nere ma anche le contraddizioni tra un movimento prevalentemente bianco e di classe media e le lotte e i bisogni delle donne nere e delle lavoratrici. Tensioni e contraddizioni che si ripresentano di nuovo tra il movimento femminista degli anni Sessanta e Settanta e le afroamericane. La lezione principale di Angela Davis è quella di abbandonare l’idea di un soggetto “donna” omogeneo, nella convinzione che qualsiasi tentativo di liberazione, per essere realmente universalista, deve considerare la storia e la stratificazione delle esperienze e dei bisogni dei diversi soggetti in gioco. Nasce in un quartiere dominato da un acuto conflitto razziale. A 14 anni si iscrive alla Little Red School House, famosa scuola privata del Greenwich Village, il quartiere radicale e progressista di New York. Lì comincia i suoi studi sul socialismo e sul comunismo e comincia a militare nel gruppo giovanile comunista. Prosegue gli studi alla Brandeis University, in Massachusetts, poi in Francia e in Germania, allieva di Marcuse. In pari tempo crescono la sua coscienza politica e il suo attivismo, e ben presto l’evolvere degli eventi negli Stati Uniti d’America, con il dilagare del movimento per i diritti civili, la spinge a tornare. Negli USA, Davis, ormai tra i leader del movimento e del Partito Comunista, balza agli onori della cronaca per la sua dura detenzione in carcere, in cui viene rinchiusa dopo una lunga latitanza, per il suo presunto collegamento con la rivolta del 7 agosto 1970, in cui Jonathan Jackson e altre Pantere Nere sequestrarono il giudice Harold Haley, finita in tragedia. Il 7 agosto 1970 infatti Jonathan Jackson, fratello minore del Field Marshal per le Prigioni del Black Panther Party, George Jackson, entra nell’aula del tribunale di San Rafael in California, dove si stava celebrando il processo contro tre detenuti neri, militanti del Partito delle Pantere. Jon, appena diciassettenne, estrae un fucile e prende in ostaggio il giudice, il procuratore distrettuale ed alcuni giurati, distribuendo le armi agli imputati e dicendo: «Bene, signori. Ora comando io». Sequestratori e ostaggi saliranno su furgone parcheggiato fuori dal tribunale, incappando in un posto di blocco poco dopo: i primi verranno tutti uccisi nella sparatoria con i poliziotti, mentre tentavano la fuga. Anche il giudice Haley rimarrà ucciso negli sviluppi del conflitto a fuoco, ucciso dal colpo di un fucile a canna liscia a canne mozze legato al suo petto. Qualche giorno dopo, alcune delle armi usate da Jackson nella rivolta risultarono intestate ad Angela Davis, inserita immediatamente nella lista dei dieci criminali più pericolosi ricercati dall’FBI. Per la legge californiana, chi fornisce l’arma è colpevole quanto chi esegue il reato, pertanto fu accusata di rapimento, cospirazione e omicidio. Davis risulterà innocente e verrà assolta con formula piena.. Ma proprio dal carcere Davis scriverà alcune delle pagine più famose della contestazione statunitense, tanto da meritare tre canzoni in suo onore: Angela del Quartetto Cetra (la prima in assoluto, scritta nel 1971) Angela di John Lennon e Yoko Ono, e Sweet Black Angel dei Rolling Stones. In Francia, la sua liberazione fu sostenuta, fra gli altri, da Jean-Paul Sartre, Gerty Archimède, Pierre Perret ed in Italia da Antonio Virgilio Savona del Quartetto Cetra. Scagionata con formula piena dalle accuse che l’avevano tenuta in cella, ricomincia il suo percorso di militanza, concentrando i suoi sforzi sul problema delle carceri, delle origini sociali e razziali della detenzione di milioni di afroamericani negli istituti penitenziari statunitensi. Angela Davis non fu solo una militante del Partito comunista. Partecipò al Black Panther Party e costruì la sezione dello SNCC di Los Angeles. I marxisti erano ben lontani dell’essere maggioritari nei movimenti contro l’oppressione razziale e si trovarono spesso in difficoltà all’interno di questi movimenti. Ma fu sulla base di questa esperienza che Angela Davis portò un contributo pratico e teorico rilevante. La sua analisi apporta un contributo fondamentale alla costruzione di una teoria che allo stesso tempo spiega e dà gli strumenti per cambiare il mondo. Individuando nello sfruttamento la radice dell’oppressione, dipinge il ritratto di un’unica classe, la classe lavoratrice, che nello stesso tempo subisce – e può combattere – razzismo e sessismo. Attualmente Angela Davis ha insegnato nel dipartimento di History of Consciousness dell’Università della California a Santa Cruz, dove ha diretto anche il Women Institute. Non è più iscritta al Partito Comunista statunitense ma continua a sostenere gli ideali e i principi di sempre, a cominciare da quel senso critico che l’ha portata a scagliarsi anche contro la degenerazione del movimento afroamericano verso il fondamentalismo islamico (il riferimento è alla Nazione Islamica di Louis Farrakhan, movimento islamista e maschilista, e al suo alleato New Black Panther Party, che hanno riempito il vuoto lasciato dalla scomparsa delle laiche e progressiste Black Panthers, le Pantere NeAngela Davis, che insegna ora nel dipartimento di Storia della coscienza dell’Università della California a Santa Cruz, balzò agli onori della cronaca per la sua detenzione in carcere, a causa del presunto collegamento con la rivolta del 7 agosto 1970, quando Jonathan Jackson e altre Pantere Nere sequestrarono il giudice Harold Haley. Dalla prigione Davis ha scritto pagine importanti della contestazione divenendo un’icona delle lotte di liberazione: scagionata con formula piena, riprende la militanza, concentrandosi sulle origini sociali e razziali di milioni di afroamerican* detenut* negli istituti penitenziari statunitensi. Ritiene infatti che il sistema penitenziario è il paradigma di come viene mascherato il razzismo all’interno di un’istituzione pubblica, dove si presentano “forme congelate di questo tipo di pregiudizio che opera in modi occulti, riconosciuti cioè di rado come razzisti”. Con Donne, razza e classe, un libro del 1981 – che offre un approccio ai problemi basato sull’intersezione di genere, razza e classe – Angela Davis approfondisce un saggio, scritto in carcere nel 1971, sulla condizione delle afroamericane durante lo schiavismo, da un lato intendendo, come sottolinea Arruzza, sfatare il mito del matriarcato nero in base al quale le donne avrebbero beneficiato di un potere relativo, mentre subivano forme specifiche di oppressione compreso lo stupro sistematico, dall’altro mostrando la resistenza e la lotta di molte anche nel movimento abolizionista. Passa poi a ricostruire tensioni, intrecci e contraddizioni tra il movimento femminista bianco e la lotta delle donne Nere per la liberazione (l’iniziale maiuscola “simboleggia un gesto di riappropriazione e risignificazione della categoria razziale”, una pratica che va da Fanon a Lorde e così via), nodi che si ripresentano negli anni Sessanta e Settanta. Se il termine razzaè usato politicamente per “rendere visibile – spiegano i traduttori – il costrutto teorico che afferma il razzismo come rapporto strutturale di dominio”, fondamentale è l’idea che non esiste un soggetto “donna” omogeneo per cui occorre considerare – per qualsiasi movimento di liberazione – la storia e la stratificazione di esperienze e bisogni delle diverse soggettività in gioco. Nella sua analisi dello schiavismo e dei rapporti fra movimento suffragista e quello abolizionista mette sempre in rilievo figure chiave per la lotta dei diritti. Le donne dunque erano oppresse come gli uomini per il lavoro nell’istituzione disumana della schiavitù, e anche vittime di abusi sessuali, ma non rinunciarono a varie forme di resistenza, dalla rivolta alla fuga ai sabotaggi all’acquisizione clandestina di lettura e scrittura. Per i proprietari di schiavi perciò “l’uso terroristico della violenza sessuale” aveva lo scopo di “rimettere al loro posto le donne Nere”. Se in generale poi con il suffragismo si denuncia l’oppressione della donna bianca di classe media, si ignora però – come nel caso di Seneca Falls (1848) – il dramma delle bianche di classe operaia e delle Nere. E tuttavia gli esempi più sorprendenti di “solidale sorellanza” tra donne bianche e Nere riguardano “la storica lotta del popolo Nero per l’istruzione”, in particolare nel sud, negli anni successivi alla Guerra civile. L’ultimo decennio del diciannovesimo secolo è invece un momento chiave nello sviluppo del razzismo odierno, sia per il sostegno istituzionale che per le giustificazioni teoriche che attraversarono anche le suffragiste, ad esempio nel congresso del 1890. Col nuovo secolo “il suprematismo bianco e il maschilismo, che si erano sempre corteggiati, si abbracciarono alla luce del sole e consolidarono la propria relazione”, mentre la National American Woman Suffrage Association in